Il quaderno in pdf

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Il quaderno in pdf
7-01-2006
L’omelia, un’arte esigente e difficile
In occasione delle Giornate cristiane della comunicazione, dal 30 gennaio al 5 febbraio, riflessione
sull’omelia e il suo fine: attualizzare la Parola di Dio
Dieci anni fa, il P. Jean Rogues, curato a Parigi, chiedeva nella rivista Èudes: “L’omelia ha un
avvenire?” (1). Alcuni anni più tardi, sempre nel mensile dei gesuiti, il P., Timothy Radcliffe,
vecchio ministro dell’ordine domenicano e predicatore famoso, invitava a fare uscire la
predicazione della noia: “Bisogna bene riconoscerlo, la predicazione non ha sempre l’effetto
aspettato: non è raro che addormenti il popolo di Dio, o l’inciti a pregare affinché il predicatore si
fermi. Come possiamo elaborare una teologia del sacramentalità della Parola, quando le omelie
sono tanto noiose?” (2).
“Da dove proviene la sensazione di ripetizione e di noia che la nostra parola sembra avere su un
numero crescente di battezzati?”, s’interroga da parte sua un altro fratello predicatore, il P. André
Lendger (3). La diagnosi proposta da Luigi Della Torre è ancora più severa: “Abitualmente, scrive,
le omelie rivelano un’assenza di legame con la storia e la situazione concreta degli ascoltatori.
Spesso, mancano di qualità per quanto riguarda dottrina e presentazione, in seguito ad una
preparazione inadeguata. È solo raramente che la predicazione si fa evangelizzatrice e profetica,
preoccupata di fare sentire la chiamata alla salvezza. Avviene che la quasi totalità dei praticanti ha
delle difficoltà durante la liturgia della Parola.” (4)
Per molti, dunque, predica è sinonimo di noia. “Se le persone trovano la nostra predicazione noiosa,
analizza il P. Radcliffe, questo è perché, spesso, niente accade quando predichiamo.” Ora, lungi
dall' essere un insegnamento astratto o un discorso teorico, l’omelia dovrebbe essere
un’attualizzazione della Parola divina in una cornice liturgica.
I Padri della chiesa furono dei grande predicatori
La tradizione è antica. La Bibbia riporta numerosi esempi dove i preti, i leviti o i profeti
interpretano la Parola di Dio. Il libro dei Numeri riporta che "Esdra leggeva un passaggio nel libro
della legge di Dio, poi i leviti traducevano, davano il senso, e si poteva comprendere” (8, 8). San
Luca descrive gli inizi della predicazione di Gesù nella sinagoga, e mostra il Risorto che spiega le
Scritture ai due discepoli che fanno strada verso Emmaus. I Padri della Chiesa furono dei grande
predicatori. Gli specialisti stimano che sant’Agostino abbia pronunciato 8.000 sermoni durante i
suoi trentanove anni di attività pastorale, più di 200 per anno. Anche i secoli successivi hanno avuto
i loro predicatori celebri.
Nella chiesa cattolica, il Vaticano II ha segnato una tappa importante nella pratica omiletica
ridandole i suoi fondamenti biblici. Questi sono espressi in maniera esplicita nel vangelo di Luca
dove si dice che, dopo avere letto un brano di Isaia (61,1-2), Gesù si rivolge all’assemblea della
sinagoga di Nazareth e dice: “Oggi si avvera ai vostri orecchi questo passaggio della scrittura”
(4,16-20). Tale è il modello per ogni predicatore.
Uno dei ruoli essenziali dell’omelia, ricorda il P. Paul De Clerck, direttore della rivista liturgica La
Casa di Dio, è di mostrare come “la Parola sentita nell’eucaristia si avvera oggi, come Dio è
presente nelle nostre vite.” “Il suo posto è quello di una cerniera dove si articolano la liturgia della
Parola di cui l’omelia fa parte, e la liturgia eucaristica alla quale l’omelia deve mirare ad
introdurre”, scriveva l’esegeta Marc-Franç Lacan, monaco benedettino. Il suo ruolo è quello di fare
da ponte tra la Parola e l’Eucaristia, di fare accogliere la Parola in modo tale che l’ascoltatore abbia
fame dell’Eucaristia.
All’incrocio della riflessione teologica
L’omelia non è dunque né un insegnamento di teologia, né un corso di esegesi o di storia, né una
lezione di catechismo o un’esortazione morale. Lontano dall'essere un esercizio accademico, sta
all’incrocio tra la riflessione teologica, l’apertura pastorale, la situazione del mondo e l’esperienza
spirituale del predicatore.
