Numero 38 - Ricreatorio San Michele

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Numero 38 - Ricreatorio San Michele
ALTA UOTA
Anno 7 Numero 38 edizione Novembre-Dicembre 2011
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121
www. fvgsolidale.regione.fvg.it
Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org
Direttore responsabile: Andrea Doncovio Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso,
Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Sofia Balducci, Christian Franetovich, Marco Simeon, Alessandro Morlacco, Manuela
Fraioli, Giulia Bonifacio.
Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa
Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org
L’ITALIA HA IL PIÙ GRANDE
PATRIMONIO CULTURALE
AL MONDO.
PERCHÉ NON LO
VALORIZZIAMO?
GIORGIO BALDUCCI p. 8
TAMARA E PIETRO p. 9
GEMMA CAISSUTTI p. 10
S
embra che c’importi davvero poco della cultura. È da questa affermazione, volutamente provocatoria, che partirei per cercare di spiegare le
ragioni di un degrado tanto evidente quanto doloroso. Il patrimonio storico e artistico, si sa, è una parte
fondamentale dell’identità stessa di un Paese, il terreno
nel quale il nostro presente affonda le sue radici. Tutti
siamo d’accordo sulla carta, ma al di là dei luoghi comuni
o dei discorsi da bar, sembra che alla gente interessi davvero poco.
I politici si sprecano in promesse di stanziamenti destinate a non avverarsi, docenti e ricercatori avviano il giradischi della solita retorica carica di lamentele e recriminazioni, i cittadini si affrettano a dare la colpa alle prime
tre categorie. Ma pochi sono disposti a fare qualcosa in
prima persona. Certo, non mancano anche nella nostra
realtà persone motivate e appassionate, che tra mille difficoltà cercano di portare avanti progetti di valorizzazione
e recupero dei beni culturali presenti sul territorio. Il problema, però, non credo sia solo la conservazione materiale del patrimonio storico-artistico, ma soprattutto il suo
SAN NICOLÒ p. 12
Masaccio, “La cacciata dall’Eden” - Firenze, chiesa di S. Maria
del Carmine, Cappella Brancacci, affresco.
utilizzo. Ogni volta che sento la notizia di un nuovo
progetto culturale, in cuor mio esulto, ma poi mi sorge
una domanda ineludibile: per chi lo stiamo facendo?
Senza aver chiari i soggetti, oltre agli oggetti, può essere difficile riuscire ad accettare le spese necessarie per
mantere una pletora di bellezze come quella che il nostro Paese possiede. Sembra che i contributi concessi
alla cultura siano troppo spesso percepiti, sia da parte
dei politici, sia da parte dei cittadini, come un’elargizione a fondo perduto, un qualcosa di fastidioso ma
necessario. Come se si trattasse di qualcosa che si fa
sempre per altri, dei quali c’importa poco.
Manca, da parte dei soggetti coinvolti, la consapevolezza che quello sui beni culturali è un investimento e
non una spesa: al di là della questione educativa, indubbiamente importante, queste risorse possono diventare
una considerevole fonte d’entrate. Il turismo culturale,
come si può intuire, costituisce una grossa fetta delle
entrate turistiche del nostro Paese, e se ben sfruttato
può essere un’occasione di guadagno per molti. L’hanno capito bene le fondazioni private, tra i veri motori
della conservazione e del recupero dei beni artistici.
Qualcuno, tra i meno lungimiranti, potrà obiettare che
l’ingresso dei privati è segno dell’incapacità degli enti
pubblici nel valorizzare adeguatamente il nostro patrimonio. Lo Stato, evidentemente, non riesce a far fronte
alla mole enorme di reperti che il nostro Paese possiede, molti dei quali giacciono a prendere polvere negli
scantinati dei musei. Ne abbiamo troppi, e non sappiamo che farcene. Ma a me, cittadino, importa poco che
a rendere godibile un Raffaello sia stato un ente con
lo stemma della Repubblica o una ditta che produce
torroni: l’importante è che io possa vederlo.
Infine, quella che secondo me è la questione fondamentale: spesso, purtroppo, si pensa che restaurare un
monumento o costruire la nuova sede di un museo basti
a dare un impulso alla fruizione degli stessi, senza che
sia richiesto nessun impegno aggiuntivo. Di nuovo, ci
si occupa del cosa e si trascura il chi. Niente di più
sbagliato: in questo modo si ottiene un’opera morta.
Bella, forse, per chi l’ha ideata e per pochi altri, ma incapace di parlare alle persone e di coinvolgerle. Manca
di quella ‘vita’ che è l’essenza stessa della cultura, la
capacità di creare legami e relazioni tra noi e il passato,
tra l’esperienza di vita di altre persone e la nostra. Nel
suo saggio Il punto in movimento, il noto regista Peter
Brook indica nella ‘cultura dei legami’ l’atteggiamento
più alto e nobile. È proprio l’interesse, secondo Brook,
la chiave di questo tipo di cultura: una parola che, lungi
dall’essere banale, riveste un significato fondamentale per chiunque si voglia mettere al servizio di altre
persone: essere interessati a ciò che si fa per riuscire
a suscitare l’interesse di altri. Io applicherei lo stesso
concetto ai beni culturali. Chi se ne occupa ha una sola
missione: impiegare tutta la sua passione e la sua competenza per far sì che quei palazzi, quei dipinti e quelle statue continuino ad avere qualcosa da raccontare a
ciascuno di noi.
ALESSANDRO MORLACCO
RADIO PRESENZA p. 7
pignarul 2012.pdf 1 12/12/2011 10:12:47
2
beni culturali: numeri e dati
QUAL È IL NOSTRO
ALTA UOTA
in
uotattualità
PATRIMONIO
CULTURALE?
Solitamente si è molto interessati a ciò che avviene nella
sfera politica, soprattutto in questi ultimi tempi, ma molto
meno alla cultura. I beni culturali dovrebbero importare
alla gente anche solo per il fatto che sono veri e propri
valori concreti facenti parte del patrimonio di ogni paese.
Anche il Friuli Venezia Giulia, sebbene sia una piccola
regione, è una destinazione originale e ricca di beni culturali di ogni genere all’interno del grande contesto europeo.
Spesso e volentieri non ci si rende conto della vasta ricchezza presente nel nostro territorio. Anzi, il più delle volte
l’abitudine di convivere assieme ad elementi storici, artistici e culturali non permette di comprendere il loro valore,
quando invece frotte di turisti arrivano da ogni parte del
mondo per ammirare le nostre meraviglie e per passare delle giornate a divertirsi sulle piste sciistiche, a camminare
per i parchi naturali o a visitare piccoli musei artistici e
musei che raccontano il modo in cui la nostra regione è
riuscita ad influenzare la grande storia. Basti pensare all’attrazione che suscitano beni folkloristici come le sagre e le
feste dei vari paesi, a cui si partecipa anche solo per poter
assaporare qualche piatto tipico del luogo o per gustare un
buon bicchiere di vino, come accade alla ‘festa delle meridiane’ di Aiello, o alla ‘festa del malgaro’ di Ovaro, o
alle rievocazioni storiche che prendono luogo nella famosa
città rinascimentale a forma di stella che è Palmanova.
La nostra regione è inoltre ricca di beni architettonici, ossia monumenti come castelli e borghi, ma anche di ritrovamenti archeologici. Aquileia, ad esempio, è un luogo rinomato in cui è possibile assaporare la storia, sia dell’antica
Roma sia del Medioevo. La stessa importanza viene attribuita a Cividale, famosa per essere stata la prima capitale del
regno Longobardo. Ma al centro della città esiste anche un
ipogeo celtico: un insieme di corridoi sotterranei ricavati da
una cavità naturale sull’argine roccioso del fiume Natisone.
È importante il fatto che in luoghi nei quali sono sorti
centri storici potrebbero essere state presenti tracce di
precedenti insediamenti risalenti a civiltà antiche, dimenticate a causa delle continue costruzioni e testimonianze
architettoniche. Ne è un esempio quello dei resti di una
abbazia medievale ritrovati sotto alla chiesa madre di San
Michele, proprio a Cervignano. In Piazza Marconi, accanto alla chiesa, si può inoltre ammirare la più antica
traccia della Cervignano medievale: il mosaico policromo
che ornava il pavimento della abbazia. Databile tra l’VIII
e il IX secolo, nel pieno dell’età longobarda.
La cosa che riesce ad affascinare gran parte della gente
innamorata della storia e della cultura è che queste opere
dell’uomo sono uno dei tanti modi per riuscire a comprendere lo stile di vita e le abitudini della gente del passato,
che ha camminato per le strade e ha vissuto nelle nostre
stesse città. Il Friuli è ricco di veri e propri segni che gli
uomini dell’antichità hanno lasciato, come un’impronta
fossilizzata nel terreno, o parte consumata di alcune pietre. Anche in questo caso frammentarie tracce dell’età del
bronzo sono state ritrovate in più punti di Cervignano,
come resti di spade, asce o coltelli.
In Friuli, però, ci sono anche segni che riguardano il ricordo di un passato ancor più recente e che hanno segnato la
storia mondiale. Come il monumento di Redipuglia, uno
dei più grandi sacrari militari mai costruiti al mondo, in
memoria dei caduti che persero la vita durante la Grande
Guerra. Oppure come l’immensa Diga del Vajont, teatro
della tragedia del 9 ottobre 1963, procurata dalla frana del
monte Toc nel lago artificiale. La diga si trova a Erto, uno
dei paesi che costituiscono il territorio del Parco Naturale
delle Dolomiti Friulane, un bell’esempio di bene paesaggistico. Anche su quest’ultimo versante, il Friuli Venezia
Giulia è un ottimo territorio, in quanto palcoscenico di
ambienti completamente diversi tra loro: mare, collina
e montagna da secoli sono stati capaci di influenzare le
culture dei friulani e di nascondere luoghi meravigliosi
e interessanti dal punto di vista naturale e geologico. A
pochi chilometri da Trieste si trova la caverna turistica
più grande del mondo: la Grotta Gigante. E le lagune di
Grado e di Marano ospitano una ricca varietà di flora e
di fauna che difficilmente gli appassionati naturalisti possono trovare nel resto del pianeta.
Ma sappiamo di vivere in un ambiente carico di storia? Di
avere tutti queste meraviglie attorno a noi? In un’epoca
nella quale la frenesia del lavoro, l’industria e la tecnologia prendono il sopravvento su tutto ciò che ci circonda, è
difficile fermarsi e rendersi conto delle meraviglie che si
hanno sotto gli occhi ogni giorno. Forse, l’unico modo per
iniziare a capirlo è sapere che esistono. Leggere. Informarsi. E andare a vederle.
GIULIA BONIFACIO
«LA COGNITIONE DEL BENE»
LEGISLAZIONE SUI BENI CULTURALI: LO STATO DELL’ARTE
Un diritto all’avanguardia, eppure...
Dal punto di vista legislativo, l’Italia è stata la prima nazione al mondo, ben prima dell’unificazione, a dotarsi di
provvedimenti a tutela del paesaggio e del patrimonio artistico. Il primo a porsi il problema fu Raffaello Sanzio,
l’artista prediletto dei papi nel primo Cinquecento; di lì
a poco, i vari governi locali della penisola iniziarono a
legiferare in merito.
