I miti di Prometeo
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I miti di Prometeo
I miti di Prometeo Secondo la mitologia greca, Prometeo era uno dei titani, esseri immortali che arrivarono a sfidare Zeus e gli dei dell’Olimpo in una guerra, la Titanomachia, dalla quale uscirono però sconfitti. Il nome di Prometeo in greco significa “colui che pensa prima”: proprio grazie alla sua capacità di intuire il corso degli eventi, infatti, Prometeo non aveva preso parte alla titanomachia, scampando così alla furia di Zeus. Al termine della guerra, infatti, il signore degli dei aveva precipitato i titani ormai sconfitti nel Tartaro: una buia voragine collocata sotto la superficie terrestre, tanto profonda che – come dice il poeta Esiodo – un’incudine di bronzo impiegherebbe nove notti e nove giorni per cadere dalla Terra al Tartaro. E secondo alcuni il Tartaro divenne poi il luogo in cui venivano imprigionate le anime degli uomini malvagi, dopo la morte: in pratica, è quel posto poco raccomandabile che i cristiani chiamarono inferno e che Dante Alighieri nella Divina Commedia descriverà come una voragine creata, guarda un po’, dalla caduta degli angeli che avevano osato ribellarsi a Dio e da Dio erano stati sconfitti, tramutati in demoni e scagliati verso la Terra. Ma per tornare al nostro Prometeo, bisogna dire che questi non assomigliava affatto a un demonio. Era un titano giusto e compassionevole, che manifestò sempre una profonda vicinanza agli uomini, tanto che in almeno due occasioni per difenderli si mise contro Zeus in persona. Secondo alcuni scrittori antichi, anzi, Prometeo fu il creatore degli uomini, modellati dal fango e animati da Atena con un soffio di spirito divino: un racconto che spiega l’amore di Prometeo per gli uomini (e che assomiglia ad altri racconti della creazione, incluso quello famosissimo della Genesi, il primo libro della Bibbia). Esopo racconta addirittura che un giorno Zeus, preoccupato del fatto che le bestie erano molto più numerose degli esseri umani, diede ordine a Prometeo di disfare un po’ di animali e utilizzarne la materia per forgiare altri uomini. Questi però, essendo stati in origine delle bestie, di umano hanno solo l’aspetto, mentre la loro anima resta quella dell’animale. E così si spiega bene per quale ragione certi uomini si comportano talvolta come animali. Bisogna sapere poi che Prometeo aveva un fratello, il cui nome era Epimeteo. Se Prometeo è “colui che pensa prima” di agire, il nome di Epimeteo significa invece “colui che pensa dopo”. Insomma, Epimeteo era un po’ un tontarello, tanto quanto Prometeo era in gamba, accorto e intelligente. Un altro mito racconta infatti che un giorno, dopo la creazione di uomini e animali, gli dei comandarono ai due fratelli di distribuire alle creature della Terra una serie di doni che dovevano assicurare la loro sopravvivenza. Epimeteo volle assumersi il delicato incarico, e convinse Prometeo a lasciar fare a lui, con la promessa che – al termine del lavoro – lo avrebbe chiamato a controllare che tutto fosse stato distribuito nel migliore dei modi. Prometeo, con la sua intelligenza, avrebbe dovuto sapere che un compito così importante e complesso non poteva essere lasciato alla mente un po’ limitata di Epimeteo. Ma come si fa a dire in faccia ad un fratello: «Mi spiace, ma sei troppo stupido per questo incarico»? Così Prometeo volle fidarsi, ed www.contucompiti.it Pagina 1 Epimeteo si diede a distribuire i doni degli dei senza pensarci su troppo, com’era sua abitudine. Fu solo alla fine del lavoro che si rese conto di aver commesso un grave errore: aveva dato tutto – corna, artigli, ali, pelliccia e mille altre straordinarie qualità – agli animali e ora nulla restava per gli uomini. Un bel problema, perché così gli esseri umani erano i più indifesi tra tutte le creature della Terra. Toccò a Prometeo metterci una pezza. Per nostra fortuna, oltre a essere molto più intelligente del fratello, Prometeo era grande amico di Atena: la dea della sapienza, nata dalla testa di Zeus. Vedendo che gli uomini correvano il rischio di essere sopraffatti dagli animali, Prometeo ottenne da Atena due doni particolari per i suoi protetti: l’intelligenza e la memoria. E grazie a queste qualità, gli uomini non soltanto poterono difendersi dagli animali, ma iniziarono ad apprendere nuove arti e nuove tecniche, diventando in breve tempo i padroni della Terra. Zeus, però, pareva infastidito dal potere degli uomini sulla Terra. Anche perché col passare del tempo gli uomini, sempre più sicuri delle loro capacità, trascurarono i loro doveri nei confronti degli dei: come se