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Roma, 18 e 19 giugno 2008 workshop SPOPOLAMENTO E MORTE DI ALVEARI: ASPETTI SANITARI Istituto Zooprofilattico Sperimentale Regioni Lazio e Toscana Via Appia Nuova, 1411 REGISTRO STAMPA Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 11214 EDITORE Melitense S.r.l. Via Nizza 45 - 00198 Roma - Italia - UE Telefono +39.06.35404965 800 910470 Fax +39.06.35346727 Email [email protected] Internet www.melitense.it DIRETTORE RESPONSABILE Loredana Marinaccio [email protected] DIRETTORE EDITORIALE MELITENSE EDITORE Massimo Ilari [email protected] REDAZIONE E SEGRETERIA Via Alfredo Fusco 85 - 00136 Roma. Telefono +39.06.35404965 Fax +39.06.35346727 Email [email protected] [email protected] COORDINAMENTO EDITORIALE Marzia Romolaccio*, Giovanni Formato° ed Antonella Bozzano* dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana * Struttura Formazione, Comunicazione e Documentazione ° Settore Apicoltura Pubblicazione finanziata nell’ambito del Reg. CE 1234/2007, distribuita gratuitamente Copyright 2008 Melitense srl, Roma E’ vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. INTRODUZIONE Le diverse problematiche igienico-sanitarie del settore apistico, che negli ultimi tempi hanno avuto eco anche nell’opinione pubblica, hanno rappresentato uno dei motivi principali per la realizzazione del Workshop dal titolo “Spopolamento e morte di alveari: aspetti sanitari”, che si è svolto lo scorso 18 e 19 giugno presso la sede di Roma dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, che ne ha curato l’organizzazione. Notizie allarmanti a proposito di morìe di api vengono un po´ da tutto il mondo, Europa inclusa, e sembra che, a seconda delle zone, siano stati colpiti dal 30 al 90% del patrimonio apistico (quindi, ben oltre il fisiologico rinnovo annuale “naturale” degli alveari, che sappiamo essere pari al 15-18%). Negli Stati Uniti il fenomeno è stato particolarmente evidente e ha assunto caratteristiche molto peculiari, al momento inspiegabili. Per definirlo, gli studiosi hanno coniato addirittura un nuovo nome: CCD, Colony Collapse Disorder. All´improvviso gli apicoltori trovano le arnie completamente vuote e spopolate, con presenza di scorte all’interno. Il miele, alle analisi, risulta perfettamente “normale”, tanto che è giudicato adatto per il consumo umano. Quali le cause di questi fenomeni? L’ipotesi più accreditata è che esista una sinergia tra diversi fattori causali. Sono stati tirati in ballo noxe di diversa natura: • biologica, come virus, acari (es. Varroa destructor), microsporidi (es. Nosema ceranae); • chimica, in conseguenza di fattori ambientali connessi all’impiego di fitofarmaci ed all’impiego del farmaco in apiario; • genetica, per la selezione di particolari ceppi di api, più sensibili alle mattie; • fisica, quali le onde elettromagnetiche e gli squilibri ambientali; i cambiamenti climatici legati alle attività umane hanno modificato la stagione delle fioriture, le monocolture e i diserbanti hanno “appiattito” il paesaggio rurale e la gamma dei fiori a disposizione. Forse non tutti sanno che l’Italia, pur avendo una superficie agraria ridotta rispetto ad altri Paesi europei, è al primo posto nell’Unione Europea per il consumo di pesticidi. Ne sparge in un anno ben 7.070 tonnellate, pari al 33% di quelle usate nell’intera Europa dei 25. E’ lecito comunque ipotizzare che, allo stesso modo delle api, scompaiano altri insetti impollinatori che non vengono accuditi ed allevati dall’uomo, come ad esempio gli Apoidei selvatici, con gravi ripercussioni sull’intero ecosistema. Gli studi in proposito sono scarsi, ma si stima che, rispetto al 1980, sia sparito il 52% delle api selvatiche che popolavano la Gran Bretagna, ed il 67% di quelle dei Paesi Bassi. Si calcola che un terzo dei raccolti sia direttamente legato all’azione impollinatrice degli insetti pronubi. Una frase attribuita ad Albert Einstein recita: “Se le -7- api scomparissero dalla faccia della terra, all’uomo resterebbero solo quattro anni di vita”. Che l’abbia o meno pronunciata il grande scienziato, la sostanza non cambia: un mondo senza api - sarebbe impossibile. Non è il ballo soltanto la produzione del miele. Ogni alveare garantisce l’impollinazione su quasi 3.000 ettari. Oltre a moltissime specie vegetali spontanee, un gran numero di colture dipende largamente o esclusivamente dalle api grazie alla loro attività di impollinazione Di fronte a questo quadro il nostro Istituto, che sta attivamente partecipando ad un progetto europeo denominato “CO-LOSS” (= Colony Losses) per lo studio del problema dello spopolamento e morte degli alveari, si è sentito in dovere di continuare a sensibilizzare e l’opinione di chi opera in questo settore, come pure si è sentito in dovere di favorire uno scambio culturale tra le varie parti del settore della ricerca e del settore delle Istituzioni. Da qui è nata l’idea di realizzare questo Workshop sullo spopolamento e morte degli alveari, che ci è viene peraltro finanziato dalla Regione Lazio tramite i fondi comunitari destinati allo sviluppo del settore apistica (Regolamento CE n. 1234/2007). Ringrazio tutti i rappresentanti delle Istituzioni e degli Enti di ricerca che hanno presenziato a questo evento formativo contribuendo alla sua realizzazione e favorendo così il confronto ed il dialogo tra le parti che entrano in gioco sulla tematica oggetto di questa iniziativa. Dr. Nazareno Renzo Brizioli Direttore Generale IZS Lazio e Toscana -8- -9- - 10 - 1. INDICE DELLE RELAZIONI PROPOSTA DI UN PROGETTO DI COORDINAMENTO PER GESTIRE LA MORIA DEGLI ALVEARI IN ITALIA (PIANO DI MONITORAGGIO NAZIONALE APENET) Claudio Porrini, Valter Bellucci ..............................................pag. 19 MORTALITÀ DELLE API NELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA: ATTIVITÀ IZS-LT RELATIVA ALLE MALATTIE DELLE API Giovanni Formato ..................................................................pag. 23 MORTALITÀ DELLE API NELLA REGIONE TOSCANA Giuliana Bondi ......................................................................pag. 27 DIFESA SANITARIA DEGLI ALLEVAMENTI APISTICI ITALIANI E NORMATIVA VETERINARIA VIGENTE. IL PUNTO DI VISTA E LE PROPOSTE DEGLI APICOLTORI Francesco Panella....................................................................pag. 35 RIDUZIONE DEL NUMERO DEGLI ALVEARI: IL PUNTO DI VISTA DEGLI APICOLTORI Raffaele Cirone ......................................................................pag. 43 HONEYBEE COLONY LOSSES: FACTORS AND MECHANISMS LA PERDITA DI ALVEARI: CAUSE E MODALITÀ Peter Neumann ......................................................................pag. 49 NOSEMAE CERANAE: UNA NUOVA SFIDA PER L’APICOLTURA ITALIANA Franco Mutinelli, Anna Granato ............................................pag. 51 LO SPOPOLAMENTO DEGLI ALVEARI IN ITALIA Franco Mutinelli ....................................................................pag. 53 CAMBIAMENTI CLIMATICI E MISURE DI PROFILASSI DELLA VARROOSI Antonio Nanetti ....................................................................pag. 55 - 11 - VIROSI DELLE API E MORTALITÀ DEGLI ALVEARI Antonio Lavazza, Giusy Cardeti ............................................pag. 57 SENOTAINIA TRICUSPIS, PARASSITA RESPONSABILE DI GRAVI MORIE DI API IN ITALIA Antonio Felicioli ....................................................................pag. 71 CONTROLLO DELLA VARROA DESTRUCTOR. ESPERIENZE NEL LAZIO Enzo Marinelli........................................................................pag. 73 - 12 - 2. INDICE DELLE COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE ATTUALITÀ SULLA FLORA MICROBIOLOGICA DEL SISTEMA APIARIO E SULL’USO DI MICRORGANISMI PROBIOTICI CON ATTIVITÀ ANTAGONISTA VERSO I BATTERI PATOGENI DELLE API Francesco Canganella..............................................................pag. 91 IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA): MONITORAGGIO AMBIENTALE TRAMITE LE API M. Perugini, P. Visciano, A. Giacomelli, L. Grotta, E. Marinelli, A.G. Sabatini, P. Medrzycki, L. Persano Oddo, F.M. De Pace, P. Belligoli, G. Di Serafino, M. Amorena ........pag. 93 L’ARAL - 30 ANNI DI STORIA Francesco Coarelli ..................................................................pag. 99 A PROPOSITO DI APICOLTURA Massimo Ilari........................................................................pag. 101 FLORA MICROBICA IN 2 DIVERSE TIPOLOGIE DI MIELI DELLA REGIONE LAZIO F. Tomassetti, M. Milito, G. Formato, E. Dell’Aira, R. Campanelli, L. De Santis, G. Migliore, S. Saccares ........pag. 105 PROVE CON FORMULATI A BASE DI TIMOLO NEL CONTROLLO DI VARROA DESTRUCTOR IN DIVERSE PROVINCE DELLA SICILIA NEL PERIODO 2004-2007 Pietro Arculeo, Eugenia Oliveri, Maria Rosa Scurria, Antonio Leo, Maria Rosa Battiato........................................pag. 107 SPAZIO RURALE APRE AGLI APICOLTORI PER UNIRE TUTTE LE FORZE INTERESSATE ALLA SALVAGUARDIA E ALLO SVILUPPO DEL SETTORE Battista Piras ........................................................................pag. 113 - 13 - - 14 - 3. INDICE DEI POSTER LO STRANO CASO DI PHACELIA TANACETIFOLIA BENTHAM (HYDROPHYLLACEAE) Andrea Mengassini, Monika Marta Grygielewicz ................pag. 121 ATTIVITÀ DI CAMPO CON ANTIMICROBICI NATURALI NEI CONFRONTI DEL PAENIBACILLUS LARVAE Carlo Ferrari, Andrea Volterrani, Alessandra Giacomelli, Rita Marcianò, Stefano Saccares, Francesco Canganella, Giovanni Formato ................................................................pag. 127 BIOACTIVIDAD DE ACEITES ESENCIALES EN VARROA DESTRUCTOR SEGÚN SU TRATAMIENTO DE SECADO Y PROCEDENCIA GEOGRÁFICA ATTIVITÀ ACARICIDA DEGLI OLI ESSENZIALI NEI CONFRONTI DI VARROA DESTRUCTOR IN FUNZIONE DEL TRATTAMENTO DI ESSICCAZIONE E DELL’ORIGINE GEOGRAFICA M. Maggi, L. Gende, N. Damiani, K. Russo, M. Eguaras....pag. 129 IL MASTER DI PATOLOGIA APISTICA ED APIDOLOGIA GENERALE Alberto Arus, Pasqualino Baiardi, Salvatore Barone, Andrea Besana, Giuliana Bondi, Lorenza Brandalise, Gianluigi Bressan, Antonella Carteri, Enrico D’Addio, Donatella De Monte, Giovanni Formato, Alba Giorgio, Matteo Giusti, Giulio Loglio, Angelica Iannonu-Kapota, Antonio Mastromattei, Marcella Milito, Gino Menguzzato, Enrico Miglietta, Gian Luca Obaldi, Maria Eleonora Reitano, Marta Zanolla, Antonio Felicioli ..pag. 131 MORTALITÀ INVERNALI DI ALVEARI NELLA REGIONE VENETO Alessandra Baggio, Chiara Manzinello, Nicoletta Stocco, Albino Gallina, Luciana Barzon, Franco Mulinelli ..............pag. 133 IL SUBLIMATORE VARROGLASS® Aldo Frasca, Beatrice Frasca..................................................pag. 135 INDICE DEI RELATORI ..................................................pag. 143 - 15 - - 16 - 1. RELAZIONI - 17 - - 18 - PROPOSTA DI UN PROGETTO DI COORDINAMENTO PER GESTIRE LA MORIA DEGLI ALVEARI IN ITALIA (PIANO DI MONITORAGGIO NAZIONALE “APENET”) Claudio Porrini1, Valter Bellucci2 DISTA - Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali dell’Università di Bologna 2APAT - Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e dei Servizi Tecnici 1 RIASSUNTO Viste le attuali problematiche di natura ambientale e sanitaria che condizionano l’apicoltura e il lavoro degli apicoltori, l’APAT e il DiSTA dell’Università di Bologna, di concerto con altre istituzioni di ricerca, ritengono importante avviare concrete iniziative volte a ridurre o contenere le rilevanti perdite di api che purtroppo si sono avute negli ultimi anni in Italia. Al fine di sostenere il settore, gli interventi da realizzare dovrebbero includere, a nostro avviso, uno specifico progetto di ricerca che preveda la predisposizione di una rete nazionale di monitoraggio permanente e di allarme gestita dalle Pubbliche Amministrazioni responsabili di ambiente, salute e agricoltura e dalle associazioni di apicoltori. Tale rete consentirà di valutare l’evoluzione delle patologie e delle perdite delle famiglie di api in modo da registrare l’eventuale presenza sul territorio delle sostanze e delle condizioni dannose per le api e per l’intero ecosistema. SUMMARY Given the current issues of environmental and health that affect the beekeeping and the work of beekeepers, APAT and DiSTA University of Bologna, in concert with other research institutions, consider important to undertake concrete initiatives to reduce or contain the significant losses of bees happening in the last years in Italy. In order to support the industry, interventions should provide, in our view, a specific research project which foresee the establishment of a national network of permanent monitoring and alarm system operated by Public Administrations responsible for environment, health and agriculture and associations of beekeepers. The system will assess the evolution of diseases and losses of bees families in order to record the possible presence in the territory of substances and conditions that can be harmful to bees and/or to the entire ecosystem. PAROLE CHIAVE: piano di monitoraggio, Colony Collapse Disorder (CCD), api - 19 - INTRODUZIONE L’apicoltura nel mondo è in difficoltà da diversi anni per il fenomeno della cosiddetta “Sindrome da collasso degli alveari” (CCD - Colony Collapse Disorder) (Oldroyd, 2007; Mutinelli e Granato, 2007), che determina l’indebolimento del sistema immunitario delle api e lo spopolamento delle famiglie. Le cause di questa sindrome vanno ricercate in diversi fattori: • acuirsi di un complesso di patologie in particolar modo dalla varroa; • inquinamento ambientale; • cambiamento climatico; • uso del territorio. L’incidenza di tali fattori varia in funzione dell’area geografica e del periodo dell’anno considerato. E’ stato più volte ricordato che qualora le autorità e gli apicoltori dei vari paesi non adottino tempestivamente misure di protezione del patrimonio apistico, la situazione è destinata ad aggravarsi sul versante sia ambientale che economico. Per intraprendere azioni o iniziative volte a conservare le risorse apistiche italiane e avviare un serio piano di lotta per contrastare i fenomeni di spopolamento degli alveari è necessario, in primo luogo, conoscere con esattezza il patrimonio apistico nazionale ed in particolare: l’entità degli apiari, la loro ubicazione, le attività agricole, industriali o gli insediamenti civili presenti nelle loro vicinanze. Successivamente si dovrebbero avviare una serie di analisi mirate e prolungate nel tempo, indirizzate ad individuare le più probabili cause dello spopolamento. PRESENTAZIONE DEL PIANO DI MONITORAGGIO Sulla base delle indicazioni emerse nel corso del Workshop “Spopolamento degli alveari in Italia”, tenutosi a Roma il 29 gennaio 2008 (Bellucci 2008), l’APAT, insieme ad Istituti ed Enti di ricerca Nazionali, ha sottolineato l’importanza di un PIANO DI MONITORAGGIO SUL TERRITORIO NAZIONALE che indaghi sulle cause della perdita del patrimonio apistico nelle diverse realtà regionali. Le finalità principali del piano sono: • valutare la consistenza del fenomeno della moria degli alveari attraverso l’individuazione dei periodi e delle zone più a rischio; • quantificare le eventuali perdite; • identificare le cause del fenomeno; • indicare le possibili soluzioni o i fattori che possono contribuire a contenere il fenomeno. LE RISORSE NEL SETTORE IN ITALIA, CONFRONTO CON GLI USA Già altri Paesi hanno destinato ingenti somme per monitoraggi di questo tipo. Negli USA, ad esempio, dove nel 2007 si è registrata una mortalità del 50-70% delle famiglie e una perdita nelle produzioni agricole, per mancata impollinazione, stimata nell’ordine del 25% (Jeffry S. Pettis USDA-ARS, 2008), le risorse destinate alla ricerca sono state enormi rispetto a quelle italiane, che invece ri- - 20 - sultano insufficienti per avviare un serio piano di controllo e di sostegno del settore. I finanziamenti destinati all’apicoltura in Italia provengono sia dall’UE sia da fondi nazionali. In particolare, l’incentivo Comunitario (decisione della Commissione 10 agosto 2007) per il miglioramento della produzione e commercializzazione dei prodotti dell’apicoltura è quantificato in 8 milioni di euro circa per il triennio 2008-2010. Il successivo decreto Mipaaf del 7 settembre 2007 ripartisce fra le regioni, già per l’esercizio biennale 2007-2008, parte di questo incentivo (4,3 milioni di euro). Inoltre, il Piano di Sviluppo Rurale assegna a giovani imprenditori che vogliano avviare un’attività apistica, un finanziamento aggiuntivo di 55.000 euro a fondo perduto per il sostegno iniziale (Decreti Ministeriali MIPAAF: 23 gennaio 2006 e 07 settembre 2007 ). PROPOSTA DI RICERCA NAZIONALE Occorre, però, dedicare risorse aggiuntive e adeguate alla promozione di specifici progetti di ricerca, auspicabilmente coordinati da Enti ed altri Istituti Nazionali competenti del settore con la partecipazione delle associazioni degli apicoltori. Infine, è necessario adottare un Progetto Nazionale interdisciplinare, i cui contenuti sono già stati delineati, che consenta all’Italia di ricollocarsi nella dimensione scientifica europea e mondiale, come avvenne negli anni 1997-2002 grazie al progetto AMA (Ape, Miele, Ambiente) (AA.VV, 2002). Per tale motivo CRA-API (Unità di Ricerca Apicoltura e Bachicoltura) e Università di Bologna (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali - DiSTA) hanno già elaborato una proposta di piano di monitoraggio, inserito in un programma di ricerca di più ampio respiro, in via di presentazione al Mipaaf. Il piano di monitoraggio, denominato “Apenet”, dopo una fase iniziale e sperimentale della durata di tre anni, dovrebbe diventare permanente. Il progetto prevede una rete nazionale di monitoraggio, coordinata da CRA-API e DiSTA, con la partecipazione di amministrazioni pubbliche, responsabili in materia di agricoltura, ambiente e salute, e delle associazioni di apicoltori. L’obiettivo è di monitorare lo stato di salute delle famiglie di api per il loro ruolo di “sentinella” del rischio ambientale. Le analisi previste si basano soprattutto sul controllo diretto degli alveari e su diagnosi di laboratorio al fine di segnalare quanto più tempestivamente possibile l’eventuale presenza sul territorio di prodotti dannosi per le api e quindi anche per l’uomo e per l’ambiente. CONCLUSIONI Il piano potrebbe costituire un incentivo per gli agricoltori a sviluppare pratiche agricole che consentano nel contempo di ridurre i costi di produzione e di salvaguardare l’ambiente, quali, ad esempio: il ricorso alle rotazioni; la lotta biologica, agronomica, meccanica; l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e l’esclusione di formulati particolarmente dannosi per le api e gli altri pronubi. Al momento, per reperire i fondi necessari ad avviare il piano di monitoraggio si stanno percorrendo diverse strade. In termini di costi/benefici si può osservare che la spesa annua prevista ammonta ad una cifra inferiore allo 0,5% del danno annuale arrecato al solo settore agricolo per mancata impollinazione (pari a 250 - 21 - milioni di euro) a cui vanno sommati ulteriori 40 milioni di euro annui per i danni causati direttamente all’apicoltura dalla morte delle famiglie di api e per mancata produzione di miele, polline, pappa reale e propoli, per un totale, su scala nazionale, di 290 milioni di euro (Porrini 2008). I costi del piano, se paragonati ai danni, sono irrisori ma consentirebbero di creare una efficacie rete nazionale di controllo. Infine, è auspicabile l’istituzione di un meccanismo per lo scambio di informazioni tipo “Clearing House Mechanism”, ovvero una struttura che raccolga tutti i dati e le informazioni relative al fenomeno della moria delle famiglie di api e degli altri insetti pronubi, già disponibili nell’ambito delle diverse realtà regionali. Essa dovrebbe essere coordinata dagli enti nazionali con il contributo tecnico scientifico delle istituzioni regionali, delle associazioni degli apicoltori referenti e degli enti di ricerca, ciascuna sulla base delle specifiche competenze. La rete nazionale “Apenet” prevede che in ogni regione venga collocato almeno un “modulo di monitoraggio” formato ognuno da cinque apiari costituiti da 10 alveari. I cinque apiari dovrebbero essere ubicati in modo da monitorare aree diverse fra loro dal punto di vista dell’uso del territorio, soprattutto per quanto riguarda la destinazione agricola. Tutti i dati raccolti relativi allo stato di salute delle famiglie, integrati con il contesto ambientale in cui sono collocati gli apiari (latitudine, coltivazioni, clima, tecniche agricole, ecc.) e la conduzione apistica adottata, consentiranno di valutare i diversi fattori che possono influenzare lo sviluppo della famiglia di api, indagare sulle cause degli spopolamenti di alveari e stimare con dati oggettivi la situazione del nostro Paese. L’APAT, L’Agenzia Protezione per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi tecnici, si propone di partecipare, coinvolgendo il Sistema delle Agenzie Ambientali Regionali, alla creazione ed allo sviluppo di questo piano nazionale di monitoraggio. BIBLIOGRAFIA 1. Bellucci V., 2008 (Eds) Atti del Workshop: Sindrome dello Spopolamento degli alveari in Italia, 29 gennaio 2008, APAT, Roma. http://www.apat.gov.it/site/it-IT/ContentsFolder/Eventi/2008/01/api.html 2. Decreto Ministeriale MIPAAF 23 gennaio 2006, che detta le linee guida per l’attuazione dei regolamenti comunitari sul miglioramento della produzione e commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura. 3. Decreto Ministeriale del 07 settembre 2007, ripartisce tra le regioni, le risorse finanziarie per la realizzazione dei sottoprogrammi regionali. 4. Jeffry S. Pettis USDA-ARS, Coordinated research aims to improve honey bee health, Agricoltural Research Magazine, february 2008. 5. Mutinelli F., Granato A., 2007 – La sindrome del collasso della colonia (Colony Collapse Disorder) negli USA. Un aggiornamento sulla situazione attuale. Apoidea, 4 (3): 175 – 185. 6. Oldroyd B.P., 2007 - What’s killing american honey bees? Plos Biology, 5: 1195 – 1199 7. AA.VV., 2002 – Il ruolo della ricerca in apicoltura. Atti del convegno finale Progetto finalizzato AMA, Ape Miele Ambiente, (a cura di Sabatini A.G., Bolchi Serini G., Frilli F., Porrini C.) Bologna 14-16 marzo 2002. pp. 552. 8. Porrini C., 2008 (http://www.apat.gov.it/site/_files/Doc_alveari/Porrini.pdf) - 22 - MORTALITÀ DELLE API NELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA: ATTIVITA’ IZS-LT RELATIVA ALLE MALATTIE DELLE API Giovanni Formato Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana - Settore Apicoltura RIASSUNTO: L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZS-LT), come laboratorio ufficiale, conduce analisi di malattie delle api relativamente a: peste americana, peste europea, varroatosi, nosemosi, virosi ed altre patologie minori. Le richieste di diagnosi giungono sia da parte delle Aziende USL, che da parte degli stessi apicoltori. Vengono di seguito riportate le malattie delle api diagnosticate dall’IZS-LT tra il mese di maggio 2007 e quello di maggio 2008. I campioni analizzati erano principalmente originari della Regione Lazio, in minor quantità dalla Regione Toscana. La patologia che ha provocato le più gravi perdite per il patrimonio apistico nelle due regioni oggetto dello studio è risultata essere la varroatosi, associata a virosi. SUMMARY: L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZS-LT) is involved in analysis for infectious and parasitic diseases of honeybees. IZS-LT, in fact, as official laboratory, conducts analysis for: American foul brood, European foul brood, varroatosis, nosemosis and viruses, etc. The main causes of death for the honeybees observed by the IZS-LT between May 2007 and May 2008 are reported. The samples were obtained primarily from the region of Lazio but, in some cases, also from the region of Tuscany. The disease that mainly caused the families’ death was demonstrated to be varroatosis associated to virosis. Parole chiave: spopolamento, malattia, diagnosi, IZS. INTRODUZIONE Tra il 2006 ed il 2007 in diverse parti del mondo (Europa, USA e Cina) sono state segnalate morie di alveari superiori al fisiologico rinnovo “naturale” degli alveari che è pari al 15-18%. Tale fenomeno, è stato denominato “Colony Collapse Disorder” (CCD) e sembra aver provocato danni per cifre superiori ai 400 milioni di euro. L’agente responsabile della CCD è a tutt’oggi sconosciuto, anche se sono state chiamate in causa eziologie di diversa natura, che probabilmente interagiscono sinergicamente: biologica (virus, l’acaro Varroa destructor, microsporidi quali il Nosema ceranae), chimica (prodotti fitosanitari impiegati - 23 - in agricoltura e farmaci impiegati in apiario), fisica (onde elettromagnetiche, squilibri ambientali), genetica (selezione di ceppi di api meno resistenti). Per quanto riguarda le possibili interazioni tra le varie noxae, è possibile ipotizzare, ad esempio, l’associazione dell’acaro Varroa destructor alle forme virali (tale patologia prende il nome di “Sindrome di Parassitosi da Acari” o “Parasitic Mite Sindrome” - PMS), oppure degli effetti subletali di pesticidi congiunti ad una depressione del sistema immunitario, oppure all’aggravamento delle patologie apistiche in concomitanza di sfavorevoli condizioni climatiche che ne rendono più gravi i sintomi o ne rendono più difficilmente realizzabile la terapia farmacologica. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZS-LT) è un laboratorio pubblico che svolge, tra le altre attività, anche compiti di diagnostica sullo stato sanitario delle api. Nel presente lavoro vengono analizzate le cause di morie diagnosticate dall’IZSLT in un anno di attività, a partire dal mese di maggio 2007 fino al mese di maggio 2008. Viene anche messo in risalto in numero di alveari che sono pervenuti a morte o che sono stati distrutti, in seguito alle patologie diagnosticate nei diversi apiari per i quali sono stati condotte le analisi. MATERIALE E METODI Le metodiche utilizzate per le analisi hanno fatto riferimento al Manuale dell’OIE, alla letteratura scientifica pertinente ed a quanto previsto dalle norme specifiche che regolamentano il settore. RISULTATI E CONCLUSIONI In base agli accertamenti diagnostici effettuati dall’IZS-LT nell’anno preso in esame, i risultati riscontrati sono stati i seguenti (Fig. 1): virosi conseguente a varroatosi: n. 320 alveari pervenuti a morte; peste americana: n. 53 alveari pervenuti a morte/distrutti; peste europea: n. 41 alveari pervenuti a morte/distrutti; Nosema spp.: n. 33 alveari. Fig. 1. Risultati attività diagnostica IZS-LT (PMS: Parasitic Mite Sindrome; PA: peste americana; PE: peste europea). - 24 - La patologia che, nel periodo in esame, ha portato a morte il maggior numero di alveari nelle regioni Lazio e Toscana è risultata essere la virosi, quasi sempre conseguente a forme di varroatosi. Non di rado tale forma è stata responsabile della moria anche di interi apiari. Di minor entità, ma comunque sempre presenti anche negli altri anni di attività, le perdite dovute sia alla peste americana che alla peste europea. A proposito, risulta opportuno segnalare nella primavera del 2008, una forte recrudescenza della peste europea (dovuta primariamente al Melissococcus plutonius) nella provincia di Viterbo. Ulteriori approfondimenti andrebbero effettuati per verificare la prevalenza del Nosema ceranae rispetto al N. apis: tutti i casi nell’arco temporale analizzato inoltrati all’IZS delle Venezie per sequenziamento con PCR sono risultati positivi al N. ceranae. BIBLIOGRAFIA 1. Formato G, Giacomelli A, Cardeti G, Riccardi F, Piacentini S, Milito M, Conti R, Saccares S. “L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana a tutela della sanità delle api”. Atti del IX Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Roma 14-16 novembre 2007, pag. 143-144. 2. http://maarec.cas.psu.edu/ColonyCollapseDisorder.html 3. http://www.beealert.info/ 4. Manuale di norme per le prove diagnostiche e i vaccini dell’Ufficio Internazionale delle Epizoozie (OIE) - 2000. Malattie delle api in lista B - Section 2.9 - 25 - - 26 - MORTALITA’ DELLE API NELLA REGIONE TOSCANA Giuliana Bondi Azienda USL 7 di Siena Nel breve tempo a mia disposizione vorrei illustrare i dati per la Regione Toscana, relativamente allo spopolamento ed alla morte di alveari, tramite una breve cronistoria relativa agli eventi ed ai provvedimenti sanitari conseguenti. Già nel 2004 il Convegno di Montalcino portò alla ribalta il problema delle morie di api conseguenti ad avvelenamenti. La stampa toscana di quei giorni né dette profusa notizia. Lo studio delle problematiche inerenti, effettuato dalla nostra USL7 di Siena, direttamente coinvolta dal problema, mise in evidenza che: • ogni Zona della nostra usl doveva dotarsi di un Veterinario specialista nel settore formazione e aggiornamento continui • che i Servizi Veterinari non avevano le competenze necessarie per effettuare indagini oltre l’apiario, in caso di avvelenamento da prodotti fitosanitari. L’intervento del Veterinario poteva rilevare la moria di api da cause non infettive o infestive; non aveva le competenze per indagare sul corretto uso di fitofarmaci presso le aziende agricole circostanti l’apiario e individuare eventuali responsabilità sulla moria di api (cosa che invece si sarebbe aspettato l’apicoltore, in applicazione della Legge Regionale Toscana n° 69/’95). Per ovviare a ciò pensammo di coinvolgere il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della nostra usl. Questo sarebbe intervenuto su nostra segnalazione presso le aziende agricole nel raggio dei 3 km circostanti l’apiario, avrebbe verificato la regolarità dei trattamenti messi in atto da quelle aziende e rilevato i prodotti usati nell’arco dei 30 gg precedenti la moria, ci avrebbe suggerito le sostanze da ricercare nel campione per limitare al massimo i costi di analisi. Presso l’Istituto Nazionale di Apicoltura ci informammo sui metodi corretti di campionamento e sulla tempistica con la quale si sarebbero dovuti svolgere sopralluoghi e prelievi per non rendere vano il nostro intervento. Il laboratorio competente per la ricerca di tutte molecole possibili risultò essere soltanto l’I.N.A.