Nel 1881, nella tipografia Salviucci di Roma, uscì un
volume dal titolo eloquente: Leggi, decreti, ordinanze e
provvedimenti generali emanati dai cessati Governi d’Italia per la conservazione dei Monumenti e la esportazione delle opere d’arte. Innumerevoli i documenti riportati:
in un’infilata di duchi, granduchi, principi, re, regine, baroni, conti, cardinali, vescovi, ciambellani, camerlenghi,
colpisce la straordinaria lungimiranza dei politici e degli
amministratori dei secoli passati.
Da questo secolare lavorio legislativo si è arrivati, passando per le esperienze della legge Croce e di quella Bottai (il miglior provvedimento preso negli anni del Fascismo, assieme alla riforma scolastica di Giovanni Gentile),
all’ottimo articolo 9 della nostra Costituzione:
«La Repubblica promuove lo sviluppo della
cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio artistico della
Nazione».
Nel 2003, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sottolineò il carattere originale, per non dire
unico al mondo, di questo articolo, concepito come valore
fondante della Repubblica: aveva ragione. Ed è ammirevole il fatto che nel 2004 il Parlamento abbia deliberato il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, finalmente un
testo unico e organico che sistema tutto il marasma delle
leggi precedenti.
Qual è, allora, il problema? O meglio: perché, in Italia, si
verifica la follia totale che i beni culturali vengano percepiti come un problema?
Cosa compete a chi? Il dramma italico della
responsabilità
L’assurdo è evidente: abbiamo un giacimento d’arte e
bellezza sterminato, senza eguali nel mondo, eppure non
sappiamo cosa farne. A mancare, l’abbiamo visto, non
sono le leggi sulla tutela, bensì una strategia nazionale
di valorizzazione.
I vincoli alle costruzioni selvagge esistono: eppure, vengono sistematicamente aggirati grazie ai poteri delle
regioni, delle province e dei comuni, che hanno la possibilità di infiltrarsi nelle falle del sistema, applicare «deroghe». E poi, tanto, c’è sempre un condono edilizio che
ricorre a cadenza regolare. Paradossale, inoltre, è il fatto
che la tutela del patrimonio spetti allo Stato, mentre la
sua valorizzazione alle Regioni: una divisione che non
ha ragion d’essere, poiché si tratta di due lati della stessa
medaglia. Per capirci: lo Stato può anche restaurare Villa
Adriana a Tivoli, ma se poi la Regione Lazio decide di costruire a pochi passi una discarica (è notizia dello scorso
novembre), l’intervento di recupero diventa inutile.
Nonostante la risistemazione dovuta al Codice unico del
I NUMERI DEI
BENI CULTURALI
ITALIANI
• 95.000 chiese monumentali
• 40.000 fra rocche e castelli
• 30.000 dimore storiche con 4.000
giardini
• 36.000 fra archivi e biblioteche
• 20.000 centri storici
• 5.600 musei ed aree archeologiche
• 1.500 conventi
• 46 siti UNESCO (che però
comprendono spesso più luoghi
assieme)
2004, non c’è ancora una chiara distinzione dei ruoli e dei
poteri dei vari enti. Ed ecco che le Soprintendenze litigano con i Comuni, i Comuni con le Province, le Province
con le Regioni, le Regioni con lo Stato, lo Stato con le
Comunità Montane, le Comunità Montane con i Consorzi, i Consorzi con gli Enti del turismo, e tutti con i privati.
‘Privati’: fra tabù e parola magica
Già, i privati, quella generica entità che viene invocata
ogni volta in momenti di crisi: perché, si dice, i cittadini
più abbienti non contribuiscono alla valorizzazione nel
nostro patrimonio? Si dà la colpa a un sostanziale disinteresse e spesso è vero, ma è ancora più vero che in Italia
l’intervento dei privati viene spesso ostacolato da vincoli
di ogni sorta, a partire da un caso banale: per aprire un
punto di ristoro in un luogo archeologico - provate a visitare, in estate, certi siti nel cuore della Sicilia e della
Sardegna e mi saprete dire - un potenziale gestore deve
percorrere un sentiero di guerra... e l’autorizzazione non
è affatto scontata. Poi, certo, le regole devono essere chiare: ma perché, allora, non si applica lo stesso rigore a chi
ha costruito senza autorizzazione nella Valle dei Templi
di Agrigento?
Non va meglio per chi decide di restaurare: i privati proprietari di beni culturali pagano l’IVA sui lavori. Nemmeno la generosità è sufficiente; in molti casi, ricchi collezionisti di opere d’arte hanno lasciato in eredità allo Stato
le loro proprietà, con la clausola di renderle fruibili al
pubblico... e tale clausola è rimasta lettera morta. Capita
ai Musei Civici di Padova, dove il lascito (risalente alla
fine dell’Ottocento!) della famiglia nobile Capodilista è
ancora negli scantinati.
VANNI VERONESI
L’interno della Basilica di Aquileia.
fotografia della situazione
UN PAESE SCHIZOFRENICO
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UN PATRIMONIO CULTURALE IMMENSO, MA NON SAPPIAMO COSA FARNE
Il caso simbolo: Pompei
Oltre al patrimonio artistico, l’Italia è nota nel mondo
in quanto ‘Belpaese’, ossia per il suo meraviglioso paesaggio. Un paesaggio, però, che negli ultimi decenni ha
subito offese di ogni sorta. Si dice sempre che il modo
migliore per difendere il territorio sia lasciarlo alle cure
dei contadini, specie nelle montagne: ebbene, secondo il
dossier Wwf sul consumo del suolo in Italia (2009: l’anno del cemento), «dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro paese è aumentata del 500%». Il punto
della situazione è in un recente libro del grande archeologo Salvatore Settis: Paesaggio Costituzione Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile
(Einaudi, 2010). Nel volume, i dati sono elencati con una
precisione che, ahinoi, non lascia respiro: si scopre, così,
che nel solo 2006 in Italia sono sorte 732.157 nuove unità
immobiliari, che nel 2008 sono stati completati 59.000
edifici residenziali, con una volumetria di quasi 126,2 milioni di metri cubi, che nel periodo 1995-2006 i comuni
italiani hanno rilasciato in media permessi per un’edificazione totale di 3,1 miliardi di metri cubi.
La cronica mancanza di fondi
Nel marzo del 2011 l’eminente archeologo Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali del Ministero, si è dimesso in aperta polemica con le
scelte del Governo che implicano continui tagli. Si legge
nella sua lettera che le dimissioni sono state inevitabili
«nella constatazione dell’impossibilità del ministero di
svolgere quell’opera di tutela e sviluppo del patrimonio
culturale stante la progressiva e massiccia diminuzione
degli stanziamenti di bilancio». Carandini era stato nominato nel 2009 dopo che lo stesso incarico era stato lasciato da Salvatore Settis per motivi analoghi.
La nostra politica, per la sua proverbiale miopia, non ha
ancora capito che i fondi per la gestione dei Beni culturali
non sono a fondo perduto: il turismo, in Italia, vive grazie
al nostro patrimonio. Ma chi verrà a vedere Pompei quando non esisterà più? L’iperbole è evidente, ma il problema
è reale: se non si interviene, con una strategia seria, su tutto il territorio nazionale, rischiamo di mandare in rovina
la nostra stessa identità.
MARCO SIMEON
I 46 SITI UNESCO
D’ITALIA
(numero record nel mondo)
(United Nations Educational Scientific and Cultural Organization)
1979
Arte Rupestre della Val Camonica
1997
1980
(e 1990)
Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San
Paolo fuori le Mura
Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata
1997
Area archeologica di Agrigento
1980
La Chiesa e il convento Domenicano di Santa
Maria delle Grazie e il ‘Cenacolo’ di Leonardo
da Vinci
1997
La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina
1997
Villaggio Nuragico di Barumini
1998
Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano,
con i siti archeologici di Paestum, Velia e la
Certosa di Padula
1998
Centro Storico di Urbino
1998
Zona archeologica e Basilica Patriarcale di
Aquileia
1982
Centro storico di Firenze
1987
Venezia e la sua Laguna
1987
Piazza del Duomo a Pisa
1990
Centro Storico di San Gimignano
1993
I Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri di Matera
1999
Villa Adriana (Tivoli)
1994
La città di Vicenza e le ville del Palladio in Veneto
2000
Isole Eolie
2000
1995
Centro storico di Siena
Assisi, La Basilica di San Francesco e altri siti
Francescani
1995
Centro storico di Napoli
2000
Città di Verona
1995
Crespi d’Adda
2001
Villa d’Este (Tivoli)
1995
Ferrara, città del Rinascimento, e il Delta del Po
2002
1996
Castel del Monte
Le città tardo barocche della Val di Noto (sudest della Sicilia)
1996
Trulli di Alberobello
2003
Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia
1996
Monumenti paleocristiani di Ravenna
2004
Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia
1996
Centro storico di Pienza
2004
Val d’Orcia
1997
La Reggia di Caserta del XVIII con il Parco,
l’acquedotto Vanvitelli e il Complesso di San
Leucio
2005
Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica
2006
Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli
1997
Residenze Sabaude
2008
Mantova e Sabbioneta
1997
L’Orto botanico di Padova
2008
1997
Portovenere, Cinque Terre e Isole (Palmaria,
Tino e Tinetto)
La ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e
del Bernina
2009
Dolomiti
1997
Modena: Cattedrale, Torre Civica e Piazza
Grande
2011
I longobardi in Italia. Luoghi di potere (fra cui
Cividale del Friuli)
1997
Costiera Amalfitana
2011
Siti palafitticoli preistorici delle alpi
ALTA UOTA
Ma Pompei è solo il caso più evidente. C’è la città romana di Sapino, nel Molise: un grande sito archeologico a
cielo aperto, dove il biglietto al Museo costa due euro,
e l’ingresso al parco, che comprende colonnati romani,
ville e anche un teatro a emiciclo, è libero. Le immagini
sono quelle di un luogo abbandonato, senza alcuna forma
di pubblicità. La stessa Soprintendenza di Campobasso è
costretta ad ammettere che non ci sono neanche i soldi per
tagliare l’erba che cresce alta sui monumenti: del resto,
con appena 215.000 euro per le attività in tutta la Regione, un intervento effettivo pare difficile.
Ma anche i monumenti più celebri non se la passano meglio: basta fare un breve giro nell’immensa Reggia di Caserta, dove filtra l’acqua nei locali che ospitano l’archivio
Borbonico, e dove molte stanze restaurate e meravigliose
restano chiuse per mancanza di personale. Reggia di Caserta che rischia addirittura di chiudere per l’impossibilità
di pagare con i propri fondi le forniture di luce. Oppure è
eloquente una visita a Pozzuoli, dove nel Castello Aragonese è stato istituito lo splendido Museo dei Campi Flegrei, che raccoglie moltissime opere greche e romane ed
è stato premiato nel 2008 come miglior museo dell’anno.
Nel 2009, risulta chiuso per mancanza di personale di custodia. Eppure, a Pozzuoli, per i restauri e il Museo, sono
stati spesi circa 230 milioni di euro. E del resto è dell’agosto di quest’anno la notizia dello Sposalizio della Vergine
di Raffaello salvato dalla pioggia che filtrava dentro la
Pinacoteca di Brera, a Milano. A riprova che anche celeberrimi capolavori dell’arte italiana non sono salvi dallo
sfacelo. Anche in questo caso il Soprintendente denuncia:
mancano i fondi per le ristrutturazioni.
