Numero 38 - Ricreatorio San Michele
Transcript
Numero 38 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA Anno 7 Numero 38 edizione Novembre-Dicembre 2011 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org L’ITALIA HA IL PIÙ GRANDE PATRIMONIO CULTURALE AL MONDO. PERCHÉ NON LO VALORIZZIAMO? GIORGIO BALDUCCI p. 8 TAMARA E PIETRO p. 9 GEMMA CAISSUTTI p. 10 S embra che c’importi davvero poco della cultura. È da questa affermazione, volutamente provocatoria, che partirei per cercare di spiegare le ragioni di un degrado tanto evidente quanto doloroso. Il patrimonio storico e artistico, si sa, è una parte fondamentale dell’identità stessa di un Paese, il terreno nel quale il nostro presente affonda le sue radici. Tutti siamo d’accordo sulla carta, ma al di là dei luoghi comuni o dei discorsi da bar, sembra che alla gente interessi davvero poco. I politici si sprecano in promesse di stanziamenti destinate a non avverarsi, docenti e ricercatori avviano il giradischi della solita retorica carica di lamentele e recriminazioni, i cittadini si affrettano a dare la colpa alle prime tre categorie. Ma pochi sono disposti a fare qualcosa in prima persona. Certo, non mancano anche nella nostra realtà persone motivate e appassionate, che tra mille difficoltà cercano di portare avanti progetti di valorizzazione e recupero dei beni culturali presenti sul territorio. Il problema, però, non credo sia solo la conservazione materiale del patrimonio storico-artistico, ma soprattutto il suo SAN NICOLÒ p. 12 Masaccio, “La cacciata dall’Eden” - Firenze, chiesa di S. Maria del Carmine, Cappella Brancacci, affresco. utilizzo. Ogni volta che sento la notizia di un nuovo progetto culturale, in cuor mio esulto, ma poi mi sorge una domanda ineludibile: per chi lo stiamo facendo? Senza aver chiari i soggetti, oltre agli oggetti, può essere difficile riuscire ad accettare le spese necessarie per mantere una pletora di bellezze come quella che il nostro Paese possiede. Sembra che i contributi concessi alla cultura siano troppo spesso percepiti, sia da parte dei politici, sia da parte dei cittadini, come un’elargizione a fondo perduto, un qualcosa di fastidioso ma necessario. Come se si trattasse di qualcosa che si fa sempre per altri, dei quali c’importa poco. Manca, da parte dei soggetti coinvolti, la consapevolezza che quello sui beni culturali è un investimento e non una spesa: al di là della questione educativa, indubbiamente importante, queste risorse possono diventare una considerevole fonte d’entrate. Il turismo culturale, come si può intuire, costituisce una grossa fetta delle entrate turistiche del nostro Paese, e se ben sfruttato può essere un’occasione di guadagno per molti. L’hanno capito bene le fondazioni private, tra i veri motori della conservazione e del recupero dei beni artistici. Qualcuno, tra i meno lungimiranti, potrà obiettare che l’ingresso dei privati è segno dell’incapacità degli enti pubblici nel valorizzare adeguatamente il nostro patrimonio. Lo Stato, evidentemente, non riesce a far fronte alla mole enorme di reperti che il nostro Paese possiede, molti dei quali giacciono a prendere polvere negli scantinati dei musei. Ne abbiamo troppi, e non sappiamo che farcene. Ma a me, cittadino, importa poco che a rendere godibile un Raffaello sia stato un ente con lo stemma della Repubblica o una ditta che produce torroni: l’importante è che io possa vederlo. Infine, quella che secondo me è la questione fondamentale: spesso, purtroppo, si pensa che restaurare un monumento o costruire la nuova sede di un museo basti a dare un impulso alla fruizione degli stessi, senza che sia richiesto nessun impegno aggiuntivo. Di nuovo, ci si occupa del cosa e si trascura il chi. Niente di più sbagliato: in questo modo si ottiene un’opera morta. Bella, forse, per chi l’ha ideata e per pochi altri, ma incapace di parlare alle persone e di coinvolgerle. Manca di quella ‘vita’ che è l’essenza stessa della cultura, la capacità di creare legami e relazioni tra noi e il passato, tra l’esperienza di vita di altre persone e la nostra. Nel suo saggio Il punto in movimento, il noto regista Peter Brook indica nella ‘cultura dei legami’ l’atteggiamento più alto e nobile. È proprio l’interesse, secondo Brook, la chiave di questo tipo di cultura: una parola che, lungi dall’essere banale, riveste un significato fondamentale per chiunque si voglia mettere al servizio di altre persone: essere interessati a ciò che si fa per riuscire a suscitare l’interesse di altri. Io applicherei lo stesso concetto ai beni culturali. Chi se ne occupa ha una sola missione: impiegare tutta la sua passione e la sua competenza per far sì che quei palazzi, quei dipinti e quelle statue continuino ad avere qualcosa da raccontare a ciascuno di noi. ALESSANDRO MORLACCO RADIO PRESENZA p. 7 pignarul 2012.pdf 1 12/12/2011 10:12:47 2 beni culturali: numeri e dati QUAL È IL NOSTRO ALTA UOTA in uotattualità PATRIMONIO CULTURALE? Solitamente si è molto interessati a ciò che avviene nella sfera politica, soprattutto in questi ultimi tempi, ma molto meno alla cultura. I beni culturali dovrebbero importare alla gente anche solo per il fatto che sono veri e propri valori concreti facenti parte del patrimonio di ogni paese. Anche il Friuli Venezia Giulia, sebbene sia una piccola regione, è una destinazione originale e ricca di beni culturali di ogni genere all’interno del grande contesto europeo. Spesso e volentieri non ci si rende conto della vasta ricchezza presente nel nostro territorio. Anzi, il più delle volte l’abitudine di convivere assieme ad elementi storici, artistici e culturali non permette di comprendere il loro valore, quando invece frotte di turisti arrivano da ogni parte del mondo per ammirare le nostre meraviglie e per passare delle giornate a divertirsi sulle piste sciistiche, a camminare per i parchi naturali o a visitare piccoli musei artistici e musei che raccontano il modo in cui la nostra regione è riuscita ad influenzare la grande storia. Basti pensare all’attrazione che suscitano beni folkloristici come le sagre e le feste dei vari paesi, a cui si partecipa anche solo per poter assaporare qualche piatto tipico del luogo o per gustare un buon bicchiere di vino, come accade alla ‘festa delle meridiane’ di Aiello, o alla ‘festa del malgaro’ di Ovaro, o alle rievocazioni storiche che prendono luogo nella famosa città rinascimentale a forma di stella che è Palmanova. La nostra regione è inoltre ricca di beni architettonici, ossia monumenti come castelli e borghi, ma anche di ritrovamenti archeologici. Aquileia, ad esempio, è un luogo rinomato in cui è possibile assaporare la storia, sia dell’antica Roma sia del Medioevo. La stessa importanza viene attribuita a Cividale, famosa per essere stata la prima capitale del regno Longobardo. Ma al centro della città esiste anche un ipogeo celtico: un insieme di corridoi sotterranei ricavati da una cavità naturale sull’argine roccioso del fiume Natisone. È importante il fatto che in luoghi nei quali sono sorti centri storici potrebbero essere state presenti tracce di precedenti insediamenti risalenti a civiltà antiche, dimenticate a causa delle continue costruzioni e testimonianze architettoniche. Ne è un esempio quello dei resti di una abbazia medievale ritrovati sotto alla chiesa madre di San Michele, proprio a Cervignano. In Piazza Marconi, accanto alla chiesa, si può inoltre ammirare la più antica traccia della Cervignano medievale: il mosaico policromo che ornava il pavimento della abbazia. Databile tra l’VIII e il IX secolo, nel pieno dell’età longobarda. La cosa che riesce ad affascinare gran parte della gente innamorata della storia e della cultura è che queste opere dell’uomo sono uno dei tanti modi per riuscire a comprendere lo stile di vita e le abitudini della gente del passato, che ha camminato per le strade e ha vissuto nelle nostre stesse città. Il Friuli è ricco di veri e propri segni che gli uomini dell’antichità hanno lasciato, come un’impronta fossilizzata nel terreno, o parte consumata di alcune pietre. Anche in questo caso frammentarie tracce dell’età del bronzo sono state ritrovate in più punti di Cervignano, come resti di spade, asce o coltelli. In Friuli, però, ci sono anche segni che riguardano il ricordo di un passato ancor più recente e che hanno segnato la storia mondiale. Come il monumento di Redipuglia, uno dei più grandi sacrari militari mai costruiti al mondo, in memoria dei caduti che persero la vita durante la Grande Guerra. Oppure come l’immensa Diga del Vajont, teatro della tragedia del 9 ottobre 1963, procurata dalla frana del monte Toc nel lago artificiale. La diga si trova a Erto, uno dei paesi che costituiscono il territorio del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, un bell’esempio di bene paesaggistico. Anche su quest’ultimo versante, il Friuli Venezia Giulia è un ottimo territorio, in quanto palcoscenico di ambienti completamente diversi tra loro: mare, collina e montagna da secoli sono stati capaci di influenzare le culture dei friulani e di nascondere luoghi meravigliosi e interessanti dal punto di vista naturale e geologico. A pochi chilometri da Trieste si trova la caverna turistica più grande del mondo: la Grotta Gigante. E le lagune di Grado e di Marano ospitano una ricca varietà di flora e di fauna che difficilmente gli appassionati naturalisti possono trovare nel resto del pianeta. Ma sappiamo di vivere in un ambiente carico di storia? Di avere tutti queste meraviglie attorno a noi? In un’epoca nella quale la frenesia del lavoro, l’industria e la tecnologia prendono il sopravvento su tutto ciò che ci circonda, è difficile fermarsi e rendersi conto delle meraviglie che si hanno sotto gli occhi ogni giorno. Forse, l’unico modo per iniziare a capirlo è sapere che esistono. Leggere. Informarsi. E andare a vederle. GIULIA BONIFACIO «LA COGNITIONE DEL BENE» LEGISLAZIONE SUI BENI CULTURALI: LO STATO DELL’ARTE Un diritto all’avanguardia, eppure... Dal punto di vista legislativo, l’Italia è stata la prima nazione al mondo, ben prima dell’unificazione, a dotarsi di provvedimenti a tutela del paesaggio e del patrimonio artistico. Il primo a porsi il problema fu Raffaello Sanzio, l’artista prediletto dei papi nel primo Cinquecento; di lì a poco, i vari governi locali della penisola iniziarono a legiferare in merito. Nel 1881, nella tipografia Salviucci di Roma, uscì un volume dal titolo eloquente: Leggi, decreti, ordinanze e provvedimenti generali emanati dai cessati Governi d’Italia per la conservazione dei Monumenti e la esportazione delle opere d’arte. Innumerevoli i documenti riportati: in un’infilata di duchi, granduchi, principi, re, regine, baroni, conti, cardinali, vescovi, ciambellani, camerlenghi, colpisce la straordinaria lungimiranza dei politici e degli amministratori dei secoli passati. Da questo secolare lavorio legislativo si è arrivati, passando per le esperienze della legge Croce e di quella Bottai (il miglior provvedimento preso negli anni del Fascismo, assieme alla riforma scolastica di Giovanni Gentile), all’ottimo articolo 9 della nostra Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione». Nel 2003, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sottolineò il carattere originale, per non dire unico al mondo, di questo articolo, concepito come valore fondante della Repubblica: aveva ragione. Ed è ammirevole il fatto che nel 2004 il Parlamento abbia deliberato il Codice dei beni culturali e del paesaggio, finalmente un testo unico e organico che sistema