ORIENTAMENTI ISCUM

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ORIENTAMENTI ISCUM
In memoria di Luciana Sorarù Mannoni 3
ORIENTAMENTI
F. VARALDO GROTTIN
La didattica della storia 3
ISCUM
Ricerche
S. FOSSATI, G.L.A. PESCE, A. DECRI
Lo studio della provenienza del legno
attraverso l’analisi delle curve di accrescimento 8
E. TORRE
Primi restauri sul sito di Monte Zignago (SP) 9
Ricerche in collaborazione e confronti
G.L.A. PESCE, R. RICCI
La diffusione e l’uso delle “malte al caolino”
attraverso lo studio delle analisi XRD 10
S. LERMA
Archeologia e storia del vetro preindustriale:
produzione e consumo in Liguria 14
Altre attività
S. COSTA, G.L.A. PESCE
3° workshop: Open Source Free Software e Open
Format nei processi di ricerca archeologica 17
Bibliografia Iscum 2004-2008
Undicesimo aggiornamento del catalogo generale 19
L’ISCUM è una associazione costituita nel 1976 al fine di promuovere,
organizzare e condurre la ricerca pluridisciplinare e interdisciplinare
nell’ambito dell’archeologia: vi operano attualmente cinquantuno membri.
Sezioni operative: archeologia di scavo e di superficie; archeologia
del costruito; archeometria (dendrocoronologia, archeozoologia,
paletnobotanica e geoarcheologia); storia della cultura materiale; biblioteca.
Convenzioni per la ricerca con l’Istituto Internazionale di Studi Liguri e con
i Dipartimenti dell’Università di Genova: di Archeologia e Filologia classica,
di Edilizia, Urbanistica e Scienze dei Materiali, di Scienza per l’Architettura,
di Storia Moderna e Contemporanea, per lo Studio del Territorio e delle sue
Risorse.
I lavori a stampa prodotti dai membri dell’ISCUM fino al 2008 (si veda
NAM nn: 33, 40, 41, 49, 33, 40, 41, 56-57, 69-70, 73, 74, 75 e 78) sono
1428, così raggruppati:
(I) Metodi e problemi, storia della cultura materiale 158, (II) Archeologia
urbana 97, (III) Archeologia e storia del territorio 354, (IV) Studio di
manufatti 127, (V) Archeologia della produzione 185; (VI) Archeologia
dell’architettura 282; (VII) Archeometria 225.
Il Notiziario di Archeologia Medioevale è un foglio di prima informazione
che esce dal settembre 1971.
Copia in formato pdf del presente numero è scaricabile sul sito dell’ISCUM
http://www.iscum.it
ISCUM – ISTITUTO DI STORIA DELLA CULTURA MATERIALE
Sede c/o Museo di S. Agostino, Piazza Sarzano, 35r, Genova
e-mail: [email protected]
Redazione: A. Boato, D. Cabona, I. Chiappe, E. Giannichedda
Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Genova n° 38/32.
Direttore Responsabile: Tiziano Mannoni
Edizioni di Storia della Cultura Materiale
ISSN 0393-7402
Cari lettori,
dopo un lungo periodo di assenza esce il numero 78 del
Notiziario. Mentre era in stampa, il 17 ottobre, è improvvisamente e
inaspettatamente mancato Tiziano Mannoni, che ne era il Direttore.
La redazione ne dà annuncio, profondamente addolorata.
Viste le difficoltà incontrate nella realizzazione del presente numero
e dopo questa grave perdita, non sappiamo ora prevedere se il NAM
continuerà ad uscire secondo la formula editoriale consueta o se si
troveranno altri modi di comunicazione.
Vi invitiamo quindi a consultare il sito dell’Istituto di Storia della Cultura
Materiale (www. iscum.it), dove il presente numero è scaricabile in
formato pdf e dove troverete successive informazioni.
La redazione
TIZIANO MANNONI
3 settembre 1928 - 17 ottobre 2010
In memoria di
Luciana Sorarù Mannoni
Si è allontanata da noi in punta di piedi, in silenzio. Così Luciana Sorarù
Mannoni ha lasciato questo mondo.
Una Signora che ha vissuto per tantissimi anni a fianco del suo “Tizio”
sempre pronta ad accompagnarlo qualunque fosse la meta: un rifugio sulle
Alpi Apuane, una vecchia scuola abbandonata adibita a cantiere di scavo
o, come negli ultimi anni, sui passi alpini che le ricordavano le sue origini
ladine.
All’interno dell’ISCUM si era ritagliata uno spazio che non dava visibilità
ma di grande responsabilità. Curava in prima persona la redazione del
NAM (Notiziario di Archeologia Medievale), era il factotum, correggeva le
bozze, impaginava.
Seguiva la vita dell’Istituto con assiduità nelle riunioni del venerdì sera e
durante le Assemblee generali, dopo aver ascoltato tutti, non mancava di
puntualizzare le eventuali lacune e di incoraggiare a proseguire le ricerche
quando queste incontravano ostacoli che sembravano insormontabili.
Come non si può ricordare la sua pazienza e precisione. Nell’ottobre del
1978 insieme a Onofrio Pizzolo e a Isabella Ferrando riuscì, grazie alla
sua caparbietà a salvare l’archivio storico del comune di Zignago ormai
destinato, data la sua precarietà, al macero.
“Metteva in bella” gli articoli di Tiziano, prima scrivendoli con la Olivetti
lettera 22 e successivamente con il Computer, al suo fianco aveva sempre
il Dizionario della lingua italiana e il Dizionario dei sinonimi.
Solo tre volte, e su insistenza di Tiziano appare come coautrice: la prima
nell’articolo “Per una storia regionale della cultura materiale: i recipienti
in Liguria” pubblicato nei Quaderni Storici dove il suo apporto all’Archivio
di Stato fu fondamentale nella lettura e trascrizione dei notai genovesi; la
seconda nel volume “Il marmo, materia e cultura” e la terza “Il porto di
Carrara, storia e attualità”.
Il suo modo di agire deve farci ricordare che la ricerca non ha bisogno di
personalismi esasperati ma di persone che credono fermamente in quello
che fanno con umiltà e perseveranza.
Orientamenti
La didattica della storia
FLAVIA VARALDO GROTTIN
“Caro Delio, …. io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando
avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda
gli uomini, quanti più uomini possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto
si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi,
non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?...”. Queste sono le
parole di Antonio Gramsci, scritte al figlio e tratte da Lettere dal carcere,
con cui inizio in genere le mie lezioni di storia nelle prime classi del liceo
per introdurre la discussione sul “perché studiare la storia”. A questo testo
faccio, poi, seguire l’ascolto della canzone del cantautore Francesco De
Gregori, La storia e dietro suggerimento di un alunno Buona notte all’Italia
di Luciano Ligabue. Bisogna dire che almeno in questa parte iniziale
quasi tutti gli alunni, se non hanno avuto esperienze negative durante il
loro corso di studi precedente, si dicono molto interessati allo studio della
storia. A volte, però, durante l’anno questa spinta si affievolisce e deve
sempre essere alimentata dal docente. Ed è da questa esigenza continua
di motivare allo studio della storia i miei alunni compresi tra i 14 e i 19 anni
e i miei tre figli, anche loro nell’età dell’adolescenza, che partono le mie
riflessioni sulla didattica della storia, confrontate con un gruppo di miei
studenti particolarmente interessati a questo tema (attuali classi III e IV B
del Liceo Maria Ausiliatrice di Genova).
Sempre più appare evidente, ai giorni nostri, l’importanza di ricordare le
proprie radici a una società che tenta di vivere solo nel presente. Per la
categoria degli archeologi che sono anche insegnanti, animatori culturali o
guide turistiche riflettere sulla didattica della storia e condividere materiali
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ed esperienze diventa un imperativo. Gli appelli di psicologi, psichiatri e
studiosi della realtà giovanile ci richiamano al nostro compito di educatori
di coscienze, in un mondo vuoto d’ideali e di prospettive future. A questo
proposito sono significativi i saggi di Vittorino Andreoli, Lettera a un
insegnante, Milano, Rizzoli 2006, Umberto Galimberti, L’ospite inquietante.
Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli 2007 e Daniel Pennac, Diario di
scuola, Milano, Feltrinelli 2008. Sul tema della didattica della storia i testi
diretti agli insegnanti, a corredo dei libri scolastici, sono ormai numerosi.
Cito tra gli altri uno particolarmente curato di Lorenzo Argentieri, Al centro
della storia. Guida per l’insegnante, Milano, 2008, Le Monnier Scuola. Ai
miei alunni è servito anche da spunto di riflessione l’articolo apparso sul
“Corriere della Sera” il 25 febbraio del 2008 dal titolo Saper la Storia (con
le date) serve a capire chi siamo di Francesco Alberoni.
L’impegno principale dei docenti oggi è fornire una visione ampia della
storia in tutti i suoi aspetti non solo avvenimentali e politici, ma materiali,
ambientali, economici, sociali, scientifici e tecnologici, così come la scuola
degli storici francesi (Braudel, Le Goff, …) e quella dell’Europa orientale
ci hanno mostrato. La Liguria è sempre stata all’avanguardia negli studi
storico-archeologici con l’Istituto di Studi Liguri, l’ISCUM, il Centro Studi
Lunensi e l’Istituto di Storia Moderna dell’Università di Genova. Bisogna
dire che un’impostazione moderna è stata da anni recepita da gran parte
dei libri di testo scolastici, che soprattutto per la storia antica e medievale
forniscono un ricco apparato iconografico, tra cui foto di reperti, ricostruzioni
storiche che illustrano aspetti della vita quotidiana nelle varie epoche, e
approfondimenti monografici sulla storia di lunga durata. L’importante è
scegliere un manuale approfondito e completo nell’impianto narrativo, in
grado di raccogliere l’esuberanza della nuova didattica, facendo in modo
che la curiosità non cada in eclettismo e la varietà in superficialità (a questo
proposito si veda la premessa del libro per il biennio di scuola superiore
di De Corradi B., Giardina A., Gregori B., Dal Mediterraneo all’Europa.
Lineamenti di Storia antica e medievale, Laterza & Figli, Roma-Bari, 2005).