La geografia dell’abbandono, tuttavia, è molto più estesa
ed è fatta di piccoli casi, sparsi ovunque e in numero impressionante. L’Aquileia romana è per la maggior parte
ancora sotto terra, in attesa di scavi che forse non arriveranno mai; sempre ad Aquileia, la stazione ferroviaria
da cui partì la carovana con la salma del Milite Ignoto è
assediata da lamiere e immondizia. Villa Reale a Monza,
con il suo parco cintato più grande d’Europa, giace nello
sfacelo ed è oggetto di vandalismo. Ad Asolo, il castello
della regina Caterina Cornaro (1454 - 1510), teatro dei
Geografia della cementificazione
La via Appia, la gloriosissima via Appia dei Romani, è
oggetto di speculazione selvaggia. Villa Adriana a Tivoli
vedrà forse sorgere a pochi passi una discarica. L’incuria
dell’entroterra e gli scempi edilizi hanno rischiato di spazzar via le Cinque Terre, meraviglia che tutto il mondo ci
invidia. Il caso più drammatico, però, è senz’altro quello
del Veneto, dove una malintesa civiltà del «capannon»,
retaggio di quando il Nord-Est era la locomotiva d’Italia,
ha annientato un territorio fiabesco, prima dominato dalle
ville di Andrea Palladio: il poeta della Marca Trevigiana
Andrea Zanzotto, morto lo scorso 18 ottobre, è stato il più
attento osservatore di questo fenomeno, ma il suo grido di
dolore è rimasto inascoltato.
uotattualità
Geografia dell’abbandono
dialoghi Asolani scritti dall’umanista Pietro Bembo, è
completamente abbandonato. La zona archeologica della
siciliana Tindari, cantata da Salvatore Quasimodo nella
sua celebre poesia Vento a Tindari, è fruibile solo in parte
ed è sfigurata dal degrado. Le meravigliose chiese dei Sacri Monti lombardi, con i loro stupendi cicli di sculture
del Cinque-seicento, sono costantemente oggetto di vandalismo per la cronica carenza di controllo. Il semplice
mosaico longobardo di Cervignano, presso la chiesa di
S. Michele, è ridotto a una serra per piante. Casi come
questi si sprecano e segnalano un preoccupante disinteresse della politica e, spesso, degli stessi cittadini.
in
Pompei, notizia del 27 ottobre 2011: un altro muro che si
abbatte al suolo, danneggiata la Casa di Diomede. Pompei, il più grande sito archeologico al mondo, è senz’altro il simbolo dell’incuria e del degrado in cui versano
tanti patrimoni di inestimabile bellezza. Già nel 2009, il
programma di Rai3 Presa Diretta analizzava la situazione del sito: ce n’era un po’ per tutti i gusti. Costruzioni
abusive a ridosso dell’area archeologica che non si riesce
a espropriare perché il Ministero non ha soldi; mosaici
lasciati alle suole dei turisti che si vanno sgretolando,
dipinti e affreschi abbandonati alle intemperie, teche talmente piene di muffa da non lasciar vedere ciò che contengono. E ancora, tetti che crollano, muri che cadono,
monumenti che conservano i puntelli del terremoto del
1980, aree danneggiate dalla Guerra nel 1944 e ancora
non riparate.
Meno male che solo l’11 novembre di quest’anno, il Ministro per i Beni Culturali uscente Galan dichiara: «Le
norme contenute nella legge di stabilità approvate oggi al
Senato confermano l’inversione di tendenza riguardo le
risorse umane e finanziarie destinate in favore della cultura, che dopo anni vedono con questo governo un primo,
significativo incremento. Inoltre vengono sbloccate 168
assunzioni, di cui 20 per la sola Pompei, e viene permesso l’utilizzo dei notevoli risparmi del 2011 per procedere
a ulteriori assunzioni fino al 2012. Norme che invertono
l’endemica diminuzione del personale del MiBAC e mi
auguro possano essere rese definitive». Peccato che in
Presa Diretta del 2009, la Direttrice dell’Ufficio Tecnico
della Soprintendenza di Pompei Paola Rispoli dichiarasse che la carenza di personale nell’area archeologica
ammonta a circa cinquecento unità, e che per una manutenzione complessiva sarebbero necessari quasi trecento
milioni di euro. Notizia recente, dei primi di novembre, è
però quella della visita in Italia del commissario europeo
alle politiche regionali Johannes Hahn, recatosi a Pompei con i Ministri competenti per definire un progetto di
salvataggio dell’area archeologica con fondi europei per
un ammontare di circa 105 milioni di euro. A detta di
molti, questa operazione appare l’unica via di scampo
per il sito.
4
l a p a r o l a a g l i esp erti
TURISMO CULTURALE:
UNA SFIDA DA AFFRONTARE UNITI
IMPARA L’ARTE E
BUTTALA DA PARTE
LA RICETTA DELL’ESPERTO DI MARKETING
«Il museo tradizionale? Non basta più». Ad affermarlo
è MAURIZIO DROLI, 46 anni, originario di Tolmezzo e titolare dello studio Droli & Partners di Udine.
«Oggi ci vogliono proposte culturali basate sulla collaborazione tra istituzioni e sul coinvolgimento attivo
del visitatore, con attenzione al mercato», spiega Droli, docente a contratto di Marketing del turismo presso
il corso di laurea in Scienze e tecniche per il turismo
culturale dell’Università degli Studi di Udine, nonché
docente a contratto presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca.
I Vantaggi del Co-marketing. Tempi difficili, lavoro di squadra e rilancio dell’Italian
Style, è il titolo del suo ultimo libro, in uscita per i tipi della CLEUP di Padova.
in
uotattualità
- Dott. Droli, in cosa consiste il turismo culturale?
«La risposta, al contrario di quanto si può pensare, non è banale: c’è molto di più rispetto alla semplice visita a una città d’arte. L’organizzazione del turismo culturale è una
via di mezzo tra arte e tecnica. Si tratta di una proposta che mira a rendere remunerative
le risorse storiche e artistiche presenti in un territorio. Chi ne beneficia sono i gestori di
musei e monumenti, innanzitutto, ma anche i ristoratori, gli albergatori e i commercianti, solo per citarne alcuni. Pensi solo che un turista straniero in visita alle nostre città
spende mediamente 110 euro al giorno! Tutto ciò, naturalmente, non può essere campato in aria, ma deve essere strettamente basato su ciò che chiede il mercato».
- Chi è ‘l’utente tipo’ di questa proposta turistica?
«Un ‘utente tipo’ in senso assoluto non esiste, dipende molto dalle mete che vogliamo
prendere in considerazione. In generale, si tratta di persone di livello culturale medioalto, spesso superiore alla media, che viaggiano più spesso degli altri. Anche le età
sono piuttosto varie: esistono proposte adatte ai giovani, alle famiglie, agli anziani.
Spesso, comunque, chi fa turismo culturale è una persona ritirata dal lavoro, con più
tempo da dedicare all’arte e alla cultura. La nostra regione, per un insieme di fattori tra
i quali la presenza di ottimi servizi sociali e sanitari, ha ottime potenzialità per attrarre,
anche dall’estero, persone di una certa età che vogliano trascorrervi un periodo di vacanza o trasferirsi stabilmente».
- Qual è la rilevanza economica di questo fenomeno, nel nostro paese? E nella nostra
regione?
«I dati MIBAC (Ministero per I Beni e le Attività Culturali, ndr) 2007 ci dicono che
il 30% di tutti i flussi turistici nel nostro Paese riguarda mete di interesse storico-artistico, e può dunque rientrare a pieno titolo nel turismo culturale. Per confronto, pensi
che il mare, che è la destinazione preferita, rende conto del 38% circa degli arrivi. Nel
nostro Paese abbiamo 352 città di riconosciuto interesse storico-artistico, e turisti stranieri spendono nelle nostre città d’arte circa 9,8 miliardi di euro l’anno. In regione (dati
www.turismofvg.it, ndr), nel 2011 tutte le città d’interesse culturale hanno registrato
risultati positivi: i primi 8 mesi hanno visto Trieste attestarsi su un +10,8% rispetto
all’anno precedente, con risultati positivi anche per gli altri capoluoghi di provincia.
Situazione incoraggiante per le cosiddette ‘perle d’arte’ della nostra Regione, che comprendono Cividale, Codroipo, Gemona, Sacile, San Daniele, Spilimbergo e Venzone.
Nel complesso, gli arrivi in queste località hanno totalizzato un + 7,5%. Codroipo, in
particolare, ha registrato uno stupefacente + 34,9%».
- Secondo lei, il nostro patrimonio artistico è adeguatamente valorizzato da questa modalità di fruizione? O è d’accordo con chi sostiene che il nostro paese sia molto indietro
su questi temi?
«Se sia ben amministrato sotto il profilo culturale, non spetta a me dirlo... Per quanto
riguarda gli aspetti economici, mi spiace dover ammettere che il nostro Paese è un
colabrodo. Siamo uno Stato che conta ben 46 siti Unesco, ma nel loro sfruttamento
siamo molto, molto indietro rispetto ad altri. Abbiamo un buon numero di musei e teatri, ad esempio, che senza un costante e invadente contributo economico da parte degli
enti pubblici avrebbero già chiuso da tempo, perché non riescono a stare sul mercato.
Per non parlare dell’amministrazione delle aree archeologiche: non mi riferisco solo a
Pompei, ma anche alla stessa Aquileia. Si sa che il fatturato netto dei musei proviene
solo dai biglietti emessi, ma perché non pensare anche ad altre attività? Perché, ad
esempio, un museo non può noleggiare biciclette per chi voglia fare un giro nei dintorni, oppure ospitare attività ricettive? Sarebbe ora di smetterla con il ‘purismo’ tipico
del museo italiano, e programmare una gestione economica più attenta».
ALTA UOTA
- Quello che lei dipinge è un quadro piuttosto negativo. Ma ci saranno pure degli esempi
positivi?
«Ma certo, e anche per questo sostengo che il nostro Paese sia un colabrodo! A situazioni ideali si affiancano realtà nelle quali c’è da mettersi le mani nei capelli. Cito
come esempio quello dei musei sensoriali, soprattutto scientifici, nei quali al visitatore
viene fatto sperimentare ‘sulla sua pelle’ che cos’è la scienza. Oggi c’è bisogno non
solo di una cultura statica, tradizionale, ma anche di un coinvolgimento attivo delle
persone in ciò che stanno osservando: penso innanzitutto ai musei della Grande Guerra, che oltre a esporre i cimeli portano i visitatori con i carri direttamente sulle trincee,
consentendo loro di vivere un’esperienza più completa ed emozionante».
- Cosa si può fare, allora, per amministrare al meglio il nostro patrimonio storico-artistico, anche dal punto di vista turistico ed economico?
