CONTAMINAZIONE E SPIRITO DI CORDATA di Emanuele Gallotta

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CONTAMINAZIONE E SPIRITO DI CORDATA di Emanuele Gallotta
CONTAMINAZIONE E SPIRITO DI CORDATA
di Emanuele Gallotta
“[Nella] creazione di Adamo, [Michelangelo] ha figurato Dio…porge la mano destra a uno
Adamo, figurato di bellezza, di attitudine e di dintorni di qualità che è par fatto di nuovo dal sommo
e primo suo creatore più tosto che dal pennello d’uno uomo tale”.
Le celebri parole di Giorgio Vasari non possono non rammentare uno dei più straordinari gesti
immortalati dal pennello di un certo artista di nome Michelangelo: lo sfiorarsi delle dita di Dio e
Adamo nell’atto della creazione di quest’ultimo.
Quest’immagine - a tutti chiaramente nota - può essere considerata un buon incipit per introdurre il
tema della XIII Mostra Internazionale di Architettura, nonostante l’apparente estraneità.
Common Ground - letteralmente terreno comune – implica infatti lo sfiorarsi senza necessariamente
toccarsi, ossia la contaminazione culturale, la condivisione, senza necessariamente la copia. Ma
anche l’idea della collaborazione, della comunione d’intenti, dell’affinità elettiva che sta alla base
dei lavori in team.
Il Common Ground è la storia stessa dell’architettura, che può essere letta e interpretata in termini
di cambiamento, di distacco da esso. E’ in questo fondale comune che si muovono artisti e architetti
nutrendosi di esso per cercare nuove vie innovative.
Basti pensare alle travagliate vicende relative alla ripresa della classicità nel corso del tempo.
Già nell’Alto Medioevo si avvertiva l’esigenza di riprendere stilemi di un passato prossimo nonché
elementi fisici (i cosiddetti elementi di spoliazione) per dare un fondamento e una referenza alla
nuova architettura carolingia. Nella stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento, invece, lo studio
del mondo antico, quale reazione alla maniera di costruire “delli Gotti”, citando Raffaello Sanzio,
assume caratteri di inedita originalità. Si indaga il vecchio per concepire il nuovo. E’ un concetto
intuitivo, esemplificato dal Brunelleschi nella cupola di Santa Maria del Fiore, per la cui
costruzione riprese il magistero dell’architettura romana e di quella gotica, nonché dal Palladio nella
chiesa di San Giorgio Maggiore, dove propone una convincente soluzione all’annosa questione del
raccordamento in facciata delle navate laterali e centrale ispirandosi appunto all’antico. Nel XVIII
secolo, piuttosto, si imita l’arte classica in quanto reputata l’espressione più aulica del
raggiungimento degli ideali di perfezione estetica. Winckelmann, padre del Neoclassicismo,
chiarifica pur sempre che l’atteggiamento dei contemporanei non dev’essere di sterile copia ma di
imitazione, la quale consente di produrre qualcosa di realmente nuovo ma non arbitrario.
Tali esemplificazioni, a ben vedere, giocano sulla dialettica antichità-innovazione ma si impostano
su fondamenti culturali distinti.
Il Common Ground, quale continuità e relazione col contesto, è essenziale per l’operatività degli
architetti. Occorre ritornare alla consapevolezza che essa si inserisce nel flusso della storia, delle
vicende degli uomini e della loro quotidianità. Nel XIX secolo, grazie al letterato inglese John
Ruskin, viene maturato questo concetto e con esso l’esigenza di porre una dimensione storica alle
nuove edificazioni.
Quel filo rosso che congiunge tutte le cose non implica antiquariato, bensì proiezione al futuro,
soprattutto in un momento di stallo del linguaggio dell’architettura, qual è quello che stiamo
vivendo. Non si vuole propagandare affatto un anacronistico ritorno al classico bensì ad un suo
insegnamento ancora attuale: la necessità di dare continuità al tempo ed un fondamento alle cose e
al lavoro. Quella continuità che per l’appunto può essere rappresentata metaforicamente dalle dita di
Adamo e Dio che stanno per congiungersi.
La cultura della condivisione e dell’insieme, rilanciata con vigore dalla Biennale di Chipperfield,
mette in luce quel bisogno di interazioni che sottende al lavoro silenzioso degli architetti. Influssi,
referenti, aspettative condivise distruggono la logica dell’individualismo, dell’originale a tutti i
costi, dell’architettura spettacolo.
