ORIENTAMENTI ISCUM
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ORIENTAMENTI ISCUM
In memoria di Luciana Sorarù Mannoni 3 ORIENTAMENTI F. VARALDO GROTTIN La didattica della storia 3 ISCUM Ricerche S. FOSSATI, G.L.A. PESCE, A. DECRI Lo studio della provenienza del legno attraverso l’analisi delle curve di accrescimento 8 E. TORRE Primi restauri sul sito di Monte Zignago (SP) 9 Ricerche in collaborazione e confronti G.L.A. PESCE, R. RICCI La diffusione e l’uso delle “malte al caolino” attraverso lo studio delle analisi XRD 10 S. LERMA Archeologia e storia del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria 14 Altre attività S. COSTA, G.L.A. PESCE 3° workshop: Open Source Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica 17 Bibliografia Iscum 2004-2008 Undicesimo aggiornamento del catalogo generale 19 L’ISCUM è una associazione costituita nel 1976 al fine di promuovere, organizzare e condurre la ricerca pluridisciplinare e interdisciplinare nell’ambito dell’archeologia: vi operano attualmente cinquantuno membri. Sezioni operative: archeologia di scavo e di superficie; archeologia del costruito; archeometria (dendrocoronologia, archeozoologia, paletnobotanica e geoarcheologia); storia della cultura materiale; biblioteca. Convenzioni per la ricerca con l’Istituto Internazionale di Studi Liguri e con i Dipartimenti dell’Università di Genova: di Archeologia e Filologia classica, di Edilizia, Urbanistica e Scienze dei Materiali, di Scienza per l’Architettura, di Storia Moderna e Contemporanea, per lo Studio del Territorio e delle sue Risorse. I lavori a stampa prodotti dai membri dell’ISCUM fino al 2008 (si veda NAM nn: 33, 40, 41, 49, 33, 40, 41, 56-57, 69-70, 73, 74, 75 e 78) sono 1428, così raggruppati: (I) Metodi e problemi, storia della cultura materiale 158, (II) Archeologia urbana 97, (III) Archeologia e storia del territorio 354, (IV) Studio di manufatti 127, (V) Archeologia della produzione 185; (VI) Archeologia dell’architettura 282; (VII) Archeometria 225. Il Notiziario di Archeologia Medioevale è un foglio di prima informazione che esce dal settembre 1971. Copia in formato pdf del presente numero è scaricabile sul sito dell’ISCUM http://www.iscum.it ISCUM – ISTITUTO DI STORIA DELLA CULTURA MATERIALE Sede c/o Museo di S. Agostino, Piazza Sarzano, 35r, Genova e-mail: [email protected] Redazione: A. Boato, D. Cabona, I. Chiappe, E. Giannichedda Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Genova n° 38/32. Direttore Responsabile: Tiziano Mannoni Edizioni di Storia della Cultura Materiale ISSN 0393-7402 Cari lettori, dopo un lungo periodo di assenza esce il numero 78 del Notiziario. Mentre era in stampa, il 17 ottobre, è improvvisamente e inaspettatamente mancato Tiziano Mannoni, che ne era il Direttore. La redazione ne dà annuncio, profondamente addolorata. Viste le difficoltà incontrate nella realizzazione del presente numero e dopo questa grave perdita, non sappiamo ora prevedere se il NAM continuerà ad uscire secondo la formula editoriale consueta o se si troveranno altri modi di comunicazione. Vi invitiamo quindi a consultare il sito dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale (www. iscum.it), dove il presente numero è scaricabile in formato pdf e dove troverete successive informazioni. La redazione TIZIANO MANNONI 3 settembre 1928 - 17 ottobre 2010 In memoria di Luciana Sorarù Mannoni Si è allontanata da noi in punta di piedi, in silenzio. Così Luciana Sorarù Mannoni ha lasciato questo mondo. Una Signora che ha vissuto per tantissimi anni a fianco del suo “Tizio” sempre pronta ad accompagnarlo qualunque fosse la meta: un rifugio sulle Alpi Apuane, una vecchia scuola abbandonata adibita a cantiere di scavo o, come negli ultimi anni, sui passi alpini che le ricordavano le sue origini ladine. All’interno dell’ISCUM si era ritagliata uno spazio che non dava visibilità ma di grande responsabilità. Curava in prima persona la redazione del NAM (Notiziario di Archeologia Medievale), era il factotum, correggeva le bozze, impaginava. Seguiva la vita dell’Istituto con assiduità nelle riunioni del venerdì sera e durante le Assemblee generali, dopo aver ascoltato tutti, non mancava di puntualizzare le eventuali lacune e di incoraggiare a proseguire le ricerche quando queste incontravano ostacoli che sembravano insormontabili. Come non si può ricordare la sua pazienza e precisione. Nell’ottobre del 1978 insieme a Onofrio Pizzolo e a Isabella Ferrando riuscì, grazie alla sua caparbietà a salvare l’archivio storico del comune di Zignago ormai destinato, data la sua precarietà, al macero. “Metteva in bella” gli articoli di Tiziano, prima scrivendoli con la Olivetti lettera 22 e successivamente con il Computer, al suo fianco aveva sempre il Dizionario della lingua italiana e il Dizionario dei sinonimi. Solo tre volte, e su insistenza di Tiziano appare come coautrice: la prima nell’articolo “Per una storia regionale della cultura materiale: i recipienti in Liguria” pubblicato nei Quaderni Storici dove il suo apporto all’Archivio di Stato fu fondamentale nella lettura e trascrizione dei notai genovesi; la seconda nel volume “Il marmo, materia e cultura” e la terza “Il porto di Carrara, storia e attualità”. Il suo modo di agire deve farci ricordare che la ricerca non ha bisogno di personalismi esasperati ma di persone che credono fermamente in quello che fanno con umiltà e perseveranza. Orientamenti La didattica della storia FLAVIA VARALDO GROTTIN “Caro Delio, …. io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?...”. Queste sono le parole di Antonio Gramsci, scritte al figlio e tratte da Lettere dal carcere, con cui inizio in genere le mie lezioni di storia nelle prime classi del liceo per introdurre la discussione sul “perché studiare la storia”. A questo testo faccio, poi, seguire l’ascolto della canzone del cantautore Francesco De Gregori, La storia e dietro suggerimento di un alunno Buona notte all’Italia di Luciano Ligabue. Bisogna dire che almeno in questa parte iniziale quasi tutti gli alunni, se non hanno avuto esperienze negative durante il loro corso di studi precedente, si dicono molto interessati allo studio della storia. A volte, però, durante l’anno questa spinta si affievolisce e deve sempre essere alimentata dal docente. Ed è da questa esigenza continua di motivare allo studio della storia i miei alunni compresi tra i 14 e i 19 anni e i miei tre figli, anche loro nell’età dell’adolescenza, che partono le mie riflessioni sulla didattica della storia, confrontate con un gruppo di miei studenti particolarmente interessati a questo tema (attuali classi III e IV B del Liceo Maria Ausiliatrice di Genova). Sempre più appare evidente, ai giorni nostri, l’importanza di ricordare le proprie radici a una società che tenta di vivere solo nel presente. Per la categoria degli archeologi che sono anche insegnanti, animatori culturali o guide turistiche riflettere sulla didattica della storia e condividere materiali 3 ed esperienze diventa un imperativo. Gli appelli di psicologi, psichiatri e studiosi della realtà giovanile ci richiamano al nostro compito di educatori di coscienze, in un mondo vuoto d’ideali e di prospettive future. A questo proposito sono significativi i saggi di Vittorino Andreoli, Lettera a un insegnante, Milano, Rizzoli 2006, Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli 2007 e Daniel Pennac, Diario di scuola, Milano, Feltrinelli 2008. Sul tema della didattica della storia i testi diretti agli insegnanti, a corredo dei libri scolastici, sono ormai numerosi. Cito tra gli altri uno particolarmente curato di Lorenzo Argentieri, Al centro della storia. Guida per l’insegnante, Milano, 2008, Le Monnier Scuola. Ai miei alunni è servito anche da spunto di riflessione l’articolo apparso sul “Corriere della Sera” il 25 febbraio del 2008 dal titolo Saper la Storia (con le date) serve a capire chi siamo di Francesco Alberoni. L’impegno principale dei docenti oggi è fornire una visione ampia della storia in tutti i suoi aspetti non solo avvenimentali e politici, ma materiali, ambientali, economici, sociali, scientifici e tecnologici, così come la scuola degli storici francesi (Braudel, Le Goff, …) e quella dell’Europa orientale ci hanno mostrato. La Liguria è sempre stata all’avanguardia negli studi storico-archeologici con l’Istituto di Studi Liguri, l’ISCUM, il Centro Studi Lunensi e l’Istituto di Storia Moderna dell’Università di Genova. Bisogna dire che un’impostazione moderna è stata da anni recepita da gran parte dei libri di testo scolastici, che soprattutto per la storia antica e medievale forniscono un ricco apparato iconografico, tra cui foto di reperti, ricostruzioni storiche che illustrano aspetti della vita quotidiana nelle varie epoche, e approfondimenti monografici sulla storia di lunga durata. L’importante è scegliere un manuale approfondito e completo nell’impianto narrativo, in grado di raccogliere l’esuberanza della nuova didattica, facendo in modo che la curiosità non cada in eclettismo e la varietà in superficialità (a questo proposito si veda la premessa del libro per il biennio di scuola superiore di De Corradi B., Giardina A., Gregori B., Dal Mediterraneo all’Europa. Lineamenti di Storia antica e medievale, Laterza & Figli, Roma-Bari, 2005). Per la mia personale esperienza d’insegnante di lettere in un liceo sperimentale