si fossero convinti di non aver più bisogno del loro aiuto. Zeus poi era indispettito anche per un’altra ragione: un brutto tiro che Prometeo gli aveva combinato per favorire, ancora una volta, i suoi protetti. In occasione di un banchetto cui dovevano partecipare dei e uomini, fu ucciso un enorme bue, che doveva essere equamente diviso tra immortali e mortali. Si incaricò della cosa Prometeo, che si fece portare due grandi piatti sui quali preparò le parti. In un piatto mise le ossa e le interiora dell’animale, coprendole con uno strato di grasso lucidissimo e invitante. Nell’altro piatto mise le carni, avvolgendole nella pelle del toro. Il piatto in cui si trovavano ossa e interiora era il più grande e, quando Prometeo gli offrì di scegliere la parte per gli dei, Zeus si lasciò ingannare dalla mole e dal lucido del grasso e, come Prometeo aveva immaginato, volle per sé il piatto che conteneva tutte le ossa. Agli uomini toccò così la parte migliore: e da quel giorno, quando sacrificavano agli dei, tenevano per sé le carni e bruciavano sull’altare le ossa, le interiora e il grasso degli animali che uccidevano. Era veramente troppo, soprattutto per uno come Zeus che era abituato a comandare sugli dei e che aveva già dimostrato di essere molto più forte di qualunque titano. Perché Prometeo, in fondo, era anche lui un titano: non aveva osato combattere nella guerra contro Zeus, è vero, però non poteva permettersi di prendersi gioco di lui, davanti agli altri dei dell’Olimpo per giunta. Per vendicarsi dell’affronto subito, il signore degli dei volle architettare un piano sottilmente perfido: decise così di creare la donna. Ne plasmò una, era la prima in assoluto, utilizzando come al solito del fango. E chiese agli altri abitanti dell’Olimpo di portarle ciascuno un dono, il più splendido che potevano offrirle: Atena ad esempio le regalò l’attitudine ai lavori femminili, Afrodite le offrì la grazia, Hermes il coraggio e l’astuzia. Grazie ai doni delle dee e degli dei, la fanciulla plasmata da Zeus era quanto di più bello e affascinante fosse mai esistito: per questo venne chiamata Pandora, che in greco significa proprio “tutti i doni”. In aggiunta agli altri doni, a lei Zeus affidò uno scrigno, nel quale aveva segretamente riposto tutti i mali del mondo: l’ordine era che lo scrigno non venisse mai aperto. Quindi inviò Pandora da Epimeteo, il fratello poco intelligente di Prometeo, perché la prendesse come sua sposa. Prometeo aveva raccomandato al fratello di non accettare doni da Zeus: c’era poco da fidarsi, soprattutto dopo il brutto scherzo del bue. Ma Pandora era bellissima, Epimeteo mai aveva veduto nulla di simile, e impulsivo com’era ci mise poco a dimenticare le raccomandazioni del fratello e innamorarsi perdutamente. www.contucompiti.it Pagina 2 Così Pandora andò sposa a Epimeteo, portando con sé sulla Terra il misterioso scrigno donatole da Zeus. E tanto era grande il mistero dello scrigno che Pandora, dopo qualche tempo, non resse alla curiosità e volle disobbedire a Zeus: approfittando della scarsa attenzione di Epimeteo, la fanciulla prese il contenitore e lo aprì. Alzò il coperchio appena appena, giusto il tanto per sbirciare il contenuto: ma era già troppo. Dal vaso uscirono immediatamente tutti i mali che Zeus vi aveva rinchiuso: la malattia, la tristezza, la malvagità, la vecchiaia si diffusero nel mondo degli uomini, dove erano stati portati dalla fanciulla creata dal signore degli dei per vendicarsi di quegli esseri divenuti troppo superbi, che il titano Prometeo si ostinava a difendere. Non tutto però era andato secondo i malevoli piani di Zeus. Era infatti accaduto che Pandora, resasi conto di aver combinato un enorme pasticcio a causa della sua curiosità femminile, aveva richiuso il vaso giusto in tempo per trattenervi dentro il più grande dei mali: la disperazione. Così, nonostante tutte le sventure che ora affliggevano la loro esistenza sulla Terra, gli uomini avevano conservato la speranza: e questa era sufficiente per illuminare le loro giornate e renderle a volte persino piacevoli, pur tra affanni e pericoli. Zeus decise allora di fare un altro dispetto a quelle creature tanto amate da Prometeo e le privò del fuoco. Gli uomini dunque mangiavano la carne cruda, non potevano cuocere il vasellame e le stoviglie, e durante inverno non potevano difendersi dal gelo nemmeno nelle loro case. Prometeo soffriva a vedere i suoi protetti in una così brutta situazione: decise dunque di sfidare nuovamente Zeus per difenderli. Si introdusse di nascosto nella fucina di Efesto, il dio del fuoco, e mentre questi dormiva gli sottrasse