Pregio e bellezza Cammei e intagli dei Medici Presentazione di

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Pregio e bellezza Cammei e intagli dei Medici Presentazione di
Pregio e bellezza
Cammei e intagli dei Medici
Presentazione di Ornella Casazza Direttrice della mostra e del Museo degli Argenti
Il Museo degli Argenti dal 1921 custodisce una parte consistente della ricca collezione di gemme della
famiglia Medici, che insieme ad altre preziose rarità costituisce il tesoro granducale. Questo nucleo,
eccezionale per numero e qualità degli esemplari in esso riuniti, rappresenta in realtà solo un settore della
originaria collezione medicea di cammei e intagli, oggi divisa tra Palazzo Pitti, il Museo Archeologico
Nazionale di Firenze e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, città nella quale giunsero, in seguito a
complesse vicende dinastiche, gli esemplari più prestigiosi appartenuti a Cosimo, Piero e Lorenzo de’
Medici. Partendo dai fondamentali contributi editi in occasione della esposizione “Il Tesoro di Lorenzo il
Magnifico”, la mostra “Pregio e Bellezza. Cammei e intagli dei Medici” intende riportare all’attenzione del
grande pubblico la complessa storia della raccolta fiorentina, restituendo alla moderna sensibilità del
visitatore anche l’importanza che le pietre incise rivestirono in passato per gli artisti, con un percorso reso
inedito dai generosi prestiti dei musei italiani e stranieri che hanno dimostrato di assentire al progetto
scientifico della manifestazione.
Sviluppatosi nel raffinato clima culturale del primo Rinascimento, il collezionismo di gemme costituì uno
degli aspetti più affascinanti del processo di riscoperta dell’antico che caratterizzò il XV secolo. Proprio e
anche perché, come scriveva il Vasari, “Le pietre dure son materia che vi si intaglia drento ogni sorta di
lavoro, e per quelle si conserva più l’antichità e le memorie, che in altra materia, come s’ è visto ne’ porfidi
e ne’ diaspri, e ne’ cammei, e nelle altre sorte di pietre durissime, le quali, quando sono alle ripe del mare o
nelli solinghi scogli, reggono a tutte le percosse dell’acque, de’ venti, e degli altri accidenti della fortuna e
del tempo; che tale si potrebbe dire del duca nostro, che, per cosa che segua avversa nelle sua azioni dei
governi, con la costanza e virtù dell’animo suo resiste e risolve con temperanza a ogni pericolosissimo
accidente”1.
La passione e la speciale predilezione che i Medici svilupparono, fin dal Quattrocento, per le incisioni su
pietre dure e preziose, portò alla creazione di una delle raccolte più rilevanti della storia, fonte di grande
prestigio per tutti i membri della famiglia, che nel corso dei secoli continuarono a incrementarla mediante
nuove acquisizioni. Iniziatori della collezione furono Cosimo il Vecchio e il figlio Piero il Gottoso.
Quest’ultimo, in particolare, riservò alle pietre incise un ruolo di grande rilievo all’interno del suo celebre
studiolo nel Palazzo di via Larga, vera e propria camera delle meraviglie esibita con orgoglio solo a un
numero selezionato di insigni visitatori, dove le gemme furono messe in stretto rapporto con altri oggetti di
pregio antichi e moderni quali monete, medaglie, sculture, gioielli, vasi in pietra dura e preziosi codici
miniati. Il gusto per simili opere fu trasmesso da Piero al figlio Lorenzo il Magnifico, con il quale il tesoro
mediceo si ampliò considerevolmente e l’arte stessa della glittica beneficiò di un significativo
rinnovamento, stimolato dal fascino che le pietre della sua collezione suscitarono sugli incisori
contemporanei. Ancor più rilevante fu l’interesse che i preziosi cammei e gli intagli di Lorenzo esercitarono
sull’ambiente artistico fiorentino, da sempre sensibile verso questa particolare tipologia di manufatti.