(qualitativa e quantitativa). Avremo potuto usufruire anche del Laboratorio di Tossicologia presente presso il nostro Dipartimento di Prevenzione, ma soltanto per talune molecole e solo per un responso di tipo qualitativo. Riferirsi a laboratori diversi dall’Istituto Zooprofilattico voleva dire aprire un nuovo capitolo di spesa ma la nostra usl non si dichiarò disponibile a sostenere le spese di analisi in caso di sospetto di avvelenamento di api, che erano di circa 50 euro per ogni molecola ricercata. - 27 - Pertanto, le analisi di laboratorio risultarono a carico dell’apicoltore. Faccio notare che ciò non avviene per nessun altra specie animale. Nessun allevatore, in caso di moria dei propri animali, deve sostenere il costo delle analisi effettuati dalla usl. La procedura prodotta è stata applicata in due casi di segnalazione di sospetto di avvelenamento ed in ambedue i casi sono stati individuati i principi attivi nel campione ed accertate irregolarità nell’uso di diserbanti e fitofarmaci (risarcimento danni all’apicoltore). Nonostante la nostra usl si sia dotata di una procedura pressoché perfetta, non riesce ad applicarla. E’ evidente che le problematiche del settore apistico vanno affrontate e risolte a monte con disposizioni che uniformino le attività delle uussll regionalmente e magari statalmente. Le differenze di comportamento tra uussll nella gestione della sanità in campo apistico sono oggetto di forti e giuste critiche da parte dell’utenza. Il 20 giugno 2007 il Ministero della Salute (MdS)si rivolge agli Assessorati alla Sanità Regionali con una circolare il cui oggetto è: “EPISODI DI MORIA DI API” e chiede a quelle amministrazioni di voler fornire indicazioni in merito • ai controlli; • ai provvedimenti adottati sul territorio; • nonché in merito a programmi di monitoraggio eventualmente predisposti. Il 12 Luglio 2007 la Regione Toscana chiede ai Direttori dei Dipartimenti di Prevenzione delle UUSSLL della Toscana: 1. gli esiti di eventuali controlli mirati ed i provvedimenti adottati; 2. i programmi di monitoraggio eventualmente in corso, predisposti e finalizzati al controllo sul corretto impiego delle sostanze attive segnalate; 3. a fattibilità di possibili monitoraggi da programmare con speciale riguardo alle problematiche evidenziate dal MdS. Gli stessi direttori sono invitati a fornire risposta, anche se negativa, rispetto ai punti 1., 2., 3. entro il 10 agosto. Rispondono due UUSSLL: AUSL RISPOSTA AUSL 5 PISA Avvio di una indagine sulla vendita dei fitofarmaci indicati. Nessun caso di moria di api AUSL 12 VIAREGGIO Nessun caso di moria di api Il 2 ottobre 2007 il Ministero della Salute invia per conoscenza una circolare agli Assessorati alla Sanità delle Regioni, il cui oggetto è: EPISODI DI MORIA DELLE API - MISURE PRECAUZIONALI ADOTTATE DALLA COMMISIONE CONSULTIVA PER I PRODOTTI SANITARI - 28 - Gli assessorati alla sanità regionali sono invitati: • a proseguire nel monitoraggio del fenomeno di moria delle api ed • a trasmettere i risultati conseguiti. Il 28 dicembre 2007 la Regione Toscana chiede alle UUSSLL di trasmettere entro il 15 gennaio una breve relazione sulla presenza o assenza di morie di api o fenomeni di spopolamento degli alveari segnalate dagli apicoltori e non ascrivibili a malattie infettive o parassitarie. Risposta delle UUSSLL: AUSL RISPOSTA AUSL 1 MASSA CARRARA AUSL 2 LUCCA Nessuna segnalazione di moria ricevuta. AUSL 3 PISTOIA Nessuna segnalazione di moria ricevuta. AUSL 4 PRATO Nessuna segnalazione di moria ricevuta. AUSL 5 PISA AUSL 6 LIVORNO AUSL 7 SIENA Effettuato uno studio sul rilevamento dell’inquinamento ambientale tramite l’ausilio dell’Osmia nel polo industriale della Valdelsa (Università di Pisa - Provincia di Siena) AUSL 8 AREZZO AUSL 9 GROSSETO AUSL 10 FIRENZE Casi di morie e spopolamenti all’Isola d’Elba. ZONA AMIATA SENESE: nessuna segnalazione. ZONA VALDICHIANA: N°1 Caso di spopolamento cause non individuate; N° 1 segnalazione di spopolamento da gruccioni. ZONA VALDELSA: N° 2 sospetti di avvelenamento non è stato possibile risalire ad alcun principio attivo; Monitoraggio sul 25% degli allevatori ha evidenziato che nel 64% lo spopolamento è riconducibile a cause diverse da avvelenamento da pesticidi. ZONA SENESE: Indagini effettuate presso le rivendite di fitofarmaci riferiscono che pesticidi a base di neonicotinoidi non vengono usati nei nostri terreni. N° 1 caso di avvelenamento per diserbante dato lungo i binari ferroviari, segnalato dall’apicoltore all’atto del rinnovo della denuncia degli alveari. N° 9 segnalazioni di spopolamento a causa dei gruccioni. N° 3 segnalazioni relative a comportamenti anomali (anomala distribuzione della covata e sciamature ripetute sino alla distruzione della famiglia). Nessuna segnalazione di moria ricevuta Zona 4 Area grossetana: disturbi di orientamento delle api durante la fioritura del girasole. Spopolamenti primaverili sul girasole. AUSL 11 EMPOLI AUSL 12 VIAREGGIO - 29 - Le Associazioni Toscane di Apicoltori, alla richiesta delle Regione Toscana (e della USL 7 di Siena per le ass. locali/nazionali) di segnalare casi di morie di api o di fenomeni di spopolamento degli alveari segnalate dagli apicoltori e non ascrivibili a malattie infettive ed infestive, rispondono così: ASSOCIAZIONE RISPOSTA A.R.P.A.T. Sintomi neurotossici rilevati sulle api posatesi sui girasoli: tremori, paralisi, disorientamento, incapacità al volo. Spopolamento Zona Braccagni (GR) Spopolamento Val di Merse (SI) Spopolamento Poggibonsi (SI) Spopolamento Bagno a Ripoli (FI) In tutti i casi era presente il girasole TOSCANA MIELE A.P.A. 30% di mortalità, non ascrivibili a casi di avvelenamento A.A.P.T. A.N.A.I. A.S.G.A. Segnalazioni di morie nelle province di Arezzo e Grosseto su colture di girasole. Segnalazioni di morie in Val di Chiana, Val di Merse, Val d’Orcia su colture di piante oleose I dati sopra riportati non consentono di individuare per la regione Toscana: • il n° di apicoltori interessati; • il n° di apiari coinvolti; • il n° di alveari colpiti; • la localizzazione degli apiari colpiti/responsabilità agricole; • i danni subiti; • i fitofarmaci eventualmente causa di morie e spopolamenti. Potremo dire che in Toscana gli apicoltori non segnalano problemi di morie delle api o di spopolamento degli alveari alle UUSSLL. Questo può non voler dire che non ci siano casi di morie o di spopolamento, può significare che gli apicoltori segnalano le loro difficoltà a referenti che non trasmettono a loro volta il dato alle istituzioni o che non incoraggiano gli apicoltori a farlo e non trovando il dato di ufficializzazione, questo rimane una notizia vaga priva di valore, inutile ai fini di un suo concreto utilizzo. Assodato che l’Apicoltura è il caposaldo del benessere dell’agricoltura, della zootecnia, dell’alimentazione umana e dell’ambiente, sarà necessario fare in modo che le istituzioni affrontino il problema con urgenza e programmaticità per evi- - 30 - tare che accada in Italia la stessa catastrofe ecologica degli Stati Uniti d’America. Se il Ministero della Salute vuole dati certi è necessario pianificare le attività di rilevamento del fenomeno e di accertamento delle cause con disposizioni specifiche ed uniformi sul territorio nazionale. In particolare occorre: 1) individuare i referenti del settore apistico presso le Regioni e presso i Servizi Veterinari delle UUSSLL; 2) motivare i Veterinari delle UUSSLL a formarsi sulle problematiche del settore apistico e fare in modo che se ne occupino con programmaticità (l’apicoltura non è un optional); 3) un protocollo operativo di intervento da adottare nei casi di morie di api o di spopolamento degli alveari; 4) designare i laboratori competenti cui far pervenire i campioni da analizzare; 5) chiarire chi dovrà sostenere i costi delle analisi. Tutto questo è già stato fatto dalle «regioni pilota» Piemonte e Lombardia, presso le quali i risultati già si vedono. Il Dr. Astuti della Regione Lombardia, riferisce che dei 41 interventi effettuati dai veterinari delle UUSSLL su chiamata, 17 hanno individuato la causa di moria in sostanze provenienti da trattamenti fitosanitari. Il documento organizzativo che sarà inviato a tutte le UUSSLL della regione Lombardia fornisce le seguenti indicazioni operative e dà tutte le risposte che occorrono per ben operare: 1) gli apicoltori interessati devono esser sensibilizzati a segnalare, con la massima tempestività al Dipartimento di Prevenzione Veterinario della ASL competente, gli episodi di moria o spopolamento; 2) il Dipartimento di Prevenzione Veterinario della ASL, una volta ricevuta la segnalazione deve: • effettuare un immediato sopralluogo presso l’apiario interessato procedendo ad un campionamento di api ancora vive o moribonde, il campione deve essere congelato nel più breve tempo possibile; • compilare il verbale/questionario di accompagnamento; • inviare il campione all’IZS di Brescia che provvederà sia all’accertamento di eventuali patogeni (batteri, virus, funghi, parassiti), sia all’inoltro all’Istituto Nazionale di Apicoltura che provvederà alle analisi per la verifica di eventuali avvelenamenti da neonicotinoidi; • trasmettere alla Regione copia del questionario e del relativo referto analitico. Si chiarisce che il costo delle analisi sarà sostenuto dalle UUSSLL. Quanto sopra esposto è scaturito dal lavoro del Gruppo Regionale per la tutela sanitaria e l’incremento dell’apicoltura. Personalmente ritengo che, affinché le UUSSLL possano lavorare con gli apicoltori e nell’interesse dell’apicoltura, sia indispensabile chiarire il ruolo delle Associazioni Apistiche e le loro responsabilità nell’ambito della rilevazione delle - 31 - patologie delle api, delle morie e degli spopolamenti. Ricondurre la responsabilità di una diagnosi nelle mani di un veterinario, piuttosto che di figure diverse, riporterebbe la situazione nei ranghi della regolarità e della chiarezza. In ogni modo l’opera delle associazioni dovrebbe svolgersi in sinergia a quella delle istituzioni e mai in alternativa o in antitesi. Per stimolare questa collaborazione, che tarda a realizzarsi in Toscana, si potrebbero destinare i fondi Comunitari per l’apicoltura solo a quelle associazioni che dimostrassero di collaborare fattivamente con le UUSSLL nell’opera di ricongiunzione tra mondo apistico e quello delle istituzioni. Ribadisco che soltanto con il Censimento, la registrazione delle Aziende Apistiche e quindi con la conoscenza dell’entità del patrimonio apistico italiano, si può dare forza e voce agli apicoltori ed affrontare con efficacia i problemi sanitari di settore. Non ultimo, la revisione del regolamento di Polizia Veterinaria del 1954. A questo proposito, ricordo che tale Regolamento (DPR n° 320/54) ha la funzione di dettare le disposizioni inerenti la profilassi delle malattie infettive e diffusive degli animali, a tutela del patrimonio zootecnico italiano e che a proposito delle morie, all’articolo 2, recita così: “Qualunque caso, anche sospetto, di malattia infettiva e diffusiva degli animali di cui all’art.1, deve essere immediatamente denunciato al Sindaco che ne informa subito il Veterinario comunale. Sono tenuti alla denuncia: 1) i veterinari comunali e consorziali che comunque siano venuti a conoscenza di casi di malattie infettive e diffusive; 2) i veterinari liberi esercenti; 3) i proprietari e i detentori di animali; 4) gli albergatori, i conduttori di stalle di sosta, di stazioni di monta, gli esercenti delle mascalcie. La denuncia è obbligatoria anche per qualunque nuovo caso di malattia o di morte improvvisa che si verifica entro 8 giorni da un caso precedente e non riferibile a malattia comunque già accertata. Sono tenuti altresì alla denuncia: 5) i presidi delle Facoltà di Medicina Veterinaria, i direttori degli Istituti Zooprofilattici, ogni altro Istituto sperimentale a carattere veterinario; 6) i direttori degli Istituti Zootecnici, i direttori degli Istituti di incremento ippico, l’autorità militare cui sono affidati gli animali dell’esercito; 7) le autorità portuali marittime, degli aeroporti civili, i capi stazione. Gli esercenti delle imprese di trasporti animali. 8) le guardie di pubblica sicurezza, i carabinieri, le guardie di finanza, le guardie forestali, gli agenti provinciali le guardie per l’ente della protezione animali.” Ringrazio, per la collaborazione ricevuta: il Dr. Andrea Leto dell’Assessorato alla Sanità della Regione Toscana; - 32 - il Dr. Mario Astuti dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia; il Dr. Gandolfo Barbarino dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte. - 33 - - 34 - DIFESA SANITARIA DEGLI ALLEVAMENTI APISTICI ITALIANI E NORMATIVA VETERINARIA VIGENTE. IL PUNTO DI VISTA E LE PROPOSTE DEGLI APICOLTORI Francesco Panella Presidente Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani U.N.A.API L’attuale grave crisi degli allevamenti apistici nazionali è segnale di allarme circa la possibilità, da parte dell’ecosistema, di mantenere inalterate le caratteristiche di fertilità e di biodiversità che lo hanno naturalmente contraddistinto. Cambio climatico, monocultura in successione con riduzione della biodiversità vegetale, uso sempre più sostenuto di erbicidi, impiego sempre più intenso, diffuso di insetticidi, in particolare con nuove e micidiali molecole neurotossiche ad azione sistemica, sono fra le diverse e intersecate cause che determinano parte delle difficoltà che vive questo settore produttivo. Fattore primario di tale crisi è tuttavia conseguente ad una virulenza e ad un sempre più difficile controllo sia delle vecchie che delle nuove patologie apistiche. Anche al più sprovveduto degli osservatori risulta peraltro evidente, rispetto all’insieme della zootecnia, inclusa quella minore, sia la singolarità e la specificità di questo animale, sia il conseguente bisogno di considerare con particolare attenzione le peculiarità che lo contraddistinguono, sia l’urgente necessità di attivare una adeguata e specifica politica sanitaria. In realtà, nella maggior parte dei casi, non si tiene in dovuto conto di tali peculiarità nella definizione e gestione generale delle politiche e iniziative in agricoltura e in particolare di quelle che si riferiscono alla sanità animale. Questo è dovuto in gran parte ad una radicata concezione folklorica dell’apicoltura generalmente diffusa nella cultura veterinaria e/o agronomica italiana e, soprattutto, allo scarso valore che viene dato a tale materia di studio nei vari percorsi formativi e/o di qualificazione tecnica. Nostro obiettivo è l’avvio di un confronto e di un’attiva collaborazione con i diversi possibili interlocutori e responsabili istituzionali e associativi per la definizione di condivisi miglioramenti dell’attuale approccio complessivo di lotta sanitaria. Il nostro sforzo è teso a contribuire all’apertura di un ampio e approfondito dibattito a partire dalla realtà (e non dal mondo delle carte e delle norme stantie e universalmente disattese, delle conoscenze vetuste e sorpassate, delle priorità d’intervento contraddittorie se non addirittura controproducenti) per giungere, con l’apporto di tutte le competenze che vorranno misurarsi in questo processo, a de- - 35 - terminare un nuovo, condiviso e, finalmente, efficace approccio di lotta sanitaria. Primo ineludibile passo in tale direzione è capire se l’attuale consolidato apparato concettuale di politica sanitaria è coerente e conciliabile con le caratteristiche dell’animale e del suo allevamento. In tal senso è utile dedicare una riflessione apposita sugli elementi specifici e distintivi che contraddistinguono l’ape. Peculiarità dell’ape e della relativa difesa sanitaria: 1. Sotto il profilo del ciclo biologico, così come delle tecniche d’allevamento e soprattutto delle attenzioni sanitarie, la rilevanza dello stato di benessere del singolo insetto è nella gran maggioranza dei casi nulla. In effetti, l’alveare, formato da decine di migliaia d’individui interdipendenti e regolato da complessi sistemi di coesione, integrazione e comunicazione, costituisce una realtà biologica unica che fonda le sue radici su esigenze e attività tanto categoriche da annullare quelle del singolo componente. 2. Gli interdipendenti elementi costitutivi dell’alveare sono: le api e la struttura (favi, ricovero e materie) indispensabili al suo complesso ciclo biologico. Una forma vitale basata su una relazione, inscindibile, tra materia animata e inanimata, nella gran parte delle sue fasi vitali. L’insieme delle materie che fanno parte indissolubile dell’animale è costituito da una moltitudine di sostanze relazionate e influenti sullo stato di salute dell’animale stesso: nettare, miele, polline, pane d’api, acqua, propoli, cera, esuvie… 3. Diverse forme patogene e/o parassitarie così come molteplici forme viventi connesse al ciclo biologico dell’ape, sono strettamente relazionate all’alveare nel suo complesso più che agli insetti propriamente detti. 4. L’interazione dell’insieme degli elementi costitutivi dell’alveare determina un metabolismo particolare e difficilmente valutabile sia sotto il profilo dell’assunzione, somministrazione ed espulsione di preparati, cosa che può implicare notevoli fenomeni di fissazione e/o addirittura di accumulo nelle materie costituenti l’animale, sia sotto il profilo delle difese immunitarie e dei fenomeni di stress/intossicazione nel tempo dell’organismo. Di conseguenza, concetti veterinari basilari inerenti il ciclo vitale delle sostanze o preparati somministrati in allevamento, quali “tempo di carenza” e “tempo di sospensione” sono di ben ardua applicazione in rapporto a tale peculiare metabolismo. 5. L’area di pascolo e di scambio tra gli alveari stessi e l’ambiente è, proporzionalmente enorme, rispetto a gran parte degli altri animali. Gli alveari stessi vengono comunemente utilizzati quali indicatori biologici nella valutazione della qualità ambientale di un territorio. 6. L’animale presenta, nei periodi di attività, un’eccezionale attività di continua relazione e scambio biologico con i suoi simili, anche a distanza di vari chilometri. Sono diversi, peculiari e unici i fenomeni di interscambio quali ad esempio: deriva, attività dei fuchi, fecondazione multipla e difficilmente “condizionabile”, saccheggio latente o manifesto… Infatti, in relazione alla prevenzione e lotta a differenti patologie, si sta sempre più affermando tra - 36 - 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. diversi autorevoli ricercatori e nella grande maggioranza degli apicoltori, la scarsa rilevanza dello stato di sviluppo e/o delle condizioni sanitarie del singolo alveare. Al contrario, trova sempre maggiori conferme l’approccio che tende a valutare lo stato dell’intero apiario, se non addirittura dell’insieme degli apiari che insistono, in relazione tra loro, su un determinato territorio quale un unico grande vaso comunicante. Tali fenomeni d’interscambio tra le famiglie d’api di un vasto ambito territoriale non sono sostanzialmente condizionabili da parte dell’uomo e tanto meno dal singolo allevatore. Questo fenomeno unitamente ad irresponsabili scambi, facilitati dalle modeste dimensioni dell’insetto, a fini di ricerca e/o produttivi e commerciali messi in opera dall’uomo, sovente dagli apicoltori stessi, ha comportato, recentemente, una impressionante e progressiva diffusione e facile propagazione di agenti patogeni. In campo apistico un processo morboso è generalmente assai complesso e relazionato ad azioni concomitanti o successive di diversi agenti eziologici - spesso presenti allo stato latente - e di fattori e condizioni di diverso ordine (genetico, biochimico, tossicologico) associati o conseguenti ai primi. L’esperienza epizoologica insegna che l’eradicazione delle malattie (specialmente per le forme parassitarie) degli animali è pressoché inattuabile nella pratica; inoltre, in apicoltura, spesso non verificabile. Preso atto dell’ubiquitarietà di alcuni agenti e dell’assunto che un certo numero di parassiti può essere comunque presente negli alveari, non si può parlare, in vari casi, propriamente di malattia se non in presenza delle manifestazioni conclamate della forma morbosa. Il concetto di “controllo” deve conseguentemente assumere soprattutto il significato di contenimento delle parassitosi. Coerentemente alla fisiologia dell’alveare, va riformulata la conoscenza delle relative patologie dove, rispetto alla valutazione e interpretazione delle singole componenti, prevale in molti casi la necessaria considerazione delle loro interazioni globali. Qualsiasi dichiarazione diagnostica è subordinata ad osservazioni parassitologiche e sintomatologiche eseguite sul/sugli alveare/i, sul/sugli apiario/i nella loro globalità e non su pochi esemplari di api. Sono gli alveari o gli apiari, se non addirittura, in certi casi, l’insieme degli apiari, di uno stesso ambito territoriale che vanno assunti quale riferimento unitario anche nel campo sanitario oltre che in quello zootecnico. Per varie patologie è da sottolineare la sostanziale coincidenza tra norme sanitarie finalizzate al controllo e contenimento delle stesse e le buone tecniche e procedure di allevamento messe in atto dall’apicoltore. Le stesse caratteristiche di propagazione delle malattie dell’alveare richiedono un’azione di lotta impostata secondo un’ottica collettiva, con interventi coordinati e contemporanei su base territoriale, così da prevenire l’infezione o la reinfestazione e ritardare o evitare fenomeni di resistenza. Tali specificità dell’alveare non sono considerate, sotto i vari profili, da norma- - 37 - tiva e procedure vigenti di polizia veterinaria Gli articoli sulle api del Regolamento di Polizia Veterinaria, infatti, a differenza delle altre specie animali, assoggettano ad un unico articolato, in un forzoso parallelismo, malattie fra le quali non esiste alcuna equivalenza per eziologia (estremamente differenziata: acari, protozoi, batteri specifici e aspecifici), né tanto meno per epidemiologia, clinica, evoluzione, profilassi e terapia. Per la veterinaria odierna questi concetti assumono valori e significati diversi da caso a caso, con l’impossibilità di utilizzarli come unico supporto scientifico e pratico indistinto. • Diagnosi: per l’insieme delle patologie (con l’unica e peraltro ambigua eccezione nel caso della varroasi che nell’ordinanza ministeriale del 1995 è prima riconosciuta quale patologia endemica diffusa su tutto il territorio nazionale e comunque sottoposta a denuncia al sindaco affinché disponga “l’esecuzione di opportuni trattamenti…”), si considera la presenza e non la manifestazione clinica dell’agente patogeno. Tale criterio, qualora venisse applicato puntualmente in un ipotetico monitoraggio effettuato con analisi di laboratorio, porterebbe con ogni probabilità, al rinvenimento dell’agente di una, se non addirittura di più patologie e/o di parassiti, con la conseguente dichiarazione dello stato di malattia, e anzi di compresenza di malattie, per la gran maggioranza se non per la totalità degli allevamenti apistici italiani. • Attività e misure: l’insieme delle azioni oggi proposte -denuncia, dichiarazione di zona infetta, distruzione/cura, isolamento, blocco della movimentazione- non sono, conseguentemente all’intero impianto concettuale di riferimento, assolutamente rapportate alle specificità dell’animale e dell’allevamento in questione ed il più delle volte risultano non solo inutili, ma anche controproducenti. Il rischio che vengano applicate misure che non tengono in alcun conto delle peculiarità dell’animale e dell’allevamento è anzi una delle ragioni che crea una barriera invalicabile, e in questo caso ben motivata, tra operatori e Servizi Veterinari. • Certificazione ai fini dello spostamento in ambito nazionale: ad un esame approfondito delle norme esistenti, in effetti, questo adempimento non corrisponde ad alcun obbligo, se non quello presente in alcune leggi per l’apicoltura emesse dalle regioni, ma è una “pratica consuetudinaria obbligata” trasposta da obblighi attinenti altre specie animali. Nella gran maggioranza dei casi la “necessaria” certificazione è l’unica occasione di relazione tra servizi ed operatori e tal quale contribuisce non poco a squalificare e sminuire l’importanza di tale rapporto e collaborazione. • Nomadismo: è un’attività evidente e manifesta e quindi è stata da sempre oggetto di un’attenzione sproporzionata all’effettivo rischio che comporta. Questa focalizzazione “pseudo sanitaria” in certi momenti o ambiti assume tutt’ora aspetti d’intralcio persecutorio ed è totalmente incoerente con la realtà dei naturali fenomeni di scambio fra gli apiari: ciascun territorio è, dal punto di vista apistico, un grande vaso comunicante in cui un solo alveare mal tenuto -poco importa se nomade o stanziale- diviene potenzialmente diffusivo di patologie. Per altro questa sproporzionata attenzione al nomadismo ha contribuito a “chiu- - 38 - dere gli occhi” e a “dimenticare” che, in effetti, vi sono altre pratiche, connesse con l’attività apistica, ben più pericolose e su distanze più significative quali il continuo, necessario e abituale scambio di materiale biologico vivo tra diversi apiari e in diversi territori (favi popolati, pacchi d’api, regine) e non (cera, favi di scorte ecc...). L’esagerata attenzione e l’accanimento burocratico di pseudo vigilanza sul nomadismo, aspetto produttivo peculiare dell’attività apistica, trova diverse possibili motivazioni per i vari soggetti coinvolti. Per i responsabili dei Servizi la pedissequa riproposizione di una certificazione che per altre tipologie di allevamento ha una sua sensatezza ed utilità, corrisponde alla sensazione di fare almeno qualcosa di utile anche in campo apistico. In modo analogo per una certa “tradizione” apistica (che trova il suo conforto addirittura nella specifica normativa degli anni venti) trae la sua motivazione profonda dalla radicata, ma non per questo meno errata, concezione per cui il rischio di diffusione delle patologie sarebbe più che altro dovuto ad “untori” che vengono “da fuori” più che all’insieme di pratiche, consuetudini e variabili di un dato territorio ed insieme di allevatori e di apiari in stretta e continua relazione e scambio. Addebitare le colpe all’altro da sé è, in effetti, l’atteggiamento “culturale” più semplice, errato e controproducente se poi non è addirittura conseguente a misere e, il più delle volte, immotivate misure protezionistiche delle risorse botaniche di un ambito territoriale. Paradossale poi e ingiustificabile sotto qualsiasi profilo il compito affidato, secondo alcune norme regionali, ai Servizi Veterinari di determinare la collocazione degli apiari nomadi in funzione dell’“ottimizzazione dello sfruttamento” delle risorse botaniche disponibili. L’inadeguatezza della normativa di riferimento provoca grave deterioramento della relazione tra apicoltori e responsabili della sanità animale: L’assoluta inadeguatezza sinergica di tale apparato normativo come della derivata pratica e qualità delle relazioni tra responsabili della sanità animale e operatori, sono sotto i nostri occhi e ben esemplificate dal quadro d’insieme nazionale delle denunce ufficiali, avulso totalmente dall’effettivo stato sanitario degli allevamenti apistici, con la conseguente totale carenza di dati sulla vera situazione epidemiologica. Questo impedisce di coordinare interventi di prevenzione e controllo ed acuisce il divario tra prescrizioni normative e pratiche correnti, legittimando, di fatto, il sostanziale disinteresse effettivo e la oramai “scontata e consueta” mancanza di valide indicazioni operative da parte dei Servizi, cui fa da contrappunto e “giustificazione” la diffusa pratica del “fai da te” da parte degli apicoltori. Inidoneità e mancanza di preparati efficaci per la difesa sanitaria degli allevamenti apistici: Tale situazione degradata è poi strettamente connessa ed aggravata dall’inadeguatezza e inefficacia dei farmaci veterinari disponibili, in particolare per il contenimento della varroa. Con un quadro normativo nazionale, comunitario e internazionale segnato pesantemente da differenze sostanziali e soprattutto da - 39 - mancata comprensione e condivisione delle peculiari caratteristiche dell’animale in questione e delle particolari difficoltà che comporta la messa a punto di preparati e metodi di difesa sanitaria per l’apicoltura. Cambiare è indispensabile, migliorare è possibile: Lo sviluppo di corrette ed efficienti politiche sanitarie assume un valore importante ed è parte integrante, nel caso particolare dell’apicoltura, della difesa dell’ambiente e della tutela e sviluppo della qualità dei prodotti apistici. Invece di continuare a subire passivamente questa inaccettabile normativa e le sue conseguenze, proponiamo che in Italia ci si attivi, a tutti i livelli possibili, per ridefinirla