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L’iniziativa dei cittadini europei. Una nuova primavera per la democrazia europea? di Guido Montani Il Parlamento europeo ha definito l’Unione Europea (UE) una “democrazia sovranazionale”. Sfortunatamente, il comportamento dei cittadini ridimensiona la portata di questa affermazione: a partire dalla prima elezione europea del 1979 sino all’ultima elezione del 2009, il tasso di partecipazione elettorale è continuamente diminuito. Senza dubbio, un problema di partecipazione esiste. I cittadini sono quotidianamente coinvolti nei dibattiti politici nazionali, ma solo occasionalmente nella politica europea. Pertanto, essi non considerano l’Unione Europea come un’unione politica di popoli nazionali. Quarant’anni dopo la prima elezione europea, l’immagine pubblica delle istituzioni europee è preoccupante. Ora, un cambiamento è diventato possibile. Dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, i cittadini europei e le organizzazioni della società civile possono sfruttare un nuovo potere democratico, l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE). L’art. 11 del Trattato di Lisbona afferma: “Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati.” Naturalmente, la possibilità pratica di sfruttare questo nuovo strumento democratico dipende molto dalle procedure che la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio stanno discutendo. Alcuni sostengono che l’ICE conferisce un nuovo diritto ai cittadini: il diritto di iniziativa legislativa su un piede di parità con la Commissione. In tal caso, l’ICE potrebbe fungere da ponte tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. La questione è complessa e merita una discussione approfondita, specialmente in una fase in cui il Trattato di Lisbona mostra chiari limiti per la governabilità dell’UE. Esamineremo l’ICE nel contesto istituzionale dell’UE e delle sue politiche, tenendo conto che l’ICE può avere un reale impatto sul futuro della democrazia europea solo se le istituzioni della democrazia rappresentativa, in primo luogo il Parlamento europeo, sosterranno pienamente la volontà popolare. Al fine di discutere questo problema, esamineremo i seguenti argomenti: I. Il peccato originale dell’integrazione europea; II. Il sistema dei partiti europei; III. La sfera pubblica europea; IV. Un governo per l’UE. I. Il peccato originale dell’integrazione europea Nelle sue Memorie, Jean Monnet ricorda che il progetto della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) è stato tenuto segreto sino all’ultimo minuto, perché Schuman e Adenauer temevano le reazioni negative delle burocrazie e dei partiti nazionali. La Dichiarazione Schuman, del 9 maggio 1950, fu una sorpresa per la politica europea. La segretezza rappresentò una condizione necessaria per il successo dell’impresa. Dopo il fait accompli, fu facile ottenere l’adesione di altri paesi al nucleo franco-tedesco e resistere ai tentativi del Regno Unito di diluire i contenuti politici del progetto. La CECA non era stata concepita come un’organizzazione internazionale, ma come l’embrione di uno stato federale, con un organo democratico, l’Assemblea comune, temporaneamente formata da rappresentanti eletti nei parlamenti nazionali, sino alla sua possibile elezione a suffragio universale. Jean Monnet, il primo Presidente dell’Alta Autorità (oggi, la Commissione), nel suo primo discorso all’Assemblea affermò: “E’ la prima Assemblea europea dotata di poteri sovrani … Tutte le istituzioni [europee] potranno essere modificate e migliorate sulla base dell’esperienza. Ciò che non sarà rimesso in questione è che sono istituzioni sovranazionali e, diciamo la parola, federali. Sono istituzioni che, nei limiti delle loro competenze, sono sovrane, cioè dotate del diritto di decidere e di eseguire.” Anche nel Consiglio, escluse particolari questioni, la regola dell’unanimità era abbandonata. Quello che oggi, a Bruxelles e a Strasburgo, è considerato il metodo comunitario è in verità il metodo federale, “diciamo la parola.” Le circostanze storiche sono