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SUPPLEMENTO A N. 9 SETTEMBRE 2009 - Direttore Renata Polverini Direttore resp. Francesco Signoretta Direzione, redazione, amministrazione via Margutta, 19 - 00187, Roma tel: 0632482212-3 fax 063201472 e-mail: [email protected] Edizioni sindacali srl via Barberini 11, Roma Stampa Iger srl viale C.T. Odescalchi 67/A Roma € 1,55 Abbonamento annuo ordinario € 41,32 sostenitore € 59,39 vers. c/cp n. 63695001 Reg. Trib. Roma Aut. n.25 del 5/1/1988 Periodico associato all’Uspi chiuso in redazione settembre 2009 Poste Italiane Spa Sped. in a/p Dl353/03 conv. in L 27/2/04 n. 46, art. 1, comma 1, DCB Roma n. 2 periodico a cura di L’Ugl alla Fiera del Levante di Bari con il Ciscos e il Sei Immigrati, cooperazione e sussidiarietà Nella foto, al tavolo da sinistra, Giuseppe Bea, Responsabile emigrazione e immigrazione Cna Empasa, Franco Pittau, coordinatore Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes, Luciano Lagamba, presidente Sei Ugl, Renata Polverini, segretario generale Ugl, Patrizia Conte del Ninno, presidente Ciscos Ugl, Cosimo Lacirignola, Presidente Fiera del Levante, Gianvito Casaro, giornalista di Antenna Sud. Nella foto in basso, lo stand della Ugl alla Fiera del Levante di Bari Cooperazione, flussi migratori e sussidiarietà. Questo il titolo del convegno promosso dal Ciscos Ugl e dal Sei Ugl nell’ambito della Fiera del Levante di Bari dove il nostro sindacato anche quest’anno è stato presente con un proprio stand. Il Mediterraneo, i flussi migratori, il ruolo della cooperazione sono stati temi al centro del dibattito che ha visto la partecipazione del segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini. A dare il via ai lavori il presidente della Fiera del Levante, Cosimo Lacerignola il quale ha sottolineato l’importanza di «governare i flussi migratori e di una maggiore formazione in loco, nei territori di provenienza degli stranieri che vengono a lavorare nel nostro paese». E che in alcuni settori, come quello agricolo svolgono una funzione fondamentale. Basti pensare ai lavoratori stagionali nei periodi di raccolta, per i quali è difficile, se non impossibile trovare giovani italiani disponibili. Il Mediterraneo, come ha rimarcato Lacirignola, sarà presto zona di libero scambio e anche in vista di ciò «dobbiamo porci il problema di come regolare i flussi migratori. Partecipazione e formazione sono le parole chiave, dobbiamo cominciare a ragionare su ipotesi di partenariato». Il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini, ha ricordato come «gli immigrati sono una risorsa per il nostro Paese, contribuiscono a creare ricchezza e ciò richiede politiche capaci di conciliare il legittimo contrasto alla illegalità, che riguarda tanto gli stranieri quanto gli italiani, con i principi di integrazione e accoglienza sui quali si fonda l’impegno che l’Ugl porta avanti nei confronti dei lavoratori immigrati». «L’Ugl – ha aggiunto Polverini – si è battuta perché all’indomani della nuove norme sulla sicurezza fossero tutelate colf e badanti, per evitare che si alimentasse il mercato del lavoro nero e si garantisse la funzione sociale che questi stranieri, in gran parte donne ma non solo, assicurano a migliaia di famiglie italiane. Una regolarizzazione che chiediamo sia solo il preludio per una totale emersione del lavoro sommerso che costringe tanti immigrati a lavorare in stato di illegalità. Così come siamo impegnati affinché si proceda a modificare la legge sulla concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni, italiani a tutti gli effetti ma che scontano gravi difficoltà nello studio o nel lavoro per via di una prassi complessa e lunga per l’acquisizione della cittadinanza». Dopo i saluti del segretario provinciale dell’Ugl Bari, Enzo Abbrescia, e del segretario regionale, Giuseppe Carenza, la parola è passata ai relatori della tavola rotonda. A partire dal presidente del Ciscos Ugl, Patrizia Del Ninno la quale ha rimarcato come «mai come nella nostra epoca i flussi hanno assunto dimensioni tanto cospicue e, soprattutto, sono stati e sono caratterizzati dalla individualità dei percorsi dei singoli migranti. Lavavetri o muratori, braccianti agricoli, badanti o venditori ambulanti, camerieri o infermiere, piccoli imprenditori o manovalanza del crimine organizzato o semplicemente diseredati in fuga da paesi sconvolti dalla miseria o dalla