Tavoni Tavola rotonda Giornata europea delle lingue
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Tavoni Tavola rotonda Giornata europea delle lingue
Educazione plurilingue e traduzione dei saperi umanistici Il Consorzio interuniversitario ICoN-Italian Culture on the Net ha la missione di promuovere lo studio della lingua e cultura italiana nel mondo attraverso Internet con gli strumenti dell’elearning. Eroga corsi di lingua italiana on line, un intero Corso di laurea in lingua e cultura italiana, diversi master relativi alla lingua, letteratura, didattica, traduzione e patrimonio culturale italiano, e partecipa a diversi progetti europei nel campo dell’innovazione didattica. L’esperienza che per dodici anni ormai ho compiuto prima come direttore e poi come presidente del Consorzio ICoN mi ha fatto toccare con mano diversi aspetti dell’italiano nel mondo e dell’italiano nel cosiddetto “mercato internazionale delle lingue”. In questo intervento ho pensato di proporre una breve riflessione su un tema universitario a mio modo di vedere cruciale per il sistema Italia e per la promozione dell’italiano nel mondo, e cioè la scarsa attrattività del sistema universitario italiano nel suo complesso verso gli studenti stranieri, vuoi europei vuoi extraeuropei, e in particolare provenienti dai paesi emergenti dell’Asia. Naturalmente, guarderò a questo tema sotto il profilo delle dinamiche linguistiche, chiedendomi se e in che misura questa scarsa attrattività del sistema universitario italiano dipenda dal fatto che l’italiano, che pure è ovviamente una grandissima lingua di cultura, e per di più in diverse regioni del mondo è anche una lingua di interesse economico, a causa dei noti fenomeni della globalizzazione e della delocalizzazione, tuttavia, come lingua nella quale studiare all’università – almeno nelle Facoltà tecnico-scientifiche, medice ed economiche - è evidentemente meno conveniente, per uno studente cinese o indiano o arabo o sudamericano, dell’inglese, o anche di lingue per varie ragioni più forti, per numero di parlanti nativi o per peso politico dei rispettivi Stati, come lo spagnolo, il francese e il tedesco, nonché il russo. Anzitutto, in estrema sintesi, i dati statistici, oggettivi, che impongono di definire “scarsa” (come minimo) l’attrattività del sistema universitario italiano. Se guardiamo ai dati interni all’Università italiana (MIUR, L’università in cifre, 2008, cap. Gli studenti: http://statistica.miur.it/normal.aspx?link=pubblicazioni) i dati sembrano confortanti. Infatti, nell’a.a. 2007-8 gli studenti stranieri iscritti a una università italiana sono stati quasi 52.000, e gli immatricolati circa 11.500, il che significa sono più che raddoppiati nell’arco di dieci anni. Se però guardiamo alle statistiche internazionali, p.es. quelle recentissime della OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development: www.oecd.org/), pubblicate nel volume Education at a Glance 2010. OECD Indicators (www.oecd.org/dataoecd/43/12/45938956.pdf ), l’ottimismo si ridimensiona molto, anzi si rovescia nel suo contrario. Pochissimi indicatori significativi: 1. 2. La percentuale totale di studenti universitari “non-citizen” rispetto agli italiani, pari al 3%, colloca l’Italia decisamente in basso nella graduatoria dei paesi storici della UE, la cui media (EU19 Average) è del 7,6%. Davanti a noi stanno, fra i paesi europei della OECD, la Svizzera col suo 20%, il Regno Unito col 20%, l’Austria col 19%, il Belgio col 12%, la Francia e la Germania con l’11%, la Svezia, la Danimarca e la Norvegia con l’8%, l’Irlanda, la Repubblica Ceca e i Paesi Bassi con il 7%, l’Islanda e il Portogallo col 5%, la Grecia, la Finlandia, l’Ungheria e la Spagna col 4%. Dietro di noi, la Repubblica Slovacca col 2% e la Polonia con lo 0,7%. Ancora peggio siamo messi nella statistica degli studenti universitari “non-citizen” iscritti ai cicli universitari superiori (advanced research programmes), dove la nostra percentuale del 7% (mentre la EU19 Average è del 19%), ci colloca dietro al Regno Unito col 48%, la Svizzera col 46%, la Francia col 40%, il Belgio col 31%, l’Austria col 26%, la Norvegia col 25%, la Spagna e la Svezia col 24%, l’Islanda col 17%, la Danimarca col 16%, il Portogallo con l’11%, la Repubblica Ceca con il 10%, la Finlandia e l’Ungheria con l’8%. Dietro di noi, la Repubblica Slovacca col 5%. 