di Genova, posso dire che gli studenti hanno bisogno di uno studio sistematico che comprenda tutto il percorso della storia dell’uomo. Gli alunni, pur essendo a volte più attratti dalla storia del Novecento e in particolare dal fascismo e dal comunismo, si interessano anche alla storia antica e medievale. Oltre all’apprendimento delle tappe principali della storia dell’umanità dalla comparsa dell’uomo sulla terra ad oggi, distribuita lungo i cinque anni di scuola superiore, l’alunno deve arrivare alla fine della suo percorso didattico ad avere gli strumenti per interpretare il presente e proiettarsi nel futuro. I ragazzi, per fortuna, sono concreti e vogliono sapere in che modo avvenimenti e mentalità del passato influenzano ancora la loro vita e il mondo di oggi. E allora per collegare il passato al presente e viceversa viene in aiuto l’archeologia globale, soprattutto con la visione diretta delle testimonianze archeologiche e architettoniche del passato. In Italia siamo facilitati dall’avere a portata di mano testimonianze storiche di ogni epoca. Per esempio da Genova sono facilmente raggiungibili anche in giornata aree archeologiche importanti come Ventimiglia e Luni, o città storiche, come Aosta, Siena, Lucca, Pisa, Mantova solo per citarne alcune. Anche rimanendo in città gli studenti genovesi sono facilitati perché hanno a disposizione per i loro studi il centro storico ancora conservato più grande d’Europa. La visita alla città e ai suoi musei diventa utile per un maggior collegamento degli alunni alla realtà urbana. In particolare Genova, essendo stata una città importante durante il medioevo e l’età moderna, offre numerose testimonianze materiali, oggi più valorizzate che in passato. La città, infatti, dalle celebrazioni colombiane del 1992, che hanno visto l’apertura al pubblico dell’area del Porto Antico e di Palazzo Ducale, ad oggi è stata interessata da lavori importanti di ristrutturazione, restauro e valorizzazione. Il polo del Porto antico con il moderno allestimento del Museo del mare, offre spunti di riflessione sul Medioevo e l’Età Moderna, 4 fino ad arrivare con la mostra “LaMerica”, ormai diventata parte integrante del museo, a considerare la storia dell’emigrazione italiana del Novecento verso le Americhe. Fa parte, inoltre, dell’Istituzione Musei del Mare (MU. MA.) la Commenda di San Giovanni di Prè, antico ospizio medievale gestito dai Cavalieri di San Giovanni, detti poi di Malta. L’antico ospitale ha aperto recentemente con un nuovo allestimento multimediale in forma di museo teatro dedicato al tema dei pellegrinaggi verso la Terrasanta e delle crociate. Manca ancora, però, un museo della città dove prendano forma tutti i lavori di archeologia portati avanti dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria, dall’ISCUM e dalla Facoltà di Architettura. Lo studio del periodo antico e medievale è, in genere, limitato nei manuali delle superiori all’analisi dell’area europea e mediterranea, spingendosi fino al fiume Indo per il cosiddetto “Medio Oriente”. La situazione cambia, naturalmente, per l’età moderna e contemporanea perché, dalla scoperte geografiche in poi, lo sguardo si allarga a tutto il mondo. Anche se esistono libri di testo di storia che trattano anche delle antiche civiltà cinesi, indiane, precolombiane sovente questa parte viene saltata dagli insegnanti. E’ utile, perciò a questo proposito, che l’insegnante di lettere approfondisca nel biennio la storia dei paesi extraeuropei nelle ore di geografia con un buon libro di testo. Agli studenti interessa non solo il passato del mondo occidentale, ma anche delle altre culture del mondo con cui loro si trovano a confrontarsi avendo compagni provenienti da terre anche molto lontane, portatori di lingue e culture molto diverse dalle nostre. In un mondo sempre più globale e multietnico questo aspetto della conoscenza della storia mondiale non dovrebbe essere trascurato. Quest’anno studiando i vari gruppi linguistici del mondo, gli alunni si sono entusiasmati nel confrontare le lingue europee direttamente con quelle conosciute da due compagne indiane: abbiamo subito constatato la somiglianza di diverse parole italiane con quelle in hindi. Abbiamo visto insieme, ad esempio, che la parola italiana nome, derivante dal latino nomen, nominis, si dice in hindi name. La radice nom, infatti, trova riscontro in parole del medesimo significato in molte lingue antiche e moderne: nel greco onoma, nel sanscrito e nell’antico persiano nama, nell’antico slavo ime (da cui il russo imja), nell’antico irlandese ainim, nell’antico germanico namo (da cui l’inglese e il tedeso name). Lo studio della storia va, naturalmente, approfondito con la lettura di alcune fonti scritte, come i documenti d’archivio e soprattutto le opere storiche e letterarie del passato, greche, latine e in volgare. Fonti letterarie, ma anche storiche, sono: l’Iliade e l’Odissea per il mondo miceneo e il medioevo ellenico, Erodoto e Tucidide per l’età classica greca, Tito Livio e Cesare per il mondo romano, insieme a tanti grandi autori del mondo classico, Boccaccio col Decameron per l’epopea del mondo mercantile del Trecento… Sulla modernità di questi grandi storici o letterati del passato, consiglio la lettura di Viaggio con Erodoto, di R. Kapuscinski, Feltrinelli, Milano, 2005. Strumenti privilegiati rimangono, nella scuola italiana dall’Ottocento ad oggi, i romanzi storici a partire naturalmente dalle opere del nostra letteratura italiana dell’Ottocento I promessi sposi di Alessandro Manzoni e Le confessioni di un italiano, di Ippolito Nievo, fino ad arrivare alle opere della fine del Novecento e dei primi anni Duemila, come Il nome della rosa di Umberto Eco. Vengono letti facilmente dagli studenti Il principe scalzo, su Enrico IV a Canossa della germanista Laura Mancinelli e Gli occhi dell’imperatore, su Federico II, sempre della stessa autrice; Lo scudo di Talos e gli altri numerosi romanzi divulgativi di Valerio Massimo Manfredi, sul mondo antico, e infine I pilastri della terra e Mondo senza fine di Ken Follett, ambientati nel Medioevo. Nelle classi dove l’insegnamento della storia è abbinato a quello d’italiano alla lettura di romanzi faccio seguire anche la stesura di racconti storici ambientati in uno dei periodi studiati. Partendo da personaggi realmente esistiti gli alunni devono inventare una storia verosimile. Gli episodi storici più rappresentati sono stati l’anno scorso, in una seconda liceo particolarmente ricettiva a questa proposta, 5 per l’età romana l’abdicazione di Diocleziano e la battaglia tra Costantino e Massenzio al Ponte Milvio, per l’età medievale la vita di Maometto, i Normanni e lo scontro tra longobardi e franchi. Appare fondamentale riuscire a creare delle banche dati ragionate dei materiali già esistenti per divulgare la storia: oltre ai racconti e ai romanzi, si possono presentare agli studenti film, canzoni, fumetti, documentari televisivi e videogiochi… Tra i film storici sono particolarmente interessanti: per la preistoria la prima parte del film di fantascienza 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e La guerra del fuoco, di Jean-Jacques Annaud; per la storia greca 300, di Zack Snyder, che mette in scena in modo a volte eccessivamente d’effetto la battaglia delle Termopili durante la seconda guerra greco-persiana nel 480 a.C., tratto da un fumetto omonimo, e Alexander, su Alessandro Magno, di Oliver Stones; per l’età romana Il Gladiatore, ambientato alla fine del II sec. d.C. sotto gli imperatori Marco Aurelio prima e Comodo poi, per la regia di Ridley Scott e sempre dello stesso regista per il Medioevo Le crociate del 2005. Anche gli spettacoli teatrali possono essere preziosi per un discorso storico: quest’anno è stato molto apprezzato dagli studenti Storia della meraviglia di Maurizio Maggiani e Gian Piero Alloisio. Come dicono gli autori stessi, che sono poi anche attori e cantanti sul palcoscenico, l’opera è una guida per ritrovare lo stupore di essere eredi della storia contadina, della civiltà dell’acciaio e padri dell’incerto futuro. Molto seguiti dai ragazzi sono anche i documentari dedicati ad argomenti di carattere storico, come, solo per citarne alcuni, quelli sulla RAI di Alberto e Piero Angela e sulla rete “La 7” di Valerio Massimo Manfredi. Anche i fumetti possono far parte di un ragionamento sulle rappresentazioni di carattere storico, ma naturalmente richiedono un serio lavoro d’analisi. I fumetti maggiormente conosciuti sono: i Flinstones di Hanna & Barbera per l’età preistorica, Asterix per l’età romana in Gallia, Hagar il Vichingo per il Medioevo. Una considerazione a parte merita lo strumento della ricerca in generale, che oggi, con l’utilizzo di internet e delle moderne tecnologie informatiche pone agli insegnanti nuove problematiche. Come scrive Stefano Bartezzaghi su “La Repubblica” del 29 aprile 2009 nell’inserto del quotidiano intitolato Se internet studia per te: “I metodi e le pratiche di studio (i gesti, i ritmi, i materiali) sono cambiati, e non dai tempi di don Milani, ma dall’altroieri… questa è la scuola ai tempi del computer. Le calcolatrici elettroniche avevano banalizzato i compiti di algebra dalla metà degli anni Settanta. I sistemi di scrittura hanno cambiato l’elaborazione di ricerche e tesine dalla metà degli anni Ottanta. Dai Novanta, oramai, c’è Internet; dal 2000 