prepotenza di tiranni, masse di uomini, donne e bambini cercano nel nord del mondo, di cui l’Italia fa parte, un presente e un futuro dignitosi e giusti». «Le autorità governative di tutti i paesi a vario titolo interessati al fenomeno stringono accordi fra loro, stanziano somme, promulgano leggi, essenzialmente per disciplinare queste avventure, che sarebbe impossibile e iniquo impedire. Le migrazioni, dunque, - ha aggiunto - nell’immediato pongono problemi di ordine pubblico derivanti anche dalla generalizzata carenza di risorse pur nella parte più fortunata del pianeta, risorse che non consentono di assicurare una casa, un lavoro, un’assistenza sanitaria e servizi scolastici per tutti: tutti compiti che, in gran parte, possono essere assolti solo dalla mano pubblica». «A medio termine- continua il presidente del Ciscos - esse lanciano la sfida del confronto che non possono essere demandate esclusivamente alla politica ed alle Istituzioni Pubbliche, ma richiedono il contributo quotidiano della sensibilità ogni singolo cittadino ‘ospitante’. Su questo terreno, i protagonisti della Cooperazione svolgono un ruolo importante e forse decisivo, intervenendo laddove la mano pubblica, non potrebbe arrivare. È proprio questo il principio della sussidiarietà, della complementarietà fra l’azione degli Stati e dei Governi e quella delle Associazioni no profit, del volontariato, perfino dei singoli. Le stesse confederazioni sindacali devono svolgere compiti che costituiscono lo sviluppo di quelli istituzionali che furono all’origine della loro nascita: oggi i deboli da tutelare, i diritti messi a repentaglio non sono soltanto quelli di chi esercita o ha esercitato un mestiere o una professione, all’interno di confini nazionali; oggi le categoria a rischio di ingiustizia e di prepotenza a cui prestare soccorso e assistenza, materiale e morale, vanno individuate sull’intero pianeta, e ricercate fra le donne e i minori a cui vengono negati diritti elementari, da una natura avara o da estremismi religiosi o ancora da regimi inetti, corrotti e violenti. In questi casi, la sussidiarietà non può limitarsi all’iniziativa isolata di un soggetto, ma deve diventare sistema e deve avere il respiro del futuro». L’attività del Ciscos e del Sei Ugl è stata intensa anche negli ultimi dodici mesi. «Abbiamo partecipato in maniera attiva ai diversi tavoli che hanno visto come protagonista il sindacato e il mondo dell’associazionismo - ha detto il presidente del Sei Ugl, Luciano Lagamba - in parti- colare ben 26 organizzazioni si sono ritrovate unite allo stesso tavolo per il lancio di una campagna nazionale contro la discriminazione e il razzismo. Diritti che abbiamo ribadito anche con la promozione e l’avvio di un confronto con l’Opera Nomadi per il riconoscimento e la regolamentazione delle attività di strada come la raccolta e la rottamazione dei metalli, come gli spettacoli di strada e viaggianti a cui si deve riconoscere la regolarizzazione delle posizioni lavorative di migliaia di persone di etnia rom, sinti e camminanti». La sinergia con il Ciscos si è tradotta di recente «in alcuni protocolli con i governi di Nigeria, Pakistan e Sri Lanka, in base ai quali ci siamo assunti l’impegno di favorire l’immigrazione consapevole attraverso l’informazione e la conoscenza e l’avvio di programmi sul turismo solidale, al fine di favorire la crescita economica di questi Paesi. Siamo convinti – ha aggiunto Lagamba - che il grande tema dell’immigrazione possa e debba essere regolato attraverso il dialogo e il confronto con le istituzioni e non con misure dallo scarso impatto concreto, ma dal forte impatto mediatico. L’obiettivo è ora di riuscire a migliorare il pacchetto sicurezza che nel frattempo è diventato legge o quanto meno di riuscire a mitigare gli effetti più controproducenti e pericolosi per il cittadino». Per Lagamba è importante il rilancio della cooperazione internazionale poiché «contribuisce allo sviluppo dei Paesi di origine dei fenomeni migratori. L’Europa può fare molto in questo senso, purché sappia ritrovare quella unità di intenti e quella capacità di volare alto che purtroppo ha smarrito per strada, fra le mille polemiche degli ultimi mesi che, in fatto di immigrazione, hanno interessato la politica di respingimenti e la concessione di asilo ai fini umanitari. All’indomani delle elezioni europee, avevamo sperato che le Istituzioni comunitarie