Per la mia personale esperienza d’insegnante di lettere in un liceo
sperimentale di Genova, posso dire che gli studenti hanno bisogno di uno
studio sistematico che comprenda tutto il percorso della storia dell’uomo.
Gli alunni, pur essendo a volte più attratti dalla storia del Novecento e in
particolare dal fascismo e dal comunismo, si interessano anche alla storia
antica e medievale. Oltre all’apprendimento delle tappe principali della
storia dell’umanità dalla comparsa dell’uomo sulla terra ad oggi, distribuita
lungo i cinque anni di scuola superiore, l’alunno deve arrivare alla fine della
suo percorso didattico ad avere gli strumenti per interpretare il presente e
proiettarsi nel futuro. I ragazzi, per fortuna, sono concreti e vogliono sapere
in che modo avvenimenti e mentalità del passato influenzano ancora la
loro vita e il mondo di oggi. E allora per collegare il passato al presente e
viceversa viene in aiuto l’archeologia globale, soprattutto con la visione
diretta delle testimonianze archeologiche e architettoniche del passato. In
Italia siamo facilitati dall’avere a portata di mano testimonianze storiche di
ogni epoca. Per esempio da Genova sono facilmente raggiungibili anche
in giornata aree archeologiche importanti come Ventimiglia e Luni, o città
storiche, come Aosta, Siena, Lucca, Pisa, Mantova solo per citarne alcune.
Anche rimanendo in città gli studenti genovesi sono facilitati perché hanno
a disposizione per i loro studi il centro storico ancora conservato più grande
d’Europa. La visita alla città e ai suoi musei diventa utile per un maggior
collegamento degli alunni alla realtà urbana. In particolare Genova,
essendo stata una città importante durante il medioevo e l’età moderna,
offre numerose testimonianze materiali, oggi più valorizzate che in passato.
La città, infatti, dalle celebrazioni colombiane del 1992, che hanno visto
l’apertura al pubblico dell’area del Porto Antico e di Palazzo Ducale, ad
oggi è stata interessata da lavori importanti di ristrutturazione, restauro
e valorizzazione. Il polo del Porto antico con il moderno allestimento del
Museo del mare, offre spunti di riflessione sul Medioevo e l’Età Moderna,
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fino ad arrivare con la mostra “LaMerica”, ormai diventata parte integrante
del museo, a considerare la storia dell’emigrazione italiana del Novecento
verso le Americhe. Fa parte, inoltre, dell’Istituzione Musei del Mare (MU.
MA.) la Commenda di San Giovanni di Prè, antico ospizio medievale
gestito dai Cavalieri di San Giovanni, detti poi di Malta. L’antico ospitale ha
aperto recentemente con un nuovo allestimento multimediale in forma di
museo teatro dedicato al tema dei pellegrinaggi verso la Terrasanta e delle
crociate. Manca ancora, però, un museo della città dove prendano forma
tutti i lavori di archeologia portati avanti dalla Soprintendenza Archeologica
della Liguria, dall’ISCUM e dalla Facoltà di Architettura.
Lo studio del periodo antico e medievale è, in genere, limitato nei manuali
delle superiori all’analisi dell’area europea e mediterranea, spingendosi
fino al fiume Indo per il cosiddetto “Medio Oriente”. La situazione cambia,
naturalmente, per l’età moderna e contemporanea perché, dalla scoperte
geografiche in poi, lo sguardo si allarga a tutto il mondo. Anche se esistono
libri di testo di storia che trattano anche delle antiche civiltà cinesi, indiane,
precolombiane sovente questa parte viene saltata dagli insegnanti. E’
utile, perciò a questo proposito, che l’insegnante di lettere approfondisca
nel biennio la storia dei paesi extraeuropei nelle ore di geografia con un
buon libro di testo. Agli studenti interessa non solo il passato del mondo
occidentale, ma anche delle altre culture del mondo con cui loro si trovano
a confrontarsi avendo compagni provenienti da terre anche molto lontane,
portatori di lingue e culture molto diverse dalle nostre. In un mondo sempre
più globale e multietnico questo aspetto della conoscenza della storia
mondiale non dovrebbe essere trascurato. Quest’anno studiando i vari
gruppi linguistici del mondo, gli alunni si sono entusiasmati nel confrontare
le lingue europee direttamente con quelle conosciute da due compagne
indiane: abbiamo subito constatato la somiglianza di diverse parole italiane
con quelle in hindi. Abbiamo visto insieme, ad esempio, che la parola
italiana nome, derivante dal latino nomen, nominis, si dice in hindi name.
La radice nom, infatti, trova riscontro in parole del medesimo significato
in molte lingue antiche e moderne: nel greco onoma, nel sanscrito e
nell’antico persiano nama, nell’antico slavo ime (da cui il russo imja),
nell’antico irlandese ainim, nell’antico germanico namo (da cui l’inglese e
il tedeso name).
Lo studio della storia va, naturalmente, approfondito con la lettura di
alcune fonti scritte, come i documenti d’archivio e soprattutto le opere
storiche e letterarie del passato, greche, latine e in volgare. Fonti letterarie,
ma anche storiche, sono: l’Iliade e l’Odissea per il mondo miceneo e il
medioevo ellenico, Erodoto e Tucidide per l’età classica greca, Tito Livio
e Cesare per il mondo romano, insieme a tanti grandi autori del mondo
classico, Boccaccio col Decameron per l’epopea del mondo mercantile del
Trecento… Sulla modernità di questi grandi storici o letterati del passato,
consiglio la lettura di Viaggio con Erodoto, di R. Kapuscinski, Feltrinelli,
Milano, 2005. Strumenti privilegiati rimangono, nella scuola italiana
dall’Ottocento ad oggi, i romanzi storici a partire naturalmente dalle opere
del nostra letteratura italiana dell’Ottocento I promessi sposi di Alessandro
Manzoni e Le confessioni di un italiano, di Ippolito Nievo, fino ad arrivare
alle opere della fine del Novecento e dei primi anni Duemila, come Il nome
della rosa di Umberto Eco. Vengono letti facilmente dagli studenti Il principe
scalzo, su Enrico IV a Canossa della germanista Laura Mancinelli e Gli
occhi dell’imperatore, su Federico II, sempre della stessa autrice; Lo scudo
di Talos e gli altri numerosi romanzi divulgativi di Valerio Massimo Manfredi,
sul mondo antico, e infine I pilastri della terra e Mondo senza fine di Ken
Follett, ambientati nel Medioevo. Nelle classi dove l’insegnamento della
storia è abbinato a quello d’italiano alla lettura di romanzi faccio seguire
anche la stesura di racconti storici ambientati in uno dei periodi studiati.
Partendo da personaggi realmente esistiti gli alunni devono inventare
una storia verosimile. Gli episodi storici più rappresentati sono stati l’anno
scorso, in una seconda liceo particolarmente ricettiva a questa proposta,
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per l’età romana l’abdicazione di Diocleziano e la battaglia tra Costantino
e Massenzio al Ponte Milvio, per l’età medievale la vita di Maometto, i
Normanni e lo scontro tra longobardi e franchi.
Appare fondamentale riuscire a creare delle banche dati ragionate dei
materiali già esistenti per divulgare la storia: oltre ai racconti e ai romanzi,
si possono presentare agli studenti film, canzoni, fumetti, documentari
televisivi e videogiochi… Tra i film storici sono particolarmente interessanti:
per la preistoria la prima parte del film di fantascienza 2001: Odissea nello
spazio di Stanley Kubrick e La guerra del fuoco, di Jean-Jacques Annaud;
per la storia greca 300, di Zack Snyder, che mette in scena in modo a volte
eccessivamente d’effetto la battaglia delle Termopili durante la seconda
guerra greco-persiana nel 480 a.C., tratto da un fumetto omonimo, e
Alexander, su Alessandro Magno, di Oliver Stones; per l’età romana Il
Gladiatore, ambientato alla fine del II sec. d.C. sotto gli imperatori Marco
Aurelio prima e Comodo poi, per la regia di Ridley Scott e sempre dello
stesso regista per il Medioevo Le crociate del 2005. Anche gli spettacoli
teatrali possono essere preziosi per un discorso storico: quest’anno è
stato molto apprezzato dagli studenti Storia della meraviglia di Maurizio
Maggiani e Gian Piero Alloisio. Come dicono gli autori stessi, che sono poi
anche attori e cantanti sul palcoscenico, l’opera è una guida per ritrovare
lo stupore di essere eredi della storia contadina, della civiltà dell’acciaio e
padri dell’incerto futuro. Molto seguiti dai ragazzi sono anche i documentari
dedicati ad argomenti di carattere storico, come, solo per citarne alcuni,
quelli sulla RAI di Alberto e Piero Angela e sulla rete “La 7” di Valerio
Massimo Manfredi. Anche i fumetti possono far parte di un ragionamento
sulle rappresentazioni di carattere storico, ma naturalmente richiedono un
serio lavoro d’analisi. I fumetti maggiormente conosciuti sono: i Flinstones
di Hanna & Barbera per l’età preistorica, Asterix per l’età romana in Gallia,
Hagar il Vichingo per il Medioevo.
Una considerazione a parte merita lo strumento della ricerca in generale,
che oggi, con l’utilizzo di internet e delle moderne tecnologie informatiche
pone agli insegnanti nuove problematiche. Come scrive Stefano Bartezzaghi
su “La Repubblica” del 29 aprile 2009 nell’inserto del quotidiano intitolato
Se internet studia per te: “I metodi e le pratiche di studio (i gesti, i ritmi, i
materiali) sono cambiati, e non dai tempi di don Milani, ma dall’altroieri…
questa è la scuola ai tempi del computer. Le calcolatrici elettroniche
avevano banalizzato i compiti di algebra dalla metà degli anni Settanta.
