Restauro dell`Insediamento minerario di Ravi
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Restauro dell`Insediamento minerario di Ravi
Restauro dell'Insediamento minerario di Ravi-Marchi Gavorrano, Grosseto 1999-2003 Massimo e Gabriella Carmassi con Arch. Saragoza Coordinatore: Alberto Magnaghi La miniera Ravi Marchi e gli edifici annessi per l’estrazione e il trattamento della pirite, utilizzata per la produzione di acido solforico, fanno parte del grande parco minerario naturalistico di Gavorrano nelle colline metallifere, alle pendici di una formazione collinare degradante verso la pianura della Maremma. La costruzione del complesso industriale inizia nel 1918 intorno ad un primo pozzo chiamato Vignaccio II, affiancato da una prima laveria. Nel 1955 dopo un periodo di trasformazioni e ampliamenti viene realizzata la seconda e più grande laveria, che rimane in funzione per un decennio fino al 1965. Dopo un lungo periodo di abbandono durante il quale gli impianti vengono smantellati, il complesso risultava quasi completamente nascosto da cumuli di terra e da una folta vegetazione. 1 Un gruppo diretto dall’ Arch. Alberto Magnaghi ha lavorato negli anni novanta alla redazione di un piano del parco minerario di Gavorrano caratterizzato da una complessa sintesi tra obbiettivi di recupero paesistico, di restauro di reperti di archeologia industriale, di espansione dell’attività turistica, di sviluppo del territorio. La laveria nuova Ravi Marchi è uno dei lotti attuati dal Comune di Gavorrano secondo le indicazioni di questo piano, grazie a finanziamenti della Regione Toscana e del comune stesso. La laveria è una struttura singolare a gradoni incisi sul fianco del monte, delimitata da due snelle murature parallele di pietra, che ospitava su cinque livelli vari macchinari per la frantumazione del minerale, che dal nuovo pozzo veniva trasportato fino alla sommità da un meccanismo a nastro. Il materiale veniva poi selezionato progressivamente a partire dall’alto fino ad essere convogliato sotto forma di fango nel grande Dor, una grande vasca circolare munita di un impianto di flottazione, situato a valle del complesso. La lavorazione della pirite era associata ad un impianto complementare di produzione di ghiaia di cava per il riempimento delle gallerie sotterranee e dei pozzi abbandonati. Poiché il trattamento del minerale richiedeva l’impegno di grandi quantità di acqua, il complesso è dotato anche di cisterne all’interno di un edificio realizzato appositamente. Insieme a varie tettoie, officine di falegnameria, fornaci da calce, deposito esplosivi, tutte le varie parti del complesso sono distribuite intorno a piazzali disposti a varie quote, collegati 2 tra loro da scale e rampe. Purtroppo tutti i macchinari e le attrezzature che costituivano il cuore pulsante dell’impianto sono state smantellate e disperse, con l’eccezione dei due argani e di qualche altro reperto secondario arrugginito; neppure gli studi fin qui fatti dal gruppo di ricercatori hanno permesso di recuperare i disegni degli impianti o di reperire qualche meccanismo eventualmente conservato. Inoltre la fitta rete di gallerie sotterranee per l’estrazione del minerale risulta oggi inaccessibile. Così l’aspetto più rilevante del progetto di questo museo all’aperto è costituito dal percorso individuato per consentire la visita in sicurezza di tutte le parti del complesso archeologico senza dare troppo nell’occhio. La soluzione è stata perfezionata durante i lavori di scavo per mettere in luce parti completamente interrate e tenendo conto degli interventi di consolidamento e di conservazione degli apparati murari. Il complesso è stato trattato come un antico sito archeologico, cosi ché le residue strutture in 3 ferro arrugginito dei castelli e della tettoia sono state conservate rigorosamente e protette con le opportune tecniche perché possano durare ancora a lungo e offrire le suggestioni che solo i reperti autentici sanno emanare. Il percorso inizia all’ingresso del piazzale sul quale si affacciano tre piccoli volumi elementari. Due di questi, destinati rispettivamente ai servizi igienici e ad un ambiente per mostre e conferenze, sono realizzati con struttura di acciaio rivestita di tavole di larice. Il terzo, un bar ristorante, è un edificio dalle pareti esterne in ferro e vetro. Dopo aver attraversato il piazzale, incontrando sulla sinistra il pozzo vecchio con le strutture di appoggio in muratura e sulla destra la fornace da calce, le vasche di decantazione e le cisterne d’acqua, si raggiunge il Grande Dor circolare. Questo è delimitato da un percorso ad anello perimetrale, collegato attraverso una passerella sospesa ad un cubo rivestito internamente ed esternamente di tavole di larice. All’interno saranno ospitati il modello dell’intero complesso e pannelli