2 3. I 52.00 studenti “non-citizen” iscritti all’Università in Italia secondo il MIUR (che salgono a quasi 60.500 secondo la rilevazione più recente dell’OECD: una conferma, se vogliamo vedere il lato positivo, che almeno il trend è in crescita) sono 1/55 della popolazione mondiale degli studenti che si sono iscritti l’Università all’estero, popolazione calcolata in 3,3 milioni di persone. È un po’ poco per un paese del G8 con 60 milioni di abitanti. Lasciamo da parte il Regno Unito che, forte della sua anglofonia, ne ha un numero 7 volte maggiore. Ma i due grandi paesi non anglofoni a noi vicini, la Francia e la Germania, ne hanno 4 volte più di noi. Noi ne abbiamo tanti quanti ne ha un paese anglofono con 4,3 milioni di abitanti, cioè 14 volte meno popoloso dell’Italia, e con tradizioni culturali imparagonabili: la Nuova Zelanda. I fattori dell’attrattività sono ovviamente molti e strutturali, ma quello della lingua, al quale qui per pertinenza al tema della Giornata ci limitiamo, è considerato di importanza primaria dall’analisi della OECD (Education at a Glance 2010, pp. 315-316). Lo conferma un dato macroscopico: dei 3.3 milioni di studenti universitari che studiano all’estero, il 48% lo fanno nei paesi anglofoni: Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Irlanda. Mi sembra dunque incontrovertibile che l’attrattività del sistema universitario italiano sia non solo inadeguata – oserei dire drammaticamente inadeguata – alle esigenze strategiche di un paese che voglia tentare di mantenere una propria posizione nel mondo, o anche solo tenere la testa fuori dall’acqua; non solo assolutamente inferiore alla nostra storia culturale; ma anche, nonostante tutto, sproporzionato alla qualità della ricerca e della didattica che si producono nell’università italiana. Sarebbe quindi un dovere politico primario ricercare, individuare e contrastare le cause di questo grave handicap nazionale. Lasciando da parte tutti i numerosi fattori di inattrattività e inospitalità strutturali e funzionali, che in parte sfumano nei ben noti difetti generali del sistema Italia, in parte sono specifici del nostro travagliato sistema universitario, e attenendosi alla sola dimensione linguistica, che comunque non è affatto secondaria, appare anzitutto ineludibile il controverso tema della lingua nella quale si debba insegnare nelle Facoltà tecnico-scientifiche e professionali. Cade qui il tema, sovraccarico di risonanze e risentimenti culturali ed emotivi, dei singoli corsi tenuti in inglese, e, come viene auspicato, di interi corsi di laurea da tenersi in inglese, allo scopo di attrarre studenti da tutto il mondo e anche allo scopo di abituare (forzatamente, ma a fin di bene) gli studenti italiani a studiare e a lavorare in inglese, costringendoli ad acquisire una competenza effettiva, operativa, della quale sono in entrata gravemente carenti e senza la quale le loro prospettive professionali sono drasticamente limitate nel mondo di oggi e di domani. Queste proposte spuntano un po’ dappertutto, e nell’attuarle si sono distinti Atenei di eccellenza nell’alta formazione politecnica, i quali, avendo messo l’internazionalizzazione al primo posto fra i propri obiettivi (il che, alla luce di quanto detto sopra, è da considerarsi sacrosanto), perseguono questa politica con determinazione. Contro questa linea si sono levate proteste indignate di istituzioni culturali di prestigio storico quali l’Accademia della Crusca, la cui autorevolezza è quadrisecolare, e la Società Dante Alighieri, la cui autorevolezza è secolare. Ne è nato un nondialogo tra sordi. Gli scienziati e gli ingegneri, con poche eccezioni, semplicemente ignorano le ragioni dei difensori della lingua italiana, e se ne vengono a conoscenza per lo più restano ad esse del tutto insensibili. Vanno al sodo, con riduzione probabilmente semplicistica dei termini