«Come sempre, bisogna essere umili e imparare dai più bravi. I migliori, in questo
campo, sono gli amministratori che hanno compreso l’importanza del fare marketing
insieme: è questo il sistema per avere i migliori risultati. Non sempre è facile far capire
ai musei più piccoli quanto sia vincente questa strategia, ma in tempi di crisi come
questi bisognerebbe rendersi conto che le strategie di marketing di un museo non sono
affatto facili da organizzare da soli. Mettendosi insieme, invece di combattere una
‘guerra tra poveri’, si possono unire capacità e competenze. Una cosa è certa: siamo
in un’epoca di grandi cambiamenti, e chiunque operi nel campo dei beni culturali è
chiamato a rispondere alle sfide che questa rivoluzione ci pone».
ALESSANDRO MORLACCO
Si tratta ovviamente di una provocazione, ma è questa che ho
utilizzato per ascoltare MONICA ZAMOLO, la professoressa
di ‘arte e immagine’ (un tempo chiamata educazione artistica)
alle scuole medie cervignanesi.
La incontro a casa sua, una bella villetta delle nuove zone
abitative, insieme alla famiglia e ai suoi bellissimi ed impegnativi bambini. La cena sul fuoco ed il computer collegato
alla rete. Mentre sistema la prole con il piglio del ‘domatore’
le chiedo di raccontami un po’ di lei. Classe 1968, è arrivata
a Cervignano dopo il matrimonio ed è originaria di Venzone.
Laureata in architettura a Venezia, ha fatto il praticantato per
l’esercizio della libera professione, ha collaborato con l’Università udinese ed ha
fatto alcune esperienze nel campo della conservazione dei beni architettonici proprio
nella ‘sua’ Venzone del dopo terremoto. Contemporaneamente i concorsi e l’ingresso
nella scuola. Prima come una fra le altre cose, ma presto ritrovando la passione per il
contatto umano e la libertà dai condizionamenti che l’esercizio professionale inevitabilmente impone. La scelta poi di insegnare arte anziché tecnica risponde pienamente
alla voglia di creatività. Entriamo allora nel vivo dell’argomento:
- Si dice che il patrimonio artistico e culturale dell’Italia sia uno dei più preziosi al
mondo ed uno tra i meno curati. Qual è il suo pensiero?
«La ricchezza del nostro patrimonio artistico sta nella sua vastità e diffusione. Oltre
ad attraversare praticamente tutte le epoche della storia umana, i segni della presenza
dell’arte in Italia sono letteralmente in mezzo a noi. La gestione, la conservazione e la
valorizzazione delle opere d’arte, ma più in generale di tutto il ‘contesto’ paesaggistico
che definiamo ambiente è affidato alla struttura pubblica, incapace però di innescare
il meccanismo economico che un ambiente curato è in grado di generare. Un esempio
a noi vicino rende bene l’idea: il borgo di Strassoldo, pur non essendo in definitiva di
grande rilievo sotto il profilo artistico, ha dimostrato di saper attrarre notevole interesse di pubblico e di essere un buon volano economico, ma solo in quanto frutto di
iniziativa privata».
- Ma, allora, perché ci vogliamo così male?
«Non esiste in effetti una responsabilità precisa, ma sembra vi sia una convergenza di
energie negative verso il ‘maltrattamento’ del nostro ambiente e dell’arte. Innanzitutto
la famiglia: succede che la meta delle vacanze sia una spiaggia lontana, ma magari
nessuno è mai stato ad Aquileia. Gli stessi mezzi di comunicazione hanno relegato
il documentario artistico a poche sparute apparizioni in orari marginali. La politica,
evidentemente, nel momento in cui afferma che non ci sono fondi per la tutela del patrimonio, esprime una scelta. E la scuola ha le sue responsabilità quando preferisce trasmettere nozioni, piuttosto che suscitare curiosità. Si potrebbe veramente fare di più».
- Restiamo in argomento. Qual è oggi la situazione dell’insegnamento dopo riforme e
tagli?
«Le difficoltà non mancano, anzi. Le modalità di apprendimento sono ‘mutilate’ dalla
mancanza di strutture o dal loro inutilizzo, l’attività pratica è al lumicino per i costi del
materiale che la struttura pubblica non possiede e le famiglie non possono permettersi,
i pochi mezzi a disposizione sono gestiti senza progettualità. I programmi ci sarebbero,
ma la loro applicabilità dipende molto dalla buona volontà del singolo insegnante ed
inevitabilmente dalla sensibilità della struttura pubblica. E così si apre una forbice che
differenzia scuola da scuola, ma anche classe da classe, che spesso risulta ancora più
evidente a causa dell’indifferenza delle famiglie».
- Ma fuor di retorica, il nostro patrimonio artistico e culturale potrebbe essere una
risorsa per le future generazioni?
«Sicuramente, e non solo sotto l’aspetto economico. Ma è davvero parte di noi, anche
se non ne siamo consapevoli. Non v’è dubbio che le nostre radici siano la premessa
del nostro futuro. Conoscere meglio il nostro passato, la nostra storia ci permetterebbe
di affrontare meglio le sfide e le incognite che ci attendono. Vivere poi in un ambiente
curato e rispettoso di se stesso crea ricchezza di per sé. Anche qui, in questa città,
ben organizzata e ricca di servizi, ci sono però ‘brani’ di sviluppo ed espansione che
sembrano quasi frutto del caso, privi di progettualità, di continuità e assolutamente
irrispettosi del territorio. Non ci sono in definitiva grandi valori artistici, anche se
quelli che ci sono potrebbero essere meglio valorizzati, ma una bella vigna potrebbe
comunque essere considerata meglio di un centro commerciale».
- In tutto questo, che assomiglia molto ad un rito funebre, c’è qualcosa che ci possa
far sperare?
«Le difficoltà si possono tradurre in opportunità. Ѐ quando le cose sono difficili che
emergono le energie più vitali. Vanno quindi colte nuove modalità. Il metodo progettuale ci insegna che è proprio dalla presenza di vincoli che si esprime la creatività. E se
crediamo che sia la politica a condizionare le scelte e non le condividiamo, allora forse
vuol dire che è arrivato il momento di mettersi in gioco personalmente».
GIUSEPPE ANCONA
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Cancellare l’assurda divisione fra «tutela» del patrimonio,
affidata allo Stato, e «valorizzazione», affidata alle Regioni, e concentrare tutti i poteri in un unico ente con cui tutti
gli altri si limitino a collaborare; investire nel settore dei
Beni Culturali riportando i fondi del Ministero a livelli accettabili; armonizzare tutta la legislazione sul tema; fare in
modo che gli interventi di restauro siano completamente
deducibili dalle tasse; aprire la gestione dei Beni anche ai
privati, facendo rispettare le regole già esistenti; inasprire
le pene per chi costruisce abusivamente e abolire la pratica dei condoni edilizi; procedere a nuove assunzioni nelle
Soprintendenze, imponendo requisiti di alto profilo; eliminare gli enti inutili e mangiasoldi; finirla, per sempre, con
le nomine politiche; progettare, per ogni museo, un piano
di spesa e di marketing di durata pluriennale.
Tutte queste proposte le abbiamo sentite e lette ovunque e
vanno sottoscritte in pieno: il settore dei Beni Culturali, in
Italia, necessita di un ripensamento globale. Come afferma il noto critico Philippe Daverio, «sembra che di tutto
questo patrimonio non sappiamo più che farne»: è assente, infatti, un piano nazionale, ognuno fa (se fa) come può
o come vuole, per conto suo, spesso in aperto contrasto
con i suoi dirimpettai.
COPIARE I BUONI ESEMPI, DALL’ITALIA E
DALL’ESTERO
RISTRUTTURARE IL SITO DEL TURISMO
WWW.ITALIA.IT PARTENDO ‘DAL BASSO’
Il sito internet www.italia.it è il portale internet ufficiale del turismo in Italia, costato circa 80 milioni di euro.
Soldi ben spesi? Per niente. Sulla autentica vergogna di
questo sito, pieno di informazioni sbagliate, errori di ortografia, testi scritti con i piedi, la letteratura è sterminata:
da una versione iniziale semplicemente scandalosa si è
arrivati, oggi, a un prodotto quantomeno guardabile, ma
ancora lontanissimo dal poter essere considerato degno di
un paese all’avanguardia.
Un’efficace comunicazione, se si vuole dare nuova vita al
nostro patrimonio, è fondamentale. San Canzian d’Isonzo
era chiamata chiamata Aquae Gradatae dai Romani: vi
passava la via Gemina. Poi cambiò nome in memoria del
martirio dei fratelli Canzio, Canziano e Canzianilla, condannati a morte nel 304 in quanto cristiani. Ebbene: lo sapevate che in città sorge un antiquarium con resti romani
e che, nella chiesetta di S. Proto, sono conservati due sarcofagi con dediche ai martiri aquileiesi del IV sec. Proto
e Crisogono? Un portale ufficiale del turismo italiano dovrebbe rendere conto anche di questo, per non dire soprattutto: Roma, Firenze e Venezia non hanno certo bisogno di
pubblicità. Invece, sul sito non c’è alcuna traccia dei centri
minori, salvo i soliti noti: Gemona, Venzone, San Daniele. Eppure, basterebbero poche righe, inviate dallo stesso
comune di San Canzian d’Isonzo ai gestori del sito: poche
righe in cui si sottolinea il legame con il vicino circuito di
Aquileia e Grado, si usa qualche aggettivo di sicuro effetto
(«inestimabile» va sempre bene) e si racconta la leggenda
dei martiri. E così potrebbero fare tutte le amministrazioli
locali, ognuna delle quali è ben interessata ad accaparrarsi visitatori. In Italia, ogni Pro Loco stampa guide per il
turismo: basterebbe convertirle in formato digitale e farle
convergere tutte su www.italia.it.
SECONDO L’ASSOCIAZIONE
‘CERVIGNANO NOSTRA’…
IL PATRIMONIO DA SALVARE A CERVIGNANO
1) La villa romana nell’area Rossato, purtroppo ricoperta per la realizzazione dell’area artigianale.
2) Le presenze di materiale romano nella zona dell’Obiz.
3) L’ex scuola di via Roma, bellissima architettura dei primi Novecento.
4) Il quartiere settecentesco che ruota attorno alla chiesa di S. Girolamo, di origine medievale, sorta sul IV miglio della via romana
Julia Augusta. Su una di queste case è presente uno stucco dipinto del 1729, raffigurante la Trinità.
5) I Molini Variola, risalenti ai primi del Novecento, vecchia gloria
dell’archeologia industriale cervignanese.
6) L’ex zuccherificio di via Cajù, ottimo esempio di architettura razionalista, inagurato dallo stesso Mussolini.
7) La palazzina di comando della caserma ‘Monte Pasubio’ in via
III Armata.
8) Le sopravvivenze della Cervignano ‘storica’: le case di fronte a via
Verdi, le case sull’Ausa lungo via Trento e la casa Salomon.
9) Il Canevon, erede delle fortificazioni veneziane del Seicento,
nell’area di borgo Fornasir.
10) Le sopravvivenze della medievale chiesa di S. Gallo vicino Strassoldo, secolare tappa di pellegrinaggi.
11) Le numerose trincee della Prima Guerra Mondiale sparse in tutto
il centro città.
12) Il ‘Casson’ a Muscoli, piccolo sistema di paratie costruito dalla
Serenissima per regolare il flusso d’acqua del fiume Taglio.