A tale aspetto la mostra dedica un’ampia sezione articolata all’interno della sala detta di Giovanni da San
Giovanni, vero e proprio cuore del Museo e luogo ideale per esporre alcune delle gemme più famose del
Magnifico, celebrato come mecenate e instauratore di un’età gloriosa dagli affreschi sulle pareti realizzati
da Giovanni Mannozzi (detto Giovanni da San Giovanni), Francesco Montelatici (detto Cecco Bravo), Ottavio
Vannini e Francesco Furini. Tra gli esemplari di Lorenzo che maggiormente catturarono l’attenzione degli
artisti rinascimentali spicca il calcedonio raffigurante Diomede con in mano il Palladio2, intaglio di grande
qualità, oggi disperso ma noto da impronte e placchette bronzee, appartenuto all’umanista Niccolò Niccoli,
al cardinale Ludovico Trevisan e al pontefice Paolo II Barbo. In esso, già nella prima metà del Quattrocento,
Lorenzo Ghiberti individuò un sublime modello di armonia e proporzioni, attribuendone l’esecuzione a
Policleto3, il teorico delle tecniche per oggettivare il bello in una figura umana. E come exemplum del
1
Vasari 1588, p. 77.
Ghiberti, ed. Schlosser 1912, I, p.47.
3
Ghiberti, ed. Schlosser 1912, I, p. 64; Tondo 1990, p. 7 e segg.; Rastrelli 2003, p. 37.
2
Canone di Policleto, il Diomede fu lodato anche dal Filarete nel suo Trattato di architettura4 e ammirato da
Leonardo da Vinci, che dalla elegante posa dell’eroe greco effigiato nell’intaglio, o forse da una sua
derivazione, prese spunto per lo studio di un giovane nudo seduto conservato presso la Royal Library a
Windsor5. Altrettanto elogiata fu la mirabile corniola di età augustea con il mito di Apollo e Marsia ora
conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, conosciuta anche con il nome di Sigillo di Nerone.
Quest’opera, entrata a far parte della collezione di Lorenzo nel 14876, fu tra le gemme più famose del
Rinascimento, stimata da una folta schiera di letterati e di artisti: da Ghiberti a Filarete, dai miniatori
Gherardo e Monte di Giovanni a Sandro Botticelli, che ne riprese il motivo iconografico nel pendente al
collo della giovane donna, forse Simonetta Vespucci, rappresentata in un sensuale ritratto prestato
eccezionalmente dello Städel Museum di Francoforte7. Tale scelta fu sicuramente dettata da un preciso
intento simbolico, connesso molto probabilmente agli ideali del circolo laurenziano, all’interno del quale
l’episodio mitologico della disputa musicale tra il divino Apollo e il terrestre Marsia assunse particolari
connotazioni di carattere morale8. Accanto a fedeli trasposizioni delle scene riprodotte sulle gemme
laurenziane, gli artisti fiorentini della seconda metà del Quattrocento, impegnati nel riproporre l’antico con
linguaggio moderno, diedero prova di più libere interpretazioni delle figure incise sulle pietre, traendone in
molti casi spunto per creazioni del tutto originali. La testimonianza più significativa di questo tipo di
rielaborazione è fornita dalla Nascita di Venere, eseguita da Botticelli dopo il suo ritorno da Roma dove era
stato inviato da Lorenzo per affrescare le pareti della Sistina. Nel dipinto il movimento modulato e sinuoso
del lato sinistro della Venere, “accentuato dalla spalla cadente e sottolineato dal braccio disteso lungo il
corpo, ricorda l’Apollo”9 del sigillo neroniano, mentre la coppia costituita da Zefiro abbracciato alla ninfa
Clori rimanda alla raffigurazione dei venti Etesii intagliati alla sommità della scena adornante la parte
interna della prestigiosa “Scudella nostra” di calcedonio, nota con il nome di Tazza Farnese10, esemplare
eccezionale della glittica di età ellenistica, ricca di dettagli significativi e di raffigurazioni complesse, che fu
ceduta da Sisto IV Della Rovere al Magnifico nel 1471 in occasione dell’ambasciata del Medici a Roma per
l’elezione del pontefice. Sempre alla Tazza Farnese e, in particolare, al Gorgoneion inciso sul verso del
sontuoso oggetto si ispirerebbe inoltre la capigliatura di Zefiro, composta da plastiche ciocche sinuose
lumeggiate d’oro11.