del problema, senza tenere in gran conto, a quanto pare, i valori del plurilinguismo che oggi siamo qui a celebrare e dunque in questa sede è del tutto superfluo richiamare. E senza tenere gran conto, oltre che di più sofisticate ragioni storico-linguistiche e socio-linguistiche, neanche del dato di fatto macroscopico che la grande maggioranza degli studenti usciti dalla scuola italiana sono in condizioni di ben diversa arretratezza, quanto ad anglofonia strumentale, rispetto ai loro colleghi olandesi o scandinavi, ma anche dell’Europa dell’Est e di tante altre parti del mondo. Inoltre, sarebbe francamente da verificare anche quale sia il numero di docenti universitari, a tutti i livelli, che, trovandosi a casa loro in Italia, siano nelle condizioni anzitutto tecniche (ahinoi) e poi psicologiche (comprensibilmente) di interagire didatticamente in inglese a tempo pieno, con tutti, in modo fluente, efficace, disinvolto, spontaneo, ricco, preciso, sottile, sfumato ed eventualmente 3 spiritoso, senza rischio di tornare a casa alla sera frustrati e stremati da questo sforzo in gran parte innaturale. Le ragioni dei difensori della lingua italiana sono forti, e in questa sede non c’è bisogno di richiamarle, ma forse anche loro farebbero bene ad aprire gli occhi sull’aspra e non eludibile realtà della inferiorità dell’Italia nel confronto internazionale denunciata dai dati statistici di cui sopra. A me – sulla base dell’esperienza di e-learning compiuta per dodici anni con ICoN - pare che sia possibile uscire da questa impasse con una mentalità nuova e avvalendosi di tecnologie innovative. L’università italiana, quanto al punto in questione, ha due elementi di debolezza: a) il fatto che la lingua italiana, negli ambiti tecnico-scientifici, è una lingua internazionalmente debole, che contribuisce alla scarsa attrattività di studenti stranieri nelle corrispondenti Facoltà; e b) il fatto che gli studenti italiani, in entrata, hanno una competenza in inglese molto inadeguata alla professione che dovranno svolgere, e che certamente dovranno (o dovrebbero…) colmare al più presto e con molta forza. Avanzo dunque questa idea: affrontiamo insieme queste due debolezze, considerandole le due facce dello stesso problema, e creiamo un ambiente all’interno del quale un problema aiuti a risolvere l’altro. Non parlo dell’ambiente della ricerca vera e propria, entro il quale tutti i ricercatori, quando sono di lingue diverse, si intendono benissimo in inglese come fanno da sempre (in realtà solo da qualche decennio, ma ci sembra che sia da sempre). Parlo dell’ambiente didattico iniziale nel quale vogliamo che convivano – e si aiutino gli uni con gli altri – studenti italiani che non sanno (ancora) abbastanza bene l’inglese professionale, che comunque dovranno imparare al più presto; e studenti stranieri che non sanno (ancora) abbastanza bene l’italiano, che comunque dovranno imparare al più presto, perché non si può vivere, ma nemmeno studiare, in un paese come l’Italia ignorandone la lingua. Un ambiente didattico, una comunità di studio, del quale dovranno ovviamente far parte, interagendo con entrambi i suddetti gruppi di studenti, docenti prevalentemente italiani, ma anche e sperabilmente sempre più ricercatori e docenti internazionali. Un ambiente di studio che dovrà diventare, nell’interesse di tutti – e, oso aggiungere, per la qualità della vita di relazione e il piacere di tutti – sempre più bilingue (almeno, e idealmente plurilingue). Un ambiente in cui il code switching fra una lingua e l’altra, a seconda della variabile composizione dei gruppi piccoli o grandi che nell’arco della giornata spontaneamente si formano, nelle varie occasioni dell’attività didattica e della vita sociale, sia una possibilità continua, viva, piacevole, ed essa sì perfettamente naturale in termini di dinamiche sociolinguistiche. La vita di una comunità di studio come questa, che sarà sempre più necessario che sia assistita dai servizi sempre più potenziati di un Centro Linguistico di Ateneo o Interdipartimentale che dir si voglia, può essere enormemente aiutata dalle nuove tecnologie linguistiche e di e-learning. Penso alla creazione di un ambiente di rete polifunzionale, un campus virtuale che duplichi e pervada il campus reale, servendone tutti i membri. Un ambiente di rete che includa le seguenti componenti fondamentali (più altre che potrebbero essere dettagliate): 1. 