1 LA MATEMATICA ECONOMICA DELL` OPERA

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1 LA MATEMATICA ECONOMICA DELL` OPERA
LA MATEMATICA ECONOMICA DELL' OPERA LIRICA IN
EUROPA E U.S.A.
I.1 Problemi strutturali ed architettonici
Sebbene siano ormai trascorsi 49 anni dalla data in cui William J.
Baumol e William Bowen pubblicarono il celebre saggio “Il dilemma
economico delle performing art”1, il problema della sostenibilità
economica dei teatri d’opera è ancora vivo all’interno della comunità
scientifica di riferimento.2 Volendo leggere la contabilità di uno
qualunque dei maggiori teatri operistici attuali con gli occhi di un
analista del settore for profit, la prima impressione sarebbe quella di
un’attività fortemente in crisi, con una struttura dei costi mediamente
di tre volte superiore alle entrate proprie; un’attività “cronicamente”
assetata di finanziamenti statali e privati a fondo perduto, la cui
esistenza secondo una logica for profit sarebbe di dubbia utilità e
sostenibilità. Sebbene all’interno del bilancio di una nazione, la spesa
per le performing art non rappresenti mai una voce rilevante del PIL,
oscillando mediamente dal limite minimo dello 0,000005 % degli
1
William J. Bowen, W. Baumol (1966). “Performing Arts, The Economic Dilemma:
a study of problems common to theater, opera, music, and dance”. New York:
Twentieth Century Fund.
2
La teoria nota con il nome di “legge della crescita sbilanciata” scindeva le attività
economiche in due settori: da un lato, quelle incrementalmente produttive, in cui le
innovazioni, l’accumulazione del capitale e le economie di scala/produzione
contribuiscono congiuntamente ad una crescita cumulativa, dall’altro, le attività che
per loro natura, consentono solo sporadici aumenti della produttività, il cosiddetto
“settore a produttività stagnante”, la musica classica per i due autori ne è un esempio
lampante.
1
USA, al dato record dello 0,003 % della Germania3, il problema
maggiore sembra essere quello di una redistribuzione viziosa del
reddito a favore del ceto medio-alto, notoriamente (almeno in Italia)
più propenso alla fruizione del melodramma ed alla frequentazioni
delle venue teatrali. Tralasciando in questa sede le ragioni che
giustificherebbero o meno l’intervento economico dello stato, primo
presupposto principale di questo scritto sarà invece l’identificazione di
alcune possibili “cure” al morbo di Baumol e Bowen, attraverso la
comprensione delle criticità intrinseche, l’analisi dell’attività di alcuni
modelli virtuosi mondiali e la proposizione di nuovi strumenti a
sostegno dell’Opera, mutuati da settori eterogenei ad essa.
Nell’ultimo ventennio molti economisti hanno cercato di superare la
visione immobilista di Baumol e Bowen, identificando alcuni casi nel
mondo del melodramma, che contraddirebbero la teoria del settore a
produttività stagnante. In particolare l’economista Marie Luise Kiefer,
nel saggio: “L’economia dei media”4 analizza l’esempio dei festival
operistici, il cui management sembrerebbe essere particolarmente
virtuoso e registrare una certa sostenibilità economica. Ciò impone tre
riflessioni importanti che verranno trattate approfonditamente nei
capitoli seguenti.
La prima, sull’effettivo appeal detenuto dalle venue teatrali: se il
melodramma inscenato in contesti inconsueti, magari incorniciati da
sfondi naturali accattivanti, attrae un pubblico così vasto e willing to
pay, (contrariamente a quanto succede in genere con le stagioni
operistiche tradizionali), c’è da interrogarsi se buona parte
3
I dati sono calcolati empiricamente laddove l’assetto federale della nazione non
consenta un’identificazione univoca e precisa dei finanziamenti allo spettacolo dal
vivo. Per quanto riguarda l’Italia, la percentuale di PIL rinvestita nelle performing art
è più semplicemente definibile e consiste nello 0,0002% medio (400 milioni del FUS
/ 2.000 miliardi di PIL)
4
Kiefer, M. L. (2005) Medienökonomik: Einführung in eine ökonomische Theorie
der Medien Berlin: Oldenbourg.
2
dell’insuccesso commerciale teorico dei teatri d’opera non dipenda
dallo scarso fascino esercitato dalle location consuete, più che dal
genere operistico in sé. Se un tempo infatti i teatri erano intesi come i
templi mondani del divertimento e dell’intrattenimento, oggi le masse
tendono a percepire gli stessi come austeri e freddi luoghi di
propagazione di una cultura passiva, poco partecipativa.
La seconda questione, sull’incapacità dei teatri (soprattutto europei) di
soddisfare fisicamente una domanda che come le esperienze dei
festival e dei teatri estivi all’aperto (Arena di Verona, Arena di
Plovdiv, Teatro greco di Taormina) insegnano, potrebbe essere di
sicuro molto più copiosa e garantire un’efficienza marginale dei
singoli spettacoli sensibilmente maggiore a parità di costi. Una delle
problematiche è infatti il numero esiguo di posti a sedere che i teatri
d’opera forniscono. Le venue attuali devono fare i conti con un limite
fisico di spettatori, che in nessun modo è valicabile. C’è da chiedersi
se convenga ancora utilizzare gli antichi teatri all’italiana del ‘700800, che sebbene offrano un’atmosfera indubbiamente affascinante,
portano in seno diversi problemi legati alla ridotta capienza, ma anche
alla conformazione architettonica, che non essendo primariamente
pensata per la fruizione esclusiva dello spettacolo5, offre visibilità
completa solo al 30% dei posti di palchetto, con ovvie ripercussioni
sul prezzo di vendita applicabile. Gli USA, avendo teatri più moderni,
costruiti appositamente per la visione dello spettacolo, più capienti6,
5
I teatri all’italiana barocchi e neoclassici nascono da esigenze di socialità ed
intrattenimento non solo artistico. I palchetti erano pensati come strutture
indipendenti che potevano essere personalizzate a piacimento ed addirittura isolate
dal resto del teatro. Le cronache del ‘700 riportano di “servitori che portavano nei
camerini ogni sorta di vivande, bibite, gelati, e scaricavano secchi per i rifiuti forniti
dal teatro direttamente in platea” Rosselli, J. (1984). The opera industry in Italy from
Cimarosa to Verdi. New York: Cambridge University Press. pp.7-8
6
Metropolitan opera house, New York 1966, 3800 posti, piena visibilità 95%. Civic
opera house, Chicago 1929, 3563 posti, piena visibilità 94%. War memorial Opera
House, San Francisco 1932, 3346 posti, visibilità 98%.
3
più razionalizzati architettonicamente, riescono a raggiungere livelli di
autonomia economica vicini al 40%7. Forse sarebbe il caso di adibire
gli antichi teatri della tradizione (che innegabilmente ospitano
un’altissima percentuale di turisti) a teatri-museo per produzioni
turistiche di repertorio, e di destinare alle produzioni di livello artistico
maggiore nuovi teatri più razionalmente concepiti. Così è avvenuto in
Russia nel 2010 con la costruzione del modernissimo teatro di
Astrakhan, del quale si tratterà in seguito. Le più consuete obiezioni
alla costruzione di nuovi teatri più grandi e più efficienti sono di
quattro specie:
1) Ragioni di tipo economico. “La costruzione di nuovi teatri è
un’operazione economicamente irrazionale, in quanto gli
imponenti costi di costruzione non verrebbero ammortizzati
dall’incremento di incassi e dalla riduzione delle spese
connessi alla costruzione di un nuovo edificio più efficiente.”
In realtà, nella maggioranza dei casi ciò è vituperabile, dato
che l’aumento della capienza del 50% (od addirittura del
100% nel caso di piccoli teatri da meno di 1500 posti) e le
possibili razionalizzazioni attuate ad esempio sul consumo
energetico (grazie ad un cablaggio moderno), sul costo del
personale (mediante l’istallazione di automazioni) ed in genere
sui costi fissi grazie all’implementazione della tecnologia, nel
peggiore dei casi ripagherebbero la spesa effettuata nell’arco
di 10-15 anni.
2) Ragioni conservative ed esperienziali. “L’experience legata
all’opera lirica è largamente coadiuvata dall’atmosfera magica
dei teatri antichi, perciò buona parte dell’emozione vissuta dal
fruitore verrebbe depauperata in un contesto moderno.”
In questo caso ci troviamo di fronte ad un’obiezione non
scientifica, che però riveste un certo peso decisionale nel
7
Agid P., Tarondeau J.-C. (2010) The management of opera, an international
comparative study New York: Palgrave MacMillan p. 29
4
mondo del management operistico. Si potrebbe facilmente
ribadire che già al giorno d’oggi la metà dei teatri mondiali è
di fattura moderna o novecentesca, e ciò non sembra porre
troppe problematiche esperienziali; si potrebbe ulteriormente
ribadire che persino i teatri che hanno voluto mantenere
integralmente la loro architettura originaria, hanno comunque
subito numerosi restauri e ricostruzioni. Molti di essi sono stati
addirittura ricostruiti ecletticamente, riproponendo stili del
passato, ed in questo caso non solo l’atmosfera è posticcia, ma
persino il valore architettonico della struttura stessa è
discutibile.
3) Ragioni di tipo acustico. “Le sale troppo grandi non hanno
un’acustica ottimale”. In realtà anche in questo caso è
possibile controbattere su base scientifica. Come si evince
dallo studio di Leo Beranek8 sulle priorità acustiche dei più
importanti teatri d’opera del mondo, non vi è una diretta
correlazione tra dimensioni della sala ed acustica. Tutto
dipende dalle caratteristiche architettoniche ed ingegneristiche
delle sale in questione. Al giorno d’oggi le conoscenze
scientifiche di acustica permettono di realizzare ogni tipo di
riverbero desiderato, indipendentemente dalla capienza.9 In
8 Beranek, L. (2004). Concert halls and opera houses: music, acoustics, and
architecture. Springer. pp. 115
9 Lo studio di Beranek identifica un determinato tempo di riverbero per ogni stile
musicale. I valori in genere variano da un minimo di 1,0 ad un massimo di 2,0
secondi. Secondo l’autore, lo stile barocco richiederebbe le sale più “asciutte” con
meno di 1,5 secondi di riverbero. La musica romantica invece, richiederebbe
acustiche molto più “grasse”, con tempi di riverbero anche superiori ai 2,0 secondi.
Le sale più versatili acusticamente, sarebbero invece quelle con un’acustica
compresa tra 1,6 ed 1,75 secondi. Oltre al riverbero, Beranek classifica i più
importanti teatri del mondo per caratteristiche timbriche quali: Attacco, Tessitura,
Calore, Decay, Blend, equalizzazione estrema o mediosa ecc. Dallo studio non
emergono particolari limiti dei teatri con più di 2500 posti, sebbene quelli esistenti
5
realtà l’obiezione si fonda più che altro sugli evidenti problemi
di rimbombo eccessivo, se non addirittura di eco, presenti in
alcuni teatri di grandi dimensioni del passato, ad esempio la
Royal Albert Hall. Si tratta però di epoche diverse, nelle quali
la scienza acustica non era ancora formalizzata e non si era a
conoscenza di tutte le attuali tecniche costruttive per il
settaggio dei parametri sonori desiderati.
4) Ragioni filologiche. “I compositori del passato hanno scritto
musica pensando ai teatri del proprio tempo, perciò
rappresentare le loro opere in contesti diversi, costituisce
un’aberrazione dell’effetto dagli stessi desiderato. I grandi
teatri annichiliscono la prossemica intima alla quale molti dei
geni del passato pensavano scrivendo la propria musica”.
Questa obiezione consente un respiro più ampio, non essendo
inquadrata su base scientifica. Sebbene da un punto di vista
speculativo la considerazione sia valida, essa a nostro parere
non lo è su un piano contingente, in quanto il desiderio di
ricreare alla perfezione l’experience del passato è solo un
procedimento velleitario. Il limite della filologia oltre che
pratico è anche teorico: seppur per ipotesi riuscissimo a
ricreare alla perfezione tutti i dettagli di un’esecuzione con
pretese di fedeltà storica, a partire dagli strumenti, alle
dotazioni, alle tecniche, ai costumi, non riusciremmo
comunque ad avere nessuna influenza su un attore
importantissimo del processo spettacolistico: l’ascoltatore. In
nessun modo infatti sarebbe possibile cancellare quei secoli di
conoscenza ed esperienza musicale in più che lo spettatore di
oggi ha, e quello di un tempo non aveva.
Ciò come ben si comprende, rende ogni sforzo di storicizzazione
dell’opera d’arte performativa inutile, e pone invece la ben più
non reggono il confronto con i teatri di medie dimensioni (da 1500 a 2500 posti).
Ibidem
6
importante questione: “E’ il melodramma un genere ancora vivo e
vitale, o non è altro che un romantico moribondo ricordo di un tempo
ormai andato e che non tornerà più?”10 Abbisogna il melodramma di
location, titoli, ambientazioni vintage per sopravvivere? I teatri
svizzeri, dei quali si tratterà nei capitoli successivi, hanno riflettuto
attentamente sulla questione a partire dagli inizi del ‘900, ed oltre ad
avere ammodernato molti dei teatri con principi architettonici ed
acustici nuovi (cfr. Grand théâtre de Genéve), propongono oggi un
repertorio innovativo, costituito da una grande presenza di titoli
contemporanei, scelta che sembra non intaccare la sempre generosa
risposta del pubblico elvetico. Nel caso del Teatro di Losanna, la
percentuale di titoli contemporanei arriva addirittura al 34%
dell’intera produzione.11
Altra problematica strutturale da non sottovalutare, che impedisce a
molti teatri moderni di ottimizzare il numero delle rappresentazioni, e
quindi le entrate proprie, è l’assenza di strutture in grado di garantire
la contemporanea presenza di più spettacoli e processi di produzione.