tutto il marasma delle leggi precedenti. Qual è, allora, il problema? O meglio: perché, in Italia, si verifica la follia totale che i beni culturali vengano percepiti come un problema? Cosa compete a chi? Il dramma italico della responsabilità L’assurdo è evidente: abbiamo un giacimento d’arte e bellezza sterminato, senza eguali nel mondo, eppure non sappiamo cosa farne. A mancare, l’abbiamo visto, non sono le leggi sulla tutela, bensì una strategia nazionale di valorizzazione. I vincoli alle costruzioni selvagge esistono: eppure, vengono sistematicamente aggirati grazie ai poteri delle regioni, delle province e dei comuni, che hanno la possibilità di infiltrarsi nelle falle del sistema, applicare «deroghe». E poi, tanto, c’è sempre un condono edilizio che ricorre a cadenza regolare. Paradossale, inoltre, è il fatto che la tutela del patrimonio spetti allo Stato, mentre la sua valorizzazione alle Regioni: una divisione che non ha ragion d’essere, poiché si tratta di due lati della stessa medaglia. Per capirci: lo Stato può anche restaurare Villa Adriana a Tivoli, ma se poi la Regione Lazio decide di costruire a pochi passi una discarica (è notizia dello scorso novembre), l’intervento di recupero diventa inutile. Nonostante la risistemazione dovuta al Codice unico del I NUMERI DEI BENI CULTURALI ITALIANI • 95.000 chiese monumentali • 40.000 fra rocche e castelli • 30.000 dimore storiche con 4.000 giardini • 36.000 fra archivi e biblioteche • 20.000 centri storici • 5.600 musei ed aree archeologiche • 1.500 conventi • 46 siti UNESCO (che però comprendono spesso più luoghi assieme) 2004, non c’è ancora una chiara distinzione dei ruoli e dei poteri dei vari enti. Ed ecco che le Soprintendenze litigano con i Comuni, i Comuni con le Province, le Province con le Regioni, le Regioni con lo Stato, lo Stato con le Comunità Montane, le Comunità Montane con i Consorzi, i Consorzi con gli Enti del turismo, e tutti con i privati. ‘Privati’: fra tabù e parola magica Già, i privati, quella generica entità che viene invocata ogni volta in momenti di crisi: perché, si dice, i cittadini più abbienti non contribuiscono alla valorizzazione nel nostro patrimonio? Si dà la colpa a un sostanziale disinteresse e spesso è vero, ma è ancora più vero che in Italia l’intervento dei privati viene spesso ostacolato da vincoli di ogni sorta, a partire da un caso banale: per aprire un punto di ristoro in un luogo archeologico - provate a visitare, in estate, certi siti nel cuore della Sicilia e della Sardegna e mi saprete dire - un potenziale gestore deve percorrere un sentiero di guerra... e l’autorizzazione non è affatto scontata. Poi, certo, le regole devono essere chiare: ma perché, allora, non si applica lo stesso rigore a chi ha costruito senza autorizzazione nella Valle dei Templi di Agrigento? Non va meglio per chi decide di restaurare: i privati proprietari di beni culturali pagano l’IVA sui lavori. Nemmeno la generosità è sufficiente; in molti casi, ricchi collezionisti di opere d’arte hanno lasciato in eredità allo Stato le loro proprietà, con la clausola di renderle fruibili al pubblico... e tale clausola è rimasta lettera morta. Capita ai Musei Civici di Padova, dove il lascito (risalente alla fine dell’Ottocento!) della famiglia nobile Capodilista è ancora negli scantinati. VANNI VERONESI L’interno della Basilica di Aquileia. fotografia della situazione UN PAESE SCHIZOFRENICO 3 UN PATRIMONIO CULTURALE IMMENSO, MA NON SAPPIAMO COSA FARNE Il caso simbolo: Pompei Oltre al patrimonio artistico, l’Italia è nota nel mondo in quanto ‘Belpaese’, ossia per il suo meraviglioso paesaggio. Un paesaggio, però, che negli ultimi decenni ha subito offese di ogni sorta. Si dice sempre che il modo migliore per difendere il territorio sia lasciarlo alle cure dei contadini, specie nelle montagne: ebbene, secondo il dossier Wwf sul consumo del suolo in Italia (2009: l’anno del cemento), «dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro paese è aumentata del 500%». Il punto della situazione è in un recente libro del grande archeologo Salvatore Settis: Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Einaudi, 2010). Nel volume, i dati sono elencati con una precisione che, ahinoi, non lascia respiro: si scopre, così, che nel solo 2006 in Italia sono sorte 732.157 nuove unità immobiliari, che nel 2008 sono stati completati 59.000 edifici residenziali, con una volumetria di quasi 126,2 milioni di metri cubi, che nel periodo 1995-2006 i comuni italiani hanno rilasciato in media permessi per un’edificazione totale di 3,1 miliardi di metri cubi. La cronica mancanza di fondi Nel marzo del 2011 l’eminente archeologo Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali del Ministero, si è dimesso in aperta polemica con le scelte del Governo che implicano continui tagli. Si legge nella sua lettera che le dimissioni sono state inevitabili «nella constatazione dell’impossibilità del ministero di svolgere quell’opera di tutela e sviluppo del patrimonio culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio». Carandini era stato nominato nel 2009 dopo che lo stesso incarico era stato lasciato da Salvatore Settis per motivi analoghi. La nostra politica, per la sua proverbiale miopia, non ha ancora capito che i fondi per la gestione dei Beni culturali non sono a fondo perduto: il turismo, in Italia, vive grazie al nostro patrimonio. Ma chi verrà a vedere Pompei quando non esisterà più? L’iperbole è evidente, ma il problema è reale: se non si interviene, con una strategia seria, su tutto il territorio nazionale, rischiamo di mandare in rovina la nostra stessa identità. MARCO SIMEON I 46 SITI UNESCO D’ITALIA (numero record nel mondo) (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization) 1979 Arte Rupestre della Val Camonica 1997 1980 (e 1990) Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San Paolo fuori le Mura Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata 1997 Area archeologica di Agrigento 1980 La Chiesa e il convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie e il ‘Cenacolo’ di Leonardo da Vinci 1997 La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina 1997 Villaggio Nuragico di Barumini 1998 Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa di Padula 1998 Centro Storico di Urbino 1998 Zona archeologica e Basilica Patriarcale di Aquileia 1982 Centro storico di Firenze 1987 Venezia e la sua Laguna 1987 Piazza del Duomo a Pisa 1990 Centro Storico di San Gimignano 1993 I Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri di Matera 1999 Villa Adriana (Tivoli) 1994 La città di Vicenza e le ville del Palladio in Veneto 2000 Isole Eolie 2000 1995 Centro storico di Siena Assisi, La Basilica di San Francesco e altri siti Francescani 1995 Centro storico di Napoli 2000 Città di Verona 1995 Crespi d’Adda 2001 Villa d’Este (Tivoli) 1995 Ferrara, città del Rinascimento, e il Delta del Po 2002 1996 Castel del Monte Le città tardo barocche della Val di Noto (sudest della Sicilia) 1996 Trulli di Alberobello 2003 Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia 1996 Monumenti paleocristiani di Ravenna 2004 Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia 1996 Centro storico di Pienza 2004 Val d’Orcia 1997 La Reggia di Caserta del XVIII con il Parco, l’acquedotto Vanvitelli e il Complesso di San Leucio 2005 Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica 2006 Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli 1997 Residenze Sabaude 2008 Mantova e Sabbioneta 1997 L’Orto botanico di Padova 2008 1997 Portovenere, Cinque Terre e Isole (Palmaria, Tino e Tinetto) La ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e del Bernina 2009 Dolomiti 1997 Modena: Cattedrale, Torre Civica e Piazza Grande 2011 I longobardi in Italia. Luoghi di potere (fra cui Cividale del Friuli) 1997 Costiera Amalfitana 2011 Siti palafitticoli preistorici delle alpi ALTA UOTA Ma Pompei è solo il caso più evidente. C’è la città romana di Sapino, nel Molise: un grande sito archeologico a cielo aperto, dove il biglietto al Museo costa due euro, e l’ingresso al parco, che comprende colonnati romani, ville e anche un teatro a emiciclo, è libero. Le immagini sono quelle di un luogo abbandonato, senza alcuna forma di pubblicità. La stessa Soprintendenza di Campobasso è costretta ad ammettere che non ci sono neanche i soldi per tagliare l’erba che cresce alta sui monumenti: del resto, con appena 215.000 euro per le attività in tutta la Regione, un intervento effettivo pare difficile. Ma anche i monumenti più celebri non se la passano meglio: basta fare un breve giro nell’immensa Reggia di Caserta, dove filtra l’acqua nei locali che ospitano l’archivio Borbonico, e dove molte stanze restaurate e meravigliose restano chiuse per mancanza di personale. Reggia di Caserta che rischia addirittura di chiudere per l’impossibilità di pagare con i propri fondi le forniture di luce. Oppure è eloquente una visita a Pozzuoli, dove nel Castello Aragonese è stato istituito lo splendido Museo dei Campi Flegrei, che raccoglie moltissime opere greche e romane ed è stato premiato nel 2008 come miglior museo dell’anno. Nel 2009, risulta chiuso per mancanza di personale di custodia. Eppure, a Pozzuoli, per i restauri e il Museo, sono stati spesi circa 230 milioni di euro. E del resto è dell’agosto di quest’anno la notizia dello Sposalizio della Vergine di Raffaello salvato dalla pioggia che filtrava dentro la Pinacoteca di Brera, a Milano. A riprova che anche celeberrimi capolavori dell’arte italiana non sono salvi dallo sfacelo. Anche in questo caso il Soprintendente denuncia: mancano i fondi per le ristrutturazioni. La geografia dell’abbandono, tuttavia, è molto più estesa ed è fatta di piccoli casi, sparsi ovunque e in numero impressionante. L’Aquileia romana è per la maggior parte ancora sotto terra, in attesa di scavi che forse non arriveranno mai; sempre ad Aquileia, la stazione ferroviaria da cui partì la carovana con la salma del Milite Ignoto è assediata da lamiere e immondizia. Villa Reale a Monza, con il suo parco cintato più grande d’Europa, giace nello sfacelo ed è oggetto di vandalismo. Ad Asolo, il castello della regina Caterina Cornaro (1454 - 1510), teatro dei Geografia della cementificazione La via Appia, la gloriosissima via Appia dei Romani, è oggetto di speculazione selvaggia. Villa Adriana a Tivoli vedrà forse sorgere a pochi passi una discarica. L’incuria dell’entroterra e gli scempi edilizi hanno rischiato di spazzar via le Cinque Terre, meraviglia che tutto il mondo ci invidia. Il caso più drammatico, però, è senz’altro quello del Veneto, dove una malintesa civiltà del «capannon», retaggio di quando il Nord-Est era la locomotiva d’Italia, ha annientato un territorio fiabesco, prima dominato dalle ville di Andrea Palladio: il poeta della Marca Trevigiana Andrea Zanzotto, morto lo scorso 18 ottobre, è stato il più attento osservatore di questo fenomeno, ma il suo grido di dolore è rimasto inascoltato. uotattualità Geografia dell’abbandono dialoghi Asolani scritti dall’umanista Pietro Bembo, è completamente abbandonato. La zona archeologica della siciliana Tindari, cantata da Salvatore Quasimodo nella sua celebre poesia Vento a Tindari, è fruibile solo in parte ed è sfigurata dal degrado. Le meravigliose chiese dei Sacri Monti lombardi, con i loro stupendi cicli di sculture del Cinque-seicento, sono costantemente oggetto di vandalismo per la cronica carenza di controllo. Il semplice mosaico longobardo di Cervignano, presso la chiesa di