Analisi dei rischi - Idrogeologico e Sismico
Transcript
Analisi dei rischi - Idrogeologico e Sismico
CORSO Protezione Civile Corso base per volontari di Protezione Civile Organizzato dal Comune di Spoleto in collaborazione con il nucleo di Protezione Civile dell’Associazione Nazionale Carabinieri Spoleto Seminario per la diffusione della cultura della protezione civile Concetti generali di rischio e scenari di rischio. Analisi del rischio idrogeologico. Giovedì 2-3 Febbraio 2017 Dott. Geol. Massimiliano Capitani Rischio idrogeologico In idrologia e ingegneria ambientale con termine rischio il idrogeologico si determina il rischio connesso all'instabilità dei versanti, dovuta a particolari aspetti geologici e geomorfologici di questi, o di corsi fluviali in conseguenza di particolari condizioni ambientali, meteorologiche e climatiche che interessano le acque piovane e il loro ciclo idrologico una volta cadute al suolo, con possibili conseguenze sull'incolumità della popolazione e sulla sicurezza di servizi e attività su un dato territorio. Assieme al rischio sismico e al rischio vulcanico costituisce uno dei maggiori rischi ambientali connessi alle attività umane. Descrizione Tale rischio si manifesta attraverso l'incremento di fenomeni franosi e smottamenti dovuti all'erosione del terreno o esondazioni fluviali in conseguenza di agenti atmosferici quali precipitazioni atmosferiche specie in caso di eventi meteorologici anomali o estremi quali ad esempio alluvioni. Certi tipi di terreno, in special modo quelli argillosi, si inzuppano infatti a tal punto d'acqua che una certa massa di terreno superficiale comincia a smuoversi sotto l'azione del proprio peso al di sopra di una base solida acquistando proprietà viscose tipiche dei fluidi. Il rischio idrogeologico può essere dunque definito come il prodotto tra la probabilità di occorrenza di un evento idrogeologico avverso (alluvione o frana) e i danni ambientali potenziali associati a tale evento su popolazione e infrastrutture. In Italia diverse regioni presentano (Campania, Calabria, Piemonte, Sicilia, Liguria) un alto inteso rischio come idrogeologico prodotto della probabilità di occorrenza di un fenomeno franoso e i danni potenziali oppure versano già in condizioni di dissesto idrogeologico. Sebbene in molti casi si tratti di un fenomeno connesso con la natura del territorio ovvero strettamente dipendente dalla geologia e geomorfologia dei terreni e dei pendii, in molte altre circostanze esso appare come una conseguenza della modificazione del territorio da parte dell'uomo con costruzione di infrastrutture quali strade, ponti, ferrovie, case che vanno spesso ad impattare l'ambiente naturale causando difficile convivenza e scarso adattamento reciproco. In casi ancora più estremi, ma non così rari, si tratta più semplicemente di un'estensione, spesso anche abusiva, del territorio urbanizzato in zone non adatte e sicure a tale scopo. Anche altre azioni umane quali la deforestazione, la destinazione d'uso dei suoli non adeguatamente pianificata e valutata e i cambiamenti climatici intesi come modifica dei regimi precipitativi possono contribuire sensibilmente al fenomeno trasformando in zone a rischio zone che prima non lo erano. Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale Le frane L’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi, con 614.799 frane (area di circa 23.000 km2, pari al 7,5% del territorio nazionale). Tali dati derivano dall’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI) realizzato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome secondo modalità standardizzate e condivise. L’Inventario IFFI è la banca dati sulle frane più completa e di dettaglio esistente in Italia, per la scala della cartografia adottata (1:10.000) e per il numero di parametri ad esse associati (http://www.progettoiffi.isprambiente.it). Un quadro sulla distribuzione delle frane in Italia può essere ricavato dall’indice di franosità, pari al rapporto tra l’area in frana e la superficie totale, calcolato su maglia di lato 1 km. Ogni anno sono qualche centinaia gli eventi principali di frana sul territorio nazionale che causano vittime, feriti, evacuati e danni a edifici, beni culturali e infrastrutture lineari di comunicazione primarie (oltre 300 eventi principali nel 2015, 211 nel 2014, 112 nel 2013, ecc.). Figura: Densità di frane (area in frana/area cella) su maglia di lato 1 km; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Mosaicatura della pericolosità da frana dei Piani di Assetto Idrogeologico L'ISPRA, al fine di ottenere una mappa della pericolosità da frana sull'intero territorio nazionale, nel 2015 ha proceduto alla mosaicatura delle aree a pericolosità dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI), mediante l'armonizzazione delle legende in 5 classi: pericolosità molto elevata P4, elevata P3, media P2, moderata P1 e aree di attenzione AA. I PAI, redatti dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome, hanno definito vincoli e regolamentazioni d’uso del territorio nelle aree a pericolosità da frana e costituiscono quindi uno strumento fondamentale per una corretta pianificazione territoriale. Le aree a pericolosità da frana includono, oltre alle frane già verificatesi, anche le zone di possibile evoluzione dei fenomeni e le zone potenzialmente suscettibili a nuovi fenomeni franosi. La superficie complessiva delle aree a pericolosità da frana PAI e delle aree di attenzione in Italia è pari a 58.275 km2 (19,3% del territorio nazionale). Se prendiamo in considerazione le classi a maggiore pericolosità (elevata P3 e molto elevata P4), assoggettate ai vincoli di utilizzo del territorio più restrittivi, le aree ammontano a 23.929 km2, pari al 7,9% del territorio nazionale (Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Rapporto 2015. ISPRA, Rapporti 233/2015). Figura: Aree a pericolosità da frana PAI; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Le alluvioni Un’alluvione è l’allagamento temporaneo di aree che abitualmente non sono coperte d’acqua. L’inondazione di tali aree può essere provocata da fiumi, torrenti, canali, laghi e, per le zone costiere, dal mare. La Direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (Direttiva Alluvioni o Floods Directive – FD), ha lo scopo di istituire un quadro di riferimento per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni. E' stata attuata in Italia