13) Le nostre campagne, ovviamente... per non distruggere il paesaggio rurale.
IL PATRIMONIO DA VALORIZZARE A CERVIGNANO
1) Scavi archeologici, reperti e mosaico esterno presso la chiesa di
S. Michele Arcangelo.
2) Il preziosissimo crocifisso del Duecento nella cappella Bresciani.
3) Il borgo di Strassoldo.
4) La chiesa di S. Maria in Vineis a Strassoldo, con i suoi splendidi
affreschi trecenteschi.
5) Le nostre ville storiche: villa Bresciani, villa Obiz, villa Vitas, villa Chiozza, villa Sepulcri-Albini (nota come Villa Trovatore), villa
Merkl, casa Zanier, casali Dean, più tutte le ville rurali sei-settecentesche di Scodovacca.
6) I reperti preistorici, romani e medievali ritrovati negli ultimi due
secoli in varie località del nostro Comune e oggi sparsi nei musei di Gorizia, Aquileia, Cividale: laggiù sono solo pochi pezzi fra i
tanti (e spesso giacciono negli scantinati), da noi formerebbero il
nucleo di un eccellente antiquarium.
7) Le 23 ancone sacre sopravvissute (delle 29 originali) sparse in
tutto il Comune. Esse coprono un arco di tempo che va dal Medioevo alla metà del Novecento.
8) Tuti gli oggetti d’arte sacra lasciati alla polvere degli scantinati
nelle nostre chiese.
APRIRSI AL PUBBLICO ATTRAVERSO INTERNET
9) La quarantina di epigrafi romane diffuse nel nostro territorio o
conservate al Museo Archeologico di Aquileia.
Parlando di beni culturali, quasi sempre ci si dimentica
10) I nostri borghi rurali: borgo Modena, borgo Fornasir, Pradiziolo e
delle nostre favolose biblioteche storiche, dove sono conservati milioni di manoscritti copiati nel arteottica.pdf
Medioevo15/02/2010
dagli 19.52.07 Ca’ Bolani.
ALTA UOTA
Nella puntata di Report del 4 dicembre scorso veniva messo
in luce un esempio di buona gestione delle risorse culturali:
quello della fondazione Ravennantica, capitale del mosaico, che è riuscita a mettere insieme enti locali, fondazioni
bancarie, Soprintendenza, Università e 1200 cittadini che
pagano una retta dai 30 ai 50 euro per sostenerne i progetti.
Gli introiti sono stati tali da aver permesso, l’anno scorso,
di aprire al pubblico una villa romana prima inagibile: in un
anno, 60.000 visitatori e bilancio in pareggio.
Tuttavia, spiace dirlo, casi del genere sono molto rari in
Italia, mentre sono la norma all’estero. In Francia, i Castelli della Loira formano un circuito turistico unico dagli
anni Sessanta: stessi orari da castello a castello, percorsi
comuni e addirittura marchio registrato. In Francia, l’insieme dei 19 castelli in un anno gode di 8 milioni e mezzo
di visitatori, 1 miliardo di euro di ricavi e 280.000 posti di lavoro. Noi, nel nostro piccolo Nord-Est, abbiamo
4238 ville venete: 4238 ville contro 19 castelli, eppure
non riusciamo a farle fruttare. Molte giacciono nel più
totale abbandono, altre sono chiuse, le rimanenti aperte
con orari tutti diversi: nessun coordinamento, un sito internet (www.villevenete.net) che ha spesso problemi di
credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47
visualizzazione.
Pur nella consapevolezza che mettere
Avete presente le piramidi di urne cinerarie che si ergono
nel giardino del Museo Archeologico di Aquileia? Sono
uno studioso di antichistica, quindi sono il primo a difendere il valore finanche del frammento di fibula, ma mi
chiedo: abbiamo davvero bisogno di conservare centinaia
di urne romane tutte uguali? Accatastate in quel modo,
non valgono nulla; vendute ai privati, diventano pezzi
di valore, ottimi per ricavare denaro da investire nel restauro di ciò che effettivamente conta: mosaici, epigrafi, statue, affreschi, intonaci, tutte cose che ad Aquileia
soffrono un’incuria che dura da troppi anni. Lo stesso
discorso vale per il numero spropositato di anfore che invadono tutti i musei archeologici d’Italia: un giacimento
di oggetti che resta a prendere polvere senza motivo e
che, una volta venduto (o come minimo dato ‘in comodato’), frutterebbe ingenti somme. Ai privati, naturalmente,
spetterebbe l’obbligo di conservare con cura tali reperti
e renderli accessibili agli studiosi qualora lo richiedano,
pena multe salatissime.
uotattualità
Ma prima di pensare al nostro patrimonio in termini economici, dobbiamo metterci un testa, una volta per tutte,
che la cultura, l’arte e il bello sono nutrimento per l’intelligenza e lo spirito: stimolano idee, sollecitano riflessioni,
spingono al confronto e all’innovazione. In altre parole:
sono un valore di per sè. Un valore educativo che il tempo non può scalfire: avremo sempre bisogno di Leonardo
da Vinci e Andrea Mantegna, di Piero della Francesca e
Antonio Canova, perché avremo sempre bisogno di confrontarci con le opere più sublimi concepite dal genere
umano. Non c’è crisi che tenga di fronte agli affreschi di
Giotto nel duomo di Assisi: il nostro anelito di bellezza
non cede ai mercati e allo spread, semmai aumenta proprio
a causa del male che ci circonda. A tutto questo dovrebbe
educare la scuola, tramite i suoi docenti di storia dell’arte:
peccato che la riforma Gelmini abbia ridotto al lumicino
questa disciplina, tagliandola da molti curricula scolastici.
Una scelta del genere, in un paese come l’Italia, non solo
è cretina dal punto di vista meramente economico (non
conoscere il patrimonio culturale significa abbandonarlo a
se stesso e, dunque, lasciarlo improduttivo), ma è profondamente immorale. Dunque, l’urgenza immediata è quella
di ripristinare i vecchi programmi di storia dell’arte e addirittura incrementarli, magari cancellando il penoso liceo
ginnico (?) appena istituito dall’ex ministro. Solo recuperando una coscienza storica si potrà creare, nelle future
generazioni di Italiani, una coscienza civica sui temi della
tutela e valorizzazione del patrimonio.
VENDERE QUELLO CHE NON SERVE
amanuensi: senza il paziente lavoro di questi ultimi, non
avremmo nessun autore della letteratura greca e latina,
ma nemmeno Dante e gli autori precedenti all’invenzione della stampa. Tutti i paesi europei, Svizzera in testa
(http://www.e-codices.unifr.ch/it), sta provvedendo alla
digitalizzazione completa dei manoscritti presenti sul
loro territorio: qualità di riproduzione altissima, immagini scaricabili gratis da internet. Il primo esempio italiano
di questo genere è della Biblioteca Nazionale di Firenze:
http://www.bncf.firenze.sbn.it/pagina.php?id=35, splendido portale da cui si può accedere, tra l’altro, alle carte
originali di Galileo e a preziosissimi codici letterari. Con
l’eccezione della Biblioteca Laurenziana, sempre a Firenze, l’esempio è rimasto un caso isolato: i costi sono eccessivi. Ma è un falso problema: in America, il sito americano www.archive.org sta mettendo on line, in formato
pdf, tutto il materiale librario su cui è scaduto il diritto
d’autore (dai 100 anni in giù). Attualmente, il sito conta 3
milioni di testi scaricabili gratis in formato pdf. Basterebbe fare la stessa cosa in Italia, magari impiegando i nostri
carcerati: in un colpo solo senza nessun esborso di denaro
pubblico, potremmo rendere un grande servizio alla cultura e offrire un’occasione di riscatto sociale.
VANNI VERONESI
in
REINSERIRE LA STORIA DELL’ARTE NEI
PROGRAMMI SCOLASTICI
assieme un numero così enorme di soggetti è impresa impossibile, perché non iniziare almeno con le ventiquattro
ville tutelate dall’UNESCO? L’unione fa la forza e solo
così si può salvare un territorio dall’aggressione degli
speculatori e dall’inciviltà del «capannon» selvaggio; e
volgendola al positivo, solo così si possono attirare turisti
anche nei luoghi più marginali e dare vita a un indotto
economico di alto livello. Per quanto riguarda le altre ville, che cosa vieta di creare una guida completa accessibile
on line, con tanto di fotografia e collegamento a mappa
satellitare? Conosco già la replica: «Ma chi paga?». Risposta: basterebbe convertire questa necessità in uno stage universitario per i tantissimi studenti di Storia dell’arte
che popolano le università del Nord-Est. Lo stage, è noto,
non costa nulla all’ente pubblico: in un caso del genere,
basterebbero i rimborsi per le spese di viaggio. Invece, le
nostre università obbligano spesso gli studenti a completare il loro stage in luoghi dove al massimo sono costretti
a fare le fotocopie.
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Basilica di Aquileia, 1917: i funerali di Giovanni Randaccio
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Alta ucina
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(si fa sempre per dire…)
ALTA UOTA
SPAGHETTI ALLA ESCORT: VITA VISSUTA… AI NOSTRI GIORNI
Quella degli spaghetti alla escort non è una nuova ricetta,
sull’onda di un termine alla moda, e nulla ha da spartire
con la cosiddetta ‘nouvelle cuisine’. Ѐ invece una vecchia
ricetta, se non addirittura antica, che, a spaghetti, fa seguire un aggettivo che il Devoto-Oli, definisce «trivialmente
equivoco o provocante». Ma il mio vocabolario risale al
1977. E da allora il termine ‘puttanesca’, che è quello della
ricetta, così come il linguaggio in generale, ha subito un’involuzione (o evoluzione?) da renderlo usabile anche da
educande, considerato il dito medio alzato, le pernacchie e
quant’altro i nostri poco onorevoli esibiscono giornalmente. Mi ritengo, pertanto, non meritevole del rimprovero,
quasi una tiratina d’orecchie avuta da un’esponente di punta di una delle più note associazioni locali che, incontrata
ad una bancarella del mercato mentre parlavo di cucina con
la proprietaria, mi disse che nello scrivere «ero solito alludere». Sarà, mah … Certamente la signora non fa caso, o
presta attenzione, ai discorsi nell’ambito a lei pur vicino.
Vero, caro amico, M? Ai miei due o tre lettori (in verità
qualcuno in più), lo stabilire il verso del pollice, non del
medio mi raccomando, se in su o in giù.
Ora, avendo mutato il termine della ricetta, passando dal
termine crudo relativo al mestiere più antico del mondo,
ad un sinonimo che Beppe Severgnini ritiene osceno, non
vorrei cascare dalla padella nella brace.
Ora la ricetta. Di facile preparazione, nel tempo necessario
per far bollire l’acqua e cuocere gli spaghetti. In un tegame
fate imbiondire uno spicchio d’aglio ‘sfranto’, schiacciato,
in olio vergine d’oliva; toglietelo, aggiungete dei filetti di
pomodoro, delle olive nere tagliuzzate, dei capperi, il tutto
a piacere, e del prezzemolo. Sale e peperoncino rosso. Cotti
gli spaghetti, versateli nel tegame, amalgamateli e serviteli
spolverandoli di ottimo pecorino. Un bicchiere di merlot
ben si addice.