S. Michele, è ridotto a una serra per piante. Casi come questi si sprecano e segnalano un preoccupante disinteresse della politica e, spesso, degli stessi cittadini. in Pompei, notizia del 27 ottobre 2011: un altro muro che si abbatte al suolo, danneggiata la Casa di Diomede. Pompei, il più grande sito archeologico al mondo, è senz’altro il simbolo dell’incuria e del degrado in cui versano tanti patrimoni di inestimabile bellezza. Già nel 2009, il programma di Rai3 Presa Diretta analizzava la situazione del sito: ce n’era un po’ per tutti i gusti. Costruzioni abusive a ridosso dell’area archeologica che non si riesce a espropriare perché il Ministero non ha soldi; mosaici lasciati alle suole dei turisti che si vanno sgretolando, dipinti e affreschi abbandonati alle intemperie, teche talmente piene di muffa da non lasciar vedere ciò che contengono. E ancora, tetti che crollano, muri che cadono, monumenti che conservano i puntelli del terremoto del 1980, aree danneggiate dalla Guerra nel 1944 e ancora non riparate. Meno male che solo l’11 novembre di quest’anno, il Ministro per i Beni Culturali uscente Galan dichiara: «Le norme contenute nella legge di stabilità approvate oggi al Senato confermano l’inversione di tendenza riguardo le risorse umane e finanziarie destinate in favore della cultura, che dopo anni vedono con questo governo un primo, significativo incremento. Inoltre vengono sbloccate 168 assunzioni, di cui 20 per la sola Pompei, e viene permesso l’utilizzo dei notevoli risparmi del 2011 per procedere a ulteriori assunzioni fino al 2012. Norme che invertono l’endemica diminuzione del personale del MiBAC e mi auguro possano essere rese definitive». Peccato che in Presa Diretta del 2009, la Direttrice dell’Ufficio Tecnico della Soprintendenza di Pompei Paola Rispoli dichiarasse che la carenza di personale nell’area archeologica ammonta a circa cinquecento unità, e che per una manutenzione complessiva sarebbero necessari quasi trecento milioni di euro. Notizia recente, dei primi di novembre, è però quella della visita in Italia del commissario europeo alle politiche regionali Johannes Hahn, recatosi a Pompei con i Ministri competenti per definire un progetto di salvataggio dell’area archeologica con fondi europei per un ammontare di circa 105 milioni di euro. A detta di molti, questa operazione appare l’unica via di scampo per il sito. 4 l a p a r o l a a g l i esp erti TURISMO CULTURALE: UNA SFIDA DA AFFRONTARE UNITI IMPARA L’ARTE E BUTTALA DA PARTE LA RICETTA DELL’ESPERTO DI MARKETING «Il museo tradizionale? Non basta più». Ad affermarlo è MAURIZIO DROLI, 46 anni, originario di Tolmezzo e titolare dello studio Droli & Partners di Udine. «Oggi ci vogliono proposte culturali basate sulla collaborazione tra istituzioni e sul coinvolgimento attivo del visitatore, con attenzione al mercato», spiega Droli, docente a contratto di Marketing del turismo presso il corso di laurea in Scienze e tecniche per il turismo culturale dell’Università degli Studi di Udine, nonché docente a contratto presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca. I Vantaggi del Co-marketing. Tempi difficili, lavoro di squadra e rilancio dell’Italian Style, è il titolo del suo ultimo libro, in uscita per i tipi della CLEUP di Padova. in uotattualità - Dott. Droli, in cosa consiste il turismo culturale? «La risposta, al contrario di quanto si può pensare, non è banale: c’è molto di più rispetto alla semplice visita a una città d’arte. L’organizzazione del turismo culturale è una via di mezzo tra arte e tecnica. Si tratta di una proposta che mira a rendere remunerative le risorse storiche e artistiche presenti in un territorio. Chi ne beneficia sono i gestori di musei e monumenti, innanzitutto, ma anche i ristoratori, gli albergatori e i commercianti, solo per citarne alcuni. Pensi solo che un turista straniero in visita alle nostre città spende mediamente 110 euro al giorno! Tutto ciò, naturalmente, non può essere campato in aria, ma deve essere strettamente basato su ciò che chiede il mercato». - Chi è ‘l’utente tipo’ di questa proposta turistica? «Un ‘utente tipo’ in senso assoluto non esiste, dipende molto dalle mete che vogliamo prendere in considerazione. In generale, si tratta di persone di livello culturale medioalto, spesso superiore alla media, che viaggiano più spesso degli altri. Anche le età sono piuttosto varie: esistono proposte adatte ai giovani, alle famiglie, agli anziani. Spesso, comunque, chi fa turismo culturale è una persona ritirata dal lavoro, con più tempo da dedicare all’arte e alla cultura. La nostra regione, per un insieme di fattori tra i quali la presenza di ottimi servizi sociali e sanitari, ha ottime potenzialità per attrarre, anche dall’estero, persone di una certa età che vogliano trascorrervi un periodo di vacanza o trasferirsi stabilmente». - Qual è la rilevanza economica di questo fenomeno, nel nostro paese? E nella nostra regione? «I dati MIBAC (Ministero per I Beni e le Attività Culturali, ndr) 2007 ci dicono che il 30% di tutti i flussi turistici nel nostro Paese riguarda mete di interesse storico-artistico, e può dunque rientrare a pieno titolo nel turismo culturale. Per confronto, pensi che il mare, che è la destinazione preferita, rende conto del 38% circa degli arrivi. Nel nostro Paese abbiamo 352 città di riconosciuto interesse storico-artistico, e turisti stranieri spendono nelle nostre città d’arte circa 9,8 miliardi di euro l’anno. In regione (dati www.turismofvg.it, ndr), nel 2011 tutte le città d’interesse culturale hanno registrato risultati positivi: i primi 8 mesi hanno visto Trieste attestarsi su un +10,8% rispetto all’anno precedente, con risultati positivi anche per gli altri capoluoghi di provincia. Situazione incoraggiante per le cosiddette ‘perle d’arte’ della nostra Regione, che comprendono Cividale, Codroipo, Gemona, Sacile, San Daniele, Spilimbergo e Venzone. Nel complesso, gli arrivi in queste località hanno totalizzato un + 7,5%. Codroipo, in particolare, ha registrato uno stupefacente + 34,9%». - Secondo lei, il nostro patrimonio artistico è adeguatamente valorizzato da questa modalità di fruizione? O è d’accordo con chi sostiene che il nostro paese sia molto indietro su questi temi? «Se sia ben amministrato sotto il profilo culturale, non spetta a me dirlo... Per quanto riguarda gli aspetti economici, mi spiace dover ammettere che il nostro Paese è un colabrodo. Siamo uno Stato che conta ben 46 siti Unesco, ma nel loro sfruttamento siamo molto, molto indietro rispetto ad altri. Abbiamo un buon numero di musei e teatri, ad esempio, che senza un costante e invadente contributo economico da parte degli enti pubblici avrebbero già chiuso da tempo, perché non riescono a stare sul mercato. Per non parlare dell’amministrazione delle aree archeologiche: non mi riferisco solo a Pompei, ma anche alla stessa Aquileia. Si sa che il fatturato netto dei musei proviene solo dai biglietti emessi, ma perché non pensare anche ad altre attività? Perché, ad esempio, un museo non può noleggiare biciclette per chi voglia fare un giro nei dintorni, oppure ospitare attività ricettive? Sarebbe ora di smetterla con il ‘purismo’ tipico del museo italiano, e programmare una gestione economica più attenta». ALTA UOTA - Quello che lei dipinge è un quadro piuttosto negativo. Ma ci saranno pure degli esempi positivi? «Ma certo, e anche per questo sostengo che il nostro Paese sia un colabrodo! A situazioni ideali si affiancano realtà nelle quali c’è da mettersi le mani nei capelli. Cito come esempio quello dei musei sensoriali, soprattutto scientifici, nei quali al visitatore viene fatto sperimentare ‘sulla sua pelle’ che cos’è la scienza. Oggi c’è bisogno non solo di una cultura statica, tradizionale, ma anche di un coinvolgimento attivo delle persone in ciò che stanno osservando: penso innanzitutto ai musei della Grande Guerra, che oltre a esporre i cimeli portano i visitatori con i carri direttamente sulle trincee, consentendo loro di vivere un’esperienza più completa ed emozionante». - Cosa si può fare, allora, per amministrare al meglio il nostro patrimonio storico-artistico, anche dal punto di vista turistico ed economico? «Come sempre, bisogna essere umili e imparare dai più bravi. I migliori, in questo campo, sono gli amministratori che hanno compreso l’importanza del fare marketing insieme: è questo il sistema per avere i migliori risultati. Non sempre è facile far capire ai musei più piccoli quanto sia vincente questa strategia, ma in tempi di crisi come questi bisognerebbe rendersi conto che le strategie di marketing di un museo non sono affatto facili da organizzare da soli. Mettendosi insieme, invece di combattere una ‘guerra tra poveri’, si possono unire capacità e competenze. Una cosa è certa: siamo in un’epoca di grandi cambiamenti, e chiunque operi nel campo dei beni culturali è chiamato a rispondere alle sfide che questa rivoluzione ci pone». ALESSANDRO MORLACCO Si tratta ovviamente di una provocazione, ma è questa che ho utilizzato per ascoltare MONICA ZAMOLO, la professoressa di ‘arte e immagine’ (un tempo chiamata educazione artistica) alle scuole medie cervignanesi. La incontro a casa sua, una bella villetta delle nuove zone abitative, insieme alla famiglia e ai suoi bellissimi ed impegnativi bambini. La cena sul fuoco ed il computer collegato alla rete. Mentre sistema la prole con il piglio del ‘domatore’ le chiedo di raccontami un po’ di lei. Classe 1968, è arrivata a Cervignano dopo il matrimonio ed è originaria di Venzone. Laureata in architettura a Venezia, ha fatto il praticantato per l’esercizio della libera professione, ha collaborato con l’Università udinese ed ha fatto alcune esperienze nel campo della conservazione dei beni architettonici proprio nella ‘sua’ Venzone del dopo terremoto. Contemporaneamente i concorsi e l’ingresso nella scuola. Prima come una fra le altre cose, ma presto ritrovando la passione per il contatto umano e la libertà dai condizionamenti che l’esercizio professionale inevitabilmente impone. La scelta poi di insegnare arte anziché tecnica risponde pienamente alla voglia di creatività. Entriamo allora nel vivo dell’argomento: - Si dice che il patrimonio artistico e culturale dell’Italia sia uno dei più preziosi al mondo ed uno tra i meno curati. Qual è il suo pensiero? «La ricchezza del nostro patrimonio artistico sta nella sua vastità e diffusione. Oltre ad attraversare praticamente tutte le epoche della storia umana, i segni della presenza dell’arte in Italia sono letteralmente in mezzo a noi. La gestione, la conservazione e la valorizzazione delle opere d’arte, ma più in generale di tutto il ‘contesto’ paesaggistico che definiamo ambiente è affidato alla struttura pubblica, incapace però di innescare il meccanismo economico che un ambiente curato è in grado di generare. Un esempio a noi vicino rende bene l’idea: il borgo di Strassoldo, pur non essendo in definitiva di grande rilievo sotto il profilo artistico, ha dimostrato di saper attrarre notevole interesse di pubblico e di essere un buon volano economico, ma solo in quanto frutto di iniziativa privata». - Ma, allora, perché ci vogliamo così male? «Non esiste in effetti una responsabilità precisa, ma sembra vi sia una convergenza di energie negative verso il ‘maltrattamento’ del nostro ambiente e dell’arte. Innanzitutto la famiglia: succede che la meta delle vacanze sia una spiaggia lontana, ma magari nessuno è mai stato ad Aquileia. Gli stessi mezzi di comunicazione hanno relegato il documentario