con il D.Lgs. 49/2010. Mosaicatura della pericolosità idraulica L’ISPRA nel 2015 ha realizzato la mosaicatura delle aree a pericolosità idraulica perimetrate dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome ai sensi del D. Lgs. 49/2010. La mosaicatura è stata effettuata per i tre scenari di pericolosità: elevata P3 con tempo di ritorno fra 20 e 50 anni (alluvioni frequenti), media P2 con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni (alluvioni poco frequenti) e bassa P1 (scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi). Le aree a pericolosità idraulica elevata in Italia sono pari a 12.218 km2 (4% del territorio nazionale), le aree a pericolosità media ammontano a 24.411 km2 (8,1%), quelle a pericolosità bassa (scenario massimo atteso) a 32.150 km2 (10,6%) (Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Rapporto 2015. ISPRA, Rapporti 233/2015). Figura: Aree a pericolosità idraulica media P2 (D.Lgs. 49/2010); Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Quadro sinottico pericolosità da frana e idraulica 7.145 comuni italiani, pari all’88,3% del numero totale, sono a rischio frane e alluvioni; di questi 1.640 hanno nel loro territorio solo aree a pericolosità da frana elevata P3 e molto elevata P4 (PAI), 1.607 solo aree a pericolosità idraulica media P2 (D.Lgs. 49/2010), mentre 3.898 hanno nel loro territorio sia aree a pericolosità da frana che idraulica. Sette Regioni (Valle D'Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata) hanno il 100% di comuni a rischio. In termini di superficie, tali aree a pericolosità rappresentano il 15,8% del territorio nazionale (47.747 km2) (Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Rapporto 2015. ISPRA, Rapporti 233/2015). Figura: Numero di comuni e superficie delle aree a pericolosità da frana P3 e P4 e idraulica P2; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Figura: Numero di comuni e superficie delle aree a pericolosità da frana P3 e P4 e idraulica P2; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Indicatori di rischio L’ISPRA ha elaborato tre indicatori nazionali di rischio frane e alluvioni relativi a popolazione, imprese e beni culturali con l’obiettivo di fornire un importante strumento conoscitivo a supporto delle politiche nazionali di mitigazione. La popolazione a rischio frane in Italia residente nelle aree a pericolosità PAI elevata e molto elevata (P3+P4) è risultata pari a 1.224.001 abitanti (2,1% del totale); quella a rischio alluvioni nello scenario di pericolosità idraulica media P2 a 5.922.922 abitanti (10%). Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane sono Campania, Toscana, Liguria ed Emilia-Romagna; quelle con i valori più elevati di popolazione a rischio alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia e Liguria. Le unità locali di imprese a rischio in Italia ubicate nelle aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 79.530 pari all'1,7% del totale, con 207.894 addetti a rischio; quelle a rischio alluvioni nello scenario a pericolosità idraulica media P2 sono 576.535 (12%), con 2.214.763 addetti esposti. I Beni Culturali architettonici, monumentali e archeologici a rischio frane sono 34.651 pari al 18,1% del totale; se consideriamo le classi di pericolosità elevata e molto elevata i Beni Culturali esposti sono 10.335 (5,4%). I Beni culturali a rischio alluvioni sono risultati 40.454 (21,2%) nello scenario di pericolosità bassa P1 (scenario massimo atteso) e 29.005 (15,2%) nello scenario di pericolosità idraulica media P2 (Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Rapporto 2015. ISPRA, Rapporti 233/2015). Figura: Popolazione a rischio frane e Popolazione a rischio alluvioni su base comunale; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Figura: Popolazione a rischio frane e Popolazione a rischio alluvioni su base comunale; Fonte: Rapporto ISPRA, 233/2015 Misure di mitigazione del rischio idrogeologico Per le aree già edificate sono necessari l’insieme di interventi strutturali e non strutturali che vanno dalle opere di ingegneria per il consolidamento dei pendii instabili e la difesa dalle alluvioni, alle delocalizzazioni e alle reti di monitoraggio strumentale che consentono l’attivazione di sistemi di allertamento (es. rete monitoraggio frane Rercomf - ARPA Piemonte, Centro Monitoraggio Geologico di Sondrio - ARPA Lombardia). Per le aree non ancora edificate è fondamentale ubicare in posti sicuri le aree di nuova urbanizzazione con particolare attenzione per gli edifici strategici quali ospedali, scuole, uffici pubblici e attuare una corretta pianificazione territoriale, mediante l’applicazione di vincoli e regolamentazione d’uso del territorio (PAI), che costituisce l'azione più efficace di riduzione del rischio nel medio-lungo termine. Nell’ottica della mitigazione del dissesto idrogeologico, oltre alla realizzazione degli interventi strutturali, risulta strategica l’attività conoscitiva a scala nazionale, anche secondo quanto stabilito dagli artt. 55 e 60 del Dlgs. 152/2006. Figura: Schema delle misure strutturali e non strutturali per la mitigazione del rischio da frana; Fonte: ISPRA Descrizione del rischio meteo-idrogeologico e idraulico Il rischio meteorologico Le condizioni atmosferiche, in tutti i loro aspetti, influenzano profondamente le attività umane; in alcuni casi i fenomeni atmosferici assumono carattere di particolare intensità e sono in grado di costituire un pericolo, cui si associa il rischio di danni anche gravi a cose o persone. Si parla allora, genericamente, di “condizioni meteorologiche avverse”. È importante distinguere i rischi dovuti direttamente ai fenomeni meteorologici da quelli derivanti, invece, dall’interazione degli eventi atmosferici con altri aspetti che caratterizzano il territorio o le attività umane. Questi rischi vengono quindi trattati dalle specifiche discipline scientifiche che studiano quei particolari aspetti soggetti all’impatto delle condizioni meteorologiche. A titolo esemplificativo piogge molto forti o abbondanti, combinandosi con le particolari condizioni che caratterizzano un territorio, possono contribuire a provocare una frana o un’alluvione. In questo caso si parla di rischio idrogeologico o idraulico. Mentre condizioni di elevate temperature, bassa umidità dell’aria e forti venti, combinate con le caratteristiche della vegetazione e del suolo, possono favorire il propagarsi degli incendi