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UN RICORDO DI REMIGIO RAIMONDI
“Ho visto cose che voi umani potete ben immaginare,
ma non ve ne importa giustamente una mazza.
E' l'ora dell'aperitivo.”
(John Bottle nel film “Blame the runner”)
Butto lì una considerazione, tanto per provocare: se i comunisti, o quel che resta di
loro, amano tanto i poveri al punto di incrementarne la quantità, ed un certo numero
di cristiani amano a tal punto la sofferenza che spesso la seminano là anche dove non
vi sarebbe, cosa possiamo scrivere a proposito di uno psichiatra che nel corso della
sua esistenza ha fatto proprie, intersecandole, le istanze di tutti e due gli insiemi?
La cosa migliore sarebbe non scrivere nulla e rilassarsi ascoltando un po' di musica,
ma siccome ormai ho iniziato e non mi piace lasciare le cose a metà, rimanderò di
qualche giorno il mio incontro con la GymnopedieI di Satie, recentemente
suggeritami da un'amica cantante che ha il potere di prescrivere suoni.
Se qualche curioso desidera leggere cosa pensa degli antichi progetti di Remigio
Raimondi una persona che ha vissuto dall'interno il simpatico prolungarsi di un
pasticcio ideologico iniziato molti anni prima, pasticcio sul quale molti dirigenti
medici hanno piantato le tende delle loro carriere, può farlo scaricando, da questo
spazio virtuale, il pdf “Il male chiaro (un titolo che serve solo a fare scena)”. Un
altro curioso, ma con meno tempo a disposizione, può invece digitare su google o
sulla funzione ricerca di youtube “180 meraviglie” e farsi due risate grazie alla
scemenza di un vero cantautore ignorante ma molto alternativo, nel senso di “nato da
qualche altra parte”, forse in una lontana galassia.
Oggi, San Remigio, intendo solo ricordare a modo mio l'ex psichiatra passato a
miglior vita il 27 aprile del 2012, mentre il Ministero dell'Interno diramava la
circolare N°9 sulle modalità di applicazione di un articolo riguardante “il cambio di
residenza in tempo reale” della legge recante “disposizioni urgenti in materia di
semplificazione e sviluppo”.
Con la delicatezza che mi caratterizza voglio rammentarlo quando, attorno al 90-91,
si occupava di mozioni oltre che di emozioni. Ricordate la famosa “svolta della
Bolognina”? No? Nemmeno io me ne ricorderei se in quel periodo non fossi andato,
un pomeriggio, ad assistere ad un corso di formazione per operatori psichiatrici di
base diretto appunto dal Raimondi (mi raccomando: se incontrate qualcuno smanioso
di operare nel campo della salute mentale suggeritegli sempre di occuparsi della sua
salute mentale). Di lui mi colpirono subito due aspetti: il primo era legato alla
percezione di un uomo che, nell'impostazione retorica del discorso e soprattutto nel
suo agirlo attraverso la gestualità, la mimica e la postura, si sforzava parecchio per
emanare carisma, ed io soffrivo per lui, soffrivo perché lo vedevo faticare invano; il
secondo aspetto riguardava invece la inarginabile angoscia che il medico andava
esternando ad un gruppetto di giovani immediatamente dopo la fine di quella lectio
magistralis, angoscia concernente il processo di trasformazione del partito comunista
allora in atto (mozione Occhetto, mozione Natta-Ingrao, mozione Cossutta: tu
chiamale se vuoi, e-mozioni...). Ad un certo punto Remigio esclamò: “Ma insomma
ragazzi, come la chiamiamo la cosa?”, (cioè il nuovo partito).
Già, “la cosa”: storia e ancora nostalgia di giorni che inghiottono giorni, mentre
tutto, proprio tutto, corre verso la fine...
A me pareva strano che un essere umano dovesse tanto preoccuparsi del nome di una
cosa, anche perché, dal mio punto di vista, una cosa era una cosa e basta. Imparai poi
a mie spese che una cosa, a seconda delle convenienze, può essere anche due cose e
persino tre, ma questa è un altro tipo di storia. Compresi quel pomeriggio che l'assillo
del compagno Raimondi era lo stesso assillo di tanti altri compagni che non
sbagliavano, o sbagliavano poco, un assillo motivato da nobili ragioni politiche. Già a
quei tempi, ignorante com'ero, avevo il sospetto che la politica consistesse nel fare i
propri interessi attraverso un certo numero di consensi, anch'essi variamente
intrecciati e condizionati da altri interessi. Adesso che sono molto più ignorante di
allora, penso invece che la politica è al servizio dell'uomo: quando di uno, quando di
un altro...