Per avere un’idea, si pensi ai cinema multisala, che dispongono di
varie sale di varie dimensioni. Nel caso dell’opera, le strutture
necessarie alla compresenza di più titoli sono i palcoscenici e le sale
prove. L’Opera di Astrakhan dispone addirittura di 6 sale diverse
all’interno dello stesso edificio, mentre L’Opéra National de Paris
dispone di 9 palcoscenici, quattro di essi perpetuamente allestiti con
scenografie di repertorio, un quinto sul quale si provano i nuovi
allestimenti, ed i rimanenti adibiti a produzioni di nicchia. Altri teatri,
tra i quali il Real di Madrid ed il teatro di Vilnius, dispongono invece
di uno spazio scenico “a croce”, per consentire di alternare due
allestimenti. Ciò consente durante il giorno di provare una produzione
ed alla sera di eseguire il titolo corrente. Una tecnologia alternativa, è
quella adottata dal Carlo Felice di Genova, da poco ristrutturato e
10
11
Mitchell, R. E. (1972). Opera: Dead or Alive. University of Wisconsin Press.
Agid P., Tarondeau J.-C. (2010) op. cit. p. 22
7
dotato di spazi che si sviluppano verticalmente per più palcoscenici.
Ad ogni modo, i casi su riportati non costituiscono che una mera
eccezione nel mondo dell’Opera, costituendo il 20% del numero
totale di teatri lirici esercenti; molti dei rimanenti, non possiedono
neanche un’adeguata sala prove che consenta di eseguire
contemporaneamente prove d’orchestra e sceniche od antepiani.
Auspicabile sarebbe la costruzione di nuovi teatri, od il riassortimento
tecnologico di quelli già esistenti, secondo il principio di produttività
contemporanea multipla. Per quanto riguarda l’Italia, per la maggior
parte dell’anno, il teatro è sostanzialmente “chiuso”, perché il
palcoscenico principale è impegnato per le prove del titolo che deve
andare in scena; titolo che rimane in cartellone mediamente per 6-7
recite, per poi sparire, mentre il teatro rimane di nuovo chiuso intere
settimane per le prove del titolo successivo. Come vedremo nei
prossimi capitoli, il sistema italiano a “Stagione” non sempre è dettato
da una scelta artistica, ma da vincoli strutturali di obsolescenza.
I.2 Economie e diseconomie delle Performing art
I.2.1 Performing art e dimensione temporale
L’opera lirica appartiene indubbiamente al gruppo delle cosiddette arti
performative o performing art. Esse si definiscono come quelle arti in
cui il mezzo ed il prodotto artistico coincidono, essendo entrambi
interamente costituiti od in larghissima parte influenzati, dalla fisicità
estemporanea degli artisti performanti. Imprecisa risulta tuttavia la
definizione corrente di arti performative, secondo la quale esse si
differenzierebbero dalle arti visuali, nel fatto che le prime non
necessitino di un “mezzo di riproduzione”. Essa non considera infatti
la Partitura od il Canovaccio come oggetti d’arte in se stessi, alla
stregua di una tela o di una scultura, e quindi veri e propri mezzi
artistico-tecnici. Il fatto che il materiale musicale o teatrale scritto
necessiti di un’interpretazione, non risulta neanche una differenza
8
saliente tra arti performative e visive, in quanto queste ultime
abbisognano di una lettura interpretativa alla stregua delle prime;
casomai è possibile affermare che la fruizione delle arti visive è
sempre personale e non-mediata, mentre nel caso delle arti
performative essa può essere sia diretta che indiretta (rappresentata da
attori, ballerini o musicisti). Ad ogni modo, la performance in senso
stretto avviene solamente nel caso di un’interpretazione di tipo
mediato, indiretto.
Utile per la comprensione del significato di performing art sono i
concetti di “tempo di produzione”, inteso come il periodo necessario
all’ultimazione e la realizzazione dell’opera, e di “tempo di
erogazione”, ovvero il periodo di esecuzione della stessa- la
performance vera e propria. In questo caso, una delle definizioni
riscontrate12, secondo la quale le arti performative si
caratterizzerebbero per una contemporaneità del tempo di produzione
e di erogazione, pecca di incompletezza, non distinguendo la
componente artistica “compiuta” delle PA da quella performativa in
sé. L’opera lirica ad esempio, in quanto partitura già scritta, detiene
uno sfasamento temporale tra il momento di produzione ed il
momento di erogazione, anche di diversi secoli. E’ d’uopo quindi
scindere la voce “tempo di produzione” in “periodo creativo” e
“periodo performativo”. Analizzando esclusivamente quest’ultimo,
allora troviamo che effettivamente “tempo di produzione” e “tempo di
erogazione” nelle arti performative corrispondono, in quanto la
performance degli artisti, come fisicità estemporanea, viene concepita
ed erogata nello stesso momento. Altra variabile non considerata da
Elena Finessi, che coinvolge gli artisti ed i lavoratori dello spettacolo
tutti, è la componente “ripropositiva” delle opere d’arte performativa,
ovvero i vari allestimenti, che necessitano del lavoro congiunto di tutti
i lavoratori dello spettacolo. Alcune performing art sono inoltre
coadiuvate da una componente post-performativa, in cui la ex12
Finessi, E (2010) Economia delle fondazioni liriche Milano: Giuffrè, p.8
9
performance dal vivo diventa a tutti gli effetti una riproduzione
digitale, come fosse un film od un altro prodotto delle cultural
industry13. Identifichiamo quindi quattro periodi nel ciclo di vita delle
performing art:
Periodo creativo- Es. “Aida” di Giuseppe Verdi, come opera d’arte,
partitura, è stata composta nel 1871
Periodo (ri)propositivo- L’allestimento di Gianfranco Bosio in Arena
di Verona, è stato prodotto nel 1913 e viene ancora riproposto.
Periodo performativo- Nell’estate 2013, per 7 serate, dal 10 agosto
all’8 settembre è stata eseguita l’Aida nella versione di Bosio.
Periodo erogativo- Coincidente.
Periodo post-performativo- E’ stato realizzato dall’Ente Arena di
Verona un DVD in Blu-ray che verrà venduto fino ad esaurimento
scorte.
Questa specificazione potrebbe risultare ridondante ma non lo è,
considerando l’effettiva esistenza di arti nelle quali tutti i su citati
periodi coincidono completamente, ad esempio il jazz in jam session
dal vivo, dove la creazione “materiale” dell’oggetto d’arte (data
dall’improvvisazione strumentale), coincide in tutto e per tutto con la
performance, con l’erogazione della stessa, ed anche con il periodo
propositivo, essendo la pratica Jam scevra da ogni preparazione o
prova precedente alla performance. Basti pensare che sovente i
musicisti di Jam sono completamente sconosciuti gli uni agli altri e
suonano insieme per la prima volta il giorno della performance. Nella
tabella a seguire proponiamo un’esemplificazione grafica delle
performing art per vari periodi ed eventuale coincidenza degli stessi:
13
Queste ultime si differenziano dalle performing arts appunto per la riproducibilità,
che le rende capital intensive ed altamente diffuse. Nel caso delle cultural industries,
la relativa inconsistenza dei costi di riproduzione alla rappresentazione N(1+∞),
sottendono lo sfruttamento intensivo del mezzo d’arte, avendo il prodotto un costo
iniziale da ammortizzare il più possibile, ed essendo il break even point marginale
molto basso da raggiungere (teoricamente, il solo spettatore, anche se nella pratica i
diversi costi falsano l’aspettativa teorica).
10
GENERE JAM
SESSION
DANZA
ESTEMP.
OPERA
SINFONICA
CINEMA
Concerto Composizione Composizione Post-
PERIODO
CREATIVO
Concerto
PERIODO
(RI)PROPOS
Concerto
Precedente Successivo
Concerto
/////////////
////
PERIODO
PERFORM.
Concerto
Concerto
Succesivo
Concerto
Produzione
PERIODO
EROGATIVO
Concerto
Concerto
Successivo
PERIODO
POSTEROGATIVO
Successivo Successivo Successivo
Successivo
Successivo
(TV, PPW
Home V.)
Produzione
Concerto
Concerto
Concerto
I tempi esecutivi hanno un’importanza però subordinata al tempo
disponibile degli ascoltatori, concetto importante del quale parleremo.
<<Il tempo è generalmente definito come la dimensione nella quale si
concepisce e si misura il trascorrere degli eventi. Esso rappresenta una
risorsa disponibile [ma scarsa n.d.a.] che può essere utilizzata per
svolgere attività estremamente differenti tra loro, a seconda della
scelta del singolo individuo[…].E’ possibile effettuare una
classificazione del tempo raggruppando in grandi categorie le attività
che si svolgono quotidianamente[…]: Tempo necessario, definito
come il tempo impiegato a svolgere le funzioni vitali ed
imprescindibili dell’uomo (es. mangiare, dormire). Tempo obbligato,
necessario a svolgere attività la cui durata e collocazione nella
giornata è fissata da altri (es. andare a scuola, andare a lavoro come
11
dipendente). Tempo vincolato, necessario a svolgere azioni non
soggette a vincoli di collocazione nella giornata, ma a vincoli di
durata. In altre parole azioni saltuarie break even point che scegliamo
noi di compiere, senza però poter decidere la durata di esse (es. andare
alla posta). Tempo libero, dedicato ad attività che dipendono da scelte
autonome, sulle quali la persona gode di ampia libertà
decisionale>>14. Essendo il tempo a disposizione dell’individuo,
soprattutto il tempo libero, una risorsa scarsa, ed essendo il mercato
dell’entertainment colmo di proposte culturali e non, il primo obiettivo
del marketing strategico di una venue è quello di vincere la
concorrenza nell’aggiudicarsi la preferenza in una determinata
porzione del tempo libero dell’individuo. Volendo fornire una formula
residuale di esso si potrebbe scrivere:
)
Dove Tl, Tn,To,Tv rappresentano le quattro macro-categorie temporali
analizzate, Ttot il tempo totale a disposizione, Tld il tempo libero
disponibile e Tlp il tempo libero già programmato.
Nel caso dell’Opera e di molti generi impegnati, ci si rende facilmente
conto che la preferenza è particolarmente difficile sia per barriere di
tipo psico-culturale, delle quali tratteremo in seguito, sia per un certo
livello di attenzione necessario, che a volte mal si concilia con i
faticosi ritmi quotidiani dettati dal tempo obbligato ut supra. Da
un’indagine dell’ISTAT del 200615, emerge la profonda avversione
dei cittadini italiani a considerare l’opera lirica e la musica sinfonica
come attività diversive e di svago, diversamente da quanto traspare in
molte statistiche analoghe di altri paesi europei.
14
15
Tratto da Maniconda P., Il tempo degli Italiani, intervista a “Mediamente” 1996
ISTAT, Spettacoli, Musica e Altre Attività del tempo libero. Anno 2006
12
I.2.2 Diseconomie delle Performing art
Analizzando il mercato delle arti performative, si riscontra nella
stragrande maggioranza dei casi una situazione economica patologica
che come già detto, in un’ottica for-profit rappresenterebbe un
nonsenso. La curva della domanda infatti non incontra quella
dell’offerta per ragioni sia di tipo solidaristico, sia di willingness to
pay. Le prime, legate al valore sociale della cultura, la quale risultando
un bene di importanza comune come la sanità e l’istruzione, subisce
interventi economici ispirati alla “meritorietà” del bene: i soggetti
policy-maker tendono a fissare prezzi di molto inferiori alle cifre
necessarie per il raggiungimento del pareggio di bilancio, anche se
spesso ben lontane dall’essere nazional-popolari. Le seconde ragioni,
legate al fatto che la domanda culturale, in parte perché “viziata” da
anni di politiche culturali assistenzialiste, un po’ perché i prezzi
“reali” atti a garantire un sostentamento proprio dei teatri sarebbero
effettivamente molto alti16, non dimostra nella maggior parte dei casi
una willingness to pay sufficiente ad incontrare la curva dell’offerta.
16
L’intervento dello stato e degli sponsor abbatte di circa 3 volte il prezzo necessario
al naturale sostentamento dell’Opera. Un biglietto che costa 250 euro, in realtà ha un
valore economico di circa 750euro.
13
Il primo grafico mostra una condizione di mercato economicamente
sano, mentre il secondo la tipica patologia del mercato culturale
dualistico. Ad ogni modo, bisogna ricordare che una delle
caratteristiche della domanda culturale fidelizzata, è quella di essere
sostanzialmente anelastica alla variazione positiva dei prezzi, a patto
che la qualità percepita del prodotto risulti non decrescente.
L’anelasticità tuttavia si interrompe stranamente in un punto critico di
rottura, che costituisce il limite teorico dell’innalzamento dei prezzibiglietto17. L’entità di esso, dipende in larga parte da caratteristiche
econometriche e sociologiche diverse da realtà a realtà. Il prodotto
culturale, come vedremo nel prossimo capitolo, si comporta come un
bene di lusso.
Segmentando il mercato in classi caratteristiche, ci accorgiamo che
l’anelasticità relativa della domanda si verifica per i clienti fissi
(soprattutto gli abbonati), mentre per il pubblico saltuario ancora non
fidelizzato, la risposta alla variazione dei prezzi appare molto più
elastica, tendente al ramo d’iperbole:
17
Throsby C.D., Withers G.A. (1979) The Economics of The Performing Arts
Victoria: Edward Arnold Pty Ltd
14
Il pubblico potenziale, non ancora “ingaggiato”, ovviamente non
risponde al ΔP positivo dei prezzi, in quanto si trova matematicamente
in una zona già negativa del diagramma Quantità/Prezzi. In altre
parole, il non-frequentatore non può trovare nessun giovamento né
nocumento da una policy dei prezzi a rialzo.
Come si diceva, nel mercato delle arti performative, in un sistema a
due la domanda per definizione non incontra l’offerta. Allora, per
ristabilire l’equilibrio economico interviene un terzo soggetto, che
finanzia l’offerta, rendendola in grado di offrire il prodotto culturale a
prezzi vantaggiosi per l’acquirente. Il terzo attore del mercato
culturale ha una natura sia privata (sponsor, donazioni, erogazioni) sia
pubblica (finanziamenti statali, regionali, comunali), e le motivazioni
che lo spingono a farsi carico del gap economico tra gli altri due, sono
innumerevoli e legate ad interessi sia economici sia filantropici.
Il mercato delle performing art, con l’ausilio di un pagante esterno, da
matematicamente irrazionale diventa instabile ma sostenibile. Nei tre
grafici a seguire, si vogliono illustrare tre situazioni esemplificative.