Questa considerazione consente di allargare lo sguardo dalla scala architettonica a quella urbana.
La città è il luogo dove il terreno comune si consuma, dove i singoli edifici mettono in secondo
piano la loro identità per farsi partecipi dello spazio pubblico. Come sostiene Renzo Piano,
“l’architetto non fa solo edifici; facendo gli edifici fa la città”.
Come non citare il caso del Palazzo Farnese a Roma? Con la sua panca nel basamento cede una
parte di se stesso alla gente, per divenire collettivo. Partecipa e contribuisce alla vitalità della
piazza. Esempio allo stesso tempo analogo e differente è l’operazione condotta da Mies Van Der
Rohe per la costruzione del Seagram Building a New York. Decidendo di non saturare tutto il lotto,
arretrando quindi il grattacielo, egli ha realizzato una piazza vivace all’interno del denso cuore della
metropoli americana. L’operazione risarcisce assai bene della sua apparente diseconomia.
Minimi interventi, risultati grandiosi. Logiche che dialogano col contesto urbano divenendo
manifestazioni di valori collettivi.
Il futuro è dinanzi ai nostri occhi e alle nostre menti, chiamate a correggere le logiche della
speculazione edilizia che hanno costruito degradate periferie urbane che nulla hanno della qualità
spaziale dei centri storici. La battaglia sarà tanto più vincente quanto più le singole parti sapranno
collaborare insieme.
Dunque, Common Ground non è solo contesto, memoria: è lo spirito della cordata, del lavorare
assieme per ottenere un risultato corale. E’, a ben vedersi, l’atteggiamento del Bauhaus. Ancora una
volta il legame e la continuità, che però in tal caso ha bisogno di cedere il proprio spirito
laboratoriale per uscire fuori e dialogare ma soprattutto educare la società. Se è vero che la città è
specchio della società che la vive, quest’ultima, in nome del suo senso di civiltà, non può
accontentarsi degli autoreferenziati esiti della cattiva architettura bensì pretendere spazi che
sappiano dare dignità alla vita dell’uomo. L’architettura è responsabilità sociale, come coglie il
sopracitato Ruskin nel sostenere che “se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case
sarebbero come dei templi”.
V’è di più: la cultura della condivisione si può configurare come il miglior antidoto alla crisi
economico-sociale della nostra epoca. La carta vincente non è sic et sempliciter il mettere a
disposizione nel lavoro di squadra la propria esperienza, capacità e voglia di fare. E’ piuttosto
l’abilità nel formare assieme modelli di gestione e organizzazione del lavoro all’avanguardia. Lo
dimostra il gruppo Arup, la famosa società che presta in tutto il mondo servizi in ogni campo della
progettazione, specialmente quella strutturale, a livelli qualitativamente strabilianti. L’idea
fondativa della progettazione multidisciplinare, olistica e integrata si è rivelata un successo, così
come il criterio di gestione degli introiti i quali vengono condivisi e distribuiti su base meritocratica,
destinando persino una parte di denaro in beneficienza.
Raccogliendo le fila di tutto il ragionamento e riallacciandoci all’incipit, se lo sfiorarsi delle dita di
Dio e Adamo diventa metafora del bisogno di contaminare e di essere contaminati, è piuttosto lo
slancio vitale del Creatore in direzione del Creato a tradurre in immagine lo spirito della cordata.
A mio avviso, le due chiavi di lettura per la comprensione della XIII Mostra Internazionale di
Architettura.
BIBLIOGRAFIA
1) G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino
a’ tempi nostri, Editore Ducale Lorenzo Torrentino, Firenze,1550
2) R. Sanzio, Lettera a Leone X, 1519
3) R.Bonelli, C. Bozzoni, V. Franchetti Pardo, Storia dell’architettura medievale. L’Occidente
Europeo, Laterza, Bari, 2009
4) R. Wittkower, Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo, Einaudi, Torino, 1964
5) P. Murray, L’Architettura del Rinascimento italiano, Laterza, Bari, 1998
6) M.P. Sette, Il restauro in architettura, Utet, Torino, 2001
7) J. Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, 1848
8) K. Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Milano, 2008
9) A. Rossi, L’architettura della città, Marsilio, Padova, 1966
Michelangelo Buonarroti, La creazione di Adamo, 1511 circa.
Tecnica: affresco. Ubicazione: Cappella Sistina, Musei vaticani, Città del Vaticano.