Google; dall’anno successivo Wikipedia. Un ammontare inaudito di informazione gratuita, più i metodi più rapidi e raffinati per selezionarla, più gli strumenti per condividerla. Più naturalmente, il copia e incolla per acquisirla senza impegnarsi troppo, ché altrimenti ci si stanca”. A questa riflessione di Bartezzaghi aggiungo anche quella di Alessandro Barrico che, con il suo testo I barbari. Saggio sulla mutazione del 2006, ci mette in allerta sul tipo di informazione che possiamo trovare in rete, perché le pagine maggiormente segnalate da Google sono quelle evidenziate da un maggior numero di links. Il sistema di selezionamento dei dati di Google è, perciò, quantitativo e non qualitativo. Inoltre, ho potuto constatare nel mio lavoro che sempre più gli studenti usano esclusivamente internet, e anche quando fornisco direttamente i libri su degli approfondimenti di storia locale o su recenti scavi archeologici, questi vengono nel migliore dei casi letti, ma poi non inseriti nel testo della ricerca che risulta spesso basato esclusivamente su quanto trovato sulla rete. Mi è capitato così di sentire sulla storia preromana e romana di Genova teorie ormai sorpassate dopo più di trent’anni di scavi e pubblicazioni di archeologia urbana ad opera della Soprintendenza archeologica della Liguria e dell’ISCUM. Per certi siti archeologici da me segnalati le notizie su internet sono ancora scarse e diventa indispensabile ricorrere ai lavori su carta. Se sull’argomento da approfondire si trovano, invece, molte informazioni in rete, come nel 6 caso per esempio degli imperatori romani, il docente deve insegnare a selezionare le fonti più attendibili. Il metodo della ricerca viene utile, anche, per impostare la tesina da discutere in sede di esame di maturità, in genere su un argomento da approfondire in maniera interdisciplinare. Quando gli studenti sono già stati abituati durante tutto il corso di studi del liceo ad essere curiosi del sapere, anche attingendo informazioni selezionate da internet ma rielaborandole con quanto studiato, le tesine risultano interessanti e personali. Una riflessione è da fare anche per gli studiosi che devono sempre più preoccuparsi di diffondere le proprie scoperte non solo su pubblicazioni di carattere scientifico o divulgativo, ma anche sulla rete. I siti più aggiornati e leggibili sono una delle maggiori occasioni per essere considerati dall’universo giovanile. Lo studio serio e appassionato della storia dovrebbe evitare che il passato diventi “una discarica di rovine”, come sostiene sempre Baricco ne I barbari. “Mentre per il nostro modello culturale il passato è un tesoro sepolto, e possederlo significa scavare fino a trovarlo, per il barbaro il passato è ciò che, del passato, risale in superficie ed entra in rete con schegge del presente”. Un esempio sono i video giochi o certi film di carattere storico, dove il passato viene utilizzato in genere in modo spettacolare attingendo in maniera molto fantasiosa e mischiando elementi senza nessun senso storico. Esistono, però, anche in questo settore delle opere precise e curate anche dal punto di vista storico, come il gioco Imperium. Le grandi battaglie di Roma, Le Guerre puniche, La guerra gallica della RTC (Real Time Conquest) sulle varie battaglie che vedono Roma protagonista indiscussa nel Mediterraneo. Già con i libri-game di carattere storico, apparsi negli anni Ottanta, si erano registrate due tendenze: quella più fantasiosa e priva di riferimenti storici concreti e quella sempre ludica, ma seria e approfondita. Ricordo, a questo proposito, di aver letto un libro game, scritto da uno storico francese, su un mercante che, nel Trecento, dalle fiere della Champagne arrivava in Italia. L’impegno degli insegnanti, perciò, deve essere non solo quello di presentare alle nuove generazioni il sapere in un modo più accattivante, ma anche di pretendere da loro uno sforzo di approfondimento maggiore. Per fare questo, è necessario aiutare gli studenti ad utilizzare consapevolmente le nuove risorse, favorire la lettura di testi consultabili anche in biblioteca e facilitare le visite guidate ai siti archeologici e ai centri storici studiati per puntare a realizzare dei lavori seri e approfonditi. A questo scopo è utile fornire agli alunni degli strumenti per studiare in maniera più personalizzata, come mappe concettuali, linee del tempo, tabelle sinottiche, rielaborazioni di carte storiche, per evitare una sorta di schizofrenia dei giovani di oggi che al mattino imparano a scuola un sapere più tradizionale e al pomeriggio passano il tempo in un multitasking spesso superficiale. Naturalmente l’ISCUM, che ha sempre sentito questa vocazione alla valorizzazione dei beni culturali e alla divulgazione del proprio sapere sotto ogni forma e con tutti i mezzi via via disponibili, si sta interrogando sul suo ruolo e sta rinforzando una rete di rapporti tra archeologi sul campo e archeologi-insegnanti. In particolare, come emerso in una riunione ISCUM del 10 luglio 2008, e dall’assemblea del 2 luglio 2009, le attività sia a livello personale da parte dei singoli membri, sia a livello di istituto si sono indirizzate anche negli ultimi anni a studenti dalla scuola elementare all’università. Degna di nota è la settimana di corso intensivo su Archeologia dell’architettura per le scuole di specializzazione in restauro dei monumenti di Genova e di Milano, svolto ogni anno presso la Facoltà di Architettura di Genova. Anche in questi anni è continuata la collaborazione dell’ISCUM con i vari enti e istituzioni per la valorizzazione e la didattica dell’archeologia: in particolare è stato aperto alle scolaresche, che ne facevano richiesta, il laboratorio dell’ISCUM a Palazzo Ducale con la spiegazione dei reperti rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Ducale (dott. Marco Biagini). Con il trasferimento della sede dell’ISCUM al Museo di Scultura e Architettura Ligure di Sant’Agostino si è aperta una collaborazione stretta 7 con il museo per la didattica, inaugurata dalla conferenza del professore Tiziano Mannoni su “La cassetta degli attrezzi di Giovanni Pisano” del 4 luglio 2009. Il lavoro è, perciò, da parte di archeologi, storici e insegnanti di lettere quello di pensare insieme mille modi per trasmettere la storia della cultura materiale, l’archeologia globale e il sapere storico in generale, per ricordare anche alle giovani generazioni che progettare il proprio futuro, conoscendo il passato, è una delle aspirazione più alte dell’uomo. Il tentativo di queste riflessioni è di trovare sempre più la chiave di accesso ad ogni alunno per appassionarlo alla storia e, più in generale alle conoscenze e al sapere dell’uomo accumulati nel corso del tempo. ISCUM - Istituto di storia della cultura materiale Ricerche Lo studio della provenienza del legno attraverso l’analisi delle curve di accrescimento SEVERINO FOSSATI GIOVANNI L.A. PESCE ANNA DECRI 8 Una delle attività di ricerca in cui, oramai da diversi anni, è impegnato il Laboratorio di Dendrologia e Dendrocronologia dell’ISCUM è volta a verificare la possibilità di conoscere la provenienza del legno di cui sono costituiti i campioni che giungono regolarmente in laboratorio attraverso la sola analisi delle relative curve di accrescimento. Gli incoraggianti risultati ottenuti in tale senso negli ultimi anni e le conferme delle idee autonomamente sviluppate giunte dalla più recente letteratura scientifica del settore, hanno indotto a presentare i risultati di questo lungo lavoro in due convegni internazionali di archeometria: il colloquio del GMPCA “Archéométrie 2007” tenutosi ad Aix en Provence dal 18 al 21 Aprile 2007 e il 37° International Symposium of Archaeometry tenutosi dal 12 al 16 Maggio 2008 a Siena. Lo scopo principale di tali partecipazioni è stato quello di presentare alla comunità scientifica le osservazioni sviluppate così da cercare dei confronti attraverso i quali continuare la ricerca. I riscontri avuti in tali circostanze, derivati soprattutto dal “referaggio” fatto delle riviste a cui sono stati sottoposti gli articoli proposti in tali occasioni, hanno fornito indicazioni contrastanti ma interessanti. Dalle osservazioni fatte emerge, infatti, come il tema affrontato sia relativamente nuovo (e, dunque, poco conosciuto e dibattuto) ma di grande interesse. Il metodo adottato dal Laboratorio per lo studio delle provenienze si basa fondamentalmente su un confronto complesso delle curve campione con più curve di riferimento riconducibili a differenti luoghi di origine, così da individuare la curva che meglio approssima l’andamento della curva campione (e che dunque, per tale motivo, può fornire un’indicazione sul luogo di provenienza del campione stesso). La lettura delle curve campione avviene secondo le modalità consuete, tramite cioè l’uso di lenti con reticolo e scala di misurazione o tramite l’uso di software di image processing, mentre le curve di riferimento utilizzate sono le stesse impiegate nelle datazioni, in buona parte disponibili nella letteratura scientifica o nei siti Internet dei laboratori che si occupano di dendrocronologia. Il confronto, come detto, è complesso in quanto basato sia sullo studio di particolari elementi statistici sia su un confronto grafico dell’andamento delle curve. Più in particolare, lo studio statistico prende in considerazione due dei parametri