La prima, tipica di un mercato economico auto-sostenibile; in essa a
partire da un determinato punto (inteso come dato temporale in un
asse Quantità/Tempo), le entrate totali superano i costi totali,
determinando un profitto relativamente crescente nel tempo. Nella
seconda situazione, tipica del mercato delle performing art in assenza
di un terzo pagante, si verifica l’assenza del break even point
temporale (che per convenzione chiamiamo (t)BEP, ovvero il
momento in cui in un’attività continuativa, alla performance N, il
volume totale delle entrate inizia a superare quello delle uscite,
ottenendo un profitto). Il terzo grafico mostra invece come in un
mercato culturale a tre, si crei una situazione di equilibrio instabile in
cui a fasi di perdita si alternino fasi di pareggio o di lieve attivo. Il
(t)BEP non va comunque confuso con il BEP18, che rappresenta un
valore quantitativo non esteso nel tempo, ovvero, nel caso delle
18
Break even point
15
performing art, il numero di biglietti da vendere al prezzo prestabilito
per raggiungere l’entità dei costi marginali.
Anche il BEP, in condizioni di mercato duale delle arti performative, è
raramente raggiungibile; nell’Opera ad esempio, come vedremo nel
capitolo seguente, la best practice è rappresentata dal 50% del BEP,
raggiunto dai festival e dai teatri estivi all’aperto, ed il 48% del BEP,
raggiunto dai teatri americani di Chicago e Detroit. La best practice
europea è invece espletata dai teatri svizzeri ed alcune realtà russe
delle quali al terzo capitolo. Il pareggio di bilancio (con le sole entrate
proprie) invece è asintotico al giorno d’oggi19.
Analizzando i primi due grafici, la scuola economica classica
individuerebbe immediatamente 4 soluzioni empiriche, per ottenere
una gestione più razionale del bilancio in questione senza dover
ricorrere al terzo pagante e quindi alla situazione descritta dal terzo
grafico: 1) Aumentare il numero degli spettatori a parità di prezzobiglietto 2) Aumentare il prezzo del biglietto a parità di numero di
19
Una precisazione da fare è circa la condizione contabile e finanziaria di molti teatri d’opera,
che non riescono a raggiungere il pareggio di bilancio neanche con l’ausilio di sponsor e
sovvenzioni pubbliche, dimostrando una gestione manageriale poco ortodossa. In questi casi
non si parla di disfunzione sistemica del sistema opera, ma di contingenze estranee alla teoria
economico-culturale.
16
spettatori
3) Diminuire la massiccia struttura dei costi
4)
Internalizzare tutti i costi ed aumentare il più possibile il numero delle
performance creando economie di scala e produzione.
Purtroppo per noi, tutte e quattro le soluzioni nel caso delle
performing arts ed in particolare dell’opera lirica, risultano
impossibili, inefficaci o quantomeno di ostica applicazione.
Analizziamone le motivazioni:
1-Aumentare il numero degli spettatori a parità di prezzobiglietto. L’aumento degli spettatori, nel caso dei teatri quali venue al
chiuso, è possibile fino ad un valore fisso, che rappresenta il limite
fisico di capienza dei teatri stessi. Come trattato nel primo paragrafo
del corrente capitolo, la maggior parte dei teatri d’opera attuali ha una
capacità troppo esigua rispetto alle potenzialità di espansione del
mercato culturale. E’ infatti da rilevare che i teatri d’Opera di tutto il
mondo, in relazione al numero di posti posseduti, conseguono ottimi
risultati di vendita, con una occupancy mediamente dell’80% e
paradossalmente crescente al crescere delle dimensioni del teatro ed
all’aumentare dei prezzi.20 Uno strano fenomeno ancora non spiegato
scientificamente, si verifica durante le ristrutturazioni delle venue, al
fine di incrementarne la capienza: aumentando il numero dei posti,
aumenta (o perlomeno non diminuisce) anche l’occupancy
percentuale. L’insolito fenomeno probabilmente trova una
giustificazione nell’accresciuta notorietà del teatro in questione a
seguito delle modifiche strutturali apportate, ma ad ogni modo rende
concreta e plausibile la possibilità di costruire nuovi teatri più capienti
o di ampliare quelli esistenti, ottenendo non solo un incremento in
valore assoluto del numero di spettatori, ma addirittura un aumento
percentuale dell’occupancy.
2-Aumentare il prezzo del biglietto a parità di numero di
spettatori. L’aumento del prezzo del biglietto sarebbe teoricamente la
strategia più semplice e più logica da effettuare, ma la natura di merit
20
Agid P., Tarondeau J.-C. (2010) op. cit. pp. 30-31
17
good dell’opera lirica, intesa come patrimonio dell’umanità, pone
questioni etico-politiche circa l’applicabilità di una politica dei prezzi
in forte rialzo. Oggi i teatri d’Opera riescono a coprire con le sole
entrate proprie, una percentuale compresa tra il 15 ed il 46%21 del
proprio budget, con prezzi medi compresi tra 50 e 200 dollari, prezzi
minimi compresi tra 20 e 65 dollari e prezzi massimi tra 100 e 375
dollari22. Volendo aumentare i prezzi dei biglietti in modo da garantire
un soddisfacimento teorico dell’intero budget, dovremmo quindi
moltiplicare i valori per circa 4 volte (essendo l’auto-sostenibilità
media dei teatri d’opera del 25%). I prezzi medi allora diventerebbero
compresi tra 200 e 800 dollari, ed i massimi tra 400 e 1500 dollari,
perciò lontani dalle possibilità della media della popolazione
mondiale. Sebbene come già esaminato, la risposta del pubblico
abituale dell’Opera alla variazione dei prezzi sia sostanzialmente
anelastica e si possa teorizzare una fattibilità empirica di una tale
operazione, una riflessione in merito è d’obbligo: lo stato, finanziando
una determinata porzione del fabbisogno dei teatri d’Opera, non
risolve affatto la questione dell’elitarietà del genere melodramma, in
quanto i prezzi-biglietto medi attuali, nonostante gli ingenti
finanziamenti statali, restano inaccessibili alla gran parte della
popolazione o almeno vengono percepiti come tali. Restringiamo il
campo alla situazione italiana. <<Nel Bel Pase la “mano pubblica”
alloca ogni anno circa 320 milioni di euro a favore di 14 fondazioni
lirico-sinfoniche, a fronte di un consumo complessivo che è di circa 2
milioni di biglietti venduti. La spesa annuale del pubblico è
nell’ordine di circa 93 milioni di euro. Se la spesa media per spettatore
è quindi di 47 euro [il dato non rappresenta il costo medio dei biglietti
in quanto è comprensivo di biglietti omaggio n.d.a.], la mano pubblica
21
Ivi pp. 2025 Il dato del 46% è del teatro di Zurigo, eccedono questa percentuale
i teatri russi, per via di una gestione caratteristica che sarà analizzata nel terzo
capitolo.
22
Ibidem
18
interviene per 160 euro a spettatore>>23. Un’analisi qualitativa a
mezzo internet, da noi effettuata nel Dicembre 2013 (intervistati 6.000
italiani di ogni età, professione e classe sociale, selezionati per
rappresentare un campione statistico quanto più rappresentativo della
realtà italiana), ha rivelato che l’86,4% del campione non frequenta i
teatri d’Opera. Di essi, l’88,4% ritiene i prezzi medi dell’opera italiana
proibitivi, e non includerebbe nel proprio paniere di beni una spesa
mensile per l’opera lirica. Di quell’ 88,4%, il 91,2% è percettore di
reddito annuale netto compreso tra i 12.000 ed i 30.000 euro, in linea
con i dati ISTAT sul reddito degli italiani24. Del restante 13,6% degli
intervistati, che invece frequentano l’Opera, solo l’1% dichiara di
detenere un reddito disponibile inferiore alla media nazionale (quasi
20.000 euro annui). Incredibilmente, grazie ai quesiti relativi al
paniere di beni di ogni intervistato, l’analisi ha rivelato una
composizione di esso ben lontana da un quadro di sussistenza o di
prima necessità: il 12% del reddito medio degli intervistati sarebbe
speso in abbigliamento, il 16% in tecnologia ed il 29% in ristorazione.
Per quanto la statistica ben esprima come l’Opera rimanga, nonostante
i finanziamenti statali un genere fortemente elitario (dimostrando la
fallacità di un intervento monetario diretto), d’altro canto è evidente
come la stragrande maggioranza degli italiani non sia incline
all’acquisto di beni di lusso (o non di prima necessità), ma resti
indifferente all’attrattiva d’acquisto dei beni culturali, come rivelato
23
Tratto da un’intervista al direttore generale per lo spettacolo dal vivo del MiBAC
Salvatore Nastasi
24
ISTAT, Reddito disponibile delle famiglie italiane, 2006. Lo studio ha accertato
che al 2011, il reddito medio disponibile per famiglie italiane era di 19.979 euro. Il
91% dei soggetti dichiara di percepire un reddito mensile lordo compreso tra 0 e
3600 euro. Il 5% degli italiani più ricchi sembrerebbe invece detenere il 22,9% del
reddito complessivo italiano, più di quanto posseduto dal 55% degli italiani
contraenti i redditi minori.
19
da uno studio dell’ISTAT del 200625, secondo il quale il 72,55% degli
italiani non parteciperebbe a spettacoli dal vivo:
In presenza di questi due dati (scarsa attitudine degli italiani a
frequentare i luoghi della cultura, ma disponibilità a spendere per beni
accessori diversi, ed inefficacia politica dell’intervento finanziario
diretto ai teatri d’Opera) possiamo avanzare l’osservazione che la
politica culturale italiana è certamente stata nell’ultimo trentennio
inadeguata e non strategica. Come auspicato dall’economista classico
francese F.Bastiat, lo stato dovrebbe infatti preoccuparsi di formare il
25
ISTAT, La distribuzione del reddito degli Italiani, 2006
20
più possibile la domanda culturale e di incentivare la sua willingness
to pay, in modo da creare le condizioni di ignizione autonoma del
mercato culturale. Il foraggiamento parziale dell’Opera su basi
solidaristiche è completamente inefficace come esaminato, e pone il
problema della ridistribuzione del reddito nazionale verso i percettori
di redditi più alti, che possono permettersi gli alti costi residuali
dell’Opera. In questi casi le soluzioni intermedie sono di dubbia
utilità. Se la politica nazionale identifica realmente il melodramma
come un patrimonio culturale universale, da preservare e rendere
accessibile a tutti, allora deve avere la risolutezza di finanziarla
integralmente, in modo da renderla realmente accessibile ai più,
oppure lasciarla alla gestione privata. Un ottimo compromesso, come
esamineremo nel secondo capitolo, sarebbe quello di finanziare
integralmente dei livelli educativi “d’accesso” all’Opera, e lasciare
l’eccellenza alla gestione privatistica, come del resto avviene per altri
beni di valore pubblico, quali la sanità e l’istruzione.
3-Diminuire la massiccia struttura dei costi. La diminuzione dei
costi sarà una delle variabili sulle quali insisteremo maggiormente nel
secondo capitolo, rappresentando forse la più concreta delle possibilità
a disposizione del manager operistico.
Le ragioni per le quali la performance operistica abbia uscite così
ingenti sono molteplici, ma possiamo raggrupparle in due macro-aree:
motivazioni fisiologiche e patologiche.
Le motivazioni patologiche sono da intendere come estrinseche alla
normale azione manageriale, problematiche contingenti che variano
da paese a paese, quali corruzione, incapacità gestionale,
inadeguatezza legislativa. Sebbene questioni quali rigidità contrattuali,
finanziamenti
statali
quantitativamente e qualitativamente
insufficienti, una legislazione inefficace all’attrazione di fondi privati
per assenza di sgravi fiscali26 siano molto importanti e costituiscano
26
Quadro italiano di riferimento per donazioni ed erogazioni liberali agli enti lirici:
Art. 15 comma 1, lettera i del T.U.I.R.:
21
forse il problema più importante dei teatri italiani, non riguardando il
campo d’azione del manager e non essendo inquadrabili
scientificamente, non saranno trattate in questo scritto.
Le problematiche fisiologiche dell’opera saranno invece esaminate
esaustivamente, a partire da quella spada di Damocle incombente sui
teatri d’Opera, conosciuta come “morbo di Baumol e Bowen”27.
Essendo l’effetto descritto dai due economisti americani negli anni
sessanta, più volte citato all’interno di questo scritto, ne riteniamo
opportuna una trattazione sintetica. Il primo postulato dal quale i due
partirono è che esistono due settori produttivi, il primo, cosiddetto arts
sector, che registra un irrilevante aumento di produttività nel tempo, il
secondo, detto manifacturing sector, nel quale la produttività è invece
crescente al rateo g. Il secondo postulato invece descriveva una
eguale crescita dei salari nei due settori, indifferentemente dalla
produzione. Analizziamo prima il caso del settore a produttività
crescente. Ipotesi: secondo la teoria economica classica, la quantità di
prodotto nel tempo , è uguale alla quantità di lavoro per il tasso
di crescita della produttività
) (quest’ultimo determinato ad
esempio dall’incremento tecnologico dei macchinari) moltiplicata per
quel surplus s tanto avverso a Karl Marx:
Sono detraibili dall’IRPEF nella misura del 19% le erogazioni liberali effettuate
dalle persone fisiche, per un importo non superiore al 2% del reddito complessivo
dichiarato, destinate alla produzione nei vari settori dello spettacolo.
Art. 100 comma 2 lettera m) del T.U.I.R.:
Sono totalmente deducibili dal reddito d’impresa (senza limiti di importo) le
erogazioni liberali in denaro, da parte di soggetti titolari di reddito d’impresa, a
favore delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche per lo svolgimento dei compiti
istituzionali e per la realizzazione di programmi nei settori dei beni culturali e dello
spettacolo.
Art. 100 comma 2 lettera g) del T.U.I.R.:
Sono deducibili per un importo non superiore al 2% del reddito d’impresa dichiarato,
le erogazioni in denaro effettuate dalle imprese a favore delle Fondazioni LiricoSinfoniche destinate alla produzione nei vari settori dello spettacolo.
27
(William Jack Bowen, 1966) op cit.