I sistemi di scrittura hanno cambiato l’elaborazione di ricerche e tesine
dalla metà degli anni Ottanta. Dai Novanta, oramai, c’è Internet; dal
2000 Google; dall’anno successivo Wikipedia. Un ammontare inaudito di
informazione gratuita, più i metodi più rapidi e raffinati per selezionarla,
più gli strumenti per condividerla. Più naturalmente, il copia e incolla per
acquisirla senza impegnarsi troppo, ché altrimenti ci si stanca”. A questa
riflessione di Bartezzaghi aggiungo anche quella di Alessandro Barrico
che, con il suo testo I barbari. Saggio sulla mutazione del 2006, ci mette
in allerta sul tipo di informazione che possiamo trovare in rete, perché le
pagine maggiormente segnalate da Google sono quelle evidenziate da un
maggior numero di links. Il sistema di selezionamento dei dati di Google
è, perciò, quantitativo e non qualitativo. Inoltre, ho potuto constatare nel
mio lavoro che sempre più gli studenti usano esclusivamente internet, e
anche quando fornisco direttamente i libri su degli approfondimenti di storia
locale o su recenti scavi archeologici, questi vengono nel migliore dei casi
letti, ma poi non inseriti nel testo della ricerca che risulta spesso basato
esclusivamente su quanto trovato sulla rete. Mi è capitato così di sentire
sulla storia preromana e romana di Genova teorie ormai sorpassate dopo
più di trent’anni di scavi e pubblicazioni di archeologia urbana ad opera
della Soprintendenza archeologica della Liguria e dell’ISCUM. Per certi
siti archeologici da me segnalati le notizie su internet sono ancora scarse
e diventa indispensabile ricorrere ai lavori su carta. Se sull’argomento
da approfondire si trovano, invece, molte informazioni in rete, come nel
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caso per esempio degli imperatori romani, il docente deve insegnare a
selezionare le fonti più attendibili. Il metodo della ricerca viene utile, anche,
per impostare la tesina da discutere in sede di esame di maturità, in genere
su un argomento da approfondire in maniera interdisciplinare. Quando
gli studenti sono già stati abituati durante tutto il corso di studi del liceo
ad essere curiosi del sapere, anche attingendo informazioni selezionate
da internet ma rielaborandole con quanto studiato, le tesine risultano
interessanti e personali. Una riflessione è da fare anche per gli studiosi
che devono sempre più preoccuparsi di diffondere le proprie scoperte non
solo su pubblicazioni di carattere scientifico o divulgativo, ma anche sulla
rete. I siti più aggiornati e leggibili sono una delle maggiori occasioni per
essere considerati dall’universo giovanile.
Lo studio serio e appassionato della storia dovrebbe evitare che il passato
diventi “una discarica di rovine”, come sostiene sempre Baricco ne I barbari.
“Mentre per il nostro modello culturale il passato è un tesoro sepolto, e
possederlo significa scavare fino a trovarlo, per il barbaro il passato è
ciò che, del passato, risale in superficie ed entra in rete con schegge del
presente”. Un esempio sono i video giochi o certi film di carattere storico,
dove il passato viene utilizzato in genere in modo spettacolare attingendo
in maniera molto fantasiosa e mischiando elementi senza nessun senso
storico. Esistono, però, anche in questo settore delle opere precise e
curate anche dal punto di vista storico, come il gioco Imperium. Le grandi
battaglie di Roma, Le Guerre puniche, La guerra gallica della RTC (Real
Time Conquest) sulle varie battaglie che vedono Roma protagonista
indiscussa nel Mediterraneo. Già con i libri-game di carattere storico,
apparsi negli anni Ottanta, si erano registrate due tendenze: quella più
fantasiosa e priva di riferimenti storici concreti e quella sempre ludica, ma
seria e approfondita. Ricordo, a questo proposito, di aver letto un libro
game, scritto da uno storico francese, su un mercante che, nel Trecento,
dalle fiere della Champagne arrivava in Italia. L’impegno degli insegnanti,
perciò, deve essere non solo quello di presentare alle nuove generazioni
il sapere in un modo più accattivante, ma anche di pretendere da loro uno
sforzo di approfondimento maggiore. Per fare questo, è necessario aiutare
gli studenti ad utilizzare consapevolmente le nuove risorse, favorire la
lettura di testi consultabili anche in biblioteca e facilitare le visite guidate ai
siti archeologici e ai centri storici studiati per puntare a realizzare dei lavori
seri e approfonditi. A questo scopo è utile fornire agli alunni degli strumenti
per studiare in maniera più personalizzata, come mappe concettuali, linee
del tempo, tabelle sinottiche, rielaborazioni di carte storiche, per evitare
una sorta di schizofrenia dei giovani di oggi che al mattino imparano a
scuola un sapere più tradizionale e al pomeriggio passano il tempo in un
multitasking spesso superficiale.
Naturalmente l’ISCUM, che ha sempre sentito questa vocazione alla
valorizzazione dei beni culturali e alla divulgazione del proprio sapere sotto
ogni forma e con tutti i mezzi via via disponibili, si sta interrogando sul
suo ruolo e sta rinforzando una rete di rapporti tra archeologi sul campo
e archeologi-insegnanti. In particolare, come emerso in una riunione
ISCUM del 10 luglio 2008, e dall’assemblea del 2 luglio 2009, le attività
sia a livello personale da parte dei singoli membri, sia a livello di istituto si
sono indirizzate anche negli ultimi anni a studenti dalla scuola elementare
all’università. Degna di nota è la settimana di corso intensivo su Archeologia
dell’architettura per le scuole di specializzazione in restauro dei monumenti
di Genova e di Milano, svolto ogni anno presso la Facoltà di Architettura di
Genova. Anche in questi anni è continuata la collaborazione dell’ISCUM con
i vari enti e istituzioni per la valorizzazione e la didattica dell’archeologia:
in particolare è stato aperto alle scolaresche, che ne facevano richiesta,
il laboratorio dell’ISCUM a Palazzo Ducale con la spiegazione dei reperti
rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Ducale (dott. Marco
Biagini). Con il trasferimento della sede dell’ISCUM al Museo di Scultura e
Architettura Ligure di Sant’Agostino si è aperta una collaborazione stretta
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con il museo per la didattica, inaugurata dalla conferenza del professore
Tiziano Mannoni su “La cassetta degli attrezzi di Giovanni Pisano” del 4
luglio 2009.
Il lavoro è, perciò, da parte di archeologi, storici e insegnanti di lettere
quello di pensare insieme mille modi per trasmettere la storia della cultura
materiale, l’archeologia globale e il sapere storico in generale, per ricordare
anche alle giovani generazioni che progettare il proprio futuro, conoscendo
il passato, è una delle aspirazione più alte dell’uomo. Il tentativo di queste
riflessioni è di trovare sempre più la chiave di accesso ad ogni alunno per
appassionarlo alla storia e, più in generale alle conoscenze e al sapere
dell’uomo accumulati nel corso del tempo.
ISCUM - Istituto di storia della cultura materiale
Ricerche
Lo studio
della provenienza
del legno attraverso
l’analisi delle curve
di accrescimento
SEVERINO FOSSATI
GIOVANNI L.A. PESCE
ANNA DECRI
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Una delle attività di ricerca in cui, oramai da diversi anni, è impegnato
il Laboratorio di Dendrologia e Dendrocronologia dell’ISCUM è volta a
verificare la possibilità di conoscere la provenienza del legno di cui sono
costituiti i campioni che giungono regolarmente in laboratorio attraverso
la sola analisi delle relative curve di accrescimento. Gli incoraggianti
risultati ottenuti in tale senso negli ultimi anni e le conferme delle idee
autonomamente sviluppate giunte dalla più recente letteratura scientifica
del settore, hanno indotto a presentare i risultati di questo lungo lavoro
in due convegni internazionali di archeometria: il colloquio del GMPCA
“Archéométrie 2007” tenutosi ad Aix en Provence dal 18 al 21 Aprile 2007
e il 37° International Symposium of Archaeometry tenutosi dal 12 al 16
Maggio 2008 a Siena. Lo scopo principale di tali partecipazioni è stato
quello di presentare alla comunità scientifica le osservazioni sviluppate
così da cercare dei confronti attraverso i quali continuare la ricerca. I
riscontri avuti in tali circostanze, derivati soprattutto dal “referaggio” fatto
delle riviste a cui sono stati sottoposti gli articoli proposti in tali occasioni,
hanno fornito indicazioni contrastanti ma interessanti. Dalle osservazioni
fatte emerge, infatti, come il tema affrontato sia relativamente nuovo (e,
dunque, poco conosciuto e dibattuto) ma di grande interesse.
Il metodo adottato dal Laboratorio per lo studio delle provenienze si basa
fondamentalmente su un confronto complesso delle curve campione con
più curve di riferimento riconducibili a differenti luoghi di origine, così
da individuare la curva che meglio approssima l’andamento della curva
campione (e che dunque, per tale motivo, può fornire un’indicazione sul
luogo di provenienza del campione stesso).
La lettura delle curve campione avviene secondo le modalità consuete,
tramite cioè l’uso di lenti con reticolo e scala di misurazione o tramite l’uso di
software di image processing, mentre le curve di riferimento utilizzate sono le
stesse impiegate nelle datazioni, in buona parte disponibili nella letteratura
scientifica o nei siti Internet dei laboratori che si occupano di dendrocronologia.
Il confronto, come detto, è complesso in quanto basato sia sullo studio
di particolari elementi statistici sia su un confronto grafico dell’andamento
delle curve. Più in particolare, lo studio statistico prende in considerazione
due dei parametri normalmente usati in dendrocronologia: la concordanza
e la “coincidenza”, mentre il confronto grafico avviene secondo le normali
modalità, attraverso una semplice sovrapposizione delle curve. Calcoli
statistici e confronti grafici vengono fatti tramite un programma informatico
appositamente realizzato dal Laboratorio che permette di procedere con
grande rapidità all’identificazione della curva di riferimento maggiormente
simile alla curva campione.