I Medici dimostrarono anche pubblicamente l’importanza dell’arte dell’incisione su pietra facendo eseguire
dalla bottega di Donatello le copie ingrandite delle gemme che ritenevano più importanti, collocandole nei
tondi sopra il colonnato del cortile del Palazzo di via Larga. Dei dodici medaglioni sette riproducono, in
modo più o meno fedele, gemme famose nel Rinascimento (Diomede e il Palladio, Poseidon e Atena in gara
per il dominio sull’Attica, Satiro e il piccolo Dioniso, Dioniso e Arianna a Nasso, Dioniso su un carro condotto
da Psychai, Icaro e Dedalo, Centauro), quattro lo stemma della famiglia Medici e uno il lato minore di un
sarcofago con uno scita prigioniero, inginocchiato dinanzi a un duce romano, situato nel xv secolo lungo un
fianco del Battistero fiorentino12. Anche per Donatello le gemme rappresentarono delle importanti fonti
visive, alle quali ricorse per alcuni dettagli nelle sue sculture, cogliendo motivi iconografici tratti da
importanti cammei antichi. Nel David, collocato al centro del cortile di Palazzo Medici alla morte di Cosimo
il Vecchio, per la scena sull’elmo di Golia, interpretata come un trionfo di Amore, l’artista trasse ispirazione
dal cammeo con Dioniso su un carro tirato da Psychai oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli che
nel 1457 risultava di proprietà di Pietro Barbo, e in seguito entrò a far parte della collezione Medici grazie a
Lorenzo il Magnifico13. Un’altra precoce e affascinante testimonianza del gusto per la glittica antica in
4
Filarete, ed. Finoli-Grassi 1972, II, p. 680.
Cat. n. 18.
6
Bullard-Rubinstein 1999, pp. 283-286; cat. n. 35.
7
Per una recente rilettura di questa opera si veda in particolare Cecchi 2005, p. 226 e W. Dello Russo in Acidini 2009,
p. 164.
8
Wyss 1996, pp. 43-60.
9
Bocci Pacini 1987, p. 24.
10
Yuen 1969, pp. 175-178; Dacos 1973, pp. 149 e sgg.; Gasparri 1994, pp. 75-83.
11
Acidini Luchinat 2001, p. 112.
5
13
Ames-Lewis 1979, pp. 143-147; Kent 2005, p. 352.
Donatello si manifesta nel gruppo della Giuditta, opera dalla lunga gestazione, iniziata nel 1457 e terminata
dall’artista solo nel 1464, quando fu portata dalla sua bottega nella residenza medicea di via Larga. Sul
tergo della figura di Oloferne, entro un medaglione parzialmente coperto dalla veste di Giuditta, è la
raffigurazione di un Centauro puntualmente tratto da un altro celebre cammeo, che quasi negli stessi anni
fu usato come prototipo anche per uno degli otto tondi di marmo posti a ornamento del cortile di Palazzo
Medici. Nel caso della Giuditta, esempio biblico di virtù patriottica, è chiaro che la raffigurazione del
centauro, emblema di lussuria fin dall’antichità, fu associato a Oloferne con un preciso intento simbolico14.
