Con la persona in stato vegetativo Si presenta con gli occhi aperti

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Con la persona in stato vegetativo Si presenta con gli occhi aperti
Con la persona in stato vegetativo
Si presenta con gli occhi aperti, mantiene il ciclo sonno veglia.
Nel suo volto è possibile intravedere qualche sorriso, qualche smorfia, una lacrima come segnali di
presenza di riflessi remoti. E’ spesso autonomo nelle funzioni vitali come la respirazione e la
deglutizione. Non ha consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante, né manifestazioni di
coscienza, e forse conserva dentro sé gli ultimi momenti: l’incidente, l’arresto cardiocircolatorio, la
rianimazione, il reparto di terapia intensiva e forse altro.
Ecco ai vostri occhi la persona in stato vegetativo (sv), “uno dei circa 1.500 corpi che in Italia si
trovano al limite tra la vita e la morte, in uno stato molto difficile da raggiungere e ancor più
difficile da abbandonare” (Tempo Medico n° 675, pagina 3).
Nel lungo dibattito tra medicina ed etica, tra i trattamenti salvavita e l’accanimento terapeutico, tra
il definire cosa può o non può capire, provare, dimostrare la persona in stato vegetativo e se si possa
risvegliare - riabilitare, l’unica certezza è che egli sia qui, che lo si voglia o no, è qui, insieme ai
familiari, ai care-givers, ai volontari e agli operatori con i quali e verso i quali sono rivolti
molteplici interventi.
Ai familiari vengono insegnate tecniche infermieristiche ed assistenziali, fanno incontri di sostegno
individuali e di gruppo, i volontari cercano di supportare la famiglia nella soluzione di problemi
economico-finanziari, nel superare la solitudine e divengono mediatori tra le strutture e il domicilio,
gli operatori si aggiornano e si prendono amorevolmente cura di tutti, compresi i familiari.
Manca, però, la capacità di entrare in relazione con la persona in stato vegetativo, semplicemente
per stabilire un contatto, basandosi su ciò che è in questo momento, senza aspettarsi risposte
volontarie o risvegli miracolosi.
Tutto quello che è la cura, la prevenzione secondaria, il sostegno psicologico e sociale ai familiari,
la riabiltazione è indubbiamente importante.
Pensando ai familiari credo sia indispensabile, oltre a fornire indicazioni e manuali sulla gestione
“assistenziale” del loro congiunto, aiutarli a ristabilire quel contatto affettivo relazionale che possa
servire unicamente per dare un senso anche alla loro di esistenza.
Il voler a tutti i costi insegnare unicamente le tecniche rischia di disorientarli da quello che è il vero
ruolo in questa situazione nuova e drammatica: essi spesso divengono quasi altrettanto capaci
quanto gli operatori ed entrano in conflitto con gli stessi su alcune manovre tecniche.
Anche i volontari e gli operatori, con finalità differenti ovviamente, andrebbero aiutati a conoscere
e ri-conoscere quei segnali che la persona in SV presenta, per utilizzarli come modalità alternative
di comunicazione, sia pur solo sensoriale o sensomotoria che sia.
Da qui l’idea di un libro-manuale utile a chiunque, interessato all’incontro con queste persone,
voglia stabilire un contatto con loro.
Finché c'è il corpo vivo di una persona non si può mai dire che non ci sia niente da fare:
si tratta di trovare la cosa giusta. Provare ad attivare una relazione con lui anche se unidirezionale
(certezze comunque non ne abbiamo), prendersene cura, occuparsi della sua alimentazione e
idratazione ( grande dibattito in attivo) “può essere espressione di solidarietà nei confronti di chi
non può più fare scelte autonome" come dice Antonio Spagnolo, direttore dell'Istituto di bioetica
dell'Università Cattolica di Roma.
Di Rossana Suglia