A GENTILE RICHIESTA (capita anche questo)
Trionfo di baccalà
peterpan.pdf
Pezzi meno alti ed anche spessi a seconda
della 15/02/2010
neces-
sità. Ungete una capace pirofila, e mettetevi dei pezzi di
peperoni gialli, rossi e verdi e passatela nel forno caldo a
200°. Appena appassiti, aggiungete delle patate tagliate a
tocchetti con origano, olive nere (di Gaeta o non, purché
italiane e di buona qualità; avvertite se hanno il nocciolo), pomodori pelati od anche sugo di pomodoro che, se si
restringe troppo, allungherete con un po’ d’acqua calda, e
dopo una decina di minuti i pezzi asciugati di baccalà che
irrorerete con il sughetto. Dopo trenta minuti il piatto dovrebbe essere pronto. Avviso ai naviganti. A metà cottura
assaggiate gli ingredienti e regolate il sale. Può anche darsi
che il baccalà, se ammollato tre giorni in acqua corrente, ne
richieda un pizzichino. Se resterà del sughetto, con qualche
patata sfarinata, delle sfoglie di baccalà, qualche oliva e
cappero, potete condire il giorno dopo le trenette, bavette o
linguine che dir si voglia.
ALBERTO LANDI
13.47.50
OLTRE LO SPECCHIO
E
di Manuela Fraioli
7
I WISH YOU A MERRY CHRISTMAS
Tutti dicono «è già
arrivato Natale» sorprendendosi del passare del tempo, veloce e
vorace. E Natale arriva
sempre, non curante
delle crisi, dei dolori, dei segni profondi che l’anno ci
ha marcato addosso. Natale arriva, come ogni anno, col
suo vestito di festa, la gioia, i colori, le palline colorate
e i pacchi di regali comprati all’ultimo momento. Chissà
perché si arriva sempre all’ultimo momento a scegliere il
dono che vogliamo fare. In fondo Natale non è Carnevale
che corre a destra e a sinistra del calendario (se guardiamo un calendario a colonne verticali): Natale arriva il 25
dicembre e la sua preparazione inizia, diciamo, intorno ai
primi del mese. Eppure ci ritroviamo puntualmente alle
19:25 della vigilia a cercare l’ultimo regalo da fare. E mi
sono sempre chiesta: e la povera commessa che chiuderà
il negozio alle 19:30 assieme a tutti gli altri negozi? Lei
come farà?
Lei sarà organizzata, concludo. Avrà studiato un planning
accurato. Lei alle 19:30 del 24 dicembre sarà sicuramente
tranquilla di aver adempiuto a tutti i suoi doveri. «Tutt’ al
più - si dirà - ci penserà Babbo Natale!».
Tra i tanti bellissimi, costosissimi, tecnologici regali di
Natale uno ha catturato la mia attenzione. Ѐ il regalo
perfetto per Natale e lo è perché ne è il simbolo: l’albero.
Non c’è Natale senza albero di Natale e non c’è regalo
che equivalga simbolicamente a questo. Con una stella di
Natale in cima, poi, è perfetto.
My Baby Tree è un progetto del WWF per il
rimboschimento della foresta Rinjani nel cuore dell’isola
Lombok in Indonesia. Doni 10 dollari (circa 10 euro),
compri un albero che porterà il tuo nome, o il nome
della persona a cui lo regalerai, ricevi un certificato in
cui si testimonia che l’albero è stato piantato e in cui si
riportano le coordinate geografiche del tuo albero, che
potrai così vedere su una mappa o attraverso Google
Earth.
E che ci importa a noi della foresta in Indonesia? Ci
importa perché le foreste sono il polmone della Terra,
e la Terra dicono stia soffrendo di un piccolo tumore ai
polmoni. Perchè non pensarci adesso?
http://www.mybabytree.org/
ANTEPRIMA SPORT: IL NUOVO PROGRAMMA DI RADIO PRESENZA
Da qualche settimana è partito un nuovo programma sportivo su Radio Presenza: Anteprima Sport (risultati, classifiche
e anteprime su tutto lo sport cervignanese). Va in onda il
mercoledì dalle 19 alle 20; per le repliche, il rinvio è come
al solito al sito www.radiopresenza.org.
protagonisti dello sport cervignanese, ossia gli atleti, quei
ragazzi/e che vanno sui campi, sul parquet di gioco, che
sudano, s’impegnano, imprecano, danno il massimo per
ottenere il risultato o almeno, se il risultato non arriva, la
soddisfazione di uscire dal campo a testa alta.
Entrare negli studi di Radio Presenza è una festa per i
giovanissimi ospiti: dopo i primi momenti di naturale ambientazione, lo studio diventa un’esplosione di vivacità,
di voglia di raccontare, ed è semplicemente fantastico
sentire con che sincerità raccontano le loro vicende sportive e quanto ci tengono veramente a far bene. Il secondo
obiettivo di Anteprima Sport è di ‘scendere in campo’:
andare a vedere le partite dei settori giovanili, e raccontarle in diretta, dare modo a chi è a casa di poter essere
virtualmente presente sul campo di gioco e alla fine sentire le voci dei protagonisti. Ѐ una scommessa che la radio
fa verso se stessa e verso gli sportivi cervignanesi, ma con
l’impegno di tutti si riuscirà in questo ambizioso progetto.
ba eka
Questa trasmissione potrebbe essere un ‘qualsiasi’
programma sportivo, invece no! Certamente vengono
trattati temi di carattere sportivo, ma prevalentemente
l’obiettivo è quello di parlare valorizzando i giovani.
Questa trasmissione innanzitutto evidenzia il lavoro delle società, ospitando settimanalmente, a turno, il calcio
con la Pro Cervignano, il basket con ABC Cervignano
Basket e la pallavolo con l’Ausa Pav e lo Sporting Club
Cervignano, che evidenziano ciò che fanno e come si
prodigano per far innamorare dello sport giovani e anche giovanissimi/e. I protagonisti di queste trasmissione, dunque, sono i giovani, quelli che in fin dei conti
vengono sostenuti dai genitori, nonni e parenti, e sui
giornali locali ci vanno rarissime volte, solo per declamare successi importanti.
La filosofia dei conduttori Livio e Marco, che passano
dai risultati del weekend alle anteprime degli incontri,
con pronostici e aspettative, ha come cuore della puntata
l’obiettivo di dare luce e voce agli ospiti: non solo presidenti e pezzi grossi delle società, ma soprattutto i veri
TORNA IL
‘CALDO NATALE’!
La raccolta di offerte in denaro e generi alimentari a favore della Caritas per le persone bisognose della comunità
(laddove non indicato diversamente, si intende effettuata
fuori dal Duomo)
Sabato 17 dicembre: 15.00-19.00
Domenica 18 dicembre: 8.30-12.30; chiesa di S. Michele 17.45-19.00
Martedì 20 dicembre: 15.00-19.00
Giovedì 22 dicembre: 10.00-12.00 e 17.00-19.00
Venerdì 23 dicembre: 8.30-12.30 e 15.00-19.00
Sabato 24 dicembre: 8.30-12.30 / 15.00-19.00 / 23.30-01.30
Domenica 25 dicembre: 8.30-12.30; chiesa di S. Michele: 17.45-19.00
Lunedì 26 dicembre: 8.30-11.30
sfilata per le vie di io 2012,
Ce
ore 14.30: la
rvignano!
Martedì 21 febbra
grande
io 2012, ore 15.30:
Carnevale dei
torio.
bambini in Ricrea
Per informazioni
: www.ricre org
ALTA UOTA
Domenica 19 febb
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la ban a della memoria
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uotati
GIORGIO BALDUCCI
GIORGIO BALDUCCI, classe 1922, cervignanese da
quasi novant’anni, ha lavorato presso il Consorzio Agrario
e la fabbrica del lievito a Cervignano e successivamente
alla fabbrica SNIA di Torviscosa, sino alla pensione. Ci
racconta, in questa puntata di BanQa della Memoria, la
sua esperienza da marinaio semplice durante la Seconda
Guerra Mondiale. Questo appuntamento con la BanQa è
l’ennesima conferma che ci sono dei ricordi non ancora
messi per iscritto che meritano di essere riportati nero su
bianco. Trovo affascinante come, per fortuna o casualità,
molte delle persone che conosciamo e siamo abituati a
vedere ogni giorno abbiano vissuto un periodo della loro
vita a stretto contatto con una parte così triste e tragica
della nostra storia. Ancora una volta, queste parole
raccontate con precisione accurata ci invitano a riflettere
sulla necessità di fermarci ad ascoltare le memorie
indelebili e preziose delle persone che ci hanno preceduto
in questo mondo, così cambiato, ma in fondo così uguale.
«Ho ricevuto la cartolina precetto nel gennaio 1942 e
sono andato a Venezia. Da qui fui mandato a Pola, alla
caserma Bafile, dove rimasi alcuni mesi per l’istruzione:
marciavamo, correvamo con le armi in spalla, smontavamo il moschetto che ci avevano dato (quello delle truppe
speciali, 91 corto). Io mi chiedevo come avremmo fatto
a vincere la guerra con quell’arma, perché era vecchia e
obsoleta. Gli inglesi, infatti, avevano il Thompson personale, che era molto più moderno, e i tedeschi avevano la
Maschin Pistole perché erano pronti a entrare in guerra,
mentre noi italiani no. Quando arrivai a Pola, c’erano i
genieri che si esercitavano con il lancio di bombe a mano
in una specie di poligono. Nel mese di maggio fummo
mandati a Livorno, dove c’erano già i battaglioni mobilitati: Grado (quello in cui ero arruolato io) e Bafile.
Qui seppi che Luigi Zorzin, un cervignanese, era appena partito verso l’Africa settentrionale con la compagnia
mitraglieri. A seconda di cosa sapevi fare, sceglievano a
che compagnia destinarti. Io avevo lavorato nel consorzio
agrario a Cervignano e poi nella fabbrica del lievito, quindi ero diventato marinaio semplice, infatti il Battaglione
Grado era della Regia Marina.