22
)
Perciò, come teorizzato da J.M. Keynes, l’effetto dell’aumento di
produttività del lavoro, e quindi di prodotto, determinerebbe
l’inflazione, ed i salari tutti tenderebbero a crescere parimenti ad essa,
determinando quindi una crescita dei salari pari al rateo di crescita
) stesso. Avremo allora che l’aumento nel tempo del costo del
lavoro , sarà pari a:
)
Ma nel settore industriale, l’aumento del costo del lavoro come si
intuisce, è compensato dall’incremento della produttività, che fa
aumentare la quantità di prodotto. Si ha quindi che nel settore
industriale, il costo C per singola unità di produzione è dato da:
)
)
Ma essendo il tasso di crescita nel tempo
) comune sia
all’aumento dei costi, sia all’incremento della produttività, ed essendo
la quantità di lavoro
non solo una componente di costo, ma anche
una determinante dei prezzi (quindi matematicamente un coefficiente
moltiplicativo), i due valori si semplificano, perciò avremo che:
Tesi: L’aumento dei salari industriali è controbilanciato dall’aumento
della produzione.
23
Ma cosa accade nell’ arts sector ovvero il settore “a produttività
stagnante”? In questo caso, secondo Baumol e Bowen non si verifica
un aumento della produttività g, in quanto le tecniche di produzione
utilizzate nelle arti performative, sono per antonomasia tradizionali,
volutamente vintage ed altamente labor intensive28.
Ma lo snodo della teoria dipende dal fatto che i salari artistici (cachet,
stipendi, commissioni ecc.) crescono per effetto dell’inflazione
parimenti a quelli industriali29, creando uno scompenso nella frazione
dei costi.
)
)
)
In altre parole, l’inflazione dettata dall’aumento della produttività nel
settore a produttività crescente, fa aumentare i salari industriali, ma
influenza per forza di cose anche i salari artistici, perché altrimenti il
potere d’acquisto degli operatori dell’arts sector si annullerebbe nel
tempo. Dalla formula :
28
Per Labor intensity si intende la quantità relativa di manodopera impiegata nella
realizzazione di un prodotto. Una tecnica od un prodotto labour intensive sono ricchi
di investimento in lavoro umano, a differenza dei prodotti Capital intensive, ricchi di
investimento capitale, in macchinari di produzione e ricerca tecnologica.
29
Una controprova del morbo di Baumol è data da Throsby, il quale osserva che a
partire dal secondo dopoguerra in Australia, i salari artistici sono cresciuti in effetti
meno dei salari industriali
C.D.Throsby. (1994). The Production and Consumpting of the Arts, a view of
cultural economics. Journal of Economic Literature.
24
)
Si evince che il costo unitario per prodotto artistico è crescente nel
tempo fino all’infinito. L’aumento dei prezzi attuabile, anche più che
proporzionalmente all’inflazione, non è sufficiente a controbilanciare
il divario tra stagnazione produttiva ed aumento salariale crescente. Le
poche riprove del morbo, valutate confrontando l’aumento del livello
generale dei prezzi con l’incremento dei prezzi biglietto e del costo
unitario, hanno consolidato la brillante ipotesi dei due economisti
americani. Ma allora il morbo di Baumol è una malattia dei costi così
imperativa e definitiva? In alcuni compartimenti sì, in altri, come
vedremo nei capitoli successivi si potrebbero attuare delle
razionalizzazioni sfruttando tecnologie moderne, che allo stato attuale
sono ignorate solo perché considerate dal sapore troppo poco
“romantico”. Baumol e Bowen citano l’esempio di un Quartetto di
Schubert. Se al momento della sua composizione era pensato per
quattro esecutori, dopo 200 anni il numero di esecutori sarà sempre 4,
la tecnologia non può e non deve agire al fin di ridurre l’organico in
partitura, ma se ciò è indiscutibile riguardo l’aspetto performativo
dello spettacolo, non è necessariamente vero per le componenti
scenografica ed amministrativa dello stesso, i cui prodotti ancora oggi
contengono inspiegabilmente troppe “ore di lavoro”, sono troppo
labor intensive. Prendiamo ad esempio il caso del Siegfried di
Wagner. Se è vero che il numero dei cantanti e degli orchestrali voluto
dal compositore deve necessariamente rimanere lo stesso nel tempo,
in quanto una riduzione di esso comporterebbe un peggioramento
della qualità ed uno snaturamento della drammaturgia, non è invece
così scontato che la scenografia (della quale artisticamente è
importante il risultato, non il processo di realizzazione) debba essere
prodotta con tecniche e risorse artigianali ottocentesche, anche perché
25
il compositore non si è mai espresso in merito al processo ma solo al
risultato30.
Se osservando l’incremento delle retribuzioni medie dei lavoratori
dello spettacolo valutate secondo il principio della quantità di lavoro
la situazione non è così rosea, essa lo è ancor di meno prendendo in
esame i cachet degli artisti di grido. Il mercato dei big ones, i talenti
internazionali, è stato esaminato da Sherwin Rosen nell’articolo “The
economics of superstars”31. L’economista americano paragona il
mercato dei top of the tops a quello dei beni di lusso, associando a
piccole variazioni di talento, variazioni esponenziali di vendite e
popolarità, esattamente come avviene nel mercato dei beni di lusso o
di necessità vitale. Rosen pone l’esempio del calzolaio e del
cardiochirurgo. Se un calzolaio riesce a riparare le scarpe in una
maniera migliore della concorrenza del 10%, a parità di incremento
percentuale prezzi, probabilmente registrerà un incremento nelle
vendite della stessa percentuale. Un cardiochirurgo che nella sua
carriera salva il 10% in più di vite di ogni suo collega, anche se
aumenterà le sue parcelle in maniera più che proporzionale, registrerà
un’incremento di richieste quadraticamente maggiore, tanto da
arrivare alla totalità teorica della domanda. Il differenziale di talento
del 10% comporta quindi nel secondo caso incrementi quadratici di
guadagno, che porteranno il medico (nei limiti dell’etica e della
deontologia) ad aumentare i suoi compensi in maniera ancor più
30
In fisica, una forza conservativa è una forza descritta da un campo vettoriale
conservativo, cioè il suo lavoro durante un certo tragitto non dipende dal particolare
cammino percorso ma solo dalla distanza tra i punti di partenza e di arrivo.Il lavoro
di una forza dissipativa invece non dipende soltanto dal punto di partenza e dal punto
di arrivo, ma cambia a seconda del percorso lungo il quale il corpo si muove e della
velocità con la quale tale tragitto è percorso. In seguito parleremo, con riferimento
alla dinamica dei solidi, di processi conservativi, per intendere quelle componenti la
cui qualità artistica dipende dal processo di realizzazione, e processi “dissipativi”,
per intendere quei processi la cui qualità dipende solo dal risultato finale.
31
Rosen S. The Economics of Superstars The American Economic Review, Vol. 71, No. 5.
(Dec., 1981), pp. 845-858
26
esponenziale. E’ il circolo vizioso dei monopoli naturali. Rosen parla
di sostituzione imperfetta tra beni indifferenziati, ma se nel caso del
cardiochirurgo le ragioni che spingono la domanda ad eleggere una
condizione monopolistica sono chiare, in quello delle performing art
le motivazioni non appaiono tanto evidenti, soprattutto in un mondo,
quello dell’arte, in cui la varietà delle interpretazioni dovrebbe essere
uno dei valori più importanti da tutelare. L’Opera business nella
fattispecie sembra ruotare intorno ad un centinaio di interpreti di fama
internazionale, che una volta raggiunto il livello di celebrità,
rimangono in auge incrementando il proprio successo anche dopo vari
insuccessi od al sopraggiungere della senilità. Questo sembra perciò
contraddire la tesi di Rosen, in quanto a diminuizioni anche palesi di
talento non corrisponde un decremento quadratico dei guadagni, come
avviene nel caso dei beni di necessità vitale, che rispettano la struttura
parabolica della curva di domanda di lusso: il cardiochirurgo
superstar, al quale inizia a tremare la mano od il quale inizierà a
registrare una serie di insuccessi, di sicuro perderà richieste e consensi
in maniera massiccia, cosa che come già detto non avviene nel caso
delle arti performative e le ragioni sono due. La prima di esse: la
qualità dell’arte è molto soggettiva e la percezione del valore è molto
relativa, anche perché in mano a valutatori non tecnici, siano essi il
pubblico, di rado in grado di apprezzare il differenziale specialistico,
siano essi i direttori artistici dei teatri, che spesso si affidano
all’intermediazione di agenzie di talent-scouting. La seconda, è
identificabile come la “teoria dei feticci” . Se il talento è uno dei
trampolini di lancio per il successo, di sicuro perde la sua utilità una
volta in auge, in quanto un astro del panorama artistico continua a
brillare della sua stessa luce riflessa per molto tempo, limitando
l’accesso a nuovi sogetti non ancora emersi.
Da un punto di vista matematico, la figura illustra le differenze tra le
due fattispecie:
27
Nel caso delle star artistiche, la curva che per
positivi cresce
negativi non solo non decresce, ma continua
quadraticamente, per
a registrare un incrementale. Nel caso dei beni di lusso e dei beni di
necessità vitale invece, con variazioni sia positive che negative del ,
la curva percorre la stessa traiettoria.
Possiamo certamente rilevare che come affermato dall’economista
italiano Vilfredo Pareto, la domanda in condizioni di liberismo, tende
sempre ad eleggere dei monopoli naturali. Questa realtà
giusnaturalistica ha richiesto nel mondo dell’economia leggi anti-trust
atte ad impedire la formazione dei monopoli stessi, dato che “l’ottimo
paretiano” può essere raggiunto solo in condizioni di concorrenza
perfetta. Ciò è valido anche nel mondo delle arti, dove il pluralismo
interpretativo sarebbe di vitale importanza, in virtù di motivazioni sia
artistiche che economiche. Per quanto di recente in molti paesi sia
stato introdotto un calmiere dei prezzi per i cachet artistici, la
retribuzione delle “prime parti” continua ad essere una delle più
ingenti voci di spesa del bilancio operistico. Il manager dovrebbe
contrastare questa attitudine che presenta tutti gli effetti di un
monopolio economico de facto, e l’unico modo per farlo, è puntare su
prime parti di grande talento ma ancora non emerse, reclutate tramite
il talent-scouting diretto, senza affidarsi ad agenzie di dubbia utilità
che viziano il libero sistema di contrattazione duale tra chi scrittura e
28
chi viene scritturato32. Questa strategia è ampiamente utilizzata in
Russia e nei paesi germanofoni.
L’evitare di proposito la scrittura della star ormai emersa, per evitare
la formazione di condizioni di monopolio e permettere l’emersione di
nuovi talenti, trova sostegno nella teoria delle Dinamiche Dominanti
di J.Nash33. Quella che infatti, in assenza di collaborazione tra venue
liriche può essere una strategia vincente per il singolo teatro, e cioè
accaparrarsi le prime parti più celebri garantendosi un successo di
botteghino, se inseguita da tutti gli operatori di teatro rappresenta una
condizione di equilibrio di Nash, e non di ottimo Paretiano34, quindi
non è la migliore delle soluzioni possibili per l’insieme.
32
Ciò che manca e che dovrebbe essere incentivato in Italia, sono i livelli d’accesso,
trampolini di lancio per musicisti e cantanti. Una delle ragioni per cui nella lirica si
creano condizioni di monopolio naturale, è proprio la presenza di forti barriere
d’accesso per i talenti. Un tempo i Teatri di Provincia, erano i trampolini di lancio
veri e proprio per chi voleva esordire, oggi, un po’ per accidia, (è assai più comodo
infatti affidarsi alle agenzie nella scelta degli artisti piuttosto che fare talentscouting), sia per interessi puramente politici, i teatri comunali e quelli di tradizione,
per competere con gli Enti Lirici, allestiscono spettacoli faraonici ed ingaggiano solo
nomi noti. L’artista che oggi non sia perorato da un’agenzia lirica importante, non ha
la possibilità d’accesso reale ai teatri, che sempre più raramente decidono di indire
audizioni, scritturando artisti di chiara fama. La chiusura negli anni ’60 e ’70 degli
ultimi “Carri di Tespi” lirici, di memoria fascista, ha di fatto eliminato un’altra
importante piattaforma di debutto per gli artisti dell’Opera.
33
Nash, John F. Jr., The Bargaining Problem Econometrica Vol. 18, No. 2 (Apr.,
1950), pp. 155-162
34
L'ottimo paretiano o efficienza paretiana è un concetto introdotto dall'economista
italiano Vilfredo Pareto, largamente applicato in economia, teoria dei giochi,
ingegneria e scienze sociali. Esso ha lo scopo di individuare l’alternativa (o le
alternative) da preferire tra tutte quelle disponibili. Una situazione è ottima se non ne
esiste un’altra che consenta ad almeno un individuo di stare meglio senza, però,
peggiorare il benessere di alcun altro. Questo principio, che ha avuto uno
straordinario successo, in primo luogo tra gli economisti, ma non soltanto tra di essi,
può anche essere formulato in una versione diversa che è denominata debole, in
opposizione a quella forte appena enunciata. Nella versione debole una situazione è
ottima se non ne esiste un’altra che assicuri maggior benessere a tutti gli individui,
29
Analizziamo la questione matematicamente:
Ammettiamo che due teatri in competizione tra loro e contendentisi lo
stesso bacino di utenza debbano decidere di applicare una strategia,
effettuando una delle due scelte a disposizione.
Poniamo come ipotesi la totale assenza di comunicazione e di
informazione tra i due:
1) Strategia S Scritturare la superstar (per estensione fare una
politica d’agenzia)
2) Strategia N Non scritturare la superstar (per estensione fare
politica di talent-scouting)
La risultante delle due strategie manageriali sarà:
 N-N Se entrambi decidono di non scritturare la superstar,
otterranno un guadagno esiguo di 100.000 euro, in quanto non
otterranno grandi successi di botteghino, ma il vantaggio
comune sarà di non creare condizioni incrementali del cachet,
e di scoprire nuovi artisti.