normalmente usati in dendrocronologia: la concordanza e la “coincidenza”, mentre il confronto grafico avviene secondo le normali modalità, attraverso una semplice sovrapposizione delle curve. Calcoli statistici e confronti grafici vengono fatti tramite un programma informatico appositamente realizzato dal Laboratorio che permette di procedere con grande rapidità all’identificazione della curva di riferimento maggiormente simile alla curva campione. Uno degli esempi che si possono portare a testimonianza di questo metodo di analisi è quello della curva n°595 dell’archivio campioni, che è riconducibile a una tavola di pino utilizzata in una delle porte del Palazzo Reale di Genova, datata al XVII secolo. I dati di accrescimento di tale campione sono stati, infatti, confrontati con i dati di cinque curve di riferimento: una curva riferibile all’area di Kostomuksha (Carelia – Russia); una curva riferibile al Parco Nazionale di Pyhan Hakin (Finlandia); una curva riferribile dell’area di Gotland (Svezia); una curva riferibile all’area di Dannensterm House (Riga – Lituania) e una curva riferibile all’area del Col de Sorba Mount Renose (Corsica – Francia). Tale confronto ha portato ad ottenere un’ampia varietà di risultati: la curva della Carelia ha dato un valore della concordanza di 7,05 e un valore della “coincidenza” di 53; la curva della Finlandia ha fornito una concordanza di 4,39 e un valore di coincidenza di 40; la curva svedese ha dato una concordanza di 3,86 e una coincidenza di 40; la curva lituana una concordanza di 3,32 e una coincidenza di 42, mentre la curva corsa ha dato una concordanza di -2,55 e una coincidenza di 36. Come si può dedurre facilmente dai dati sopra riportati, che sono stati successivamente confermati anche dal confronto grafico, i risultati di questa analisi inducono a ritenere che la tavola in oggetto provenga dalla Carelia, un’area prossima al confine tra la Russia e la Finlandia, piuttosto che da un’area mediterranea (quale, ad esempio, quella testimoniata dalla curva corsa) o dalle altre aree scandinave prese in considerazione. Le ricerche sul commercio del legno condotte attraverso lo studio delle fonti scritte confermano, per altro, come proprio nel XVII secolo, a Genova giungesse legname proveniente dal Baltico (all’epoca genericamente denominato: “legno di Fiandra”), cosicché appare evidente come i risultati ottenuti dallo studio dei materiali siano supportati anche dallo studio delle fonti scritte. In modo analogo a quanto visto sopra, i componenti del Laboratorio hanno studiato anche molte altre curve di accrescimento contenute nell’archivio, la maggior parte delle quali sono riferibili a elementi lignei impiegati tra il XV e il XIX secolo in edifici genovesi. Dallo studio svolto emerge un’ampia varietà di paesi d’importazione che fornivano differenti specie per differenti usi (pini per i serramenti, abeti per le travi, ecc.). Questo ampio mercato del legno era dovuto, probabilmente, alla scarsa disponibilità di materia prima nelle immediate vicinanze della città e alla favorevole localizzazione di Genova e del suo porto nel centro delle rotte commerciali del Mediterraneo. Alcuni approfondimenti sull’argomento sono tuttora in corso da parte dei componenti del Laboratorio, mentre sostanziali miglioramenti al metodo potranno derivare solo dalla pubblicazione di nuove curve di riferimento riconducibili a quelle aree che attualmente risultano prive di confronti. Per chi fosse interessato sono disponibili gli atti dei convegni sopra detti, oppure è possibile contattare il Laboratorio all’indirizzo e-mail: dendrolab@ iscum.it. Primi restauri sul sito di Monte Zignago (SP) ELEONORA TORRE Nella primavera del 2008 si è tentato un primo recupero dei resti del villaggio medievale di Monte Zignago (SP), distrutto intorno alla metà del XIV secolo. L’intervento ha interessato due delle aree scavate tra gli anni Settanta ed Ottanta del Novecento: la sequenza di edifici identificati rispettivamente come deposito di granaglie, ripostiglio per attrezzi e casa di abitazione a due cellule funzionali ad ovest del pendio e la struttura lungo l’attuale carrozzabile tagliata sul fianco meridionale del monte, nella quale era stata riconosciuta una stalla. I lavori sono stati preceduti da un vero e proprio disboscamento ed hanno dovuto fare i conti con una situazione compromessa oltre che dalla vegetazione anche dal dissesto del versante. In alcuni casi si è provveduto a mettere in sicurezza quest’ultimo, alleggerendolo dal peso di terreno e dalle pietre dislocate e creando canalizzazioni artificiali. In altri si sono dovute ricostruire completamente porzioni di muro. Le soluzioni adottate derivano dall’analisi delle criticità principali, dallo 9 studio dei materiali e delle tecniche costruttive e dall’osservazione del comportamento dei manufatti e dell’ambiente circostante al cospetto degli agenti atmosferici, complice la stagione particolarmente piovosa. Visto lo stato di conservazione e la scarsa leggibilità dei ruderi che per occhi profani sono difficilmente distinguibili dalle strutture rurali semidistrutte più recenti che costellano i boschi dell’Appennino non si è ritenuto opportuno creare un’interfaccia di distacco tra il conservato ed il nuovo. Le ricostruzioni sono state effettuate con il riutilizzo di pietre originali crollate e criteri di rispetto filologico verso il conservato. La riproduzione dei processi empirici dei vecchi costruttori è stata preferita al tentativo di attenersi fedelmente a quanto ancora visibile, ma oggi ormai perduto, nella documentazione fotografica archeologica di archivio. I suoli d’uso sono stati ripristinati utilizzando un battuto di scagliette di roccia e terreno, opportunamente pressato con una piastra vibrante e consolidato con prodotti appositi. Nonostante le diverse ipotesi proposte in sede progettuale, infine, le pietre sono state posate a secco, per non creare con l’utilizzo di malte ancorché di calce barriere artificiali al drenaggio delle acque meteoriche. Sebbene anche nelle costruzioni originarie l’uso di malta fosse limitato ai cantonali delle strutture abitative, a fronte della scarsa consistenza delle strutture l’assenza di legante potrebbe determinare una loro minor tenuta a fenomeni di degrado limitati ma significativi, quali quelli dovuti al passaggio di animali ed alla frequentazione umana non arginata entro sentieri segnalati. Per questo ed altri motivi si è studiata una semplice scheda di monitoraggio che periodicamente consenta anche al personale del Comune di Zignago presente sul posto di registrare: 1. quali tipi di vegetazione hanno attecchito nonostante i trattamenti biocidi ed i diserbanti 2. se e quali murature sono stabili, dislocate o crollate 3. se i sistemi di drenaggio sono liberi od occlusi 4. se il versante appare stabile o soggetto a movimenti franosi e di conseguenza studiare le necessarie azioni di contrasto e/o ripristino. La valorizzazione del sito è stata fortemente voluta dal Comune di Zignago e finanziariamente coperta per le opere di restauro conservativo dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria nell’ambito dell’“accordo di programma quadro in materia di salvaguardia e tutela del territorio, intervento ST25 di individuazione e valorizzazione dei beni culturali e storico ambientali dell’Alta Via dei Monti Liguri”, che ha seguito i lavori nelle persone del Dott. Roberto Maggi e dell’Arch. Antonio Morgione. Una nuova cartellonistica si è aggiunta ai pannelli esplicativi già esistenti, e l’embrione di un percorso obbligato dovrebbe indirizzare il turista verso gli obiettivi più interessanti. Ma dal punto di vista della fruizione l’esperimento è ancora in attesa di collaudo, e può funzionare solo se alla costante manutenzione si accompagna la volontà di orientare la percezione del visitatore verso il tempo al quale le nostre “rovine “ rimandano ed agli uomini che lo hanno vissuto. Ricerche in collaborazione e confronti La diffusione e l’uso delle “malte al caolino” attraverso lo studio delle analisi XRD GIOVANNI L.A. PESCE ROBERTO RICCI 10 Le cosiddette “malte al caolino” sono un particolare tipo di malta che, a Genova, è stato utilizzato dal tardo medioevo fino ai primi decenni del Novecento per legare o rivestire le murature di costruzioni pubbliche o private, e che era ottenuto aggiungendo al legante (costituito quasi esclusivamente da calce magnesiaca) e all’aggregato, del caolino cotto con la funzione di idraulicizzante (Giordani M., Mannoni T., 1999). Gli impasti prodotti in tale modo possono essere paragonati, per composizione e modalità di preparazione, ad altre, ben più note miscele quali quelle derivate dall’uso della pozzolana o del cocciopesto. A differenza di queste ultime, però, le malte al caolino avevano nel colore bianco una proprietà aggiuntiva che le renderebbe ancora oggi particolarmente interessanti ai fini dell’impiego in strutture a vista. Nel caolino, infatti, contrariamente a quanto capita negli altri idraulicizzanti, vi è la completa assenza di agenti cromofori che possono modificare la colorazione di base degli impasti e costituire in questo modo un elemento di disturbo per alcuni tipi di lavorazione. Le malte al caolino, però, non erano apprezzate solo per la loro neutralità cromatica ma anche per le notevoli proprietà meccaniche e per l’elevata resistenza agli