nelle aree forestali o rurali determinando il rischio incendi. Al contempo condizioni di temperature molto alte (in estate) o molto basse (in inverno), combinate con particolari valori dell’umidità dell’aria e dell’intensità dei venti, possono costituire un pericolo per la salute delle persone, specie per le categorie che soffrono di particolari patologie. In questo caso si tratta di rischio sanitario, rispettivamente per ondate di calore o per freddo intenso. Infine nevicate abbondanti in montagna, seguite da particolari condizioni di temperatura e/o venti a quote elevate, in determinate situazioni di morfologia del terreno e di esposizione dei pendii possono dar luogo al movimento di grandi masse di neve - valanghe - che scendono più o meno rapidamente verso valle, col rischio di travolgere persone o interessare strade ed abitazioni. Altri rischi connessi agli eventi atmosferici, invece, derivano dal verificarsi di fenomeni meteorologici in grado di provocare direttamente un danno a cose o persone. In particolare, i fenomeni a cui prestare maggiore attenzione sono: temporali, venti e mareggiate, nebbia e neve/gelate. Il rischio idrogeologico e idraulico L’idrogeologia è la disciplina delle scienze geologiche che studia le acque sotterranee, anche in rapporto alle acque superficiali. Nell’accezione comune, il termine dissesto idrogeologico viene invece usato per definire i fenomeni e i danni reali o potenziali causati dalle acque in generale, siano esse superficiali, in forma liquida o solida, o sotterranee. Le manifestazioni più tipiche di fenomeni idrogeologici sono frane, alluvioni, erosioni costiere, subsidenze e valanghe. Nel sistema di allertamento il rischio è differenziato e definito come: Il rischio idrogeologico, che corrisponde agli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli pluviometrici critici lungo i versanti, dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua della la rete idrografica minore e di smaltimento delle acque piovane. Il rischio idraulico, che corrisponde agli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli idrometrici critici (possibili eventi alluvionali) lungo i corsi d’acqua principali. In Italia il dissesto idrogeologico è diffuso in modo capillare e rappresenta un problema di notevole importanza. Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio ai dissesti idrogeologici, rientra la sua conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia (distribuzione dei rilievi) complessa e bacini idrografici generalmente di piccole dimensioni, che sono quindi caratterizzati da tempi di risposta alle precipitazioni estremamente rapidi. Il tempo che intercorre tra l’inizio della pioggia e il manifestarsi della piena nel corso d’acqua può essere dunque molto breve. Eventi meteorologici localizzati e intensi combinati con queste caratteristiche del territorio possono dare luogo dunque a fenomeni violenti caratterizzati da cinematiche anche molto rapide (colate di fango e flash floods). Il rischio idrogeologico è inoltre fortemente condizionato anche dall’azione dell’uomo. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano e aumentato l’esposizione ai fenomeni e quindi il rischio stesso. La frequenza di episodi di dissesto idrogeologico, che hanno spesso causato la perdita di vite umane e ingenti danni ai beni, impongono una politica di previsione e prevenzione non più incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze, ma sull’individuazione delle condizioni di rischio e sull’adozione di interventi per la sua riduzione. Provvedimenti normativi hanno imposto la perimetrazione delle aree a rischio, e si è sviluppato inoltre un sistema di allertamento e sorveglianza dei fenomeni che, assieme a un’adeguata pianificazione comunale di protezione civile rappresenta una risorsa fondamentale per la mitigazione del rischio, dove non si possa intervenire con misure strutturali Alluvioni Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e si verificano quando le acque di un fiume non vengono contenute dalle sponde e si riversano nella zona circostante arrecando danni a edifici, insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole. Le alluvioni più importanti che hanno interessato l’Italia e che hanno comportato un pesante bilancio sia in termini di perdita di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951), dell’Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000). Tuttavia in Italia sono frequenti alluvioni che si verificano in bacini idrografici di piccole dimensioni a causa di precipitazioni intense e localizzate che sono difficili da prevedere. Tali bacini, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo delle piene dell’ordine di qualche ora che determinano alluvioni di elevata pericolosità che spesso provocano vittime, danni all’ambiente e possono compromettere gravemente lo sviluppo economico delle aree colpite. Le alluvioni sono fenomeni naturali, tuttavia tra le cause dell’aumento della frequenza delle alluvioni ci sono senza dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce verso i fiumi. La mancata pulizia di questi ultimi e la presenza di detriti o di vegetazione che rendono meno agevole l’ordinario deflusso dell’acqua sono un’altra causa importante. È possibile ridurre i rischi di conseguenze negative derivanti dalle alluvioni sia attraverso interventi strutturali quali argini, invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, sia attraverso interventi non strutturali, come quelli per la gestione del territorio o la gestione delle emergenze: in quest'ultimo caso, sono fondamentali la predisposizione del sistema di allertamento, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un efficiente sistema di coordinamento delle attività previste nei piani stessi. In particolare, un efficiente sistema di allertamento basato su modelli di previsione collegati ad una rete di monitoraggio è fondamentale per allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile e ridurre l’esposizione delle persone agli eventi nonché limitare i danni al territorio attraverso l’attuazione di misure di prevenzione in tempo reale. Tra queste si ricordano le attività del presidio territoriale idraulico e la regolazione dei deflussi degli invasi presenti nel bacino per laminare la piena. Frane Per frana si intende il “movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante”. Le cause che predispongono e determinano