A Livorno incontrai Giuseppe Zampar, detto Pepi Bet,
che era nel battaglione Grado e faceva l’addetto al reparto
mortai. Me lo ricordo anche per un altro motivo: durante un rancio mi ero tolto il camisaccio ed ero rimasto in
canottiera perché faceva molto caldo; allora il sergente
addetto alla mensa mi diede una settimana di prigione
semplice. Proprio in questa occasione rividi Giuseppe
Zampar, che in quei giorni faceva il secondino, cioè controllava i prigionieri. Dopo questa breve parentesi, nel
mese di luglio 1942, ci fu detto che dovevamo andare
a Malta per perpetuare un’azione con il gruppo del San
Marco e dei motoscafi tedeschi. L’isola di Malta, infatti,
era un’importante base inglese e doveva essere distrutta
per avere il Mediterraneo libero. Quest’azione, però, fu
presto annullata perché nel frattempo le truppe italiane
stavano avanzando in Libia verso l’Egitto per conquistare il canale di Suez, e i generali pensarono che, una
burba.pdf 15/02/2010 13.46.06
/12
di Sofia Balducci
volta conquistato Suez, Malta sarebbe caduta da sola. In
ogni caso, ci chiesero chi voleva arruolarsi in un reparto
speciale di nuotatori guastatori, cioè soldati allenati per
raggiungere le coste nemiche a nuoto e io fui uno dei volontari: ero entusiasta. C’era a disposizione un battellino,
una specie di tavoletta di gomma che mettevamo sotto il
collo fino al basso ventre per aiutarci a galleggiare. Facevamo delle esercitazioni: ci portavano al largo con un
motosilurante, ci buttavamo in mare e noi dovevamo raggiungere la costa e nuotavamo per 500 o 600 metri con il
mitra (che finalmente ci avevano dato). Inoltre, facemmo
un’esercitazione anche a Gaeta, dove ci sono alte scogliere. Qui dovevamo andare a nuoto fino alle scogliere
e salire a piedi per distruggere gli eventuali ostacoli che
il nemico aveva preparato. Da lì siamo tornati a Livorno
(era il novembre 1942) e ci siamo diretti verso la Corsica, a Bastia, con il reparto speciale a cui appartenevo,
con la motonave Aspromonte, che faceva servizio sulle
coste italiane. Ci avevano detto che nel porto di Bastia
c’era tanta gente, e che dovevamo preparare le armi per
contrastare eventualmente il fuoco nemico. Quando siamo arrivati, invece, abbiamo visto che ad aspettarci non
c’erano uomini armati, ma giornalisti di Vichy. Ci siamo
fermati qui una notte, e al mattino siamo tornati a Livorno
con il reparto speciale, mentre gli altri hanno proseguito
verso l’Africa settentrionale, sbarcando a Tunisi perché
ormai la Libia era stata perduta e noi italiani ci eravamo
ritirati in Tunisia per l’ultima difesa. A novembre siamo
andati anche ad occupare la base di Tolone, in Francia,
perché la Germania aveva occupato la Francia, ma quando siamo arrivati a Tolone, la baia era piena di navi che si
erano autoaffondate per non cadere in mano ai tedeschi.
Era uno spettacolo molto triste vedere gli alberi delle
barche fuori dall’acqua: sembrava un cimitero. Nel mese
di marzo 1943 venni in licenza a Cervignano, perché mi
spettava. Quando rientrai a Livorno, dopo 2 settimane,
andammo in Sardegna. Era l’aprile del ’43 e intanto gli
inglesi ci avevano quasi cacciato dall’Africa. In Sardegna
noi dovevamo, in caso di sbarco americano, fare azioni di
sabotaggio nelle linee anglo-americane. Invece poi, come
tutti sanno, gli Americani sbarcarono in Sicilia in giugno.
In questo lasso di tempo, da aprile a settembre, restammo in Sardegna: ci mandarono a Santo Lussurgiu, posto
di montagna (400/500 metri sul mare). Qui sono rimasto
fino al novembre 1943. Poi io e il mio reparto siamo rientrati in continente e abbiamo raggiunto Taranto, dove
erano già arrivati i mezzi d’assalto della Marina Italiana.
Qui finii in fureria, cioè l’ufficio di amministrazione delle
varie unità, e ci rimasi fino al gennaio 1945, finché mi imbarcai sull’incrociatore Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, che faceva parte di un gruppo di incrociatori, insieme
all’Abruzzi, Garibaldi, Montecuccoli. Rimasi a bordo per
un anno circa, dal gennaio al dicembre 1945. Trasportavamo le truppe anglo-inglesi da Caifa a Gibilterra e poi
trasportavamo prigionieri italiani che erano in Marocco o
in Tunisia fino a Napoli. Casualmente, a Napoli, incontrai
mio fratello Riccardo, imbarcato anche lui, e gli chiesi se
poteva costruirmi un accendino. Fu un anno bellissimo
perché navigai nel Mediterraneo e vidi Caifa, Orano,
Algeri, Biserta, Alessandria
d’Egitto… In Egitto ho collezionato delle memorie curiose: una volta, in libera uscita, ho comprato una borsa di
coccodrillo che ho ancora a casa da qualche parte. Quando siamo usciti dalla città per tornare a bordo dovevamo
passare la dogana, e c’era un egiziano che parlava italiano
e ci ha detto: “Cosa vuoi che sia, porta a casa la borsetta!”
Un altro ricordo curioso riguarda la via principale della
città, in cui vedevo della carne in vendita appesa, dallo
strano colore nero: solo più tardi capii che era ricoperta
di mosche! Un altro episodio che mi è rimasto impresso è
la mia visita a un negozietto di souvenir, sempre ad Alessandria: volevo comprare una cartolina e chiacchieravo
con il commerciante di origine italiana quando, a un certo
punto, entrò un soldato inglese che capii subito essere il
figlio del commerciante in ritorno dall’India. Era talmente
felice che mi ha regalato la cartolina.
Finalmente, nel dicembre del 1945, sono arrivato a Cervignano dopo Natale, il 27 o il 28 dicembre. Ricordo che
mia madre stava lavorando con la macchina da cucire ed
era contentissima quando mi rivide».
crogiolo.pdf 15/02/2010 13.47.03
9
Semplici occhiate buttate qua e là
di Simone Bearzot
Caro Gesù Bambino,
e anche caro Babbo Natale. Non so se è tanto giusto,
ma scrivo a tut ti e due che mi sento più tranquillo se
mi ascoltate assieme (papà dice che da bravo italiano
sono democristiano già a 8 anni. Non so cosa vuol dire,
però).
La maestra a scuola ha det to che voi due sapete tut to.
Allora non vi chiedo solo il regalo, ma perpiacere ci
sono tante cose che non capisco, posso fare un po’ di
chiacchiere con voi? Grazie. Comunque vorrei il Nintendo nuovo, ve lo dico adesso perché sennò poi va a finire
che me ne scordo.
A voi quel signore nero che è capo dell’America vi sta
simpatico? A me si. E’ buono, sorride tanto e gioca con
le sue bambine. L’altro giorno hanno fat to vedere che
giocava anche a pallacanestro. Però ha i capelli sempre
più bianchi. Non tanti come il mio nonno, però gli si
imbiancano più velocemente. Chissà come mai.
Invece in Italia non capisco più niente. Fino a poco fa
c’era uno che comandava, poi un signore e una signora
che si chiamano Sarcosì e Lamerchel hanno iniziato a
prenderlo in giro e adesso non comanda più. Mi hanno
proprio fat to arrabbiare, ma poi al tigì hanno det to che
il signore che si chiama Sarcosì ha avuto una bambina,
e allora per stavolta fa niente.
Che poi l’altra sera invece c’era una che piangeva in
tivù. Papà mi ha det to che quella è la ministra, ma non
mi ricordo di cosa. Ah si, delle pensioni. Papà dice che
la pensione è stare a casa e avere i soldi senza lavorare,
perché ti ringraziano che hai già lavorato. Gli ho det to
che mi sembra una cosa bella. Mi ha det to che tanto io
non ci andrò mai. Non ho mica capito perché, ma spero
mi facciano un bel regalo di Natale, lui e la mamma,
perché se proprio non devo andare in pensione vorrei
almeno l’isola dei Gormiti.
Sapete una cosa? L’altro giorno ho visto la foto di un
signore un po’ vecchio e strano che faceva un brut to
gesto. Tipo col pugno chiuso e un dito su. L’ho visto fare
anche a scuola dai ragazzi più grandi, e le maestre li
sgridano sempre. La nonna mi ha spiegato che è uno che
vuole dividere l’Italia. Che strano, a scuola ci han det to
che è il compleanno dell’Italia, e ci hanno anche insegnato l’inno (a me piace tanto quando fa parabam parabam parapapapapapam tipo i tamburi) e quel tipo vuole
rovinare la festa. Che poi non è giusto, perché a lui non
lo sgrida mai nessuno, nemmeno quando fa le boccacce
e le pernacchie a quelli che gli fanno le domande.
Cari Babbo Natale e Gesù Bambino, ma è vero che quando sta per arrivare il vostro compleanno diventiamo più
buoni? Non so mica. Mi ha raccontato Giacomo (quello
che gioca a calcio con me) che gli ha det to suo fratello grande che fa una cosa che si chiama volontariato
dove si aiuta la gente. Praticamente c’è un posto che si
chiama Siria dove da tantissimi giorni le persone vanno
in strada e pregano e mostrano dei cartelli, tipo dei
disegni che hanno fat to, almeno credo sia così. E gli
sparano, ma non si capisce mica il perché. Ma anche in
Egit to fanno così, sapete? La zia l’altro giorno era tut ta
arrabbiata, ha det to che per colpa di quei quat tro arabi
casinisti (non dite alla mamma che dico così sennò mi
sgrida che non vuole le parolacce) quest’anno non può
andare a sciarm. Non so cos’è questo sciarm, ma la zia
deve tenerci molto perché era proprio arrabbiata.
Cari miei, ho tante altre domande ma adesso mi è venuto sonno. Sono contento se mi rispondete, perché le
cose che si sentono in giro non le capisco mica tanto. E
ricordatevi il Nintendo grazie.
Un bambino
i più
PIETRO E TAMARA, I NUOVI CUSTODI DEL RICRE
uotati
TAMARA DUDONU, nata il 28/08/1962 in Moldavia, è
arrivata in Italia il 6 settembre 2007 in cerca di lavoro.
La fortuna ha voluto che quasi subito trovasse un lavoro,
prima come badante e poi come domestica in una famiglia cervignanese, dove tuttora presta il suo servizio.
PIETRO DUDONU, nato il 01/01/1958 in Moldavia, anche lui come la moglie di religione cristiano-ortodossa,
è arrivato in Italia il 25 luglio 2009 essenzialmente per
ricongiungersi con la moglie, Tamara visto che in quel
periodo non aveva lavoro nel suo Paese. Anche lui fin da
subito ha trovato lavoro qui nel nostro Paese, facendo
dei piccoli lavoretti dove veniva chiamato. Oggi è lui che
svolge la mansione di custode del ricreatorio.
Cosa avete provato quando avete deciso di trasferirvi in
italia?
Tamara: «Ciò che ho provato nel trasferirmi è indescrivibile, non riesco a esprimerlo a parole perché solo il mio
cuore sa cosa ho provato; ancora oggi per certi aspetti
mi piange il cuore. È stato duro staccarmi dalla famiglia,
da mio marito e dai nostri due figli Andrian e Marina
che all’epoca avevano 21 e 23 anni, rimasti a casa con il
papà in Moldavia. Comunque siamo rimasti sempre una
famiglia molto unita e vivevamo questo distacco con la
speranza che arrivasse il prima possibile l’ora di ricongiungerci».
Pietro: «La voglia di ricongiungermi a mia moglie era
tanta, troppa. Da un lato non vedevo l’ora di ritornare con
lei; dall’altra mi è dispiaciuto dover lasciare i figli, anche
se ormai erano indipendenti, in quanto Marina è diventata insegnante all’università e Andrian è un ingegnere.
Anche per me il viaggio è stato duro, però l’ho vissuto
con gioia perché sapevo chi c’era in Italia ad aspettarmi».
Come è stato il vostro inserimento qui a Cervignano?
Come avete appreso la proposta di diventare custodi del
ricreatorio?