Uno degli esempi che si possono portare a testimonianza di questo
metodo di analisi è quello della curva n°595 dell’archivio campioni,
che è riconducibile a una tavola di pino utilizzata in una delle porte del
Palazzo Reale di Genova, datata al XVII secolo. I dati di accrescimento
di tale campione sono stati, infatti, confrontati con i dati di cinque curve di
riferimento: una curva riferibile all’area di Kostomuksha (Carelia – Russia);
una curva riferibile al Parco Nazionale di Pyhan Hakin (Finlandia); una
curva riferribile dell’area di Gotland (Svezia); una curva riferibile all’area
di Dannensterm House (Riga – Lituania) e una curva riferibile all’area del
Col de Sorba Mount Renose (Corsica – Francia). Tale confronto ha portato
ad ottenere un’ampia varietà di risultati: la curva della Carelia ha dato un
valore della concordanza di 7,05 e un valore della “coincidenza” di 53; la
curva della Finlandia ha fornito una concordanza di 4,39 e un valore di
coincidenza di 40; la curva svedese ha dato una concordanza di 3,86 e
una coincidenza di 40; la curva lituana una concordanza di 3,32 e una
coincidenza di 42, mentre la curva corsa ha dato una concordanza di -2,55
e una coincidenza di 36.
Come si può dedurre facilmente dai dati sopra riportati, che sono stati
successivamente confermati anche dal confronto grafico, i risultati di questa
analisi inducono a ritenere che la tavola in oggetto provenga dalla Carelia,
un’area prossima al confine tra la Russia e la Finlandia, piuttosto che da
un’area mediterranea (quale, ad esempio, quella testimoniata dalla curva
corsa) o dalle altre aree scandinave prese in considerazione. Le ricerche
sul commercio del legno condotte attraverso lo studio delle fonti scritte
confermano, per altro, come proprio nel XVII secolo, a Genova giungesse
legname proveniente dal Baltico (all’epoca genericamente denominato:
“legno di Fiandra”), cosicché appare evidente come i risultati ottenuti dallo
studio dei materiali siano supportati anche dallo studio delle fonti scritte.
In modo analogo a quanto visto sopra, i componenti del Laboratorio hanno
studiato anche molte altre curve di accrescimento contenute nell’archivio,
la maggior parte delle quali sono riferibili a elementi lignei impiegati tra il
XV e il XIX secolo in edifici genovesi. Dallo studio svolto emerge un’ampia
varietà di paesi d’importazione che fornivano differenti specie per differenti
usi (pini per i serramenti, abeti per le travi, ecc.). Questo ampio mercato del
legno era dovuto, probabilmente, alla scarsa disponibilità di materia prima
nelle immediate vicinanze della città e alla favorevole localizzazione di
Genova e del suo porto nel centro delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Alcuni approfondimenti sull’argomento sono tuttora in corso da parte dei
componenti del Laboratorio, mentre sostanziali miglioramenti al metodo
potranno derivare solo dalla pubblicazione di nuove curve di riferimento
riconducibili a quelle aree che attualmente risultano prive di confronti.
Per chi fosse interessato sono disponibili gli atti dei convegni sopra detti,
oppure è possibile contattare il Laboratorio all’indirizzo e-mail: dendrolab@
iscum.it.
Primi restauri sul sito
di Monte Zignago (SP)
ELEONORA TORRE
Nella primavera del 2008 si è tentato un primo recupero dei resti del
villaggio medievale di Monte Zignago (SP), distrutto intorno alla metà
del XIV secolo. L’intervento ha interessato due delle aree scavate tra gli
anni Settanta ed Ottanta del Novecento: la sequenza di edifici identificati
rispettivamente come deposito di granaglie, ripostiglio per attrezzi e casa
di abitazione a due cellule funzionali ad ovest del pendio e la struttura
lungo l’attuale carrozzabile tagliata sul fianco meridionale del monte, nella
quale era stata riconosciuta una stalla.
I lavori sono stati preceduti da un vero e proprio disboscamento ed hanno
dovuto fare i conti con una situazione compromessa oltre che dalla
vegetazione anche dal dissesto del versante. In alcuni casi si è provveduto
a mettere in sicurezza quest’ultimo, alleggerendolo dal peso di terreno
e dalle pietre dislocate e creando canalizzazioni artificiali. In altri si sono
dovute ricostruire completamente porzioni di muro.
Le soluzioni adottate derivano dall’analisi delle criticità principali, dallo
9
studio dei materiali e delle tecniche costruttive e dall’osservazione del
comportamento dei manufatti e dell’ambiente circostante al cospetto degli
agenti atmosferici, complice la stagione particolarmente piovosa.
Visto lo stato di conservazione e la scarsa leggibilità dei ruderi che per occhi
profani sono difficilmente distinguibili dalle strutture rurali semidistrutte più
recenti che costellano i boschi dell’Appennino non si è ritenuto opportuno
creare un’interfaccia di distacco tra il conservato ed il nuovo. Le ricostruzioni
sono state effettuate con il riutilizzo di pietre originali crollate e criteri di
rispetto filologico verso il conservato. La riproduzione dei processi empirici
dei vecchi costruttori è stata preferita al tentativo di attenersi fedelmente
a quanto ancora visibile, ma oggi ormai perduto, nella documentazione
fotografica archeologica di archivio. I suoli d’uso sono stati ripristinati
utilizzando un battuto di scagliette di roccia e terreno, opportunamente
pressato con una piastra vibrante e consolidato con prodotti appositi.
Nonostante le diverse ipotesi proposte in sede progettuale, infine, le
pietre sono state posate a secco, per non creare con l’utilizzo di malte
ancorché di calce barriere artificiali al drenaggio delle acque meteoriche.
Sebbene anche nelle costruzioni originarie l’uso di malta fosse limitato
ai cantonali delle strutture abitative, a fronte della scarsa consistenza
delle strutture l’assenza di legante potrebbe determinare una loro minor
tenuta a fenomeni di degrado limitati ma significativi, quali quelli dovuti
al passaggio di animali ed alla frequentazione umana non arginata entro
sentieri segnalati.
Per questo ed altri motivi si è studiata una semplice scheda di monitoraggio
che periodicamente consenta anche al personale del Comune di Zignago
presente sul posto di registrare:
1. quali tipi di vegetazione hanno attecchito nonostante i trattamenti
biocidi ed i diserbanti
2. se e quali murature sono stabili, dislocate o crollate
3. se i sistemi di drenaggio sono liberi od occlusi
4. se il versante appare stabile o soggetto a movimenti franosi
e di conseguenza studiare le necessarie azioni di contrasto e/o ripristino.
La valorizzazione del sito è stata fortemente voluta dal Comune di
Zignago e finanziariamente coperta per le opere di restauro conservativo
dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria
nell’ambito dell’“accordo di programma quadro in materia di salvaguardia
e tutela del territorio, intervento ST25 di individuazione e valorizzazione
dei beni culturali e storico ambientali dell’Alta Via dei Monti Liguri”, che ha
seguito i lavori nelle persone del Dott. Roberto Maggi e dell’Arch. Antonio
Morgione. Una nuova cartellonistica si è aggiunta ai pannelli esplicativi
già esistenti, e l’embrione di un percorso obbligato dovrebbe indirizzare
il turista verso gli obiettivi più interessanti. Ma dal punto di vista della
fruizione l’esperimento è ancora in attesa di collaudo, e può funzionare
solo se alla costante manutenzione si accompagna la volontà di orientare
la percezione del visitatore verso il tempo al quale le nostre “rovine “
rimandano ed agli uomini che lo hanno vissuto.
Ricerche in collaborazione
e confronti
La diffusione e l’uso
delle “malte al caolino”
attraverso lo studio delle
analisi XRD
GIOVANNI L.A. PESCE
ROBERTO RICCI
10
Le cosiddette “malte al caolino” sono un particolare tipo di malta che, a
Genova, è stato utilizzato dal tardo medioevo fino ai primi decenni del
Novecento per legare o rivestire le murature di costruzioni pubbliche o
private, e che era ottenuto aggiungendo al legante (costituito quasi
esclusivamente da calce magnesiaca) e all’aggregato, del caolino cotto
con la funzione di idraulicizzante (Giordani M., Mannoni T., 1999).
Gli impasti prodotti in tale modo possono essere paragonati, per
composizione e modalità di preparazione, ad altre, ben più note miscele
quali quelle derivate dall’uso della pozzolana o del cocciopesto. A differenza
di queste ultime, però, le malte al caolino avevano nel colore bianco
una proprietà aggiuntiva che le renderebbe ancora oggi particolarmente
interessanti ai fini dell’impiego in strutture a vista. Nel caolino, infatti,
contrariamente a quanto capita negli altri idraulicizzanti, vi è la completa
assenza di agenti cromofori che possono modificare la colorazione di base
degli impasti e costituire in questo modo un elemento di disturbo per alcuni
tipi di lavorazione.
Le malte al caolino, però, non erano apprezzate solo per la loro neutralità
cromatica ma anche per le notevoli proprietà meccaniche e per l’elevata
resistenza agli agenti di degrado chimici e biologici che le caratterizzava.
Le esperienze realizzate alcuni anni fa dai ricercatori dell’ISCUM sulle
strutture del porto tardo-medievale di Genova (Mannoni T., 1996) e le più
recenti sperimentazioni condotte nei laboratori delle università portoghesi
(Rodrigues P.F., Henriques F.M.A., 2002) documentano in modo
inequivocabile tali qualità.
Purtroppo, però, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, in conseguenza
dell’introduzione di nuovi leganti idraulici nel mercato dei materiali da
costruzione, l’uso di questi particolari impasti è andato scemando, fino a
scomparire del tutto nei primi decenni del Novecento. Di conseguenza,
anche le conoscenze empiriche legate alla produzione di tali miscele sono
andate perse e oggi non è più possibile riprodurre impasti con caratteristiche
analoghe a quelle delle malte di età moderna o contemporanea (Cucchiara
A. et al., 1993; Giordani M., Mannoni T., 1999, p. 98).
Di recente però alcuni gruppi di ricercatori afferenti a diversi atenei
universitari italiani e stranieri sono tornati nuovamente a interessarsi a
queste miscele, avviando ricerche sui meccanismi di reazione tra la calce e
il caolino cotto in soluzione acquosa (si veda ad es.: Cara S. et al., 2006).
A Genova, le ricerche sulle malte al caolino sono in corso da diversi
decenni: le prime indagini risalgono, infatti, a circa vent’anni fa, quando i
ricercatori dell’ISCUM hanno avuto modo di studiare le strutture del porto
tardo-medievale, perfettamente conservate sotto alle più recenti sovra
strutture (Mannoni T., 1988). In tale occasione fu, infatti, identificata – per
la prima volta in Liguria e, probabilmente, anche in tutta Italia – la presenza
di caolinite nelle malte: un minerale questo che, essendo completamente
estraneo alle formazioni geologiche della zona, doveva essere certamente
considerato come un’aggiunta intenzionale, basata su ben determinate
conoscenze empiriche.