questi processi di destabilizzazione sono molteplici, complesse e spesso combinate tra loro. Oltre alla quantità d’acqua, oppure di neve caduta, anche il disboscamento e gli incendi sono causa di frane: nei pendii boscati, infatti, le radici degli alberi consolidano il terreno e assorbono l’acqua in eccesso. I territori alpini ed appenninici del Paese, ma anche quelli costieri, sono generalmente esposti a rischio di movimenti franosi, a causa della natura delle rocce e della pendenza, che possono conferire al versante una certa instabilità. Inoltre, le caratteristiche climatiche e la distribuzione annuale delle precipitazioni contribuiscono ad aumentare la vulnerabilità del territorio. Anche l’azione dell’uomo sul territorio può provocare eventi franosi. L’intensa trasformazione dei territori operata dalle attività umane spesso senza criterio e rispetto dell’ambiente (costruzione di edifici o strade ai piedi di un pendio o a mezza costa, di piste da sci, ecc.) può causare un cedimento del terreno. Le frane presentano condizioni di pericolosità diverse a seconda della massa e della velocità del corpo di frana: esistono, infatti, dissesti franosi a bassa pericolosità poiché sono caratterizzati da una massa ridotta e da velocità costante e ridotta su lunghi periodi; altri dissesti, invece, presentano una pericolosità più alta poiché aumentano repentinamente di velocità e sono caratterizzati da una massa cospicua. Ai fini della prevenzione, un problema di non semplice risoluzione è quello di definire i precursori e le soglie, intese sia come quantità di pioggia in grado di innescare il movimento franoso che come spostamenti/deformazioni del terreno, superati i quali si potrebbe avere il collasso delle masse instabili. Per un'efficace difesa dalle frane possono essere realizzati interventi non strutturali, quali norme di salvaguardia sulle aree a rischio, sistemi di monitoraggio e piani di emergenza e interventi strutturali, come muri di sostegno, ancoraggi, micropali, iniezioni di cemento, reti paramassi, strati di spritz-beton, etc.. Schede Tecniche Tipi di frane Le frane si differenziano tra loro a seconda dei fattori di volta in volta considerati: • tipo e cause del movimento; • durata e ripetitività del movimento; • tipo e proprietà meccaniche del materiale interessato; • caratteristiche e preesistenza o meno della superficie di distacco o di scorrimento. Frane di crollo Sono frane molto diffuse. Il termine si riferisce ad una massa di terreno o di roccia che si stacca da un versante molto acclive o aggettante e che si muove per caduta libera con rotolamenti e/o rimbalzi. Tipico delle frane di crollo è il movimento estremamente rapido. Scorrimenti Sono movimenti del terreno caratterizzati da deformazione di taglio e spostamento lungo una o più superfici di rottura localizzate a diversa profondità nel terreno. La massa dislocata si muove lungo questa superficie che rappresenta quindi il limite tra la zona che è instabile e quella che invece è stabile. A seconda della morfologia della superficie di separazione, si possono distinguere due tipi di scorrimenti: rotazionali (superficie curva) o traslazionali (superficie piana o leggermente ondulata). Colamenti In questo caso si ha una deformazione continua nello spazio di materiali lapidei e sciolti; il movimento, cioè, non avviene sulla superficie di separazione fra massa in frana e materiale in posto, ma è distribuito in modo continuo anche nel corpo di frana. I colamenti coinvolgono sia materiali rocciosi o detritici, che sciolti, ed in questo caso l’aspetto del corpo di frana è chiaramente quello di un materiale che si è mosso come un fluido. Questi ultimi tipi di colamenti sono molto rapidi; si parla, infatti, anche di colate rapide di fango, come ad esempio nel caso della tragedia di Sarno del 1998, durante la quale si è avuta la morte di 160 persone. Rischio Idrogeologico: definizione e situazione in Italia image: https://www.ideegreen.it/wp-content/uploads/2016/05/rischio-idrogeologico-4.jpg Rischio idrogeologico: assieme a quello sismico e a quello vulcanico, è da ritenersi uno dei maggiori rischi ambientali connessi alle attività umane. Dal nome, che richiama l’acqua, potrebbe far meno paura, e invece abbiamo tutte le ragioni per stare in guardia da questa categoria. Lo vedremo dai numeri aggiornati, grazie a report di Legambiente, e tornando con la mente a numerosi episodi a cui abbiamo assistito, in Italia e nel mondo. Rischio Idrogeologico: definizione Il rischio idrogeologico si traduce nella pratica nell’aumento di frane e smottamenti causati dall’erosione del terreno o da esondazioni, eventi che solitamente ci aspettiamo quando si verificano condizioni meteorologiche anomali o estrembe. Una alluvione, ad esempio. Piogge a non finire, magari dopo un lungo periodo senza che sia caduta una goccia dal cielo. Più tecnicamente, quasi matematicamente parlando, il rischio idrogeologico viene definito come il prodotto tra la probabilità che accada un evento idrogeologico come una alluvione o una frana, quindi definito “avverso”, e i danni ambientali potenziali su popolazione e infrastrutture che possono derivare da questo evento. Ci sono tanti esempi di rischio idrogeologico, purtroppo. Può essere ad esempio il rischio derivante da versanti instabili per motivi geologici e geomorfologici. Oppure possono essere i fiumi e i corsi d’acqua in generale a dar vita al rischio idrogeologico quando “reagiscono male” a piogge esagerate. Negli ultimi anni abbiamo l’imbarazzo della scelta per entrambi i casi che ho citato, basta fare mente locale e fiumi che esondano e tratti di montagne che franano hanno “fatto titolo” sui quotidiani con tanto di danni a noi, alle nostre case, a tutte le attività produttive che si erano instaurate in un territorio a rischio idrogeologico. Consapevoli o meno, quando accade, la catastrofe, accade, e solitamente è democratica, o per lo meno, causale, nello scegliere le proprie vittime. Fatto è che se continuiamo a creare le condizioni per aumentare il rischio idrogeologico sul nostro territorio, popolazione -cioè noi – servizi e attività saranno sempre più minacciate da eventi magari imprevedibili, calendario alla mano, ma certamente evitabili. Magari non con certezza, evitabili, ma possiamo impegnarci perché siano sempre meno probabili. Potremmo, potremo, perché per ora, sembra che il nostro Paese ami giocare “col fuoco” in tal senso. Detta