in termini complessivi o, quantomeno, modificarne gli aspetti applicativi più inattuali ed incongruenti. Similmente a quanto già verificatosi in altri comparti zootecnici, le norme sanitarie in apicoltura dovrebbero, oramai è un patrimonio comune e condiviso, venire concepite non tanto in funzione repressiva, cioè in termini di ordinanze, concessioni e divieti di polizia veterinaria, quanto piuttosto essere indirizzate prioritariamente a favorire dinamiche concrete per una migliore prevenzione e lotta alle patologie. Ciò è tanto più vero per una tipologia di allevamento in cui le procedure e le buone pratiche di conduzione assumono rilievo prevalente anche sotto il profilo della lotta sanitaria. L’obiettivo principale da tener presente nell’impostazione delle modifiche è di agevolare la relazione tra operatori e referenti istituzionali della sanità animale, tra apicoltori e veterinari preposti alla salvaguardia del patrimonio apistico nazionale. La facilità di relazione, non vincolata dalle errate e anacronistiche norme vigenti, può favorire la segnalazione spontanea da parte dell'apicoltore di casi sospetti di patologie, permettendo una reale conoscenza della situazione epidemiologica e di orientare gli operatori, ove possibile, verso l’adozione di buone pratiche d’allevamento e di interventi e trattamenti curativi. E’ inoltre necessario superare l’attuale focalizzazione paralizzante e deviata dell’attenzione sulla pratica del nomadismo, costruendo invece strumenti e procedure che permettano di conoscere l’effettiva collocazione e movimentazione di tutti gli apiari, precondizione fondamentale per l’attivazione di qualsiasi politica di difesa sanitaria. Proposte: Nell’ambito di U.N.A.API. abbiamo avviato una riflessione che si concretizza in orientamenti propositivi sui criteri di riferimento su cui attivare da un lato l’Anagrafe Nazionale degli allevamenti apistici e dall’altro sui tratti essenziali cui riferirsi per la riformulazione della normativa veterinaria. Se e quando si attiverà un confronto costruttivo in merito, che coinvolga tutti gli attori e soggetti responsabili, è speranza condivisa che si possa analizzare e trovare efficaci, praticabili soluzioni anche sulla non semplice ma inderogabile e ineludibile problematica del farmaco veterinario in apicoltura. Anagrafe Nazionale degli allevamenti apistici: Tale strumento ha molteplici e determinanti funzioni non solo di valenza sanitaria (politiche di tutela e sostegno, monitoraggio evoluzione e stato di salute del - 40 - comparto, indicatore di ecotossicità ecc…). Affinché sia efficiente e funzionale, gli obiettivi prioritari e le modalità operative dovrebbero rispecchiare i seguenti criteri: • la collocazione degli allevamenti apistici deve essere conosciuta dai Servizi Veterinari, a prescindere dalle dimensioni e/o dalle variazioni di consistenza degli apiari e/o dalle forme di conduzione e tipo di produzione apistica; • il riferimento non può essere in questo comparto né la sede aziendale principale, né l’apiario ma l’operatore (l’apicoltore) a prescindere dalla più o meno varia e mobile collocazione del/dei allevamento/i; • lo spostamento degli apiari deve essere tempestivamente comunicato ai Servizi Veterinari, sia di partenza e sia di arrivo; • le modalità di comunicazione debbono e possono essere semplici; • l’apicoltore deve essere tenuto a registrare le movimentazioni di materiale biologico vivo apistico (tracciate e ricostruibili); • l’installazione di nuovi apiari deve essere comunicata all’ASL competente. Riscrittura articoli apicoltura R.P.V.: Registro aziendale degli apiari: Debbono essere annotate dall’apicoltore: • l’evidenza sintomatica di malattie/parassitosi; • le perdite di famiglie d’api e, se nota, la relativa causa; • le cure veterinarie o le altre precauzioni adottate quali una gestione sotto “particolare osservazione”; • gli spostamenti di apiari; • i risultati delle analisi diagnostiche. Malattie soggette a provvedimenti di polizia veterinaria: • Peste americana. • Peste europea. • Nosemiasi. • Acariosi. • Tropilaelaps ed Aethina tumida. • Varroasi. Peste Americana: Obbligo di denuncia di ogni caso di sospetto. La Azienda USL: • accerta la presenza della malattia; • dispone il blocco della movimentazione; • dispone la distruzione delle famiglie malate e/o la relativa sterilizzazione delle attrezzature contaminate; • revoca blocco dopo la distruzione delle api malate; • quando constata diffusione enzotica o epizotica della patologia con stadi di decorso particolarmente avanzati della patologie e/o una percentuale di fami- - 41 - glie colpite particolarmente significativa (ad esempio superiore al 10% dell’allevamento), l’ASL dispone la prosecuzione del blocco dell’apiario, degli apiari territorialmente potenzialmente coinvolti dall’infezione, o dell’insieme degli apiari della o delle aziende coinvolte con una gestione “di osservazione” fino all’accertamento di una significativa riduzione del rischio diffusivo. Peste europea, nosemiasi e acariosi: Obbligo di denuncia di significative manifestazioni sintomatiche. La Azienda USL: • accerta la presenza della malattia; • effettua un’indagine epidemiologica territoriale e sulle circostanze favorenti l’insorgenza della patologia; • nei casi di recidiva o di famiglie fortemente indebolite dispone la distruzione delle api infette. Tropilaelaps ed Aethina tumida: Obbligo di denuncia di ogni caso di sospetto. La Azienda USL: • dispone il blocco della movimentazione dell’apiario; • dispone il blocco di movimentazione di tutti gli apiari a rischio; • effettua un’indagine epidemiologica; • dispone la distruzione delle famiglie infestate. Varroasi: I detentori, a qualsiasi titolo, di alveari devono sottoporre le famiglie di api a trattamenti nei confronti della varroasi secondo i tempi e le modalità indicate dai Servizi Veterinari. Obbligo distruzione alveari infetti: Qualora l’Autorità sanitaria disponga la distruzione di api e attrezzature, si applica quanto previsto dalla Legge 2 giugno 1998, n.218 in materia di indennizzo ai detentori degli animali. Certificazione: Lo spostamento di famiglie d’api per motivi di commercio è subordinato al rilascio da parte del Servizio Veterinario dell’ASL competente di un certificato attestante che l’apiario di origine non è soggetto a restrizioni e che le famiglie d’api non presentano segni clinici manifesti delle malattie … Il certificato ha valore per … giorni dal momento del rilascio. Abrogazioni: Punto 29 malattie delle api dell’art. 1 del D.P.R. 320/1954. Articoli 154, 155, 156, 157 e 158 del D.P.R. 320/1954. O.M. sulla varroasi. - 42 - RIDUZIONE DEL NUMERO DEGLI ALVEARI: IL PUNTO DI VISTA DEGLI APICOLTORI Raffaele Cirone Presidente FAI - Federazione Apicoltori Italiani www.federapi.biz Desidero in primo luogo ringraziare gli organizzatori di questo workshop sullo spopolamento e la morte degli alveari in Italia per il loro invito a portare un contributo a nome della FAI - Federazione Apicoltori Italiani. La mancanza di coordinamento, nel corso delle fasi preparatorie del programma, e la concomitanza con altri impegni organizzativi, impediscono oggi la mia presenza in loco. Me ne scuso con tutti: colleghi, relatori, ospiti e Apicoltori. Questa breve nota, tuttavia, vuol essere una testimonianza, al tempo stesso, di interesse e partecipazione attiva all’analisi delle problematiche che da tempo il mondo apistico e la ricerca dibattono in merito al fenomeno della morìa delle api. Appare necessario, a tal proposito, tornare a precisare il nostro punto di vista, per intenderci quello della FAI e di APIMONDIA, la Federazione Internazionale delle Associazioni degli Apicoltori: abbiamo comunicato in più occasioni, e torniamo a confermarlo, che la morìa degli alveari è il frutto di un fenomeno complesso di cause e che tutte concorrono nella creazione di un quadro critico i cui effetti globali e locali fanno registrare, in Italia come nel mondo, perdite costanti e consistenti di patrimonio apistico. Questo impone che ogni iniziativa promossa per far fronte al fenomeno, sia multidisciplinare e coinvolga gli Apicoltori e le loro Organizzazioni. Gli ultimi aggiornamenti e le relative conferme, in tal senso, ci sono giunte nel corso del Forum Internazionale APIMEDICA & APIQUALITY, svoltosi a Roma dal 9 al 12 giugno 2008. La gran parte dei Delegati e dei Ricercatori dei 45 Paesi stranieri presenti, ha presentato lavori e aggiornamenti anche sulla SSA - Sindrome da Spopolamento degli Alveari. La numerosa quantità di dati forniti, concorre ancora una volta a confermare che l’apicoltura, ovunque nel mondo, si trova in grave difficoltà dinanzi ai radicali cambiamenti degli equilibri climatici, ambientali, biologici e patologici. Ne analizziamo brevemente alcuni, tra quelli che ci sembrano particolarmente responsabili dei danni in atto anche in Italia. La riclassificazione dei virus apistici, le continue e recenti scoperte in questo campo, confermano la grande pericolosità degli scambi di materiale apistico e la responsabilità che questo modo di agire, in assenza di controlli, assume nel trasferimento di agenti patogeni sconosciuti quanto pericolosi. Si è detto chiaramente, nel corso del Forum Internazionale organizzato dalla FAI, che gli Apicoltori fanno di tutto, inconsapevolmente e in assenza di adeguati indirizzi, per mettere in difficoltà l’apparato immunitario delle api, aggravando le condizioni - 43 - ideali alla morìa delle api e allo spopolamento degli alveari. Ci sembra opportuno che l’Italia, grazie ai suoi qualificati Ricercatori e alle strutture competenti in ambito medico-veterinario, ponga particolare attenzione su questo aspetto e concorra alla rapida elaborazione di Buona Pratiche Apistiche da diffondere presso gli allevatori. Contestualmente si è potuto definire, in questi ultimi mesi, un quadro più chiaro del passato in ordine ad una causa primaria di morìa e spopolamento. La FAI, riecheggiando l’espressione impiegata da esperti internazionali in materia di Flora Apistica, la definisce come la “carestia del polline”. In particolare, la rarefazione di pascoli proteici per le api risulta essere la diretta responsabile della debolezza delle api nel far fronte alle azioni di difesa contro la gran parte degli agenti patogeni. E’ vero che questa causa è legata agli andamenti climatici, ma è vero anche che le Regioni nulla fanno per proteggere e incrementare la flora mellifera e pollinifera di cui le api hanno indiscusso bisogno. Anche in tal senso occorre uno sforzo corale, da parte della comunità apistica, di quella scientifica e delle competenti Amministrazioni pubbliche, perché gli indirizzi della legge 313/2004, sulla Disciplina dell’Apicoltura, vengano tenuti in seria considerazione, specie laddove prevedono la possibilità che Stato e Regioni promuovano azioni a favore della salvaguardia e dell’incremento dei pascoli apistici ovunque questo sia possibile: in aree rurali, urbane, demaniali e protette. Sempre in occasione del Forum APIMEDICA & APIQUALITY, il rappresentante dell’Argentina, ha segnalato che ormai in questo Paese non è più possibile fare apicoltura da reddito senza fornire alle api continue e abbondanti nutrizioni proteiche supplementari. Un orientamento, tra l’altro, in fase di generalizzata affermazione in tutto il continente sudamericano, specie in quelle zone dove l’apicoltura si esprime in forme ad elevato indice di professionalità. Se da un lato dunque, come Apicoltori, abbiamo il dovere di sollecitare alle Autorità competenti il rispetto della vigente legislazione apistica, promuovendo un urgente intervento di diffusione delle varietà pollinifere di maggiore interesse per le api, dall’altro lato occorre che i Ricercatori italiani concentrino al più presto la loro attenzione sulla messa a punto di formulati proteici che aiutino le api a superare questa grave carestia alimentare. In assenza di questo intervento basilare, nessun programma di lotta alle patologie apistiche potrà risultare vincente. Da ultimo vorremmo richiamare la vostra attenzione sulla questione dei prodotti chimici impiegati in agricoltura. Si è detto in questi ultimi mesi che questa è la sola causa di morìa delle api e di spopolamento degli alveari. Come FAI - Federazione Apicoltori Italiani, abbiamo detto che gli insetticidi sono responsabili certi di morte delle api, ma che questa causa non può nascondere tutte le altre. Cogliamo dunque oggi l’occasione per ribadire, dopo la sospensione cautelativa di questi prodotti adottata da Germania e Slovenia lo scorso mese di maggio 2008, - 44 - che anche l’Italia ha il dovere di rimuovere questo ostacolo dal difficile percorso che gli Apicoltori debbono affrontare per tenere in vita i loro allevamenti. Il rappresentante del Ministero della Salute che prenderà parte ai lavori di questo workshop forse avrà cura di dire qualcosa al riguardo – ha adottato di recente il decreto 7 maggio 2008, con il quale vengono aggiornate le etichette dei neonicotinoidi commercializzati in Italia. Sono 22 specialità chimiche impiegate per la concia del seme, per i trattamenti in pieno campo e per i trattamenti ad alcuni parassiti delle piante ornamentali. Il Ministero della Salute chiede oggi alle Case Farmaceutiche di scrivere in etichetta, tra le avvertenze, che queste molecole sono “altamente tossiche per le api”. Ci pare, in verità, che tale provvedimento non risponda allo spirito della Direttiva comunitaria 91/414 in materia di fitofarmaci. I prodotti tossici per le api, infatti, debbono essere etichettati con una “Frase di Rischio” e non con una avvertenza nascosta tra le righe illeggibili di un’etichetta o di un foglio illustrativo che non aiuta a comprendere il vero problema denunciato dagli Apicoltori. Appare legittimo chiedersi come mai il Ministero della Salute non abbia tenuto conto di questa prescrizione comunitaria, dal momento in cui dichiara che non ci sono evidenze scientifiche e correlazioni di causa-effetto tra le morti delle api e l’impiego di insetticidi in agricoltura, ammettendo al tempo stesso la pericolosità di tali molecole. Come FAI, dunque, non possiamo che dichiararci insoddisfatti dal contenuto di questo provvedimento legislativo: esso, a nostro avviso, non può considerarsi una soluzione che va incontro ad una concreta politica di difesa del patrimonio apistico, in linea con la legislazione europea e con l’operato degli altri Stati Membri. La FAI dunque tornerà a chiedere, con determinazione, la corretta applicazione della Direttiva 91/414 dell’Unione Europea e della Legge 313/2004 per la Disciplina dell’Apicoltura: la difesa delle api, infatti, rappresenta senza dubbio un interesse superiore ad ogni altro e noi rappresentanti degli Apicoltori abbiamo il diritto di vederlo rispettato. Non vorrei trascurare, in chiusura di questa breve rassegna delle ragioni che concorrono alla perdita di patrimonio apistico nazionale, il più volte richiamato aspetto dell’ibridazione apistica e dell’erosione genetica di Apis mellifera ligustica Spinola, la nostra ape italiana. Può essere utile qualche dato per comprendere meglio di cosa parla la FAI quando richiama all’attenzione del mondo apistico e dell’opinione pubblica questo particolare argomento. Ogni anno, in Italia, c’è bisogno di circa 200-300.000 api regine. Le richiedono gli allevatori di api che ne fanno uso per autoconsumo, per la rimonta degli alveari, per la produzione di sciami e pacchi d’api. Una quota che può giungere fino a 500.000 api regine feconde nelle annate in cui si registrano fenomeni intensi di mortalità degli alveari. Gli allevatori italiani di api regine sono in grado di far fronte a questa richiesta del mercato solo per una piccola parte del quantitativo richiesto: stime prudenziali dicono che neanche un terzo è di produzione - 45 - made in Italy. E allora, il resto arriva dall’estero: Stati Uniti d’America, Sud America, Isole Haway, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Slovenia, persino Marocco e Algeria inviano api regine spacciate per Ligustiche nei nostri alveari. Un fenomeno iniziato con l’arrivo della varroa nei nostri allevamenti, negli anni ’80, ormai consolidatosi e, cosa ancor peggiore, destinato ad incrementarsi ulteriormente proprio in questo momento di grandi mortalità di alveari. Paradossalmente, secondo i dati del Ministero della Salute - Direzione Generale dei Servizi Veterinari, solo 5-6.000 regine sbarcano in Italia con il “passaporto” d’origine, seguendo dunque i canali ufficiali. Per il resto, che equivale a dire centinaia di migliaia di api regine clandestine, non viene fornita nessuna certificazione, né assicurato alcun controllo o azione preventiva volta a limitare il diffondersi di ibridi che hanno originato una inconsueta pressione genetica e un inopportuno rimescolamento razziale nei nostri alveari. E’ dunque in atto una situazione ormai insostenibile che si ritiene, peraltro, contribuisca in modo sostanziale a spiegare il diffondersi di patologie esotiche delle api, a sconvolgere completamente le regole e i calendari dell’allevamento apistico, a ridurre quella capacità propria della Ligustica di far fronte ai cambiamenti climatici e di affrontare con successo le peggiori criticità. Con l’aggravante che gli ibridi stanno egemonizzando il nostro territorio nazionale, assumendo comportamenti che, nel quadro delle morìe di alveari, hanno una grave responsabilità: deposizioni eccessive di covata, consumi esagerati di scorte di polline, limitata reazione alle malattie, mancata risposta alle tradizionali pratiche di allevamento che sono tutte “tarate” sulla vera Ligustica e non sui suoi ibridi “fasulli”. Eppure la Ligustica, nonostante tutto, esprime ancora, se allevata in purezza, una spiccata capacità di risposta alle molteplici esigenze dell’apicoltore: produttività, mansuetudine, resistenza, adattabilità, capacità di recupero. Dinanzi a tali evidenze, appare allarmante l’inerzia delle Istituzioni competenti e, ancor più preoccupante, la superficialità di quanti - allevatori da un lato, organi di controllo dall’altro - dovrebbero immediatamente attivarsi per dare risposte concrete, dunque per limitare, le gravi perdite di patrimonio apistico italiano. Brevi spunti, ci auguriamo, quelli richiamati in quest’occasione, che la FAI discute con impegno al suo interno e chiede di tenere in seria considerazione a Ricercatori, Istituzioni e Apicoltori. Inutile aggiungere, concludendo, che siamo disponibili anche in relazione alle iniziative promosse dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, quindi di quanti al suo interno si spendono a favore del comparto apistico, a fornire il nostro pieno supporto perché questi argomenti trovino risposte in piani di intervento a favore di tutti gli Apicoltori. Non possiamo rimanere marginali o addirittura estranei alle attività promosse sul territorio: ove questo accadesse nessun piano di intervento, nessuna - 46 - ricerca, nessun monitoraggio, nessun finanziamento porterebbe a soluzioni concrete per la salvaguardia del patrimonio apistico: laziale, italiano, mondiale che sia. - 47 - - 48 - HONEYBEE COLONY LOSSES: FACTORS AND MECHANISMS PERDITE DI ALVEARI: FATTORI E MODALITA’ Peter Neumann LSwiss Bee Research Centre, Agroscope Liebefeld-Posieux Research Station ALP, Schwarzenburgstrasse 161, CH-3003 Bern, Switzerland In many European countries and in the USA, beekeepers are being regularly confronted with severe colony losses, showing a wide range of symptoms, including CCD (= Colony Collapse Disorder). Although such losses are long known, it seems as if they occur more frequently and with a higher magnitude in the past years. The ectoparasitic mite Varroa destructor certainly plays a key role but cannot explain the current major losses alone. Other less known factors and mechanisms must contribute. Since apiculturists are not aware of the underlying factors, they cannot apply efficient control measures. Moreover, the lack of hard field data on losses limits a better understanding of the causative factors. Common pathogens other than V. destructor (e.g. bacteria, fungi and viruses), environmental aspects (e.g. malnutrition, poisoning and inadequate beekeeping management) and bee vitality/diversity constitute major suspects. Due to the ubiquitous mite V. destructor, interactions between pathogens as well as interactions between pathogens and other factors are inevitable and are most likely mechanisms contributing to the massive recent losses. However, these mechanisms are poorly understood. Likewise, novel factors such as Nosema ceranae further complicate the picture. Therefore, any attempts by individual countries to adequately address the problem are doomed due to the high number of interacting factors as well as the lack of reliable and comparable field data. The COLOSS network aims at explaining and preventing such large scale losses via identification of the underlying factors and development of emergency measures and sustainable management strategies. COLOSS will also develop international standards for monitoring and diagnosis, which is crucial for a common web based data base on losses. --In diversi Paesi della UE e negli Stati Uniti d’America gli apicoltori devono spesso affrontare il problema di gravi perdite di alveari. Tali perdite si presentano a carico di colonie che manifestano una molteplice varietà di sintomi, inclusa la sindrome da scomparsa degli alveari (CCD= Colony Collapse Disorder). Benchè tali morie siano già state riscontrate anche nel passato, in questi ultimi anni sembrerebbe che stiano avvenendo con maggior frequenza ed intensità. L’acaro ectoparassita Varroa destructor (V. destructor) gioca sicuramente un ruolo - 49 - chiave in questa vicenda, anche se non può essere l’unico responsabile della attuale aumentata mortalità delle famiglie di api. Devono quindi esistere altri fattori e modalità che hanno portato a questa drammatica situazione. Fino a quando gli apicoltori non saranno consapevoli dei veri fattori generanti queste morie, non potranno adottare delle efficaci misure di controllo. Inoltre, la mancanza di dati sperimentali attendibili sullo spopolamento degli alveari, limita ancor più la comprensione dei veri fattori causali. Oltre a Varroa destructor, vengono spesso chiamati in causa altri agenti patogeni (per esempio: batteri, funghi e virus), situazioni ambientali particolari (per esempio, lo sconvolgimento delle fonti nettarifere, avvelenamenti da fitofarmaci ed inadeguate tecniche di gestione degli apiari), come pure la resistenza alle malattie e la diversità genetica delle api. La ubiquitarietà di V. destructor comporta inevitabilmente una interazione tra le diverse noxae e molto probabilmente sono proprio tali meccanismi di interazione tra più agenti causali ad essere alla base delle recenti gravi morie di alveari. E’ anche vero che tali meccanismi sono poco conosciuti. A complicare ulteriormente la situazione, intervengono nuovi agenti patogeni, come il Nosema ceranae. Gli sforzi compiuti dai singoli Paesi per cercare di focalizzare il vero problema risultano quindi vani, sia per l’elevato numero di fattori causali che vengono ad interagire, sia per la scarsità di dati sperimentali attendibili e confrontabili tra di loro attualmente esistenti. Obiettivo della rete COLOSS, che è quello di chiarire e di prevenire questi imponenti episodi di spopolamento degli alveari, sarà raggiunto attraverso l’identificazione dei fattori causali ancora ignoti ed attraverso la realizzazione di misure di emergenza e di tecniche apistiche adeguate e sostenibili. COLOSS provvederà anche alla formulazione di standard internazionali per il monitoraggio e la diagnosi, cosa che risulta indispensabile per un database comune relativo alle perdite degli alveari. - 50 - NOSEMEA CERENAE: UNA NUOVA SFIDA PER L’APICOLTURA ITALIANA Franco Mutinelli, Anna Granato Centro di Referenza Nazionale per l’apicoltura, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 - 35020 Legnaro (PD) E-mail: [email protected] Nosema spp., riscontrato solitamente nei Lepidotteri ed Imenotteri, è responsabile di malattie come la pebrina del baco da seta (Nosema bombycis) e la nosemiasi o “diarrea” delle api (Nosema apis). Nosema apis, che colpisce Apis mellifera, è stato descritto per la prima volta più di un secolo fa; recentemente un nuovo microsporidio, Nosema ceranae, in precedenza riscontrato solamente in api della specie Apis cerana, si è dimostrato in grado di infettare lo stesso ospite e di possedere un ciclo intracellulare nell’intestino medio che si completa in tre giorni, ponendo i presupposti per un elevato potenziale patogeno. E’ possibile che la sindrome dello spopolamento di api rilevato negli ultimi anni in diversi stati europei sia correlato all’infezione da N. ceranae. Sulla base dei risultati dello studio di Higes et al. (2007) è ipotizzabile che le api infette muoiano in pochi giorni, senza alcuna sintomatologia evidente (al contrario dell’infezione da N. apis in cui è presente diarrea) e probabilmente lontano dall’alveare durante le fasi di bottinatura. In funzione della forza della famiglia, lo spopolamento verrebbe rilevato solo dopo che la maggior parte delle bottinatrici è scomparsa e la popolazione delle api nascenti non è in grado di compensare la perdita di api adulte. Alla luce delle analisi di laboratorio eseguite fino ad oggi, diversi stati, europei e non, sono interessati dalla presenza di N. ceranae (evidenziando la quasi totale assenza di N. apis), che si accompagna anche a segnalazioni di spopolamento di colonie di api. Con l’eccezione della sola Spagna, non è stata evidenziata una correlazione diretta fra il riscontro di N. ceranae e gli episodi di spopolamento, lasciando quindi spazio per altre ipotesi. Per quanto riguarda l’Italia, nei campioni esaminati fino ad oggi mediante tecnica PCR-RFLP o PCR seguita da sequenziamento, è stata sempre identificata la presenza di N. ceranae. In base ai riscontri analitici su campioni di archivio, si ritiene che N. ceranae abbia fatto la sua comparsa nel nord Europa nel 1999. Relativamente agli interventi di profilassi è necessario allevare e mantenere famiglie forti, con sufficienti scorte, in postazioni idonee e adeguatamente seguite dal punto di vista sanitario. Per quanto riguarda la terapia, non disponiamo attualmente di medicinali veterinari autorizzati ed a scopo profilattico viene utilizzato un alimento a base di estratti vegetali denominato “ApiHerb”, che sembra esercitare sulle api una certa azione di sostegno. - 51 - - 52 - LO SPOPOLAMENTO DEGLI ALVEARI IN ITALIA Franco Mutinelli Centro di Referenza Nazionale per l’apicoltura, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 - 35020 Legnaro (PD) E-mail: [email protected] Viene presentata una sintesi della situazione relativa allo spopolamento ed alla moria di alveari in Italia sulla base delle informazioni disponibili e delle segnalazioni di detti episodi da parte degli apicoltori e delle loro associazioni. Il dato ufficiale è difficile da quantificare, ma le segnalazioni parlano di perdite nell’ordine del 30-40%, distribuite in modo non omogeneo sul territorio nazionale. Vengono prese in considerazione le diverse possibili cause, sulla base anche di quanto indicato in altri contesti apistica, sia europei sia extraeuropei. Inevitabile è il riferimento alla sindrome del collasso della colonia (CCD) che ha interessato ormai quasi tutti gli stati degli USA, minacciando le produzioni agricole dipendenti dalle api per l’impollinazione, oltre alla produzione di miele. Molte colonie morte nell’autunno del 2006 negli USA presentavano i tipici sintomi collegati all’infestazione da acari (varroasi, acariasi tracheale), il 50% delle colonie venute a morte presentava sintomi incompatibili con infestazione da acari o con altre cause conosciute di malattia. Questi riscontri hanno fatto ipotizzare come possibile causa una condizione di stress eccessivo od un nuovo agente patogeno sconosciuto. I sintomi della CCD comprendono: (i) improvvisa scomparsa delle api adulte e presenza di poche api rimaste in prossimità della colonia stessa; (ii) presenza di molti favi con covata opercolata non alterata con bassi livelli di infestazione da varroa, ad indicare che queste colonie erano relativamente forti poco prima della perdita delle api adulte e che le perdite non potevano essere attribuite ad una recente infestazione da varroa; (iii) scorte di alimento non oggetto di saccheggio, nonostante nelle vicinanze siano presenti altre colonie attive, quasi ad indicare che le altre api evitano le colonie morte; (iv) minima presenza di tarma della cera o di Aethina tumida (piccolo coleottero dell’alveare, non presente ad oggi in Europa); e (v) presenza spesso di una regina che depone circondata da un piccolo gruppo di giovani nutrici. - 53 - Vengono presi in considerazione e discussi i risultati delle indagini e dei monitoraggi realizzati fino ad oggi, nell’intento di definire, per quanto possibile, la situazione di spopolamenti e morie registrati nel 20072008 in Italia. - 54 - CAMBIAMENTI CLIMATICI E MISURE DI PROFILASSI DELLA VARROASI Antonio Nanetti CRA, Unità di Apicoltura e Bachicoltura, Via di Saliceto 80, Bologna La previsione dei fenomeni meteorologici è un’antica esigenza dell’uomo. La ripetitività di determinati fenomeni ha scandito i ritmi delle attività agricole, zootecniche ed i tempi della vita comune. Da tempo questo non è più. L’intensità delle attività umane modifica l’ambiente che reagisce con variazioni