Da quei primi ritrovamenti è stata quindi avviata una ricerca sistematica
sulla presenza di caolinite nelle malte confezionate a Genova e in Liguria
in età preindustriale e il loro studio è passato dai cantieri archeologici ai
laboratori di mineralogia e petrografia dell’Università di Genova (Cucchiara
A. et al., 1993), fino ad approdare ai laboratori di ingegneria dei materiali,
dove sono stati approfonditi alcuni aspetti delle possibili tecniche d’uso
(Pesce G., 2006). Da quel primo ritrovamento è stato, così, possibile
documentare un’ampia varietà di impieghi bene testimoniata dai risultati
delle numerose analisi XRD realizzate nel corso degli anni dai ricercatori
dell’ISCUM e recentemente raccolti in una banca dati informatizzata
appositamente predisposta.
Tale database raccoglie i risultati riportati nelle descrizioni testuali e nei
diffrattogrammi interpretati di 178 analisi di malte, realizzate tra il luglio
del 1985 e l’ottobre del 2007, su campioni prelevati in numerosi edifici
storici di tutta la Liguria. Nelle diverse tabelle in cui sono stati ripartiti i dati,
sono contenute informazioni sulla natura e l’incidenza delle fasi cristalline
individuate, sulle modalità di realizzazione delle analisi, sulla provenienza
dei campioni, ecc., cosicché risulta facile studiare i dati suddividendoli per
elemento, composto, tipologia di impasto, periodo di produzione, luogo di
provenienza, ecc.
Esaminando i dati inseriti nell’archivio risulta facile, ad esempio, verificare
come delle 178 analisi ben 17, corrispondenti a circa il 10% del totale,
11
contengano tracce di caolinite. Senza entrare nel dettaglio dei singoli casi,
recentemente discussi in un convegno internazionale tenutosi a Lisbona al
quale si rimanda per i necessari approfondimenti (Pesce G., Ricci R., 2008),
in questa sede può essere utile evidenziare come l’impiego del caolino
nelle malte liguri sia stato rilevato in situazioni alquanto differenti. Tracce
di caolinite sono state infatti identificate sia nelle malte di allettamento
impiegate in ambienti umidi e/o anaerobici quali, ad esempio, quelli del
porto di Genova o delle strutture di fondazione di alcuni edifici del centro
cittadino, sia in opere di finitura quali intonaci e stucchi.
Mentre, però, nel caso delle strutture di fondazione risulta chiaro che l’uso
del caolino dev’essere stato determinato principalmente dalle sue proprietà
idrauliche, nel caso dei rivestimenti non si può escludere che la preferenza
di questo materiale sia stata determinata anche da altri fattori. I due
rivestimenti contenenti caolino che sono stati campionati (e che devono
ancora essere oggetto di approfondimenti) potrebbero, infatti, essere
stati realizzati con caolino anche perché questo materiale risulta privo di
colorazione e perché avrebbe potuto conferire una maggiore plasticità
all’impasto, oltre a ridurne contemporaneamente il ritiro (comunicazione
personale del prof. Tiziano Mannoni). Ciò non toglie che, probabilmente, le
murature sulle quali sono stati stesi tali rivestimenti erano soggette anche a
fenomeni di umidità di risalita o all’azione diretta dell’acqua piovana, come
sembrerebbero indicare sia l’habitus cristallino assunto dal carbonato
di calcio che nel campione n°87 è quello dell’aragonite (a tale proposito
si veda quanto riportato da: Giordani M., Beruto D., 1987), sia dalla
documentazione scritta d’età moderna che testimonia la realizzazione di
rivestimenti idraulicizzati proprio per resistere meglio all’azione dell’acqua
piovana (Cucchiara A. et al.,1993).
Se prendendo spunto dal caso appena visto (in cui è la struttura cristallina
di una fase minerale non direttamente legata all’additivo idraulicizzante a
fornire indicazioni sulle sue modalità d’uso), ci soffermiamo ad analizzare
i risultati delle altre analisi contenute nel database, possiamo cercare di
evidenziare altri, possibili aspetti dell’uso del caolino nelle malte di calce
magnesiaca.
Tra le varie indicazioni che è possibile trarre si può, ad esempio, sottolineare
come nelle malte del porto sia presente in quantità sovrabbondante
una fase minerale alquanto rara nel resto dei campioni: l’ettringite.
Come suggerito dagli stessi ricercatori che per primi hanno affrontato il
problema, la formazione di questa fase potrebbe derivare dalla presenza
di un particolare “inquinante” in una delle materie prime utilizzate per
il confezionamento delle malte e, cioè, l’allume, che nelle miniere della
Tolfa si trovava spesso mischiato al caolino. Se, però, tale presenza viene
valutata in rapporto alla presenza degli altri solfati presenti nelle analisi
raccolte quale, ad esempio, il gesso contenuto nei campioni di stucco,
sembra difficile considerare l’ettringite come un semplice inquinamento.
Quando rilevato, infatti, tale composto si presenta in quantità molto elevate
che, se paragonate a quelle del gesso normalmente presente negli
stucchi risultano anche eccessive. Questo dato potrebbe, allora, indicare
l’esistenza di una pratica non scritta consistente nell’aggiunta di una
certa quantità di allume alle miscele caoliniche, attuata forse per ridurne i
tempi di presa e/o indurimento, oltre che per migliorare le proprietà delle
malte. Processi analoghi sono, infatti, in corso di studio da parte di alcuni
ricercatori stranieri interessati a valutare l’influenza dell’aggiunta di caolino
nelle malte cementizie (Böke H., 2003).
Similmente al caso dell’ettringite è possibile, inoltre, osservare come, tra
le fasi minerali identificate nelle malte in archivio, siano completamente
assenti la gehlenite e la stratlingite (o gehlenite idrata), che sono invece
presenti in molte delle malte prodotte in laboratorio attraverso la cottura di
una miscela di caolino e calce (Traoré K. et al, 2003, p. 380). L’assenza di
tali composti nelle malte antiche sembrerebbe dunque suggerire l’ipotesi
di processi di cottura separati per i due materiali (caolino e calce, appunto)
12
poiché altrimenti si sarebbero formate le fasi minerali sopra dette, che si
ottengono per reazione allo stato solido tra caolino e ossido di calce a
temperature relativamente basse (a partire da 873 K).
In riferimento alla cottura del caolino è, inoltre, possibile ipotizzare che
questa non dovesse avvenire a temperature troppo elevate. Prova ne è la
ripetuta individuazione di tracce di caolinite non decomposta nei campioni
analizzati che, com’è emerso anche dagli esperimenti degli altri ricercatori
precedentemente menzionati, permangono solo se la temperatura di
attivazione (cottura) è inferiore alla temperatura di decomposizione del
carbonato di calcio (1163 K).
Dallo studio della diffrazione dei raggi X delle antiche malte di calce
emergono, dunque, particolari interessanti sull’uso del caolino che
consentono di spostare ulteriormente il limite della conoscenze su questo
particolare tipo di impasto, e la disponibilità di una database informatizzato
che contiene i risultati di tutte le analisi XRD realizzate dall’ISCUM su
campioni di antiche malte costituisce certamente uno strumento di grande
utilità.
Gli studi sulle malte al caolino condotti dall’ISCUM, dopo il primo
rinvenimento nelle strutture del porto medievale, proseguono adesso
con ricerche nella letteratura scientifica disponibile. In uno dei prossimi
numeri del Notiziario verranno, infatti, presentati una serie di casi di
campionamento di malte contenenti caolino, riferibili ad aree esterne alla
Liguria che, tra l’altro, potranno essere utili anche nella comprensione
dell’origine di questa particolare tecnologia costruttiva.
È chiaro che chiunque sia interessato all’argomento o abbia segnalazioni
utili può contattare i responsabili della ricerca, disponibili a qualunque tipo
di collaborazione e ai confronti del caso, dato che sono ancora numerosi
gli aspetti poco conosciuti di questo interessante argomento.
([email protected])
Bibliografia
Böke H., 2003: Ettringite formation in historic bath brick-lime plaster. Cement and Concrete
Research, 33, pp. 1457-1464.
Cara S. et al. 2006 =Cara S., Carcangiu G., Massidda L., Meloni P., Sanna U., Tampini M., 2006:
Assessment of pozzolanic potential in lime-water system of raw and calcined kaolinic clays from
the Donnigazza Mine (Sardinia-Italy), in: <<Applied Clay Science>>, 33, n°1, pp. 66-72.
Cucchiara A. et al., 1993 = Cucchiara A., Mannoni T., Montagni C., Negretti L., Predieri G., Ricci
R., Sfrecola S., 1993: I calcestruzzi “alla porcellana” in Liguria. Atti del Convegno <<Scienza e
Beni Culturali. Calcestruzzi Antichi e Moderni: Storia, Cultura e Tecnologia>> IX, Bressanone 6-9
luglio 1993, Libreria Progetto Editore, Padova, pp. 21-30.
Giordani M., Beruto D., 1987: Effect of vaporization rate on calcium carbonate nucleation from
calcium hydrogen carbonate aqueous solution. Journal of Crystal Growth, 84, pp. 679-682.
Giordani M., Mannoni T, 1999: La tecnica degli antichi maestri muratori: identificazione di uno
stadio del processo lavorativo attraverso l’analisi chimica e mineralogica di malte idrauliche
storiche. Atti del II Convegno <<Materiali e Tecniche per il restauro>>. Cassino 1-2 Ottobre 1999,
pp. 91-99.
Mannoni T., 1988: Ricerche sulle malte genovesi alla “porcellana”. Atti del Convegno <<Scienza e
Beni Culturali. Le Scienze, le Istituzioni, gli Operatori alla soglia degli anni ‘90>>, Libreria Progetto
Editore, Padova, pp. 137a-142a.
Mannoni T., 1996: Tecniche costruttive portuali: l’esempio genovese. In: Varaldo Grottin F., Sagep
Editrice. Porti antichi. Archeologia del commercio. Genova, pp. 26-31.
