In primo piano RIFUGIATI

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In primo piano RIFUGIATI
In primo piano
Europa blindata
di Maurizio Dematteis. Foto Simone Perolari
Un accordo europeo e un esercito che fa uso di mezzi militari avanzati e sofisticati sistemi elettronici di sorveglianza da un lato. Diritti negati e 16 mila morti dall’altro. Sono le
due facce di uno stesso fenomeno, visto da Nord e da Sud: una vera e propria guerra non
dichiarata al diritto d’asilo.
«L’Europa, nel senso dei decisori, dei governi, dei politici, ha deciso che uno dei diritti fondamentali riportato su tutte le
carte internazionali e su cui basa la propria identità e civiltà giuridica, è diventato imbarazzante in termini di consenso. Si
tratta del diritto d’asilo che apre le porte, sempre secondo i decisori, a una difficoltà di controllare i flussi migratori» è la
tesi del giornalista e scrittore Luca Rastello, che nel suo ultimo libro “La frontiera addosso” (Laterza 2010), raccoglie centinaia di storie di diritti violati dei richiedenti asilo in Europa.
Ma il diritto d’asilo non si può negare esplicitamente. E’ un diritto umano fondamentale definito già all’art. 14 della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ‘48: chiunque ha diritto di cercare e godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. E lo status di “rifugiato” è riconosciuto, secondo il diritto internazionale sancito dall’art. 1 della Convenzione di
Ginevra del ‘51. Come potrebbero dunque i paesi europei negare tale diritto? Questa è proprio l’originalità del libro di
Rastello, che mettendo insieme le tessere del puzzle disegna i contorni di un vero e proprio sistema internazionale, dotato
di esercito, soldati e accordi ufficiali, per violare sistematicamente il diritto internazionale.
Storie quotidiane
Roma, 9 dicembre 2009. Poche righe d’agenzia raccontano dell’ennesima emergenza freddo: il corpo di un “barbone” viene
rinvenuto congelato su un marciapiede all’angolo fra via Principe Eugenio e piazza Vittorio. L’uomo, 52 anni, pakistano, si
chiamava Mohammed e veniva raccontato come uno dei tanti “invisibili” che la nostra società spesso costringe a vivere ai
margini. In realtà Mohammed Muzzafar Alì non era affatto “un invisibile”, era conosciuto da tante persone come Shere
Khan, la tigre. Mohammed era un leader nel movimento antirazzista e un punto di riferimento dei rifugiati nel nostro
paese. Si batteva perché a chi era dovuto fuggire fossero riconosciuti qui i diritti che nei paesi d’origine gli erano negati.
Aveva dato vita all’Uawa, unione dei lavoratori asiatici, che raccoglie afgani, pakistani, bengalesi, indiani, cinesi, cingalesi.
Insieme a don Luigi Di Liegro, il padre fondatore della Caritas italiana, aveva guidato la storica occupazione della
Panzanella negli anni 90, quando 3.000 persone si erano opposte alla segregazione e avevano occupato un luogo dove
non morire di freddo. E’ morto in una notte d’inverno nel nostro paese. In attesa del verdetto sulla domanda d’asilo che da
anni aveva presentato alla commissione territoriale romana.
Altro luogo, altra storia: siamo a Torino, nel luglio 2009, nello storico quartiere operaio San Paolo. 500 persone provenienti
da paesi lontani, tra cui molte mamme con bambini, attendono che un gruppo di giovani dei centri sociali cittadini forzino
la porta dell’ex clinica abbandonata San Paolo per trovare un riparo. Non c’è acqua corrente, l’elettricità va e viene, alcune
famiglie hanno trovato alloggio in stanze più piccole, ma la maggior parte dorme in stanzoni dove i letti, sfondati e impolverati, sono troppo pochi. Quando un gruppo di volontari inizia il censimento per distribuire i buoni-doccia concessi dal
Comune, quasi scoppia la rivolta: 4 buoni a testa per un intero mese, il mese più caldo dell’anno. I 500 non sono clandestini. Non sono neppure richiedenti asilo. Sono rifugiati. Somali, etiopi, eritrei, in fuga da guerre e dittature. Tutti titolari di
una protezione internazionale, molti dello status di rifugiato politico, alcuni di protezione sussidiaria o umanitaria. Sono
persone che, sulla carta, avrebbero diritto ad accedere ai principi della Convenzione di Ginevra. Costrette a vivere nella
fatiscente e pericolante Clinica San Paolo perché nessuno offre loro un’alternativa.