climatiche solo apparentemente modeste. È in genere accettato dai climatologi che nel XX secolo la temperatura del pianeta sia aumentata di circa 0,6 °C, abbastanza per spostare in modo sensibile l’equilibrio fra le componenti biotiche e abiotiche dell’intero sistema. I parametri meteorologici sono i testimoni obiettivi di anomalie termiche, pluviometriche, idrometriche, i cui effetti si riflettono sui sistemi viventi. Le fasi fenologiche di molte piante variano, in genere anticipando rispetto ai ritmi tradizionali, sfasando il loro sviluppo rispetto al ciclo dei pronubi. Anche la lotta integrata alla varroosi delle api si è basata per molto tempo sulla ripetitività del ciclo biologico delle api, condizionato da eventi climatologici altrettanto omogenei. L’interruzione di deposizione, tipica del periodo più freddo dell’anno, libera le varroe dalla protezione degli opercoli, esponendole all’azione di sostanze con azione acaricida di breve termine (acido ossalico). I caldi della tarda estate possono essere sfruttati per favorire il rilascio graduale di acaricidi che, agendo per evaporazione, richiedono calore e colonie attive (timolo). Da alcuni anni le temperature invernali non raggiungono valori abbastanza bassi da sospendere del tutto l’attività delle api. La covata che viene allevata durante tutto l’inverno ospita varroe che sfuggono all’azione dei trattamenti acaricidi e che continuano a riprodursi. L’efficacia degli acaricidi invernali, normalmente molto alta, si riduce drasticamente, creando i presupposti per future infestazioni incontrollabili. D’altra parte, le anomalie climatiche ci presentano sempre più spesso periodi tardo-estivi freddi e piovosi, sfavorevoli all’azione di sostanze evaporanti, il cui rilascio è in parte condizionato dal calore e in parte dall’attività delle api che lacerano, frantumano e asportano il supporto su cui sono adsorbite, mettendo a nudo continuamente nuova sostanza da evaporare. Venute meno le garanzie ambientali su cui si basava il controllo della più grave parassitosi delle api, l’apicoltura si trova di fronte alla sfida dell’osservazione e della flessibilità. L’osservazione delle colonie e dell’ambiente, per prevedere i possibili insuccessi di trattamento. - 55 - La flessibilità di modificare dosi, tempi, cadenze dei trattamenti per porvi rimedio. Applicare ripetitivamente lo stesso schema ad una situazione in continuo divenire non ha futuro. - 56 - VIROSI DELLE API E MORTALITÀ DEGLI ALVEARI Antonio Lavazza1, Giusy Cardeti2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna - Brescia 2Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana - Roma Parole chiave: virus, varroa, spopolamento, diagnosi RIASSUNTO Da quando Varroa destructor ha fatto la sua comparsa negli alveari italiani, si è avuto un incremento delle patologie tradizionali, in quanto la gravità degli attacchi da varroa non è dovuta solo ai danni diretti che arreca alla covata e agli adulti, ma anche a quelli indiretti. Un alveare infestato dall’acaro, infatti, presenta un quadro patologico molto ampio, indicato come “sindrome di parassitosi da acari” dovuto all’esplosione di malattie secondarie. Precedenti indagini hanno evidenziato come il parassita aumenti la suscettibilità dell’ape verso patogeni secondari ed in particolare i virus quali il virus della paralisi acuta (ABPV) ed il virus delle ali deformi (DWV), anche se i meccanismi attraverso i quali tale attività predisponente si attua non sono ancora del tutto noti. Osservazioni di campo indicano che in colonie fortemente infestate dall’acaro la causa principale di mortalità delle api e di collasso finale delle colonie era da ascrivere a infezioni virali da ABPV e DWV. Le caratteristiche biochimiche, antigeniche e genomiche dei vari virus sono solo in parte conosciute e frequenti sono le segnalazioni di nuovi ceppi virali o di varianti antigeniche. La limitata disponibilità di reagenti e metodi diagnostici hanno reso per lungo tempo difficilmente applicabile le più tradizionali tecniche virologiche e solo il recente diffondersi di tecniche antigeniche basate sull’uso di anticorpi monoclonali (DWV-ELISA) e di metodi molecolari (PCR) ha permesso un sensibile e progressivo arricchimento delle informazioni disponibili. Ciononostante, la diffusione e prevalenza di virus in apiari, in presenza e/o assenza di quadri clinici conclamati e di spopolamento, e l’eventuale correlazione tra grado di infestazione dell’acaro ed incidenza di quadri patologici è stata in questi anni ampiamente studiata sul territorio nazionale. Campioni di api a diverso stadio di sviluppo e individui di Varroa destructor sono stati esaminati con metodi di microscopia elettronica in colorazione negativa. Sono così stati evidenziati un certo numero di virus (Chronic Paralysis Virus, Black Queen-Cell Virus, Cloudy Wing Particle, ABPV, DWV) e diversi livelli di infezione, inclusa la latenza, in associazione o meno ad un ampio corredo di sintomi, mortalità di api adulte e gravi livelli di infestazione. In particolare, DWV e ABPV erano spesso presenti ad elevati titoli in associazione con gravi sintomi di malattia: spopolamento, paralisi e deformità delle ali nelle api adulte e mortalità. - 57 - Vengono in conclusione riferiti i dati più recenti dell’attività diagnostica svolta presso i due Istituti Zooprofilattici Sperimentali, finalizzata in particolare a definire l’incidenza di virosi in corso di quadri di spopolamento e sono anticipati i risultati delle indagini virologiche eseguite su campioni prelevati in corso di gravi e repentini episodi di mortalità in soggetti adulti verificatisi durante il periodo primaverile in concomitanza con le semine di mais. ABSTRACT In honeybee colonies highly parasitized by Varroa destructor the final depopulation and their decease could be caused by secondary pathogens. In particularly it could be the result of the massive replication of specific viruses affecting honey bees among which the most common are Acute Bee Paralysis Virus (ABPV) and Deformed Wing Virus (DWV). These viruses are widespread and they normally give latency i.e. they can be detected in seemingly healthy bees. The varroa mite can act as a vector of the virus, transmitting it from infected to healthy adult bees and to larvae and it seems to be able to induce the activation of viruses that in this way can pass from the status of latency to that of active replication. However the mechanisms that led to this phenomenon are still to be fully clarified. The biochemical, antigenic and genomic characteristics of the various viruses potentially associated with varroa infestation (es. ABPV and DWV) are still partially unknown. The shortage of information probably originates by the limited availability of diagnostic reagents and instruments that till a recent past made applicable the most common virological and molecular techniques (es. PCR, ELISA etc.). In the last decade we investigated the presence and spread of bee viruses in Italian hives. Samples of honeybees at different stages of development and Varroa destructor mites were examined by negative staining electron microscopy methods, including IEM for ABPV, and by a MAbs based ELISA test for DWV which was ad hoc developed and validated. A number of viruses were visualised and variable levels of infection, including latency, combined or not with disease symptoms, mortality of adult bees and severe mite infestation. AGID test permitted the identification of the following viruses: ABPV, DWV, chronic paralysis virus (CPW), black queen-cell virus (BQCV), cloudy wing particle (CWP). In particular, DWV and ABPV were often detected in high titres in association with severe signs: depopulation, adult bees with paralysis and/or deformed wings, mortality. The more recent data of identification of viruses during outbreak of mortality and/or situations referable to colony collapse disorders (CCD-like) are here reported and they indicate a substantial unvarying situation with respect to the previous years, being the viruses both present at a latent stage in low amount but also potentially implicated with other pathogens in causing colony depopulation. In addition, the preliminary results of the investigations aimed to define the causes of widespread mortality occurred in North Italy on spring 2008 - 58 - right around the time corn seeding took place, show the presence of residuals of neonicotinoid pesticides used for seed treatment and the contemporary absence of viruses and other pathogens. INTRODUZIONE Le virosi delle api rappresentano gravi patologie, a volte sottovalutate sia dagli apicoltori che dai veterinari. Sono diffuse in tutto il mondo e possono causare elevate perdite economiche, soprattutto quando associate ad altre malattie. Tale situazione, da tempo nota nel panorama della patologia apistica, ma non ancora del tutto chiarita, necessita ancora di notevoli sforzi per lo studio della patogenesi delle malattie e per la messa a punto di specifici metodi diagnostici di laboratorio. Molti, se non tutti i virus delle api, causano infezioni latenti o inapparenti. I sintomi dipendono da dose e modalità d’infezione, predisposizione genetica e stato generale della colonia. Quindi, in situazioni particolari (fattori predisponenti e malattie concomitanti), i virus possono moltiplicarsi e causare malattia conclamata. La maggior parte dei virus è in grado di “accorciare la vita” delle api, ma in condizioni normali il loro impatto è trascurabile o transitorio. Soltanto 2 virus (virus della covata a sacco = SBV e virus della paralisi cronica = CBPV), per i sintomi caratteristici indotti, possono essere diagnosticati facilmente su base clinica. Tabella 1. Caratteristiche dei due più importanti virus delle api. Virus delle ali deformi (DWV) Virus identificato nel 1991 (Bailey and Ball, 1991), oggi molto diffuso Può causare infezioni latenti Replica più lentamente di ABPV (Acute Bee Paralysis Virus) Molto spesso associato a varroa (che ne faciliterebbe la trasmissione) Causa malformazioni delle ali delle api infettate allo stadio larvale, con impossibilità a volare Virus della Paralisi Acuta (ABPV) Virus molto diffuso Stagionale: tarda estate, autunno Associato a CBPV Infezione proporzionalmente correlata a quella da varroa Latente nel tessuto adiposo; rapida replicazione Mortalità nella covata; paralisi, accorciamento della vita e alterazioni comportamentali negli adulti - 59 - I VIRUS DELLE API Dal 1963, anno dell’isolamento del primo virus (CBPV) ad oggi, sono stati identificati e caratterizzati non meno di 19 virus (Figura 1). I virus delle api sono classificati nella cosiddetta “Picornavirus-like superfamily” ed in particolare appartengono alla subfamily Dicistroviridae o ad un genere, Iflavirus, non allineato tassonomicamente. La maggior parte dei virus delle api sono quindi virus Picorna-like: presentano forma icosaedrica con diametro di circa 30 nm, sono morfologicamente simili e non distinguibili mediante la semplice osservazione al microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Le caratteristiche biochimiche, antigeniche e genomiche dei vari virus sono solo in parte conosciute; infatti, la sequenza genomica completa è disponibile per 6 virus delle api: SBV, BQCV, ABPV, KBV, DWV, KV. Non infrequenti sono le segnalazioni di nuovi ceppi virali o di varianti antigeniche, quale, ad esempio, l’Israeli Acute Paralysis Virus (IAPV), un Dicistrovirus recentemente classificato che, secondo Autori americani, sarebbe strettamente collegato alla “Sindrome dello spopolamento degli alveari” (Cox-Foster et al. 2007). Figura 1. Principali caratteristiche dei virus delle api. DIAGNOSI DI VIROSI Per una corretta diagnosi di virosi è necessario operare un campionamento completo che comprenda: api adulte (vive, morte e moribonde), covata a diversi stadi di sviluppo (larve disopercolate di 2-3 gg e di 5-6 gg, larve operco- - 60 - late-propupe, pupe occhi bianchi e rosa, api allo farfallamento) e varroe. Dopo il prelievo, tali materiali vanno congelati e mantenuti a -20°C fino al momento dell’esame. L’invio dei campioni deve essere corredato da adeguate e complete indicazioni anamnestiche. Spesso l’esecuzione dei diversi metodi è stata condizionata dalla disponibilità di reagenti specifici (soprattutto antisieri). Tra i metodi applicati vanno ricordati: • Agar Gel Immunodiffusione: è metodica rapida, poco costosa e specifica, anche se poco sensibile. E’ adeguata per svelare infezioni massive (Bailey e Ball, 1991). • Microscopia elettronica (ME/IEM): ha sensibilità variabile in rapporto al metodo usato (goccia, Airfuge). E’ molto costosa e dispendiosa in termini di tempo per indagini su larga scala. L’esame al microscopio elettronico (ME) in colorazione negativa utilizzato presso l’IZSLER di Brescia e l’IZSLT di Roma ricalca in larga parte la metodica comunemente in uso per la diagnosi di infezioni virali (Misciattelli et al., 1979). Gli estratti sono preparati e trattati secondo il protocollo descritto da Bailey e Ball (1991); ogni individuo o lotto di soggetti viene estratto, in ragione di 1 ml per ogni individuo, in PBS 0,01M, pH 6,7, contenente il 2% di sodio dietilditiocarbamato (DIECA), per prevenire la melanizzazione, e 0,5 ml/individuo di dietiletere. Successivamente viene emulsionato con 0,5 ml/individuo di tetracloruro di carbonio (CCl4) e centrifugato, una prima volta a 6.000 rpm per 20 min. e poi a 10.000 rpm per 20 min. Il sovranatante (100 µl) viene quindi ultracentrifugato con Beckman Airfuge a 21 psi (103.000 rpm) per 15 min in un rotore A100 portante sei provette da 175 µl, in cui sono alloggiati speciali adapters che permettono il pellettamento delle sospensioni virali direttamente su griglie in rame rivestite con formvar e carbonate. Le griglie sono colorate negativamente con una soluzione al 2% del sale sodico dell'acido fosfotungstico (NaPt), pH 6,8 ed esaminate con un TEM Philips CM10, operante a 80 kV, ad ingrandimenti compresi fra 15500 e 39000x. • ELISA: molto sensibile, svela anche infezioni latenti. Presso l’IZSLER di Brescia è stato sviluppato e validato un test ELISA tipo sandwich per la diagnosi di DWV (Lavazza et al, 2003). Realizzato con virus purificato come antigene, siero policlonale anti-DWV adsorbito alla piastra e pool di 3 MAbs come marcatore coniugato. Nei test di sensibilità estratti grezzi di api sono stati testati in diluizione e sono risultati positivi anche quando diluiti oltre 1/104 a dimostrazione dell’ottima sensibilità del metodo. • Immunocromatografia: “on side test” • Western Blot: permette l’identificazione delle proteine virali. • PCR: alla mancanza di antisieri specifici si tende oggi ad ovviare con l’uso della PCR in tutte le sue varianti (multiplex - real time - immunocapture PCR). VIRUS E VARROA Da quando Varroa destructor ha fatto la sua comparsa negli alveari italiani si è avuto un incremento delle patologie tradizionali, in quanto la gravità degli at- - 61 - tacchi da varroa non è dovuta solo ai danni diretti che arreca alla covata e agli adulti, ma anche a quelli indiretti. Un alveare infestato dall’acaro, infatti, presenta un quadro patologico molto ampio, indicato come “sindrome di parassitosi da acari” (Hung et al., 1995), dovuto all’esplosione di malattie secondarie. Precedenti indagini hanno evidenziato come il parassita aumenti la suscettibilità dell'ape verso patogeni secondari ed in particolare i virus quali il virus della paralisi acuta (ABPV) ed il virus delle ali deformi (DWV), anche se i meccanismi attraverso i quali si attua tale attività predisponente non sono ancora del tutto noti (Ball, 1988; Ball, 1989; Chastel et al., 1990; Wigers, 1988). Due sono le ipotesi proposte: 1) attivazione della moltiplicazione di virus presenti in forma latente a seguito di attività alimentare e successiva localizzazione in organi bersaglio; 2) azione inibitoria per rilascio di enzimi digestivi, sui meccanismi di inibizione e difesa che normalmente limitano la replicazione virale. Osservazioni di campo indicano che in colonie fortemente infestate dall’acaro la causa principale di mortalità delle api e di collasso finale delle colonie era da ascrivere a infezioni virali da ABPV e DWV (Ritter e Koch, 1991). Secondo quanto descritto da Bowen-Walker et al. (1999), la varroa è veicolo di virus con 2 modalità: attraverso l’attività alimentare, causando un’attivazione virale (traumi?) o come vettore passivo trasportando i virus con la saliva o contenuto intestinale. La varroa può acquisire il virus da api infette e ci sono più probabilità che un’ape nasca deformata o muoia se la varroa si è precedentemente alimentata su un ape deformata. Inoltre, alla diffusione della varroa in un’area si associa spesso la comparsa più o meno immediata di patologie secondarie, incluse le virosi. L’esito dell’infestazione dipende da numerosi fattori quali: il numero di varroe, la presenza e il livello di infezione virale, la prevalenza virale nella popolazione di varroe, la patogenicità del ceppo virale, la suscettibilità delle api (e forse della varroa) al virus, la quantità di covata presente nella colonia. In sostanza, è il livello (titolo) di virus presente (DWV) nelle api (e non la sola assenza/presenza) che determina se nasceranno deformate o meno. Non viene esclusa la possibilità di replicazione di virus nella varroa vista la presenza di elevatissime concentrazioni di virus anche in varroe da api non deformi ed infine Bowen-Walker et al. (1999) rilevano come vi sia una correlazione positiva fra aumento del numero di varroe e aumento della percentuale di api deformate. RISULTATI DI INDAGINI PREGRESSE PER ACCERTAR LA PRESENZA DI VIRUS DELLE API IN ITALIA La limitata disponibilità di reagenti e metodi diagnostici hanno reso per lungo tempo difficilmente applicabile le più tradizionali tecniche virologiche e, come già detto, solo il recente diffondersi di tecniche antigeniche basate sull’uso di anticorpi monoclonali (DWV-ELISA) e di metodi molecolari (PCR) ha permesso un sensibile e progressivo arricchimento delle informazioni disponibili. Ciononostante, la diffusione e prevalenza di virus in apiari, in presenza e/o assenza di quadri clinici conclamati e di spopolamento, e l’eventuale correlazione tra grado di infestazione dell’acaro ed incidenza di quadri patologici, è stata in questi anni ampiamente studiata sul territorio nazionale. - 62 - Nel periodo 1989-1993 è stata condotta, mediante esame al microscopio elettronico in colorazione negativa, un'indagine su 164 colonie di api, per un totale di 290 campioni (larve a diverso stadio di sviluppo, api adulte, varroe e api regine), conferiti in larga parte per accertamenti diagnostici da diverse provincie italiane, allo scopo di verificare l’incidenza di riscontro di agenti virali e confermare, se possibile, la loro azione patogena (Carpana et al., 1990; Lavazza et al., 1996). Poiché l'identità tassonomica dei virus osservati al ME risultava spesso non definibile a causa delle similarità morfologiche condivise dalla maggior parte di essi, alcuni campioni sono stati caratterizzati mediante metodica AGID che ha identificato i seguenti virus: Chronic Paralysis Virus (CPV), Chronic Paralysis Virus Associate (CPVA), Acute Bee Paralysis Virus (ABPV), Black Queen Cell Virus (BQCV), Deforming Wing Virus (DWV), Cloudy Wing Particle (CWP), Filamentous Virus (FV). Nel 40,8% delle colonie si è potuto evidenziare almeno una positività virale, mentre i campioni positivi erano il 30,3%. La probabilità di riscontrare colonie positive aumentava in modo direttamente proporzionale al numero di campioni per colonia esaminati. 50 delle 67 colonie (74,6%) erano positive per un solo campione. Si è notato: elevata frequenza di positività delle varroe (90,4%), che conferma il ruolo essenziale loro attribuito nella diffusione delle virosi; tasso minimo nelle larve disopercolate (17,6%); discreta positività tra le api regine (36,3%); covata opercolata positiva nel 30,3%, con titoli virali elevati a testimoniare un’attiva replicazione, favorita dalla concomitante infestazione parassitaria. Negli adulti era più frequente il riscontro di livelli di infezione virale medio-bassi (fenomeno di latenza?); però, quando erano presenti sintomi di paralisi, atrofia delle ali, etc, il titolo virale negli adulti risultava elevato (attivazione di virus latenti?). Nei soggetti adulti e nelle regine era più frequente il riscontro di altri tipi virali: virus ali opache (CWP), virus filamentoso (FV), virus della paralisi cronica (CPV), oltreché presenza di differenti virus in associazione. E' stata valutata l'incidenza delle infezioni virali in concomitanza dei diversi quadri clinici osservati nelle colonie come pure in rapporto alla presenza di altri patogeni e quindi alla diagnosi emessa. Si sono riscontrate positività virali con quadri clinici differenti, ma anche in colonie sane di controllo. La presenza di virus, soprattutto ABPV, aumentava in caso di sintomatologia negli adulti caratterizzata da ali atrofiche e deformi, paralisi e difficoltà al volo e di lesioni riferibili a mal nero. In caso di mortalità della covata, la positività era prevalente nelle larve opercolate; in caso di spopolamento era riscontrabile invece in tutti i tipi di campioni, comprese le regine e le varroe. Nelle colonie asintomatiche sono stati osservati virus in tutte le categorie di campioni, ma soprattutto nelle varroe, a testimonianza del potenziale ruolo di diffusore attribuibile al parassita e dell’incapacità dei virus a scatenare un quadro clinico primario se le famiglie mantengono la loro “omeostasi”. La varroa era presente in tutte le colonie, comprese quelle di controllo, ma era responsabile del quadro clinico solo in 7 casi. In totale, per solo 43 colonie (26,2%) è stata emessa una diagnosi: 7 varroasi, 18 peste americana, 8 covata a sacco, 4 peste europea, 2 covata calcificata, 2 nosemiasi, 1 mal nero, 1 acariasi. In 79 colonie - 63 - (48,1%) non è stato possibile associare una causa eziologica conosciuta ad aspetti sintomatologici scarsamente indicativi. Le restanti 42 colonie (25,6%) corrispondevano ai controlli, che non mostravano sintomi clinici. La positività virale, in percentuale, è stata rispettivamente del 46,5% nelle colonie con patologia definita, del 34,1% in quelle con patologia non definita e del 47,6% nei controlli. Nelle colonie con patologia definita il 43,1% dei campioni è risultato positivo, con una prevalenza nella covata opercolata mentre nelle colonie controllo era positivo solo il 24,5% con una discreta positività solo nelle varroe e negli adulti a basso titolo. In conclusione, veniva confermata l’effettiva diffusione di alcuni tipi virali in Italia, al punto che tali infezioni erano da ritenersi piuttosto comuni; si ribadiva inoltre la loro importanza non tanto in veste di patogeni primari ma piuttosto di patogeni “secondari”, dato che la loro frequenza aumenta in concomitanza di altri patogeni delle api, quale concausa di entità nosologiche multifattoriali. Durante il periodo 1997-1998 sono state condotte indagini sulla presenza di covata calcificata e di virus in alveari dislocati nelle provincie di Siracusa, Catania, Palermo e Trapani (Arculeo e Lavazza, 1998). Per quanto riguarda l’indagine virologica sono stati esaminati 79 campioni (larve, pupe, api, regine e varroe) provenienti da 58 alveari che presentavano, per la maggior parte, problemi allo sviluppo, sofferenza ed in qualche caso spopolamento. Particelle virali sono state osservate nel 12,6% dei campioni e nel 15,5% degli alveari. Inoltre, in altrettanti 12,6% di campioni, corrispondente al 10,3% degli alveari, erano osservabili al microscopio elettronico particelle virali in bassa quantità (valutazione +/-). Queste, pur non assumendo alcun significato patologico, ma essendo probabile espressione di un fenomeno di latenza, potrebbero indurre forme cliniche conclamate in condizioni particolari, quali ad esempio stress, errate manipolazioni delle famiglie, infestazione da varroa ecc. La distribuzione dei virus nei vari campioni era la seguente: 9% nelle pupe, 15,7% nelle api adulte sane, 11,1% nelle regine e 100% nelle api con ali deformi. Particelle virali in bassa quantità (valutazione +/-) erano evidenziate nelle larve opercolate (33,3%), nelle pupe (27,2%), nelle api opercolate (12,5%), nelle api adulte sane (10,5%). L’unico campione di varroa esaminato è risultato negativo. Ad un’alta infestazione di varroa si associava una positività virale principalmente in api con le ali deformi (sintomo tipico di virosi, ma anche di varroasi?). In diversi alveari con spopolamento, indebolimento delle famiglie e/o mortalità di api si osservava solo positività ai virus (negativi gli altri esami). Alcuni campioni positivi per PA e PE sono risultati positivi anche per virus. Alcuni alveari, con quadri di spopolamento, riduzione dello sviluppo e presenza di alcune api morte davanti gli alveari, erano positivi per Nosema apis. Nel 10,3% degli alveari in cui era stata riscontrata la covata calcificata, l’indagine virologica è risultata negativa. In conclusione, per il controllo e la riduzione delle virosi si sosteneva l’adozione di buone procedure di tecniche apistiche e un’appropriata conduzione igienica degli alveari. - 64 - RISULTATI DI INDAGINI PER ACCERTARE L’ATTUALE PRESENZA DI VIRUS DELLE API IN ITALIA I dati più recenti delle analisi eseguite presso sia l’IZSLER che l’IZLT sostanzialmente confermano i dati acquisiti in precedenza. Dal 01/01/2003 al 30/06/2005, presso l’IZSLER, 53 campioni di api a diverso stadio di sviluppo sono stati testati con la metodica ELISA-DWV per la validazione di tale metodo usando la microscopia elettronica per ricerca virus in genere come gold standard (Tabella 2). La concordanza tra i due metodi (K) è risultata pari al 77,3%. Nel complesso, dal 01/01/2004 al 31/12/2006 sono stati esaminati 98 campioni. In 88 casi è stato possibile operare un confronto tra ME ed ELISA-DWV con una concordanza del 79,5% (Tabella 3). Tale valore di concordanza, pressoché sovrapponibile a quanto riscontrato in corso di validazione del metodo, è da ritenere solo apparentemente basso. Di là della probabile maggior sensibilità del test ELISA che può spiegare la positività in ELISA per campioni negativi in ME, le altre discordanze (ME pos./ELISA neg.) sono riconducibili al fatto che mediante ME vengono identificate su base morfologica anche altre particelle virali e non il solo DWV, come chiaramente emerso nel corso della prima indagine eseguita allorché si è proceduto alla tipizzazione mediante AGID (Carpana et al., 1990; Lavazza et al., 1996). In realtà alcuni di tali campioni sono stati successivamente identificati come ABPV mediante tecnica di ImmunoElettronMiscroscopia (IEM) utilizzando un siero specifico iperimmune anti-ABPV. Tale situazione si è confermata anche nel corso del 2008 (Tabella 4). Su 21 campioni esaminati sono stati evidenziate 4 positività ad alto titolo per DWV, 1 positività (ME pos./ELISA neg.) attribuibile a virus della covata a sacco (SBV) su base clinica e 5 positività a basso titolo per DWV (ME neg/ELISA pos.). Significativa la contemporanea diagnosi di Nosemiasi in cinque campioni, tutti negativi per virus. Tabella 2. Risultati dei test per la validazione dell’ELISA-DWV. ELISA-DWV ME POS. NEG. Totale POS. 3 10 13 NEG. 2 38 40 Totale 5 48 53 Tabella 3. Risultati degli esami sui campioni pervenuti per la diagnosi di virosi all’IZSLER dal 01/01/2004 al 31/12/2006. ELISA-DWV ME POS. NEG. Totale POS. 19 13 32 NEG. 5 51 56 Totale 24 64 88 - 65 - Da segnalare, inoltre, che a seguito di episodi di mortalità di api e/o di spopolamento di alveari segnalati da numerosi apicoltori nella primavera del 2008 in diverse zone del Nord Italia e considerando che è stata ipotizzata una relazione tra il fenomeno segnalato e il periodo della semina del mais, è stata realizzata un’indagine cui hanno partecipato la Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie che hanno provveduto ad effettuare campionamenti nei territori di rispettiva competenza, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna di Brescia per l’accertamento di eventuali patogeni virali ed il CRA-API Unità di ricerca di Apicoltura e bachicoltura (ex Istituto Nazionale di Apicoltura) di Bologna per la ricerca di residui di neonicotinoidi (Sabatini A.G., Astuti M., Mutinelli F., Piro R e Lavazza A., comunicazione personale). Sono stati effettuati complessivamente 89 campionamenti di api (65 nella Lombardia e 24 nelle Venezie) e 4 di polline nella Lombardia. Al rilievo di una connessione spazio-temporale tra effettuazione delle semine di mais e rilevamento di mortalità e/o spopolamento negli alveari, corrispondeva la significativa presenza di residui dei principi attivi (imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin), utilizzati nella concia delle sementi di mais in 45 campioni di api (tra cui 5 con presenza contemporanea di 2 pp.aa.) su 89 analizzati e in 3 campioni di polline (tra cui 1 con presenza contemporanea di 2 pp.aa.) su 4 analizzati, mentre la visita sanitaria effettuata dal veterinario della ASL e le analisi virologiche escludevano che la mortalità fosse attribuibile ad agenti infettivi. Infatti, in solo 4 campioni sono state riscontrate deboli positività virali: 2 positivi ME (basso titolo)/negativi ELISA-DWV e 2 positivi ELISA-DWV/negativi ME (latenza?). L’attività diagnostica dell’IZSLT per virosi delle api nel periodo Settembre 2004 - Giugno 2008 ha compreso 243 campioni (larve, pupe, api allo