quelle che sono. Senza la geniale intuizione e la coraggiosa iniziativa di Jean Monnet è difficile immaginare come istituzioni sovranazionali avrebbero potuto vedere la luce nell’Europa del 1950. Ma, ben presto, quando i Sei dovettero affrontare il problema della difesa, la CECA si mostrò inadeguata. Il governo francese propose una Comunità Europea di Difesa (CED), cioè un esercito europeo. Subito, Altiero Spinelli e i federalisti compresero che un esercito europeo doveva essere affidato a una Comunità politica, legittimata democraticamente da un’Assemblea costituente. La storia dell’Assemblea ad hoc e del fallimento della CED, nel 1954, è ben conosciuta. Qui, è solo necessario sottolineare che i federalisti fecero il primo tentativo di porre le istituzioni europee su basi democratiche. Inoltre, dopo il fallimento della CED, senza indugio, i federalisti tentarono di nuovo di costruire un’Europa democratica lanciando la campagna per il Congresso del Popolo Europeo, una sorta di Parlamento europeo direttamente eletto, il cui compito era di rivendicare un’Assemblea costituente europea. Tuttavia, anche questo tentativo fallì. La mancanza di legittimità delle istituzioni sovranazionali ebbe negative conseguenze sul loro futuro. Quando negli anni Sessanta, il Presidente della Commissione, Walter Hallstein, propose di completare la riforma della Comunità con l’istituzione di un bilancio Comunitario e il voto a maggioranza nel Consiglio, il Presidente de Gaulle rifiutò fermamente le proposte della Commissione: erano considerate un’offesa per la sovranità nazionale. La Francia non avrebbe mai accettato di essere messa in minoranza. Nel 1966, a Lussemburgo, la Francia riuscì ad ottenere il mantenimento del diritto di veto quando un interesse rilevante di un paese membro fosse stato messo in discussione. Da allora, l’unanimità – e non la maggioranza – divenne la norma seguita dal Consiglio. Si può leggere la storia dell’integrazione europea come una lotta tra il principio di sovranazionalità e il principio della sovranità nazionale. Dopo de Gaulle, l’Europa è avanzata in molti campi, come il Mercato unico e l’Unione monetaria. Questi avanzamenti si sono accompagnati a riforme istituzionali, come l’elezione diretta del Parlamento europeo nel 1979, che è considerata una vittoria federalista. Il Parlamento europeo eletto, all’inizio considerato un mero organo consultivo, è stato capace di conquistare significativi poteri. Oggi, con il Trattato di Lisbona, esso co-legifera con il Consiglio su molte questioni. In questo caso, si può affermare che viene adottato il metodo comunitario (o federalista): il Consiglio e il Parlamento legiferano sulla base del principio di maggioranza; la Commissione esegue e la Corte di Giustizia fa osservare il rispetto delle leggi europee. Il problema reale è che per importanti questioni, come la politica estera e di sicurezza e la dimensione del bilancio comunitario, i poteri cruciali restano ancora nelle mani dei governi nazionali. Un’Europa intergovernativa funziona a fianco di un’Europa federale. Pertanto, non ci si deve meravigliare se i cittadini europei hanno idee confuse sul funzionamento dell’Unione europea. Senza il sostegno dei cittadini, l’UE è debole e incapace di agire efficacemente. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda, l’Europa ha dovuto affrontare nuove sfide: l’instabilità del mercato globale, il terrorismo internazionale, la proliferazione nucleare, le migrazioni, il cambiamento climatico e una crescente concorrenza delle economie emergenti, come la Cina, l’India e il Brasile. Il vecchio ordine internazionale, costruito dagli USA dopo la seconda guerra mondiale, vacilla e una catastrofe globale sta diventando possibile, come la crisi finanziaria del 2008 ha mostrato. L’incapacità dell’Europa di far fronte alle sfide globali si riflette nel dibattito sul declino dell’Europa. Tuttavia, il declino dell’Europa non è un destino inevitabile. L’Europa, per la sua storia e i valori universali radicati nella sua cultura, è in grado non solo di risolvere i propri problemi