agenti di degrado chimici e biologici che le caratterizzava. Le esperienze realizzate alcuni anni fa dai ricercatori dell’ISCUM sulle strutture del porto tardo-medievale di Genova (Mannoni T., 1996) e le più recenti sperimentazioni condotte nei laboratori delle università portoghesi (Rodrigues P.F., Henriques F.M.A., 2002) documentano in modo inequivocabile tali qualità. Purtroppo, però, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, in conseguenza dell’introduzione di nuovi leganti idraulici nel mercato dei materiali da costruzione, l’uso di questi particolari impasti è andato scemando, fino a scomparire del tutto nei primi decenni del Novecento. Di conseguenza, anche le conoscenze empiriche legate alla produzione di tali miscele sono andate perse e oggi non è più possibile riprodurre impasti con caratteristiche analoghe a quelle delle malte di età moderna o contemporanea (Cucchiara A. et al., 1993; Giordani M., Mannoni T., 1999, p. 98). Di recente però alcuni gruppi di ricercatori afferenti a diversi atenei universitari italiani e stranieri sono tornati nuovamente a interessarsi a queste miscele, avviando ricerche sui meccanismi di reazione tra la calce e il caolino cotto in soluzione acquosa (si veda ad es.: Cara S. et al., 2006). A Genova, le ricerche sulle malte al caolino sono in corso da diversi decenni: le prime indagini risalgono, infatti, a circa vent’anni fa, quando i ricercatori dell’ISCUM hanno avuto modo di studiare le strutture del porto tardo-medievale, perfettamente conservate sotto alle più recenti sovra strutture (Mannoni T., 1988). In tale occasione fu, infatti, identificata – per la prima volta in Liguria e, probabilmente, anche in tutta Italia – la presenza di caolinite nelle malte: un minerale questo che, essendo completamente estraneo alle formazioni geologiche della zona, doveva essere certamente considerato come un’aggiunta intenzionale, basata su ben determinate conoscenze empiriche. Da quei primi ritrovamenti è stata quindi avviata una ricerca sistematica sulla presenza di caolinite nelle malte confezionate a Genova e in Liguria in età preindustriale e il loro studio è passato dai cantieri archeologici ai laboratori di mineralogia e petrografia dell’Università di Genova (Cucchiara A. et al., 1993), fino ad approdare ai laboratori di ingegneria dei materiali, dove sono stati approfonditi alcuni aspetti delle possibili tecniche d’uso (Pesce G., 2006). Da quel primo ritrovamento è stato, così, possibile documentare un’ampia varietà di impieghi bene testimoniata dai risultati delle numerose analisi XRD realizzate nel corso degli anni dai ricercatori dell’ISCUM e recentemente raccolti in una banca dati informatizzata appositamente predisposta. Tale database raccoglie i risultati riportati nelle descrizioni testuali e nei diffrattogrammi interpretati di 178 analisi di malte, realizzate tra il luglio del 1985 e l’ottobre del 2007, su campioni prelevati in numerosi edifici storici di tutta la Liguria. Nelle diverse tabelle in cui sono stati ripartiti i dati, sono contenute informazioni sulla natura e l’incidenza delle fasi cristalline individuate, sulle modalità di realizzazione delle analisi, sulla provenienza dei campioni, ecc., cosicché risulta facile studiare i dati suddividendoli per elemento, composto, tipologia di impasto, periodo di produzione, luogo di provenienza, ecc. Esaminando i dati inseriti nell’archivio risulta facile, ad esempio, verificare come delle 178 analisi ben 17, corrispondenti a circa il 10% del totale, 11 contengano tracce di caolinite. Senza entrare nel dettaglio dei singoli casi, recentemente discussi in un convegno internazionale tenutosi a Lisbona al quale si rimanda per i necessari approfondimenti (Pesce G., Ricci R., 2008), in questa sede può essere utile evidenziare come l’impiego del caolino nelle malte liguri sia stato rilevato in situazioni alquanto differenti. Tracce di caolinite sono state infatti identificate sia nelle malte di allettamento impiegate in ambienti umidi e/o anaerobici quali, ad esempio, quelli del porto di Genova o delle strutture di fondazione di alcuni edifici del centro cittadino, sia in opere di finitura quali intonaci e stucchi. Mentre, però, nel caso delle strutture di fondazione risulta chiaro che l’uso del caolino dev’essere stato determinato principalmente dalle sue proprietà idrauliche, nel caso dei rivestimenti non si può escludere che la preferenza di questo materiale sia stata determinata anche da altri fattori. I due rivestimenti contenenti caolino che sono stati campionati (e che devono ancora essere oggetto di approfondimenti) potrebbero, infatti, essere stati realizzati con caolino anche perché questo materiale risulta privo di colorazione e perché avrebbe potuto conferire una maggiore plasticità all’impasto, oltre a ridurne contemporaneamente il ritiro (comunicazione personale del prof. Tiziano Mannoni). Ciò non toglie che, probabilmente, le murature sulle quali sono stati stesi tali rivestimenti erano soggette anche a fenomeni di umidità di risalita o all’azione diretta dell’acqua piovana, come sembrerebbero indicare sia l’habitus cristallino assunto dal carbonato di calcio che nel campione n°87 è quello dell’aragonite (a tale proposito si veda quanto riportato da: Giordani M., Beruto D., 1987), sia dalla documentazione scritta d’età moderna che testimonia la realizzazione di rivestimenti idraulicizzati proprio per resistere meglio all’azione dell’acqua piovana (Cucchiara A. et al.,1993). Se prendendo spunto dal caso appena visto (in cui è la struttura cristallina di una fase minerale non direttamente legata all’additivo idraulicizzante a fornire indicazioni sulle sue modalità d’uso), ci soffermiamo ad analizzare i risultati delle altre analisi contenute nel database, possiamo cercare di evidenziare altri, possibili aspetti dell’uso del caolino nelle malte di calce magnesiaca. Tra le varie indicazioni che è possibile trarre si può, ad esempio, sottolineare come nelle malte del porto sia presente in quantità sovrabbondante una fase minerale alquanto rara nel resto dei campioni: l’ettringite. Come suggerito dagli stessi ricercatori che per primi hanno affrontato il problema, la formazione di questa fase potrebbe derivare dalla presenza di un particolare “inquinante” in una delle materie prime utilizzate per il confezionamento delle malte e, cioè, l’allume, che nelle miniere della Tolfa si trovava spesso mischiato al caolino. Se, però, tale presenza viene valutata in rapporto alla presenza degli altri solfati presenti nelle analisi raccolte quale, ad esempio, il gesso contenuto nei campioni di stucco, sembra difficile considerare l’ettringite come un semplice inquinamento. Quando rilevato, infatti, tale composto si presenta in quantità molto elevate che, se paragonate a quelle del gesso normalmente presente negli stucchi risultano anche eccessive. Questo dato potrebbe, allora, indicare l’esistenza di una pratica non scritta consistente nell’aggiunta di una certa quantità di allume alle miscele caoliniche, attuata forse per ridurne i tempi di presa e/o indurimento, oltre che per migliorare le proprietà delle malte. Processi analoghi sono, infatti, in corso di studio da parte di alcuni ricercatori stranieri interessati a valutare l’influenza dell’aggiunta di caolino nelle malte cementizie (Böke H., 2003). Similmente al caso dell’ettringite è possibile, inoltre, osservare come, tra le fasi minerali identificate nelle malte in archivio, siano completamente assenti la gehlenite e la stratlingite (o gehlenite idrata), che sono invece presenti in molte delle malte prodotte in laboratorio attraverso la cottura di una miscela di caolino e calce (Traoré K. et al, 2003, p. 380). L’assenza di tali composti nelle malte antiche sembrerebbe dunque suggerire l’ipotesi di processi di cottura separati per i due materiali (caolino e calce, appunto) 12 poiché altrimenti si sarebbero formate le fasi minerali sopra dette, che si ottengono per reazione allo stato solido tra caolino e ossido di calce a temperature relativamente basse (a partire da 873 K). In riferimento alla cottura del caolino è, inoltre, possibile ipotizzare che questa non dovesse avvenire a temperature troppo elevate. Prova ne è la ripetuta individuazione di tracce di caolinite non decomposta nei campioni analizzati che, com’è emerso anche dagli esperimenti degli altri ricercatori precedentemente menzionati, permangono solo se la temperatura di attivazione (cottura) è inferiore alla temperatura di decomposizione del carbonato di calcio (1163 K). Dallo studio della diffrazione dei raggi X delle antiche malte di calce emergono, dunque, particolari interessanti sull’uso del caolino che consentono di spostare ulteriormente il limite della conoscenze su questo particolare tipo di impasto, e la disponibilità di una database informatizzato che contiene i risultati di tutte le analisi XRD realizzate dall’ISCUM su campioni di antiche malte costituisce certamente uno strumento di grande utilità. Gli studi sulle malte al caolino condotti dall’ISCUM, dopo il primo rinvenimento nelle strutture del porto medievale, proseguono adesso con ricerche nella letteratura scientifica disponibile. In uno dei prossimi numeri del Notiziario verranno, infatti, presentati una serie di casi di campionamento di malte contenenti caolino, riferibili ad aree esterne alla Liguria che, tra