Scoppia lo scandalo, la metropoli aspirante capitale del terziario avanzato non trova di meglio che offrire ai malcapitati
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Il diritto d’asilo definito all’art. 14 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo non può essere negato esplicitamente. Ma secondo i decisori dell’Ue, esso renderebbe difficoltoso il controllo dei
flussi migratori, dunque si deve provvedere in qualche modo…
Frontex: un esercito con 89 motovedette, 24 navi pesanti, 25 elicotteri, 22 aeroplani militari e voli charter civili per i rimpatri
come prospettiva futura un fantomatico “Centro di accoglienza straordinaria in via Asti”, una ex caserma dismessa di un
quartiere “bene” della città, che il Comune, bontà sua, si impegna a ristrutturare. Ma a questo punto succede l’impensabile:
molti degli abitanti del quartiere, dai progressisti ai conservatori, si oppongono all’“operazione umanitaria” per paura che i
nuovi arrivati possano guastare la loro oasi di pace, il loro tranquillo e “borghese” quartiere, dove “quasi tutti si conoscono
e la gente si saluta ancora per strada”.
Guerra al diritto
«La scelta dell’Europa è di enunciare il diritto di asilo teoricamente ai massimi livelli possibili» riprende Rastello, «e di fargli
guerra nella pratica». Una guerra che si traduce ad esempio nella cintura realizzata dall’agenzia Frontex (vedi box), che è
un vero esercito, con navi, aerei, uomini, armi e reparti speciali. Con il compito di tenere fuori la gente ed evitare che “lo
straniero” arrivi sul territorio comunitario a esercitare, eventualmente, il proprio diritto a richiedere asilo.
«È in corso una vera e propria guerra al diritto d’asilo. E questa guerra fa danni collaterali, come li chiamano i militari. Cioè
In apertura: raccoglitori di pomodori clandestini in Sicilia.. Sotto: un ragazzo subsahariano attende di scavalcare la rete che divide il Marocco da
Melilla, enclave spagnola in terra africana. Ancora sotto: un rifugiato a Melilla lava le auto nei parcheggi. Pagina accanto: sede della Caritas di
Trapani che ospita clandestini, sbarco di africani nel porto di Lampedusa e rifugiato di un centro di permanenza spagnolo. Pagina seguente:
resti di naufraghi nel “cimitero delle carrette dei mari” di Lampedusa e un centro d’identificazione di minori immigrati, sempre nell’isola siciliana.
Frontex
L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Ue, in breve Frontex, con centro direzionale a Varsavia, coordina il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati Ue e
l’implementazione di accordi con i paesi confinanti per la riammissione dei migranti
respinti lungo le frontiere.
Fondata con decreto del Consiglio d’Europa 2007/2004, l’agenzia ha iniziato a operare
dal 2005. Sulle sue attività hanno espresso critiche associazioni della società civile
impegnate sui temi dell’immigrazione, come Amnesty International e l’European Council
for refugees and exiled. La critica principale riguarda i respingimenti di potenziali rifugiati politici in paesi terzi non sicuri. Persone cui è impedito mettere piede sul territorio
comunitario ed esercitare il diritto alla domanda di asilo politico.
I dati ufficiali della Commissione Libe del Parlamento europeo segnalano che dei circa
300 mila cittadini non comunitari intercettati o respinti nel 2008 da Frontex, il 46% è
stato fermato lungo le frontiere terrestri, il 32% in mare, il 22% negli aeroporti. Nello
stesso anno le forze coordinate da Frontex hanno intercettato 82.600 persone in ingresso via terra in Grecia (da Albania, Macedonia e Turchia), Bulgaria (dalla Turchia) e
Cipro (dalla parte turca dell’isola). E ne hanno respinte 56.300, sempre via terra, alla
frontiera svizzera, al confine tra Slovenia e Croazia, tra Ucraina e Polonia, Slovacchia e
Ungheria, e alla frontiera tra Moldova e Romania. Negli aeroporti sono state respinte
66.500 persone.
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i morti alle frontiere. I respinti che non riescono ad arrivare in Europa né a tornare indietro» spiega Rastello. Persone che,
secondo il censimento di Fortress Europe (vedi box nella pagina seguente), la fonte più attendibile a livello comunitario, in
10 anni sono almeno 16 mila. Limitandosi a quelle che è stato possibile individuare. «Una strage spaventosa su cui si esercita sistematicamente la rimozione, su cui la scelta collettiva è volgere lo sguardo altrove. Non voglio paragonarla alle
grandi tragedie del XXI secolo, ma è un fenomeno che può degenerare, una situazione che, nelle modalità con cui si sta
realizzando, ha qualcosa di goebbelsiano».