Pesce G., 2006: Ottimizzazione del processo di attivazione termica del caolino impiegato come
agente idraulicizzante nelle malte di calce aerea. Il ruolo della pressione parziale d’acqua sulla
reattività della metacaolinite. Tesi di Dottorato di Ricerca XVII ciclo, Dipartimento di Edilizia,
Urbanistica e Ingegnaria dei Materiali, Università degli Studi di Genova, Genova. Tutor prof. D.
Beruto.
Pesce G., Ricci R., 2008: The use of metakaolinite as hydraulic agent of aerial lime plasters
and mortars. The case study of Genoa (Italy) in: <<Procedings of HMC08 – Historic Mortars
Conference>>, Lisbon 24-26 September 2008.
Rodrigues P. F., Henriques F. M. A., 2002; The effect of hydraulic components on lime mortars.
Act of the World Congress on Husing. Housing Construction – An interdisciplinary Task, Coimbra
(Portugal) 9-13 September 2002.
Traoré K. et al. 2003 = Traoré K., Kabré T. S., Blanchart P., 2003: Gehlenite and anorthite
crystallization from kaolinite and calcite mix. Ceramics International, 29, pp. 377-383.
13
Archeologia e storia
del vetro preindustriale:
produzione e consumo
in Liguria
SIMONE LERMA
14
La ricerca condotta nell’ambito del dottorato di ricerca Archeologia e storia
del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria (Università
degli studi di Siena triennio 2001-2004, professori tutors Carlo Varaldo,
Marja Mendera) ha cercato di ricostruire un quadro unitario riguardante la
manifattura vetraria ligure preindustriale analizzata secondo diversi punti di
vista in parte già noti in parte quasi del tutto inediti. In questo senso si sono
voluti riprendere gli esiti delle ricerche portate avanti negli anni Novanta
del secolo scorso nell’ambito del progetto ISCUM “Archeologia del vetro
medievale ligure” e che avevano condotto lo scrivente a incentrare su
questi temi anche la propria tesi di laurea.
La ricerca è stata impostata fin dall’inizio secondo parametri geografici e
cronologici ben precisi: il termine Liguria quindi si deve intendere secondo
un’accezione che comprenda anche territori, come il Basso Piemonte e
la Lunigiana, la cui vicenda storica è stata sempre molto vicina a quella
dell’attuale regione tirrenica. La cronologia presa in esame è compresa
tra la fine del IV e l’inizio del XVIII secolo, anche se è necessario
sottolineare come il periodo più significativo per la manifattura vetraria
ligure preindustriale sia rappresentato dai secoli finali del Medioevo (XIIIXV secolo).
I due ambiti che sono stati maggiormente indagati riguardano il consumo e
la produzione di manufatti in vetro sul territorio ligure.
Lo studio del consumo, quindi di tutti gli aspetti legati al commercio, alla
tipologia, ai contesti d’uso dei manufatti, è stato articolato in tre fasi:
dapprima la raccolta dei dati tipologici relativi ai manufatti vitrei provenienti
da contesti archeologici liguri quindi l’elaborazione di questi dati al fine
di costituire una cronotipologia del vetro ligure e, infine, la ricostruzione
del consumo dei manufatti in vetro anche in base alle tipologie di contesti
d’uso (insediamenti rurali, urbani, …).
I contesti studiati sono stati una cinquantina localizzati soprattutto nella
Liguria centrale e di Ponente: si tratta per la maggior parte di contesti già
editi ai quali si sono aggiunti alcuni ritrovamenti non ancora pubblicati (ad
esempio i reperti vitrei provenienti dal monastero cistercense di Santa
Maria di Bano - Tagliolo Monferrato – AL).
L’analisi che ne è derivata non pretendeva, infatti, di essere esaustiva su
tutto il territorio ligure ma voleva costituire un primo tassello su cui costruire
la cronotipologia del vetro ligure attraverso l’esame di tutti i reperti in vetro
significativi provenienti, per esempio, dai numerosi contesti di scavo noti
ma i cui materiali sono ancora del tutto inediti.
I dati tipologici dei manufatti in vetro sono stati elaborati con l’immissione
dei dati alfanumerici (contesto di provenienza, n. inventario, tipologia del
manufatto, colore, dimensioni, ecc...) nella scheda “Vetri” del database
messo a punto dal Laboratorio di informatica applicata all’Archeologia
Medievale (LIAAM) dell’Università degli Studi di Siena e con l’acquisizione
in formato elettronico delle fotografie e dei disegni dei manufatti studiati.
Al fine di costruire una griglia tipologica di riferimento, sono state utilizzate
alcune forme già messe a punto in alcune precedenti ricerche toscane
e alcune inedite (bicchiere, coppa, bottiglia, ecc…). Le forme sono state
poi distinte in base alla funzione in vari gruppi: per esempio, il vasellame
da mensa e da dispensa che raccoglie dodici forme o la suppellettile da
illuminazione che ne comprende solo due.
Per ogni forma sono stati riconosciuti diversi tipi che individuano precise
caratteristiche morfologiche: così nella forma “bicchiere” si possono
ritrovare il bicchiere a gocce applicate, quello con piede ad anello vuoto e
così via. Per ogni tipo, vi possono, inoltre, essere particolari elementi che
distinguono alcuni sottotipi.
L’analisi dei vari tipi riconosciuti con i relativi dati quantitativi è stata
organizzata per periodi: per esempio periodo tardoantico: fine IV – V
secolo, periodo altomedievale: VIII-X secolo, fino all’età moderna: XVI –
XVIII secolo.
Il riconoscimento dei tipi attestati in ambito regionale in un dato periodo
è stata visivamente facilitata dalla realizzazione di tavole sinottiche che
costituiscono la basa grafica della cronotipologia.
La distribuzione territoriale dei diversi tipi ha permesso di giungere
all’analisi dei contesti d’uso e del consumo dei manufatti in vetro nelle
varie aree regionali attraverso l’elaborazione di carte di distribuzione.
L’osservazione di queste ultime ha permesso di distinguere due precise
tendenze evidenti a partire dall’XI secolo che confermano alcune analisi
condotte in anni precedenti da altri ricercatori: il Ponente ligure rivela in
generale stretti contatti con l’area provenzale dato che i repertori tipologici
dei manufatti in vetro delle due aree mostrano evidenti somiglianze. Nel
Genovesato, almeno per quanto riguarda i pochi contesti disponibili, sono
maggiormente evidenti le somiglianze con le tipologie rinvenute nei siti
toscani coevi. Alcuni contesti eccezionali si collocano, invece, al di fuori di
queste tendenze generali, come il monastero cistercense di Santa Maria di
Bano (Tagliolo Monferrato – AL) che mostra un vasto repertorio tipologico
caratterizzato da manufatti legati non solo alle produzioni provenzali, liguri
e toscane.
Parallelamente sono state riprese le ricerche relative alle tecniche
produttive utilizzate nelle vetrerie liguri di età preindustriale.
Si è meglio definita la rete di poli produttivi vetrari, attivi soprattutto tra il
XIII e il XV secolo, sparsi nell’Appennino ligure tra le attuali province di
Alessandria, Genova e Savona.
Da una parte le fonti archeologiche, surveys e campagne di scavo
condotte dall’ISCUM, hanno consentito, in alcuni casi, di precisare meglio
le caratteristiche della produzione anche attraverso l’individuazione delle
risorse naturali utilizzate nel ciclo di produzione e lavorazione del vetro.
Dall’altra la documentazione d’archivio già nota, organizzata in un database
informatizzato, hanno permesso l’approfondimento delle conoscenze
riguardanti le maestranze impiegate nella manifattura, i rapporti di lavoro,
il ruolo dei gruppi famigliari.
È stata evidenziata un’evoluzione nella gestione delle vetrerie soprattutto
a partire dal XVI secolo quando, accanto ai produttori di Altare (SV),
borgo da sempre legato alla manifattura vetraria, si affiancano anche gli
“imprenditori” e il Comune di Genova. Tra il XVI e il XVIII secolo mutano,
quindi, anche le localizzazioni delle fornaci e si delinea una nuova rete di
vetrerie.
Le attività di scavo condotte in alcune vetrerie sia negli anni Settanta che
negli anni Novanta del secolo scorso (vetrerie di Monte Lecco e VeireraGargassa), avevano fornito, inoltre, ingenti quantità di reperti qualificabili,
per la maggior parte, come indicatori di produzione e lavorazione cioè
materiali legati alle varie operazioni tecniche svolte nel ciclo della
manifattura vetraria. Tali reperti sono certamente quelli che meglio
permettono di indagare i vari aspetti della tecnologia adottata nelle vetrerie
liguri di età preindustriale e per questa ragione, l’ultima parte della ricerca
si è concentrata su di essi.
Quali contesti di provenienza dei materiali studiati sono stati appunto scelti
la vetreria di località Veirera in Val Gargassa (Rossiglione – GE) databile
alla metà del XIII secolo e la vetreria di Cian da Veeja presso il Monte
Lecco (Passo della Bocchetta – GE) attiva tra la fine del XIV e l’inizio del
XV secolo). I due siti sono stati scelti in quanto le numerose tipologie di
indicatori presenti hanno fatto ipotizzare la realizzazione dell’intero ciclo
produttivo e la possibilità di portare avanti lo studio su una campionatura
più ampia ed affidabile, inoltre la scelta permetteva di porre a confronto
produzioni di epoche e aree geografiche diverse.
Lo studio è stato avviato con la creazione di un sistema di classificazione
macroscopica degli indicatori suddivisi in tre grandi gruppi: gli indicatori di
produzione che riuniscono scarti o rifiuti legati alle fasi di preparazione,
fusione e raffinazione della miscela vetrificabile e della massa vetrosa,
gli indicatori di lavorazione che comprendono materiali legati alle fasi di
realizzazione e raffreddamento dei manufatti finiti a partire da una massa
15
vetrosa raffinata. Vi sono poi quegli indicatori che possono essere definiti
“indiretti” in quanto comprendono le strutture, i materiali di costruzione
delle fornaci, gli strumenti ed attrezzi (crogioli, attrezzi metallici, ecc...)
indispensabili per portare avanti il produttivo, costituendone testimonianza
ma che non ne sono il risultato diretto.