così, sembra una contraddizione, dato che di rischio idrogeologico si tratta, ma i dati che seguono mi danno ragione. Rischio idrogeologico in Italia L’Italia nel 2015 ha pagato caro il suo continuo esporsi al rischio idrogeologico, ne possiamo infatti vedere gli effetti disastrosi nei numeri, indiscutibili, che Legambiente riporta nel suo rapporto “Ecosistema a rischio” recentemente presentato. C’è da tremare, anche se non si tratta di rischio sismico. Ad eventi che ci sono piombati addosso dal cielo, quali grandi piogge e meteo avverso, si sono sommate altre cause su cui abbiamo grande spazio di manovra. La quasi assenza di azioni da parte delle amministrazioni pubbliche, come spiega Legambiente, ma anche la mancanza di fondi dedicati a contrastare il rischio idrogeologico, un problema che l’Italia sembra a volte non voler vedere. Infatti politiche lungimiranti, in tal senso… non pervenute. Tolte virtuose eccezioni estremamente confinate che non saltano agli occhi nei grandi numeri. Nel 2015 eventi disastrosi legati al rischio idrogeologico hanno causato 18 morti, 1 disperso e 25 feriti, ma non solo. Vive e vegete, ma sono state ben 3.694 le persone evacuate o che sono rimaste senza una casa e con tutto “spazzato via” da frane o alluvioni. Da Nord a Sud, a pagare le conseguenze del nostro esporci imprudente al rischio idrogeologico sono stati 56 province, 115 comuni e 133 località. Il 2015 è finito, i conti sono chiusi, ma oggi giorno, ogni giorno, mentre stiamo leggendo queste righe, scorrendo numeri che spesso non hanno la potenza di comunicare la drammaticità della situazione, ci sono ben 7 milioni di persone che sul suolo italiano sono in pericolo a causa del rischio idrogeologico che aleggia. Frane o alluvioni in agguato e, conciato come è in molte zone il nostro territorio, è un attimo il trovarsi a conteggiare vite perse e danni irreparabili. Nel 2016 cosa possiamo aspettarci? E’ lecito chiederselo, giunti quasi a metà anno, e giusto sperare che il 2015 così triste possa averci insegnato qualcosa. Chi spera, mi trova d’accordo e anche i dati al momento avvalorano questa visione ottimistica. Infatti l’80% dei comuni intervistati da Legambiente risulta aver redatto piani urbanistici che hanno recepito le perimetrazione delle zone esposte a maggiore pericolo. Questo non toglie che ci siano ancora zone dove il costruir selvaggio fa aumentare il rischio idrogeologico a cui siamo sottoposti, noi. Zone a rischio idrogeologico In Italia non sono poche e non sono poco note le aree ad alto rischio idrogeologico. Campania, Calabria, Piemonte, Sicilia, Liguria sono quelle che risultano più colpite da fenomeno legati a questo rischio. Per varie ragioni, non c’è una regola, purtroppo, ma una serie di concause, connesse tra loro in modo complicato, ma vale la pena ed è doveroso cercare di indagare almeno in parte i meccanismi che trasformano il rischio idrogeologico, una probabilità, in brutte certezze. A volte alla base c’è la natura del territorio, quindi il rischio idrogeologico risulta strettamente dipendente dalla geologia e geomorfologia dei terreni e dei pendii. Penso alla Liguria, ma non è affatto un caso unico. In molte altre zone però, c’è lo zampino dell’uomo. Eccome se c’è e, più che zampino, ci sono la gru e il mattone messi dall’uomo che, con tutto il suo impegno, sentendosi coscientemente immune dal rischio idrogeologico, ha costruito strade, ponti, ferrovie, case andando a modificare il territorio. Che c’è di male? C’è che in alcuni casi, il nostro intervento ha fatto schizzare alle stelle il rischio idrogeologico rendendo pericolose aree che da sempre non mostravano problemi di sorta anche con alluvioni in atto. Non sono solo le infrastrutture fuori luogo o mal inserite nel territorio renderci responsabili di molte delle vittime del rischio idrogeologico, siamo coinvolti anche per la deforestazione e ogni volta che cambiamo la destinazione d’uso di un terreno senza pianificare bene né valutare la correlazione con fenomeni meteorologici avversi. Possiamo anche accusare il clima “matto”, e raccontare che ci sono fenomeni anomali, sbandierare titoli di giornale che parlano del mese più piovo da sempre, dell’estate più calda degli ultimi tot anni, e così via. Fatto sta che, nella realtà dei fatti, noi siamo tra i peggiori nemici di noi stessi, in merito al rischio idrogeologico. Rischio idrogeologico: mappa Ben compreso che si può e si deve fare di più per limitare il rischio idrogeologico in Italia, ma che esistono elementi che lo rendono alto e che non possiamo controllare, ecco una utile mappa. Al di là delle responsabilità umane e non, ciò che poi è all’origine delle vittime e dei danni, è il mix di tutti i fattori. image: https://www.ideegreen.it/wp-content/uploads/2016/05/mappa-dissesto- idrogeologico.jpg Fattori che producono una situazione migliorabile. Chi non si accontenta di osservare la mappa e desidera approfondire può navigare in tutta sicurezza nel sito del CNR dedicato al rischio idrogeologico in Italia, disponibile a tutti all’indirizzo: http://webmap.irpi.cnr.it . Rischio sismico in Italia: mappa Sito per mappa interattiva Rischio sismico in Italia: mappa - Idee Green www.ideegreen.it › Informazione › Notizie ed Eventi Rischio sismico in Italia: la mappa interattiva dell'Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (INGV) e altre utili informazioni sui terremoti. image: https://www.ideegreen.it/wp-content/uploads/2016/08/rischio-sismico-initalia-mappa.jpg Il rischio sismico in Italia è purtroppo elevato su un’ampia porzione del nostro territorio. Ma diminuire il rischio di crolli è possibile, costruendo nel rispetto delle leggi e avvalendosi delle moderne tecnologie antisismiche. Rischio sismico: che cosa significa Il rischio sismico è definito come la probabilità che in un determinato territorio e all’interno di un certo lasso di tempo si manifestino eventi sismici di entità uguale o superiore a un livello medio. In Italia, l’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia (INGV), costituito nel 1999, ha l’incarico di raccogliere il un unico polo di eccellenza le principali realtà scientifiche nazionali nei settori della geofisica e della vulcanologia e in particolare le risorse di cinque istituti operanti nell’ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: 1. l’Istituto Nazionale di Geofisica; 2. l’Osservatorio Vesuviano; 3. l’Istituto Internazionale di