 S-S Se entrambi scritturano la superstar, si ha una perdita
eguale tra i due, in quanto contendendosi i due teatri lo stesso
bacino d’utenza recluteranno in via teorica il 50% degli
spettatori interessati l’uno, ed il 50% l’altro. Ancora, i due,
contendendosi la star, pagheranno un cachet superiore, dato
proprio dalla richiesta maggiore. Convenzionalmente
indichiamo la perdita in -400.000 euro.
 S-N, N-S Se effettuano scelte diverse, chi scritturerà la
superstar ovviamente massimizzerà il guadagno totalizzando
200.000 euro, l’altro perderà il massimo possibile -500.000
euro, poco più che se avessero confessato entrambi (-400.000)
Se i due teatri sono a conoscenza dei rischi e vantaggi della scrittura e
non scendono a compromessi, la scelta che corrisponde all'equilibrio
laddove nella versione forte è sufficiente che anche un solo individuo stia meglio,
mentre per tutti gli altri il benessere può anche restare uguale. Una situazione che
soddisfi l’ottimo di Pareto è considerata efficiente. Enciclopedia economica
Treccani.
30
di Nash è di scritturare la star per entrambi, in quanto non avendo
notizia di cosa farà l’altro, si sceglie ciò che minimizza i rischi per il
singolo teatro, ma che non massimizza i risultati, infatti:
Dal punto di vista del teatro n°1:
1) Se il teatro n°2 decide di ingaggiare la star, la scelta di
scritturare è più vantaggiosa di non scritturare, infatti la
strategia S-S (-400,-400) è migliore di N-S (-500,+200)
2) Se il teatro n°2 decide di non ingaggiare la star, per il n°1 la
scelta di scritturare è più vantaggiosa di non scritturare, infatti
la strategia S-N (+200,-500) è migliore di N-N (+100,+100).
Perciò è evidente che i due teatri concorrenti, non collaborando tra di
loro, saranno portati a fare ciò che è meglio per se stessi, convinti
dell’asserto di smithiana memoria “Se ogni individuo persegue la
propria ricchezza, contemporaneamente accresce la ricchezza della
collettività”35. Ma la teoria di Adam Smith è incompleta, infatti la
soluzione individualistica non è un ottimo paretiano. Se i due teatri
avessero collaborato, avrebbero raggiunto la condizione in assoluto
migliore per se stessi e per l’insieme, ovvero la scelta N-N, l’unica a
garantire un vantaggio per entrambi.
Dall’applicazione della teoria di John Nash, oltre ad emergere
l’importanza del contrasto a dinamiche monopolistiche esercitate dalle
superstar, si evince quanto per un teatro l’attuazione delle strategie
giuste sia fondamentale per la continuità dello stesso, nonché in che
misura sia vitale la collaborazione con gli altri teatri. Le strategie di
coproduzione dell’Opera, ancora oggi sottovalutate, sono tra le più
efficaci per ridurre una struttura dei costi importante anche per
mancanza di condivisione delle spese.
Ma la riflessione primaria da compiere, è di sicuro sulle componenti
dell’Opera che per natura intrinseca effettivamente richiedono un
grande contenuto di ore-lavoro (che abbiamo denominato processi
35
Smith, A. (1776). An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations,
ed. Edwin Cannan, pp. 282->309.
31
dissipativi), e quelle che invece potrebbero essere razionalizzate dalla
tecnologia, diventando più capital intensive. In un epoca in cui le
stampanti 3D possono ricreare al massimo della realisticità ogni
struttura desiderata, gli ologrammi e le proiezioni tridimensionali
possono simulare ogni situazione reale, ci sembra quantomeno
irrazionale continuare a produrre scenografie con processi artigianali,
quando poi il differenziale non può essere apprezzato, in quanto si
tratta di strutture che vengono osservate da una distanza minima di 10
metri. In altre parole si deve riflettere sui concetti di investimento
reale e qualità percepita. Se è vero che, come fa notare Throsby36 la
domanda è molto più elastica a variazioni negative della qualità degli
spettacoli, rispetto a quanto lo sia per variazioni di prezzo-biglietto, è
altrettanto chiaro che:
 L’identità matematica spesa minore = qualità minore, nel
mondo delle arti performative non è quasi mai verificata.
 La qualità percepita dagli spettatori non sempre collima con la
qualità reale della produzione.
 Gli spettatori non sono a conoscenza del bilancio di spesa, la
cui diminuzione, se non seguita da una palese diminuzione
della qualità percepita, è disconosciuta agli stessi.
4-Internalizzare tutte le spese ed aumentare al massimo il numero
delle rappresentazioni, creando economie di scala e di produzione.
Anche in questo caso ci troviamo in presenza di una razionalizzazione
di difficile attuazione, in quanto essendo il contenuto del prodotto
artistico altamente labor intensive, l’incremento della produzione
risulta fortemente limitato da contingenze fisiche. C’è un limite alla
possibilità esecutiva dei cantanti, che necessitano di riposo dopo le
performance, così come c’è un limite alla produzione di scenografie,
dal momento in cui come osservato in precedenza, il processo rimane
a tutt’oggi quasi interamente artigianale. Ma di sicuro vi sono
differenze molto marcate tra il sistema operistico “a stagione”, tipico
36
(C.D.Throsby G. W., 1979) op. cit.
32
dei teatri italiani, e quello “di repertorio”, tipico dei paesi
germanofoni, così come il sistema “di repertorio” alla tedesca è
diverso da quello alla russa.
I teatri italiani in generale, lavorano molto meno di quelli dell’area
germanofona, che a loro volta lavorano meno di quelli dell’ex-URSS.
Per dare dei dati quantitativi medi, il teatro di Rostov-sul-don esegue
quasi 300 performance operistiche all’anno, la Staatsoper di Vienna
244, contro le 58 di Atene e le 25 del Petruzzelli di Bari37.
Le ragioni di questa grande diversità vanno ricercate sicuramente in
problematiche tecniche delle quali abbiamo già discusso nel paragrafo
1, ma anche in ragioni contrattuali e finanziarie. Dal punto di vista
delle risorse umane ad esempio, i teatri dell’ex-URSS e dell’ex-DDR,
adoperano un’architettura gestionale completamente stabile.
Orchestra, coro, cantanti e manovalanze sono stipendiati mensilmente,
e la produttività nonché la razionalizzazione del bilancio sono
esemplari. L’internalizzazione totale delle risorse però trova un senso
solamente nel caso in cui, tramite un massiccio ricorso alle economie
di scala ed una sensibilizzazione cooperativa del personale, si riesca a
ridurre al massimo i costi variabili a spettacolo, apportando ogni
rappresentazione in più, un vantaggio economico marginale e non una
perdita.
Throsby indica una funzione di produzione dello spettacolo dal vivo:
siano k=capacità massima della sala,
= il numero degli spettatori
alla r-esima replica della p-esima produzione, con
≤ k (perché
l’occupancy ha come limite la capacità massima della sala). Siano
,
rispettivamente in numero di rappresentazioni e la qualità della
p-esima produzione,
e
rispettivamente il lavoro ed il
capitale necessari all’intera produzione, ed
e
il lavoro ed il
capitale necessari per ogni replica.
Si avrà che:
37
(Philippe Agid, 2010) pp. 1924
33
∑
,
,
,
)
Quello che la formula di Throsby38, utilizzando una matematica
piuttosto qualitativa non evidenzia è però il possibile comportamento
dei teatri d’Opera in relazione alla decisione del numero di repliche da
fissare per singolo titolo. E’ ovvio che un teatro con risorse quasi
completamente internalizzate e costi variabili a spettacolo minimi,
avrà interesse ad aumentare il più possibile il numero delle repliche,
mentre un teatro che lavora a stagione, e tende a retribuire artisti e
tecnici a giornata, dovrà fare i conti con il last performance index,
quindi tenderà a fissare il numero di rappresentazioni per titolo
tenendo conto del limite rappresentato dai costi variabili ad apertura di
sipario in rapporto alla previsione di incassi. Nella figura seguente è
illustrato il comportamento possibile dei due modelli di teatro, il
primo a costi prevalentemente fissi, il secondo a costi misti
Come si può facilmente intuire, nella funzione dei ricavi marginali, il
limite di x che tende al punto star, per la funzione che descrive la
positività del profitto marginale, è la derivata prima della funzione dei
ricavi stessa, ovvero la sua tangente. La derivata prima della funzione
38
(C.D.Throsby, 1994) op cit.
34
è per altro un valore importantissimo che esprime la rapidità della
decrescita degli incassi marginali. Uno studio39 di Rubinstein,
Baumol e Bowen del 1990 per conto della New York University, ha
evidenziato (con palesato stupore degli autori) un eccellente sistema
manageriale nei paesi dell’ex blocco sovietico per dati di occupancy,
prezzo dei biglietti, ma soprattutto per efficienza della produzione. Il
contratto nazionale italiano fissa a 5, le ore di lavoro giornaliere per
coro ed orchestra, mentre in Russia e Bielorussia il contratto collettivo
conta 8 ore, anche se nella pratica si arriva anche ad un quantitativo
maggiore, così come ci racconta Vladimir Onufrev, direttore artistico
della Arkhangelsk C. Orchestra e sindacalista. Concludendo, le scelte
di make or buy di alcuni teatri europei dovrebbero essere più razionali,
ma di sicuro l’internalizzazione di tutte le spese non sempre risulta
una strategia vincente. Se avere orchestra e coro stabili premia dal
punto di vista qualitativo, ed il differenziale è facilmente apprezzabile
in termini di risultati artistici anche dal pubblico, strutture come i
laboratori atelier di produzione scenografica e consumistica
“Ansaldo” del Teatro alla Scala, con a libro paga 150 dipendenti,
appesantiscono di molto il budget senza riuscire a creare un “valore
aggiunto” sufficiente a giustificare questa internalizzazione dei costi.
Auspicabile sarebbe rendere l’Ansaldo un polo d’eccellenza europeo
in grado di vendere produzioni scenografiche ai maggiori teatri
d’opera mondiali, o magari rendere “vendibile” il differenziale
qualitativo espresso dalla struttura, magari organizzando aste per i
bellissimi manufatti o i costumi realizzati, oggetti di pregio che
finiscono per essere ammassati in magazzini di contenimento. In ogni
caso, quello della fase di produzione scenografica e costumistica è
certamente un settore dell’opera che necessita di essere modernizzato
e di ridurre la sua componente labor intensive, tenendo presente, come
39
A. Rubinstein, W. Baumol and H. Baumol (1990):On the economics of the
performing arts in the USSR and the USA : a preliminary comparison of the data .
New York university, faculty of Arts and Science, department of Economics.
35
vedremo nel secondo capitolo, che ormai la tecnologia consente di
razionalizzare ampiamente il processo di produzione.
Analizzate quindi le problematiche strutturali che rendono difficoltosi
i quattro interventi logici attuabili su entrate ed uscite dei teatri
d’Opera, tratteremo ora alcune delle caratteristiche antropoeconomiche comuni ad i consumatori delle performing art, per poi
passare a descrivere le caratteristiche proprie del prodotto Opera.
I.2.2 Irrazionalità ed antiutilitarismo del consumatore di performing
art:
“Nel linguaggio economico, si definisce “Utilità” il piacere che
procura o può procurare a un soggetto un dato bene o servizio in
quanto da lui ritenuto idoneo ad appagare un suo bisogno presente o
futuro. L’utilità è, quindi, un carattere conferito al bene dai singoli
soggetti e muta a seconda dei bisogni di questi, assumendo rilievo
economico in quanto influisce sulle relazioni di consumo degli
individui e svolge un ruolo centrale nella determinazione del valore di
scambio del bene40. La scuola economica marginalista ha elaborato
una serie di considerazioni base sul comportamento del consumatore
tipo, che seppur assiomatiche, rispecchiano le principali caratteristiche
del consumo. Per quanto a partire dalla seconda metà del novecento,
la teoria economica, concentrandosi sul singolo individuo e non su un
modello astratto, abbia ampiamente smentito l’idea marginalista di un
homus economicus rationalis in grado di valutare senza errori le
informazioni a sua disposizione, il modello marginalista rimane pur
sempre valido quando si parla di macro-agglomerati, avvalorato tra
l’altro dalla teoria di Surowiecki della “saggezza delle masse”41. La
teoria si basa sull’evidenza matematica provata più volte, che la stima
40
41
Enciclopedia Economica Treccani
Surowiecki, J. (2007). La saggezza della folla. Fusi orari
36
di un problema effettuata da una folla eterogenea, non influenzabile ed
in competizione per qualcosa, è precisissima, anche più di quella dei
singoli esperti42. Se il consumatore singolo perciò non è razionale, la
somma di tutti i consumatori certamente lo è. In questo paragrafo si
vuole provare come i consumatori di performing arts good
rappresentino un esempio di devianza comportamentale rispetto alle
leggi marginaliste, e come il consumo di beni culturali rispecchi le
integrazioni novecentesche della teoria dei giochi per i consumatori di
beni ad alto rischio, di beni esperienziali o di beni addiction, come le
droghe.
Partiamo dal definire i cinque assiomi della teoria marginalista del
consumo, ed i due effetti principali descritti dai neoclassici, ed il
perché i suddetti non descrivano il comportamento del consumatore di
beni culturali:
1) Principio di razionalità, sostiene che il consumatore è
razionale, non effettua scelte incoerenti, in contraddizione tra
di loro: se un individuo preferisce oggi un bene ad un altro,
non potrà cambiare idea in un prossimo futuro invertendo
l’ordine di preferenza. Nella realtà dei fatti, il consumatore
culturale è invece molto flessibile anche a breve termine, e le
42
Il fenomeno, che matematicamente ha come base la “disuguaglianza di Jensen”,
ha avuto ad esempio un riscontro nel celebre episodio della mucca Daisy, del 1906,
raccontato dall’antropologo Francis Galton: ad una fiera di paese nella cittadina di
Plymouth, una folla di 800 persone, tra macellai esperti e semplici compratori,
provava ad indovinare il peso di una mucca, premio l’animale stesso. Nessuno
indovinò, ma Galton, lì presente, ebbe l’idea di fare una media aritmetica delle
risposte date, ed il risultato straordinario fu che ci fu un vincitore, ovvero la folla
stessa. La teoria di Surowiecki però si scontra contro la precedente tesi di
“distruttività della folla”, elaborata da Gustave Le Bon, il quale attribuisce solo alle
minoranze il merito di favorire il progresso. Ad ogni modo, il contrasto è solo
apparente, in quanto uno dei presupposti fondamentali di esistenza della teoria di
Surowiecki, è proprio l’assenza di fenomeni di moda, influenza ed
intercomunicazione tra la folla, tre condizioni che invaliderebbero l’intelligenza della
folla stessa. Le minoranze sono probabilmente più produttive e pionieristiche,
proprio in virtù della scarsa propensione al groupthink ed al conformismo sociale.