artistico a poche sparute apparizioni in orari marginali. La politica, evidentemente, nel momento in cui afferma che non ci sono fondi per la tutela del patrimonio, esprime una scelta. E la scuola ha le sue responsabilità quando preferisce trasmettere nozioni, piuttosto che suscitare curiosità. Si potrebbe veramente fare di più». - Restiamo in argomento. Qual è oggi la situazione dell’insegnamento dopo riforme e tagli? «Le difficoltà non mancano, anzi. Le modalità di apprendimento sono ‘mutilate’ dalla mancanza di strutture o dal loro inutilizzo, l’attività pratica è al lumicino per i costi del materiale che la struttura pubblica non possiede e le famiglie non possono permettersi, i pochi mezzi a disposizione sono gestiti senza progettualità. I programmi ci sarebbero, ma la loro applicabilità dipende molto dalla buona volontà del singolo insegnante ed inevitabilmente dalla sensibilità della struttura pubblica. E così si apre una forbice che differenzia scuola da scuola, ma anche classe da classe, che spesso risulta ancora più evidente a causa dell’indifferenza delle famiglie». - Ma fuor di retorica, il nostro patrimonio artistico e culturale potrebbe essere una risorsa per le future generazioni? «Sicuramente, e non solo sotto l’aspetto economico. Ma è davvero parte di noi, anche se non ne siamo consapevoli. Non v’è dubbio che le nostre radici siano la premessa del nostro futuro. Conoscere meglio il nostro passato, la nostra storia ci permetterebbe di affrontare meglio le sfide e le incognite che ci attendono. Vivere poi in un ambiente curato e rispettoso di se stesso crea ricchezza di per sé. Anche qui, in questa città, ben organizzata e ricca di servizi, ci sono però ‘brani’ di sviluppo ed espansione che sembrano quasi frutto del caso, privi di progettualità, di continuità e assolutamente irrispettosi del territorio. Non ci sono in definitiva grandi valori artistici, anche se quelli che ci sono potrebbero essere meglio valorizzati, ma una bella vigna potrebbe comunque essere considerata meglio di un centro commerciale». - In tutto questo, che assomiglia molto ad un rito funebre, c’è qualcosa che ci possa far sperare? «Le difficoltà si possono tradurre in opportunità. Ѐ quando le cose sono difficili che emergono le energie più vitali. Vanno quindi colte nuove modalità. Il metodo progettuale ci insegna che è proprio dalla presenza di vincoli che si esprime la creatività. E se crediamo che sia la politica a condizionare le scelte e non le condividiamo, allora forse vuol dire che è arrivato il momento di mettersi in gioco personalmente». GIUSEPPE ANCONA Vuoi fare pubblicità su ALTA UOTA ? Contatta Alex Zanetti › 3403611418 Sandro Campisi › 3474007667 q u a l i s o l u z i oni? PROPOSTE PER I NOSTRI BENI CULTURALI SOLUZIONI A GRANDI LIVELLI Cancellare l’assurda divisione fra «tutela» del patrimonio, affidata allo Stato, e «valorizzazione», affidata alle Regioni, e concentrare tutti i poteri in un unico ente con cui tutti gli altri si limitino a collaborare; investire nel settore dei Beni Culturali riportando i fondi del Ministero a livelli accettabili; armonizzare tutta la legislazione sul tema; fare in modo che gli interventi di restauro siano completamente deducibili dalle tasse; aprire la gestione dei Beni anche ai privati, facendo rispettare le regole già esistenti; inasprire le pene per chi costruisce abusivamente e abolire la pratica dei condoni edilizi; procedere a nuove assunzioni nelle Soprintendenze, imponendo requisiti di alto profilo; eliminare gli enti inutili e mangiasoldi; finirla, per sempre, con le nomine politiche; progettare, per ogni museo, un piano di spesa e di marketing di durata pluriennale. Tutte queste proposte le abbiamo sentite e lette ovunque e vanno sottoscritte in pieno: il settore dei Beni Culturali, in Italia, necessita di un ripensamento globale. Come afferma il noto critico Philippe Daverio, «sembra che di tutto questo patrimonio non sappiamo più che farne»: è assente, infatti, un piano nazionale, ognuno fa (se fa) come può o come vuole, per conto suo, spesso in aperto contrasto con i suoi dirimpettai. COPIARE I BUONI ESEMPI, DALL’ITALIA E DALL’ESTERO RISTRUTTURARE IL SITO DEL TURISMO WWW.ITALIA.IT PARTENDO ‘DAL BASSO’ Il sito internet www.italia.it è il portale internet ufficiale del turismo in Italia, costato circa 80 milioni di euro. Soldi ben spesi? Per niente. Sulla autentica vergogna di questo sito, pieno di informazioni sbagliate, errori di ortografia, testi scritti con i piedi, la letteratura è sterminata: da una versione iniziale semplicemente scandalosa si è arrivati, oggi, a un prodotto quantomeno guardabile, ma ancora lontanissimo dal poter essere considerato degno di un paese all’avanguardia. Un’efficace comunicazione, se si vuole dare nuova vita al nostro patrimonio, è fondamentale. San Canzian d’Isonzo era chiamata chiamata Aquae Gradatae dai Romani: vi passava la via Gemina. Poi cambiò nome in memoria del martirio dei fratelli Canzio, Canziano e Canzianilla, condannati a morte nel 304 in quanto cristiani. Ebbene: lo sapevate che in città sorge un antiquarium con resti romani e che, nella chiesetta di S. Proto, sono conservati due sarcofagi con dediche ai martiri aquileiesi del IV sec. Proto e Crisogono? Un portale ufficiale del turismo italiano dovrebbe rendere conto anche di questo, per non dire soprattutto: Roma, Firenze e Venezia non hanno certo bisogno di pubblicità. Invece, sul sito non c’è alcuna traccia dei centri minori, salvo i soliti noti: Gemona, Venzone, San Daniele. Eppure, basterebbero poche righe, inviate dallo stesso comune di San Canzian d’Isonzo ai gestori del sito: poche righe in cui si sottolinea il legame con il vicino circuito di Aquileia e Grado, si usa qualche aggettivo di sicuro effetto («inestimabile» va sempre bene) e si racconta la leggenda dei martiri. E così potrebbero fare tutte le amministrazioli locali, ognuna delle quali è ben interessata ad accaparrarsi visitatori. In Italia, ogni Pro Loco stampa guide per il turismo: basterebbe convertirle in formato digitale e farle convergere tutte su www.italia.it. SECONDO L’ASSOCIAZIONE ‘CERVIGNANO NOSTRA’… IL PATRIMONIO DA SALVARE A CERVIGNANO 1) La villa romana nell’area Rossato, purtroppo ricoperta per la realizzazione dell’area artigianale. 2) Le presenze di materiale romano nella zona dell’Obiz. 3) L’ex scuola di via Roma, bellissima architettura dei primi Novecento. 4) Il quartiere settecentesco che ruota attorno alla chiesa di S. Girolamo, di origine medievale, sorta sul IV miglio della via romana Julia Augusta. Su una di queste case è presente uno stucco dipinto del 1729, raffigurante la Trinità. 5) I Molini Variola, risalenti ai primi del Novecento, vecchia gloria dell’archeologia industriale cervignanese. 6) L’ex zuccherificio di via Cajù, ottimo esempio di architettura razionalista, inagurato dallo stesso Mussolini. 7) La palazzina di comando della caserma ‘Monte Pasubio’ in via III Armata. 8) Le sopravvivenze della Cervignano ‘storica’: le case di fronte a via Verdi, le case sull’Ausa lungo via Trento e la casa Salomon. 9) Il Canevon, erede delle fortificazioni veneziane del Seicento, nell’area di borgo Fornasir. 10) Le sopravvivenze della medievale chiesa di S. Gallo vicino Strassoldo, secolare tappa di pellegrinaggi. 11) Le numerose trincee della Prima Guerra Mondiale sparse in tutto il centro città. 12) Il ‘Casson’ a Muscoli, piccolo sistema di paratie costruito dalla Serenissima per regolare il flusso d’acqua del fiume Taglio. 13) Le nostre campagne, ovviamente... per non distruggere il paesaggio rurale. IL PATRIMONIO DA VALORIZZARE A CERVIGNANO 1) Scavi archeologici, reperti e mosaico esterno presso la chiesa di S. Michele Arcangelo. 2) Il preziosissimo crocifisso del Duecento nella cappella Bresciani. 3) Il borgo di Strassoldo. 4) La chiesa di S. Maria in Vineis a Strassoldo, con i suoi splendidi affreschi trecenteschi. 5) Le nostre ville storiche: villa Bresciani, villa Obiz, villa Vitas, villa Chiozza, villa Sepulcri-Albini (nota come Villa Trovatore), villa Merkl, casa Zanier, casali Dean, più tutte le ville rurali sei-settecentesche di Scodovacca. 6) I reperti preistorici, romani e medievali ritrovati negli ultimi due secoli in varie località del nostro Comune e oggi sparsi nei musei di Gorizia, Aquileia, Cividale: laggiù sono solo pochi pezzi fra i tanti (e spesso giacciono negli scantinati), da noi formerebbero il nucleo di un eccellente antiquarium. 7) Le 23 ancone sacre sopravvissute (delle 29 originali) sparse in tutto il Comune. Esse coprono un arco di tempo che va dal Medioevo alla metà del Novecento. 8) Tuti gli oggetti d’arte sacra lasciati alla polvere degli scantinati nelle nostre chiese. APRIRSI AL PUBBLICO ATTRAVERSO INTERNET 9) La quarantina di epigrafi romane diffuse nel nostro territorio o conservate al Museo Archeologico di Aquileia. Parlando di beni culturali, quasi sempre ci si dimentica 10) I nostri borghi rurali: borgo Modena, borgo Fornasir, Pradiziolo e delle nostre favolose biblioteche storiche, dove sono conservati milioni di manoscritti copiati nel arteottica.pdf Medioevo15/02/2010 dagli 19.52.07 Ca’ Bolani. ALTA UOTA Nella puntata di Report del 4 dicembre scorso veniva messo in luce un esempio di buona gestione delle risorse culturali: quello della fondazione Ravennantica, capitale del mosaico, che è riuscita a mettere insieme enti locali, fondazioni bancarie, Soprintendenza, Università e 1200 cittadini che pagano una retta dai 30 ai 50 euro per sostenerne i progetti. Gli introiti sono stati tali da aver permesso, l’anno scorso, di aprire al pubblico una villa romana prima inagibile: in un anno, 60.000 visitatori e bilancio in pareggio. Tuttavia, spiace dirlo, casi del genere sono molto rari in Italia, mentre sono la norma all’estero. In Francia, i Castelli della Loira formano un circuito turistico unico dagli anni Sessanta: stessi orari da castello a castello, percorsi comuni e addirittura marchio registrato. In Francia, l’insieme dei 19 castelli in un anno gode di 8 milioni e mezzo di visitatori, 1 miliardo di euro di ricavi e 280.000 posti di lavoro. Noi, nel nostro piccolo Nord-Est, abbiamo 4238 ville venete: 4238 ville contro 19 castelli, eppure non riusciamo a farle fruttare. Molte giacciono nel più totale abbandono, altre sono chiuse, le rimanenti aperte con orari tutti diversi: nessun coordinamento, un sito internet (www.villevenete.net) che ha spesso problemi di credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47 visualizzazione. Pur nella consapevolezza che mettere Avete presente le piramidi di urne cinerarie che si ergono nel giardino del Museo Archeologico di Aquileia? Sono uno studioso di antichistica, quindi sono il primo a difendere il valore finanche del frammento di fibula, ma mi chiedo: abbiamo davvero bisogno di conservare centinaia di urne romane tutte uguali? Accatastate in quel modo, non valgono nulla; vendute ai privati, diventano pezzi di valore, ottimi per ricavare denaro da investire nel restauro di ciò che effettivamente conta: mosaici, epigrafi, statue, affreschi, intonaci, tutte cose che ad Aquileia soffrono un’incuria che dura da troppi anni. Lo stesso discorso vale per il numero spropositato di anfore che invadono tutti i musei archeologici d’Italia: un giacimento di oggetti che resta a prendere polvere senza motivo e che, una volta venduto (o come minimo dato ‘in comodato’), frutterebbe ingenti somme. Ai privati, naturalmente, spetterebbe l’obbligo di conservare con cura tali reperti e renderli accessibili agli studiosi