Non ha altro scopo che permettere alla Parola di venire ad abitare in mezzo a noi. “Essa impedisce,
indica il P. Philippe Béguerie, di fluttuare in un immateriale senza valore per gli uomini di questo
tempo.” Per Elisabetta Parmentier, professoressa presso la Facoltà di teologia protestante di
Strasburgo, il contesto della vita e del pensiero degli ascoltatori non è un’appendice da aggiungere
al mondo biblico e teologico. “Questo quotidiano, insiste, è al contrario il luogo dove Dio vuole
incontrare l’ascoltatore. Il predicatore non dovrà dissertare sulla vita dell’ascoltatore dall’altezza
della sua cultura teologica, ma dovrà chinarsi con lui sui testi biblici e vedere come Dio rivela di
essere Maestro anche della sua esistenza.” (5)
Il P. Philippe Rapp, vissuto molto tempo in parrocchia a Mulhouse, vede l’omelia come un
movimento, un incontro, un passaggio: “Si prendono le persone, si cammina con esse, e si lasciano
a continuare la loro strada, confida. Non sono là per prendere appunti, ma per fare un’esperienza di
fede. Per il predicatore, l’omelia è sempre un’esperienza di vita, non una prestazione da dover fare.
Occorre che sia una gioia, non una fatica.”
Lasciare maturare i testi nel silenzio e nella preghiera
E tuttavia, quale lavoro, quale responsabilità per fare una buona omelia! Bisogna avere studiato la
Bibbia e la teologia, conoscere i propri ascoltatori, le loro gioie e le loro pene, essere informato
dell’attualità, sapersi esprimere semplicemente. Una vera scommessa, un esercizio impossibile.
“Ciò che la preparazione di un’omelia richiede di sensibilità, di maturazione, di lavoro è
considerevole”, riconosce il P. Jean Rogues.
Bisogna anche lasciare maturare i testi nel silenzio e nella preghiera. Perché, avverte André
Lendger, la parola del predicatore non è una parola senza radice, soggetta alla fantasia di quello che
la pronuncia. Il predicatore è responsabile di un Altro che viene prima di lui, come è di coloro ai
quali si rivolge. Non può accontentarsi di ripetere. Qui come altrove, la banalizzazione è mortale.
“Finché il predicatore non ha la consapevolezza improvvisa di avere trovato qualche cosa di nuovo
per lui, dovrebbe aspettare prima di aprire la bocca”, consiglia anche il teologo lionese Henri Denis.
Ecco perché, ricordano i Padri della Chiesa, colui che ha ricevuto la missione di annunciare la
Parola deve conformare la sua vita, il suo pensiero e la sua parola alla Scrittura. Come il suo
uditorio, ha tanto bisogno del pane della Parola. “Spiegandovi le Sacre Scritture, diceva
sant’Agostino (Sermone 95, 1), è come se vi spezzassimo del pane. Ciò che vi distribuisco non è
mio. Ciò che voi mangiate, io lo mangio. Questo di cui voi vivete, io ne vivo. Abbiamo la nostra
dispensa comune nel cielo, perché è da lì che viene la Parola di Dio.”
Bernard JOUANNO
(1) Études n° 3 846, juin 1996.
(2) Études n° 3 941, janvier 2003.
(3) Prêcher ou essayer de parler juste (Cerf, 2002, 150 p., 16 €).
(4) Article « Homélie » du Dictionnaire encyclopédique de la liturgie, t. 1 (Brépols).
(5) « Ni cache-misère ni corset. Pour une prédication à la mesure de sa tâche », dans Positions
luthériennes, juillet-septembre 2005.
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Lessico
Predicazione, (dal latino praedicare, “dire altamente, annunciare, svelare, affermare”): annunciare
l’avvenimento della salvezza. E, a partire da là, esortare ed insegnare. Nella tradizione protestante,
la parola “predicazione” (da preferire a “sermone” o “omelia”) designa una lettura attualizzata di un
passaggio della Scrittura.
Omelia (dal greco homileïn, conversare, intrattenersi familiarmente): “L’omelia fa parte della
liturgia ed è molto raccomandata: infatti è necessaria per alimentare la vita cristiana. Deve essere la
spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura o di un altro testo dell’Ordinario
o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia dei
bisogni particolari di chi ascolta.” (Introduzione generale del Messale romano, n° 41).
Sermone (del latino sermo di cui il senso è vicino a quello di omelia): questo termine ha oggi
un’accezione più larga. Un sermone può sviluppare qualunque aspetto della vita cristiana, ed
essere pronunciato all’infuori delle celebrazioni.
L’omelia è riservata ai preti e diaconi
Il Codice di diritto canonico è molto chiaro sull’argomento (Canoni 762-772): “L’omelia che fa
parte della liturgia è riservata al prete o al diacono” (c. 767, § 1). Il cardinale Arinze, prefetto della
Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, l’ha ricordato in una lettera inviata
il 1° dicembre 2005 ai responsabili del Cammino neocatecumenale. Ma, in circostanze particolari, i
laici possono essere ammessi a pronunciare una meditazione dopo le letture.
Da leggere
L’omelia, n° 227 da Il Casa Dio (rivista del CNPL, pubblicato dal Cerf), 3° trimestre 2001.
I Padri e la predicazione, n° 99 da Conoscenza dei Padri della chiesa (ed Nuova Città, settembre
2005).
Predicare o provare a parlare giusto, di André Lendger. (Cerf 2002, 150 p., 16,80 €). Facile e
molto piacevole.
La Sfida omiletica, l’esegesi al servizio della predicazione, di Gerd Theissen ed altri (ed Labor e
Fides 1993, 320 p.). Atti del 3° ciclo di teologia pratica delle facoltà di teologia della Svizzera
romanza.