37
preferenze riguardo ad un bene sono molto relative e mutabili.
Per fare un esempio, non è insolito che un gruppo musicale,
per il quale un tempo il consumatore esprimeva una
preferenza, non piaccia più anche dopo un breve lasso di
tempo. In generale, la fidelizzazione assoluta, nel campo dei
beni culturali, non è possibile.
2) Principio di completezza. Nel mondo reale esistono beni
diversi ed esistono infinite possibilità di combinazione. Tali
combinazioni si definiscono panieri di beni o panieri di
consumo. Secondo il principio di completezza, ciascun
consumatore è in grado di stabilire un ordine di preferenza tra
tutti i possibili panieri di beni esistenti in natura (cosiddetta
utilità ordinale). Anche in questo caso, la teoria marginalista
non descrive la realtà dei consumatori di prodotti culturali.
Mentre nel caso dei beni materiali, la qualità di un bene e le
sue proprietà influenzano le preferenze in modo pressoché
“esclusivizzante”, ciò non avviene nel mercato culturale. Il
consumatore culturale non per forza esprime un’utilità
ordinale nelle scelte, oppure il fatto che apprezzi un bene
maggiormente di un altro, non gli preclude la possibilità di
acquistarli entrambi. Succede ad esempio se si decide di
comprare per un opera due biglietti, uno per la compagnia a,
l’altro per la compagnia b, anche se si preferisce la a. Il
valore di pluralità nelle performing art è superiore a quello
di esclusività.
3) Principio di ottimizzazione. Il consumatore spende il suo
reddito per acquistare quella combinazione di beni che gli dà
la massima soddisfazione o utilità. Se per il consumatore, tra
tre panieri A,B,C l’utilità ordinale di A>B>C e tutti e tre
hanno lo stesso costo, pari al reddito stesso, secondo il
principio di ottimizzazione abbiamo la certezza che a reddito
invariante, il consumatore spenderà il suo reddito per
acquistare A e non B o C. La natura mood influenced delle
performing art è così forte da scardinare anche questo
38
principio razionale della teoria neoclassica. Le decisioni dei
consumatori sembrano non essere interamente influenzate
dalle preferenze assolute, ma in larga misura dal set e dal
setting43, come vedremo in seguito.
4) Principio di non sazietà, dati due panieri che si differenziano
solo per la quantità di un bene, il consumatore preferirà
sempre il paniere con la maggior quantità di beni, ma
all’aumentare della quantità del bene stesso, diminuisce la sua
utilità marginale. In questo caso invece il consumatore
culturale sembra non subire un decremento dell’utilità
marginale, ma un’addiction come quella che si riscontra nel
consumo di stupefacenti. Quanto più il consumatore “si
nutre” di prodotti culturali, tanto più ne sarà “affamato”.
5) Principio di transitività, è possibile conoscere i gusti di un
consumatore mediante confronti anche indiretti tra i panieri
scelti: se tra la combinazione A e quella B, il soggetto sceglie
A e, tra il paniere B e C, sceglie B, il consumatore sicuramente
scegliera A a C. Valgono le stesse considerazioni fatte per il
principio di ottimizzazione.
Effetto reddito. Se il prezzo di un bene raddoppia è come se il reddito
del consumatore si fosse dimezzato. Ciò induce il soggetto a comprare
meno beni e, quindi, anche una minore quantità del bene il cui prezzo
è aumentato. Tale effetto è denominato effetto reddito ad indicare
l’impatto che le variazioni del prezzo hanno sul potere di acquisto dei
consumatori. Il consumatore culturale si caratterizza per una forte
anelasticità alla variazione di prezzo. Il bene culturale viene
43
Il termine inglese setting definisce, nell'ambito delle scienze sociali, il contesto
entro cui avviene un evento sociale. Il concetto di setting nasce nella psicologia
ecologica di Roger Barker (1968) come l’insieme dei fenomeni comportamentali,
dei pattern circoscritti e stabili di attività umane con un sistema integrato di forze e
controlli che mantengono tali attività in un equilibrio semistabile. Il set è invece il
presupposto umorale, lo stato d’animo al momento considerato. (Dizionario
Simone)
39
acquistato in ultima istanza, ma una volta entrato nel paniere di beni,
è difficile che esca, anche per variazioni sensibili del prezzo di vendita
del bene stesso. L’effetto reddito non si verifica nelle performing art.
Effetto sostituzione. Se il prezzo di un bene aumenta ed i prezzi degli
altri beni non variano, il consumatore è indotto a sostituire il bene il
cui prezzo è aumentato con gli altri il cui prezzo è rimasto costante.
Ad esempio (paradosso di Giffen) se il prezzo della carne aumenta e
quello delle patate non varia, l’individuo tende a sostituire la carne
con le patate. Tale effetto è denominato di sostituzione ad indicare
l’impatto che le variazioni del prezzo hanno sulle scelte del
consumatore nella sostituzione tra beni. Nel consumo culturale
l’effetto sostituzione non avviene, in quanto, essendo i beni culturali
profondamente legati ad un gusto estetico forte ed essendo beni non di
prima necessità, in caso di indisponibilità economica il consumatore
preferisce del tutto rimandare l’acquisto del bene, o di accantonarlo,
piuttosto che sostituirlo. Un esempio concreto si verifica nell’acquisto
dei dischi, non avviene mai che un consumatore, deciso a comprare
un disco di Mozart, cambi idea per Beethoven solo perché più
economico.
Individualità delle scelte: secondo la teoria neoclassica ogni
consumatore sceglie per sé il paniere di beni che più gli aggrada, a
seconda dei gusti personali e dell’utilità provata nel consumo dei beni
stessi. Il consumatore di beni culturali invece in larga parte è un
consumatore sociale, influenzato ed influenzante il gruppo
d’appartenenza. Il consumo di arti performative è tipicamente
collettivo.
Utilità marginale decrescente: L’utilità marginale, concetto chiave
della teoria neoclassica, è definita come la soddisfazione, il piacere
fisico od intellettuale apportati dall'ultima unità, quantità o dose
consumata di un bene. Secondo i marginalisti, l’utilità marginale è
decrescente, ovvero, all'aumentare del consumo di un bene, l'utilità
marginale di quel bene diminuisce secondo la formula:
40
Nel caso di alcuni beni particolari, detti beni addiction (di dipendenza)
come le droghe, il gioco d’azzardo ed anche i prodotti culturali, la
legge non si verifica, anzi la tendenza è contraria. La curva d’utilità è
crescente al crescere della quantità consumata, il comportamento che
ne deriva è una dipendenza:
Concludiamo il paragrafo citando la teoria keynesiana del consumo.
Secondo il grande economista americano il consumo (S) sarebbe
funzione diretta del livello corrente di reddito (R).
Analiticamente, abbiamo:
S = f(R)
Esprimendo tale relazione con l’equazione di una retta lineare,
abbiamo :
S = S0 + cR
Dove:
S0 = componente autonoma del consumo, ovvero che non dipende dal
reddito, ma ad esempio dai gusti individuali.
c = il rapporto incrementale della funzione, che rappresenta la
propensione marginale al consumo, ovvero quanto cresce il consumo
al crescere di un’unità di reddito (c= S/ R).
41
Graficamente, in un piano cartesiano con il reddito R in ascissa e il
consumo S in ordinata, abbiamo:
Se il consumo di beni generici descrive un incremento lineare
all’aumento unitario del reddito, l’analisi disaggregata del consumo
rivela un aspetto importante per la trattazione dei beni di nostro
interesse, ovvero i beni culturali. La domanda di beni alimentari ad
esempio cresce meno che proporzionalmente all’aumento del reddito,
fino a costituire una quota via via minore del consumo totale (legge di
Engel). I beni culturali invece, si comportano analogamente ai beni di
lusso, registrando un consumo più che proporzionale all’aumento del
reddito. Aspetto comune solo ai beni addiction e non a tutti i beni di
lusso, è una non-bidirezionalità della curva del consumo marginale. In
altre parole, se all’aumento del reddito il consumo di beni culturali
aumenta più che proporzionalmente, alla diminuzione di esso la curva
ritorna ad essere lineare o addirittura a non registrare nel breve
periodo un rapporto incrementale.
42
I.3 Analisi del Prodotto opera lirica.
I.3.1 Generalità e sistemi manageriali
L’opera è una forma di spettacolo composta da più elementi diversi.
La drammaturgia, portata avanti attraverso la musica e il canto, ha
come testo un libretto in versi o in prosa. Esso può essere scritto da un
librettista, o più raramente dal compositore stesso, come nel caso di
R.Wagner; un’orchestra di dimensioni generalmente medio-grandi,
accompagna i cantanti che, sul palcoscenico, interpretano i personaggi
principali. Nel caso dell’operetta, i personaggi oltre a cantare possono
anche recitare senza accompagnamento musicale. Accanto ai
protagonisti può agire anche un coro, che raramente eredita dalla
tragedia greca la funzione “coreutica”, personifica invece spesso un
popolo, o un gruppo omogeneo, o meno di frequente, sacerdoti o Dei.
Le scenografie ed i costumi tradizionalmente aiutano a collocare la
storia in un tempo e in un luogo, anche se la regia a partire dalla
seconda metà del ‘900 ha sgretolato questa funzione, attribuendo alla
componente costumistico-scenica una valenza artistica propria, a volte
del tutto indipendente dal libretto e dalla narrazione. In alcune
tipologie operistiche, come la Grand-Opéra sono frequenti anche
scene o intermezzi di ballo. Se ad oggi la complessità e la
tridimensionalità dei macchinismi è arrivata ad un livello altissimo,
così non era agli esordi dell’Opera, quando l’elemento verosimile e
surreale dei fondali dipinti conferiva forse un valore più immaginifico.
L’unione di tutte le componenti dell’opera (canto, musica, danza,
scenografie, light design, regia) fa dell’opera una manifestazione
artistica ricca e affascinante, ma di difficile realizzazione. La
complessità di produzione dell’opera dipende sicuramente da una
serie di processi organizzativi che qui elencheremo:
1) Predisposizione dei calendari artistici. In questa fase, la
direzione artistica dei teatri, con un largo periodo d’anticipo
che può consistere anche in diversi anni, decide il cosiddetto
“trenino di produzione”, ovvero la sequenza delle opere da
43
produrre in un tempo prestabilito. A monte di questa scelta,
non sempre vi sono motivazioni artistiche precise, ma si
decide per un titolo o per un altro a seconda della disponibilità
delle prime parti, spesso impegnatissime. In seguito
all’avvenuto contatto con i cantanti, il regista ed il suo staff ed
il direttore d’orchestra, e la conferma della loro disponibilità,
si procede all’esame della partitura, alla definizione di
eventuali tagli (in accordo con il direttore d’orchestra) ed alla
definizione del numero di elementi tra orchestra, coro e corpo
di ballo da impiegare.
2) Predisposizione dei calendari di Produzione. Una volta
stabilito il calendario artistico, il settore produzione della
direzione artistica stabilisce i programmi periodici di
produzione, che diventano sempre più dettagliati, da semestrali
a mensili a diagramma di Gantt.
3) Realizzazione di scenografie e costumi. Le opzioni che la
direzione artistica può decidere sono diverse. Si può optare per
una ripresa di un allestimento già presente in magazzino, o per
una co-produzione insieme ad un altro teatro, o per un
noleggio di un allestimento di proprietà di un altro ente oppure
si può realizzare il tutto ex-novo, come avviene nella maggior
parte dei casi in Italia. In questo caso, la scelta ulteriore dovrà
essere di make or buy , e cioè se esternalizzare o produrre
internamente, nel caso si disponga come nel caso del Teatro
alla Scala di laboratori Atelier di produzione. Se si opta per
quest’ultima variante, lo scenografo ed il costumista inviano
alla direzione scenica il bozzetto contenente l’idea realizzativa.
Sulla base della relativa economicità dell’allestimento, la
direzione scenica predispone un budget e lo invia alla
direzione amministrativa, che sotto la supervisione della
sovrintendenza, approva o meno il documento in base alla
sostenibilità economica del progetto. A volte, in teatri con
organizzazione formale a compartimenti molto stagni, il
budget una volta approvato indipendentemente dalla direzione
44
amministrativa, viene rispedito alla sovrintendenza per
l’approvazione definitiva. Se esso è convalidato, il progetto
vero e proprio viene rinviato alla direzione scenica, che una
volta redatto il calendario di produzione, lo inoltra ai vari
laboratori, di scenografia e sartoria. Una volta approvata tutta
la stagione, inizia una per volta la realizzazione delle opere
decise.
4) Realizzazione dell’elemento artistico. Esso consiste
sostanzialmente in due fasi, quella di prove e quella di
erogazione. La fase di prove comincia con la verifica, da parte
del settore archivio, dei materiali necessari, ovvero parti,
leggii, pedane, ecc. In genere le parti staccate vengono
noleggiate insieme alle partiture, ma nel caso di opere non più
in copyright, molti teatri conservano in archivio il materiale
già utilizzato per poterlo riproporre. In seguito, la direzione di
produzione stabilisce il calendario di prove. Esse sono affidate
a cinque figure importantissime: il regista ed il maestro
accompagnatore, che guidano le prove musicali e di regia.
Esse durano mediamente da 2 a 4 settimane. Il direttore
d’orchestra (ed i suoi assistenti) che curano le prove
d’orchestra, il cui numero tende sempre più a ridursi, ma è
comunque compreso mediamente tra 5 e 15. Nei teatri tedeschi
e russi la realizzazione di una nuova opera non conta mai
meno di un mese di prove orchestrali. Il direttore del coro, che
nel caso l’opera lo preveda, prepara il coro per le prove
d’insieme, dirette dal direttore d’orchestra. Il coreografo che
realizza e cura le coreografie sia del corpo di ballo, sia dei
cantanti nel caso di opere che prevedano scene di danza dei
personaggi principali. Alla fase delle prove separate, segue
quella delle prove d’insieme. Esse sono fondamentali
all’assemblaggio di tutti gli elementi artistici della produzione.