La classificazione degli indicatori delle categorie sopra richiamate è stata
realizzata anche mediante la predisposizione di un catalogo utile ad un più
corretto riconoscimento delle diverse tipologie anche attraverso l’apporto
etnoarcheologico costituto dal confronto tra i materiali delle vetrerie liguri e
alcune attività di archeologia sperimentale.
Le problematiche emerse durante la catalogazione macroscopica degli
indicatori hanno potuto essere in parte risolte attraverso un percorso
di analisi archeometrica, che ha visto una continua collaborazione tra
archeologo e archeometra, portato avanti presso il Dipartimento di Scienze
della Terra dell’Università degli Studi di Pavia grazie alla disponibilità dello
staff del Laboratorio di Scienze dai Materiali Antichi (SMALab), guidato dal
Prof. Bruno Messiga, e in particolare della Prof.ssa Maria Pia Riccardi e
della Dott.ssa Elena Basso.
Il lavoro svolto presso il laboratorio pavese si è sviluppato in tre fasi a partire
dall’esame dei reperti al microscopio stereoscopico con il duplice intento
sia di chiarire meglio, ed eventualmente correggere, l’interpretazione
condotta a livello macroscopico sia di individuare le tipologie che
presentavano grandi problemi identificativi e che, al contempo, potevano
fornire maggiori informazioni sul processo produttivo da cui erano stati
scartati. Nella seconda fase, i reperti più significativi sono stati sottoposti
alla preparazione per l’esame al microscopio ottico, al microscopio
elettronico e all’analisi composizionale con microsonda elettronica. Infine, i
dati raccolti sono stati utilizzati per mettere a punto una migliore definizione
ed interpretazione dei reperti.
Le analisi tessiturali e composizionali hanno consentito di riconoscere le
disomogeneità presenti nella massa vetrosa dei campioni; nei casi in cui
le disomogeneità consistevano in minerali relitti, cioè in componenti delle
materie prime non completamente fusi, l’analisi della loro composizione
chimica ha portato alla ricostruzione delle ricette di produzione impiegate
nelle due vetrerie attraverso l’individuazione dei tre gruppi di elementi
fondamentali: vetrificanti (Silice e Alluminio), stabilizzanti (Calcio e
Magnesio) e fondenti (Sodio e Potassio).
Sia a Gargassa sia a Monte Lecco è stato possibile confermare l’utilizzo
di materie prime locali quali il quarzo come fonte principale di Silice
mentre sono evidenti delle variazioni per quanto riguarda l’impiego degli
stabilizzanti e dei fondenti cioè di quegli elementi che, rispettivamente,
furono indispensabili per dare alla massa vetrosa una sicura stabilità
chimica e per abbassare la temperatura di fusione della miscela vetrificabile
altrimenti non raggiungibile nelle fornaci medievali.
L’analisi degli indicatori di Gargassa hanno evidenziato l’uso di uno
stabilizzante dolomitico (costante correlazione positiva tra Calcio e
Magnesio) e di un fondente sodico (ceneri sodiche di piante quali la
Salsola kali che crescevano sulle coste del Mediterraneo) con percentuali
minori di Potassio.
La ricetta usata a Gargassa non si ritrova, invece, a Monte Lecco dove la
compresenza di Sodio e Potassio in percentuali simili può essere attribuita
all’utilizzo di un fondente ad alcali misti (ceneri sodiche e potassiche queste
ultime ricavate da felci o da specie arboree come il faggio diffuse nei boschi
dell’Appennino). A Monte Lecco, inoltre, è stato messo in luce un costante
impiego di riciclaggio di rottame di vetro proveniente dalla stessa vetreria.
Le due ricette sembrano, allora, legate a momenti differenti della manifattura
vetraria ligure: Gargassa nel XIII secolo vicina a produzioni sodiche di
ispirazione “vicino-orientale”, Monte Lecco nel XIV-XV secolo inserita in
un economia maggiormente autarchica che imponeva l’esclusivo utilizzo
di materie prime locali.
16
La ricostruzione della manifattura vetraria ligure preindustriale può contare,
al momento, sui punti fermi portati da questa ricerca ma ancora molto rimane
da fare soprattutto per l’ampliamento, da una parte, della cronotipologia in
modo che essa possa divenire maggiormente rappresentativa anche per
cronologie o aree geografiche per ora ancora carenti di dati e, dall’altra,
della corretta classificazione e interpretazione di quelle classi di reperti che
soli possono informare su quegli aspetti tecnologici, prima richiamati, per i
quali le altre fonti sono del tutto carenti.
Dopo la conclusione del Dottorato, la ricerca sul vetro ligure sta procedendo
con il completamento dello studio dei reperti vitrei provenienti da alcuni dei
contesti sopra citati:
• Scavo del monastero cistercense di Santa Maria di Bano (Taglio
Monferrato – AL) (direzione Enrico Giannichedda);
• Scavo dei giardini di Palazzo del Principe di Genova (direzione Marco
Biagini);
• Castello di Campo Ligure (GE) (direzione Enrico Giannichedda).
Si sta inoltre provvedendo alla pubblicazione dei dati raccolti durante
lo studio archeologico ed archeometrico degli indicatori di produzione
del vetro provenienti dallo scavo delle vetrerie di località MoglioleCairo Montenotte (SV) e soprattutto di Monte Lecco-Passo della
Bocchetta in collaborazione con Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi.
(e-mail: [email protected])
Bibliografia:
M. Calegari, D. Moreno, Manifattura vetraria in Liguria tra XIV e XVII secolo, «Archeologia
Medievale» 1975 (II), pp. 13-29;
S. Fossati, T. Mannoni, Lo scavo della vetreria medievale di Monte Lecco, «Archeologia
Medievale» II, 1975 (II), pp. 31-97;
G. Malandra, I vetrai di Altare, Savona, 1983.
E. Giannichedda, S. Lerma, T. Mannoni, B. Messiga, M.P. Riccardi, Archeologia del vetro
medievale in Liguria, in “Atti II Congresso Nazionale di archeologia medievale”, a cura di G. P.
Brogiolo, Brescia 28 Settembre-1 Ottobre 2000, Firenze, 2000, pp. 462-467;
E. Giannichedda, E. Riccardini, S. Lerma, A. Pesce, Santa Maria di Bano (Tagliolo Monferrato),
in Tra Romanico e Gotico, percorsi di arte medievale nel millenario di San Guido (1004 – 2004)
Vescovo di Acqui, a cura di S. Arditi, C. Prosperi, Acqui Terme, 2004, pp. 55-59;
M. Mendera, F. Fenzi, M. Galgani, E. Giannichedda, P. Guerriero, S. Lerma, B. Messiga,
M.P. Riccardi, P. Vigato, Archaeology of glass: medieval and renaissance production in Italy.
Characterisation and classification of production indicators: an interdisciplinary approach, in
Annales du 16e Congrés de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre, London 7th-13th
September 2003, Bristol, 2005, pp. 223-226;
S. Lerma, Archeologia e storia del vetro preindustriale: produzione e consumo in Liguria, Tesi di
dottorato in Archeologia Medievale, Università degli Studi di Siena, XVII Ciclo (A.A. 2001-2004),
discussa a Siena il 6 Giugno 2005;
E. Giannichedda, G. Deferrari, S. Lerma, B. Messiga, M. P. Riccardi, A. Santagostino, La vetreria
della Val Gargassa, Rossiglione (GE), in “Archeologia Medievale”, 2005 (XXXII), pp. 53-76;
“L’archeometria in Italia: la scienza per i beni culturali” III Congresso Nazionale AIAr, Bressanone,
11-12 Febbraio 2004.
Altre attività
3° workshop:
“Open Source Free
Software e Open Format
nei processi di
ricerca archeologica”
STEFANO COSTA
GIOVANNI L.A. PESCE
Si è tenuta giovedì 8 e venerdì 9 maggio 2008 la terza edizione del
workshop nazionale “Open Source Free Software e Open Format nei
processi di ricerca archeologica”, incentrata sull’uso di programmi a
“sorgente aperto” (e, dunque, leggibile e modificabile da chiunque)
e sull’adozione di formati standard (le cui specifiche sono, cioè,
pubblicamente codificate) nell’ambito della ricerca archeologica.
Questa terza edizione dell’incontro, alla quale l’ISCUM ha partecipato sia
come ente patrocinatore sia con un proprio rappresentante nel comitato
scientifico, è stata organizzata a Padova dal Dipartimento di Archeologia
della locale Università. Tale edizione fa seguito all’incontro organizzato
a Genova nel 2007 dall’ISCUM e dalla locale sezione dell’Istituto
Internazionale di Studi Liguri (maggiori informazioni su questo evento
sono reperibili all’URL: http://workshop07.iosa.it) e a quello organizzato
nel 2006 a Grosseto dal Laboratorio di Analisi Spaziale e Informatica
17
Applicata all’Archeologia, del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti
dell’Università degli Studi di Siena (maggiori informazioni su questo evento
sono, invece, reperibili all’URL: http://www.archeogr.unisi.it/asiaa/open/).
La prima giornata del workshop di Padova è stata interamente dedicata
alle presentazioni introduttive di alcuni software open source attualmente
utilizzati in archeologia e alle esercitazioni pratiche sull’uso della
distribuzione ArcheOS (una distribuzione Linux appositamente pensata e
realizzata per l’archeologia, che contiene solo software open source) e dei
programmi in essa contenuti. Presentazioni ed esercitazioni si sono svolte
presso il Dipartimento di Statistica dell’Università di Padova ed hanno visto
una partecipazione di pubblico che è andata ben oltre le aspettative, dato
che il numero degli iscritti era superiore a 50.
Le presentazioni orali dei lavori svolti e le discussioni pubbliche sui
principali temi dell’incontro si sono, invece, tenute nella giornata di
venerdì, suddivisa in una sessione mattutina e una sessione pomeridiana.