acquistassero slancio e vigore ed invece tutto appare troppo fermo e confuso. Per questo sollecitiamo le istituzioni nazionali e comunitarie ad inaugurare una nuova stagione di confronto ed invertire una rotta che ha portato finora pochissimi risultati in termini di sviluppo sostenibile e di estensione dei diritti sociali». SEGUE A PAGINA 2 settembre 2009 Aumenta fortemente il consumo di alcol e droghe. I risultati di due importanti ricerche al riguardo di Eugenio Cardi * Negli ultimi giorni sono uscite contemporaneamente due nuove indagini sul preoccupante fenomeno del repentino e massiccio aumento del consumo di sostanze psicotrope (alcolici e nuove droghe) tra i giovani ed i giovanissimi. Infatti, le approfondite ricerche effettuate dai due Istituti in questione (l’Associazione "La Maieutica - Ricerca e Formazione" ed il “Centro per il disagio dell’adolescente” dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano) hanno evidenziato in particolare come scende sempre più l’età in cui i ragazzi e le ragazze si avvicinano all’uso delle droghe e dell’alcol in particolare, con punte che arrivano addirittura a sfiorare i 12 anni e mezzo di età. È infatti questa la sorprendente età dei ragazzi che sorseggiano il primo bicchiere, entrando così a far parte della triste cifra statistica degli italiani a rischio abuso, stimabili in ben 8 milioni e mezzo: «Ragazzini delle medie che bevono nei bagni di scuola — dichiara Luca Bernardo, direttore del centro del Fatebenefratelli di Milano — o appena escono di casa al mattino. In alcuni casi, a 13 anni si notano già i segni dell’alcolismo». Il quadro generale non è confortante, se lo stesso direttore del Centro del fatebenefratelli dichiara che la stima di 750.000 adolescenti a rischio è certamente più bassa di quel che si potrebbe scoprire effettuando ricerche più approfondite. Viene da chiedersi. Quali le cause? Certamente una società più compressa e più competitiva di una volta, una società legata sempre più a canoni 2 GIOVANI, ALLARME SOCIALE estetici ed effimeri che a valori di natura etica e morale. E poi la voglia di voler sconfiggere la timidezza, affogandola in un bicchiere di rum o nella tirata di una “striscia”, la benzina per lo sballo del sabato sera o solo l’effettuazione e l’accondiscendenza a un rito collettivo e pericoloso. Gli esperti ci dicono poi che va distinta la sbronza una tantum capitata quasi per caso ad una festa tra amici, quale rito di passaggio dall’adolescenza alla maggiore età, e quella invece quotidiana e continua: «Un conto è che un adolescente, per una volta, si presenti a casa ubriaco dopo una festa — afferma il dottor Giovanni Greco, vice presidente della Società italiana di alcologia — un altro è che faccia la stessa cosa alle sei del pomeriggio. In questo caso sta rifiutando tutti gli obiettivi e i progetti di vita che dovrebbe avere una ragazzo della sua età» (dichiarazione raccolta dal Corriere della Sera). Presenta poi delle curiosità la ricerca “La casa di Circe” dell’Associazione “La Maieutica” (promossa dall’Assessorato alla Tutela dei consumatori della Regione Lazio e dal Sistema Statistico Regionale), che ha coinvolto circa 1200 ragazzi tra i 15 e i 25 anni: infatti, paradossalmente, tra gli orientamenti culturali percepiti come molto importanti, i ragazzi indicano al primo posto la salute (90 per cento); questo dato, se ci si sofferma un attimo, è assolutamente contraddittorio e stridente con i risultati finali della ricerca stessa, ed ovvero con atteggiamenti che possiamo tranquillamente definire autolesivi e contrari al loro benessere fisico e psichico, non ultimo permeati da un certo fatalismo. Al secondo posto, per ordine d’importanza, c’è l’amicizia (87.7 per cento), al terzo la famiglia (78 per cento), al quarto l’amore (72.6 per cento). Altra cosa che sorprende quindi è che i concetti di “libertà e democrazia” arrivino solo al quinto posto (68.2 per cento); segue poi l’autorealizzazione (67 per cento), il sesso (65 per cento), il divertimento e lo svago (64.4 per cento). Tornando poi al consumo di droghe, “oltre il 90 per cento del campione ha affermato di conoscere la marijuana (96 per cento) e l’hashish (90 per cento); più di 4 ragazzi su 5 hanno dichiarato di sapere cosa sono cocaina (89.5 per cento), eroina (82.5 per cento) ed ecstasy (81.2 per cento); oltre la metà dei giovani intervistati conosce la ketamina (59 per cento) e la