l’altro, potranno essere utili anche nella comprensione dell’origine di questa particolare tecnologia costruttiva. È chiaro che chiunque sia interessato all’argomento o abbia segnalazioni utili può contattare i responsabili della ricerca, disponibili a qualunque tipo di collaborazione e ai confronti del caso, dato che sono ancora numerosi gli aspetti poco conosciuti di questo interessante argomento. ([email protected]) Bibliografia Böke H., 2003: Ettringite formation in historic bath brick-lime plaster. Cement and Concrete Research, 33, pp. 1457-1464. Cara S. et al. 2006 =Cara S., Carcangiu G., Massidda L., Meloni P., Sanna U., Tampini M., 2006: Assessment of pozzolanic potential in lime-water system of raw and calcined kaolinic clays from the Donnigazza Mine (Sardinia-Italy), in: <<Applied Clay Science>>, 33, n°1, pp. 66-72. Cucchiara A. et al., 1993 = Cucchiara A., Mannoni T., Montagni C., Negretti L., Predieri G., Ricci R., Sfrecola S., 1993: I calcestruzzi “alla porcellana” in Liguria. Atti del Convegno <<Scienza e Beni Culturali. Calcestruzzi Antichi e Moderni: Storia, Cultura e Tecnologia>> IX, Bressanone 6-9 luglio 1993, Libreria Progetto Editore, Padova, pp. 21-30. Giordani M., Beruto D., 1987: Effect of vaporization rate on calcium carbonate nucleation from calcium hydrogen carbonate aqueous solution. Journal of Crystal Growth, 84, pp. 679-682. Giordani M., Mannoni T, 1999: La tecnica degli antichi maestri muratori: identificazione di uno stadio del processo lavorativo attraverso l’analisi chimica e mineralogica di malte idrauliche storiche. Atti del II Convegno <<Materiali e Tecniche per il restauro>>. Cassino 1-2 Ottobre 1999, pp. 91-99. Mannoni T., 1988: Ricerche sulle malte genovesi alla “porcellana”. Atti del Convegno <<Scienza e Beni Culturali. Le Scienze, le Istituzioni, gli Operatori alla soglia degli anni ‘90>>, Libreria Progetto Editore, Padova, pp. 137a-142a. Mannoni T., 1996: Tecniche costruttive portuali: l’esempio genovese. In: Varaldo Grottin F., Sagep Editrice. Porti antichi. Archeologia del commercio. Genova, pp. 26-31. Pesce G., 2006: Ottimizzazione del processo di attivazione termica del caolino impiegato come agente idraulicizzante nelle malte di calce aerea. Il ruolo della pressione parziale d’acqua sulla reattività della metacaolinite. Tesi di Dottorato di Ricerca XVII ciclo, Dipartimento di Edilizia, Urbanistica e Ingegnaria dei Materiali, Università degli Studi di Genova, Genova. Tutor prof. D. Beruto. Pesce G., Ricci R., 2008: The use of metakaolinite as hydraulic agent of aerial lime plasters and mortars. The case study of Genoa (Italy) in: <<Procedings of HMC08 – Historic Mortars Conference>>, Lisbon 24-26 September 2008. Rodrigues P. F., Henriques F. M. A., 2002; The effect of hydraulic components on lime mortars. Act of the World Congress on Husing. Housing Construction – An interdisciplinary Task, Coimbra (Portugal) 9-13 September 2002. Traoré K. et al. 2003 = Traoré K., Kabré T. S., Blanchart P., 2003: Gehlenite and anorthite crystallization from kaolinite and calcite mix. Ceramics International, 29, pp. 377-383. 13 Archeologia e storia del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria SIMONE LERMA 14 La ricerca condotta nell’ambito del dottorato di ricerca Archeologia e storia del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria (Università degli studi di Siena triennio 2001-2004, professori tutors Carlo Varaldo, Marja Mendera) ha cercato di ricostruire un quadro unitario riguardante la manifattura vetraria ligure preindustriale analizzata secondo diversi punti di vista in parte già noti in parte quasi del tutto inediti. In questo senso si sono voluti riprendere gli esiti delle ricerche portate avanti negli anni Novanta del secolo scorso nell’ambito del progetto ISCUM “Archeologia del vetro medievale ligure” e che avevano condotto lo scrivente a incentrare su questi temi anche la propria tesi di laurea. La ricerca è stata impostata fin dall’inizio secondo parametri geografici e cronologici ben precisi: il termine Liguria quindi si deve intendere secondo un’accezione che comprenda anche territori, come il Basso Piemonte e la Lunigiana, la cui vicenda storica è stata sempre molto vicina a quella dell’attuale regione tirrenica. La cronologia presa in esame è compresa tra la fine del IV e l’inizio del XVIII secolo, anche se è necessario sottolineare come il periodo più significativo per la manifattura vetraria ligure preindustriale sia rappresentato dai secoli finali del Medioevo (XIIIXV secolo). I due ambiti che sono stati maggiormente indagati riguardano il consumo e la produzione di manufatti in vetro sul territorio ligure. Lo studio del consumo, quindi di tutti gli aspetti legati al commercio, alla tipologia, ai contesti d’uso dei manufatti, è stato articolato in tre fasi: dapprima la raccolta dei dati tipologici relativi ai manufatti vitrei provenienti da contesti archeologici liguri quindi l’elaborazione di questi dati al fine di costituire una cronotipologia del vetro ligure e, infine, la ricostruzione del consumo dei manufatti in vetro anche in base alle tipologie di contesti d’uso (insediamenti rurali, urbani, …). I contesti studiati sono stati una cinquantina localizzati soprattutto nella Liguria centrale e di Ponente: si tratta per la maggior parte di contesti già editi ai quali si sono aggiunti alcuni ritrovamenti non ancora pubblicati (ad esempio i reperti vitrei provenienti dal monastero cistercense di Santa Maria di Bano - Tagliolo Monferrato – AL). L’analisi che ne è derivata non pretendeva, infatti, di essere esaustiva su tutto il territorio ligure ma voleva costituire un primo tassello su cui costruire la cronotipologia del vetro ligure attraverso l’esame di tutti i reperti in vetro significativi provenienti, per esempio, dai numerosi contesti di scavo noti ma i cui materiali sono ancora del tutto inediti. I dati tipologici dei manufatti in vetro sono stati elaborati con l’immissione dei dati alfanumerici (contesto di provenienza, n. inventario, tipologia del manufatto, colore, dimensioni, ecc...) nella scheda “Vetri” del database messo a punto dal Laboratorio di informatica applicata all’Archeologia Medievale (LIAAM) dell’Università degli Studi di Siena e con l’acquisizione in formato elettronico delle fotografie e dei disegni dei manufatti studiati. Al fine di costruire una griglia tipologica di riferimento, sono state utilizzate alcune forme già messe a punto in alcune precedenti ricerche toscane e alcune inedite (bicchiere, coppa, bottiglia, ecc…). Le forme sono state poi distinte in base alla funzione in vari gruppi: per esempio, il vasellame da mensa e da dispensa che raccoglie dodici forme o la suppellettile da illuminazione che ne comprende solo due. Per ogni forma sono stati riconosciuti diversi tipi che individuano precise caratteristiche morfologiche: così nella forma “bicchiere” si possono ritrovare il bicchiere a gocce applicate, quello con piede ad anello vuoto e così via. Per ogni tipo, vi possono, inoltre, essere particolari elementi che distinguono alcuni sottotipi. L’analisi dei vari tipi riconosciuti con i relativi dati quantitativi è stata organizzata per periodi: per esempio periodo tardoantico: fine IV – V secolo, periodo altomedievale: VIII-X secolo, fino all’età moderna: XVI – XVIII secolo. Il riconoscimento dei tipi attestati in ambito regionale in un dato periodo è stata visivamente facilitata dalla realizzazione di tavole sinottiche che costituiscono la basa grafica della cronotipologia. La distribuzione territoriale dei diversi tipi ha permesso di giungere all’analisi dei contesti d’uso e del consumo dei manufatti in vetro nelle varie aree regionali attraverso l’elaborazione di carte di distribuzione. L’osservazione di queste ultime ha permesso di distinguere due precise tendenze evidenti a partire dall’XI secolo che confermano alcune analisi condotte in anni precedenti da altri ricercatori: il Ponente ligure rivela in generale stretti contatti con l’area provenzale dato che i repertori tipologici dei manufatti in vetro delle due aree mostrano evidenti somiglianze. Nel Genovesato, almeno per quanto riguarda i pochi contesti disponibili, sono maggiormente evidenti le somiglianze con le tipologie rinvenute nei siti toscani coevi. Alcuni contesti eccezionali si collocano, invece, al di fuori di queste tendenze generali, come il monastero cistercense di Santa Maria di Bano (Tagliolo Monferrato – AL) che mostra un vasto repertorio tipologico caratterizzato da manufatti legati non solo alle produzioni provenzali, liguri e toscane. Parallelamente sono state riprese le ricerche relative alle tecniche produttive utilizzate nelle vetrerie liguri di età preindustriale. Si è meglio definita la rete di poli produttivi vetrari, attivi soprattutto tra il XIII e il XV secolo, sparsi nell’Appennino ligure tra le attuali province di Alessandria, Genova e Savona. Da una parte le fonti archeologiche, surveys e campagne di scavo condotte dall’ISCUM, hanno consentito, in alcuni casi, di precisare meglio le caratteristiche della produzione anche attraverso l’individuazione delle risorse naturali utilizzate nel ciclo di produzione e lavorazione del vetro. Dall’altra la documentazione d’archivio già nota, organizzata in un database informatizzato, hanno permesso l’approfondimento delle conoscenze riguardanti le maestranze