Durante la sessione del mattino sono state presentate le relazioni sui lavori
realizzati con solo software libero che, al contrario di quanto è capitato
negli anni precedenti, pur parlando di programmi informatici hanno lasciato
in secondo piano le questioni prettamente “digitali” e hanno dato ampio
spazio alle questioni più spiccatamente archeologiche. Meno informatica
e più archeologia, dunque: un’equazione che si è cercato di realizzare
fino dalla prima edizione dell’incontro e che quest’anno è stata raggiunta
anche grazie alla volontà del comitato scientifico di perseguire con forza,
attraverso le selezioni fatte, il suddetto risultato.
Nel pomeriggio della stessa giornata, dedicato alla circolazione dei dati
e alla questione dei diritti nelle ricerche archeologiche, sono emersi
molti spunti, idee e una decisa volontà di collaborazione tra i diversi
soggetti presenti. Al workshop si è vista, infatti, la partecipazione e il
coinvolgimento di tanti studenti, professionisti (rappresentati anche dalla
Confederazione Italiana Archeologi) e rappresentanti di enti pubblici che
hanno chiaramente cercato di superare un’ideologia di scontro, calandosi
assieme in un’ottica di collaborazione. Tra le varie istituzioni pubbliche, oltre
alla Soprintendenza del Trentino, erano presenti anche rappresentanti del
progetto Fastionline (un progetto legato all’ICCD) e alcuni rappresentanti
del CNR, che sarà l’organizzatore della prossima edizione del workshop.
Questa partecipazione fa ben sperare per quanto riguarda la capacità di
incidere a livello nazionale sia quando si tratterà di decidere su questioni
tecniche (cioè a livello di software) sia quando si tratterà di decidere in
merito all’apertura degli archivi e all’informatizzazione dei processi di
ricerca archeologica.
Tra gli altri aspetti di grande importanza emersi dal workshop vi è certamente
l’ampia partecipazione di professionisti (tra cui i soci della Arc-Team s.r.l. e
della Cooperativa Parsifal) sia tra i relatori che tra le file del pubblico; uscire
dall’accademia è sempre una cosa utile, dato che quello in oggetto è un
settore lavorativo di non facile approccio.
Riguardo alla condivisione dei dati, invece, bisogna sottolineare che
sono stati fatti importanti passi avanti. Questo anche perché al termine
dell’incontro dello scorso anni ci si è resi conto che prima di parlare di
licenze libere è necessario comprendere gli aspetti giuridici della titolarità
dei diversi diritti legati alla ricerca archeologica. Gli interventi dell’avvocato
Baldo e di Federico Morando, in questo senso, hanno permesso di
evidenziare con chiarezza che da un lato esistono le condizioni giuridiche
(ma non sempre quelle burocratiche) per permettere una libera circolazione
dei dati archeologici e che, d’altra parte, una volta chiariti quali sono i titolari
dei diversi diritti, compreso il diritto d’autore, sono disponibili semplici
strumenti quali, ad esempio, le licenze Creative Commons che permettono
di riservare solo una parte dei diritti e che, dunque, consentono una più
facile circolazione di dati evitando di bloccare la produzione intellettuale di
un libro in un cassetto. L’intervento fortemente programmatico che in tale
senso ha fatto il rappresentante della Confederazione Italiana Archeologi
18
ha evidenziato molto chiaramente la portata della questione quando
valutata a livello professionale. Le domande poste a tale proposito, come
era auspicabile (prima) e prevedibile (poi), sono state molte, al punto
tale che non è stato possibile risolverle tutte per problemi di tempo. La
presentazione del progetto Fastionline ha permesso, invece, di avere
una idea dei possibili scenari di studio, ricerca e tutela che avremo a
disposizione quando (e se) finalmente tutte le parti interessate inizieranno
a collaborare invece che a porsi in una posizione di conflitto.
Come note a margine di questa breve descrizione è, infine, possibile
sottolineare la bassa età media dei partecipanti (circa trent’anni) ed il fatto
che durante l’incontro è risultata davvero palpabile la necessità di tornare
a parlare di politica archeologica in Italia. Alla generazione cresciuta
professionalmente negli anni ‘80 questo può sembrare banale o superfluo,
ma se in un workshop che avrebbe dovuto affrontare problematiche quasi
esclusivamente tecniche si è finito per parlare di clausole contrattuali
significa, probabilmente, che questo tipo di incontri sta svolgendo anche
la funzione di valvola di sfogo per un problema che è, quantomeno, reale
e concreto.
Chi fosse interessato a comprendere meglio quanto emerso dalle
discussioni fatte durante l’incontro di Padova, può trovare maggiori
informazioni nel relativo sito Internet, all’URL: http://www.perseo.lettere.
unipd.it/workshop08/doku.php, dal quale è anche possibile scaricare i
riassunti delle comunicazioni presentate sia in forma orale che come
poster, le slide proiettate e i tutorial realizzati sull’uso di alcuni programmi
liberi attualmente utilizzati in archeologia.
Nota. Al momento della pubblicazione di questo numero del Notiziario sono già concluse la quarta e
quinta edizione del Workshop organizzate, rispettivamente, dell’ITABC del CNR e del Laboratorio di
Archeologia digitale del Dipartimento di Scienze Umane dell’Univrsità di Foggia. Maggiori dettagli su
questi eventi saranno riportati nel prossimo numero del Notiziario.
Bibliografia Iscum:
2004-2008
Undicesimo aggiornamento del catalogo generale
(I) Metodi e problemi,
storia della cultura materiale
MANNONI T., Esiste una scuola ligure di archeologia?, in “Ligures”, 1,
2003, pp. 7-16.
MANNONI T., Aspetti di topografia antica e di archeologia cristiana
dei territori della Lunigiana occidentale, in “Giornale Storico della
Lunigiana”, LIV n.s., 2003, pp. 17-22.
PITTALUGA D., Architettura storica - architettura partecipata. Una
esperienza in ambito ligure, in Atti del Seminario Internazionale
Architettura, Comunità e Partecipazione: problemi e prospettive
nell’era della rete (Roma, 4-5 aprile 2002), Ed. Aracne, Roma, 2003, pp.
89-94.
BOATO A., Archeologi e architetti, in “Newsletter del Gruppo Ricerche
dell’I.I.S.L.”, 6, aprile 2004, http://www.grupporicerche.it/newsletter.htm.
DECRI A. (a cura di), con contributi di Decri A., Boato A., Lastrico C., Ricci R.,
Vecchiattini R., Bruzzone L., Pittaluga D., Fossati S.,Valeriani S., Mannoni
T., Dispense di archeologia dell’architettura per lo studio dell’edilizia
storica, Cooperativa Universitaria Studio e Lavoro, Milano, 2004.
DECRI A., ARCOLAO C., GNONE M., RICCI R., Sperimentazioni nelle facciate
genovesi dei primi del novecento, in Atti del XX Convegno di Studi
“Scienza e Beni Culturali” Architettura e materiali del Novecento.
Conservazione, Restauro, Manutenzione, (Bressanone, 13-16 luglio
2004), a cura di G. Biscontin e G. Driussi, Ed. Arcadia Ricerche, Venezia,
2004, pp. 455-464 e Tav. 14.
GIANNICHEDDA E., Alterazioni a distanza, in “Archeo”, XX, 5 (231), 2004,
pp. 106-109.
(vedi NAM nn: 33, 40, 41, 56-57, 69-70, 73, 74, 75, 77)
Nella presente bibliografia non sono compresi i lavori pubblicati sul NAM e le
recensioni.
19
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Produzione e consumo dei manufatti, Istituto Internazionale di Studi
Liguri, Bordighera, 2004, p. 200.
GIANNICHEDDA E., La preistoria non c’è più, in “Archeo”, XX, n. 9 (235),
2004, pp. 104-107.
GIANNICHEDDA E., GOODSON C. J., Una storia americana, in “Archeo”, XX,
10 (236), 2004, pp. 44-53.
MANNONI T., GIANNICHEDDA E., Arquelogía de la producción, Editorial Ariel,
Barcellona, 2004, p. 358.
MANNONI T., L’analisi critica nei problemi di cultura materiale: il caso
dei torchi antichi, in Archeologia del territorio, a cura di M. de Vos,
Trento, 2004, pp. 171-176.
MANNONI T., Modi di conoscere la storia con l’archeologia, 3. Variazioni
sul tema dell’intuizione nei processi conoscitivi, in “Archeologia
Medievale”, XXXI, 2004, pp. 545-550.
MANNONI T., ROSSI M., L’archeologie rupestre, nouvelle source pour
l’histoire, in Atlas culturel des Alpes occidentales, a cura di C. JourdainAnnequin, Parigi, 2004, pp. 80-81.
MANNONI T., Idee e proposte degli ultimi cinque anni sul Museo
Archeologico di Alberga, in “Ligures”, 2, 2004, pp. 366-367.
MANNONI T., Cosa può restare di un mestiere non insegnato.
Meditazione su una esperienza personale, in “Studi lunigianesi”, XXXIVXXXV, 2004/2005, pp. 103-106.
MANNONI T., La sacra immagine (dai dialoghi di Pantalone), in “Studi
lunigianesi”, XXXIV-XXXV, 2004/2005, pp. 107-111.
BOATO A., Dalle analisi quantitative alla ricostruzione delle regole
teoriche e pratiche del costruire storico, in Atti del Seminario
Internazionale Teoria e Pratica del costruire: saperi, strumenti, modelli.
Esperienze didattiche e di ricerca a confronto (Ravenna, 27-29 ottobre
2005), a cura di G. Mochi, Ed. Moderna, Ravenna, 2005, pp. 975-980.
DECRI A., Vent’anni di vita dell’arte: presenze, apprendistati e attività
degli Antelami a Genova 1598-1618, in “La Valle Intelvi“, 10, 2005, pp.
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GIANNICHEDDA E., Il valore dell’evidenza, in “Archeo”, XXI, 1 (239), 2005,
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dell’Accademia Urbense e dedicati alla memoria di A. Bausola, a cura di
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dell’Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini”, LXXV, 2005,
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ad Aulla (MS), in “Archeologia medievale”, XXXIII, 2006, pp. 219-221.
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Manifesto propositivo, in “Archeologia Postmedievale”, 10, 2006, pp. 1316.
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Postmedievale”, 10, 2006, pp. 11-12.
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