ma anche di contribuire al progresso dell’umanità, mostrando la via per un nuovo ordine democratico mondiale. Se i politici nazionali non sono in grado di dare un futuro all’Europa, i cittadini e la società civile possono mostrare loro la via da percorrere. II. Il sistema dei partiti europei La costruzione di una democrazia sovranazionale avanza parallelamente alla costruzione di uno stato sovranazionale, sebbene la velocità dei due processi possa essere differente. La CECA e la CEE furono costruite senza significativi miglioramenti delle istituzioni democratiche europee. Ma, dopo l’elezione diretta del Parlamento europeo, si può osservare un più stretta dipendenza tra i due processi, sebbene i partiti europei non giochino pienamente il loro ruolo. In uno stato democratico, i partiti politici rappresentano l’indispensabile anello di congiunzione tra i cittadini e le istituzioni. Un partito politico difende alcuni valori dei cittadini e propone dei programmi per realizzarli. L’attuale deficit democratico dell’Unione europea è spiegato parzialmente dalla debolezza dei partiti europei. Per i primi trent’anni d’integrazione europea, nell’Assemblea europea, i partiti europei hanno rappresentato il simbolo del valore sovranazionale delle loro rispettive ideologie, ma solo i governi nazionali hanno promosso la costruzione europea. I partiti nazionali erano solitamente passivi, con l’eccezione delle fasi di ratifica. L’Europa era considerata un problema di politica estera riguardante il loro governo. Dopo l’elezione diretta del Parlamento europeo si è manifestato un moderato miglioramento. In effetti, il Parlamento europeo fu capace di sfruttare tutte le riforme proposte dai governi per ottenere più poteri. Ma, il Parlamento europeo – se si esclude il Progetto Spinelli del 1984 – non è mai stato capace di prendere un’autonoma iniziativa per una riforma costituzionale. L’atteggiamento passivo del Parlamento europeo è difficile da spiegare. Il Parlamento europeo è il solo legittimo rappresentante dei cittadini europei e ha molti poteri – se intende sfruttarli – per promuovere un dibattito pan-europeo sulle riforme che i cittadini europei desiderano, come ad esempio una forza europea di reazione rapida o un Piano per la crescita e lo sviluppo sostenibile. I cittadini non possono fare a meno di pensare che il comportamento del Parlamento europeo significhi un’esplicita subordinazione al Consiglio. Il comportamento passivo del Parlamento europeo è certamente una delle cause della sua irrilevanza nell’opinione dei cittadini e del basso tasso di partecipazione in occasione delle elezioni europee. La critica di Rousseau alla democrazia rappresentativa si attaglia perfettamente al caso europeo. “La sovranità non può essere rappresentata … – scrive Rousseau nel Contratto sociale – I deputati del popolo non sono né possono essere i suoi rappresentanti … Il popolo inglese crede di essere libero, ma si sbaglia di grosso, lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento; appena questi sono eletti, esso diventa schiavo, non è più niente.” In effetti, i cittadini europei votano per un Parlamento che non lotta per costruire un’Europa più democratica: il giorno dopo l’elezione europea, “il popolo europeo diventa schiavo, non è più niente.” Di conseguenza, per gli euro-scettici è facile sostenere che il popolo europeo non esiste e che il parlamento europeo non è altro che uno spreco del denaro pubblico. Vi sono due cause, tra loro interrelate, del ruolo passivo dei partiti politici: la prima è l’ideologia del primato della democrazia nazionale sulla democrazia europea; la seconda è la mancanza di autonomia organizzativa dei partiti europei nei confronti dei partiti nazionali. Per quanto riguarda la democrazia nazionale, è sufficiente richiamare la netta affermazione di Carl Schmitt: “La rivoluzione francese del 1789 … affermò la nation française come una realtà storica; … una nazione plasma uno stato, uno stato incorpora una nazione” (Verfassunglehre). E’ vero che la formazione dello stato nazionale e la diffusione della