impiegate nella manifattura, i rapporti di lavoro, il ruolo dei gruppi famigliari. È stata evidenziata un’evoluzione nella gestione delle vetrerie soprattutto a partire dal XVI secolo quando, accanto ai produttori di Altare (SV), borgo da sempre legato alla manifattura vetraria, si affiancano anche gli “imprenditori” e il Comune di Genova. Tra il XVI e il XVIII secolo mutano, quindi, anche le localizzazioni delle fornaci e si delinea una nuova rete di vetrerie. Le attività di scavo condotte in alcune vetrerie sia negli anni Settanta che negli anni Novanta del secolo scorso (vetrerie di Monte Lecco e VeireraGargassa), avevano fornito, inoltre, ingenti quantità di reperti qualificabili, per la maggior parte, come indicatori di produzione e lavorazione cioè materiali legati alle varie operazioni tecniche svolte nel ciclo della manifattura vetraria. Tali reperti sono certamente quelli che meglio permettono di indagare i vari aspetti della tecnologia adottata nelle vetrerie liguri di età preindustriale e per questa ragione, l’ultima parte della ricerca si è concentrata su di essi. Quali contesti di provenienza dei materiali studiati sono stati appunto scelti la vetreria di località Veirera in Val Gargassa (Rossiglione – GE) databile alla metà del XIII secolo e la vetreria di Cian da Veeja presso il Monte Lecco (Passo della Bocchetta – GE) attiva tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo). I due siti sono stati scelti in quanto le numerose tipologie di indicatori presenti hanno fatto ipotizzare la realizzazione dell’intero ciclo produttivo e la possibilità di portare avanti lo studio su una campionatura più ampia ed affidabile, inoltre la scelta permetteva di porre a confronto produzioni di epoche e aree geografiche diverse. Lo studio è stato avviato con la creazione di un sistema di classificazione macroscopica degli indicatori suddivisi in tre grandi gruppi: gli indicatori di produzione che riuniscono scarti o rifiuti legati alle fasi di preparazione, fusione e raffinazione della miscela vetrificabile e della massa vetrosa, gli indicatori di lavorazione che comprendono materiali legati alle fasi di realizzazione e raffreddamento dei manufatti finiti a partire da una massa 15 vetrosa raffinata. Vi sono poi quegli indicatori che possono essere definiti “indiretti” in quanto comprendono le strutture, i materiali di costruzione delle fornaci, gli strumenti ed attrezzi (crogioli, attrezzi metallici, ecc...) indispensabili per portare avanti il produttivo, costituendone testimonianza ma che non ne sono il risultato diretto. La classificazione degli indicatori delle categorie sopra richiamate è stata realizzata anche mediante la predisposizione di un catalogo utile ad un più corretto riconoscimento delle diverse tipologie anche attraverso l’apporto etnoarcheologico costituto dal confronto tra i materiali delle vetrerie liguri e alcune attività di archeologia sperimentale. Le problematiche emerse durante la catalogazione macroscopica degli indicatori hanno potuto essere in parte risolte attraverso un percorso di analisi archeometrica, che ha visto una continua collaborazione tra archeologo e archeometra, portato avanti presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Pavia grazie alla disponibilità dello staff del Laboratorio di Scienze dai Materiali Antichi (SMALab), guidato dal Prof. Bruno Messiga, e in particolare della Prof.ssa Maria Pia Riccardi e della Dott.ssa Elena Basso. Il lavoro svolto presso il laboratorio pavese si è sviluppato in tre fasi a partire dall’esame dei reperti al microscopio stereoscopico con il duplice intento sia di chiarire meglio, ed eventualmente correggere, l’interpretazione condotta a livello macroscopico sia di individuare le tipologie che presentavano grandi problemi identificativi e che, al contempo, potevano fornire maggiori informazioni sul processo produttivo da cui erano stati scartati. Nella seconda fase, i reperti più significativi sono stati sottoposti alla preparazione per l’esame al microscopio ottico, al microscopio elettronico e all’analisi composizionale con microsonda elettronica. Infine, i dati raccolti sono stati utilizzati per mettere a punto una migliore definizione ed interpretazione dei reperti. Le analisi tessiturali e composizionali hanno consentito di riconoscere le disomogeneità presenti nella massa vetrosa dei campioni; nei casi in cui le disomogeneità consistevano in minerali relitti, cioè in componenti delle materie prime non completamente fusi, l’analisi della loro composizione chimica ha portato alla ricostruzione delle ricette di produzione impiegate nelle due vetrerie attraverso l’individuazione dei tre gruppi di elementi fondamentali: vetrificanti (Silice e Alluminio), stabilizzanti (Calcio e Magnesio) e fondenti (Sodio e Potassio). Sia a Gargassa sia a Monte Lecco è stato possibile confermare l’utilizzo di materie prime locali quali il quarzo come fonte principale di Silice mentre sono evidenti delle variazioni per quanto riguarda l’impiego degli stabilizzanti e dei fondenti cioè di quegli elementi che, rispettivamente, furono indispensabili per dare alla massa vetrosa una sicura stabilità chimica e per abbassare la temperatura di fusione della miscela vetrificabile altrimenti non raggiungibile nelle fornaci medievali. L’analisi degli indicatori di Gargassa hanno evidenziato l’uso di uno stabilizzante dolomitico (costante correlazione positiva tra Calcio e Magnesio) e di un fondente sodico (ceneri sodiche di piante quali la Salsola kali che crescevano sulle coste del Mediterraneo) con percentuali minori di Potassio. La ricetta usata a Gargassa non si ritrova, invece, a Monte Lecco dove la compresenza di Sodio e Potassio in percentuali simili può essere attribuita all’utilizzo di un fondente ad alcali misti (ceneri sodiche e potassiche queste ultime ricavate da felci o da specie arboree come il faggio diffuse nei boschi dell’Appennino). A Monte Lecco, inoltre, è stato messo in luce un costante impiego di riciclaggio di rottame di vetro proveniente dalla stessa vetreria. Le due ricette sembrano, allora, legate a momenti differenti della manifattura vetraria ligure: Gargassa nel XIII secolo vicina a produzioni sodiche di ispirazione “vicino-orientale”, Monte Lecco nel XIV-XV secolo inserita in un economia maggiormente autarchica che imponeva l’esclusivo utilizzo di materie prime locali. 16 La ricostruzione della manifattura vetraria ligure preindustriale può contare, al momento, sui punti fermi portati da questa ricerca ma ancora molto rimane da fare soprattutto per l’ampliamento, da una parte, della cronotipologia in modo che essa possa divenire maggiormente rappresentativa anche per cronologie o aree geografiche per ora ancora carenti di dati e, dall’altra, della corretta classificazione e interpretazione di quelle classi di reperti che soli possono informare su quegli aspetti tecnologici, prima richiamati, per i quali le altre fonti sono del tutto carenti. Dopo la conclusione del Dottorato, la ricerca sul vetro ligure sta procedendo con il completamento dello studio dei reperti vitrei provenienti da alcuni dei contesti sopra citati: • Scavo del monastero cistercense di Santa Maria di Bano (Taglio Monferrato – AL) (direzione Enrico Giannichedda); • Scavo dei giardini di Palazzo del Principe di Genova (direzione Marco Biagini); • Castello di Campo Ligure (GE) (direzione Enrico Giannichedda). Si sta inoltre provvedendo alla pubblicazione dei dati raccolti durante lo studio archeologico ed archeometrico degli indicatori di produzione del vetro provenienti dallo scavo delle vetrerie di località MoglioleCairo Montenotte (SV) e soprattutto di Monte Lecco-Passo della Bocchetta in collaborazione con Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi. (e-mail: [email protected]) Bibliografia: M. Calegari, D. Moreno, Manifattura vetraria in Liguria tra XIV e XVII secolo, «Archeologia Medievale» 1975 (II), pp. 13-29; S. Fossati, T. Mannoni, Lo scavo della vetreria medievale di Monte Lecco, «Archeologia Medievale» II, 1975 (II), pp. 31-97; G. Malandra, I vetrai di Altare, Savona, 1983. E. Giannichedda, S. Lerma, T. Mannoni, B. Messiga, M.P. Riccardi, Archeologia del vetro medievale in Liguria, in “Atti II Congresso Nazionale di archeologia medievale”, a cura di G. P. Brogiolo, Brescia 28 Settembre-1 Ottobre 2000, Firenze, 2000, pp. 462-467; E. Giannichedda, E. Riccardini, S. Lerma, A. Pesce, Santa Maria di Bano (Tagliolo Monferrato), in Tra Romanico e Gotico, percorsi di arte medievale nel millenario di San Guido (1004 – 2004) Vescovo di Acqui, a cura di S. Arditi, C. Prosperi, Acqui Terme, 2004, pp. 55-59; M. Mendera, F. Fenzi, M. Galgani, E. Giannichedda, P. Guerriero, S. Lerma, B. Messiga, M.P. Riccardi, P. Vigato, Archaeology of glass: medieval and renaissance production in Italy. Characterisation and classification of production indicators: an interdisciplinary approach, in Annales du 16e Congrés de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre, London 7th-13th September 2003, Bristol, 2005, pp. 223-226; S. Lerma, Archeologia e storia del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria, Tesi di dottorato in Archeologia Medievale, Università degli Studi di Siena, XVII Ciclo (A.A. 2001-2004), discussa a Siena il 6 Giugno 2005; E. Giannichedda, G. Deferrari, S. Lerma, B. Messiga, M. P. Riccardi, A. Santagostino, La