sfarfallamento e operaie adulte) da 196 arnie di 95 aziende apistiche nelle regioni Lazio e Toscana, nei quali erano stati osservati: lentezza nella ripresa primaverile delle colonie, malformazioni od elevata mortalità delle larve ed in qualche caso grave spopolamento e morte. In laboratorio, oltre alle comuni indagini parassitologiche (varroa, nosema ed amebiasi) e batteriologiche (peste europea ed americana) sono stati eseguiti esami virologici, utilizzando lo stesso metodo di ME sopra descritto. Per l’identificazione della specie virale sono stati utilizzati l’IEM anti-ABPV e il test ELISA-DWV. Sono state quindi riscontrate virosi delle api in 65 (68,4%) delle 95 aziende Tabella 4. Risultati degli esami sui campioni pervenuti per la diagnosi di virosi all’IZSLER dal 01/01/2008 al 10/06/2008 ELISA-DWV ME POS. NEG. POS. 4 1 5 NEG. 5 11 16 Totale 9 12 21 - 66 - Totale apistiche sottoposte ad indagine. Particelle Picornavirus-like erano presenti in 133 campioni, pari al 54,73% (Tabella 4) con n. 48 campioni positivi per DWV, n. 4 campioni positivi per ABPV, n. 1 campione positivo per ABPV e DWV e n. 5 campioni positivi per SBV-like. I restanti 12 campioni, in cui non è stata possibile identificare le particelle osservate (positivi in EM e negativi in IEM-ELISA), saranno sottoposti ad ulteriori indagini di natura biomolecolare. L’infezione virale risultava spesso associata ad un’alta infestazione da varroa. In molte arnie con sospetta sindrome da spopolamento veniva fatta diagnosi di virosi. Inoltre, i virus erano spesso associati ad altri agenti patogeni: 3 campioni positivi anche per Malpighamoeba mellificae (1) e Nosema apis (2); 15 campioni positivi anche per Peste Europea (8), Peste Americana (5) e Peste Europea e Americana (2). COME INTERVENIRE IN CASO DI MALATTIE VIRALI Ben poco si sa sulle modalità di intervento in caso di diagnosi di virosi delle api e non esistono a tutt’oggi rimedi terapeutici specifici ed efficaci. Vista la stretta correlazione con altre patologie non virali, prima fra tutte la varroasi, la prevenzione delle virosi delle api dipende principalmente dal controllo della varroa con interventi appropriati e coordinati sul territorio. Indubbiamente, è bene quindi effettuare quanto prima, un trattamento antivarroa delle famiglie colpite da virosi, in attesa di definire più specifici interventi gestionali. In caso di sintomatologia particolarmente grave, quando non si voglia investire troppo tempo nella gestione degli alveari con esiti peraltro dubbi, l’unico rimedio è la distruzione delle famiglie colpite (sempre che la natura non abbia già fatto il proprio corso). Le arnie delle famiglie infette vanno opportunamente lavate e disinfettate prima di essere nuovamente utilizzate. Le pratiche apistiche (singole od associate) quali: distruzione/sostituzione (con favi contenenti una covata nascente prelevata da alveari sani) dei favi contenenti la covata infetta, messa a sciame e sostituzione delle api regine, richiedono ulteriori studi di campo per valutare l’efficacia degli interventi. Tabella 5. Risultati delle analisi effettuate presso l’IZS-LT per malattie virali delle api dal 01/09/2004 al 15/06/2008. Aziende n. (Pos./Tot.) Campioni n. (Pos./Tot.) Arnie n. (Pos./Tot.) Sett-Dic 2004 1/1 2/2 1/1 Gen-Dic 2005 3/6 9/16 6/10 Gen-Dic 2006 13/25 29/75 24/61 Gen-Dic 2007 27/35 60/101 52/88 Gen-Giu 2008 21/28 33/49 23/36 Positivi/Totale 65/95 133/243 106/196 Periodo - 67 - CONCLUSIONI Tali recenti riscontri, in accordo con le precedenti indagini (Arculeo et al., 1998; Carpana et al., 1990; Lavazza et al., 1996), confermano che: • le manifestazioni cliniche riferibili alle patologie delle api sono raramente patognomoniche, con molti sintomi in comune a differenti malattie; • è sempre necessario ricorrere alle analisi di laboratorio per confermare l’eziologia dei sospetti clinici; • le situazioni patologiche associate alle virosi sono conseguenza di una compromissione generale della colonia, a seguito di disordini di varia natura (tossica, parassitaria, genetica, biochimica, metabolica) corresponsabili della rottura dell’equilibrio di forza delle famiglie; • i virus sono agenti complicanti che trovano in altri patogeni quali la varroa, il fattore scatenante la loro attivazione e/o replicazione, contribuendo a determinare il collasso e la morte delle famiglie; • un altro importante fattore causa di sviluppo di malattie virali conclamate è rappresentato dallo stress prolungato (es. errato posizionamento delle arnie, freddo dovuto a frequenti visite invernali da parte dell’apicoltore, squilibrio numerico tra api adulte/covata da alimentare, etc.); • La prevenzione delle malattie virali dipende principalmente dal controllo della varroa con interventi appropriati e con programmi territoriali RINGRAZIAMENTI Si ringraziano tutte le persone che a vario titolo hanno collaborato nel corso degli ultimi due decenni all’acquisizione dei dati riportati: Pietro Arculeo, Beatrice Boniotti, Giuliana Botti, Emiliana Brocchi, Emanuele Carpana, Lorenzo Capucci, Monica Cerioli, Mario Colombo, Joachim De Miranda, Michele Dottori, Gaetana Lanzi, Giovanni Formato, Marco Lodesani, Marcella Milito, Norberto Milani, Annagloria Sabatini, Massimo Spreafico, Cristiana Tittarelli, M.Adelaide Vecchi, nonché il personale tecnico di laboratorio. - 68 - BIBLIOGRAFIA Arculeo P., Lavazza A., (1998) “Patologie secondarie alla varroa in alveari della Sicilia: virosi e covata calcificata”. 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Balkema, 99-104. - 69 - - 70 - SENOTAINIA TRICUSPIS, PARASSITA RESPONSABILE DI GRAVI MORIE DI API IN ITALIA Antonio Felicioli Università degli studi di Pisa, Facoltà di Medicina Veterinaria This investigation is part of a study on the interactions between flies and bees as well as their economic consequences. The aim of this thesis is to give a contribute on the knowledge of the biology of the “bee-fly” Senotainia tricuspis (Meigen), Diptera Sarcofagidae. In particular, the parassitization and pupating behaviour, the percent of infestation, the impact of the fly on a honeybee population and some control strategies have been investigated. The investigation has been carried out for the years (2003-2007) in the sperimental apiary of the agricolture Faculty of Pisa University. Field observations have been carried out in a preliminary way in the first year (2003) so that the target behaviour categories have been detected and the most suitable methodologies have been set. All the observations have been performed in the august-november period for the first year and in the may-november period for the second and third years. During this investigation the depth of pupation in different types of soils has been misured; the parassitizzation behaviour of the fly toward the forager honeybees has been described and the efficacy of yellow blue and white glued traps has been evaluated. The third larval stage of the fly risulted to pupate at a depth rangeing from 0,8 cm to 6,5 cm. Parassitization behaviour results to be highly stereotipated and divided in four phases, whit a stay-time of the fly on bees thorax extremely short (1/6 of a second). The impact of the fly on a honeybee population results to be very high, but easy to contain with the appropriate use of adequate chromotropic traps. Finally, according to new obtained informations, integrated with literature, it was possible to formulate a predictive theoric model on popuplation dinamic about bee and fly interaction. This model was then integrated with data from wide literature cocerning popuplation dinamic of the mite Varroa destructor in order to formulate a model concerning dinamic interations among populations of these three species: the bee, the fly and the mite. --Il lavoro qui presentato fa parte di uno studio sulle interazioni tra api/mosche e relativo impatto economico. - 71 - Obiettivo è stato quello di contribuire alla conoscenza della biologia della mosca Senotainia tricuspis (Meigen), Dittero Sarcofagidae. Nel caso specifico, è stato approfondito il tipo di azione parassitaria, le modalità di pupazione, la precentuale di infestazione, l’impatto che ha questa miasi sul patrimonio apistica ed alcune strategie di controllo. La ricerca è stata effettuata tra il 2003 ed il 2007 presso l’apiario sperimentale della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa. Osservazioni di campo sono state effettuate in via preliminare nel corso del 2003, in maniera tale da identificare i comportamenti fondamentali da studiare e per mettere a punto le metodiche più adatte allo studio. Tutte le osservazioni sono state effettuate tra l’agosto ed il novembre del primo anno e tra il maggio ed il novembre del secondo e del terzo anno. Con questa ricerca è stata misurata la profondità cui avviene la pupazione del parassita in differenti tipi di suolo; sono state descritte le modalità adottate dalla mosca per parassitare le api operaie e l’efficacia di diverse trappole entomologiche in base al loro colore (gialle, blue e bianche). E’ stato osservato che il terzo stadio larvale della mosca effettua la pupazione ad una profondità nel terreno variabile tra 0,8 e 6,5 cm. Le modalità di azione del parassita sono risultate essere fortemente stereotipate e suddivise in 4 differenti fasi, con un tempo di permanenza della mosca sul torace delle api estremamente breve (1/6 di secondo). Il danno arrecato da questa miasi sulla numerosità degli alveari è risultato essere notevole, ma facilmente contenibile mediante idonee trappole cromotropiche. Da ultimo, in accordo alle nuove acquisizioni in materia, è stato possibile predisporre un modello teorico predittivo sulla dinamica di popolazione in base all’interazione mosca-ape. Tale modello è stato anche integrato da informazioni prese dalla letteratura scientifica sulla dinamica di popolazione di Varroa destructor, al fine di formulare un modello di interazione dinamica tra le tre diverse popolazioni: ape, Senotainia tricuspis e Varroa destructor. - 72 - CONTROLLO DELLA VARROA DESTRUCTOR. ESPERIENZE NEL LAZIO Enzo Marinelli C.R.A. Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura, sede di Roma RIASSUNTO La varroasi rimane il parassita chiave da controllare obbligatoriamente e periodicamente nel delicato sistema alveare. La salubrità dei prodotti apistici passa attraverso il corretto e tempestivo impiego di sostanze che non danno problemi di residui nel miele. Il timolo e gli acidi organici (formico e ossalico) nelle diverse modalità di utilizzo, rappresentano dei principi attivi che nel corso della stagione apistica possono trovare spazio nelle strategie di controllo contro la varroa. Mentre il timolo è indicato per il controllo della varroasi nel corso della stagione attiva subito dopo i raccolti, l’acido ossalico nelle due modalità di distribuzione più diffuse (il gocciolamento e la sublimazione), trova un utilizzo ottimale nel periodo autunno-invernale o comunque in condizioni di blocco di ovodeposizione della regina. Vengono di seguito riportati i risultati di una sperimentazione condotta nel corso della stagione 2007 in un ambiente mediterraneo del centro Italia. ABSTRACT The varroasis remains the key parasite to be tested periodically in the delicate hive system. For the health of bee products is very important the proper and timely use of substances which are not problems residue in honey. The thymol and organic acids (formic and oxalic) in the different modes of operation, represent the active ingredients that during the beekeeping season can find space in control strategies against varroa. While the thymol is indicated for the control of varroasis during the active season just after the harvest, the oxalic acid in two modes of distribution more widespread, dropping and sublimation, finds the optimal use during autumn-winter or in broodless conditions. The following paper shows the results of an experiment carried out during the 2007 season in a Mediterranean environment of central Italy. Parole chiave: Varroa destructor, strategie di controllo, Regione Lazio INTRODUZIONE Il controllo di Varroa destructor rimane, dopo oltre venti anni dal suo ingresso nel nostro paese, uno dei problemi più importanti per l’apicoltura italiana. L’impossibilità di eradicare questo acaro dai nostri apiari impone l’adozione di una serie di interventi e strategie che hanno il compito, nel corso delle diverse stagioni, di contenere l’infestazione entro limiti compatibili con lo sviluppo e la produttività delle colonie. Negli ultimi anni la ricerca si è orientata maggiormente verso l’in- - 73 - dividuazione di metodi di lotta caratterizzati dall’impiego di sostanze acaricide a basso impatto ambientale, in particolare oli eterici ed acidi organici entrambi ammessi dal Reg CE 1804/99 che disciplina l’apicoltura biologica. Negli ambienti caldi del sud Europa il timolo è uno dei principi attivi di maggior interesse per i trattamenti estivi. Anche nel Lazio numerose sperimentazioni hanno avvalorato l’efficacia dei formulati a base di timolo per il controllo della varroa (1,8,10,12). Tra gli acidi organici, la sostanza più utilizzata per interventi contro la varroa durante la stagione attiva risulta essere l’acido formico. L’efficacia acaricida dell’acido formico è nota da lungo tempo ed è una sostanza utilizzata soprattutto nel centro e nord Europa per il controllo della varroa (2,4,5,13,15,16,17). Il suo impiego, al pari del timolo, è consentito dal Reg CE 1804/99 sull’apicoltura biologica ed è anche incluso nell’allegato II del Reg CE N. 2377/90, cioè tra i medicinali veterinari per i quali non è previsto un limite massimo di residui (MRL) negli alimenti di origine animale. L’acido ossalico è sicuramente quello che negli ultimi anni ha fornito maggiori garanzie di controllo dell’acaro varroa in condizioni di assenza di covata e il suo impiego si è imposto tra gli apicoltori italiani e di tutta Europa. L’efficacia acaricida di questo acido organico è stata riconosciuta già a partire dagli anni ottanta quando soprattutto in est Europa ed in Asia era utilizzato per il controllo della varroa. A partire dagli anni novanta in Italia e in Europa si sono messe a punto le tecniche di distribuzione di questa sostanza in apiario per il controllo della varroasi (3,6,7,11,14,18,19). Il basso rischio di residualità nei prodotti dell’alveare che caratterizza l’impiego di acido ossalico ha permesso il suo inserimento fra le sostanze che possono essere impiegate in apicoltura biologica. Con un provvedimento comunitario dopo un lungo iter burocratico (Reg. CE N. 546 del 24 marzo 2004), l’acido ossalico è stato finalmente incluso nell’allegato II del Reg CE N. 2377/90, cioè tra i medicinali veterinari per i quali non è previsto un limite massimo di residui (MRL) negli alimenti di origine animale. MATERIALI E METODI La sperimentazione estiva, realizzata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, è stata condotta durante i mesi di agosto-settembre 2007 presso l’apiario dell’Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura - Sede di Roma, situato all’interno della Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Roma). Le prove hanno interessato 35 colonie suddivise in sei gruppi come riportato in tabella 1, le colonie avevano consistenza omogenea ed erano poste in arnie Dadant-Blatt a 10 favi dotate di fondo diagnostico antivarroa. Gli interventi sono stati eseguiti dopo l’ultima smielatura su colonie prive di melari. I cinque gruppi di colonie sono stati trattati rispettivamente con: Apilife VAR (3 interventi effettuati a distanza di una settimana ponendo le due metà di una tavoletta sui favi del nido lungo una diagonale); Apiguard (2 trattamenti effettuati a distanza di circa 14 giorni ponendo le capsule sopra i favi del nido in posizione centrale); Timolo in cristalli disciolti a bagnomaria, incorporati a un supporto di OASIS (distribuiti con 3 trattamenti a distanza di - 74 - una settimana che comportano, per ciascun intervento la somministrazione di 10 g di timolo per arnia); MitegoneTM (2 spugnette che si impregnano con acido formico al 65% molto utilizzate nel continente americano per il controllo della varroa. Si posizionano sui telaini laterali con il miele. Ciascun supporto è imbevuto con 125 ml di acido formico al 65%. Il trattamento dura 21 giorni) (Foto 1); acido formico nel nutritore (sono stati versati 120 ml di acido formico 65% nel nutritore a tasca da nido nelle arnie senza melari. L’operazione è stata ripetuta 3 volte a distanza di una settimana). Alla fine dei trattamenti, si è provveduto alla valutazione degli acari residui attraverso due interventi con una soluzione acaricida ad efficacia nota a base di acido ossalico in soluzione zuccherina, gocciolato direttamente nello spazio interfavo (trattamenti di controllo). In particolare, si è preparata la classica soluzione “italiana” che prevede l’aggiunta di 60 g di acido ossalico in un litro di sciroppo, successivamente distribuita nelle singole colonie nella quantità di 5 ml per ogni favo interamente popolato di api adulte. I trattamenti a base di acido ossalico svolgono appieno la loro attività acaricida in assenza di covata opercolata, per cui si è proceduto all’ingabbiamento della regina per un periodo di 14 giorni in modo da permettere la nascita di tutta la covata opercolata e la fuoriuscita di tutte le varroe in essa contenute. I due trattamenti di controllo sono stati eseguiti, utilizzando lo sciroppo con acido ossalico, al momento dell’ingabbiamento e della liberazione della regina secondo il calendario riportato nella Tabella 1. La sperimentazione relativa all’acido ossalico, è stata condotta nel mese di dicembre 2007 nell’apiario sperimentale del CRA - Unità di Ricerca in Apicoltura e Bachicoltura sezione di Roma situato in località Tormancina (Roma). In un unico apiario sono state selezionate 28 colonie disposte su di un’unica linea, in arnie Dadant-Blatt a 10 favi e dotate di fondo diagnostico antivarroa. Le famiglie sono state selezionate in modo da presentare consistenza omogenea. Prima dei trattamenti sono state valutate popolosità e assenza di covata. I 28 alveari sono stati suddivisi casualmente in tre gruppi trattati rispettivamente con acido Tabella 1. Calendario delle operazioni effettuate nel corso della prova estiva 2007. Tenuta di Castelporziano (Roma). Trattamento N. colonie 07-ago 14-ago 21-ago Controllo 28-ago 11-set Apilife Var 9 SI SI SI INGABB. REGINE + A.O. A.O. + LIBER. REGINE Apiguard 5 SI - SI INGABB. REGINE + A.O. A.O + LIBER. REGINE Timolo in cristalli 8 SI SI SI INGABB. REGINE + A.O. A.O + LIBER. REGINE MitegoneTM 6 SI - - INGABB. REGINE + A.O. A.O + LIBER. REGINE AF nutritore 7 SI SI SI INGABB. REGINE + A.O. A.O + LIBER. REGINE - 75 - Foto 1. Spugnette di MitegoneTM impregnate con acido formico al 65%. ossalico gocciolato (10 colonie), acido ossalico sublimato con Varrox® (8 colonie) e acido ossalico sublimato con BioLetalVarroa® (10 colonie) (Tabella 2). Per quanto concerne il trattamento per gocciolamento, ad ogni colonia di api è stato somministrato un quantitativo di soluzione pari a 5 ml per favo coperto di api, fino ad un massimo di 50 ml nelle famiglie con favi interamente popolati. La distribuzione della soluzione è avvenuta per gocciolamento mediante siringa ad uso veterinario. La soluzione utilizzata è stata quella già messa a punto negli anni precedenti con 45 g di acido ossalico diidrato in un litro di soluzione zuccherina 1:1 (9). Per il trattamento con l’acido ossalico sublimato si è utilizzato l'evaporatore Varrox® introdotto frontalmente nell’arnia. Il dispositivo collegato ad una batteria da 12 volts permette il riscaldamento e la sublimazione dell’acido ossalico contenuto nello scodellino che evaporando nel corso di 2-3 minuti forma all’inTabella 2. Date dei trattamenti nella prova di confronto fra acido ossalico gocciolato e sublimato con Varrox® e BioLetalVarroa®. Tormancina (Roma) 2007. Gruppo trattamento AO gocciolato AO sublimato Varrox AO sublimato BioLetalVarroa® ® 2007 Trattamento con Acido ossalico Trattamento di controllo 6 dicembre 20-27 dicembre 6 dicembre 20-27 dicembre 6 dicembre 20-27 dicembre - 76 - terno dell’arnia una nebbia che riveste le api e tutte le superfici con uno strato sottilissimo di cristalli d'acido ossalico. I cristalli di acido ossalico sono ben tollerati dalle api ma hanno un'azione tossica sulla varroa. La dose di acido ossalico diidrato sublimato a colonia è stata pari a 2 g. Terminato il trattamento, per permettere il completamento dell’azione acaricida l’arnia viene tenuta chiusa per 15 minuti. Nei riguardi del trattamento con il sublimatore BioLetalVarroa®, il dispositivo è stato utilizzato introducendolo frontalmente nell’arnia. Il collegamento alla batteria è stato di circa 1 minuto e 30 secondi e la dose di acido ossalico diidrato sublimato a colonia è stata pari a 2 g. Dopo il trattamento, l’arnia è stata mantenuta chiusa per i successivi 3 minuti. L'acido ossalico è una sostanza nociva, tossica e corrosiva. E' indispensabile nel corso del suo utilizzo indossare correttamente gli appositi Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) quali occhiali, maschera per vapori organici, guanti e tuta a maniche lunghe. Mentre nei trattamenti per gocciolamento l’apicoltore manipola un principio attivo molto diluito e in fase liquida, nei trattamenti per sublimazione è fondamentale proteggere le vie respiratorie dalla possibile inalazione dei microcristalli di acido ossalico particolarmente pericolosi e penetranti all’interno dell’apparato respiratorio. In questi ultimi casi è di fondamentale importanza l’utilizzo di mascherine e respiratori facciali capaci di proteggere da fumi e vapori. La mortalità delle varroe è stata verificata periodicamente tramite esame dei fogli adesivi posti nei cassetti diagnostici. Dopo 15 giorni dal trattamento, non appena la mortalità si è attestata sui livelli di quella naturale e quindi non più imputabile all’effetto dell’ acido ossalico, si sono effettuati, a distanza di una settimana l’uno dall’altro, due trattamenti di controllo, con il Perizin. In entrambe le sperimentazioni, l’efficacia del trattamento è stata calcolata applicando la seguente formula: numero di varroe cadute in seguito al trattamento efficacia = –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– x 100 numero totale di varroe cadute (trattamento + controllo) I singoli valori sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie sono state confrontate mediante il test di Student-Newman-Keuls (SNK test). Nel corso della sperimentazione sono state registrate le temperature dell’aria e le precipitazioni mediante una centralina elettronica posta nelle immediate vicinanze. RISULTATI Nei riguardi dell’efficacia acaricida, l’Apilife VAR si è attestato su livelli di efficacia molto elevati, pari al 91,4%, dimostrando di garantire una protezione efficace nei confronti della varroa nelle condizioni climatiche caratterizzate da alte temperature. Anche l’Apiguard ha fatto registrare dei risultati molto soddisfacenti, con un’efficacia media che è stata del 93,1%; rispetto a tutte le altre formulazioni è stato il trattamento che si è dimostrato più costante nel garantire - 77 - un’adeguata efficacia acaricida (dev.st. 4,2). Il timolo in cristalli disciolto a bagnomaria e impregnato nelle tavolette di OASIS ha fatto registrare un’efficacia media pari all’86%, ma ha anche evidenziato una preoccupante irregolarità d’efficacia, come evidenziato dall’alto valore di deviazione standard (tabella 3). Come peraltro atteso, le valutazioni effettuate dopo la sperimentazione nei riguardi della consistenza numerica delle colonie hanno confermato la totale tollerabilità da parte delle colonie verso i trattamenti acaricidi a base di timolo. Per quanto riguarda i trattamenti a base di acido formico, il MitegoneTM con un’unica somministrazione ha raggiunto un livello di efficacia del 71% ma con una variabilità troppo elevata per essere considerato un trattamento risolutivo (Tabella 3). L’acido formico nel nutritore, ai dosaggi sperimentati si è assestato su un valore medio di efficacia del 56%, assolutamente insoddisfacente per il contenimento delle infestazioni di varroa, senza contare anche l’estrema variabilità che ha manifestato nelle diverse arnie (Dev. st. pari a 24,2). Ai dosaggi utilizzati, anche l’acido formico si è dimostrato ben tollerato dalle colonie e in particolare dalle api regine. Nella sperimentazione invernale sull’efficacia acaricida dell’acido ossalico, le colonie utilizzate per la sperimentazione sono risultate piuttosto omogenee in termini numerici, le api adulte risultavano distribuite su 5-6 favi con un numero medio che oscillava tra 13500 e 14500 individui (Tabella 4). Va ancora una volta sottolineato che tutte le colonie sottoposte al trattamento erano in pieno blocco di covata invernale e quindi in assoluta assenza di covata. Anche nei riguardi del contenuto di acari le colonie sono risultate molto omogenee, con un numero medio di varroe cadute che oscillava tra 461 e 648 acari (Tabella 4). L’efficacia acaricida si è assestata su livelli molto soddisfacenti per tutti e tre i gruppi di trattamento. Come è possibile osservare dalla tabella 2, nel gruppo trattato con l’acido ossalico gocciolato l’efficacia media è stata del 97,25% con un valore minimo del 85,43% e un valore massimo del 99,64%. Nel gruppo trattato con il Varrox® la media è stata del 97,26% (min. 94,86% max 99,42%). Nell’ultimo gruppo trattato con BioLetalVarroa® l’efficacia media registrata è stata del 93,5% (min. 88,42% max 96,67%). Dal punto di vista statistico le differenze tra i diversi gruppi in prova non sono risultate significative avvalorando l’equivalenza in termini di efficacia acaricida delle diverse modalità di somministrazione dell’acido ossalico. Gli alti livelli di efficacia su colonie in blocco naturale di covata era un evento largamente prevedibile in quanto, come altre volte ricordato, la presenza di covata opercolata rappresenta il limite maggiore alla completa azione acaricida dell’acido ossalico. CONCLUSIONI L’acaro varroa implica da parte dell’apicoltore un attento controllo dei livelli di infestazione degli alveari. La caratteristica dell’acaro varroa quale vettore di nuTabella 3 (pag. 79). Risultati della prova di confronto fra formulati e prodotti a base di timolo e acido formico. Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Roma). - 78 - varroe trattamento varroe controllo efficacia % 1 210 20 91,30 3 3938 0 100,00 5 539 68 88,80 2 1006 3 99,70 6 2665 190 93,35 7 231 6 97,47 8 1647 114 93,53 A 4457 610 87,96 9 440 181 70,85 1681,44 132,44 91,44 a* 11 2636 266 90,83 12 193 14 93,24 15 1957 99 95,18 17 5048 723 87,47 18 225 3 98,68 2011,80 221,00 93,08 a DEV.ST Apilife Var MEDIA 8,8 Apiguard MEDIA 4,2 Timolo in cristalli 20 1608 8 99,50 C 206 173 54,35 21 1118 206 84,44 22 5499 190 96,66 23 3363 4 99,88 24 2284 276 89,22 25 3815 522 87,96 26 1909 606 75,90 2475,25 248,13 85,99 a 33 3467 1984 63,60 35 2099 251 89,32 36 3099 748 80,56 37 4576 5766 44,25 39 2739 1388 66,37 38 1227 276 81,64 2867,83 1735,50 70,95 ab MEDIA 15,1 MitegoneTM MEDIA 16,3 AF nutritore 27 91 232 28,17 40 1430 1327 51,87 28 3369 1089 75,57 41 701 868 44,68 30 757 1751 30,18 31 827 58 93,45 32 2674 1260 67,97 1407,00 940,71 55,98 b MEDIA 24,2 *I valori della stessa colonna non aventi in comune nessuna lettera differiscono per P=0,05 - 79 - Tabella 4. Risultati della prova di confronto fra acido ossalico gocciolato e sublimato con Varrox® e BioLetalVarroa®. Tormancina (Roma) 2007. Gruppo trattamento Numero api Varroe totali Efficacia acaricida 1 13750 259 96,53 2 12500 314 93,95 3 12500 829 99,64 4 13444 319 99,06 5 13750 267 93,63 6 13750 425 97,41 7 10000 450 97,78 8 10000 460 85,43 11 18750 826 96,85 A 16000 461 95,59 13444a* 461a 97,25a 12 10000 790 97,26 13 12000 591 95,19 14 12500 803 96,79 15 16250 804 97,76 16 21250 350 98,38 18 13750 692 94,86 19 10000 506 99,42 B 13679 648 98,42 media 13678a 648a 97,26a AO gocciolato media AO sublimato Varrox® AO sublimato BioLetalVarroa® 20 16250 421 96,52 21 12500 327 90,79 22 12500 471 93,63 23 15000 980 88,42 24 12500 590 96,67 25 15000 535 94,44 26 16250 225 92,76 27 13750 645 93,96 28 15000 331 95,16 29 16250 310 93,59 media 14500a 483a 93,5a - 80 - merose virosi delle api obbliga gli apicoltori ad intervenire prima che il grado di infestazione abbia raggiunga livelli considerevoli ed in grado di provocare danni diretti e, soprattutto, indiretti alle colonie. Diventa per questo fondamentale impostare strategie di difesa che prevedano interventi multipli nel corso della stessa annata con misure sia di natura tecnico-gestionale (buone pratiche di allevamento) che chimica. Il controllo periodico dell’acaro varroa rappresenta una tecnica apistica irrinunciabile per qualsiasi apicoltore. Un mancato o errato contenimento allo sviluppo degli acari porta inevitabilmente alla comparsa di danni via via sempre più consistenti, fino ad arrivare alla morte delle colonie. L’annata appena trascorsa ha fatto registrare danni da varroa molto consistenti in numerose aree apistiche del Paese. Le motivazioni sono numerose ma sicuramente l’anomale andamento climatico dell’inverno passato (particolarmente mite) non ha favorito l’ottimale efficacia dei trattamenti antivarroa effettuati per cui i danni da varroa si sono manifestati in maniera estremamente precoce già con quest’ultima primavera. Questi eventi non devono scoraggiare ed allontanare gli apicoltori dalle strategie di controllo messe a punto con prodotti a basso impatto; questi ultimi, infatti, non si accumulano nella cera e non inquinano il miele. È necessario monitorare costantemente il livello di infestazione, intervenire precocemente rispettando i dosaggi sperimentati in funzione delle epoche di raccolta, al fine di evitare che il numero di varroe sia troppo elevato tanto da attivare pericolose virosi. Nelle aree apistiche litoranee dell’Italia centrale il timolo, come confermano anche i risultati scaturiti dalle prove effettuate nell’estate 2007, è un principio attivo affidabile per il contenimento della varroa. Gli acidi organici rappresentano l’altro gruppo di sostanze che, alla pari degli oli essenziali, riveste una fondamentale importanza nei programmi di controllo integrato della varroa. L’acido formico è una sostanza in grado di fornire risultati interessanti nelle regioni del nord Italia e del centro Europa, ma nel cento Italia è lontano dalle performance del timolo. Oltre a livelli di efficacia acaricida più ridotti, l’acido formico è una sostanza che a concentrazioni elevate può non essere ben tollerato dalle colonie di api (soprattutto dalle regine). Infine, un aspetto tutt’altro che trascurabile è quello relativo alla sicurezza del suo impiego: l’acido formico è una sostanza molto corrosiva e l’inalazione dei vapori può provocare l’irritazione delle vie respiratorie, il contatto con la pelle può provocare profonde ustioni. Per questi motivi è indispensabile una manipolazione molto attenta e l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale quali maschera per vapori organici, guanti e occhiali, in modo da prevenire eventuali contatti accidentali che possano danneggiare l’operatore. Sempre sul fronte degli acidi organici, ormai da diversi anni l’acido ossalico è un acido organico utilizzato con successo per il controllo della varroa. I risultati ottenuti nel corso della sperimentazione svolta nel corso del dicembre 2007 confermano l’efficacia acaricida dell’acido ossalico impiegato per il singolo trattamento di pulizia invernale nelle diverse modalità di somministrazione. Dal punto di vista operativo l’utilizzo di soluzioni zuccherine con acido ossalico, oltre ad assicurare una elevata efficacia nei confronti della varroa, riduce fortemente il rischio tossicologico per l’apicoltore che, in questo caso, non è tenuto - 81 - ad utilizzare maschere e respiratori per prevenire l’inalazione del prodotto. Tutte le precauzioni, partendo proprio dai dispositivi per la protezione delle vie respiratorie, andranno invece adottate quando si utilizza l’acido ossalico sublimato. Anche nei riguardi del tempo necessario per l’esecuzione dei trattamenti, la somministrazione dell’acido ossalico gocciolato appare di pratica e veloce applicazione. Tra le due modalità di distribuzione dell’acido ossalico sublimato l’erogazione con BioLetalVarroa appare, in virtù della diffusione attiva dei microcristalli, più rapida rispetto a quella con il Varrox. In conclusione a nostro avviso, per il controllo della varroa con il singolo trattamento in condizioni di assenza di covata, la modalità di somministrazione per gocciolamento appare la più indicata, mentre in condizioni con presenza di covata (quando è opportuno intervenire con trattamenti ripetuti e ravvicinati) allora la migliore tollerabilità del trattamento ripetuto per sublimazione fa preferire e consigliare questa modalità di intervento. - 82 - BIBLIOGRAFIA 1. Baggio A., Arculeo P., Nanetti A., Marinelli E., Mutinelli F. (2004) - Field Trials with Different Thymol-based Products for the Control of Varroosis. 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................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ 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................................................................................................................................................................................ - 86 - - 87 - - 88 - 2. COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE - 89 - - 90 - ATTUALITÀ SULLA FLORA MICROBIOLOGICA DEL SISTEMA APIARIO E SULL’USO DI MICRORGANISMI PROBIOTICI CON ATTIVITÀ ANTAGONISTA VERSO I BATTERI PATOGENI DELLE API Francesco Canganella Dipartimento di Agrobiologia e Agrochimica, Università della Tuscia, Via C. de Lellis, 01100 Viterbo [email protected] Vengono presentati gli ultimi dati riguardanti gli studi microbiologici effettuati sul sistema apiario e sulle malattie delle api. In particolare viene illustrata l’attualità scientifica sui microrganismi responsabili di importanti patogenesi a carico delle api, soprattutto quelle causate da batteri appartenenti ai generi Paenibacillus e Melissococcus. Oltre a ciò, non bisogna dimenticare la problematica sanitaria dovuta alla mancanza di farmaci efficaci contro queste malattie batteriche e di conseguenza le potenziali opportunità offerte dai microrganismi probiotici e dalle biotecnologie. L’importanza dei microrganismi probiotici riguarda essenzialmente il settore dell’alimentazione e quello zootecnico. Anche l’apicoltura potrebbe trarre vantaggio da tali metodologie biologiche al fine di migliorare la salute delle api e nello stesso tempo la qualità del prodotto finale oggetto di commercializzazione. Da materiale prelevato da apiari sperimentali sono stati selezionati 6 ceppi con potenzialità probiotiche che sono stati poi esaminati in vitro per valutare la loro attività antagonista verso Paenibacillus larvae e Paenibacillus alvei. Alcuni di questi 6 ceppi hanno mostrato capacità inibente nei riguardi dei due batteri antagonisti e dunque potrebbero rappresentare interessanti candidati per la lotta biologica verso questi patogeni. Sulla base dei dati ottenuti e delle analisi effettuate durante questo lavoro, si può affermare che si sono poste le basi per un maggior approfondimento delle potenziali applicazioni di batteri probiotici nel settore dell’apicoltura. Alla luce dei recenti allarmi sulla moria di api in Italia e nel resto del mondo a causa dell’inquinamento ambientale e di diversi agenti biologici infettanti, è opportuno incentivare le ricerche sia di base che applicative sulla microbiologia delle api. Sarebbe anche senza dubbio auspicabile la creazione di un network nazionale tra centri di ricerca, con l’obiettivo di sviluppare una massa critica sulla tematica della salute delle api e della qualità dei prodotti da esse ottenuti. - 91 - - 92 - IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA): MONITORAGGIO AMBIENTALE TRAMITE LE API Monia Perugini, Pierina Visciano, Alessandra Giacomelli, Lisa Grotta, Enzo Marinelli°, Anna Gloria Sabatini+, Piotr Medrzycki+, Livia Persano Oddo, Fabio Massimo De Pace°, Paola Belligoli°, Gabriella Di Serafino, Michele Amorena Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Teramo; CRA Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura; °Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Roma + Parole Chiave: idrocarburi policiclici aromatici, biomonitoraggio, api RIASSUNTO Gli IPA sono una classe di contaminanti ambientali che si ritrovano nell’aria, nel terreno, sulla vegetazione e nell’acqua. In seguito al fall-out atmosferico, si depositano sulla superficie fogliare delle piante e, o vengono adsorbiti dalle cere cuticolari e traslocati all’interno della pianta oppure, rimangono sui fiori e sulle foglie. Si tratta di composti di provata tossicità, le cui concentrazioni sono riscontrabili a livelli elevati nelle aree più antropizzate ed industrializzate. L’ape è considerata un valido indicatore biologico infatti, raccogliendo nettare e polline dalla vegetazione ed abbeverandosi all’acqua dei fossi si espone a tutti i possibili rischi di intossicazione derivanti dalla presenza di inquinanti ambientali. In questo studio, utilizzando api bottinatrici catturate al rientro in alveare, come bioindicatori della presenza di IPA, sono state confrontate aree a differente impatto antropico. Le stazioni di monitoraggio sono state collocate in due differenti regioni, Lazio ed Abruzzo, per monitorare parallelamente aree densamente antropizzate ed aree inserite in contesti quali le riserve naturali o i parchi regionali. In Abruzzo la ricerca è stata condotta utilizzando cinque postazioni, una in prossimità di un inceneritore e quattro dislocate nel parco regionale dei Calanchi di Atri, mentre nel Lazio sono state scelte tre postazioni, di cui una nella zona di Ciampino e le altre due all’interno della tenuta presidenziale di Castelporziano. Ciascuna postazione era costituita da tre arnie Dadant-Blatt standard, con 10 telaini muniti di melario. La sperimentazione è stata condotta nel periodo compreso tra maggio ed ottobre 2007 ed i campionamenti, regolarmente ripetuti nella seconda settimana di ogni mese, hanno previsto la cattura di un minimo di ottanta api bottinatrici. Un grammo di api liofilizzate è stato sottoposto poi in laboratorio ad analisi per la ricerca degli IPA. Nei campioni analizzati sono stati rilevati i seguenti IPA: fluorene, fenantrene, antracene, fluorantene, benzo(a)antracene, benzo(b)fluorantene e benzo(k)fluorantene. - 93 - Il benzo(a)pirene, composto altamente cancerogeno per il quale sono stati fissati dei limiti nell’aria, non è stato mai rilevato. Il fenantrene è stato il composto maggiormente riscontrato con valori medi più elevati in tutte le postazioni di monitoraggio ed in tutti i mesi. Tendenzialmente, maggio è risultato il mese nel quale sono state ritrovate le concentrazioni medie più elevate di IPA in tutte le postazioni. Tutte le postazioni sono risultate inoltre contaminate da IPA anche se i composti a più alto peso molecolare, più tossici, hanno riportato valori molto bassi. I campioni provenienti dalla stazione di Castelporziano sono risultati quelli con le più basse concentrazioni di IPA. ABSTRACT In this study a monitoring of PAH concentrations in bees collected from different areas located in Abruzzo and Lazio regions was made. Some hives situated near to urban areas were compared to others in natural reserves or parks. Fresh honey was also analyzed in order to study a possible transfer of PAHs by bees. Benzo(a)pyrene, the only compound actually ruled for maximum levels, was never detected. Phenantrene was the PAH more representative, while the high molecular PAHs were detected in few concentrations. Generally the PAH levels were very low. No correlation was found between the bees contamination and honey contamination. No significant differences were detected among the bees stations. INTRODUZIONE Gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono contaminanti ambientali largamente diffusi in acqua, aria, vegetazione e suolo. Rappresentano una vasta classe di composti organici caratterizzati da uno o più anelli benzenici uniti tra loro in maniera lineare, angolare o raggruppata. Si differenziano in leggeri e pesanti a seconda che posseggano nella propria struttura molecolare rispettivamente meno o più di quattro anelli benzenici condensati. Chimicamente sono dei composti abbastanza inerti, caratterizzati da un elevato punto di fusione e di ebollizione, bassa pressione di vapore e scarsa solubilità in acqua. La solubilità e la pressione di vapore sono inversamente proporzionali, mentre il punto di fusione e di ebollizione sono direttamente proporzionali al peso molecolare. Gli idrocarburi leggeri presentano una maggiore tensione di vapore e si ritrovano liberi in atmosfera, mentre gli IPA pesanti tendono ad aderire al particolato atmosferico. Esiste una correlazione positiva tra la stabilità e la persistenza nell’ambiente degli IPA ed il loro grado di condensazione (1). Questi contaminanti vengono generati in tutti i processi di combustione incompleta di materiale organico a temperature ideali di 600-900 °C (pirolisi) ed in quelli di pirosintesi. La maggior parte della produzione di questi composti risulta essere legata ad attività umane ed in particolare a processi di industrializzazione ed urbanizzazione dei territori. Oltre agli impianti di produzione del carbone fossile, le industrie cartiere, quelle chimiche e plastiche ed i processi di raffinamento del greggio contribuiscono largamente alla produzione di IPA. Anche il settore urbano riveste un ruolo determinante nella loro produzione: infatti fonti impor- - 94 - tanti risultano i processi di combustione dei carburanti ed i sistemi di riscaldamento domestico (2). Gli IPA possono originarsi, anche se con una minore incidenza, da processi naturali durante attività termiche geologiche, vulcaniche ed incendi di foreste (3). Questi composti sono, inoltre, importanti componenti del creosoto ed olio di antracene, sostanze usate per effettuare trattamenti del legno. Durante ogni processo di formazione e, di conseguenza nelle varie matrici, gli IPA sono sempre presenti come classe, cioè in miscele complesse contenenti anche altre sostanze e mai come singoli composti. Gli IPA possono espletare i loro effetti tossici mediante due meccanismi d’azione: possono legarsi e reagire con le componenti lipidiche di membrana oppure dare reazioni con macromolecole quali acidi nucleici (DNA ed RNA) e componenti proteiche. Il principale effetto tossico degli idrocarburi policiclici aromatici è rappresentato dalla loro capacità di provocare cancerogenicità in seguito ad esposizione cronica. Nel 1987 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha infatti classificato alcuni IPA come probabili (classe 2A) o possibili (classe 2B) sostanze cancerogene per l’uomo. Non meno importante è l’azione distruttiva svolta dagli IPA sul sistema endocrino (Endocrine Disruptors). Questi composti, analogamente ad altre sostanze quali i policlorobifenili e gli organoclorurati, sono in grado di alterare l’omeostasi endocrina dell’organismo, compromettendone principalmente la fase riproduttiva. L’ape, ormai da diversi anni, viene considerata un valido bioindicatore ambientale per il controllo dell’inquinamento (4, 5, 6). Tra le caratteristiche biologiche e fisiologiche che rendono questo insetto un utile bioindicatore, si considerano l’elevata sensibilità nei confronti dei contaminanti, un alto tasso di riproduzione e al contempo una vita media di breve durata, l’ampio raggio di perlustrazione e un corpo rivestito di peluria, caratteristica questa che le permette di intercettare e veicolare le particelle in sospensione atmosferica durante il volo riportandole all’interno dell’alveare (7). Grazie a queste peculiarità le api ci permettono di individuare le eventuali sostanze inquinanti attraverso tecniche di monitoraggio basate sul controllo numerico della popolazione o attraverso analisi chimiche sulle stesse api o sui prodotti dell’alveare quali la cera, il miele, la propoli ed il polline. Con il Decreto Legislativo 4 agosto 1999 n. 351, gli IPA sono stati inseriti nell’elenco degli inquinanti atmosferici da considerare nel quadro della valutazione e della gestione della qualità dell’aria. Valore obiettivo da raggiungere entro il 2010 per il benzo(a)pirene è di 1 ng/m3 (8). Le api possono essere utilizzate come dei bioindicatori di contaminazione ambientale da IPA. infatti questi contaminanti dall’atmosfera, in seguito al fall-out atmosferico, si depositano sulla superficie fogliare e, o vengono adsorbiti dalle cere cuticolari e traslocati all’interno della pianta o assorbiti per via stomatica nel mesofillo, oppure rimangono sui fiori e sulle foglie. Scopo del presente lavoro è stato quello di utilizzare le api bottinatrici, catturate al rientro in alveare, come bioindicatori della presenza di IPA nelle zone adiacenti le stazioni di monitoraggio, in modo da confrontare aree a differente impatto antropico. Inoltre, dai favi delle stesse arnie è stato prelevato il miele fresco per verificare l’esistenza di un potenziale trasferimento di IPA, ad opera delle api, dall’ambiente alla matrice miele. - 95 - MATERIALI E METODI Le stazioni di monitoraggio sono state collocate in 2 differenti regioni, Lazio ed Abruzzo, per monitorare parallelamente aree densamente antropizzate ed aree inserite in contesti quali le riserve naturali o i parchi regionali. In Abruzzo la ricerca è stata condotta utilizzando cinque postazioni, di cui una in prossimità di un inceneritore (Gattia) e quattro dislocate nel parco regionale dei Calanchi di Atri e nel Lazio, tre postazioni, di cui una nella zona di Ciampino, le altre due all’interno della tenuta presidenziale di Castelporziano. Ogni postazione era costituita da tre arnie Dadant-Blatt standard, con 10 telaini muniti di melario. La sperimentazione è stata condotta nel periodo compreso tra maggio ed ottobre 2007 ed i campionamenti (cattura di un minimo di ottanta api bottinatrici per un totale di circa 10 g) sono stati regolarmente ripetuti nella seconda settimana di ogni mese. Ogni campione è stato suddiviso in due aliquote, di cui una sottoposta a liofilizzazione ed analisi per la ricerca degli IPA, e l’altra utilizzata per la determinazione dei valori di umidità. Il campione, ben omogenato, è stato estratto con ASE (Accelerated Solvent Extractor), impostando i seguenti parametri: miscela esano-acetone (1:1,v/v), temperatura del forno 100°C, static time 5 minuti, volume del solvente 60%, purge con azoto 60 secondi e 2 cicli di estrazione. L’estratto è stato filtrato su filtri di cellulosa con 3 g di sodio solfato anidro e portato a secco con rotavapor. I campioni, ripresi con 1 ml di acetonitrile, sono stati iniettati in HPLC, alle seguenti condizioni cromatografiche: flusso 1,4 ml/min, fase mobile acetonitrile e acqua a gradiente e lettura fluorimetrica. L’identificazione è stata effettuata confrontando i risultati con uno standard di riferimento (PAH Mix 9, Dr. Ehrenstorfer GmbH). Il campionamento del miele è stato effettuato nei medesimi siti di sperimentazione utilizzati per il prelievo delle api. Da ogni alveare sono stati prelevati 60-100 g di miele fresco (con umidità superiore al 18%). La valutazione del tasso di umidità dei singoli campioni è stata effettuata direttamente in campo con l’utilizzo di un mielometro. Per l’estrazione sono stati pesati 5 g di miele a cui sono stati aggiunti 8 g di Extrelut. Il campione, dopo aggiunta di 50 ml di una miscela esano/acetone (1:1, v/v) è stato riposto nel bagno ad ultrasuoni per 20 minuti. L’estratto è stato filtrato su filtri di cellulosa con 3 g di sodio solfato anidro e poi portato a secco con rotavapor. I campioni, ripresi con 1 ml di acetonitrile, sono stati iniettati in HPLC, alle stesse condizioni cromatografiche usate per le api. I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi statistica mediante SPSS, test ANOVA dove normalmente distribuiti. RISULTATI E CONCLUSIONI Nei campioni di api analizzati sono stati rilevati il fluorene (FL), fenantrene (Phe), antracene (A), fluorantene (F), benzo(a)antracene (BaA), benzo(b)fluorantene (BbF) e benzo(k)fluorantene (BkF) (Figura 1), mentre nei campioni di miele sono stati ritrovati solo il fenantrene, l’antracene ed il crisene(Ch) (Figura 2). - 96 - Figura 1. Confronto tra le postazioni di Gattia(G) e quelle di Atri(A) (Abruzzo) per la matrice ape e la matrice miele. Le concentrazioni sono espresse ng/g sul tal quale. Il fenantrene è stato il composto maggiormente riscontrato con valori medi più elevati in tutte le postazioni di monitoraggio ed in tutti i mesi mentre il benzo(a)pirene, composto altamente cancerogeno per il quale sono stati fissati dei limiti nell’aria, non è stato mai rilevato. Nel complesso comunque i valori ritrovati sono stati relativamente bassi con una sommatoria che non ha mai superato i 3,5 ng/g nelle api e i 2,5 ng/g nel miele e gli IPA più rappresentati sono stati quelli a basso peso molecolare. Non c’è stata alcuna differenza statisticamente significativa (p>0,01) né tra le singole postazioni né tra quelle dislocate in Abruzzo e quelle dislocate nel Lazio e tutte le postazioni sono risultate contaminate da IPA anche se i composti ad alto peso molecolare, più tossici, hanno riportato valori relativamente bassi. I Figura 1. Confronto tra le postazioni di Castelporziano(C) e quelle di Ciampino(I) (Lazio) per la matrice ape e la matrice miele. Le concentrazioni sono espresse ng/g sul tal quale. - 97 - campioni provenienti dalla stazione di Castelporziano sono risultati quelli con le più basse concentrazioni di IPA. Tendenzialmente, maggio è risultato il mese nel quale sono state ritrovate le concentrazioni medie più elevate mentre ottobre quello in cui si sono avute le concentrazioni più basse. Tale contaminazione potrebbe essere imputabile alle pratiche di allevamento (utilizzo del fumo per le visite in apiario) precedenti all’applicazione del protocollo sperimentale che, espressamente, escludeva l’impiego dell’affumicatore. Dal punto di vista statistico maggio e luglio hanno riportato una differenza statisticamente significativa (p<0,01) nelle postazioni abruzzesi mentre nessuna differenza significativa è stata riscontrata nelle postazioni laziali. Inoltre non è stata evidenziata alcuna correlazione tra i composti ritrovati nelle api e quelli ritrovati nel miele, per cui l’ape probabilmente non rappresenta un vettore di contaminazione per il miele. La matrice api è infatti risultata essere contaminata con un numero maggiore di composti rispetto al miele. Nel miele di particolare interesse è stato il ritrovamento del crisene solo nei mesi di settembre ed ottobre in tutte le postazioni fatta eccezione quelle dislocate ad Atri. Inoltre, non è stato possibile associare la presenza di determinati idrocarburi ad una particolare fioritura perché, nonostante le analisi melissopalinologiche effettuate, solo 4 campioni di mieli sono risultati uniflora (edera, robinia, eucalipto e trifoglio), tutti gli altri sono risultati millefiori. Per tutti i presupposti analizzati e per i dati ottenuti, l’ape si è rilevato un ottimo bioindicatore, a basso costo, per la ricerca di contaminanti ambientali quali gli IPA. Ulteriori studi potrebbero essere indirizzati nella ricerca di questi contaminanti nei fogli di cera commerciale, così come potrebbe risultare interessante uno studio comparativo tra postazioni con esasperato impiego di affumicatore da un lato, ed un assoluto divieto di utilizzo, dall’altro. BIBLIOGRAFIA Cerniglia, C.E. Biodegradation of polycyclic aromatic hydrocarbons. In Biodegradation, 1992, 3, 351-368. Hall, M.; Grover, P. L. Polycyclic aromatic hydrocarbons: metabolism, activation and tumor initation. C. S. Cooper and P.L. Grover, Ed.; 1990, 327-372. Juhasz, A.L.; Naidu, R. Bioremediation of high molecular weight polycyclic aromatic hydrocarbons: a review of the microbiological degradation of benzo[a]pyrene. International Biodeterioration and Biodegradation 2000, 45, 57-88. Porrini, C.; Monaco, L.; Medrzycki, P. Rilevamento della mortalità di Apis mellifera L. (Hymenoptera Apidae) nel biomonitoraggio dei pesticidi: strutture a confronto e prospettive. Bollettino dell’Istituto di Entomologia “G. Grandi” Università di Bologna, 2000, 54, 101-112. Girotti, S.; Ghini, S.; Porrini, C.; Sabatini, A.G.; Bazzi, C.; Cal- zolai, A. Honey bees as bioindicators of environmental pollution: application in Italy. Acts of the 4th International Congress on Chemistry, 13th Caribbean Conference on Chemistry and Chemical Engeneering, La Habana 16-20 april 2001. Yazgan, S.; Horn, H.; Isengard, H.D. Honey as bioindicator by screening the heavy metal content of the environment. Deutsche Lebensmittel-Rundschau 2006, 102, 5, 192-194. Porrini, C.; Ghini, S.; Girotti, S.; Sabatini, A.G.; Gattavecchia, E.; Celli, G. Use of honey bees as bioindicators of environmental pollution in Italy. In Honey bees: Estimating the Environmental Impact of Chemicals; Devillers J. e Pham - Delègue M.H., Taylor & Francis, Ed: London, 2002, 186-247. Decreto Legislativo 3 agosto 2007 n.152, G.U. 13/09/07 n.213, Suppl. Ord. n.154. - 98 - L’ARAL - 30 ANNI DI STORIA Francesco Coarelli Presidente dell’Associazione Regionale Apicoltori del Lazio Ricorrono nel 2008 trenta anni dalla costituzione dell’A.R.A.L. -Associazione Regionale Apicoltori del Lazio. Siamo nati quando l’Apicoltura nel Lazio era ancora una cenerentola degli allevamenti. Abbiamo ottenuto nel tempo, grazie al contributo tecnico della nostra Associazione, un’ampia rivalutazione dell’Apicoltura da parte delle Istituzioni regionali, in quanto prima componente produttiva dell’impresa agricola, attenta al rispetto dell’equilibrio ecologico e della biodiversità. L’associazione, che svolge ogni iniziativa di concerto con la FAI – Federazione Apicoltori Italiani, ha la rappresentanza di Apicoltori - singoli e associati - e si propone di favorire, in forma primaria, la diffusione e la divulgazione dell’attività apistica; coordina l’attività degli Apicoltori e delle loro organizzazioni collegate; promuove e facilita lo studio di tutti i problemi che interessano l’Apicoltura regionale, sia per l’aspetto tecnico che economico, nella lotta contro le malattie delle api, nella divulgazione del suo impiego in agricoltura quale strumento di miglioramento della produzione agricola attraverso l’azione impollinatrice delle api. La produzione nel Lazio è stimata intorno ai quattro milioni di euro (13% del prodotto nazionale). I 95000 alveari stimati nel Lazio sono curati da circa 4000 apicoltori. I professionisti che esercitano l’attività a tempo pieno, sia in forma privata che associata, sono solo il 2%, inseriti nelle diverse filiere della commercializzazione. Tuttavia la microstruttura della nostra Apicoltura garantisce la presenza delle api su tutto il territorio e quindi l’impollinazione capillare delle piante selvatiche e coltivate. Le prime iniziative dell’A.R.A.L. sono state indirizzate a realizzare corsi di formazione per Apicoltori, Tecnici e Veterinari, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana, e con l’ex Istituto Sperimentale di Zoologia Agraria di Roma. Ogni anno, attraverso corsi di base, si avvicinano alla nostra Associazione circa quaranta nuovi aspiranti Apicoltori, dei quali almeno il 40% sono giovani ed il 20% donne. L’A.R.AL. ha contribuito in modo sostanziale alla promozione delle leggi nazionali e regionali per l’Apicoltura. Sono state effettuate campagne di promozione per il miele presso fiere, mercati e manifestazioni per mettere in risalto al consumatore il valore nutrizionale di questo prodotto, vero e proprio alimento. I nostri Apicoltori vendono il miele nei mercati, nelle fiere, nei punti di incontro, nelle manifestazioni dei prodotti tipici. Il nostro miele, per la sua gamma di sapori, ha avuto riconoscimenti locali e nazionali, con premi e attestati conferiti a molti nostri soci. Ora anche i consumatori stranieri preferiscono il pregiato miele del Lazio, tanto che alcuni nostri - 99 - produttori già lo esportano in Austria, Francia, Inghilterra e Svizzera. Nel Lazio, da un’ndagine condotta dall’A.R.AL., risulta che nei centri urbani il 25% dei consumatori sceglie miele locale e che la maggioranza di questi è molto attenta al controllo della conformazione del vasetto, al colore del miele e a quanto riportato in etichetta. Il consumo del miele è aumentato ma ancora non a sufficienza. L’A.R.A.L., attraverso le proprie azioni, mira a migliorare l’organizzazione del mercato e a stimolare le Autorità responsabili ad effettuare maggiori controlli sul miele di importazione. Grande conquista, merito della FAI, è stato l’obbligo di riportare in etichetta la nazione di provenienza del miele. Siamo presenti con apiari sperimentali in quasi tutti i Parchi e le Riserve naturali del Lazio, nei quali l’apicoltura ha avuto un processo evolutivo in sintonia con gli altri settori. Il trentennale dell’ARAL cade ora in un momento delicato per tutto il settore apistico: la comparsa anche in Europa e in Italia della Sindrome da Spopolamento degli Alveari, spesso associata a gravi e massivi fenomeni di moria delle api. Stiamo seguendo gli aspetti evolutivi di tale problema. Sebbene le cause ultime non siano note, i fattori predisponenti individuati sono: malattie (in particolare, la varroasi), fattori climatici, mal nutrizione delle api, fattori di stress per l’alveare, eccessivo uso di farmaci e uso spregiudicato e non conforme alle norme di prodotti fitosanitari in agricoltura, con conseguente avvelenamento del territorio. La nostra risposta è la buona gestione degli alveari e cioè l’adozione delle Buone Pratiche Apistiche (BPA). Le nostre proposte mirano alla realizzazione di un coordinamento tra le Istituzioni, finalizzato alla conoscenza del patrimonio apistico e al monitoraggio delle morie. Vogliamo incentivare la ricerca attraverso l’Ente nazionale C.R.A (Centro di Ricerca in Agricoltura), senza distrarre per tali scopi le misere somme assegnate alle Regioni per gli aiuti all’Apicoltura e in particolare agli Apicoltori. L’Associazione Regionale degli Apicoltori del Lazio ha in corso alcuni progetti di base che mirano comunque sempre alla promozione dell’Apicoltura, al miglioramento professionale degli Apicoltori, alla difesa della natura, all’assistenza sindacale e commerciale per i Soci e all’incentivazione degli Imprenditori apistici. Dopo trent’anni il nostro motto rimane sempre: “ Se ami la natura difendi le api”. - 100 - A PROPOSITO DI APICOLTURA Massimo Ilari Direttore Editoriale Melitense Editore, Apitalia Gli ultimi anni del settore apistico? “Occorre che tutto cambi affinché tutto resti com’è” per dirla con Tomasi di Lampedusa autore de “Il Gattopardo”, un