democrazia sono stati due processi paralleli che si sono rafforzati vicendevolmente. Ciò nonostante, la nazione viene considerata come una “realtà storica”, una entità pre-politica, un mito. Oggi, le relazioni della società civile fuoriescono dai confini nazionali, ma una democrazia sovranazionale non può avere radici nazionali: l’Europa non è una nazione. Per individui con lo sguardo rivolto al passato questo è un ostacolo insuperabile. Un tipico leader politico preferisce lottare per la conquista dei poteri nazionali invece di lottare per un seggio nel parlamento europeo, dove potrebbe far avanzare la democrazia europea. Questo comportamento dimostra che i leader politici credono che il futuro del loro popolo nazionale dipenda più dalla sopravvivenza della sovranità nazionale che dall’Unione europea, come unione di popoli nazionali, che gesticono in comune le loro sovranità. I leader nazionali non accettano di cedere poteri all’UE, specialmente nel campo della politica estera e della politica fiscale. Ciascuno preferisce essere uno dei 27 leader di un’Europa debole e disunita, invece di diventare l’architetto di una Europa forte e unita. L’altro aspetto della supremazia della democrazia nazionale è la debole, e sotto certi aspetti inesistente, organizzazione democratica dei partiti europei. I cosiddetti Congressi europei non sono altro che i vecchi meeting internazionali sotto nuovo nome. Normalmente, solo i leader nazionali parlano perché i militanti europei sono inesistenti. Il reale dibattito politico si fa nei congressi nazionali dei partiti, dove l’Europa è considerata una questione di politica estera. Solamente il congresso nazionale elegge dei leader e decide una linea politica. Nei congressi europei, i leader nazionali negoziano un compromesso fra differenti programmi nazionali e, naturalmente, il programma europeo è il minimo comun denominatore di quelli nazionali. L’inesistenza di una reale vita democratica di partito provoca effetti negativi: il cittadino comune ignora l’esistenza del suo stesso partito europeo e le decisioni prese a livello europeo non sono vincolanti per i partiti nazionali. Un buon esempio è rappresentato dalle vicende della Costituzione europea. Un’ampia maggioranza del Parlamento europeo – che includeva il Partito socialista – ha invitato i cittadini europei e i parlamenti nazionali a ratificare la Costituzione. Ma in Francia, una frazione del Partito Socialista, in dissenso con le decisioni prese dal Partito europeo, ha deciso di lanciare una campagna per rifiutare il progetto di Costituzione in occasione del referendum nazionale (vale la pena di ricordare che ciò è stato possibile anche a causa dell’errato metodo di ratifica: un referendum europeo, approvato da una doppia maggioranza di cittadini e di stati, avrebbe reso impossibile lo sfruttamento delle divisioni nazionali di partito). La costruzione della democrazia europea non si contrappone alla democrazia nazionale. Al contrario, oggi lo stato nazionale è così debole che esistono seri pericoli di secessione in alcuni paesi e si assiste alla nascita di partiti populisti dove un leader è capace di mostrare che lui/lei, con l’aiuto diretto dei cittadini, può eliminare le discrasie dello stato. In verità, la politica nazionale non è più il quadro in cui i cittadini possono affrontare le sfide globali. L’ICE può essere sfruttata in differenti modi: a) la società civile può attrarre l’attenzione dei partiti europei su problemi particolari ignorati o sottovalutati sino ad allora; oggi, le lobby economiche sono purtroppo più influenti nel Parlamento europeo dei cittadini; b) i membri dei partiti europei che vogliono rafforzare l’organizzazione europea del loro partito possono promuovere una ICE, in accordo con le organizzazioni della società civile; c) la creazione di un network di organizzazioni della società civile, in vista di una o più ICE, può rafforzare i militanti del partito in vista della formazione di un vero Partito europeo federale, basato su un congresso democratico e sulla scelta di leader europei. III. La sfera