Lasciatemi ora aprire una parentesi semi narrativa per raccontare un altro lato
divertente dell'impegno di Raimondi a favore dei malati di mente: il testamento
psichiatrico. Tale testamento ebbe un importante significato terapeutico per chi lo
promosse, vale a dire per Remigio. E' chiaro che tutto ciò che giova alla salute di uno
psichiatra ha delle ricadute benefiche sulla testa dei folli e meno folli che gli fanno
capannello intorno.
Il testamento psichiatrico – prima dell'istituzione della figura dell'amministratore di
sostegno – aspirava ad essere uno strumento atto “a tutelare l'alienato che soggiace
all'arbitrio di estranei” durante i ricoveri coatti nel reparto psichiatrico. In pratica il
folle, in un momento di lucidità, riempiva un modulo, sottoscrivendolo alla presenza
del primario e di testimoni, designava un fiduciario e dichiarava a quali trattamenti si
opponeva nella fase produttiva della sua malattia. L'esecutore testamentario veniva
individuato nel direttore del dipartimento di salute mentale e se penso che in tutto
questo ambaradan ci si misero dentro politici, giuristi e direttori di aziende sanitarie,
smetto di scrivere e vado subito ad immergermi nelle pagine di “La vita è sogno” di
Calderòn de la Barca, che è ancora un valido insegnante.
Se vi fosse rettitudine di pensiero, il “testamento psichiatrico” lo avrebbero chiamato
in un altro modo: “arrampicata sugli specchi: il “problema della fiducia” nei
paranoici docili o meno gravi” (perché da quelli aggressivi e più gravi – quelli cioè
che si buttano sotto un treno dopo aver sterminato genitori, fratelli, sorelle e parenti
sino al sesto grado - si tengono tutti comprensibilmente alla larga). Avendo vissuto
dall'interno anche questa esilarante pagina della psichiatria della fine degli anni
novanta, cercherò di cantarla parodisticamente nella tonalità scemenziale, che è poi
quella che mi permette attualmente di sopravvivere:
“Oggi mi sento meglio del solito, soprattutto perché ho trovato una soluzione autotutelante con ostinata coerenza, come foss'antani, per dieci anni. Anche se per pura
casualità dovessi impazzire di nuovo sono tranquillo per due motivi: uno perché la
follia non esiste, e due perché ho firmato il mio testamento psichiatrico proprio oggi,
nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, consentendo che sulla mia persona
siano adottate, come trattamento curativo, le docce di coriandoli e l'elettroshock solo
come uso residuale salvagente (salvagente o salvavita? La ciambella di salvataggio è
un salva vita? Non è essenziale, bim bum bam). Nel mio testamento psichiatrico ho
pure indicato una persona di mia fiducia alla quale consegnare i miei effetti
personali: la chitarra, il bussolotto per raccogliere l'elemosina, il corno rosso
portafortuna e la carta di identità scaduta che però serve ancora a nascondere ai
vigili urbani che sono la reincarnazione del Mahatma Gandhi. Ho anche scritto che
in caso di ricovero solo tre persone potranno prendere visione della mia
documentazione medica: Tizio, Caio e Sempronio, i miei parenti più cari e vicini. Nel
documento ho specificato che se sarò ricoverato in psichiatria (prima coniugazione,
forma passiva dell'indicativo semplice del futuro fantascientifico) non accetterò le
visite di tutti quelli che non hanno preso in seria considerazione la mia ipotesi circa
l'origine delle parentesi tonde. Dopo aver posto la mia firma (“Mahatma Gandhi”,
bim bum bam) sul testamento psichiatrico ed aver brindato col primario – un
semplicione che pensa alla Madonna come ad una specie di befana che fa i regali,
mentre lo sanno anche i bambini che i regali li fanno babbo Natale e la 'ndrangheta
– sono uscito dal servizio tossicodipendenze per la mia seduta di elemosina davanti
al teatro Guglielmi, e proprio davanti al teatro, prima di iniziare a cantare “Hey
Jude” dei Beatles, mi ha fermato Jude di un altra band, un amico psicologo colto ed
estremamente intelligente con dei trascorsi in ospedale psichiatrico giudiziario
perché aveva provato a sparare al cantante Morgan (al giudice disse che lo aveva
fatto esclusivamente allo scopo di disintossicarlo, aggiungendo a sua discolpa bim
bum bam). Ho raccontato allo psicologo Jude di aver firmato il testamento
psichiatrico e lui mi ha fatto cenno di parlare sottovoce, poi mi ha strizzato l'occhio
sussurrando: “Stasera vai al Bar Briglia e controlla il palinsesto delle scommesse.