illustrativi, con le 4 informazioni necessarie all’inizio della visita. Da qui, salendo lungo una traiettoria discreta che rasenta il fianco destro della laveria per risultare meno visibile, si giunge, dopo avere attraversato una galleria e superato una scala articolata in due segmenti, al penultimo livello, dal quale si può osservare il cuore della laveria approfittando di un balcone a mensola. Una rampa di scale consente infine di giungere alla sommità della laveria immaginata come terrazza panoramica, da dove, durante le giornate limpide, è possibile ammirare la pianura maremmana fino a Grosseto. Il locale che ospitava il motore di uno degli argani, disposto poco più in alto e privo di copertura è stato attrezzato come punto di sosta, protetto da un lucernario in ferro e vetro. Da qui si può scendere verso il basso lungo il fianco sinistro della laveria, percorrendo la vecchia scala in calcestruzzo, delimitata sui bordi da ringhiere di sicurezza, visitando a metà strada il locale l’argano del pozzo nuovo, disposto su un ripiano scavato nella collina. Proseguendo la discesa si giunge alla base del castello del pozzo (Ravi I), protetto da una tettoia, la cui copertura in lamiera ondulata arrugginita, ormai inutilizzabile, è stata sostituita con un’analoga lamiera di rame di colore molto simile a quello delle vicine strutture 5 ossidate in ferro. Dopo un’ampia curva che permette di osservare la base del castello e le rotaie dei carrelli che affiorano dal piano, il percorso corre lungo il locale interrato della tramoggia e del nastro trasportatore per la ghiaia. Infine attraverso una dolce rampa a due bracci si giunge di nuovo al piazzale di ingresso, sul quale si affaccia anche la vecchia falegnameria vengono mostrati alcuni vecchi carrelli per il trasporto del minerale. Qui potranno essere utilizzati i servizi disponibili. A parte i lavori di consolidamento delle varie strutture e delle murature in pietra in particolare, che risultano del tutto invisibili, i vari percorsi sono costruiti in modo da non interferire eccessivamente con le strutture esistenti. Per questo l’intera rete di percorsi, comprese le scale, è stata realizzata con una struttura leggera di piatti di acciaio variamente sagomati che sostiene piani e gradini costituiti da una fitta serie di tondini paralleli di acciaio e le ringhiere. Tutte le superfici di acciaio sono trattate con vernici epossidiche di colore beige, che si imparenta bene con il colore dei paramenti murari vicini e con quello delle rocce affioranti, in modo da ottenere una specie di filigrana sovrapposta all’esistente e da questo chiaramente distinguibile, ma nello stesso 6 tempo assorbita delicatamente nel contesto, creando effetti di trasparenza singolari a seconda della luce dei vari momenti della giornata. Alcuni segmenti del percorso, pur caratterizzati dalla identica tipologia di ringhiera in tondini di acciaio, che garantisce un naturale effetto di continuità, sono costituiti da una soletta di calcestruzzo armato di colore beige simile al colore dei paramenti di pietra e dei piazzali. Alla fine può darsi che oggi questo museo all’aperto mostri solo lo scheletro di un impianto industriale, anche se le sue caratteristiche sono così singolari da conferirgli un certo livello di autosufficienza. 7 Credo che sia comunque utile e piacevole visitare questo luogo e percorrere il lungo nastro pedonale per ammirare lo spazio, il panorama, i materiali e la bellezza che emana da una certa apparente casualità compositiva, forse direttamente generata dalle necessità funzionali. In origine infatti la laveria era protetta e resa quasi invisibile da una copertura inclinata e uniforme di lamiera. Speriamo che l’estensione dei lavori di restauro alla laveria più antica, che ragioni burocratiche e di finanziamento hanno affidato ad altre mani e fin qui ritardato, come succede spesso in Italia, possa costituire l’occasione per dotare il museo di tutte le attrezzature didattiche necessarie senza interferire con la leggerezza di questo primo intervento. Informazioni Progetto: Massimo e Gabriella Carmassi con Arch. Saragoza Collaboratori: Christopher Evans e Alberto Magnaghi, come coordinatore Collaborazione grafica: Claudio Saragosa, Salvatore Oggianu, Christopher Evans, David Fantini Strutture: Andrea Gaggiotti, Livio Gambacorta, geologia: Carlo Alberto Garzonio Impianti: Andrea Gaggiotti, Livio Gambacorta cronologia: 1999-2003 Imprese: Rampon Luigi Assunto, Grimaldi Costruzioni s.r.l., F.D.M. s.r.l. Committenti: Regione Toscana – Comune di Gavorrano Foto: Mario Ciampi CARMASSI STUDIO DI ARCHITETTURA Indirizzo: Borgo Santi Apostoli, 19 – 50123 Firenze – Tel./Fax: 055 295034 / 055 283591 – E-mail: [email protected] Web: www.carmassiarchitecture.com Acconsentiamo all’uso dei dati personali per la legge 675/96 8