vetreria della Val Gargassa, Rossiglione (GE), in “Archeologia Medievale”, 2005 (XXXII), pp. 53-76; “L’archeometria in Italia: la scienza per i beni culturali” III Congresso Nazionale AIAr, Bressanone, 11-12 Febbraio 2004. Altre attività 3° workshop: “Open Source Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica” STEFANO COSTA GIOVANNI L.A. PESCE Si è tenuta giovedì 8 e venerdì 9 maggio 2008 la terza edizione del workshop nazionale “Open Source Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica”, incentrata sull’uso di programmi a “sorgente aperto” (e, dunque, leggibile e modificabile da chiunque) e sull’adozione di formati standard (le cui specifiche sono, cioè, pubblicamente codificate) nell’ambito della ricerca archeologica. Questa terza edizione dell’incontro, alla quale l’ISCUM ha partecipato sia come ente patrocinatore sia con un proprio rappresentante nel comitato scientifico, è stata organizzata a Padova dal Dipartimento di Archeologia della locale Università. Tale edizione fa seguito all’incontro organizzato a Genova nel 2007 dall’ISCUM e dalla locale sezione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri (maggiori informazioni su questo evento sono reperibili all’URL: http://workshop07.iosa.it) e a quello organizzato nel 2006 a Grosseto dal Laboratorio di Analisi Spaziale e Informatica 17 Applicata all’Archeologia, del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università degli Studi di Siena (maggiori informazioni su questo evento sono, invece, reperibili all’URL: http://www.archeogr.unisi.it/asiaa/open/). La prima giornata del workshop di Padova è stata interamente dedicata alle presentazioni introduttive di alcuni software open source attualmente utilizzati in archeologia e alle esercitazioni pratiche sull’uso della distribuzione ArcheOS (una distribuzione Linux appositamente pensata e realizzata per l’archeologia, che contiene solo software open source) e dei programmi in essa contenuti. Presentazioni ed esercitazioni si sono svolte presso il Dipartimento di Statistica dell’Università di Padova ed hanno visto una partecipazione di pubblico che è andata ben oltre le aspettative, dato che il numero degli iscritti era superiore a 50. Le presentazioni orali dei lavori svolti e le discussioni pubbliche sui principali temi dell’incontro si sono, invece, tenute nella giornata di venerdì, suddivisa in una sessione mattutina e una sessione pomeridiana. Durante la sessione del mattino sono state presentate le relazioni sui lavori realizzati con solo software libero che, al contrario di quanto è capitato negli anni precedenti, pur parlando di programmi informatici hanno lasciato in secondo piano le questioni prettamente “digitali” e hanno dato ampio spazio alle questioni più spiccatamente archeologiche. Meno informatica e più archeologia, dunque: un’equazione che si è cercato di realizzare fino dalla prima edizione dell’incontro e che quest’anno è stata raggiunta anche grazie alla volontà del comitato scientifico di perseguire con forza, attraverso le selezioni fatte, il suddetto risultato. Nel pomeriggio della stessa giornata, dedicato alla circolazione dei dati e alla questione dei diritti nelle ricerche archeologiche, sono emersi molti spunti, idee e una decisa volontà di collaborazione tra i diversi soggetti presenti. Al workshop si è vista, infatti, la partecipazione e il coinvolgimento di tanti studenti, professionisti (rappresentati anche dalla Confederazione Italiana Archeologi) e rappresentanti di enti pubblici che hanno chiaramente cercato di superare un’ideologia di scontro, calandosi assieme in un’ottica di collaborazione. Tra le varie istituzioni pubbliche, oltre alla Soprintendenza del Trentino, erano presenti anche rappresentanti del progetto Fastionline (un progetto legato all’ICCD) e alcuni rappresentanti del CNR, che sarà l’organizzatore della prossima edizione del workshop. Questa partecipazione fa ben sperare per quanto riguarda la capacità di incidere a livello nazionale sia quando si tratterà di decidere su questioni tecniche (cioè a livello di software) sia quando si tratterà di decidere in merito all’apertura degli archivi e all’informatizzazione dei processi di ricerca archeologica. Tra gli altri aspetti di grande importanza emersi dal workshop vi è certamente l’ampia partecipazione di professionisti (tra cui i soci della Arc-Team s.r.l. e della Cooperativa Parsifal) sia tra i relatori che tra le file del pubblico; uscire dall’accademia è sempre una cosa utile, dato che quello in oggetto è un settore lavorativo di non facile approccio. Riguardo alla condivisione dei dati, invece, bisogna sottolineare che sono stati fatti importanti passi avanti. Questo anche perché al termine dell’incontro dello scorso anni ci si è resi conto che prima di parlare di licenze libere è necessario comprendere gli aspetti giuridici della titolarità dei diversi diritti legati alla ricerca archeologica. Gli interventi dell’avvocato Baldo e di Federico Morando, in questo senso, hanno permesso di evidenziare con chiarezza che da un lato esistono le condizioni giuridiche (ma non sempre quelle burocratiche) per permettere una libera circolazione dei dati archeologici e che, d’altra parte, una volta chiariti quali sono i titolari dei diversi diritti, compreso il diritto d’autore, sono disponibili semplici strumenti quali, ad esempio, le licenze Creative Commons che permettono di riservare solo una parte dei diritti e che, dunque, consentono una più facile circolazione di dati evitando di bloccare la produzione intellettuale di un libro in un cassetto. L’intervento fortemente programmatico che in tale senso ha fatto il rappresentante della Confederazione Italiana Archeologi 18 ha evidenziato molto chiaramente la portata della questione quando valutata a livello professionale. Le domande poste a tale proposito, come era auspicabile (prima) e prevedibile (poi), sono state molte, al punto tale che non è stato possibile risolverle tutte per problemi di tempo. La presentazione del progetto Fastionline ha permesso, invece, di avere una idea dei possibili scenari di studio, ricerca e tutela che avremo a disposizione quando (e se) finalmente tutte le parti interessate inizieranno a collaborare invece che a porsi in una posizione di conflitto. Come note a margine di questa breve descrizione è, infine, possibile sottolineare la bassa età media dei partecipanti (circa trent’anni) ed il fatto che durante l’incontro è risultata davvero palpabile la necessità di tornare a parlare di politica archeologica in Italia. Alla generazione cresciuta professionalmente negli anni ‘80 questo può sembrare banale o superfluo, ma se in un workshop che avrebbe dovuto affrontare problematiche quasi esclusivamente tecniche si è finito per parlare di clausole contrattuali significa, probabilmente, che questo tipo di incontri sta svolgendo anche la funzione di valvola di sfogo per un problema che è, quantomeno, reale e concreto. Chi fosse interessato a comprendere meglio quanto emerso dalle discussioni fatte durante l’incontro di Padova, può trovare maggiori informazioni nel relativo sito Internet, all’URL: http://www.perseo.lettere. unipd.it/workshop08/doku.php, dal quale è anche possibile scaricare i riassunti delle comunicazioni presentate sia in forma orale che come poster, le slide proiettate e i tutorial realizzati sull’uso di alcuni programmi liberi attualmente utilizzati in archeologia. Nota. Al momento della pubblicazione di questo numero del Notiziario sono già concluse la quarta e quinta edizione del Workshop organizzate, rispettivamente, dell’ITABC del CNR e del Laboratorio di Archeologia digitale del Dipartimento di Scienze Umane dell’Univrsità di Foggia. Maggiori dettagli su questi eventi saranno riportati nel prossimo numero del Notiziario. Bibliografia Iscum: 2004-2008 Undicesimo aggiornamento del catalogo generale (I) Metodi e problemi, storia della cultura materiale MANNONI T., Esiste una scuola ligure di archeologia?, in “Ligures”, 1, 2003, pp. 7-16. MANNONI T., Aspetti di topografia antica e di archeologia cristiana dei territori della Lunigiana occidentale, in “Giornale Storico della Lunigiana”, LIV n.s., 2003, pp. 17-22. PITTALUGA D., Architettura storica - architettura partecipata. 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Arcadia Ricerche, Venezia, 2004, pp. 455-464 e Tav. 14. GIANNICHEDDA E., Alterazioni a distanza, in “Archeo”, XX, 5 (231), 2004, pp. 106-109. (vedi NAM nn: 33, 40, 41, 56-57, 69-70, 73, 74, 75, 77) Nella presente bibliografia non sono compresi i lavori pubblicati sul NAM e le recensioni. 19 GIANNICHEDDA E. (a cura di), Metodi e pratica della cultura materiale. Produzione e consumo dei manufatti, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Bordighera, 2004, p. 200. GIANNICHEDDA E., La preistoria non c’è più, in “Archeo”, XX, n. 9 (235), 2004, pp. 104-107. GIANNICHEDDA E., GOODSON C. J., Una storia americana, in “Archeo”, XX, 10 (236), 2004, pp. 44-53. MANNONI T., GIANNICHEDDA E., Arquelogía de la producción, Editorial Ariel, Barcellona, 2004, p. 358. MANNONI T., L’analisi critica nei problemi di cultura materiale: il caso dei torchi antichi, in Archeologia del territorio, a cura di M. de Vos, Trento, 2004, pp. 171-176. MANNONI T., Modi di conoscere la storia con l’archeologia, 3. 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