Un particolare significato allegorico dovette avere per gli umanisti del Quattrocento anche il medaglione
raffigurato sul petto del cosiddetto Busto di giovane ‘neoplatonico’ del Museo Nazionale del Bargello
attribuito a Donatello, puntuale riferimento all’antico, desunto molto probabilmente da un cammeo
registrato per la prima volta nell’inventario della sterminata raccolta di Pietro Barbo (in seguito entrato
nella collezione di Lorenzo il Magnifico) e interpretato come una rappresentazione dell’anima ispirata a un
passo del Fedro di Platone. Nel suo Convito, infatti, Marsilio Ficino commentava che Platone definiva
l’anima un carro e la “Mente data alle cose divine” un auriga intento a reggere con mano sicura le redini di
due cavalli, simboleggianti rispettivamente la ragione e l’appetito dei sensi15. Con analoghe implicazioni
morali l’immagine dell’anima-auriga fu riprodotta anche tra i lussuosi decori scultorei eseguiti intorno al
1460 da Antonio Rossellino sul basamento del monumento funerario del cardinale del Portogallo, Giacomo
di Lusitania, in San Miniato al Monte a Firenze.
Dal grande Salone di Giovanni da San Giovanni la mostra si snoda nelle altre tre sale di rappresentanza,
dove, in sequenza cronologica, è ripercorsa la storia della raccolta medicea nel corso del XVI, XVII e XVIII
secolo attraverso una mirata selezione di opere individuate in base alla qualità e alla provenienza
documentata. Vi troviamo pezzi capitali per le loro dimensioni e caratteristiche di lavorazione, come il
grande cammeo fatto eseguire da Cosimo I al milanese Giovanni Antonio de’ Rossi con il ritratto del
granduca, della moglie Eleonora di Toledo e di cinque dei loro figli o il notevole onice raffigurante un
Imperatore che sacrifica alla Speranza appartenuto molto probabilmente a Ferdinando I e considerato uno
dei più alti esempi di glittica di età tardimperiale16. Con il passaggio alla terza Sala dell’Udienza si accede
all’ultima sezione della mostra, che raccoglie cammei e intagli di estrema raffinatezza provenienti dalle
raccolte del cardinale Leopoldo de’ Medici, Cosimo III, Gian Gastone e Anna Maria Luisa. Si tratta
principalmente di lavori siglati da importanti artefici dell’antichità quali Teukros e Protarchos, autore del
celebre cammeo con Amore che cavalca un leone, ben noto agli artisti del Settecento come Tommaso
Gherardini, che ad esso si rifece per uno dei medaglioni di gusto neoclassico decoranti la splendente sala
degli Uffizi ideata per accogliere il gruppo dei Niobidi. Accanto a questi esempi trovano posto le creazioni
degli abili maestri “di pietre in bassorilievo” dei gloriosi laboratori della Galleria dei Lavori (futuro Opificio
delle Pietre Dure), a dimostrazione di una continuità senza strappi con il passato e del continuo impegno
profuso dai Medici nel rinnovamento dell’arte principesca della glittica.
Bibliografia
14
Sulla Giuditta si veda in particolare Natali 1988, pp. 26-27 e Kent 2005, p. 348.
2
Chastel 1964 , p. 48.
16
L. Tondo, in Tondo-Vanni 1992, p. 49, n. 270.
15
Vasari 1588
G. Vasari, Ragionamenti del Sig. Cavaliere Giorgio Vasari, Pittore e Architetto aretino: sopra le invenzioni da
lui dipinte in Firenze nel Palazzo di loro Altezze Serenissime, Firenze 1588
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J. Von Schlosser, Lorenzo Ghiberti Denkwürdigkeiten (I Commentarii), 2 voll., Berlin 1912
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Firenze 1973
Il tesoro di Lorenzo il Magnifico. Le gemme, catalogo della mostra (Firenze), a cura di N. Dacos, A. Giuliano,
U. Pannuti, Firenze 1973
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A. Natali, Exemplum salutis publicae, in Donatello e il restauro della Giuditta, catalogo della mostra
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F. Caglioti, Donatello e i Medici. storia del David e della Giuditta, 2 voll., Firenze 2000
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A. Rastrelli, Le gemme medicee nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, in Firenze 2003, pp. 37-41
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I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto, catalogo della mostra (Firenze), a cura di M. Sframeli, Livorno 2003
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C. Acidini (a cura di), Botticelli nel suo tempo, Milano 2009