LE MISSIONI DI PACE

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LE MISSIONI DI PACE
LE MISSIONI DI PACE
di Giovanni D’Addario
IV A Liceo scientifico
A seguito della partecipazione della mia classe alla Cerimonia di giovedì 19 maggio alla FAO,
durante la quale il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ci ha parlato dell’importanza delle
missioni di pace dell’ONU, ho chiesto a mio padre di poterlo “intervistare” sull’argomento, per
capire bene quale fosse l’impegno dell’Italia e dei suoi uomini in tal senso.
Una delle prerogative dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), organizzazione
internazionale fondata nel 1945 che riunisce 193 stati, è il mantenimento della pace e della
sicurezza. In particolare, il Consiglio di Sicurezza, composto da cinque membri permanenti
(U.S.A., Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) e da dieci membri eletti ogni due anni, ha il
compito di mantenere la sicurezza internazionale e, laddove i contrasti degenerassero in conflitti,
di ristabilire la pace. Per fare ciò, il Consiglio di Sicurezza può creare delle missioni di pace, o
operazioni di peacekeeping. Durante queste operazioni vengono mobilitati soldati, ufficiali di polizia
e personale civile messi a disposizione dell’ONU da parte degli Stati membri; oltre a ristabilire la
pace, i peacekeepers devono cercare di far giungere le parti coinvolte nel conflitto ad un accordo.
Le forze di peacekeeping sono contraddistinte dal loro casco blu; per questo motivo vengono
chiamate spesso “caschi blu”.
Mio padre è un generale di brigata dell’Esercito italiano ed è un paracadutista della Folgore.
A sedici anni ha frequentato la Scuola Militare “Nunziatella” a Napoli, poi è andato all’Accademia
militare di Modena. Uscito dall’Accademia, è entrato nel 186º Reggimento paracadutisti Folgore;
durante la sua carriera ha ricoperto tutti gli incarichi di comando all’interno del reggimento e tra il
2013 e il 2015 ha comandato la Brigata Folgore.
Mio padre ha partecipato a numerose missioni all’estero; nel 1991 è andato in Iraq, nel 1993 in
Somalia, nel 1999 e nel 2004 in Kosovo e nel 2011 in Afghanistan. Queste missioni furono stabilite
da un mandato delle Nazioni Unite, ma non erano missioni in cui vengono impiegati i caschi blu.
Tuttavia lo scopo delle missioni era lo stesso, ovvero quello di portare sollievo alle popolazioni
coinvolte in un conflitto e cercare di garantire la pace e la sicurezza. Durante le operazioni, mio
padre ha comandato unità di paracadutisti; ad esempio nella missione in Afghanistan era al
comando dell’intero reggimento. Spesso i paracadutisti vengono inviati all’estero nei momenti
iniziali del conflitto, quando c’è una grande incertezza; quindi devono gestire una situazione
estremamente precaria e pericolosa. In generale, gli scopi delle missioni possono essere di due tipi:
bisogna o mantenere la pace o imporla. Il primo tipo di missione può essere necessaria quando non
viene rispettato un accordo di pace, come ad esempio è avvenuto in Libano. In altre missioni le
Forze armate hanno il compito di imporre la pace, spesso con l’uso della forza.
Le Nazioni Unite svolgono quindi un ruolo fondamentale: l’ONU coordina gli sforzi
internazionali, non solo nel settore militare ma anche negli altri ambiti, perché gli interventi
militari da soli non bastano: infatti servono anche altri sforzi, relativi ad ambiti diversi. Anche per
questo motivo, l’ONU comprende varie agenzia, per esempio la FAO (Food and Agriculture
Organization of the United Nations), il WHO (World Health Organization) e l’IMF (International
Monetary Fund), che si occupano di problemi specifici ad un determinato settore.
Oltre alle Nazioni Unite anche gli Stati limitrofi svolgono un ruolo importante; se un conflitto non
riguarda un solo paese ma comprende anche altri stati confinanti ad esso, è molto più difficile
ristabilire la pace. In questi casi avvengono spesso più conflitti contemporaneamente e ciò
complica ancora di più la situazione. Inoltre le operazioni di pace sono già difficili per una serie di
altri fattori, i risultati ottenuti non sono mai immediati e per avvenire richiedono il consenso
unanime della comunità internazionale, che non è sempre facile da raggiungere.
Parlando con mio padre, ho avuto la possibilità di comprendere meglio il compito dei militari che
vengono mandati in zone di guerra e le condizioni in cui vivono. Essi stanno lontani dalla propria
famiglia e dalla propria casa per mesi e mesi, talvolta anche di più. Rischiano costantemente la loro
vita e devono prendere decisioni istantanee; devono aiutare le popolazioni locali ma essere pronti
ad individuare eventuali pericoli e minacce. Per questo motivo, mio padre mi ha detto che devono
sempre cercare di capire chi siano i buoni e i cattivi. Inoltre, in queste condizioni ci si rende conto
delle difficoltà che le popolazioni locali affrontano ogni giorno: per esempio ci sono generazioni
che sono cresciute durante la guerra e non hanno mai conosciuto la pace e la stabilità. Dopo aver
vissuto queste esperienze si diventa consapevoli delle disuguaglianze che esistono nel mondo: mio
padre ci dice spesso che siamo molto fortunati e che non sappiamo di esserlo.
Oggi sono circa seimila le truppe italiane all’estero: l’Italia è tra i primi paesi della NATO in quanto
a budget e forze militari ed è tra i
primi contributori per le missioni di
pace. Negli ultimi decenni, truppe
italiane sono state mandate in Iraq,
Somalia,
Libano,
Afghanistan,
Kosovo, Ruanda, Albania, Timor Est,
Macedonia e Bosnia ed Erzegovina e
continueranno a ricoprire un ruolo
importante
sullo
scenario
internazionale anche in futuro.