pubblica europea Giorno dopo giorno, l’opinione pubblica infonde vita nello stato democratico. Le pubbliche istituzioni si ridurrebbero a una fredda burocrazia se la classe politica, i mass media, gli intellettuali, le università e la società civile non dibattessero i maggiori problemi del momento. Naturalmente, come Hegel ha notato per primo, nell’opinione pubblica convivono affermazioni tra di loro contraddittorie. Ciò nonostante, una società pluralistica, qual è una democrazia, non può sopravvivere senza un dibattito permanente tra governanti e governati. La democrazia è una forma di governo il cui scopo è di superare, in ultima istanza, ogni differenza tra i cittadini, realizzando l’auto-governo del popolo. Per queste ragioni, alcuni critici della Costituzione europea hanno sostenuto che la legittimità dell’Unione europea si poteva basare solamente sulla volontà degli stati nazionali e non su quella del popolo europeo. Senza una sfera pubblica europea, le sole democrazie vitali sono le democrazie nazionali: un popolo europeo non esiste e una Costituzione europea è una costruzione priva di sostanza. Per rispondere a queste critiche, dopo i referendum negativi in Francia e in Olanda sulla Costituzione europea, la Commissione europea ha lanciato un piano, denominato Piano D – come Democrazia, Dialogo e Dibattito – al fine di “avviare un processo che incoraggi un ampio dibattito sul futuro dell’UE e dei cittadini.” Nel 2005-06 le prospettive della Costituzione europea erano molto incerte e la Commissione europea fece uno sforzo per stimolare un pubblico dibattito al fine di trovare una via d’uscita. L’obiettivo del Piano D era di trovare “i modi per sviluppare una Sfera pubblica europea particolarmente mediante i media audiovisivi e la pubblicistica.” Un ruolo attivo della società civile e il suo contributo al dialogo europeo e al dibattito erano particolarmente incoraggiati. Il Piano D si rivelò un fallimento. I cittadini né mostrarono una nuova sensibilità al problema né emerse una sfera pubblica europea, nonostante gli sforzi della Commissione. Il Piano D può essere considerato un caso speciale di un problema più ampio. In teoria, la Commissione ha una legittimità democratica, più o meno come alcuni governi nazionali. Dopo l’elezione europea, il Presidente della Commissione presenta il suo team di commissari al Parlamento che ha il potere di approvare o respingere l’intera Commissione o alcuni suoi membri. Questo non basta per trasformare la Commissione in un governo responsabile democraticamente. Un problema riguarda certamente la mancanza di poteri nei campi della politica estera e di bilancio. Tuttavia, vi è qualcosa di più. La teoria della comunicazione di Jürgen Habermas può aiutarci a comprendere la trappola comunicativa europea. Habermas distingue tra due tipi di potere: il potere comunicativamente prodotto e il potere amministrativamente impiegato. In uno stato democratico i due poteri sono interrelati e uno può rafforzare l’altro. Un governo, un partito, un leader capaci di suscitare il consenso popolare possono anche contare sul potere amministrativo per realizzare una certa politica. In Europa, il potere comunicativamente prodotto è localizzato al livello nazionale, mentre il potere amministrativamente impiegato è al livello europeo. Il risultato è che l’immagine pubblica della Commissione europea come organo burocratico è creata dal Consiglio dei Ministri (o dal Consiglio europeo), che pretende di essere il vero governo dell’UE. Sino a che questa immagine della governance dell’UE viene pubblicizzata dai mass media, il ruolo della Commissione appare quello del segretariato del Consiglio e il Parlamento europeo diventa un organo consultivo. In ogni caso, la democrazia europea è beffata: 27 governi nazionali non sono un governo europeo democraticamente responsabile di fronte al Parlamento europeo. La verità è che l’euroscetticismo è alimentato dai governi nazionali. Pertanto, gli sforzi della Commissione di comunicare qualcosa ai cittadini sono destinati a fallire. I cittadini ricercano le