2. Corsi di lingua italiana on line che potranno essere offerti, in autoapprendimento e/o con tutorato in modalità e-learning, agli studenti stranieri che intendano iscriversi all’Università italiana, p.es. all’Università di Pisa, prima della loro venuta in Italia; e che restino poi a loro disposizione per rafforzare il loro italiano nei primi tempi del loro soggiorno in Italia e anche oltre. Il Consorzio ICoN ha in avanzata fase di realizzazione un intero pacchetto di corsi di italiano on line, realizzati al più alto livello metodologico e tecnologico dello stato dell’arte, che coprono tutti e sei i livelli del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, e sono stati pensati anzitutto in funzione di servizio alle Università socie per aumentare la loro capacità di attrazione di studenti stranieri. Corsi di lingua inglese on line che il Centro Linguistico di Ateneo o Interdipartimentale dell’Università in questione potrà eventualmente produrre, o di cui potrà dotarsi, per offrirli, a 4 3. 4. integrazione dell’insegnamento in presenza, nelle modalità che riterrà opportune, a tutti i membri della comunità, in modo aperto e permanente. Un complesso di strumenti, molto potenti ma molto amichevoli per l’utente comune, di assistenza allo studio di testi didattici dei settori tecnico-scientifici scelti come più importanti per il pubblico a cui ci si rivolge, tanto in italiano quanto in inglese ed eventualmente in altre lingue. Strumenti che non solo forniscano l’equivalente di un termine specialistico da una lingua all’altra, ma anche i contesti d’uso autentici dei termini in tutte le lingue mostrati in parallelo. In pratica, dei corpora bi- o plurilingui di testi didattico-specialistici delle varie discipline tecnico-scientifiche interessate, allineati, con estrazione della terminologia e anche dei concetti. Strumenti del tipo di quelli che la linguistica computazionale produce a fini di “estrazione di conoscenza” da un dominio specialistico mediante la creazione di ontologie, e a fini di traduzione automatica e traduzione assistita, includendo le ricchissime risorse, a cominciare dalla banca dati terminologica IATE – InterActive Terminology for Europe (http://iate.europa.eu/) e i corpora allineati che la DGT mette pubblicamente a disposizione degli enti che operano a fini scientifico-didattici. Queste risorse linguistiche che sono state prodotte a fini di ricerca linguistico-computazionale e per la traduzione, e sono di entità e valore ingenti, possono essere messi a frutto, attraverso la creazione di apposite interfacce intelligenti, anche allo scopo di facilitare l’accesso alle discipline in italiano a studenti che partano da altre lingue, e viceversa di favorire l’accesso alle discipline in inglese (o in altre lingue) agli studenti italiani. Questo complesso di strumenti, o meglio un unico e semplice strumento visibile agli utenti con tante funzioni incorporate, dovrà essere ovviamente basato nel web, in modo da poter essere fruito dall’estero mesi prima di trasferirsi in Italia, e restare accessibile per tutto il periodo di soggiorno in Italia e oltre, senza alcuna restrizione geografica del punto d’accesso e con la massima flessibilità e facilità d’uso, anche per mezzo di dispositivi mobili, in qualunque momento individuale o di gruppo dell’attività di studio e di insegnamento. Sono davvero convinto – e ripeto non a priori ma sulla base dell’esperienza compiuta in dodici anni al servizio della promozione dell’italiano all’estero – che le tecnologie linguistiche e di elearning possano diventare uno strumento formidabile per internazionalizzare la comunità didattica e rendere plurilingue, a vantaggio e soddisfazione di tutti, la nostra quotidiana vita universitaria. Mirko Tavoni (tratto dall’intervento alla Giornata europea sulle lingue 2010, Pisa-Lucca)