Bim bum bam”. Non ha voluto essere più preciso, ma ho compreso che nel palinsesto
delle scommesse c'era qualcosa che aveva a che fare con me ed il mio testamento.
Non ho pensato ad altro mentre cantavo il solito repertorio da elemosina, che mi
rende dalle trenta alle cinquanta euro a giornata, a seconda di quanto mi impegno
per fare pena...
E' arrivata la sera e sono andato al Bar Briglia. Ho chiesto un palinsesto e Susy, la
barista, me l'ha porto come se sapesse già tutto e volesse aiutarmi. Da quando è
uscita dalla setta satanico-ambientalista delle “adoratrici di bici” è un'altra donna.
Infatti proprio sopra l'avvenimento 7 del palinsesto 16785 (una partita del
campionato dilettanti austriaco), ho trovato la scritta TCS, sottolineata a penna e
con tre punti esclamativi accanto ad un nome: Francesco. A quel punto è scattata
l'intuizione: dovevo cambiare il fiduciario ed i tre parenti che avevo indicato nel
testamento psichiatrico, poiché essi aderirono al complotto cardinalizio che portò
Bergoglio al soglio pontificio e pertanto continuavano a minare il mio disegno per la
Pace Universale. Ho chiamato immediatamente il primario col cellulare della Susy,
che forse era ancora nella setta satanico-ambientalista delle adoratrici di bici:
“Pronto primario, mi senti forte e chiaro? Sono il Mahatma. Ascoltami bene:
rigerarchizzati interiormente e strappa subito il testamento psichiatrico del brindisi
di stamani. Cosa dici? Non è possibile perché ormai è depositato e vale per un anno?
Non è vero nulla: carta straccia. Io non mi ammalerò mai più e ragiono molto
meglio di te, ma TCS (Tizio, Caio e Sempronio) sono dei parenti serpenti che
combattono la mia azione pacificatrice tra i popoli, ed i loro nomi non sono degni di
comparire in un documento redatto dal grande Mahatma Gandhi che ti sta parlando.
Quindi domani ripasso da te e si fa di nuovo. Come? Dici che è già la centesima
volta in un mese che cambio testamento e che sto incasinando tutti? Non è certo
colpa mia se nella provincia di Matta Gattara resistono tutti alla Pace Universale:
purtroppo i non collaboranti sono più numerosi dei collaboranti, in questa asl. Ciao,
semplicione”. Ed ho riattaccato. Susy rideva: lei apprezza il mio lavoro per la Pace
Universale. “Susy, vuoi fare la mia fiduciaria domattina, per il mio nuovo testamento
psichiatrico?”, le ho detto. “Mahatma – mi ha risposto - ti ricordo che il cinque
gennaio scorso mi hai cancellato dall'elenco dei fiduciari perché secondo te
appartenevo alla setta satanico-ambientalista delle “adoratrici di bici”, poi ti sei
ricreduto ed il nove marzo mi hai reintegrato nell'elenco per poi cancellarmi di
nuovo il quindici aprile, quando ho detto no alla tua proposta di ballare nuda per te
davanti al teatro Guglielmi, mentre chiedi l'elemosina, per farti racimolare più euri.
Ora basta: sarò la tua barista ma non la tua fiduciaria”.
In effetti Susy ha ragione: la fiducia è una cosa seria e questo testamento crea troppi
problemi ed è un ostacolo da saltare nella mia grande corsa alla Pace Universale.