metamfetamina (54.2 per cento), mentre poco più di un terzo afferma di sapere cos’è il ghb, ossia l’ecstasy liquida (35,7 per cento). Se non si rilevano radicali differenze nella conoscenze delle diverse sostanze psicotrope considerate tra maschi e femmine, la valutazione della fasce d’età rivela, invece, che sono soprattutto i giovanissimi, i ragazzi tra i 15 e i 17 anni, a conoscere marijuana, hashish, cocaina ed ecstasy, mentre i ragazzi tra i 18 e i 20 sembrano i più esperti conoscitori di ketamina, i 21-23enni di GHB e i 24-25enni di eroina. Di questi, ben il 22 per cento dichiara apertamente di essere un consumatore diretto ed abituale di marijuana, il 19,4 per cento di hashish ed il 4,4 per cento di cocaina. Il dato però che accomuna maggiormente le due citate ricerche, e che preoccupa maggiormente, è la conoscenza, la diffusione ed il facile consumo tra i giovani e i giovanissimi delle bevande alcoliche, “considerate socializzanti ed in grado di facilitare le relazioni affettive e sessuali più di qualunque droga”. Infatti, ben l’85,1 per cento del campione statistico utilizzato, dichiara di conoscere almeno 15 ragazzi che fanno uso di superalcolici. Ancor più inquietante, è la conclusione alla quale quest’ul- tima ricerca perviene: ed ovvero che tali atteggiamenti giovanili vengono posti in atto in relazione a fenomeni che vengono percepiti come normali del loro ambiente sociale. Da qui nasce l’assoluta necessità di riflettere su precise strategie sociali di intervento da porre in atto per favorire una seria riduzione del consumo di droghe e di bevande alcoliche: “Droghe come hashish e marijuana sono diffuse, come gli alcolici. Esiste per queste sostanze una sorta di normalizzazione del consumo rispetto al passato. È ridotta la percezione della condizione di tossicodipendenza che può insorgere nel consumo di droghe, anche se si riconosce, forse in astratto e senza alcuna connessione con la propria situazione, l’eventualità che possa servire un aiuto professionale per smettere di utilizzarle”. La conclusione di tale ultima ricerca ci offre poi uno spunto di seria e grande riflessione, quando afferma che “Il consumo di sostanze psicoattive sembra aver perso una chiara connessione con situazioni di disagio. Appare legato, invece, alle normali relazioni affettive a amicali giovanili, alle occasioni ricreative, forse anche all’attenuazione del controllo. Tali variabili rendono il consumo trasversale, diffuso, in grado di abbattere quelle differenze che un tempo facilitavano la dipendenza di gruppi o individui specifici. È uno scenario questo che impone alle politiche di prevenzione e di intervento una sensibilità profonda e un’attenzione nuova rispetto agli orientamenti e alle convinzioni del passato, soprattutto alla luce della scarsa abitudine denunciata nello stesso studio da insegnanti e educatori a porsi in posizione di ascolto di fronte ad un ragazzo in crisi”. *Responsabile osservatorio Ugl sui fenomeni sociali Sovraffollamento carceri: trattamenti disumani e degradanti Il 5 agosto scorso, la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha inflitto una condanna al nostro Paese imponendo il risarcimento di 1000,00 euro a Qui Izet Sulejmanovic, cittadino bosniaco condannato in Italia nel 2002 a due anni di detenzione e detenuto pertanto nel carcere “modello” di Rebibbia dove, per oltre due mesi e mezzo, ha condiviso una cella di 16,20 metri quadri con ben altre cinque persone. Ad avvalorare il comune buon senso (sufficiente a comprendere come 2,7 metri quadri di superficie totale disponibile sia davvero troppo poco per una persona, se pur costretta in stato di detenzione) è intervenuta appunto la Corte europea, imponendo all’Italia un risarcimento a favore del signor Sulejmanovic per "danno morale"; ma ciò che colpisce maggiormente in detta sentenza, è la stigmatizzazione che fa la Corte Europea della condizione a cui è stato sottoposto detto detenuto, ovvero l’aver sofferto un “trattamento disumano e degradante”. Purtroppo il caso sopra riportato non è unico, anzi è la condizione generale in cui si trovano al momento i detenuti (di cui un buon 50 per cento in attesa di giudizio) delle carceri italiane, previste per 43.327 detenuti e che nello scorso mese di agosto ne contenevano ben ventimila in più. Il sovraffollamento delle car- ceri italiane può divenire – se già non lo è – un problema davvero esplosivo, se