Vulcanologia; 4. l’Istituto di Geochimica dei Fluidi; 5. l’Istituto per la Ricerca sul Rischio Sismico. L’INGV ha la missione di monitorare i fenomeni geofisici del nostro territorio nazionale, raccogliendo i dati forniti da una rete di strumentazione estremamente avanzata che confluiscono nelle sale operative di Roma, Napoli e Catania dove esperti e ricercatori specializzati, presenti 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, li analizzano e valutano possibili rischi. Rischio sismico in Italia: la mappa interattiva dell’INGV Nel 2004 l’INGV ha elaborato una mappa della pericolosità sismica che mostra il rischio associato alle varie zone del territorio italiano, evidenziandole con colori diversi. Il colore grigio chiaro indica zone con rischio moderato, il colore viola indica zone con rischio elevato. Il rischio cresce passando dal grigio all’azzurro, al blu, al verde, al giallo, all’arancione, al rosso fino ad arrivare al viola. I valori che definiscono le diverse fasce di rischio sismico si riferiscono all’accelerazione massima attesa su suolo rigido rispetto all’accelerazione di gravità (g) con una probabilità di superamento di questo valore del 10% in 50 anni. Per una visione migliore di singole zone potete visualizzare la mappa a schermo intero in una nuova finestra del vostro browser cliccando su questo link. Dalla mappa è così possibile capire che la regione con il più basso rischio di eventi sismici è la Sardegna mentre i rischi più elevati sono attesi in Calabria, Sicilia sud-orientale, Friuli-Venezia Giulia e lungo tutto l’Appennino centro- meridionale, con accelerazioni del suolo superiori a 0.225 g. Un rischio medio è invece associato alla Penisola Salentina, alla costa tirrenica tra Toscana e Lazio, in Liguria, nella parte centro-orientale della Pianura Padana e lungo l’intero arco delle Alpi. Mappa pericolosità sismica dell’INGV: come è stata realizzata La mappa della pericolosità sismica del territorio italiano è stata realizzata ponderando e aggregando diversi dati partendo dall’analisi dei terremoti del passato, considerando le informazioni geologiche disponibili e interpretando in base alle attuali conoscenze scientifiche la modalità con cui le onde sismiche si propagano dall’ipocentro di un terremoto all’area circostante. Dal confronto di questi dati si determinano i valori di scuotimento del terreno in un dato luogo provocati da un terremoto, espressi in termini di accelerazione massima orizzontale del suolo rispetto all’accelerazione di gravità (g). Costruire con criteri antisismici: il modo più efficace per limitare i danni del terremoto Le moderne tecniche di costruzione consentono di creare edifici capaci di resistere a scosse sismiche di elevata entità: costruire rispettando i più rigidi criteri antisismici comporta però costi maggiori e nel caso del nostro Paese implicherebbe dover abbattere un elevato numero di edifici di elevato valore storico e architettonico creati nel passato quando le moderne tecnologie non erano ancora disponibili. Trasformare gli edifici già esistenti nel nostro paese per renderli resistenti ai terremoti non è quindi per nulla semplice ma allo stesso modo deve diventare un obbligo irrinunciabile che tutte le nuove costruzioni si avvalgano delle tecnologie più moderne per ridurre drasticamente il rischio sismico. Uno degli Stati più avanzati nell’applicazione dei criteri antisismici negli edifici è il Giappone, proprio per l’elevatissimo rischio sismico a cui è soggetto. Altra area della terra ad elevato rischio sismico è la California e per maggior precisione tutto il territorio situato in corrispondenza della faglia di Sant’Andrea che ha dato spunto anche per realizzare film del genere “apocalittico” in cui un terremoto di elevata magnitudine provoca un maremoto con onde gigantesche e devastanti. Rischio sismico associato a maremoto o tsunami Il rischio sismico nelle varie zone del mondo dovrebbe anche considerare le conseguenze di un maremoto (tsunami) generato da un terremoto con epicentro al largo della costa, come quelli avvenuti in Indonesia e Thailandia nel 2004 o come quello avvenuto più recentemente in Giappone, nel 2011, che ha determinato a sua volta un rischio nucleare, avendo lo tsunami colpito il reattore nucleare presente a Fukushima. Gli tsunami sono più probabili sulle coste affacciate su oceani e in particolare sulle coste dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico perché l’onda generata al largo dal terremoto si può propagare e potenziare percorrendo svariate centinaia o addirittura migliaia di chilometri. Il rischio maremoto è però presente anche per le coste del Mediterraneo: l’ultimo maremoto si è registrato il 28 dicembre 1908 ed è stato generato dal devastante terremoto con epicentro nello stretto di Messina, con magnitudo 7.2. Ancor più devastante secondo gli studiosi è stato il maremoto verificatosi il 21 luglio del 365 d.C. a seguito del terremoto con magnitudo 8.5 ed epicentro nei pressi dell’isola di Creta: onde gigantesche colpirono le coste di Italia, Grecia ed Egitto causando migliaia di morti. I ricercatori sono quindi impegnati anche nell’analisi di dati per valutare il rischio associato a un possibile maremoto, così da provare a mettere in campo misure preventive. Prevedere i terremoti è possibile? La risposta dell’INGV e dei sismologi di tutto il mondo è piuttosto netta: NO, a oggi, con le attuali conoscenze non è possibile prevedere con certezza quando e dove si potrà verificare un terremoto. La stessa INGV identifica però “possibili segnali anticipatori”, definiti “precursori sismici” come la variazione inconsueta della velocità delle onde sismiche, la variazioni nel contenuto di gas radon nelle acque di pozzi profondi, i mutamenti nel livello delle acque di fiumi e di laghi e i movimenti crostali. Purtroppo questi “precursori” non sono però, a oggi, in grado di fornirci informazioni affidabili e precise tali da poter lanciare un allarme o un evacuazione preventiva. La scienza deve ancora fare progressi nella sismologia. Oggi l’unico modo di “limitare danni e lutti” resta quello di prevenire, costruendo edifici che rispettino i più rigidi criteri antisismici utilizzando le tecnologie più moderne, soprattutto nelle zone più a rischio che mappe come quella realizzata dall’INGV sono capaci di identificare. Da Sarno ad oggi: l'Italia è a rischio frane. L'intervista Mercoledí 04.05.2011 12:00 