Ho chiesto di nuovo il cellulare alla Susy, l'ho nominata barista apripista della Pace
Universale, ed ho richiamato il primario. Gli ho parlato in stretto “basagliondi”
(l'idioma del preambolo del testamento di Raimondi):“Rigerarchizzati interiormente:
sono ancora il Mahatma. Ti esplicito una storia personale alienata,
decontestualizzata, formattata, in un tempo sospeso, marginale, catalogato ed
interiormente salificato. Hai capito bene: interiormente salificato ed interiormente
rigerarchizzato. In carenza di un dispositivo di legge che eclissi ogni intermediazione
nel disgoverno di emozioni di affetti laceranti tra vasi comunicanti di merletti
confluenti, ti affido una metafora allusiva/collusiva”.
“Non capisco, spiegati meglio”, mi ha risposto lo psichiatra.
“Con i fogli dei miei testamenti psichiatrici, facci gli aeroplanini. Ciao,
semplicione”. Ed ho restituito il cellulare a Susy, che scuote la testa, mi guarda e
dice: “Mahatma, ma quanta gente fai impazzire, tu?”.
“Susy – ho replicato – numero uno: la follia non esiste, è una gerarchizzazione
salificata. Numero due: sei la più bella barista apripista della Pace Universale.
Davvero non ti va di ballare nuda mentre suono chiedendo l'elemosina davanti al
teatro Guglielmi?”
“No, caro. Mi dispiace”, ha detto.
“Mmm... dimmi: veramente sei uscita dalla setta satanico-ambientalista delle
adoratrici di bici?”, ho indagato.
“Non esiste nessuna setta satanico-ambientalista di adoratrici di bici, falla finita”,
ha negato Susy. Ho fatto finta di crederle e l'ho aggirata in un altro modo: “Ma se
esistesse questa setta inesistente e tu ne facessi parte, usciresti?”. “No – ha
cominciato a ridere – come potrei uscire da una setta tanto originale!”.
Ho pensato che era caduta nel tranello. Lo sapevo. I'm too clever...”.
Fine della parentesi “scemenzial-narrativa”...
Torniamo ad un ultimo ricordo che serbo di Raimondi - il cui principale errore, come
avrete desunto dal breve raccontino, fu quello di non avermi impiegato come ghost
writer per la redazione del “il significato terapeutico del testamento psichiatrico” un ricordo collegato ad un fatto che avvenne a ridosso del varo della nave del corso di
“facilitatori”, e che non ho narrativamente “trasfigurato” nel “Il male chiaro (un
titolo che serve solo a fare scena)”.
In quel tempo (l'attacco del periodo è volutamente evangelico, perché in quel tempo
si colloca una delle mie numerose e minuscole vie crucis), in quel tempo un giovane
psicotico si diede fuoco e Remigio, assieme ai soliti due o tre fedelissimi, decise che,
a turno ed organizzati in piccoli gruppi by car, tutti i partecipanti all'innovativo
esperimento in atto avrebbero dovuto andare a trovare il poveretto, ricoverato in un
reparto grandi ustionati lontano 120 chilometri dalla nostra città. Vissi
quell'imposizione come una vera e propria violenza, e non credo di essere stato il
solo. La violenza consisteva in quella organizzazione di una spedizione forzata volta
ad evidenziare, con la matita rossa, il valore di una “solidarietà su commissione”: i
futuri “matti lavorativi” dovevano dimostrare a loro stessi ed al mondo di essere
buoni, generosi, solidali e uniti. Ancora una volta Remigio stava modellando la realtà
su delle idee e sopra i suoi desideri, ma questa volta nella realtà mi ci trovavo io, un
attore fuori luogo obbligato a calarsi nella sceneggiatura di un film che non aveva
scritto.
Non avevo nulla contro quel giovane estraneo che si dette fuoco come Jan Palach
(per il quale però nessuno organizzò tour di appoggio o sostegno): ciò che mi urticò
parecchio fu questo arbitrario reclutamento di persone attorno alla messa in scena di
un'idea di bontà. In quella task force solidale non fui l'unico a trovarsi in difficoltà
nel provare a dire qualcosa, attraverso il microfono posto dietro al vetro della stanza
di ricovero, al grande ustionato: io ed altri non l'avevamo mai conosciuto ed a
ripensarci provo ancora una gran pena. Cosa direste voi ad un ragazzo che vedete per
la prima volta e che si è dato fuoco come Jan Palach, pur non essendo Jan Palach?