Si hanno: Prove all’italiana, durante le quali i cantanti ed il
coro provano sul palcoscenico accompagnati dall’orchestra,
ma senza includere elementi di regia quali coreografie,
45
movimenti e senza costumi. Assiemi, analoghi alle precedenti
prove, ma con l’inclusione del movimento degli artisti non in
costume. Prove di antepiano, durante le quali invece viene
curato l’aspetto registico. I cantanti, il coro ed il corpo di ballo
provano in costume i movimenti scenici sotto la supervisione
del regista. Se si opta comunque per includere l’elemento
musicale, l’accompagnamento sarà eseguito dal pianista
accompagnatore. Antegenerale e generale. Rispettivamente la
penultima e l’ultima prova effettuate, durante le quali, sotto la
supervisione del direttore delle comparse, dei direttori di alto e
basso palcoscenico e della direzione di scena, l’insieme delle
masse artistiche prova lo spettacolo dall’inizio alla fine in tutte
le sue componenti. La prova può essere interrotta in casi di
impellente necessità anche se ciò accade di rado e
maggiormente durante l’antegenerale.
5) Erogazione dello spettacolo: Il momento dello spettacolo vero
e proprio. La première riveste un’importanza particolare,
anche se non sempre si tratta della migliore delle esecuzioni,
per ovvie ragioni di tecniche ed emotive. Il numero delle recite
è stabilito dalla direzione artistica, e l’individuazione del
numero esatto di esse è una delle sfide più importanti, in
quanto come esaminato nel paragrafo precedente, l’eccessivo
prolungamento di un titolo può indurre perdite economiche44.
6) Post-produzione: In alcuni casi, la produzione dell’Opera è
registrata in DVD o in CD ed una volta processati il video e
l’audio, distribuita sul mercato. L’operazione può rivelarsi
economicamente
molto
vantaggiosa,
sfruttando
intensivamente un prodotto che può arrivare anche a milioni di
spettatori.
7) Smantellamento: Una volta esaurite tutte le repliche, si pone la
questione di cosa fare dei costumi, delle scenografie ed in
44
(C.D.Throsby, 1994) op. cit.
46
genere di tutto il materiale utilizzato. Nella maggior parte dei
casi, il tutto viene stivato in grandi anger di proprietà del
teatro o noleggiati. In altri casi si utilizzano dei container
logisticamente pratici e trasportabili. In altri casi le produzioni
vengono vendute o noleggiate successivamente. C’è
comunque da interrogarsi sul fatto che lo spreco di materiali
scenici che non verranno più utilizzati, nel sistema operistico
“a stagione” è ingente, come vedremo nei capitoli successivi.
Si auspicherebbe una razionalizzazione del processo, per
mezzo di vendite tramite asta od anche tramite il semplice
riciclaggio dei materiali utilizzati.
Come già detto l’Opera è uno spettacolo molto difficile da allestire ed
i costi medi di realizzazione sono altissimi.45 Ma spesso il successo
della rappresentazione non dipende direttamente dai costi, ma dalla
qualità percepita e dalla gradevolezza in sé della composizione
musicale.
Se pur consci della soggettività delle preferenze, di seguito
disegniamo una griglia a quattro quadranti, che colloca alcuni dei titoli
più eseguiti in Europa per popolarità e gradevolezza di pubblico46, in
relazione ai costi realizzativi. Il dato relativo ai costi è empirico e non
ha pretese di assolutezza, in quanto molto dipende dalla singola
produzione, ma è comunque accuratamente valutato in base a fattori
quali la composizione dell’orchestra, il numero di interpreti, la
difficoltà nella reperibilità delle voci adatte, la vigenza di leggi sul
copyright, la presenza di uno o più cori, la presenza di comparse, di
balletti e la complessità nella realizzazione delle scenografie e dei
macchinismi:
45
Per quanto alcuni teatri come i due praghesi, registrino costi medi a
rappresentazione mediamente 10 volte inferiori alla media europea. (Philippe Agid,
2010)
46
Il dato è valutato secondo una già citata statistica del Dicembre 2013, da noi
effettuata intervistando 6.000 italiani selezionati secondo criteri tali da garantire la
scientificità del campione.
47
Come già accennato, vi sono diversi modelli manageriali dell’Opera.
Sia dal punto di vista delle scelte artistiche, che dal punto di vista delle
strategie gestionali, vi sono ampie differenze tra Europa, America ed
Asia, e tra le diverse macroregioni europee. Possiamo innanzitutto
distinguere tra due diversi sistemi di produzione, ovvero:
Lo Stagione system, che consiste nella produzione ogni anno nuova di
titoli che vengono dismessi l’anno seguente, ed il Repertory system
che consiste nel massimo sfruttamento dei titoli prodotti durante
diverse annualità. Al giorno d’oggi, sebbene i maggiori teatri d’Opera
mondiali tendano ad utilizzare un sistema misto, ancora si rileva una
forte prevalenza della produzione a stagione in Italia ed in Francia,
mentre nell’area germanofona il sistema a repertorio è più diffuso.
Altra importante differenza manageriale sta nel numero delle
rappresentazioni e nell’occupancy del teatro. In questo caso
distinguiamo tra:
Il modello statunitense, caratterizzato da poche rappresentazioni,
prezzi-biglietto/potere d’acquisto alti, costi per titolo medi, teatri
molto capienti e tassi medi d’occupancy superiori al 90%.
48
Il modello tedesco, caratterizzato da molte rappresentazioni, prezzibiglietto/potere d’acquisto medi, prezzi per titolo medi, teatri poco
capienti e tassi medi d’occupancy bassi.
Il modello italiano, caratterizzato da poche rappresentazioni ogni
anno nuove, prezzi biglietto/potere d’acquisto alti, costi per titolo tra i
più alti, teatri capienti e tassi d’occupancy intorno all’85%
Il modello russo, caratterizzato da moltissime rappresentazioni per
anno, un’internalizzazione totale delle risorse, prezzi-biglietto/potere
d’acquisto medi, teatri molto capienti e tassi d’occupancy altissimi
Dal punto di vista del repertorio proposto, i teatri americani tendono
ad erogare titoli popolari, mentre quelli dell’area germanofona
esprimono scelte più di nicchia includendo molti titoli del ‘900 od
anche contemporanei. Il teatro di Losanna da questo punto di vista è la
realtà più innovativa, presentando una percentuale di titoli
contemporanei superiore al 30%. Tarondeau47 nel 2010 classifica i
teatri in base al conformismo dei programmi proposti ed alla fama
degli artisti scritturati. Abbiamo aggiornato tale strumento al 2013:
47
(J.C.Tarondeau, 2013)
49
V= teatri in gran parte commerciali o turistici. I= piccoli teatri
innovativi. E= Eccellenze artistico-qualitative. T= teatri tradizionalisti
a grande budget. Il caso dei teatri russi è esemplare, in quanto alcuni
di essi come il Mariinskij di S.Pietroburgo, scelgono per strategia di
proporre titoli estremamente turistici, altri come i teatri di Novosibirsk
propongono produzioni di nicchia, ma in entrambi i casi, essendo tutti
i cantanti per scelta gestionale internalizzati a contratto, l’elemento
fama non rientra nelle strategie di marketing. Ultima classificazione
dei teatri d’Opera che proponiamo, è in base all’occupancy ed
all’autonomia finanziaria. Premettendo che se il primo dato non può
essere imputato esclusivamente alla perizia gestionale dei singoli
teatri, dipendendo da molti fattori esogeni quali il livello di
culturalizzazione del pubblico di riferimento, il bacino d’utenza e le
condizioni economiche del luogo, il dato d’autonomia finanziaria è
più direttamente connesso con la performance manageriale. In
particolare, i teatri che nonostante un’occupancy media non delle più
alte riescono a registrare un alto livello di auto-sostenibilità,
rappresentano il modello virtuoso per eccellenza. A seguire una
griglia comparativa dei valori d’occupancy in rapporto all’autosostenibilità:
50
I teatri svizzeri, come è possibile evincere dal grafico, nonostante una
programmazione piuttosto di nicchia, prezzi biglietto decisamente
nella norma in rapporto al potere d’acquisto e dati d’occupancy medi,
riescono ad ottenere i più alti valori di sostenibilità europei. Zurigo e
Ginevra in particolare, con il 46 e 43% di autonomia finanziaria,
rappresentano la best practice europea. I teatri che si trovano nel
quadrante a sinistra in alto, ed in quello a destra in basso,
rappresentano rispettivamente la best e la worst management
practice. Se a questo dato si unisce il fatto che i prezzi/biglietto medi
sostanzialmente varino di poco in valore assoluto (dagli 80 euro di
Francoforte ai 120 della Scala ai 180 euro di Zurigo) mentre il divario
tra i costi medi per singola rappresentazione sia abissale (100.000 euro
di Francoforte, 182.000 di Zurigo contro gli 828.000 euro della
Scala)48, ci rendiamo conto che il sistema manageriale di alcuni teatri
va senz’altro rivisto, anche alla luce del fatto che non sempre un
investimento maggiore si traduce in una maggiore qualità, e
certamente la qualità percepita non aumenta linearmente alla
variazione marginale dell’investimento.
I.3.2 Caratteristiche socio-economiche del prodotto Opera
L’Opera, come molti prodotti delle arti performative, si colloca in una
categoria merceologica ben precisa, la cui analisi e comprensione ci
aiutano ad adottare strategie di marketing ben definite, ed effettuare
stime sul comportamento del consumatore. A tal proposito sarebbe
auspicabile una maggiore matematizzazione analitica dei dati, aspetto
nel quale ancora i teatri d’Opera sono profondamente indietro rispetto
al settore for-profit. La matematica del caos ed il calcolo combinatorio
permettono infatti oggi di costruire sulla base dello storico, modelli
previsionali delle vendite alquanto precisi. Strumenti matematici del
genere sarebbero utilissimi in un settore, nel quale la previsione
d’incasso e la pianificazione rivestono un ruolo così importante.
48
Ibidem (dati attualizzati al 2014)
51
L’Opera dal punto di vista merceologico è un bene experience, leveladdressed, dicotomico, addiction, inoperabile, di set e setting, sociale,
culture-implying, group-identity ed ignition-gush. Esaminiamo una
per volta queste peculiarità che ne rendono il bacino d’utenza molto
segmentato, ma di difficile penetrazione da parte del marketing:
Bene experience: Si definiscono esperienziali, quei beni della cui
qualità non si può avere una certezza al momento pre-acquisto, ma dei
quali si ha una chiara percezione di valore durante e dopo la fruizione.
A differenza di altri beni experience quali i viaggi, nel caso
dell’Opera, per quanto ognuno sia in grado di valutare il livello di
gradevolezza personale, la percezione di valore in senso assoluto è
difficilmente quantificabile, in quanto talmente tanti sono i livelli di
valutazione, e talmente tecnica è la comprensione della qualità reale,
da risultare impossibile anche per gli spettatori più esperti esprimere
un giudizio di valore assoluto. Per questo il prodotto Opera è uno di
quei beni cosiddetti insindacabili. Raro è infatti, che a meno che non
si tratti di problematiche sensibili ed evidenti, un cliente chieda il
rimborso del biglietto, come avviene invece per altri beni experience
dalla più immediata percezione del valore. Se dal punto di vista
dell’offerta, questa caratteristica intrinseca dell’Opera è una garanzia
di never-refunding, dal punto di vista della domanda non si ha mai un
“rinforzo psicologico positivo” post-acquisto. In altre parole, non si ha
mai la certezza della “bontà” della spesa effettuata, almeno dal punto
di vista oggettivo.
Bene level-addressed: Una delle principali problematiche dell’Opera,
è la caratteristica di essere sempre indirizzata ad una determinata
porzione del suo pubblico e non alla totalità di esso. Ciò avviene in
quanto la lirica come tutte le arti performative richiede un livello
culturale d’accesso per essere consapevolmente fruita, in altre parole
si tratta di un bene culture-implying49. Ma diversamente da quanto
49
Il livello di educazione culturale del pubblico è un presupposto fondamentale del
consumo di beni culturali. Esso nel processo di acquisto si colloca ancor prima
della percezione del bisogno, in quanto in assenza di un livello minimo di
52
gran parte della letteratura affermi, non vi è una sola “barriera
d’entrata” ma diverse. Considerando infatti che il pubblico medio di
un teatro d’Opera non è mai perfettamente omogeneo, ed anche se lo
fosse in alcune particolari occasioni, ad oggi non vi sarebbe la
possibilità di prevederlo, gli organi di indirizzo artistico devono
sempre decidere a quale porzione del pubblico indirizzarsi, tenendo in
considerazione il fatto che il resto di esso non potrà trarre pieno
godimento dal prodotto, sia in difetto che in eccesso qualitativo
rispetto alle aspettative. Se è infatti estremamente semplice microsegmentare ad esempio gli acquirenti di un viaggio charter per prezzo,
nazionalità, bacino d’utenza, aspettative, è praticamente impossibile
micro-segmentare gli spettatori anche di un solo spettacolo, se non
altro per la compresenza di fasce di prezzo molto diverse che
esprimono livelli di consapevolezza e willingness to pay
diametralmente opposte. Prendiamo il caso della Traviata di Giuseppe
Verdi: seppure la scelta nazional-popolare del titolo già possa
comportare di per sé una preventiva segmentazione, e la porzione più
esperta degli acquirenti abituali non fosse per ipotesi presente, ci
sarebbe comunque una parte del pubblico neofita, che guardando
l’opera per la prima od una delle prime volte si aspetterebbe un
allestimento tradizionale e conservativo, mentre la porzione del
pubblico costituita da fruitori più assidui, troverebbe banale un tale
acculturamento, essa non viene a crearsi. Ma la base culturale fa la differenza in
ogni fase del processo d’acquisto: Ricerca delle informazioni: la persona
acculturata sa dove e come cercare. Valutazione delle alternative: un buon livello
di cultura consente di discernere tra prodotti qualitativi e prodotti scadenti, ed
ancor prima, tra beni culturali e non. Decisione d’acquisto: E’ risaputo che la
willingness to pay è largamente influenzata dalla culturalizzazione. Le nazioni che
dimostrano un alto tasso di culturalizzazione esprimono i livelli più alti di
disponibilità a pagare per la cultura. Valutazione post-acquisto: di sicuro un
cliente ingaggiato, non è un cliente già fidelizzato. Affinché lo diventi, la sua
percezione dell’experience deve essere positiva, entusiasmante. In questo il livello
culturale gioca un ruolo fondamentale: la percezione di valore è difficile in
assenza di cultura.