Sarno, Giampilieri, Reggio Calabria. E ancora Massa Carrara e Vicenza. L’Italia è vittima di frane, alluvioni, disastri ambientali. Negli ultimi 60 anni si sono contate 3.362 vittime, una media di 61 decessi all'anno, per frane , esondazioni di torrenti, colate di fango e di detriti, senza contare la tragedia del Vajont del 1963 che, da sola, ha ucciso 1.910 persone. L'evento più funesto dalla metà del secolo scorso è stata l'alluvione di Salerno che, nel 1954, ha tolto la vita a 318 persone. Secondo l'annuario Ispra, a partire dal 1950, quasi ogni anno si sono dovuti registrare decessi provocati da dissesti idrogeologici, per un totale di 1.475 vittime. DA SCALETTA ZANCLEA A MAIERATO: L'ITALIA FRANA- Sono 17 mila gli smottamenti che negli ultimi 80 anni hanno devastato il nostro paese, coinvolgendo più di 100 mila persone negli ultimi 20 anni. Ingenti i danni stimati dai crolli e gli smottamenti dei territori pari a oltre 25 miliardi di euro con l'80% dei comuni del nostro paese in cui si registra un'area a rischio elevato o molto elevato di frane o di alluvioni. Secondo gli ultimi dati diffusi dai geologi italiani, solo negli ultimi tempi in Italia la terra ha franato in Sicilia a Scaletta Zanclea, Giampilieri e Caronia, in Calabria colpendo la località di Maierato in maniera devastante ma con crolli e smottamenti in più di 200 aree della regione. Ma non solo. Dall'alluvione del Serchio in provincia di Pisa alle frane di Ischia, Atrani e poi anche di Montaguto, in Campania, il rischio idrogeologico, sottolineano gli scienziati, incombe come una spada di Damocle in ogni angolo del nostro Paese. SPESI 52 MILIARDI DI EURO- Senza contare che riparare i danni provocati da frane e alluvioni è costato al nostro Paese, negli ultimi 58 anni, più che mettere in sicurezza il territorio. Il nostro Paese ha infatti speso oltre 52 miliardi di euro, una media di 1 miliardi l'anno dal 1951 al 2010 per riparare i danni provocati da frane o alluvioni. Fondi che, in particolare, solo negli ultimi 40 anni, sono ammontati a 30 miliardi di euro, con una media di 750 milioni euro l'anno, e negli ultimi 20 anni a 22 miliardi di euro, con una media di 1,1 miliardi l'anno. Ma perché in Italia si subisce passivamente il fenomeno con interventi di tipo emergenziale invece di prevenire e mettere in sicurezza in territorio? " Perché la percezione del rischio non è mai esistita. E quindi ogni volta che qualcosa succede sembra che per la prima volta in Italia ci sia un problema. Solo quando la tragedia è a casa mia mi accorgo della sua esistenza. E questo ritardo culturale è frutto di una politica dissennata che vede nell'ambiente un fatto marginale invece nella ricostruzione edilizia un fatto importante. Basti pensare che si sta di nuovo parlando di piano casa. Tutto perché le istituzioni politiche pensano che le risorse economiche del paese si attingano da lì mentre invece significa altro consumo di suolo. Evidentemente non abbiamo ancora sviluppato l'idea che il rischio esista realmente”. Parola di Gian Vito Graziano, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, che ad Affaritaliani.it spiega la difficile situazione idrogeologica che dal disastro di Sarno, 13 anni fa, ad oggi ha colpito l’Italia. Sarno, Giampilieri, Massa Carrara, quante altre tragedie dovremmo ancora aspettarci in Italia?“ Purtroppo dobbiamo aspettarcene ancora molte, sia dovute al cambiamento di clima che di fatto c'è stato, e soprattutto per via dell'uso sproporzionato del suolo e dell’assenza di una politica di prevenzione che porta sempre di più ad avere i centri abitati esposti al rischio…” Questo vuol dire che tutto il Paese è a rischio? Insomma siamo tutti in pericolo? “Esattamente. C'è una grandissima fetta del territorio a rischio. Moltissimi comuni hanno una o più aree a rischio. Il pericolo è alto. Basta considerare che dopo Sarno vennero attuati i piani di assetto idrogeologico in tutta Italia. Ma si trattava solo di una norma di pianificazione, un regime vincolistico messo sui piani regolatori. Da quel momento in poi state fatte solo leggi sull'onda dell'emozione ma mai una legge organica di governo del territorio. Questo vuol dire che nella prossima tragedia saremo costretti a contare anche i danni, e speriamo solo quelli…” Ma quali sono le aree più a rischio del territorio? “Dalla Valle d'Aosta con il 100% dei comuni a rischio, fino alla Sicilia, tutta l’Italia è in pericolo. Nell’elenco ci sono anche Calabria e Marche, poi Lombardia e Toscana. Ma ad esempio la Sicilia che ha un urbanizzazione più selvaggia e con fenomeni di abusivismo più dilaganti è più esposta. Una cosa è certa: tutto il Paese è in pericolo”. Ma quanto costa concretamente allo stato dopo una catastrofe dichiarare lo stato di emergenza? “In termini di recupero e di ricostruzione costa almeno dieci volte quello che costa prevenire. Ad esempio un dato eclatante è quello di Giampilieri. Sei ore di pioggia incessante hanno portato un danno, senza contare la perdita di persone, di 550 milioni di euro. Si sono innescate in quelle sei ore 500 nuove frane che hanno colpito Messina. E se il dato si rapporta a tutta Italia si capisce l'entità del disastro”. E invece quanto costerebbe allo Stato prevenire le catastrofi? "Al massimo 44 miliardi di euro. È la somma di cui l'Italia avrebbe bisogno per risistemare torrenti e rogge, pendii e canali di tutta Italia. Una cifra importante, ma non impossibile per un Paese come il nostro. Una somma che salverebbe migliaia di vite umane. E invece l’Italia preferisce investire altrove: grandi opere, ponti e autostrade. Però c 'è bisogno di un piano d'azione e di stanziamento dei fondi per sistemare quanto meno le zone più a rischio". Ma quali sono le cause che conducono alle tragedie? "Sicuramente l'abusivismo è una di queste. In Italia è già difficile costruire in sicurezza visto i piani regolatori obsoleti esistenti sul territorio. Figuriamoci quando si costruisce senza alcun tipo di paletto e di riferimento normativo. Non è solo quello però. E' vero anche che su tutto il territorio le tematiche dell'ambiente sono state abbandonate in virtù dello sviluppo economico e quindi si è usato il suolo non come una ricchezza ma come qualcosa da poter sfruttare. E ora ne paghiamo le conseguenze". E sul piano legislativo cosa si può fare per prevenire questi disastri territoriali? "Sicuramente l’idea della proposta di legge parlamentare presentata al senato è ottima. Ma