Dovevo forse riprendere il giovane con una frase del tipo: “Non si scherza col fuoco”,
oppure era più indicato sostenerlo dicendogli: “Coraggio, ragazzo: hai vinto una
medaglia di bonzo”, o ancora: “Sì, caro: l'ha cantato anche Neil Young che è meglio
bruciare che spegnersi lentamente”? Quando una persona incendia se stessa non
sempre ha dei motivi per farlo, ed è questo il classico caso nel quale è impossibile far
ragionare un autolesionista, che è momentaneamente incapace di comprendere che
certi gonzi soffrono meno di alcuni bonzi, anche se sempre più di Neil Young, che
soffre pochissimo, nonostante il musicista abbia voluto farci credere il contrario,
soprattutto nei primi dischi. Anzi, siccome so che il cantante americano sta
imparando l'italiano e legge con passione i miei pdf, approfitto per fargli un
discorsetto: Hey, Neil Young, dico a te: ma a chi la dai a bere la “trilogia del
dolore”? Tu stai benissimo, Neil Young! You are a “furbacchione”, Neil Young! Do
you know what “furbacchione” means? No? Look it up in the dictionary!
Anyway, sono andato un po' fuori ricordo, però è così che la prosecuzione della cosa
del buon primario, una cosa sua, divenne forzosamente cosa nostra...
Dal mio “privilegiato” punto di osservazione è ora più chiaro che mai che quella
“psichiatria centrata sulla persona” non sia stata altro che un facile slogan: parole di
una “pubblicità progresso” abbastanza falsa come le pubblicità di ieri, di oggi e di
domani. Diciamolo una volta per tutte: “Centrare la psichiatria sulla persona” non
significa nulla. Significa forse qualcosa aiutare il (anzi un) singolo sofferente a
scoprire in sé delle qualità che possono essere sorprendenti ed uniche, ma non di rado
socialmente e materialmente inutili (perché negare l' evidenza?): ma per fare il bene
di tutti si fa quasi sempre il benino di pochi ed il male di molti. Se pensate di essere
in grado di fare il bene di tutti, allora siete Dio e vi chiederei cortesemente di
anticipare la programmata Apocalisse a domani sera.
Satie però mi sta chiamando e devo chiudere peggio di come ho aperto: se qualcuno
può perdonare l'acidità e la scemenzialità delle soprastanti riflessioni, lo faccia. Chi
non può perdonarmi nulla tenga presente che la scrittura è l'unico mezzo che ho a
disposizione per sbarazzarmi della parte peggiore (e migliore) di me, perciò si
arrangi. Dunque: è cambiato qualcosa nella psichiatria della mia provincia, dopo
l'addio di Raimondi? No, non è cambiato niente. La qualità principale di chi riceve
incarichi di prestigio o di potere, in campo psichiatrico ma non solo, è quella di
seguire e rimanere in solchi già tracciati e di sapere assecondare il naturale
procedere del corso degli eventi, “la corrente del fiume delle cose” che sfocia nelle
profondità dell'oceano della dimenticanza, dove sono già naufragate innumerevoli
flotte di rivoluzioni e di contro rivoluzioni, di riforme e di contro riforme e dove
anche noi ci troviamo, aggrappati a questo o a quel relitto...
A proposito di oceani e di profondità, adesso che non mi va di terminare di riportare
alla superficie le piccole angherie che ho subito a causa delle idee indossate da
Raimondi e che mi varrebbero almeno una medaglia di latta alla resistenza civile,
desidero portare alla luce una parte secondo me tra le più belle della vita di Remigio:
la sua morte. Seppi che morì molto bene, dopo una malattia nemmeno tanto lunga.
L'articolo 9 del decreto del giorno del suo decesso trattava di cambi di residenza, e
Remigio si era trasferito fuori dal tempo...
Se ne andò serenamente, senza angoscia ed in pace con se stesso. Quella sera elevai
al cielo una preghiera per lui e soprattutto per la sua amatissima moglie, inconsolabile
in un dolore che quando è vero e strappa la carne è sempre unico, centrato su una
persona e non medicabile.
Auguro a tutti gli psichiatri, oltre che a me stesso ed a Neil Young, di morire that
way.
Giancarlo A. Nicolini