Eserciti e respingimenti
Il 9 luglio 2010 le agenzie battono la seguente notizia: “Il governo italiano dovrebbe offrire immediatamente accoglienza
ad almeno 11 eritrei che aveva respinto, in precedenza, in Libia, dove ora sono detenuti con la minaccia di deportazione in
Eritrea”. E’ la denuncia di Bill Frelick, direttore del Refugee program di Human Rights Watch, che sottolinea come la Marina
italiana avesse impedito a questi eritrei di raggiungere il nostro paese via mare, respingendoli sommariamente in Libia
senza dar loro la possibilità di richiedere asilo. In realtà l’operazione si inserisce in un programma sovranazionale, la missione navale congiunta di Frontex fra Italia, Malta, Francia, Germania, Spagna e Grecia denominata Nautilus III. Uno dei
Il libro
“La frontiera addosso”, edito nell’ottobre 2010, è un’agile guida per i diretti interessati ma anche una forte
denuncia nei confronti della politica sull’asilo dell’Unione europea. Riferisce i soprusi, analizza i flussi di
immigrazione e racconta la storia di decine di disperati raccolte dall’autore insieme alla sua redazione.
Nella seconda parte del volume vengono presentati i dati sul fenomeno a livello italiano ed europeo, insieme alla sistematizzazione di una serie di informazioni utili ai richiedenti asilo e a chi lavora insieme a loro.
Luca Rastello, La frontiera addosso. Così si deportano i diritti umani, Laterza 2010, pp. 280, 12,80 euro
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tanti nomi fantasiosi, mitologici, che evocano scenari da film delle operazioni di Frontex: Poseidon, Minerva, Saturn,
Chronos, Juppiter. Nomi a volte minacciosi come Hammer, Viking, a volte ingannevolmente morbidi come Rabit. Operazioni
portate avanti da una flotta di 89 motovedette, 24 navi pesanti, 25 elicotteri, 22 aeroplani militari, più voli charter civili a
disposizione per i rimpatri con scalo nei vari Stati membri. Un sistema permanente di pattugliamenti congiunti delle frontiere esterne all’Ue: marittimi, aeroportuali e terrestri. Un grande meccanismo che fa uso di mezzi militari avanzati e sofisticati sistemi elettronici di sorveglianza. “È l’esercito allestito per una guerra mai dichiarata e però intensamente combattuta, dove i caduti sono migliaia, ma si contano da una sola parte”, sottolinea Luca Rastello nel suo libro.
Si tratta di un apparato efficace, lo dimostrano le cifre sugli sbarchi fornite quest’anno da Gell Arias Fernandez, vicedirettore di Frontex: in Italia tra gennaio e agosto 2010 c’è stato un “drastico calo” degli ingressi illegali nell’ordine del 72%
sullo stesso periodo del 2009. Ma è un’efficacia che si traduce in molti casi di negazione anche solo della possibilità di fare
richiesta d’asilo, esponendo le vite dei potenziali richiedenti a rischi mortali. Ben documentati dal lavoro quotidiano di
Daniele Del Grande attraverso il suo osservatorio on line sulle vittime dell’immigrazione verso l’Europa, Fortress Europe.
Che in quattro anni di lavoro, attraverso la raccolta di migliaia di articoli della stampa internazionale, ha documentato la
morte certa di 15.638 persone. Migliaia di persone che dall’88 hanno tentato di espugnare la “fortezza Europa”, un miraggio da raggiungere per tentare di avere una vita migliore per sé e le proprie famiglie. Perdendo la vita.
15.638: i morti dall’88 nel tentativo di espugnare la “fortezza Europa”, un miraggio
da raggiungere nella speranza di una vita migliore
Fortress Europa
Fortress Europe è un osservatorio on line sulle vittime dell’immigrazione verso
l’Europa. Si tratta di una rassegna stampa che dall’88 a oggi fa memoria
delle vittime della frontiera: 15.638 morti documentate sulla stampa internazionale, tra cui 4.255 dispersi. Il sito è tradotto in sedici lingue e riceve circa
15.000 visite al mese. Secondo i dati dell’osservatorio, nel Mar Mediterraneo e
nell’Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 8.354 persone tra
migranti e rifugiati negli ultimi vent’anni. Metà delle salme (4.255) non sono
mai state recuperate. Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia,
Malta e l’Italia le vittime sono state 2.514, tra cui 1.549 dispersi. Altre 70
persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotte
che vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania
e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo
stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.127 persone di cui 1.986 risultano
disperse. Nell’Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, hanno perso la vita 895
migranti, tra cui 461 dispersi. Infine nel Mare Adriatico, tra l’Albania, il
Montenegro e l’Italia, negli anni passati sono morte 603 persone, di cui 220
sono disperse. Inoltre, almeno 597 migranti sono annegati sulle rotte per
l’isola francese di Mayotte, nell’oceano Indiano. Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dove
spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container.
Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 146 le morti
accertate per soffocamento o annegamento.
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