non basta. Dopo Sarno nel nostro paese si è fatto veramente poco. Dal disastro di Sarno si è abbandonata la legge 183 organica di difesa del suolo e si è passati a decreti attuativi che impongono alle regioni di fare dei piani stralci di bacino. Questa è stata una grande novità, ma ci vollero 163 morti. Dopodiche da quella foto dei rischi non si è fatto altro. Non è stata messa in campo nessun altra campagna di prevenzione. Fino ad oggi. Ora in Senato verrà presentato una proposta di alcuni parlamentari che in qualche modo vuole mettere un po' ordine alla filiera dei provvedimenti che riguarda il dissesto idrogeologico. Lo Stato è alla ricerca del modo in cui operare, attraverso una legge di riordino di competenze sia in fase emergenziale che in fase di prevenzione. Per noi questo decreto è estremamente interessante perché è un tentativo di far applicare alcuni passaggi normativi, che di fatto esistono, ma che sono diluiti in una serie di leggi mentre invece ci vuole un piano concreto che vada dall'assetto idrogeologico fino alla verifica in campo e le procedure che riguardano la protezione civile. Quindi serve un'unica norma. Cosa che grazie al Senatore Andria è stata proposta". Ma oggi, se non si troveranno alternative per gli interventi, un’altra Sarno è possibile? "Adesso come adesso purtroppo si". RISCHIO IDROGEOLOGICO – GLI ORDINI PROFESSIONALI SCENDONO IN CAMPO "Occorre ottimizzare la spesa dello stato: dall'emergenza alla prevenzione" 28 ottobre 2013 - Legambiente, Coldiretti, Anci, Consiglio nazionale dei geologi, Consiglio nazionale degli architetti, Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali, Consiglio nazionale degli ingegneri, Consiglio nazionale dei geometri, Inu, Ance, Anbi, WWF, Touring Club Italiano, Slow Food Italia, Cirf, Aipin, Sigea, Aiab, Tavolo nazionale dei contratti di fiume Ag21 Italy, Federparchi, Gruppo183, Arcicaccia, Società dei territorialisti, Alta scuola. Sono queste le numerose associazioni ambientaliste e di categoria che, insieme a ordini professionali ed enti locali, hanno firmato una nota congiunta per chiedere un “cambio di rotta” nella politica sulla mitigazione del rischio idrogeologico. I primi giorni dell’autunno hanno drammaticamente riportato all’attualità il problema del rischio idrogeologico. Liguria, Toscana, Puglia, Sicilia sono le prime regioni che hanno dovuto fare i conti con il problema delle forti piogge e le conseguenti frane o esondazioni di torrenti e fiumi. La difesa del suolo e le politiche di prevenzione del rischio sono ormai urgenti, come ricordato anche nelle recenti risoluzioni approvate alla Camera e al Senato. Nuovi fondi per la prevenzione però non arrivano nemmeno quest’anno, o ne arrivano troppo pochi. La legge di stabilità varata dal Governo infatti sblocca 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli Accordi di programma fatti con le Regioni per far fronte alla somma urgenza e ne stanzia di nuovi solo 180 milioni in tre anni così divisi: 30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016. Risorse assolutamente insufficienti e soprattutto che non vengono destinate a mettere in campo quell’azione necessaria e integrata di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologica quanto mai necessaria. “Dopo anni di risorse virtuali e di finanziamenti erogati sulla base di schemi emergenziali, occorreva quest’anno dare impulso ad investimenti veri, duraturi, di buona finanza ma soprattutto di buona prevenzione. Ma così non è stato. Il debito pubblico e lo spread non possono rappresentare le motivazioni per non intervenire in questo settore, per il quale è necessario trovare meccanismi finanziari adeguati. Serve una scelta politica forte, convinti che l’attuazione di tutto questo non solo produrrà un beneficio in termini di sicurezza, ma anche come rilancio occupazionale ed economico dei territori”. “Infatti, occorre attivare programmi di manutenzione ordinaria, controllo e tutela del territorio e dei fiumi, per attivare i quali è necessario un supporto tecnico qualificato e diffuso localmente, con la possibilità di creare nuova occupazione. Per questo sarà importante inserire gli interventi e le politiche volte alla mitigazione del rischio idrogeologico anche nella futura programmazione dei fondi strutturali comunitari 2014-2020 e soprattutto permettere alle amministrazioni locali di mettere in campo gli interventi necessari, prevedendo opportune deroghe al patto di stabilità in particolare per le Regioni che partecipano al cofinanziamento degli interventi previsti dagli accordi di programma”. Azione questa prioritaria e richiamata a gran voce anche in questi giorni. Infatti le spese di Regioni e Comuni relative alla mitigazione del rischio idrogeologico vanno considerate come veri e propri investimenti, in quanto più efficaci di qualsiasi intervento in emergenza e in grado di prevenire danni per cifre ben superiori a quelle così investite. “Purtroppo si continua a ignorare la necessità di attuare una seria politica di mitigazione del rischio da frane e alluvioni nel nostro Paese, a partire da una seria applicazione delle direttive europee Acqua (2000/60/CE) e rischio alluvionale (2007/60/CE) e dalla mancata istituzione delle Autorità di distretto e di una governance che ragioni a scala di bacino, su cui siamo già in forte ritardo rispetto alle scadenze europee al 2015. Negli ultimi 20 anni per ogni miliardo stanziato in prevenzione ne abbiamo spesi oltre 2,5 per riparare i danni. Il Ministero dell’Ambiente ha quantificato infatti in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali dati a politiche di prevenzione, mentre nello stesso periodo si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni. Un bilancio reso ancora più grave dalle numerose vittime e tragedie che frane e alluvioni hanno causato e continuano a causare sul territorio”. “Le politiche per la mitigazione del rischio idrogeologico non si possono limitare allora all’attuazione di pochi interventi puntuali. Serve un’azione nazionale di difesa del suolo che rilanci la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere strutturali e di somma urgenza e pensando – come richiesto dalle Direttive europee - a un insieme di strumenti e misure che puntino a ridurre il rischio assecondando maggiormente le dinamiche fluviali. Un approccio che superi la logica di emergenza che ha caratterizzato l’azione delle istituzioni in questi ultimi anni.”