libro che rivela la mentalità degli italiani. La prova? Qui da noi sono cambiate molte cose che sembravano aver risolto i problemi apistici a colpi di normative ma in realtà siamo punto e a capo e di risolto c’è ben poco. Tanto per cominciare la Legge Quadro sull’apicoltura (L. 313/2004), una legge, pur se apprezzabile per molti versi, è carente di linee guida specifiche e sta innescando non pochi problemi attuativi e ulteriori divisioni. Qualche esempio? Le Regioni, giustamente forti della loro autonomia, legiferano e decidono in modo difforme sul tema apicoltura. I tempi e le modalità di dichiarazione di possesso degli alveari divergono da Regione a Regione. Un altro grosso problema arriva dalla denuncia degli alveari, ad oggi sensibilmente sottostimata anche a causa di uno scollamento di fatto esistente tra le AA.SS.LL. e gli apicoltori. Che fare? Forse la soluzione c’è e potrebbe essere il classico “uovo di Colombo”. In pratica, basterebbe individuare e nominare, a livello di ciascuna Azienda USL e di ciascun IZS, un dottore veterinario esclusivamente referenti per il settore apistico. Tali figure istituzionali andrebbero coordinate con i referenti regionali e a seguire con i rispettivi Ministeri competenti. Gli enti abilitati, poi, dovrebbero avviare corsi di formazione per il personale veterinario. I Veterinari così organizzati potrebbero effettuare, in collaborazione con le associazioni di categoria, ove presenti, un capillare monitoraggio territoriale e quindi attuare un’anagrafe apistica centralizzata che indubbiamente porterebbe a maggiore organizzazione e professionalità, permettendo agli apicoltori di ottenere maggiori finanziamenti e dare gambe all’intero comparto. Il vantaggio sarebbe indubbio anche per i soggetti singoli che non partecipano ad attività associative. E sì perché l’apicoltore singolo appare completamente ignorato e la situazione che si verifica è in aperto contrasto con l’articolo 3 della nostra Costituzione. Che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In parole povere, anche chi va da solo ha il sacrosanto diritto ad essere assistito nella sua attività di apicoltore. Se d’improvviso sparissero le migliaia di apicoltori che possiedono da 5 a 20 alveari l’apicoltura non avrebbe più vita e non riuscirebbe ad essere una colonna portante nella difesa dell’ambiente. Queste figure - 101 - andrebbero difese strenuamente, sono la nostra tradizione apistica. Lo dimentichiamo troppo frequentemente. Ma torniamo al Censimento apistico, un dispositivo che permetterebbe anche il controllo capillare sull’eventuale sviluppo o recrudescenza delle patologie e di attivare azioni tempestive per il loro contenimento. Si potrebbe mettere in piedi una rete nazionale per monitorare le perdite, sull’esempio di quanto stanno facendo gli scienziati di tutto il mondo per studiare i colpevoli delle morie. A coordinare il lavoro di questo gruppo è stato chiamato il noto patologo Peter Neumann che ha puntato il dito contro Varroa destructor, le virosi e su altre cause da individuare a fondo. Spesso non si riesce a intervenire in modo adeguato sulle patologie dell’alveare perché si ricorre a molecole non sempre idonee e si fanno i trattamenti nei periodi sbagliati. E’ chiaro che occorre formazione, tanta formazione. Dunque mancano corsi di formazione a carattere divulgativo, omogenei su tutto il territorio nazionale. Un altro nodo allo sviluppo, da non sottovalutare, sta nel fatto che alcune Associazioni subiscono un enorme disagio sociale ed economico per lo sbarramento che alcune Regioni hanno imposto per ottenere il riconoscimento e di fatto l’accesso ai finanziamenti. E le Regioni danno i numeri, in tutti i sensi. C’è chi parla di 120 apicoltori, chi di 250, ecc, ecc. Un bel caos, non c’è che dire. A nostro modo di vedere è a dir poco incomprensibile. Ciò che proprio non va è che molti apicoltori vedono in tale misura la “strategia per mantenere immutati i rapporti di potere all’interno del comparto e che rischia di vanificare l’entrata di nuove forze in apicoltura”. Inoltre non si è tenuto conto delle realtà locali e del fatto che Associazioni, seppur piccole, contribuiscono allo sviluppo del Paese pagando le tasse allo stesso modo degli altri. E’ loro precluso l’accesso ai finanziamenti e di conseguenza è negata l’assistenza tecnica. Sia il Regolamento 797/2004 della Comunità Europea, che la Legge 313/2004, non indicano assolutamente l’esclusione delle minoranze, anzi queste sono sempre incluse anche nei compiti previsti per la denuncia degli alveari. Gino Bartali, il noto ciclista toscano, il campione che sino agli anni ’50 ha duellato con Coppi sulle strade di tutto il mondo, amava ripetere “Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare...”. Noi non vogliamo arrivare a tanto, ma sicuramente c’è molto da “aggiustare” se vogliamo il bene dell’Apicoltura. E sì perché la confusione regna sovrana. Il settore apistico appare ad un’analisi superficiale abbastanza omogeneo. I dati ci parlano di circa 55 mila apicoltori e di 1.240.000 alveari. In realtà il quadro non è affatto omogeneo. Sempre in seguito agli ultimi dispositivi legislativi, legge Quadro 313, del 2004, il miele è entrato a pieno titolo nel settore agricolo e ciò ha caratterizzato l’ape come un animale d’allevamento, il miele come un alimento e l’apicoltore come l’allevatore, senza distinzioni di sorta. Notevoli i problemi in seguito a ciò. Innanzitutto, rimane la divisione fra hobbista e professionista. E sì perché non hanno gli stessi interessi, pur se entrambi importanti per le api e l’apicoltura. La ragione? Presto detto. L’hobbista svolge l’attività come secondo lavoro, mentre il professionista la esercita come attività prevalente e da cui trae il suo reddito. Le due figure, a lungo andare, rischiano di entrare in rotta di collisione e in merito a ciò già si avvertono i primi segni di contrapposizione. Del resto il professionista è fornito di - 102 - partita IVA, paga le tasse, pratica un’apicoltura manageriale e per la quale fa investimenti. Ciò che caratterizza l’hobbista è lo stare nel sommerso, l’esserci e non esserci. Una guerra e una contrapposizione inutile che dall’osservatorio Apitalia vediamo dispiegarsi. Invece, andrebbe individuata una soluzione ad hoc e queste due figure dovrebbero collaborare. Di contro, non si può sottacere il patrimonio di sapere che l’hobbista ha assicurato al comparto apistico. Senza l’hobbista oggi non ci sarebbe più l’apicoltura, senza il professionista non si sarebbero verificate le modernizzazioni razionali e produttive nell’allevamento che quest’ultima figura continua ad assicurare. C’è bisogno di unità per andare avanti e per contrastare il difficile momento che l’intero settore sta attraversando. Uniti per l’Apicoltura è la parola d’ordine che ci sentiamo di lanciare e che per noi di Apitalia dovrà caratterizzare l’Apicoltura del Terzo Millennio. Senza Unione non ci sarà futuro e le nostre amiche api si prenderanno un anno Sabbatico: diranno basta e smetteranno di produrre. Se non ci pensiamo noi la soluzione la troveranno da sole. A proposito di quest’ultime considerazioni dall’Inghilterra e dal quotidiano “The Guardian” arrivano notizie che confermano la nostra valutazione. La scomparsa delle api non sarebbe solo dovuta alle malattie che colpiscono l’alveare, a cause naturali, all’effetto dei pesticidi ma c’è da considerare anche il superlavoro che compiono giornalmente. Il fenomeno delle morie si sta verificando contemporaneamente in tutto il mondo ma le indagini che sono state portate avanti nei diversi paesi hanno individuato origini diverse tant’è che è sempre più difficile parlare di rapporto fra causa ed effetto. Quando succedono queste cose si cominciano a misurare altri fattori e uno dei questi potrebbe stare nel fatto che le api soffrano da stress di superlavoro. Come noi umani presentano maggiore facilità ad ammalarsi quando non ce la fanno più e il loro sistema immunitario non è in grado di compensare le aggressioni, quali esse siano. La ricerca del colpevole, dei killer delle api e il controllo delle malattie che colpiscono l’alveare c’è da dire, e va ripetuto sino alla noia, è reso difficoltoso dal caos legislativo e dalla mancanza di regole serie. Sembra quasi che in Italia non esistano patologie come le pesti e il Nosema. L’attuale moria di api sta acuendo ulteriormente il problema, visto che c’è il rischio dello scatenamento di una vera e propria lotta per verificare chi ha diritto ai contributi e chi no. In più, superare l’emergenza è complicato anche perché gli apicoltori sono abbastanza divisi, dialogano poco e in troppi sono intenti a coltivare l’orticello di casa. E veniamo al miele come alimento. Noi di Apitalia non ci stanchiamo di ricordare che il bel tempo passato è finito e nella produzione e commercializzazione del miele le cose debbono essere fatte a regola d’arte: in realtà su ciò c’è un enorme ritardo. L’etichetta trasparente appare come un’illustre sconosciuta. E’ finita anche la pratica di totale anarchia che vigeva prima: nella lotta alle patologie apistiche occorre tenere conto di quanto stabilisce la Legge e del fatto che occorre utilizzare farmaci riconosciuti. Un altro neo abbastanza vistoso è l’assenza di giovani. L’apicoltura italiana fa fatica a svecchiarsi e i giovani non hanno possibilità di formarsi attingendo all’esperienza di chi questo mestiere lo pratica da decenni. Se non si apre ai giovani il comparto apistico non ha futuro. - 103 - - 104 - FLORA MICROBICA IN DUE DIVERSE TIPOLOGIE DI MIELI DELLA REGIONE LAZIO F. Tomassetti, M. Milito, G. Formato, E. Dell’Aira, R. Campanelli*, L. De Santis, G. Migliore, S. Saccares Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana * ARSIAL - Centro Operativo Sperimentale di Viterbo Presso il laboratorio di apicoltura di Roma dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, nel periodo luglio-agosto 2007, sono stati analizzati 90 campioni di miele dal punto di vista microbiologico, sia in favo che in barattolo, provenienti da 37 aziende apistiche delle 5 provincie del Lazio. I campioni pervenuti riguardavano il programma di assistenza tecnica dell’anno 2007 coordinato dalla Regione Lazio per gli apicoltori del Lazio. Lo scopo è stato quello di offrire una panoramica sulla flora microbica dei campioni pervenuti, per poi verificare eventuali differenze tra miele in favo e miele in barattolo. Sono state ricercate con metodiche ISO: Carica mesofila totale, Muffe, Lieviti, Stafilococchi coagulasi positivi, enterobatteri, Salmonella spp., Listeria spp., Clostridium spp., Bacillus spp, Streptococchi fecali. Il riscontro di poche unità formanti colonie in entrambe le tipologie di campioni, relativamente alla carica batterica totale, alle muffe e lieviti, ai germi potenzialmente patogeni, nonché l’assenza di spore di Clostridium botulinum hanno confermato la qualità igienica e la sicurezza del miele dal punto di vista microbiologico per i consumatori. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata apprezzata tra le due tipologie di miele analizzato. Ulteriori studi potrebbero essere indirizzati verso l’identificazione delle muffe evidenziate nei campioni, per verificare l’eventuale presenza di specie produttrici di tossine pericolose per l’uomo - 105 - - 106 - PROVE CON FORMULATI A BASE DI TIMOLO NEL CONTROLLO DI VARROA DESTRUCTOR IN DIVERSE PROVINCE DELLA SICILIA NEL PERIODO 2004-20071 Pietro Arculeo*, Eugenia Oliveri *, Maria Rosa Scurria°, Antonino Leo°°, Maria Rosa Battiato°°° *Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo ° Distretto Nebrodi, U.O. Assessorato Agricoltura e Foreste S. Agata Militello °° Distretto Trapani, U.O. Assessorato Agricoltura e Foreste Dattilo °°° Distretto Etna, U.O. Assessorato Agricoltura e Foreste Giarre Parole chiave: Varroa destructor, timolo, trattamenti RIASSUNTO Durante gli anni 2004-2007, sono state condotte in alcune provincie della Sicilia (Trapani, Messina e Catania) prove di efficacia con formulati a base di timolo, a dose ridotte, con Apiguard ed Apilife Var per il controllo di Varroa destructor. Durante le sperimentazioni sono state registrate le temperature esterne, le condizioni generali delle famiglie di api osservando l’assenza di malattie o squilibri relativi alla forza delle stesse. Per quanto riguarda le prove condotte con Apilife Var, l’efficacia massima è stata del 99,6 % con valori compresi tra il 97% ed il 98% utilizzando tre tavolette, ognuna a distanza di una settimana, mentre dosi inferiori utilizzando due tavolette hanno mostrato una efficacia media tra il 91% ed il 92%. Nelle prove condotte con Apiguard impiegando dosi ridotte con 20 g e 30 g di prodotto, l’efficacia media è stata tra il 93% ed il 98%. La media della temperatura massima nei periodi estivi ha presentato oscillazioni tra 19,7 °C e 32,4°C , mentre la minima tra 12,2 °C e 17,7°C. Benché i prodotti contenenti timolo siano influenzati da variazioni climatiche, nonché dalla “forza delle famiglie”, tali prodotti rimangono a tutt’oggi validi per il controllo della varroasi in Sicilia. Essi rappresentano, inoltre, una valida alternativa ai prodotti contenenti sostanze chimiche ad elevato impatto ambientale, che possono lasciare residui nella cera. INTRODUZIONE La varroasi è una parassitosi che, da più di venti anni dalla sua comparsa in Italia, rappresenta ancora oggi un problema sanitario, in quanto richiede oltre ad interventi acaricidi appropriati, una corretta gestione igienica degli alveari. 1Ricerca effettuata nell’ambito del progetto: Strategie per la valorizzazione e la tipizzazione dei mieli siciliani finanziato dall’Assessorato Agricoltura e Foreste della Sicilia - 107 - Al fine di applicare interventi acaricidi a basso impatto nel controllo della varroasi, sin dagli anni ’90 sono state avviate in Europa e in Italia sperimentazioni con prodotti di origine naturale come: acidi organici (acido formico e ossalico), timolo in polvere e formulati a base di timolo. Dalle sperimentazioni condotte con il timolo, si è osservato che questo ha mostrato un’alta proprietà acaricida contro la varroa e una tollerabilità nei confronti delle api (Imdorf et al, 1995; 1999). Il timolo è un fenolo monovalente (parametilisopropilfenolo) che si trova in natura nelle piante di Thymus vulgaris, Thymus serpillo, Thymus capitatus e in misura minore nella pianta di Satureia timbra. Allo stato puro questo fenolo si presenta in cristalli più o meno grossi, incolori, trasparenti, di odore caratteristico. Agisce per sublimazione passando dallo stato solido a quello aeriforme con un’intensità di evaporazione direttamente correlata alla temperatura e alla dimensione dell’area di evaporazione, indipendentemente dai valori di umidità relativa (Mikityuk et al, 1979). Nell’ambito di un progetto promosso dall’Assessorato Agricoltura e Foreste della Sicilia per la valorizzazione e tipizzazione dei mieli Siciliani, sono state effettuate delle sperimentazioni in diversi distretti della Sicilia con due formulati del commercio a base di timolo per il controllo della varroa. Al fine di potere meglio utilizzare l’azione di questi prodotti durante la stagione estiva e di ridurre le forti evaporazioni che si potrebbero verificare durante tale periodo, le prove sono state condotte utilizzando dosi ridotte del principio attivo. MATERIALI E METODI Durante gli anni 2004-2007, sono state condotte nei distretti di Trapani, di S. Agata Militello (ME) e Giarre (CT) prove di efficacia con formulati in commercio a base di timolo quali Apiguard® (Vita Europe - gel contenente il 25% di timolo) ed Apilife Var® (Chemicals Laif - tavolette di vermiculite impregnate con una miscela costituita dal 76% di timolo, 16,4% di eucaliptolo, 3,8% di mentolo e 3,8% di canfora). Le prove sono state condotte durante i mesi di agosto-settembre presso gli apiari delle Unità Operative dell’Assessorato Agricoltura e Foreste di ciascun distretto, utilizzando per ognuno di essi 10 alveari tipo Dadant Blatt, di forza omogenea, provvisti di fondo a rete antivarroa. Il controllo dell’efficacia dei prodotti esaminati è stato effettuato ponendo, dopo una settimana dalla fine dei trattamenti, 2 strisce di Apistan® (fluvalinate) per alveare mantenute per 40 gg e successivamente un trattamento per gocciolamento con una soluzione di acido ossalico (10 grammi di ac. ossalico diidrato, 100 grammi di acqua, 100 grammi di zucchero) utilizzando 5 ml per spazio interfavo popolato di api. Durante lo svolgimento delle prove sono state registrate le temperature esterne e le condizioni generali delle famiglie di api, osservando l’assenza di malattie o squilibri negli alveari. RISULTATI E CONCLUSIONI Nella Tabella 1 vengono riportate la media dell’efficacia acaricida dei prodotti - 108 - Tabella 1 Località CT Data Apiguard Efficacia Ago-04 II trat 25 gr/ 7gg 97,0% Apilife Var Efficacia T °C 30,2-18,6 ME III trat 1 tav/7gg 99,6% 31-16 TP II trat 1tav/9gg 92,2% 26 II trat 1 tav/10gg 91,0% 25-16 CT Set-05 ME II trat 20gr/7gg 94,3% 31,3-17,3 TP II trat 25gr/14gg 93,4% 23,6-15,1 CT III trat 1 tav/8gg Set-06 97,0% 25,6-16,6 ME II trat 25gr/12gg 94,3% 32,4-17,6 TP II trat 30gr/14gg 93,4% 25,1-16,7 CT III trat 1tav/7 gg Set-07 98,2% 26,5-17,9 ME III trat 20gr/7gg 98,9% 29,7-17,5 TP III trat 20 gr/7gg 95,8% 19,7-12,2 impiegati, le diverse metodologie utilizzate e la media delle temperature registrate in ogni distretto. Nel Grafico 1 vengono riportate le varroe cadute durante i trattamenti riferiti all’inizio della sperimentazione nei distretti delle tre provincie. In particolare, è stata rilevata una maggiore infestazione di varroa nell’apiario del distretto di Catania ed i trattamenti eseguiti con 25 gr di Apiguard, ripetuti dopo una settimana, hanno registrato una efficacia media del 97%. Nel Grafico 2 vengono riportate le varroe cadute durante i trattamenti eseguiti nel settembre 2007 nel distretto di Messina con 20 gr di Apiguard ripetendo il trattamento ogni sette giorni per tre settimane (efficacia media del 98,9%). Per quanto riguarda i risultati delle prove condotte con Apilife Var, l’efficacia massima è stata del 99,6 % con valori compresi tra il 97% ed il 98% utilizzando tre tavolette, ognuna a distanza di una settimana, come indicato dalla ditta, mentre dosi inferiori con due tavolette, hanno mostrato una efficacia tra il 91% ed il 92%. Per quanto riguarda Apiguard, le dosi consigliate dalla ditta sono di 50 gr di prodotto, da ripetere dopo 15 gg. Le prove condotte con 20 gr e 30 gr di Apiguard hanno mostrato una efficacia media tra il 93% ed il 98%. Sebbene sia necessario raccogliere altri dati in merito, si può ritenere valida ad - 109 - Grafico 1 esempio un trattamento con 20 gr da ripetere ogni sette giorni, per tre settimane. Le sperimentazioni finora condotte in Italia, con formulati a base di timolo, hanno dato buoni risultati. Tali prodotti sono oggi utilizzati nel controllo della varroasi, principalmente nel periodo estivo (Chiesa, 1991; Arculeo, 1995; Baggio et al, 2002; Colombo et al, 1999; Marinelli et al, 2007). Benchè i prodotti contenenti timolo siano influenzati da variazioni climatiche, nonché dalla “forza delle famiglie”, rimangono a tutt’oggi validi per il controllo della varroasi e rappresentano una valida alternativa a prodotti chimici che possono lasciare residui nella cera e nel miele. Per quanto riguarda le temperature esterne registrate durante le sperimentazioni Grafico 2. Caduta varroe: tre trattamenti con 20 g di Apiguard a distanza di una settimana. Distretto di Messina, settembre 2007. - 110 - nei periodi estivi, l’intervallo della temperatura massima è oscillato tra 19,7 °C e 32,4 °C , mentre per la minima tra 12,2 °C e 17,7°C. Il controllo della varroasi costituisce ancora un serio problema, infatti fino ad oggi nessun prodotto chimico o biologico è riuscito a debellare tale malattia, ma semplicemente a ridurne il grado d’infestazione. Bisogna quindi programmare, cosi come viene fatto per altre malattie, una strategia di interventi che comprende anche, oltre agli interventi acaricidi, anche una corretta gestione igienica degli alveari. BIBLIOGRAFIA 1. Arculeo P. 1995 Studio comparativo di prodotti a base di timolo nel controllo della varroa in Sicilia , Tecnica Agricola 4, 49-54. 2. Baggio A.; Arculeo P.; Nanetti A.; Mutinelli F.; Marinelli E. 2004. Field trials with different thymol-based products for the control of varroosis. American Bee Journal, 395-400. 3. Chiesa F. 1991. Effective control of varroatis using powdered thymol. Apidologie, 22: 135-145. 4. Colin M. 1999. Essential oils of Labiatae for controlling honey bee varrosis. J.Appl.Entomol, 110: 19-25. 5. Colombo M., Spreafico M. 1999. Esperienza di lotta a Varroa jacobsoni Oud. con nuovi formulati a base di timolo. La Selezione Veterinaria 7: 473-478. 6. Fries I. 1997. Organic control of Varroa in Varroa Fight. The mite, 16-21 IBRA. 7. Grobov O.F., Mikitiouk V.V., Gousseva L.M. 1981. Le Thymol, substance à spectre large d’activitè. Apiacta, XVI, (2), 64-65, 76. 8. Imdorf, A., Bogdanov S., Kilchenmann V., Maquelin C. 1995. Apilife VAR: a new varroacide with thymol as the main ingredient. Bee World 76: 77-83. 9. Imdorf A., Bogdanov S., Ochoa R.I., Calderone N. 1999. Use of the essential oils for the control of Varroa jacobsoni Oud. in honey bee colonies. Apidologie, 30: 209-228. 10. Marinelli E., De Santis L., De Pace F.M., Dell’Aira E., Saccares S., Nisi F., Ricci L., FormatoG. Timolo e acido formico nella lotta alla varroa. Apitalia N. 1/ 2007 I-IV. - 111 - - 112 - SPAZIO RURALE APRE AGLI APICOLTORI PER UNIRE TUTTE LE FORZE INTERESSATE ALLA SALVAGUARDIA E ALLO SVILUPPO DEL SETTORE Battista Piras Spazio Rurale - Mensile di agricoltura, alimentazione ed ambiente. Questa iniziativa è collegata con i contenuti dell’articolo pubblicato sul numero di marzo 2008 di Spazio Rurale intitolato: “L’aggravarsi delle patologie e il reddito inadeguato mettono a rischio l’apicoltura” e finalizzato a stimolare il dialogo fra gli apicoltori e altri interlocutori che operano per il sistema agricolo italiano Spazio Rurale si è sempre interessato all’approfondimento delle più importanti questioni di politica agricola a livello italiano, comunitario e mondiale, seguendo puntualmente i fatti che incidono sui tanti settori che compongono il nostro sistema agricolo sotto l’aspetto economico, sociale, ambientale e della ricerca, in particolare per quanto attiene la qualità e la sicurezza alimentare. Per rafforzare questo impegno con i lettori e coinvongerne di nuovi, abbiamo deciso di creare un nuovo “Spazio” intitolato: “Apicoltura, Agricoltura, Ambiente”. L’iniziativa è finalizzata a dare la parola all’apicoltura, settore piccolo e fragile ma emblematico della complessità dell’odierna agricoltura, che oltretutto ha un’importanza determinante per il nostro sistema agricolo e per l’ambiente, considerato il ruolo dell’ape nell’impollinazione delle piante entomofile. In tal modo intendiamo aprire un dialogo di alto profilo fra gli apicoltori e gli altri produttori agricoli e agroalimentari, comprese le Istituzioni, gli Organismi di categoria, le altre Riviste che trattano di agricoltura, i consumatori, gli ambientalisti, i ricercatori ed i tecnici, per indagare a fondo sulle cause che hanno messo in crisi l’apicoltura, non solo in Italia ma in tutto il mondo e per tentare di trovare le soluzioni più adeguate ai problemi che affliggono il settore, in relazione alle differenti condizioni ambientali e di allevamento. In tal modo intendiamo partecipare attivamente alle iniziative finalizzate a far fronte all’emergenza della “Sindrome dello spopolamento degli alveari”, sollecitate anche dal 40° Congresso mondiale di Apimondia e riprese in Italia in diverse occasioni, in particolare dal Convegno promosso dall’APAT e tenutosi a Roma il 29/01/08. Nel citato articolo, da noi pubblicato a marzo 2008, con indispensabile sinteticità viene analizzata la situazione dell’apicoltura e vengono avanzate delle proposte operative sugli interventi più urgenti da attivare in Italia per consentire, in primo luogo, la sopravvivenza del settore come attività d’interesse economico. - 113 - Il Dott. Battista Piras ha il compito di coordinare questo nuovo “Spazio” della Rivista, indirizzandolo verso il conseguimento dell’obiettivo già citato, grazie all’auspicata collaborazione di coloro che vorranno contribuire al successo dell’iniziativa, con l’apporto di idee, di esperienze e di proposte finalizzate alla salvaguardia e allo sviluppo del settore. Tutte le proposte, le lettere e qualsiasi altra richiesta, dovranno essere indirizzate al Dott. Battista Piras e inviate all’indirizzo di posta elettronica [email protected] con oggetto: Spazio Apicoltura, oppure per posta al Dott. Battista Piras – Spazio Rurale – viale delle Medaglie d’oro, 201 – 00136 Roma o, con lo stesso indirizzo, per fax al n. 06.35402359. - 114 - ANNOTAZIONI ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ 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................................................................................................................................................................................ - 116 - - 117 - - 118 - 3. POSTER - 119 - - 120 - LO STRANO CASO DI PHACELIA TANACETIFOLIA BENTHAM (HYDROPHYLLACEAE) Mengassini Andrea*, Grygielewicz Monika Marta** * DNApi Lab - Ricerche Apidologiche. Grottaferrata (RM) ** Azienda Apistica Gruppo FLORApi. Rocca Priora (RM) RIASSUNTO Phacelia tanacetifolia o facelia è una pianta nettarifera largamente utilizzata in Apicoltura ed è riconosciuta come una delle migliori piante mellifere in natura. Offre fioriture prolungate per 4-8 settimane dalla semina ed è apprezzata per il suo potenziale mellifero e per la elevatissima qualità in polline fornito. Il presente lavoro vuole evidenziare alcuni problemi agronomici connessi con questo organismo vegetale e con il suo utilizzo intensivo in campo. In particolare, il nostro studio condotto in due postazioni apistiche differenti (sito A: Rocca Priora, Roma; sito B: Latina) ha permesso di campionare esemplari di entomopopolazioni richiamati dall’azione vessillare e dai metaboliti secondari della pianta in fioritura. Lo studio sistematico ha evidenziato abbondante presenza, non riscontrata nei periodi precedenti la semina, di pronubi come api, bombi e sirfidi. Tra le specie entomologiche determinate, però, ne sono state collezionate diverse che hanno un ruolo tipico di agente infestante, non campionabili nell’areale precedentemente all’impianto di facelia, suggerendo un possibile notevole impatto sulle colture e sulle flore spontanee nell’intorno, ovvero un possibile incremento di danni agronomici e forestali. La facelia è inoltre ospite serbatoio di due funghi fitopatogeni, Sclerotina minor e Phytophtora infestans, agenti rispettivamente dei marciumi del colletto e dei marciumi radicali. Gli sclerozi di Sclerotina sono stati ricercati e riscontrati su setole e peluria degli insetti campionati nel sito B (Latina), indice di possibile meccanismo di dispersal entomofilo e quindi di trasmissione orizzontale sul territorio della micosi da essi indotta. Questi dati collezionati nel periodo di fioritura di Phacelia tanacetifolia sottolineano la necessità di una estrema cautela nel suo utilizzo in apiario, per i possibili danni provocati agli agroecosistemi nell’intorno. Parole chiave: Phacelia tanacetifolia, apicoltura, insetti pronubi. INTRODUZIONE Phacelia tanacetifolia Benth., Hydrophyllaceae (APG II, Bot. Journ. Linn. Soc. 2003, 141, 399-436), detta anche facelia, è ben conosciuta fin dagli anni ’60 dello scorso secolo, accompagnata da una vasta letteratura, per i suoi utilizzi agronomici in quanto svolge un’azione strutturante gli appezzamenti agricoli, viene impiegata per la copertura dei terreni set-aside e per la lotta biologica - 121 - contro entomoparassiti data la sua capacità di attrazione per altri insetti parassitoidi (Williams, Christian 1991; Gathmann et al. 1994; Sengonca, Frings 1988; Bowie et al. 1995; Hickman, Wratten 1996; Williams 1997; Carreck, Williams 1997; Lovei et al. 1998; Sommaggio 1999). Viene inoltre impiegata come fonte di biomassa per foraggio zootecnico, per la ristrutturazione dei suoli particolarmente erosi e come coltura di sovescio sui terreni affaticati e depauperati da monocoltura intensiva (Williams, Christian 1991; Fielder, Peel 1992; Stiversyoung 1998; Viene, Abawi 1998; Jackson 2000; Brofas, Varelides 2000; Brofas et al. 2000). La pianta è stata introdotta in Europa nel 1832 ed è stata apprezzata soprattutto dagli apicoltori nordeuropei e dell’est come ottima risorsa di nettare per le api (Williams, Christian 1991 e ulteriori referenze in questo lavoro); nonostante le sue potenzialità, nettarifera e pollinifera, tuttavia la sua coltivazione in area mediterranea non è mai stata intensiva, ad eccezione dell’Italia e della Grecia (Terrazzi, Sofi 1986; Orsi, Biondi 1987; Thrasyvoulou, Tsirakoglou 1994). La nostra esperienza apistica con la facelia in campo ci ha fatto notare un notevole incremento non solo di insetti pronubi, ma anche di altre specie entomologiche. Scopo di questo lavoro è campionare le entomopopolazioni per discriminare l’eventuale presenza ex-novo di insetti dannosi agli ecosistemi e agli agroecosistemi in seguito ad impianto intensivo di Phacelia tanacetifolia. È stato inoltre dimostrato che la pianta è ospite serbatoio senza alcun danno apparente di due funghi patogeni, Sclerotinia minor (Dutky, 2002) e Phytophtora