qualora lo richiedano, pena multe salatissime. uotattualità Ma prima di pensare al nostro patrimonio in termini economici, dobbiamo metterci un testa, una volta per tutte, che la cultura, l’arte e il bello sono nutrimento per l’intelligenza e lo spirito: stimolano idee, sollecitano riflessioni, spingono al confronto e all’innovazione. In altre parole: sono un valore di per sè. Un valore educativo che il tempo non può scalfire: avremo sempre bisogno di Leonardo da Vinci e Andrea Mantegna, di Piero della Francesca e Antonio Canova, perché avremo sempre bisogno di confrontarci con le opere più sublimi concepite dal genere umano. Non c’è crisi che tenga di fronte agli affreschi di Giotto nel duomo di Assisi: il nostro anelito di bellezza non cede ai mercati e allo spread, semmai aumenta proprio a causa del male che ci circonda. A tutto questo dovrebbe educare la scuola, tramite i suoi docenti di storia dell’arte: peccato che la riforma Gelmini abbia ridotto al lumicino questa disciplina, tagliandola da molti curricula scolastici. Una scelta del genere, in un paese come l’Italia, non solo è cretina dal punto di vista meramente economico (non conoscere il patrimonio culturale significa abbandonarlo a se stesso e, dunque, lasciarlo improduttivo), ma è profondamente immorale. Dunque, l’urgenza immediata è quella di ripristinare i vecchi programmi di storia dell’arte e addirittura incrementarli, magari cancellando il penoso liceo ginnico (?) appena istituito dall’ex ministro. Solo recuperando una coscienza storica si potrà creare, nelle future generazioni di Italiani, una coscienza civica sui temi della tutela e valorizzazione del patrimonio. VENDERE QUELLO CHE NON SERVE amanuensi: senza il paziente lavoro di questi ultimi, non avremmo nessun autore della letteratura greca e latina, ma nemmeno Dante e gli autori precedenti all’invenzione della stampa. Tutti i paesi europei, Svizzera in testa (http://www.e-codices.unifr.ch/it), sta provvedendo alla digitalizzazione completa dei manoscritti presenti sul loro territorio: qualità di riproduzione altissima, immagini scaricabili gratis da internet. Il primo esempio italiano di questo genere è della Biblioteca Nazionale di Firenze: http://www.bncf.firenze.sbn.it/pagina.php?id=35, splendido portale da cui si può accedere, tra l’altro, alle carte originali di Galileo e a preziosissimi codici letterari. Con l’eccezione della Biblioteca Laurenziana, sempre a Firenze, l’esempio è rimasto un caso isolato: i costi sono eccessivi. Ma è un falso problema: in America, il sito americano www.archive.org sta mettendo on line, in formato pdf, tutto il materiale librario su cui è scaduto il diritto d’autore (dai 100 anni in giù). Attualmente, il sito conta 3 milioni di testi scaricabili gratis in formato pdf. Basterebbe fare la stessa cosa in Italia, magari impiegando i nostri carcerati: in un colpo solo senza nessun esborso di denaro pubblico, potremmo rendere un grande servizio alla cultura e offrire un’occasione di riscatto sociale. VANNI VERONESI in REINSERIRE LA STORIA DELL’ARTE NEI PROGRAMMI SCOLASTICI assieme un numero così enorme di soggetti è impresa impossibile, perché non iniziare almeno con le ventiquattro ville tutelate dall’UNESCO? L’unione fa la forza e solo così si può salvare un territorio dall’aggressione degli speculatori e dall’inciviltà del «capannon» selvaggio; e volgendola al positivo, solo così si possono attirare turisti anche nei luoghi più marginali e dare vita a un indotto economico di alto livello. Per quanto riguarda le altre ville, che cosa vieta di creare una guida completa accessibile on line, con tanto di fotografia e collegamento a mappa satellitare? Conosco già la replica: «Ma chi paga?». Risposta: basterebbe convertire questa necessità in uno stage universitario per i tantissimi studenti di Storia dell’arte che popolano le università del Nord-Est. Lo stage, è noto, non costa nulla all’ente pubblico: in un caso del genere, basterebbero i rimborsi per le spese di viaggio. Invece, le nostre università obbligano spesso gli studenti a completare il loro stage in luoghi dove al massimo sono costretti a fare le fotocopie. 5 Basilica di Aquileia, 1917: i funerali di Giovanni Randaccio ba eka Alt ritem pi 6 Alta ucina i (si fa sempre per dire…) ALTA UOTA SPAGHETTI ALLA ESCORT: VITA VISSUTA… AI NOSTRI GIORNI Quella degli spaghetti alla escort non è una nuova ricetta, sull’onda di un termine alla moda, e nulla ha da spartire con la cosiddetta ‘nouvelle cuisine’. Ѐ invece una vecchia ricetta, se non addirittura antica, che, a spaghetti, fa seguire un aggettivo che il Devoto-Oli, definisce «trivialmente equivoco o provocante». Ma il mio vocabolario risale al 1977. E da allora il termine ‘puttanesca’, che è quello della ricetta, così come il linguaggio in generale, ha subito un’involuzione (o evoluzione?) da renderlo usabile anche da educande, considerato il dito medio alzato, le pernacchie e quant’altro i nostri poco onorevoli esibiscono giornalmente. Mi ritengo, pertanto, non meritevole del rimprovero, quasi una tiratina d’orecchie avuta da un’esponente di punta di una delle più note associazioni locali che, incontrata ad una bancarella del mercato mentre parlavo di cucina con la proprietaria, mi disse che nello scrivere «ero solito alludere». Sarà, mah … Certamente la signora non fa caso, o presta attenzione, ai discorsi nell’ambito a lei pur vicino. Vero, caro amico, M? Ai miei due o tre lettori (in verità qualcuno in più), lo stabilire il verso del pollice, non del medio mi raccomando, se in su o in giù. Ora, avendo mutato il termine della ricetta, passando dal termine crudo relativo al mestiere più antico del mondo, ad un sinonimo che Beppe Severgnini ritiene osceno, non vorrei cascare dalla padella nella brace. Ora la ricetta. Di facile preparazione, nel tempo necessario per far bollire l’acqua e cuocere gli spaghetti. In un tegame fate imbiondire uno spicchio d’aglio ‘sfranto’, schiacciato, in olio vergine d’oliva; toglietelo, aggiungete dei filetti di pomodoro, delle olive nere tagliuzzate, dei capperi, il tutto a piacere, e del prezzemolo. Sale e peperoncino rosso. Cotti gli spaghetti, versateli nel tegame, amalgamateli e serviteli spolverandoli di ottimo pecorino. Un bicchiere di merlot ben si addice. A GENTILE RICHIESTA (capita anche questo) Trionfo di baccalà peterpan.pdf Pezzi meno alti ed anche spessi a seconda della 15/02/2010 neces- sità. Ungete una capace pirofila, e mettetevi dei pezzi di peperoni gialli, rossi e verdi e passatela nel forno caldo a 200°. Appena appassiti, aggiungete delle patate tagliate a tocchetti con origano, olive nere (di Gaeta o non, purché italiane e di buona qualità; avvertite se hanno il nocciolo), pomodori pelati od anche sugo di pomodoro che, se si restringe troppo, allungherete con un po’ d’acqua calda, e dopo una decina di minuti i pezzi asciugati di baccalà che irrorerete con il sughetto. Dopo trenta minuti il piatto dovrebbe essere pronto. Avviso ai naviganti. A metà cottura assaggiate gli ingredienti e regolate il sale. Può anche darsi che il baccalà, se ammollato tre giorni in acqua corrente, ne richieda un pizzichino. Se resterà del sughetto, con qualche patata sfarinata, delle sfoglie di baccalà, qualche oliva e cappero, potete condire il giorno dopo le trenette, bavette o linguine che dir si voglia. ALBERTO LANDI 13.47.50 OLTRE LO SPECCHIO E di Manuela Fraioli 7 I WISH YOU A MERRY CHRISTMAS Tutti dicono «è già arrivato Natale» sorprendendosi del passare del tempo, veloce e vorace. E Natale arriva sempre, non curante delle crisi, dei dolori, dei segni profondi che l’anno ci ha marcato addosso. Natale arriva, come ogni anno, col suo vestito di festa, la gioia, i colori, le palline colorate e i pacchi di regali comprati all’ultimo momento. Chissà perché si arriva sempre all’ultimo momento a scegliere il dono che vogliamo fare. In fondo Natale non è Carnevale che corre a destra e a sinistra del calendario (se guardiamo un calendario a colonne verticali): Natale arriva il 25 dicembre e la sua preparazione inizia, diciamo, intorno ai primi del mese. Eppure ci ritroviamo puntualmente alle 19:25 della vigilia a cercare l’ultimo regalo da fare. E mi sono sempre chiesta: e la povera commessa che chiuderà il negozio alle 19:30 assieme a tutti gli altri negozi? Lei come farà? Lei sarà organizzata, concludo. Avrà studiato un planning accurato. Lei alle 19:30 del 24 dicembre sarà sicuramente tranquilla di aver adempiuto a tutti i suoi doveri. «Tutt’ al più - si dirà - ci penserà Babbo Natale!». Tra i tanti bellissimi, costosissimi, tecnologici regali di Natale uno ha catturato la mia attenzione. Ѐ il regalo perfetto per Natale e lo è perché ne è il simbolo: l’albero. Non c’è Natale senza albero di Natale e non c’è regalo che equivalga simbolicamente a questo. Con una stella di Natale in cima, poi, è perfetto. My Baby Tree è un progetto del WWF per il rimboschimento della foresta Rinjani nel cuore dell’isola Lombok in Indonesia. Doni 10 dollari (circa 10 euro), compri un albero che porterà il tuo nome, o il nome della persona a cui lo regalerai, ricevi un certificato in cui si testimonia che l’albero è stato piantato e in cui si riportano le coordinate geografiche del tuo albero, che potrai così vedere su una mappa o attraverso Google Earth. E che ci importa a noi della foresta in Indonesia? Ci importa perché le foreste sono il polmone della Terra, e la Terra dicono stia soffrendo di un piccolo tumore ai polmoni. Perchè non pensarci adesso? http://www.mybabytree.org/ ANTEPRIMA SPORT: IL NUOVO PROGRAMMA DI RADIO PRESENZA Da qualche settimana è partito un nuovo programma sportivo su Radio Presenza: Anteprima Sport (risultati, classifiche e anteprime su tutto lo sport cervignanese). Va in onda il mercoledì dalle 19 alle 20; per le repliche, il rinvio è come al solito al sito www.radiopresenza.org. protagonisti dello sport cervignanese, ossia gli atleti, quei ragazzi/e che vanno sui campi, sul parquet di gioco, che sudano, s’impegnano, imprecano, danno il massimo per ottenere il risultato o almeno, se il risultato non arriva, la soddisfazione di uscire dal campo a testa alta. Entrare negli studi di Radio Presenza è una festa per i giovanissimi ospiti: dopo i primi momenti di naturale ambientazione, lo studio diventa un’esplosione di vivacità, di voglia di raccontare, ed è semplicemente fantastico sentire con che sincerità raccontano le loro vicende sportive e quanto ci tengono veramente a far bene. Il secondo obiettivo di Anteprima Sport è di ‘scendere in campo’: andare a vedere le partite dei settori giovanili, e raccontarle in diretta, dare modo a chi è a casa di poter essere virtualmente presente sul campo di gioco e alla fine sentire le voci dei protagonisti. Ѐ una scommessa che la radio fa verso se stessa e verso gli sportivi cervignanesi, ma con l’impegno di tutti si riuscirà in questo ambizioso progetto. ba eka Questa trasmissione potrebbe essere un ‘qualsiasi’ programma sportivo, invece no! Certamente vengono trattati temi di carattere sportivo, ma prevalentemente l’obiettivo è quello di parlare valorizzando i giovani. Questa trasmissione innanzitutto evidenzia il lavoro delle società, ospitando settimanalmente, a turno, il calcio con la Pro Cervignano, il basket con ABC Cervignano Basket e la pallavolo con l’Ausa Pav e lo Sporting Club Cervignano, che evidenziano ciò che fanno e come si prodigano per far innamorare dello sport giovani e anche giovanissimi/e. I protagonisti di queste trasmissione, dunque, sono i giovani, quelli