informazioni che ritengono importanti per la loro vita e per il loro giudizio politico in occasione delle future elezioni. I cittadini attivi vogliono partecipare al dibattito politico e – forse solo con il loro voto – al governo della propria comunità. Se essi comprendono che alcune informazioni provengono da un organo burocratico e non da un governo capace di agire, il messaggio non crea alcun “dialogo.” Al fine di cambiare questo stato di cose e costruire una sfera pubblica europea, la via più diretta sarebbe una riforma istituzionale della governance europea. In questa prospettiva, l’iniziativa dei cittadini europei può svolgere una funzione importante. L’attuale Unione europea è una specie di stato minimale – lo stato come guardiano notturno – proposto da alcuni pensatori liberali del XIX secolo e, oggi, dai cosiddetti libertari (in opposizione ai comunitari). L’interesse preminente del cittadino a una dimensione dello stato minimale è la difesa del proprio benessere personale: per questo cittadino individualista un mercato unico europeo ben funzionante è sufficiente. In verità, a Maastricht si è concordata un’Unione Economica e Monetaria, ma di questo progetto, si è poi realizzata solo l’Unione monetaria. L’Unione economica è restata una promessa non mantenuta. L’UE, così com’è oggi, può essere paragonata a uno stato minimale. La dimensione del bilancio europeo era più o meno l’1% del PIL prima di Maastricht ed è della stessa dimensione oggi. Il bilancio è lo strumento finanziario per fornire ai cittadini i beni pubblici (o le politiche europee). In effetti, la quota maggiore dell’attuale bilancio è destinata alla Politica agricola comune e ai Fondi strutturali (per lo sviluppo regionale). Pochissime risorse restano per le altre politiche. Ma, nel XXI secolo, l’Europa deve affrontare nuove sfide. Oggi, lo stato minimale europeo deve diventare una repubblica, cioè una comunità politica nella quale i valori e le aspettative del cittadino a “più dimensioni” vengono prese in considerazione dai poteri pubblici. La Commissione europea potrà comunicare con i cittadini se saprà rispondere alle loro domande, provvedendo nuovi e migliori beni pubblici europei: un’efficace politica ambientale, un piano per combattere la povertà in Europa e nel mondo, un’efficace politica per la sicurezza e un servizio civile europeo per i giovani, un piano per promuovere la ricerca di tecnologie avanzate e le scienze sociali, la mobilità studentesca, gli aiuti ai paesi poveri, una politica comune dell’immigrazione, ecc. Una serie di ICE per chiedere nuovi beni pubblici europei può attirare l’attenzione dei mass media e obbligare la Commissione a “dibattere” con i cittadini. I cittadini attivi possono costringere l’Europa ad agire. IV. Un governo per l’Unione Europea Il declino europeo non è causato da una fatalità misteriosa e avversa, né da una popolazione inetta, poiché in ogni società individui passivi e individui virtuosi convivono, né da una debole economia, che soffre di parecchi seri problemi, ma è pur sempre, con l’euro, una delle più ricche e forti del mondo. La causa fondamentale del declino dell’Europa è la sua divisione politica. Nonostante sessant’anni d’integrazione, l’unità politica dell’Europa è debole. La pretesa dei governi nazionali di agire come poteri sovrani, subordinando l’UE al loro interesse nazionale, è la causa della divisione dell’Europa. I governi nazionali dicono che l’Europa deve parlare con una sola voce, ma poi preferiscono mantenere i seggi nazionali nel FMI e nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, invece di chiedere un solo seggio per l’UE. Hanno creato un mercato unico e una moneta unica, ma poi proteggono con le unghie e coi denti i loro campioni nazionali nei settori dell’energia e delle tecnologie d’avanguardia. Hanno deciso, venti anni fa, a Maastricht, di costruire un esercito europeo, ma da allora praticamente nulla è stato fatto. L’Unione Europea ha bisogno di un governo. La tragedia è che ne ha due. Il primo è la Commissione europea. E’ un esecutivo legittimo e responsabile