non si corre (e presto) ai ripari; di questa condizione ovviamente non sono solo i detenuti a soffrirne ma chiunque negli istituti di pena italiani ci si trova a lavorare (agenti, educatori, impiegati, dirigenti) o a fare volontariato. Non ultimo, il numero di agenti di polizia penitenziaria risultano essere ben al di sotto degli organici previsti, addirittura di 8000 unità circa (secondo un recente studio dei Radicali Italiani). Più del 35 per cento degli attuali detenuti sono stranieri, e – cosa assolutamente grave e drammatica - si contano ben 116 bambini presenti al di là delle sbarre (cosa assolutamente contraria a quanto previsto dalla Convenzione dei diritti dei minori di NY del 1989). Ho lavorato in carcere (Roma, Regina Coeli) come volontario per sei mesi nel 2007, e se la situazione non era già quella limite di oggi, posso assicurarvi che anche all’epoca il fenomeno del sovraffollamento era un problema già molto avanzato. Così ho potuto verificare di persona cosa significhi realmente, con persone costrette a dormire con il viso a pochissimi centimetri dal soffitto (posti su letti a castello di diversi strati) e con la scarsa possibilità di deambulazione all’interno della cella stessa. Il perenne sottorganico del personale mi- litare addetto alla vigilanza fa il resto. Quel che qui non viene posto minimamente in discussione sono la giustezza e l’applicazione corretta della pena detentiva, che fanno di un paese moderno il vero e autentico vessillo del concetto di democrazia; non può esser però applicata al detenuto un’ingiusta pena aggiuntiva, che vada ad imprimere ulteriore sofferenza a chi già vive un chiaro momento di disagio e di restrizione. E. C. Immigrati, cooperazione e sussidiarietà SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Cooperazione, flussi migratori e sussidiarietà, dunque. Tre parole chiave su cui si è soffermato anche il responsabile della Caritas Migrante, Franco Pittau, il quale ha ricordato come nel 2050 gli immigrati saranno 12 milioni. L’imperativo è imparare a collaborare, anche tra organizzazioni. E imparare a coabitare con gli stranieri evitando messaggio fuorvianti e strumenti negativi come quelli punitivi contenuti nel pacchetto sicurezza. «Contano le radici – ha detto Pittau - ma anche i frutti. Quando parliamo di sussidiarietà, dobbiamo constatare che il sussidio che il governo dà agli immigrati è ancora scarso. E soprattutto dobbiamo guardare al sussidio, all’aiuto che gli stranieri danno a noi. la maggior parte dei lavoratori immigrati viene nel nostro paese già formata. È importante perciò camminare insieme, tra italiani e con gli stranieri perché come diceva Papa Giovanni Paolo secondo l’accoglienza è una virtù che si apprende». Ma gli immigrati sono in Italia anche imprenditori come ha affermato Giuseppe Bea responsabile Area Internazionale della Cna. «Parliamo di 190mila imprese, per lo più con forma societaria di artigianato, concentrate per lo più al nord. È un dato rilevante. Ci sono anche nella piccola e media impresa comparti in cui gli italiani non vogliono investire, specialmente nell’artigianato, giovani che non vogliono seguire le orme dei padri. L’impresa può essere un formidabile veicolo di integrazione ma poi si scontra con politiche governative fondate sui respingimenti che non aiutano. E questa è una grande contraddizione. Ben vengano dunque momenti di confronto come questo che consentono di affrontare il tema dell’immigrazione con meno ideologia». Un altro aspetto analizzato nel corso del convegno è stato quello legato alla medicina dell’immigrazione, ben sviluppato da Rosanna Cerbo, docente di neurologia della Università La Sapienza di Roma la quale ha ricordato due importanti progetti su cui si sta lavorando in collaborazione con il Ciscos. «Il primo – ha detto Cerbo – riguarda il problema delle mutilazioni genitali femminili che mettono tante madri immigrate di fronte al dilemma se infibulare o meno le figlie. Fatto significativo se si tiene presente che nessun uomo somalo sposerebbe una donna non infibulato. L’altro progetto riguarda la terapia contro le ustioni per quanti arrivano via mare e stando tanto tempo sui gommoni, esposti ai fumi della benzina, approdano ustionati. Più in generale la medicina dell’immigrazione si occupa di aiutare gli stranieri che spesso cadono vittime della sindrome da sradicamento e sono soggetti a forti crisi di depressione».