che in fin dei conti vengono sostenuti dai genitori, nonni e parenti, e sui giornali locali ci vanno rarissime volte, solo per declamare successi importanti. La filosofia dei conduttori Livio e Marco, che passano dai risultati del weekend alle anteprime degli incontri, con pronostici e aspettative, ha come cuore della puntata l’obiettivo di dare luce e voce agli ospiti: non solo presidenti e pezzi grossi delle società, ma soprattutto i veri TORNA IL ‘CALDO NATALE’! La raccolta di offerte in denaro e generi alimentari a favore della Caritas per le persone bisognose della comunità (laddove non indicato diversamente, si intende effettuata fuori dal Duomo) Sabato 17 dicembre: 15.00-19.00 Domenica 18 dicembre: 8.30-12.30; chiesa di S. Michele 17.45-19.00 Martedì 20 dicembre: 15.00-19.00 Giovedì 22 dicembre: 10.00-12.00 e 17.00-19.00 Venerdì 23 dicembre: 8.30-12.30 e 15.00-19.00 Sabato 24 dicembre: 8.30-12.30 / 15.00-19.00 / 23.30-01.30 Domenica 25 dicembre: 8.30-12.30; chiesa di S. Michele: 17.45-19.00 Lunedì 26 dicembre: 8.30-11.30 sfilata per le vie di io 2012, Ce ore 14.30: la rvignano! Martedì 21 febbra grande io 2012, ore 15.30: Carnevale dei torio. bambini in Ricrea Per informazioni : www.ricre org ALTA UOTA Domenica 19 febb ra fest 8 VUOI SCRIVERE SU ALTA UOTA? CONTATTACI! Visita il sito www.ricre.org e scrivi alla redazione! la ban a della memoria ALTA UOTA i più uotati GIORGIO BALDUCCI GIORGIO BALDUCCI, classe 1922, cervignanese da quasi novant’anni, ha lavorato presso il Consorzio Agrario e la fabbrica del lievito a Cervignano e successivamente alla fabbrica SNIA di Torviscosa, sino alla pensione. Ci racconta, in questa puntata di BanQa della Memoria, la sua esperienza da marinaio semplice durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo appuntamento con la BanQa è l’ennesima conferma che ci sono dei ricordi non ancora messi per iscritto che meritano di essere riportati nero su bianco. Trovo affascinante come, per fortuna o casualità, molte delle persone che conosciamo e siamo abituati a vedere ogni giorno abbiano vissuto un periodo della loro vita a stretto contatto con una parte così triste e tragica della nostra storia. Ancora una volta, queste parole raccontate con precisione accurata ci invitano a riflettere sulla necessità di fermarci ad ascoltare le memorie indelebili e preziose delle persone che ci hanno preceduto in questo mondo, così cambiato, ma in fondo così uguale. «Ho ricevuto la cartolina precetto nel gennaio 1942 e sono andato a Venezia. Da qui fui mandato a Pola, alla caserma Bafile, dove rimasi alcuni mesi per l’istruzione: marciavamo, correvamo con le armi in spalla, smontavamo il moschetto che ci avevano dato (quello delle truppe speciali, 91 corto). Io mi chiedevo come avremmo fatto a vincere la guerra con quell’arma, perché era vecchia e obsoleta. Gli inglesi, infatti, avevano il Thompson personale, che era molto più moderno, e i tedeschi avevano la Maschin Pistole perché erano pronti a entrare in guerra, mentre noi italiani no. Quando arrivai a Pola, c’erano i genieri che si esercitavano con il lancio di bombe a mano in una specie di poligono. Nel mese di maggio fummo mandati a Livorno, dove c’erano già i battaglioni mobilitati: Grado (quello in cui ero arruolato io) e Bafile. Qui seppi che Luigi Zorzin, un cervignanese, era appena partito verso l’Africa settentrionale con la compagnia mitraglieri. A seconda di cosa sapevi fare, sceglievano a che compagnia destinarti. Io avevo lavorato nel consorzio agrario a Cervignano e poi nella fabbrica del lievito, quindi ero diventato marinaio semplice, infatti il Battaglione Grado era della Regia Marina. A Livorno incontrai Giuseppe Zampar, detto Pepi Bet, che era nel battaglione Grado e faceva l’addetto al reparto mortai. Me lo ricordo anche per un altro motivo: durante un rancio mi ero tolto il camisaccio ed ero rimasto in canottiera perché faceva molto caldo; allora il sergente addetto alla mensa mi diede una settimana di prigione semplice. Proprio in questa occasione rividi Giuseppe Zampar, che in quei giorni faceva il secondino, cioè controllava i prigionieri. Dopo questa breve parentesi, nel mese di luglio 1942, ci fu detto che dovevamo andare a Malta per perpetuare un’azione con il gruppo del San Marco e dei motoscafi tedeschi. L’isola di Malta, infatti, era un’importante base inglese e doveva essere distrutta per avere il Mediterraneo libero. Quest’azione, però, fu presto annullata perché nel frattempo le truppe italiane stavano avanzando in Libia verso l’Egitto per conquistare il canale di Suez, e i generali pensarono che, una burba.pdf 15/02/2010 13.46.06 /12 di Sofia Balducci volta conquistato Suez, Malta sarebbe caduta da sola. In ogni caso, ci chiesero chi voleva arruolarsi in un reparto speciale di nuotatori guastatori, cioè soldati allenati per raggiungere le coste nemiche a nuoto e io fui uno dei volontari: ero entusiasta. C’era a disposizione un battellino, una specie di tavoletta di gomma che mettevamo sotto il collo fino al basso ventre per aiutarci a galleggiare. Facevamo delle esercitazioni: ci portavano al largo con un motosilurante, ci buttavamo in mare e noi dovevamo raggiungere la costa e nuotavamo per 500 o 600 metri con il mitra (che finalmente ci avevano dato). Inoltre, facemmo un’esercitazione anche a Gaeta, dove ci sono alte scogliere. Qui dovevamo andare a nuoto fino alle scogliere e salire a piedi per distruggere gli eventuali ostacoli che il nemico aveva preparato. Da lì siamo tornati a Livorno (era il novembre 1942) e ci siamo diretti verso la Corsica, a Bastia, con il reparto speciale a cui appartenevo, con la motonave Aspromonte, che faceva servizio sulle coste italiane. Ci avevano detto che nel porto di Bastia c’era tanta gente, e che dovevamo preparare le armi per contrastare eventualmente il fuoco nemico. Quando siamo arrivati, invece, abbiamo visto che ad aspettarci non c’erano uomini armati, ma giornalisti di Vichy. Ci siamo fermati qui una notte, e al mattino siamo tornati a Livorno con il reparto speciale, mentre gli altri hanno proseguito verso l’Africa settentrionale, sbarcando a Tunisi perché ormai la Libia era stata perduta e noi italiani ci eravamo ritirati in Tunisia per l’ultima difesa. A novembre siamo andati anche ad occupare la base di Tolone, in Francia, perché la Germania aveva occupato la Francia, ma quando siamo arrivati a Tolone, la baia era piena di navi che si erano autoaffondate per non cadere in mano ai tedeschi. Era uno spettacolo molto triste vedere gli alberi delle barche fuori dall’acqua: sembrava un cimitero. Nel mese di marzo 1943 venni in licenza a Cervignano, perché mi spettava. Quando rientrai a Livorno, dopo 2 settimane, andammo in Sardegna. Era l’aprile del ’43 e intanto gli inglesi ci avevano quasi cacciato dall’Africa. In Sardegna noi dovevamo, in caso di sbarco americano, fare azioni di sabotaggio nelle linee anglo-americane. Invece poi, come tutti sanno, gli Americani sbarcarono in Sicilia in giugno. In questo lasso di tempo, da aprile a settembre, restammo in Sardegna: ci mandarono a Santo Lussurgiu, posto di montagna (400/500 metri sul mare). Qui sono rimasto fino al novembre 1943. Poi io e il mio reparto siamo rientrati in continente e abbiamo raggiunto Taranto, dove erano già arrivati i mezzi d’assalto della Marina Italiana. Qui finii in fureria, cioè l’ufficio di amministrazione delle varie unità, e ci rimasi fino al gennaio 1945, finché mi imbarcai sull’incrociatore Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, che faceva parte di un gruppo di incrociatori, insieme all’Abruzzi, Garibaldi, Montecuccoli. Rimasi a bordo per un anno circa, dal gennaio al dicembre 1945. Trasportavamo le truppe anglo-inglesi da Caifa a Gibilterra e poi trasportavamo prigionieri italiani che erano in Marocco o in Tunisia fino a Napoli. Casualmente, a Napoli, incontrai mio fratello Riccardo, imbarcato anche lui, e gli chiesi se poteva costruirmi un accendino. Fu un anno bellissimo perché navigai nel Mediterraneo e vidi Caifa, Orano, Algeri, Biserta, Alessandria d’Egitto… In Egitto ho collezionato delle memorie curiose: una volta, in libera uscita, ho comprato una borsa di coccodrillo che ho ancora a casa da qualche parte. Quando siamo usciti dalla città per tornare a bordo dovevamo passare la dogana, e c’era un egiziano che parlava italiano e ci ha detto: “Cosa vuoi che sia, porta a casa la borsetta!” Un altro ricordo curioso riguarda la via principale della città, in cui vedevo della carne in vendita appesa, dallo strano colore nero: solo più tardi capii che era ricoperta di mosche! Un altro episodio che mi è rimasto impresso è la mia visita a un negozietto di souvenir, sempre ad Alessandria: volevo comprare una cartolina e chiacchieravo con il commerciante di origine italiana quando, a un certo punto, entrò un soldato inglese che capii subito essere il figlio del commerciante in ritorno dall’India. Era talmente felice che mi ha regalato la cartolina. Finalmente, nel dicembre del 1945, sono arrivato a Cervignano dopo Natale, il 27 o il 28 dicembre. Ricordo che mia madre stava lavorando con la macchina da cucire ed era contentissima quando mi rivide». crogiolo.pdf 15/02/2010 13.47.03 9 Semplici occhiate buttate qua e là di Simone Bearzot Caro Gesù Bambino, e anche caro Babbo Natale. Non so se è tanto giusto, ma scrivo a tut ti e due che mi sento più tranquillo se mi ascoltate assieme (papà dice che da bravo italiano sono democristiano già a 8 anni. Non so cosa vuol dire, però). La maestra a scuola ha det to che voi due sapete tut to. Allora non vi chiedo solo il regalo, ma perpiacere ci sono tante cose che non capisco, posso fare un po’ di chiacchiere con voi? Grazie. Comunque vorrei il Nintendo nuovo, ve lo dico adesso perché sennò poi va a finire che me ne scordo. A voi quel signore nero che è capo dell’America vi sta simpatico? A me si. E’ buono, sorride tanto e gioca con le sue bambine. L’altro giorno hanno fat to vedere che giocava anche a pallacanestro. Però ha i capelli sempre più bianchi. Non tanti come il mio nonno, però gli si imbiancano più velocemente. Chissà come mai. Invece in Italia non capisco più niente. Fino a poco fa c’era uno che comandava, poi un signore e una signora che si chiamano Sarcosì e Lamerchel hanno iniziato a prenderlo in giro e adesso non comanda più. Mi hanno proprio fat to arrabbiare, ma poi al tigì hanno det to che il signore che si chiama Sarcosì ha avuto una bambina, e allora per stavolta fa niente. Che poi l’altra sera invece c’era una che piangeva in tivù. Papà mi ha det to che quella è la ministra, ma non mi ricordo di cosa. Ah si, delle pensioni. Papà dice che la pensione è stare a casa e avere i soldi senza lavorare, perché ti ringraziano che hai già lavorato. Gli ho det to che mi sembra una cosa bella. Mi ha det to che tanto io non ci andrò mai. Non ho mica capito perché, ma spero mi facciano un bel regalo di Natale, lui e la mamma, perché se proprio non devo andare in pensione vorrei almeno l’isola dei Gormiti. Sapete una cosa? L’altro giorno ho visto la foto di un signore un po’ vecchio e strano che faceva un brut to gesto. Tipo col pugno chiuso e un dito su. L’ho visto fare anche a scuola dai ragazzi più grandi, e le maestre li sgridano sempre. La nonna mi ha spiegato che è uno che vuole dividere l’Italia. Che strano, a scuola ci han det to che è il compleanno dell’Italia, e ci hanno anche insegnato l’inno (a me piace tanto quando fa parabam parabam parapapapapapam tipo i tamburi) e quel tipo vuole rovinare la festa. Che poi non è