democraticamente verso il Parlamento europeo. Ma resta invisibile ai cittadini europei, perché l’uomo della strada è convinto che il potere europeo reale sia nelle mani dei governi nazionali. L’altro più “visibile” governo è il Consiglio, nel quale 27 rappresentanti dei governi nazionali decidono, in settori importanti, all’unanimità. Ma il Consiglio non è responsabile democraticamente: i cittadini europei e i loro rappresentanti non possono votare una sfiducia nei suoi confronti. Pertanto, la democrazia sovranazionale europea è seriamente compromessa. Il Trattato di Lisbona consente di compiere qualche passo in avanti, ad esempio mediante la creazione di un Servizio Europeo di Azione Esterna e la possibilità, per un gruppo di paesi, di mettere in atto delle cooperazioni rafforzate. Allo stesso tempo, con la creazione di un Presidente permanente del Consiglio europeo, il Trattato di Lisbona ha rafforzato l’immagine del Consiglio come sede reale del governo dell’UE. Il Parlamento europeo ha in parecchie occasioni difeso il metodo comunitario (o federalista) e criticato alcune decisioni intergovernative. Ma il Parlamento europeo non ha ancora avviato serie iniziative per superare il deficit democratico. Solo recentemente, un gruppo di deputati europei ha creato il “Gruppo Spinelli” per protestare contro la deriva intergovernativa che “non è solo una guerriglia contro lo spirito europeo, ma un’assuefazione all’impotenza politica.” Lo scopo di questo gruppo è costruire “un’Europa federale e postnazionale, un’Europa dei cittadini.” Ovviamente, una ICE, qualsiasi sia la sua rivendicazione, rafforza l’azione per un’Europa democratica e federale nel Parlamento europeo, allertando l’opinione pubblica e sollecitando l’attenzione dei mass media. Ma costruire un governo europeo è un compito difficile. Al fine di sollecitare una nuova serie di riforme istituzionali, i cittadini e le organizzazioni della società civile dovrebbero prendere in considerazione qualche passo intermedio. La presa della Bastiglia, il simbolo dell’Ancien Régime, ha preceduto la proclamazione della Repubblica francese e l’esecuzione del re. Nell’Europa contemporanea l’Ancien Régime Européen è ben simboleggiato dalle fotografie dei 27 capi di stato e di governo pubblicate dai mass media alla fine di ogni Consiglio europeo. L’Unione europea ha bisogno di un governo, con un Presidente, un Ministro degli esteri, un Ministro dell’economia e delle finanze, ecc. Fortunatamente, il Trattato di Lisbona consente di compiere un significativo passo in questa direzione: nulla nel Trattato impedisce che il Presidente della Commissione e il Presidente del Consiglio sia la stessa persona. Se ciò accadesse, l’UE avrebbe un Presidente. Questo non significa che il problema del governo europeo sia risolto: alcune importanti riforme istituzionali dovrebbero ancora essere fatte. Ma, il Presidente unico dell’UE sarebbe responsabile verso il Parlamento europeo e ciò rappresenterebbe un passo decisivo verso un’Europa unita politicamente e una reale democrazia sovranazionale. Inoltre, se la richiesta di un Presidente unico per l’UE provenisse da una ICE, sarebbe sotto gli occhi di tutti che un movimento di cittadini sovrani per un governo sovrano europeo è nato. I tempi sono maturi per emendare l’Europa dal suo peccato originale. I padri fondatori hanno concepito un’Europa sovranazionale, ma il loro sogno è rimasto incompiuto. La costruzione di una democrazia sovranazionale è un’impresa rivoluzionaria, non solo per gli europei. Carl Schmitt ha affermato: “L’essenza della democrazia è il popolo, non l’umanità.” Schmitt spiega chiaramente che solo i popoli nazionali esistono: per Schmitt, un mondo senza stati nazionali in guerra era impensabile. Liberare la democrazia dalla sua prigione nazionale non è solo una grande innovazione istituzionale, è anche una rivoluzione culturale: la democrazia cosmopolitica diventa pensabile e possibile. Questo è il vero contributo dell’Europa al futuro dell’umanità. Trad. it. di un articolo pubblicato in Europe’s World, il 15 ottobre 2010.