una favilla, nascondendola in un bastone. Di corsa scese sulla Terra e donò il fuoco agli uomini, causando nuovamente l’ira funesta di Zeus. Il signore degli dei mandò a chiamare subito due dei suoi servi più fedeli e meno raccomandabili: Cratos, la potenza, e Bia, la violenza. Cratos e Bia erano fratelli e si erano schierati con Zeus già al tempo della guerra contro i titani. Zeus li chiamava spesso presso di sé: soprattutto, se li portava dietro quando doveva fare sfoggio del suo potere: erano insomma i suoi scagnozzi di fiducia, quelli a cui affidare i lavoretti meno raccomandabili. Cratos e Bia arrivarono in un baleno e si presentarono a Zeus, che diede loro l’incarico di catturare Prometeo e trascinarlo in catene nel selvaggio paese di Sciti. Qui, sulla montagna più alta della regione, li attendeva Efesto, un altro che aveva qualche buona ragione per essere arrabbiato con Prometeo dopo la beffa del fuoco. Su ordine di Zeus, il dio del fuoco incatenò Prometeo alle rocce, fermandolo con anelli alle braccia e ai piedi. Per essere sicuro che non potesse muoversi, al povero Prometeo fu anche piantato un grosso chiodo nel costato, che lo vincolava in modo ancora più atroce alla cima del monte. Zeus dispose poi che ogni mattina un'aquila uscisse dal Tartaro, salisse fino a Prometeo e gli divorasse voracemente il fegato. L’organo durante la notte ricresceva come per un perfido sortilegio: il supplizio così non avrebbe mai avuto fine. Almeno nelle intenzioni di Zeus. Secondo il mito, infatti, Prometeo a un certo punto fu liberato dalle catene e restituito alla libertà. Come ciò avvenne, però, non è del tutto chiaro. Alcuni sostengono che fu Eracle a salire in cima al monte, www.contucompiti.it Pagina 3 uccidere l’aquila di Zeus con una freccia e spezzare le catene che trattenevano il titano. Ma questa potrebbe anche essere soltanto una voce messa in giro dallo stesso Eracle per farsi bello. Un’altra storia racconta invece che Prometeo, dall’alto della vetta, avesse predetto la fine del regno di Zeus. Non era un’affermazione da prendere sotto gamba: Prometeo era colui che pensava prima, che coglieva con attenzione e saggezza i segni del futuro. Quando la predizione giunse alle orecchie Zeus, questi rimase profondamente turbato e indeciso sul da farsi. In fondo, poteva trattarsi di un inganno: una voce messa in giro dalle Oceanine, le divinità acquatiche amiche di Prometeo, per fare paura al signore degli dei e costringerlo a liberare dall’odioso supplizio il titano protettore degli uomini. Le Oceanine erano tantissime, forse addirittura tremila, neanche Zeus era ben certo del loro numero. Ciò di cui non dubitava, però, era della loro capacità di far girare informazioni e notizie a loro piacimento: erano tantissime, erano ovunque, ed erano femmine. Quindi non avevano alcuna difficoltà a far credere in giro quel che pareva loro. Ma Zeus non amava correre rischi e decise di inviare il suo messaggero Hermes da Prometeo. Avrebbe dovuto interrogare Prometeo per scoprire se quanto si diceva in giro era vero: se il suo regno era in pericolo, Zeus lo avrebbe scoperto direttamente dal suo nemico. Quando si trovò davanti Hermes, Prometeo confermò tutto: «Il regno di Zeus è in pericolo, messaggero degli dei», disse il titano incatenato. E dopo una pausa aggiunse: «Io solo so come salvarlo». Hermes domandò allora a Prometeo in che modo Zeus potesse salvare il suo dominio, ma il titano non era certo uno sciocco: avrebbe parlato solamente se fosse stato sciolto dalle catene e se il signore degli dei gli avesse riconosciuto di aver agito correttamente in difesa degli uomini. Per Zeus era uno smacco tremendo: avrebbe dovuto ammette di aver punito ingiustamente Prometeo e ci vollero diversi secoli prima che l’orgogliosa divinità si rassegnasse ad accettare. Quando Zeus infine si decise a liberare Prometeo, questi mantenne il patto e rivelò al signore degli dei che se avesse sposato Teti, una ninfa marina di cui si era invaghito, avrebbe fatto la stessa fine che era toccata a suo padre Cronos. Zeus sapeva bene che cosa significasse questa minaccia: era stato lui, millenni prima, a sconfiggere il padre e sottrargli il trono. Ora Prometeo gli annunciava che, se avesse generato figli con Teti, uno di questi lo avrebbe combattuto, sconfitto e podestato. Conosciuto il segreto Zeus prese in moglie Era e fece sposare Teti ad un nobile mortale, Peleo, re dei Mirmidoni di Ftia. Dall’unione tra Teti e Peleo sarebbe poi nato Achille, il grande e quasi invincibile eroe acheo protagonista della guerra di Troia. Ma questa è un’altra storia. www.contucompiti.it Pagina 4