giusto, perché a lui non lo sgrida mai nessuno, nemmeno quando fa le boccacce e le pernacchie a quelli che gli fanno le domande. Cari Babbo Natale e Gesù Bambino, ma è vero che quando sta per arrivare il vostro compleanno diventiamo più buoni? Non so mica. Mi ha raccontato Giacomo (quello che gioca a calcio con me) che gli ha det to suo fratello grande che fa una cosa che si chiama volontariato dove si aiuta la gente. Praticamente c’è un posto che si chiama Siria dove da tantissimi giorni le persone vanno in strada e pregano e mostrano dei cartelli, tipo dei disegni che hanno fat to, almeno credo sia così. E gli sparano, ma non si capisce mica il perché. Ma anche in Egit to fanno così, sapete? La zia l’altro giorno era tut ta arrabbiata, ha det to che per colpa di quei quat tro arabi casinisti (non dite alla mamma che dico così sennò mi sgrida che non vuole le parolacce) quest’anno non può andare a sciarm. Non so cos’è questo sciarm, ma la zia deve tenerci molto perché era proprio arrabbiata. Cari miei, ho tante altre domande ma adesso mi è venuto sonno. Sono contento se mi rispondete, perché le cose che si sentono in giro non le capisco mica tanto. E ricordatevi il Nintendo grazie. Un bambino i più PIETRO E TAMARA, I NUOVI CUSTODI DEL RICRE uotati TAMARA DUDONU, nata il 28/08/1962 in Moldavia, è arrivata in Italia il 6 settembre 2007 in cerca di lavoro. La fortuna ha voluto che quasi subito trovasse un lavoro, prima come badante e poi come domestica in una famiglia cervignanese, dove tuttora presta il suo servizio. PIETRO DUDONU, nato il 01/01/1958 in Moldavia, anche lui come la moglie di religione cristiano-ortodossa, è arrivato in Italia il 25 luglio 2009 essenzialmente per ricongiungersi con la moglie, Tamara visto che in quel periodo non aveva lavoro nel suo Paese. Anche lui fin da subito ha trovato lavoro qui nel nostro Paese, facendo dei piccoli lavoretti dove veniva chiamato. Oggi è lui che svolge la mansione di custode del ricreatorio. Cosa avete provato quando avete deciso di trasferirvi in italia? Tamara: «Ciò che ho provato nel trasferirmi è indescrivibile, non riesco a esprimerlo a parole perché solo il mio cuore sa cosa ho provato; ancora oggi per certi aspetti mi piange il cuore. È stato duro staccarmi dalla famiglia, da mio marito e dai nostri due figli Andrian e Marina che all’epoca avevano 21 e 23 anni, rimasti a casa con il papà in Moldavia. Comunque siamo rimasti sempre una famiglia molto unita e vivevamo questo distacco con la speranza che arrivasse il prima possibile l’ora di ricongiungerci». Pietro: «La voglia di ricongiungermi a mia moglie era tanta, troppa. Da un lato non vedevo l’ora di ritornare con lei; dall’altra mi è dispiaciuto dover lasciare i figli, anche se ormai erano indipendenti, in quanto Marina è diventata insegnante all’università e Andrian è un ingegnere. Anche per me il viaggio è stato duro, però l’ho vissuto con gioia perché sapevo chi c’era in Italia ad aspettarmi». Come è stato il vostro inserimento qui a Cervignano? Come avete appreso la proposta di diventare custodi del ricreatorio? Tamara: «L’ha saputo mio marito ed era molto entusiasta di questo. Io inizialmente ero dubbiosa per il giudizio che la gente avrebbe potuto esprimere: “perché loro che sono stranieri?” Ho espresso questo mio dubbio nell’incontro avuto con don Dario e don Moris; loro mi hanno tranquillizzata e allora ho accettato con gioia e un po’ alla volta abbiamo lasciato la casa in affitto per trasferirci qui in ricreatorio». Pietro: «Andando una mattina alla Caritas parrocchiale, la signora Maria Teresa mi ha detto che in ricreatorio cercavano un custode. Subito mi sono interessato e sono andato a parlare con il parroco e don Moris, mi sono fatto spiegare in cosa consisteva questa mansione e, visto come me l’hanno presentata, mi è piaciuta e ho subito accettato, chiedendo un periodo di prova per circa un mese. Prima della fine del mese ho accettato definitivamente. Qui ho trovato molte persone che mi sono subito piaciute, come non potevo accettare?» Quali sono le vostre mansioni in ricreatorio? Tamara: «Principalmente di aiuto e incoraggiamento per mio marito!!! Mi trovo molto bene qui e sono contenta di condividere con lui e tutto lo staff del ricreatorio questa grande possibilità». Pietro: «Custode tutto fare… Faccio un po’ di tutto, dal tagliare l’erba alle piccole riparazioni, dall’aprire e chiudere le stanze e il campo da calcio all’aiuto a Otello, Matteo e Alex». Volete aggiungere qualcosa? Tamara: «Ringrazio Dio per quello che mi ha dato e fatto vivere. Non ho parole, solo tanta felicità nel cuore». Pietro: «Vorrei ringraziare don Dario e le persone della parrocchia che mi hanno aiutato, in particolare tutti coloro che grazie alla loro generosità mi hanno dato una mano ad arredare l’appartamento, infatti ora non mi manca niente. Un grazie particolare a don Moris per il suo affetto, a tutto lo staff del ricreatorio e a Otello che è diventato mio amico. La gioia per me sono i bambini e grazie a Dio sono davvero contento». CHRISTIAN FRANETOVICH ELETTRODOMESTICI - TV CHIARCOS CERVIGNANO Via Dante 16 tel. 0431 32188 s.a.s. GRADO Galleria Excelsior 15 tel. 0431 80115 ALTA UOTA Tamara: «Mi sono inserita bene e subito, mi sono adattata all’ambiente e al lavoro, perché ho trovato sempre persone che mi hanno aiutata e voluto bene, tutte persone oneste. La lingua l’ho imparata abbastanza facilmente e velocemente, anche grazie al lavoro che avevo prima come badante e poi a servizio di una famiglia cervignanese. L’unica cosa con cui appena arrivata non andavo d’accordo era la verdura... perché questa italiana per me 15/02/2010 13.46.30 era troppocomelli.pdf amara rispetto a quella moldava, ma per fortu- na mi sono abituata e adesso non ne posso fare a meno». Pietro: «Appena arrivato a Cervignano ho fatto un corso di lingua italiana: anche io come mia moglie mi sono inserito facilmente, soprattutto grazie al suo aiuto da ormai ‘esperta italiana’». 10 LA SIGNORA DEL CAPELLO A GEMMA CAISSUTTI UN RICONOSCIMENTO PER LA SUA ATTIVITÀ i più uotati Una delle principali aziende di prodotti naturali per i capelli non ha avuto dubbi: dovendo premiare i migliori parrucchieri che si sono contraddistinti negli ultimi dieci anni di attività, ha puntato dritto su Gemma Caissutti, da oltre 25 anni titolare del Salone Gemma, attualmente in via Aquileia. «Si tratta di un riconoscimento per me molto importante: se sono riuscita ad ottenerlo il merito è anche della mia collega Leda e di tutte le clienti. Ci tengo a condividere con loro questo momento». Una tappa importante di un cammino ricco di soddisfazioni: «Amo questo lavoro - prosegue Gemma - perché mi consente ogni giorno di esprimere la mia creatività e la mia passione. Ci tengo molto ad essere sempre aggiornata sulle nuove tecniche di acconciatura e sulla cura del capello: rispetto al passato la clientela di oggi è molto informata e apprezza di più i consigli di qualità». Il sogno per il futuro? Inutile chiederglielo: «Il mio desiderio è quello di poter continuare a lavorare come ho sempre fatto. A volte, per scherzare, dico alle mie clienti “Fra poco chiudo l’attività”… Ogni volta sgranano gli occhi preoccupate, dicendomi “E noi come facciamo?” Questi attestati di stima sono le soddisfazioni più belle che mi stimolano a dare sempre il meglio di me». Ecco perché l’ultimo pensiero è proprio per le sue clienti e la sua fida Leda, preziosa aiutante da ormai dieci anni: «A tutte loro voglio augurare un sereno Natale e un prospero 2012». EGIDIO CEREA, LA LEGGENDA DEL BASEBALL Il baseball: la passione di una vita per Egidio Cerea, friulano di Ruda. Ma quante soddisfazioni sono arrivate grazie a questo sport! Un curriculum invidiabile: pochi nella nostra penisola possono vantare un palmares così importante, iniziato quando aveva soli 11 anni e scese in campo come ‘bat boy’ nella prima partita di baseball giocata in Italia. Poi una carriera sfolgorante. Nel 1951 l’esordio in serie A; notevoli i piazzamenti nell’Ambrosiana Milano e, vista la notevole caratura tecnica, meritato l’esordio in nazionale, con il terzo posto agli europei di Roma nel 1956. L’aneddoto di come il manager della nazionale, James Larry Strong, si sia accorto di lui: tre eliminazioni in seconda base, nella partita Milano - Trieste, quando Egidio con grandi capacità tecniche ed agonistiche riuscì a ‘bloccare’ l’attacco di Trieste. Nel 1959, l’Italia, con Egidio alla posizione numero 7 di esterno sinistro, batté per la prima volta l’Olanda, fatto storico per il baseball nazionale. Con una travolgente Milano (prima sponsorizzata Sevenup, poi Europhon) vinse tre scudetti tra il 1960 al 1962 (con 37 vittorie consecutive), conquistando anche una medaglia d’argento agli europei del 1962 ad Amsterdam. Poi, per lavoro, si trasferì a Catania, e qui dovette appendere il guantone da ricevitore al chiodo. Quando venne ad abitare nella nostra regione divenne allenatore dei Panthers di Cervignano; poi, dal 1980 al Egidio Cerea (a destra) premiato dal presidente regionale del CONI Emilio Felluga. ‘90, commissario della 2a Zona (Tre Venezie) e dal 1991 al 2001 Presidente Regionale del Friuli Venezia Giulia della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball). Nel decennale del suo mandato, è da ricordare tra l’altro l’organizzazione dei campionati Europei Cadetti (’93) e Juniores (’95), e tra il 1997 e 1998 dell’Old Stars Games di Softball. Fu anche accompagnatore della squadra italiana nelle olimpiadi di Atlanta ‘96. Oltre ad essere una memoria vivente del baseball, conosce tutto dei giocatori del passato e del presente, è aggiornato sulle statistiche e sui risultati di tutte le squadre e ha nei suoi ricordi fatti interessanti: basti pensare che frequentava l’oratorio Sant’Agostino in via Copernico dei salesiani di Milano, dove la domenica giocava a calcio con un certo Adriano Celentano... In quel luogo venne ambientata la famosa canzone Azzurro: «Sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole....» Ricorda anche che quando lavorava all’Alemagna, fabbrica che produceva già dagli anni ‘30 i famosi panettoni, conobbe, dopo la vittoria della Coppa dei Campioni dell’Internazionale, il comico Gino Bramieri, tifosissimo dell’Inter, che con il ‘Mago’ Helenio Herrera visitò lo stabilimento del dottor Alemagna... e certamente, da milanista, non ne fu proprio felicissimo. Un ultimo aneddoto: a Genova, durante un incontro, un terzetto canoro/strumentale intratteneva gli spettatori e questi tre artisti erano niente po’ po’ di meno che... Lauzi, Tenco e il bisiac Gino Paoli! Una vita nello sport e nello spettacolo per Egidio: un grande nel baseball e sopratutto nella vita. LIVIO NONIS IMPOVERIMENTO DEI VALORI, SIMBOLISMI, NUOVI DOGMI: ATTACCHI AL CRISTIANESIMO ALTA UOTA La nostra società, la nostra cultura e i nostri valori oggi sembrano subire un progressivo impoverimento dato da diversi fattori più o meno accreditati. L’argomento è molto ampio e ostico: occorrerebbe un libro per poterlo descrivere bene nei dettagli. Ne abbiamo parlato con don Moris per cercare di darne qualche linea di discussione. - Oggi ci troviamo di fronte ad una società sempre più attratta dall’apparenza, dall’effimero, a discapito della concretezza della vita e dei valori cristiani che stanno scivolando in secondo piano. Qual è il tuo pensiero in merito? «Questa realtà è dovuta al fatto che l’uomo di oggi va in cerca di risposte precise, di cose appaganti, quindi il rischio è quello di trovare in tali situazioni anomale la soddisfazione di queste