53
allestimento. Anche all’interno di micro-strutture sociali determinate
quali coppie, famiglie, comitive di amici, ci sarebbe una grande
disparità valutativa. Una delle possibili risoluzioni al problema, come
vedremo in seguito, è l’istituzione di livelli d’accesso da parte dei
diversi enti lirici. E’ insensato che il teatro di periferia pretenda di
riferirsi ad un pubblico ultra-tecnico, quando a 50 km vi è già una
struttura di livello internazionale in grado di offrire performance di
altissima qualità, soprattutto in paesi come l’Italia e la Germania, dove
il numero dei teatri è importante e la densità territoriale delle venue è
altissimo. Un importante studio del 2011 condotto da Kyung Kim e
Michael Jensen, a sostegno di quanto detto ha dimostrato come la
diversa percezione della qualità da parte del pubblico esperto e di
quello medio, sia tangibile ed osservabile non solo nella composizione
ma persino nella sequenza dei titoli proposti50.
Bene dicotomico: l’opera come tutti i prodotti delle performing art
offre un duplice vantaggio contenutistico: l’experience vissuta al
momento della fruizione del bene e la crescita culturale successiva alla
fruizione. In altre parole si offre allo spettatore sia un contenuto
educativo, sia un intrattenimento di alto livello. Se il valore di
quest’ultimo è chiaro e percepibile dal consumatore, la componente
culturale proposta non è di facile intuizione, soprattutto in contesti
sociali nei quali il livello culturale non rappresenta un valore
personale. Per ovviare a questo problema, come analizzeremo in
seguito, si auspicherebbe l’intervento dello stato con un macromarketing mirato in grado di “pubblicizzare” la cultura nella sua
interezza come bene assoluto.
Bene addiction: sebbene nel paragrafo precedente si è già trattato
dell’anti-utilitarismo marginale e della caratteristica dei prodotti delle
performing art di creare dipendenza, ci sembra opportuno richiamare
il fatto che la categoria merceologica opera lirica sia caratterizzata da
50
Kim K., Jensen M. (2011) How Product Order Affects Market Identity: Repertoire Ordering
in U.S. Opera Market Administrative Science Quarterly, Cornell University
54
un’utilità marginale crescente, contrariamente ai beni comuni: più ne
aumenta il consumo, più aumenta la soddisfazione legata alla
fruizione stessa. Di conseguenza, all’aumento del consumo la
domanda aumenta invece di diminuire. Le implicazioni di questa
caratteristica dal punto di vista del marketing sarebbero tantissime,
dai coupon agli sconti per più eventi acquistati, a forme aggressive di
guerrilla mkt ecc., ma il conservatorismo legato al settore vendite
strategico nel mondo dell’Opera, ad oggi non ha ancora permesso lo
sviluppo di tecniche innovative, invece molto applicate nei settori forprofit caratterizzati da utilità marginale crescente come il gioco
d’azzardo. Si pensi per esempio alle infinite strategie di marketing
utilizzate dai casino, tenendo presente che un tempo i teatri d’Opera
stessi, lo anticipiamo, erano in casino di oggi51.
Inoperabilità parziale: una delle caratteristiche proprie del
melodramma rispetto ad altre categorie merceologiche, ma anche
rispetto ad altri prodotti d’arte, come i film, è una certa rigidità
rispetto al contenuto. Se infatti un bene materiale non incontra il gusto
del pubblico, è prassi del marketing cambiarne sia il packaging52, sia
il contenuto, se necessario, ma questo non avviene (e non senza
ragioni) per l’Opera. Non di rado prodotti industriali appena usciti sul
mercato, non incontrando il favore del pubblico, vengono ritirati dal
mercato e “rioperati” nel contenuto e nella veste pubblicitaria. Nel
caso di film che non riscuotono successo, non solo il packaging può
essere radicalmente sconvolto, ma addirittura il produttore ha il diritto
di rimaneggiare la pellicola, non senza conflitti con il regista o gli
autori. Nel caso dell’Opera, l’alto contenuto artistico del prodotto
impedisce l’intervento sul contenuto, ma l’intervento sul packaging
potrebbe essere una risorsa molto importante ed efficace, anche se
51
Rosselli, J. (1984). The opera industry in Italy from Cimarosa to Verdi: the role of
the impresario. CUP Archive.
52
Per “packaging” si intende la presentazione pubblicitaria di un prodotto che ne
costituisce l’identità. Una delle più importanti leve del “marketing mix”, un buon
packaging non è solo in grado di descrivere, ma anche di creare valore.
55
attualmente, meno che mai in Italia, la strategia non è mai intrapresa.
Questo avviene a volte per prese di posizioni ideologiche, a volte per
una vera e propria assenza di una scientificità nei processi di
marketing operistico, che non di rado rasentano più il fund-raising che
la creazione strategica di valore.
Bene di set e setting: Abbiamo già definito il setting come il contesto
locale e sociale entro cui avviene un evento esperienziale ed il set
come il presupposto umorale del consumatore al momento
dell’esperienza. I due termini imprestati dalla psicologia delle
dipendenze, ben esprimono una caratteristica propria del consumo dei
prodotti experience e delle arti performative in genere, ovvero l’essere
fortemente influenzato da contingenze esogene. La percezione di
valore del prodotto è perciò “filtrata” da elementi psicologici e sociali
che limitano l’obiettività valutativa. In generale quelli delle arti
performative sono prodotti che implicano un consumo sociale, in
gruppo. Implicazione importante di questa caratteristica per il
marketing, sarebbe ad esempio l’istituzione di pacchetti completi per
coppie, gruppi particolari, famiglie. Purtroppo, da questo punto di
vista il marketing operistico esprime uno dei punti più deboli, in un
contesto che offrirebbe migliaia di possibilità, dallo sfruttamento di
occasioni particolari quali S.Valentino o Natale, a pacchetti-famiglia
di fruizione totale dell’Opera, ad esempio accompagnati da guide
specializzate e cadeaux specifici. E’ però opportuno ricordare che
l’atteggiamento generale del marketing operistico è più productoriented che market-oriented non solo per posizione ideologica, ma
per l’ovvia ragione che molti dei teatri non hanno bisogno di
aumentare il già ottimo livello d’occupancy, con il rischio di
destabilizzare e desegmentare la clientela già fidelizzata alla quale il
prodotto si rivolge con successo. L’accesso all’opera è infatti di tipo
ignition-gush. Il neologismo che a nostro avviso esprime ottimamente
il concetto desiderato, sta ad indicare il carattere di “iniziaticità”
dell’accesso all’Opera, quasi si trattasse di una società segreta. Sono
provate infatti statisticamente l’ereditarietà della frequenza dell’Opera
(l’avere almeno un genitore in famiglia che frequenta i teatri d’Opera,
56
secondo la già citata statistica da noi effettuata aumenterebbe del 53%
la possibilità di diventare frequentatori dei teatri d’Opera in età adulta)
ma anche la presenza nei casi di non ereditarietà, di un evento od un
soggetto influenzatore53 al quale gli intervistati attribuiscono il merito
di averli introdotti al mondo dell’Opera. La persona in questione, che
di solito gode di profondo rispetto ed ammirazione da parte dell’
”Iniziato”, come si può intuire riveste una grande importanza nel
processo d’acquisto e di avvicinamento all’Opera. Il soggetto
influenzatore dovrebbe essere posto al centro delle attenzioni del
marketing operistico, anche se la sua individuazione risulta
complessa. L’ultima caratteristica del prodotto Opera che andremo ad
analizzare, è la sua componente group-identity. Riferendosi
all’avvento della musica pop, il filosofo dell’economia olandese
Wilfred Dolfsma54 descrive i valori socio-culturali d’appartenenza ad
un gruppo determinato, legato ad un particolare tipo di musica. Con
molto estro, lo stesso autore parla di uno Zeitgeist che creerebbe
un’identità comune di tutti i membri del suddetto gruppo. In realtà le
stesse considerazioni che Dolfsma propone, scrivendo dei gruppi
sociali legati alla pop-music, possono essere fatte per altri tipi di
gruppi “chiusi” spesso legati, soprattutto dal 1960 al 1990, a generi
musicali di “tendenza”. Il diventare dei “capelloni” negli anni ’60, o
dei “Punk” negli anni ’90, per quanto presupponesse l’apprezzamento
dei generi musicali in questione, spesso non partiva da gusti musicali,
ma da esigenze di appartenenza ad un gruppo definito.
Lo psicologo inglese Henry Tajfel, uno dei padri del concetto di
identità sociale, scrive: <<Le persone scelgono di entrare in gruppi
chiusi, per massimizzare le proprie caratteristiche salienti. I gruppi
53
Debenedetti, S. (2001) Role et impact de l’accompagnement du visiteur du lieu
culturel. Le cas de la sortie au musée d’art Tesi dottorale in Scienze della gestione,
Paris:Université Paris 9 Dauphine
54
Dolfsma W. (2004) Institutional Economics and the Formation of Preferences
E.Elgar: Cheltenham (UK) pp. 3942
57
chiusi offrono sia identità sociale (ci dicono chi siamo), sia stima
personale (ci fanno sentire più forti).>> 55.
II.3.3 Segmentazione e mappa euristica dei consumatori d’Opera
L’Opera è senz’altro un genere musicale che segmenta gruppi chiusi e
ben circoscritti, ai quali il marketing dovrebbe rivolgersi miratamente.
I vantaggi di una segmentazione analitica sono innumerevoli, e
consentono di conoscere meglio il proprio pubblico.
Grazie alla già citata inchiesta da noi effettuata, abbiamo tracciato una
mappa euristica dei fruitori italiani dell’Opera divisi per tratti
distintivi:
55
Tajfel, H., & Turner, J. C. (1986). The social identity theory of intergroup
behaviour. In S. Worchel & W. G. Austin (Eds.), Psychology of Intergroup
Relations (pp. 7–24). Chicago, IL: Nelson-Hall.
58
Seppur numerosi studi siano stati compiuti sul pubblico operistico
abituale, la mappa proposta estrinseca la sua unicità (senza pretese di
assolutezza), nella possibilità di segmentazione ulteriore dei
frequentatori per sub-genere.
In realtà far parte di un gruppo culturale, secondo Hamilton e
Sherman, fornisce un’entitativity, ovvero un’immagine di gruppo ben
definita e soprattutto riconoscibile. Dall’analisi emerge una forte
omogeneità dei vari componenti dei gruppi d’appartenenza, e non a
caso, l’identità di gruppo, intesa come senso di appartenenza, cresce
all’incremento della specificità ed elitarietà del genere in questione, a
riprova della suesposta teoria dell’entitativity.
Ciò che colpisce maggiormente dall’analisi effettuata, è il dato sul
pubblico wagneriano, che se pur esiguo in Italia rispetto alla totalità
dei frequentatori d’Opera, si divide persino in due segmenti ben
distinti e contrastanti56.
Possiamo infatti ipotizzare dalle informazioni ricavate, due profili
definiti: 1) “Wagneriani per ragioni filosofico-politiche”, che
abbracciando le ideologie estremiste e la musica totalizzante del
56
Ciò in quanto Richard Wagner, compositore tedesco (1813-1883), fu una
personalità eclettica che influenzò diversi campi dello scibile umano, dalla musica
alla letteratura alla filosofia. Le sue 13 Opere, meglio denominate per sua stessa
volontà “drammi musicali” od “opere d'arte totale” (Gesamtkunstwerk) sono tra le
manifestazioni più alte di applicazione multisettoriale espresse da un artista:
Wagner era infatti (caso rarissimo nella storia), autore sia della musica, sia dei
libretti, sia dell’ideazione scenica delle sue Opere). Le ideologie politicofilosofiche sul capitalismo, il marxismo e le forme di governo, forse disomogenee,
ma di sicuro espresse con forza nei saggi scritti di suo pugno, influenzarono
fortemente la sua epoca, e travisate, furono utile strumento di propaganda per il
nazismo. Wagner infatti, sebbene dichiari convintamente il suo credo
anticomunista ed antisemita nel saggio “Il giudaismo in musica”, non espresse mai
posizioni violente contro gli Ebrei. Wagner fu solo un uomo del suo tempo, e
l’antisemitismo nell’800 era diffusissimo in Germania. Ciò non toglie però
grandezza ad uno dei maggiori compositori della storia della musica, il cui
massimalismo armonico, melodico e strumentale, nonché l’estro compositivo,
furono la sua cifra più grande.
59
compositore, ne diventano ammiratori ed assidui fruitori. A questo
gruppo fanno capo esponenti della media ed alta borghesia, soprattutto
industriale, e delle professionalità. La componente reddituale
disponibile è cospicua.
2) “Wagneriani per ragioni musicali/anticonformistiche”: a questo
sub-gruppo appartengono spettatori completamente differenti. Si
tratta di giovani, per lo più studenti, artisti, musicisti, nella maggior
parte dei casi inoccupati o disoccupati. L’estrazione sociale dei facenti
parte di questa seconda categoria è varia e non costituisce un dato
significativo di segmentazione. Da notare in entrambi i sub-gruppi, la
preponderanza assoluta del sesso maschile.
Concludiamo il capitolo, ribadendo l’importanza che analisi
quantitative di questo genere, che uniscano elementi di psicologia
sociale, cognizioni artistiche ed elementi di statistica, possono avere
nello sviluppo
del marketing strategico ed in generale del
management operistico. Comprendere a fondo il consumatore, vuol
dire avere un’influenza sul suo processo decisionale e meno
formalmente: riuscire a migliorare globalmente la sua experience.
60