infestans (Turkensteen 1973): si vuole pertanto esplorare il possibile dispersal delle spore fungine da parte degli insetti in visita alle fioriture di facelia. MATERIALI E METODI Territorio. Due postazioni denominate “sito A” in Rocca Priora (RM), Parco Naturale Regionale dei Castelli Romani (870 m. s.l.m.), e “sito B” in Latina (21 m. s.l.m.), costituite entrambe da due lotti di terreno privato di ca. 0.5 ha. ciascuno, situati rispettivamente in un’areale boschivo protetto e in un areale agricolo, sono state opportunamente sottoposte a campionatura dell’entomofauna nel periodo 01 maggio - 31 agosto 2005, precedentemente all’impianto di facelia, mediante catture dirette lungo transetti di 15 m per 15 minuti e mediante trappole. Fioriture. Successivamente, in data 01 aprile 2006, su entrambi i terreni è stata eseguita semina di Phacelia tanacetifolia cultivar “Angelia” in dose consigliata per usi apistici (1000 kg/ha = 0.10 kg/mq). La pianta è un’erbacea annuale che sviluppa un’altezza di 20-80 cm. I fiori ottenuti sono ermafroditi, attinomorfi, di colore blu-lavanda, raggruppati in cluster terminali e disposti in cime scorpioidi, con 5 sepali connati e 5 petali connati e plicati; 5 stami a filamenti epipetali; ovario supero placentato, con stilo terminale e 2 stigmi capitati. Dopo 4 settimane dalla germinazione si è ottenuta piena fioritura che si è mantenuta costante per altre 7 settimane. - 122 - Insetti. Al raggiungimento della piena fioritura, si è proceduto ad un nuovo campionamento di insetti. La visita dei pronubi è stata campionata mediante cattura diretta con retinatura ogni due ore nell’arco centrale della giornata (9.30 a.m. - 5.30 p.m.), compiendo un transetto di 15 m. per 15 minuti. È stato utilizzato un retino di forma triangolare, di 30 cm. di diametro e lungo circa 60 cm., applicato lentamente in prossimità delle fioriture; il contenuto è stato immediatamente esaminato sul luogo, per evitare il danneggiamento degli esemplari catturati, in particolare di insetti impegnati nella bottinatura o che restano immobili, come Hymenoptera, Coleoptera, Diptera ed Hemiptera. Sono state installate anche 2 trappole Malaise per le catture massive di Artropodi. Questa tipologia di trappola e senz’altro la più appariscente: essa consiste in una sorta di tenda canadese, costituita da una rete a maglie molto piccole, aperta da un lato. Gli insetti che si introducono nella trappola, per cercare una via di fuga, si spostano istintivamente verso l’alto dove filtra la luce e si ammassano nel punto dove si trova uno stretto tunnel, alla cui estremità è posta un’apertura, a cui è collegato un flacone contenente generalmente alcool o etere acetico. La rimozione degli individui intrappolati all’interno del vasetto è avvenuta ogni 24 ore. Date le dimensioni ingombranti, questa trappola è stata sistemata in zone pianeggianti tenendo conto delle condizioni metereologiche, in particolare del vento e delle rotte di possibile percorso degli insetti. Sebbene questa trappola sia indicata principalmente per la cattura degli insetti volanti, le raccolte hanno permesso di individuare anche individui generalmente atteri; si tratta comunque di un metodo di campionamento incondizionato che ha consentito di raccogliere un abbondante numero di Artropodi (Suss et al. 2004). Micocampionamenti. Sotto guida stereomicroscopica in luce diffusa sono stati effettuati prelievi allo scopo di ricercare eventuali spore di funghi fitopatogeni intrappolate dalla peluria degli insetti durante la loro visita sulle fioriture. Il materiale è stato collezionato con tamponatura sul torace e sull’addome degli esemplari entomologici mediante microtessuto imbevuto di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0.9 g., acqua purificata q.b. a 100 ml.; flaconcini monouso SALVELocs Italia); i frammenti raccolti sono stati successivamente reidratati mediante preparazione galenica di idrato di potassio KOH in soluzione acquosa al 5% e coltivati in capsula Petri su agar per ottenere micelio fungino, fruttificazione e quindi micodiagnosi di specie. RISULTATI Insetti. Il confronto tra i campionamenti nelle due annualità (Tab.1), precedente la coltivazione di facelia e successiva la semina e la fioritura, ha permesso di descrivere le dinamiche delle famiglie di insetti rinvenute sul territorio. Più che le singole specie, sono interessanti i raggruppamenti entomologici in funzione dei loro ruoli ecologici in ambiente, e precisamente insetti di interesse agrario causanti fitopatologie (Coleotteri Scarabeidi, Ditteri Agromizidi, Emitteri Pentatomidi e Afidi), insetti pronubi (Imenotteri Apoidei, Ditteri Sirfidi), predatori - 123 - Tabella 1. Dinamiche di popolazione, per gruppi di insetti, pre e post impianto facelia (* = presenza media dei rilevamenti nei due siti ). Campionamenti Anno 2005 Campionamenti Anno 2006 Precedente a impianto Successivo a impianto di Phacelia tanacetifolia di Phacelia tanacetifolia Famiglie/Data 15/05 20/06 18/07 02/08 20/08 15/05 20/06 18/07 02/08 20/08 Coleoptera Coccinellidae * Scarabaeidae * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * Diptera Agromyzidae * Syrphidae * * * * * Hemiptera Aphididae Pentatomidae * * * * Hymenoptera Apoidea * * * Formicidae * * * Ichneumonidae * * * * Tabella 2. Differenti rilevamenti dei gruppi di insetti nei due siti di campionamento con impianto di Phacelia tanacetifolia (* = presenza media dei rilevamenti nei due siti ). Campionamenti Anno 2006 Campionamenti Anno 2006 Sito A Sito B Rocca Priora (RM) Latina Famiglie/Data 15/05 20/06 18/07 02/08 20/08 15/05 20/06 18/07 02/08 20/08 Coleoptera Coccinellidae * Scarabaeidae * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * Diptera Agromyzidae * Syrphidae * * * Hemiptera Aphididae * * Pentatomidae * Hymenoptera Apoidea Formicidae * * * * * * * Ichneumonidae - 124 - * * * * (Coleotteri Coccinellidi) e insetti parassitoidi (Imenotteri Icneumonidi). Durante l’intero periodo di fioritura, la variazione in numero e diversità di specie nei due siti ha avuto un andamento sovrapponibile anche se alcune specie non sono rappresentate costantemente ad alta quota (Tab. 2). In media, i visitatori principali e costanti dei fiori di P. tanacetifolia sono stati gli Imenotteri Apoidei, in particolare Apis mellifera e Bombus spp. Nel mese di giugno, i fiori sono stati ulteriormente visitati da altre specie di insetti, con notevole incremento di Ditteri Agromizidi, Emitteri Pentatomidi e Afidi e di Coleotteri Scarabeidi, rappresentati soprattutto da esemplari di cetonie (Oxythyrea, Valgus, Tropinota). Nel mese di luglio, invece, si è osservata la comparsa di Imenotteri Icneumonidi parassitoidi, un decremento di insetti di interesse agrario, mentre si sono mantenute costanti le visite di Apoidei impollinatori. Funghi. In seguito a coltura in capsula Petri del materiale prelevato dal torace e dall’addome degli entomocampionamenti, è stato possibile determinare sia la presenza di granuli pollinici, largamente attesa, che di altro materiale biologico il quale, ad una prima osservazione in microscopia, appare di consistenza, colore e dimensioni in linea con i dati relativi alle forme di resistenza in ambiente dette sclerozi. Tale materiale è stato ritrovato esclusivamente su insetti del sito B (Latina) e in seguito a coltura è stato possibile osservare in vitro la crescita in particolare di Sclerotinia minor, confermando la simbiosi fungo-facelia e suggerendo il possibile meccanismo di dispersal in ambiente mediato da insetti. CONCLUSIONI A causa del forte richiamo che Phacelia tanacetifolia esercita sull’entomofauna di agroecosistemi, nel periodo di fioritura e produzione nettarifera e pollinifera, si è rilevato nelle aree di studio un incremento di infestazioni di entomospecie dannose per l’agricoltura e destrutturanti per ecosistemi forestali. Phacelia tanacetifolia si è dimostrata ospite serbatoio in particolare per Sclerotinia minor (Ascomycetes Helotiales) che causa la patologia nota come “marciume del colletto”. La concomitante abbondanza di entomofauna richiamata dall’azione vessillare del fiore, si è dimostrata potenzialmente responsabile del dispersal delle spore fungine campionabili nell’agroecosistema all’intorno, quindi possibile causa di diffusione della fitopatologia. La ricerca di infezioni fungine in pianta a distanza dai seminativi a facelia è comunque oggetto di ulteriore ricerca, in collaborazione con esperti micologi. Inoltre, se si progetta la coltivazione di larghi appezzamenti con Phacelia tanacetifolia, è importante evitare la sua piena fioritura contemporaneamente ad altre cultivar che necessitano di impollinazione entomofila per evitare fenomeni di competizione a danno di queste ultime. Questo aspetto fitosociologico è attualmente oggetto di un ulteriore studio da parte del nostro gruppo di ricerca. In conclusione, si raccomanda una vera e propria valutazione di impatto ambientale precedente l’impianto intensivo di Phacelia tanacetifolia per scopi apistici. - 125 - - 126 - ATTIVITÀ DI CAMPO CON ANTIMICROBICI NATURALI NEI CONFRONTI DEL PAENIBACILLUS LARVAE Carlo Ferrari1, Andrea Volterrani2, Alessandra Giacomelli3, Rita Marcianò4, Stefano Saccares3, Francesco Canganella5, Giovanni Formato3 1Azienda USL RM/G; 2Azienda USL RM/F; 3IZS Lazio e Toscana; RegioneLazio; 5Università della Tuscia, Dip. Agrobiologia e Agrochimica 4 Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del Regolamento (CE) n. 797/2004 - Programma finalizzato al miglioramento della produzione e commercializzazione del miele - Piano di attuazione sottoprogramma operativo regionale - annualità 2006-2007, coordinato dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio La peste americana delle api è una delle più gravi patologie della covata; l’agente eziologico è il Paenibacillus larvae (P. larvae), bacillo Gram positivo, sporigeno. E’ annoverata tra le malattie denunciabili del Regolamento di Polizia Veterinaria (DPR 1954, n. 320), tra le malattie soggette a denuncia in tutta l’Unione Europea (Regolamento N. 1398/2003 - allegato A) e tra le malattie soggette a notifica dall’OIE. La ricerca di sostanze naturali con attività batteriostatica/battericida nei confronti del P. larvae, ha l’obiettivo di prevedere un impiego anche per scopo preventivo dell’insorgenza della suddetta patologia. La prova di campo di seguito riportata è stata condotta in apiari ubicati in 3 diverse Aziende USL della Provincia di Roma, per un totale di 42 alveari colpiti da peste americana, peste europea e covata calcificata. Sono stati costituiti 5 gruppi di trattamento: GRUPPO 1: batteri sporigeni (Bacillus megaterium e Bacillus licheniformis) con attività antagonista nei confronti del P.larvae nebulizzati in quantità pari a 5 ml per faccia di telaino + 500 ml sciroppo; GRUPPO 2: sovranatante tamponato a pH 7 da coltura di microrganismi probiotici con attività antagonista verso P. larvae somministrati con 500 ml di sciroppo zuccherino; GRUPPO 3: cannella dissolta in alcool etilico e somministrata (2.000 ppm) in 500 ml di sciroppo; GRUPPO 4: antibiotico (tetracicline + 500 ml sciroppo); GRUPPO 5: bianco (500 ml di sciroppo). Il periodo di effettuazione dei trattamenti è iniziato il 14 giugno ed è continuato per 3 settimane. La verifica del numero di cellette di covata infette è iniziata il 14 giugno ed è terminata il 30 agosto. Malgrado la cannella ed i probiotici abbiano dato un certo miglioramento fino alla fine di luglio, con l’arrivo di agosto (quindi in condizioni meno favorevoli - 127 - di raccolta nettarifera), si è assistito ad un aggravamento della sintomatologia delle famiglie. Va anche considerato che le famiglie trattate con cannella hanno manifestano una minor forza rispetto agli altri gruppi di trattamento; quindi non possono essere scartate ipotesi di altri effetti della cannella sulle api (come, ad esempio, sullo sviluppo della covata). - 128 - BIOACTIVIDAD DE ACEITES ESENCIALES EN VARROA DESTRUCTOR SEGÚN SU TRATAMIENTO DE SECADO Y PROCEDENCIA GEOGRÁFICA ATTIVITÀ ACARICIDA DEGLI OLI ESSENZIALI NEI CONFRONTI DI VARROA DESTRUCTOR IN FUNZIONE DEL TRATTAMENTO DI ESSICCAZIONE E DELL’ORIGINE GEOGRAFICA M. Maggi°; L. Gende°, N. Damiani°; K. Russo*, M. Eguaras° °Università di Mar del Plata *Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana El objetivo fue evaluar la bioactividad sobre Varroa destructor y Apis mellifera de dos aceites esenciales de romero (Rosmarinus officinalis), uno obtenido a partir de la destilación de material fresco secado al aire y el otro secado en horno; y de dos aceites esenciales de eucaliptos (Eucalytus globulus) de diferentes regiones geográficas. Se prepararon concentraciones crecientes en alcohol (2.5; 5; 10 y 20 µl/ml) y fueron aplicadas en la superficie interior de cápsulas de petri de 140 x 20 mm. Una vez evaporado el alcohol se agregaron 5 hembras de V. destructor, 5 abejas obreras y recipientes que contuvieron agua y candy para las abejas. Se realizaron 5 réplicas por tratamiento y controles con alcohol 96º. Los ensayos se mantuvieron a 29 ºC y 60 % de HR. La mortalidad de ácaros y abejas se cuantificó a las 24, 48 y 72 h para cada concentración de aceite. Mediante un análisis probit se estimó la CL50 para ácaros y abejas en cada tiempo de observación. La CL50 a las 24 h para V. destructor para el aceite esencial de E. globulus (proveniente de Mar del Plata) fue 3,6 veces mayor al compararla con el aceite esencial obtenido de material vegetal del valle de Conlara (San Luis) para el mismo tiempo de observación (74.69 y 20.78 µl/ml, respectivamente). La CL50 a las 24 h para V. destructor para la el aceite esencial de romero secado al aire fue 1.2 veces mayor a la obtenida con el aceite de romero secado en horno (>20 µl/ml y 16.94, respectivamente). Para ambos aceites las CL50 para las 48 y 72 h disminuyeron en su valor con respecto a la obtenida a las 24 h. En todos los casos las CL50 para A. mellifera fue mayor a 20 µl/ml. Estos resultados muestran como un mismo aceite puede variar su toxicidad sobre V. destructor dependiendo de sus métodos de secado y lugar geográfico de extracción. - 129 - Obiettivo del presente studio è stato quello di valutare l’attività acaricida nei confronti di Varroa destructor e la tossicità nei confronti di Apis mellifera di: - due oli essenziali di rosmarino (Rosmarinus officinalis), uno ottenuto a partire dalla distillazione di materiale raccolto fresco e lasciato essiccare all’aria ed un altro fatto essiccare in forno; e di - due oli essenziali di eucalipto (Eucalytus globulus) aventi differente origine geografica (provenienti da due regioni diverse dell’Argentina). Concentrazioni crescenti dei suddetti oli sono state disciolte in alcool (2.5; 5; 10 e 20 µl/ml) e sono state applicate in una piastra petri di 140 x 20 mm. Dopo l’evaporazione dell’alcool, sono state inserite 5 femmine adulte di V. destructor, 5 api operaie e piccoli contenitori per acqua e candito per le api. Sono state effettuate 5 repliche per ogni trattamento e controlli con alcool a 96º. Le piastre sono state mantenute a 29 ºC ed a UR pari al 60%. La mortalità degli acari e delle api è stata valutata a 24, 48 e 72 h per ciascuna concentrazione di olio. Mediante analisi probit è stata valutata la DL50 per gli acari e per le api a ciascun tempo di osservazione. La DL50 a 24 h per V. destructor per l’olio essenziale di E. globulus (proveniente da Mar del Plata) è risultata essere 3,6 volte superiore rispetto all’olio essenziale ottenuto dalla Valle di Conlara (San Luis) per lo stesso tempo di osservazione (74.69 µl/ml e 20.78 µl/ml, rispettivamente). La DL50 a 24 h per V. destructor per l’olio essenziale di rosmarino essiccato all’aria è risultata 1,2 volte superiore rispetto quella ottenuta con l’olio essenziale di rosmarino essiccato al forno (>20 µl/ml e 16.94 µl/ml, rispettivamente). Per entrambi gli oli essenziali, le DL50 per le 48 e le 72 h sono risultate di valore inferiore rispetto quelle ottenute a 24 h. La DL50 per A. mellifera è risultata essere sempre superiore a 20 µl/ml. Questi risultati mostrano come uno stesso olio può manifestare una diversa attività acaricida nei confronti di V. destructor in base al metodo di essicazione ed all’origine geografica. - 130 - IL MASTER DI PATOLOGIA APISTICA ED APIDOLOGIA GENERALE Alberto Arus, Pasqualino Baiardi, Salvatore Barone, Andrea Besana, Giuliana Bondi, Lorenza Brandalise, Gianluigi Bressan, Antonella Carteri, Enrico D’Addio, Donatella De Monte, Giovanni Formato, Alba Giorgio, Matteo Giusti, Angelica Iannonu-Kapota, Giulio Loglio, Antonio Mastromattei, Marcella Milito, Gino Menguzzato, Enrico Miglietta, Gian Luca Obaldi, Maria Eleonora Reitano, Marta Zanolla, Antonio Felicioli Partecipanti e docenti del Master di II livello in “Patologia apistica ed apidologia generale” - Università di Pisa Nell’Anno Accademico 2006/2007 ha avuto inizio il primo Master di II livello in “Patologia apistica ed apidologia generale” organizzato dal Dipartimento di Anatomia, Biochimica e Fisiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Pisa. Il Master, tuttora in corso, ha una durata di 18 mesi per un totale di 1500 ore, pari a 60 crediti formativi universitari (CFU). Il principale obiettivo del corso è quello di fornire conoscenze teoriche e pratiche relative alla diagnostica ed al trattamento delle manifestazioni patologiche delle api mellifiche, alle principali forme di gestione dell’allevamento di questo particolare settore zootecnico, alla legislazione, alla valutazione e valorizzazione dei prodotti apistici; inoltre, relativamente alla parte di apidologia generale, il corso prevede un’introduzione allo studio della biologia degli altri principali apoidei già commercializzati, la cui importanza tecnica ed economica sta diventando sempre maggiore nell’ambito dell’agricoltura e della tutela ambientale. Il Master si propone anche di agevolare, uniformare ed arricchire la formazione del veterinario pubblico , del veterinario libero-professionista e delle altre figure interessate al settore, con particolare riferimento agli aspetti normativi quali la legge quadro N. 313 sull'apicoltura emanata il 24 dicembre 2004, i nuovi regolamenti comunitari del “pacchetto igiene”, il decreto legislativo N. 179/2004 concernente la produzione e la commercializzazione del miele”, il decreto legislativo N. 193/2006 recante il codice comunitario dei medicinali veterinari, il decreto legislativo N. 158/2006 recante il divieto di utilizzazione di alcune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze beta-agonista nelle produzioni animali e tutte le normative regionali. Il Master, diretto dal Dott. Antonio Felicioli, si avvale come relatori e docenti di esponenti di spicco nazionale e internazionale del panorama apistico e api- - 131 - dologico, al fine di fornire un quadro il più esaustivo possibile sullo stato dell’arte e le prospettive del settore. Merito del Prof. Antonio Felicioli è stato quello di cogliere le esigenze formative dei professionisti che si occupano del settore apistico che sino ad oggi ha occupato una posizione di subordine nella didattica veterinaria italiana rispetto ad altri settori zootecnici. I corsi sono seguiti da ventidue laureati, diciannove dei quali medici veterinari, tra cui una veterinaria proveniente dalla Grecia, due agronomi ed una biologa. Un altro aspetto caratterizzante questo corso di Master è il fatto che gli incontri formativi sono tenuti in contemporanea presso la Villa Le Pianore di Camaiore (Lucca) e presso la sede dell’Ordine dei Veterinari della provincia di Verona, collegate in video-conferenza. Questo aspetto, oltre a facilitare la frequenza ai discenti risulta essere un fatto innovativo nell’ambito di un master universitario, tale da essere considerato sperimentale anche per le tecnologie di video-conferenza utilizzate. Il Master prevede inoltre la possibilità di partecipare a corsi e seminari promossi da altri enti, tra cui si può citare il corso di analisi sensoriale del miele (dove esperti del settore hanno messo a disposizione dei partecipanti la loro esperienza e competenza con esercitazioni pratiche su mieli di differente origine botanica), di inseminazione strumentale delle regine e di melissopalinologia effettuati presso Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna, e il seminario annuale organizzato dall’Asl 22 di Bussolengo (Verona) e dal quale è recentemente nata l’esigenza di creare un gruppo di lavoro coordinato dalla facoltà di Veterinaria di Pisa. Nell’ambito del Master sono state previste anche giornate di attività da dedicare alle esercitazioni pratiche presso aziende apistiche, in allevamento ed in diverse tipologie di laboratori. Notevole lo sforzo compiuto dal Direttore del Master di non limitarsi allo svolgimento dei corsi, bensì di promuovere lo scambio e la collaborazione interdisciplinare sia tra docente e docente, sia tra docenti e partecipanti, fornendo a questi ultimi occasioni importanti di crescita culturale e punti di riferimento fondamentali per lo sviluppo della propria attività nel settore apistico. Si auspica che dal master possa scaturire un’iniziativa che riesca a collegare i diversi professionisti coinvolti nel settore in modo che non vada perduta la possibilità di un confronto e di un aggiornamento continuo. - 132 - MORTALITA’ INVERNALI DI ALVEARI NELLA REGIONE VENETO Alessandra Baggio, Chiara Manzinello, Nicoletta Stocco, Albino Gallina, Luciana Barzon, Franco Mutinelli Centro di referenza nazionale per l’Apicoltura, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, viale dell’Università 10, Legnaro (PD), E-mail: [email protected] La mortalità di api nel periodo invernale e la relativa perdita di colonie viene normalmente considerata nei programmi di gestione di un apiario, ma negli ultimi anni tale perdita ha superato i valori di normalità. Le stime a livello internazionale infatti sono pesanti in quanto vengono riferite perdite che mediamente vanno dal 30-40% fino a raggiungere punte del 50-60% ed oltre in alcune nazioni. La situazione dunque è allarmante non solo per il comparto apistico, ma anche per vari settori agricoli che indirettamente sono legati all’attività delle api, basti pensare al loro ruolo di insetti impollinatori. Si è voluto pertanto stimare la dimensione di tale problematica nella Regione Veneto per l’inverno 2007 attraverso la compilazione di un questionario da parte degli apicoltori. Il documento, del tutto anonimo, è stato divulgato sia per mezzo delle Associazioni degli apicoltori, che attraverso la rete e poneva alcune domande relative al numero di alveari persi, al periodo in cui si sono verificate le mortalità, alla presenza di eventuali patologie, alle modalità di trattamento della varroasi e così via. Al questionario hanno risposto più di 200 apicoltori che hanno gestito 3.513 alveari nel corso del 2007. Da una prima elaborazione dei dati è risultata una mortalità di alveari pari al 37%. Si è trattato principalmente di alveari stanziali (73%) posizionati in zona pianeggiante e/o precollinare. Nel 50% dei casi, all’interno degli alveari deceduti non sono state rinvenute api morte e le arnie erano state completamente abbandonate. Il 64% degli apicoltori ha inoltre dichiarato di aver controllato la varroasi combinando gli interventi biomeccanici al trattamento tampone estivo realizzato somministrando, nella maggior parte dei casi, prodotti naturali. Per quanto riguarda invece il trattamento invernale nel 93% degli alveari considerati erano state eseguite applicazioni di acido ossalico - 133 - - 134 - IL SUBLIMATORE VARROGLASS® Aldo Frasca e Beatrice Frasca apicoltori, Roma E-mail [email protected] Parole chiave: ossalico, sublimazione, varroasi INTRODUZIONE La lotta alla varroa continua ad essere per gli apicoltori l’obiettivo primario da sostenere a. Le sostanze usate per attaccare Varroa destructor sono molteplici. Se però si vuol seguire la strada di una lotta a basso impatto ambientale non si può ignorare l’uso dell’acido ossalico (AO). Questo principio attivo compare tra le sostanze che possono essere impiegate in apicoltura biologica ed è tra quei medicinali veterinari per i quali non è previsto un limite massimo di residui -MRL- negli alimenti di origine animale (allegato II del Reg. CE n. 2377/90). Le modalità per la sua applicazione, con attività acaricida ormai collaudata, considerano il gocciolamento o la sublimazione. In quasi ogni articolo riguardante l’applicazione dell’acido ossalico viene però sottolineato che la modalità della sublimazione è alquanto impegnativa e pericolosa per l’operatore. Ogni filmato o fotografia dell’operazione mette in risalto i vapori dell’acido ossalico che avvolgono l’operatore che effettua la sublimazione. Tutti i sublimatori presenti sul mercato o personalizzati hanno infatti questo difetto. Il Varroglass tende ad eliminare questi pericoli perché immette i vapori direttamente al centro dell’arnia. MATERIALE E METODI Il sublimatore Varroglass® è realizzato in vetro termoresistente e per questo offre diversi vantaggi: a) nell’atto della sublimazione, ottenuta puntando sul fondo del sublimatore una fonte di calore, c’è la possibilità di controllare visivamente la temperatura di sublimazione perché l’acido prima rilascia acqua e poi comincia a sublimare consentendo un rapido svuotamento del serbatoio senza permettere la trasformazione in acido formico del principio attivo; b) durante la fase di riscaldamento non si ha nessuno scambio o reazione chimica tra il contenuto (acido ossalico) ed il contenitore (sublimatore), essendo il vetro materiale inerte (a differenza dei materiali metallici); c) applicando il Varroglass® nell’arnia, la sublimazione avviene nel suo serbatoio che comunica direttamente con il centro dell’arnia e non consente scambi con l’esterno, per cui l’operatore è al sicuro dai vapori nocivi. Da fuori non si vede nessun vapore; - 135 - d) il materiale usato è inoltre facile da pulire e da lavare (come un comune bicchiere di casa). Abbiamo realizzato una prova per verificare se effettivamente l’acido ossalico immesso nell’arnia con la sublimazione ricristallizzava nella stessa quantità (2,5 grammi) sublimata. E’ stato quindi messo in comunicazione il Varroglass®, che ha una capacità di 50 ml, con un pallone in vetro con capacità di 1 litro. Dopo aver immesso 2,5 grammi di acido ossalico nel serbatoio, abbiamo pesato il tutto con una bilancia di precisione. RISULTATI E CONCLUSIONI Dopo aver effettuato la sublimazione dell’acido ossalico nel pallone sopra descritto, quest’ultimo è ricristallizzato ed alla nuova pesata è risultato mancare solo 0,1 grammi di prodotto. In conclusione si può affermare che, con l’uso del Varroglass®, i rischi per chi opera sono ridottissimi e l’operazione della sublimazione risulta essere sicura, pratica e veloce (50 arnie possono essere trattate in 12-15 minuti). I costi ridotti e la facile manutenzione sono gli ultimi due aspetti da non sottovalutare. A tutt’oggi sono in cantiere anche nuovi progetti per l’utilizzo del Varroglass® con altre sostanze che prevedono la sublimazione e l’evaporazione. BIBLIOGRAFIA Nanetti A, Buchler R, Carriere J D, Fries I, Helland S, Imdorf A, Korpela S, Kristiansen P (2003), Oxalic acid treatments for varroa control (Review). Apiacta 38 (1). Rademacher E, Harz M, – Oxalic acid for the control of varroasis in honey bee colonies-a review Apidologie 37 (1), 2006, p. 98-120. http://www.mellifera.de/engl2-htm BIBLIOGRAFIA Nanetti A, Buchler R, Carriere J D, Fries I, Helland S, Imdorf A, Korpela S, Kristiansen P (2003), Oxalic acid treatments for varroa control (Review). Apiacta 38 (1). Rademacher E, Harz M, - Oxalic acid for the control of varroasis in honey bee colonies-a review Apidologie 37 (1), 2006, p. 98-120. http://www.mellifera.de/engl2-htm - 136 - ANNOTAZIONI ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ 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Barone Salvatore Barzon Luciana Battiato Maria Rosa Belligoli Paola Bellucci Valter Besana Andrea Bondi Giuliana Brandalise Lorenza Bressan Gianluigi Campanelli Rita Canganella Francesco Cardeti Giusy Carteri Antonella Cirone Raffaele Coarelli Francesco D’Addio Enrico D’Ovidio Maria Concetta Damiani Natalia De Monte Donatella De Pace Fabio Massimo De Santis Laura Dell’Aira Elena Di Serafino Gabriella Enrico Miglietta Felicioli Antonio Ferrari Carlo Formato Giovanni Frasca Aldo Frasca Beatrice Eguaras Martin Gallina Albino Gende Liesel Giacomelli Alessandra Gian Luca Obaldi Giorgio Alba Giusti Matteo Granato Anna Grotta Lisa Grygielewicz Monika Marta Iannonu-Kapota Angelica Iavicoli Sergio Ilari Massimo Lavazza Antonio Leo Antonio Loglio Giulio Maggi Matias Manzinello Chiara Marcianò Rita Marinelli Enzo Martini Agnese Mastromattei Antonio Medrzycki Piotr Mengassini Andrea Menguzzato Gino Migliore Giuseppina Milito Marcella Mutinelli Franco Nanetti Antonio Neumann Peter Oliveti Eugenia Panella Francesco Persano Oddo Livia Perugini Monia Piras Battista Porrini Claudio Reitano Maria Eleonora Russo Katia Sabatini Anna Gloria Saccares Stefano Sbardella Daniele Scurria Maria Rosa Signorini Stefano Stocco Nicoletta Tomassetti Francesco Visciano Pierina Volterrani Andrea Vonesch Nicoletta Zanolla Marta - 145 - Finito di stampare nel mese di xxxx 2008 © 2008 Melitense editore srl Via Alfredo Fusco 83/85 - Roma Tel. 06. 35404965 Fax 06. 35346727 Printed in Italy Tipografia CSR Via Pietralata 157 - Roma Tel. 06. 4182113 (r.a.) 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