esigenze, che in un primo momento appaiono immediate, ma che in realtà nascondono secondi fini, portando la mente e di conseguenza l’uomo sulla via del male e della distruzione». - I contenuti del romanzo di Dan Brown Il Codice Da Vinci spesso vengono recepiti come verità storiche in grado di scardinare i fondamenti del Cristianesimo… «La risposta è già scritta nella domanda: è un romanzo. Di per sé il romanzo non ha dei contenuti storici, scien- tifici o razionali, quindi è come voler prendere per verità ciò che invece è un racconto soggettivo senza adeguati fondamenti». - La credibilità e il successo di tale romanzo denotano la fragilità delle persone e la debolezza della fede nel nostro tempo. Come sacerdote confermi questa realtà? «Sicuramente si nota in molte persone, ma le risposte che appaiono facili e appaganti non credo sia giusto trovarle in un romanzo. Può essere una sorta di punto di partenza letto come una provocazione, ma da questo si deve necessariamente passare ad altri riferimenti». - Consideriamo la tendenza, sempre di moda, atta a diffamare la chiesa, a voler scoprire presunti misteri nascosti. «Sì, questa tendenza c’è, non solo nei confronti della chiesa, ma in generale verso tutte le istituzioni. È vero che al giorno d’oggi c’è una riscoperta della fede, ma è spesso una fede costruita sul proprio uso e consumo. Nella società odierna abbiamo una pluralità di offerte, anche dal punto di vista della fede, per cui l’uomo da una parte si sente spaesato e va alla ricerca di domande e risposte sicure ed immediate, e dall’altra si costruisce la propria religione, tanto che si parla tranquillamente di religioni bricolage». - Secondo te, il linguaggio simbolico occulto utilizzato tra i giovani che spesso passa inosservato può in qualche modo influenzare il proprio credo? «Ogni realtà misteriosa come il bene e il male, Dio e Satana, non può che essere espressa da noi uomini attraverso un linguaggio simbolico. Come i cristiani hanno un linguaggio simbolico per esprimere il bene, cioè Dio, così chi appartiene a delle sette sataniche ha i suoi linguaggi simbolici per esprimere il male, cioè il diavolo. Ci sono diverse modalità e vie per introdurre nel nostro comune modo di vivere la simbologia e la gestualità che in un primo momento passano inosservate, ma in realtà hanno un loro preciso significato. Sicuramente è un fenomeno da non esasperare, ma al tempo stesso da non sottovalutare». - Nella nostra società in crisi di identità si tende ad attaccare in maniera semplicistica la chiesa e la religione, senza magari averne una giusta e precisa conoscenza. «Più che dare giudizi e fare degli attacchi alla realtà che ci circonda, credo che tutti quanti dobbiamo prendere atto di una crisi di valori e, con molta umiltà, cercare la via più corretta che ci porti alla scoperta della Verità». SANDRO CAMPISI 11 Cervignanesi nella storia di VANNI VERONESI QUARTA PUNTATA LUIGI CHIOZZA: LA SCIENZA DAL VOLTO UMANO Non è la prima volta che mi occupo di Luigi Chiozza, ma credo che non sia mai abbastanza: Cervignano dovrebbe andare fiera di questo suo illustre concitadino dell’Ottocento, scienziato di levatura internazionale, amico e collaboratore di Louis Pasteur, geniale innovatore in campo agricolo e industriale, uomo di scienza, ma umanista nell’anima. Questa è la sua storia. Una vita per la ricerca Nato a Trieste il 20 dicembre 1828, Luigi Chiozza apparteneva a una famiglia di grandi imprenditori di origine ligure, trasferitasi a Trieste nel 1775 attratta dal porto franco. Fu in questa città dall’atmosfera internazionale che Chiozza visse gli anni della sua giovinezza, per poi formarsi nei suoi studi a Milano, Ginevra e soprattutto Parigi, dove ebbe modo di lavorare nel laboratorio di Charles Gerhardt. Tornato a Milano nel 1854, divenne, in virtù del suo prestigio già altissimo, direttore della ‘Scuo- is Pasteur. Questi era stato inviato dall’imperatore Napoleone III nelle tenute di Villa Vicentina, ospite di Elisa Bonaparte Baciocchi, per completare le ricerche sulle malattie del baco da seta. L’occasione per una collaborazione era imperdibile e i risultati non tardarono ad arrivare: individuata la causa della pebrina, i due riuscirono a porre le basi per il sistema cellulare di produzione del seme, avviando gli studi futuri alla soluzione del problema. Il nome di Chiozza compare anche accanto ad altri progetti: la costituzione della Società di Cabotaggio cervignanese, la canalizzazione delle cascate del Reno e soprattutto la straordinaria ferrovia Pontebbana. Il 21 maggio 1889 una grave affezione cardiaca lo portò alla morte e due giorni dopo venne sepolto nel cimitero di Scodovacca: aveva 61 anni. La villa e la sua biblioteca Tutti, a Cervignano, conoscono Villa Chiozza, nella frazione di Scodovacca. L’aspetto attuale, comunque vicino a quello dei tempi di Luigi Chiozza, è dovuto agli interventi del 1904: un piano in più e un ridisegno del parco. Nel 1970, l’intera proprietà venne acquistata dall’ERSA, che vi allestì il Centro di educazione professionale per imprenditori agricoli. Dal 13 dicembre 2010, la villa è proprietà di Turismo Fvg, che qui ha stabilito la sua sede legale. L’interno, sobrio e arredato con eleganza, ci restituisce ancora oggi la personalità del grande scienziato: la incoraggiamento per arti e mestieri’. Proprio a Milano Luigi Chiozza conobbe Pisana, giovanissima rampolla della nobile famiglia friulana Di Prampero. Ammalatasi poco dopo il suo arrivo in Lombardia, Pisana riceveva di frequente le visite dello scienziato, da tempo amico di famiglia: fu così che i due si innamorarono e finirono per sposarsi nel 1857. In occasione del matrimonio, il grande letterato Ippolito Nievo compose il carme Le Muse di Aquileia, preceduto da una breve dedica: «Ecco, salgon gli altari: pronubo è amore. E voi pur, se in clemenza amor largheggi, Voi pure, eterne giovinette Muse, Tra le faci danzando, il rilucente Pallor mescete con le rosee nozze». luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19 negli anni della gestione ERSA, la villa ha infatti ritrovato il suo antico splendore, grazie al recupero del mobilio d’epoca, alla valorizzazione della grande biblioteca (5700 volumi scientifici; e pensare che un numero simile di libri si trova oggi a Vienna, portati via dai soldati austriaci nella Prima Guerra Mondiale) e alla ricostruzione, com’era e dov’era, della stanza da letto del Chiozza. In una sala è stato anche riprodotto un tipico laboratorio scientifico ottocentesco: molti strumenti sono ancora quelli usati dal padrone di casa e dall’amico Pasteur. All’esterno, il parco si estende per 16 ettari, in parte attraversati dal piccolo fiume Pulvino, ed è caratterizzato da una varietà infinita di piante: di fatto, è il più grande e importante parco all’inglese del Friuli - Venezia Giulia. ALTA UOTA Nievo, inoltre, si ispirò in parte a Pisana per l’omonima protagonista femminile del suo romanzo capolavoro, Le confessioni di un italiano. Nello stesso anno nacque la figlia Teresa, ma a soli 21 anni sua madre morì di malattia. Per Chiozza fu un colpo durissimo: abbandonato il suo incarico presso la Scuola milanese, si ritirò nella villa di famiglia a Scodovacca, dove si dedicò agli studi di chimica e botanica applicati all’agricoltura. In quei tempi, i campi friulani erano attraversati da terribili malattie che falcidiavano gelsi e viti, senza contare che da noi gli aratri erano ancora quelli del XVI secolo, mentre negli altri paesi era già in uso un aratro molto più pesante, capace di aumentare la produttività. Chiozza intervenne in questa direzione: con opportuni investimenti, fece in modo che nelle sue campagne le famiglie coloniche lavorassero il doppio dei terreni rispetto a prima e con maggiori entrate; usò da pioniere i concimi chimici; fu il primo italiano a introdurre nel nostro paese una trebbiatrice. Nel 1865, un’altra svolta: la nascita dell’Amideria in località La Fredda (vedi il paragrafo sotto). Quattro anni dopo, il ritrovamento di un’antica amicizia parigina: Lou- La Fredda: successo di un’amideria Nel 1865, Chiozza fondò a Perteole una fabbrica che oggi è un gioiello dell’archeologia industriale: la cosiddetta ‘Fredda’ per l’estrazione dell’amido di frumento e in seguito per la lavorazione del riso. Chiozza investì molto denaro nella ricerca di nuove tecnologie e nuovi metodi di lavorazione: i risultati non tardaronz ad arrivare. Durante l’esposizione di Philadelphia (1876), lo scienziato presentò un amido perfettamente bianco tratto dal mais: fu un successo, subito accolto con grande favore negli USA e di lì in Francia e Inghilterra. Nei tempi migliori, la fabbrica produceva 45.000 tonnellate di amido all’anno e impiegava 100 operai: operai che potevano godere di un ‘Regolamento di lavoro’ all’avanguardia, con tutela della maternità, assistenza gratuita ai malati, ferree regole sulla sicurezza e istruzione obbligatoria per i giovani. A metà degli anni Ottanta del secolo scorso, l’Amideria chiuse i battenti: terminava una storia gloriosa, spariva l’amido della migliore qualità disponibile sul mercato. Oggi, tutto giace nel degrado più assoluto: le immagini del sugge- t ultura stivo documentario realizzato da Cinemazero di Pordenone, reperibile su YouTube (http://www.youtube.com/ watch?v=fW_z5YwWPd0), fanno male al cuore. 12 10 ANNI DI BRICIOLE D’ARTE! Venerdì 23 dicembre alle ore 20.45 presso il Teatro sala Aurora del Ricreatorio San Michele, il gruppo teatrale delle Briciole d’arte, per festeggiare il suo decennale, metterà in scena lo spettacolo “10 ANNI DI BRICIOLE” Questo spettacolo vuole essere la celebrazione ed il coronamento dei dieci anni di attività del gruppo teatrale del nostro ricreatorio che, negli anni, ha coinvolto quasi 200 fra bambini, ragazzi ed adulti, proponendo numerosi spettacoli sia a Cervignano sia in tante altre località della nostra regione. Per fare questo abbiamo deciso di presentare uno spettacolo che ripercorrerà i momenti più belli di molti spettacoli da noi proposti. La cosa più significativa da sottolineare è che, per l’occasione, molte ‘ex Briciole’ sono tornate a far parte del gruppo, creando in questo modo un bellissimo incontro fra diverse generazioni che negli anni hanno calcato il palco della sala Aurora. Ci auguriamo di avere davanti a noi un folto pubblico e di approfittare dell’occasione per scambiarci gli auguri di un felice e sereno Natale. Prenotazioni online: ri rreatorio o su www.ricre.org fino ad esaurimento posti. Nel caso in cui i biglietti non vengano ritirati entro 30 minuti dallo spettacolo, verranno rimessi a disposizione di tutti (scade la prelazione). I biglietti saranno quindi ritirabili dalle 17.00 alle 20.15 del 23 dicembre. 2012 Vi aspettiamo! Lo stesso giorno, dalle ore 17.00, non perdetevi la mostra fotografica allestita all’interno del ricreatorio e dedicata proprio a questo splendido decennale! TESSERAMENTO AL RICREATORIO SAN MICHELE! Sostieni il Ricre, sottoscrivi la tessera! Domenica 29 gennaio, dalle 8.30 alle 12.15 sul piazzale del Duomo, sarà allestito lo stand del Ricreatorio San Michele per sottoscrivere la tessera 2012. Le quote sono invariate: € 8,50 maggiorenni; € 7 per gli under 18. Sostieni anche tu l'attività del nostro Ricreatorio: il 29 gennaio ti aspettiamo! SAN NICOLÒ 2011 U TUTTE LE FOTO S . : . g r o . e r c i r . w .:.ww ALTA UOTA La Redazione di Alta Quota augura a tutti un sereno Natale e un felice Anno Nuovo seidonna.pdf 1 05/06/2011 22:36:21 AUGURI DI BUONE FESTE! capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54