Tamara: «L’ha saputo mio marito ed era molto entusiasta di questo. Io inizialmente ero dubbiosa per il giudizio
che la gente avrebbe potuto esprimere: “perché loro che
sono stranieri?” Ho espresso questo mio dubbio nell’incontro avuto con don Dario e don Moris; loro mi hanno
tranquillizzata e allora ho accettato con gioia e un po’ alla
volta abbiamo lasciato la casa in affitto per trasferirci qui
in ricreatorio».
Pietro: «Andando una mattina alla Caritas parrocchiale, la signora Maria Teresa mi ha detto che in ricreatorio
cercavano un custode. Subito mi sono interessato e sono
andato a parlare con il parroco e don Moris, mi sono fatto spiegare in cosa consisteva questa mansione e, visto
come me l’hanno presentata, mi è piaciuta e ho subito accettato, chiedendo un periodo di prova per circa un mese.
Prima della fine del mese ho accettato definitivamente.
Qui ho trovato molte persone che mi sono subito piaciute,
come non potevo accettare?»
Quali sono le vostre mansioni in ricreatorio?
Tamara: «Principalmente di aiuto e incoraggiamento per
mio marito!!! Mi trovo molto bene qui e sono contenta di
condividere con lui e tutto lo staff del ricreatorio questa
grande possibilità».
Pietro: «Custode tutto fare… Faccio un po’ di tutto, dal
tagliare l’erba alle piccole riparazioni, dall’aprire e chiudere le stanze e il campo da calcio all’aiuto a Otello, Matteo e Alex».
Volete aggiungere qualcosa?
Tamara: «Ringrazio Dio per quello che mi ha dato e fatto vivere. Non ho parole, solo tanta felicità nel cuore».
Pietro: «Vorrei ringraziare don Dario e le persone della
parrocchia che mi hanno aiutato, in particolare tutti coloro che grazie alla loro generosità mi hanno dato una mano
ad arredare l’appartamento, infatti ora non mi manca
niente. Un grazie particolare a don Moris per il suo affetto, a tutto lo staff del ricreatorio e a Otello che è diventato
mio amico. La gioia per me sono i bambini e grazie a Dio
sono davvero contento».
CHRISTIAN FRANETOVICH
ELETTRODOMESTICI - TV
CHIARCOS
CERVIGNANO
Via Dante 16
tel. 0431 32188
s.a.s.
GRADO
Galleria Excelsior 15
tel. 0431 80115
ALTA UOTA
Tamara: «Mi sono inserita bene e subito, mi sono adattata all’ambiente e al lavoro, perché ho trovato sempre
persone che mi hanno aiutata e voluto bene, tutte persone
oneste. La lingua l’ho imparata abbastanza facilmente
e velocemente, anche grazie al lavoro che avevo prima
come badante e poi a servizio di una famiglia cervignanese. L’unica cosa con cui appena arrivata non andavo
d’accordo era la verdura... perché questa italiana per me
15/02/2010 13.46.30
era troppocomelli.pdf
amara rispetto
a quella moldava, ma per fortu-
na mi sono abituata e adesso non ne posso fare a meno».
Pietro: «Appena arrivato a Cervignano ho fatto un corso
di lingua italiana: anche io come mia moglie mi sono inserito facilmente, soprattutto grazie al suo aiuto da ormai
‘esperta italiana’».
10
LA SIGNORA DEL CAPELLO
A GEMMA CAISSUTTI UN RICONOSCIMENTO PER LA SUA ATTIVITÀ
i più
uotati
Una delle principali aziende di prodotti naturali per i capelli non ha avuto dubbi: dovendo premiare i migliori
parrucchieri che si sono contraddistinti negli ultimi dieci
anni di attività, ha puntato dritto su Gemma Caissutti, da
oltre 25 anni titolare del Salone Gemma, attualmente in
via Aquileia.
«Si tratta di un riconoscimento per me molto importante:
se sono riuscita ad ottenerlo il merito è anche della mia
collega Leda e di tutte le clienti. Ci tengo a condividere con loro questo momento». Una tappa importante di
un cammino ricco di soddisfazioni: «Amo questo lavoro
- prosegue Gemma - perché mi consente ogni giorno di
esprimere la mia creatività e la mia passione. Ci tengo
molto ad essere sempre aggiornata sulle nuove tecniche
di acconciatura e sulla cura del capello: rispetto al passato
la clientela di oggi è molto informata e apprezza di più i
consigli di qualità».
Il sogno per il futuro? Inutile chiederglielo: «Il mio desiderio è quello di poter continuare a lavorare come ho
sempre fatto. A volte, per scherzare, dico alle mie clienti
“Fra poco chiudo l’attività”… Ogni volta sgranano gli
occhi preoccupate, dicendomi “E noi come facciamo?”
Questi attestati di stima sono le soddisfazioni più belle
che mi stimolano a dare sempre il meglio di me».
Ecco perché l’ultimo pensiero è proprio per le sue clienti
e la sua fida Leda, preziosa aiutante da ormai dieci anni:
«A tutte loro voglio augurare un sereno Natale e un prospero 2012».
EGIDIO CEREA, LA LEGGENDA DEL BASEBALL
Il baseball: la passione di una vita per Egidio Cerea,
friulano di Ruda. Ma quante soddisfazioni sono arrivate
grazie a questo sport! Un curriculum invidiabile: pochi
nella nostra penisola possono vantare un palmares così
importante, iniziato quando aveva soli 11 anni e scese
in campo come ‘bat boy’ nella prima partita di baseball
giocata in Italia. Poi una carriera sfolgorante. Nel 1951
l’esordio in serie A; notevoli i piazzamenti nell’Ambrosiana Milano e, vista la notevole caratura tecnica, meritato l’esordio in nazionale, con il terzo posto agli europei
di Roma nel 1956.
L’aneddoto di come il manager della nazionale, James
Larry Strong, si sia accorto di lui: tre eliminazioni in seconda base, nella partita Milano - Trieste, quando Egidio con grandi capacità tecniche ed agonistiche riuscì
a ‘bloccare’ l’attacco di Trieste. Nel 1959, l’Italia, con
Egidio alla posizione numero 7 di esterno sinistro, batté
per la prima volta l’Olanda, fatto storico per il baseball
nazionale. Con una travolgente Milano (prima sponsorizzata Sevenup, poi Europhon) vinse tre scudetti tra il
1960 al 1962 (con 37 vittorie consecutive), conquistando
anche una medaglia d’argento agli europei del 1962 ad
Amsterdam. Poi, per lavoro, si trasferì a Catania, e qui
dovette appendere il guantone da ricevitore al chiodo.
Quando venne ad abitare nella nostra regione divenne
allenatore dei Panthers di Cervignano; poi, dal 1980 al
Egidio Cerea (a destra) premiato dal presidente
regionale del CONI Emilio Felluga.
‘90, commissario della 2a Zona (Tre Venezie) e dal 1991
al 2001 Presidente Regionale del Friuli Venezia Giulia
della FIBS (Federazione Italiana Baseball e Softball).
Nel decennale del suo mandato, è da ricordare tra l’altro
l’organizzazione dei campionati Europei Cadetti (’93) e
Juniores (’95), e tra il 1997 e 1998 dell’Old Stars Games
di Softball. Fu anche accompagnatore della squadra italiana nelle olimpiadi di Atlanta ‘96.
Oltre ad essere una memoria vivente del baseball, conosce tutto dei giocatori del passato e del presente, è aggiornato sulle statistiche e sui risultati di tutte le squadre
e ha nei suoi ricordi fatti interessanti: basti pensare che
frequentava l’oratorio Sant’Agostino in via Copernico dei salesiani di Milano, dove la domenica giocava a
calcio con un certo Adriano Celentano... In quel luogo
venne ambientata la famosa canzone Azzurro: «Sembra
quand’ero all’oratorio, con tanto sole....» Ricorda anche
che quando lavorava all’Alemagna, fabbrica che produceva già dagli anni ‘30 i famosi panettoni, conobbe,
dopo la vittoria della Coppa dei Campioni dell’Internazionale, il comico Gino Bramieri, tifosissimo dell’Inter,
che con il ‘Mago’ Helenio Herrera visitò lo stabilimento
del dottor Alemagna... e certamente, da milanista, non
ne fu proprio felicissimo. Un ultimo aneddoto: a Genova, durante un incontro, un terzetto canoro/strumentale
intratteneva gli spettatori e questi tre artisti erano niente
po’ po’ di meno che... Lauzi, Tenco e il bisiac Gino Paoli! Una vita nello sport e nello spettacolo per Egidio: un
grande nel baseball e sopratutto nella vita.
LIVIO NONIS
IMPOVERIMENTO DEI VALORI, SIMBOLISMI, NUOVI DOGMI:
ATTACCHI AL CRISTIANESIMO
ALTA UOTA
La nostra società, la nostra cultura e i nostri valori oggi
sembrano subire un progressivo impoverimento dato da
diversi fattori più o meno accreditati. L’argomento è molto ampio e ostico: occorrerebbe un libro per poterlo descrivere bene nei dettagli. Ne abbiamo parlato con don
Moris per cercare di darne qualche linea di discussione.
- Oggi ci troviamo di fronte ad una società sempre più attratta dall’apparenza, dall’effimero, a discapito della concretezza della vita e dei valori cristiani che stanno scivolando in secondo piano. Qual è il tuo pensiero in merito?
«Questa realtà è dovuta al fatto che l’uomo di oggi va
in cerca di risposte precise, di cose appaganti, quindi il
rischio è quello di trovare in tali situazioni anomale la
soddisfazione di queste esigenze, che in un primo momento appaiono immediate, ma che in realtà nascondono
secondi fini, portando la mente e di conseguenza l’uomo
sulla via del male e della distruzione».
- I contenuti del romanzo di Dan Brown Il Codice Da Vinci
spesso vengono recepiti come verità storiche in grado di
scardinare i fondamenti del Cristianesimo…
«La risposta è già scritta nella domanda: è un romanzo.
Di per sé il romanzo non ha dei contenuti storici, scien-
tifici o razionali, quindi è come voler prendere per verità
ciò che invece è un racconto soggettivo senza adeguati
fondamenti».
- La credibilità e il successo di tale romanzo denotano la
fragilità delle persone e la debolezza della fede nel nostro
tempo. Come sacerdote confermi questa realtà?
«Sicuramente si nota in molte persone, ma le risposte che
appaiono facili e appaganti non credo sia giusto trovarle
in un romanzo. Può essere una sorta di punto di partenza
letto come una provocazione, ma da questo si deve necessariamente passare ad altri riferimenti».
- Consideriamo la tendenza, sempre di moda, atta a diffamare la chiesa, a voler scoprire presunti misteri nascosti.
«Sì, questa tendenza c’è, non solo nei confronti della
chiesa, ma in generale verso tutte le istituzioni. È vero
che al giorno d’oggi c’è una riscoperta della fede, ma è
spesso una fede costruita sul proprio uso e consumo. Nella società odierna abbiamo una pluralità di offerte, anche
dal punto di vista della fede, per cui l’uomo da una parte
si sente spaesato e va alla ricerca di domande e risposte
sicure ed immediate, e dall’altra si costruisce la propria
religione, tanto che si parla tranquillamente di religioni
bricolage».
- Secondo te, il linguaggio simbolico occulto utilizzato tra
i giovani che spesso passa inosservato può in qualche
modo influenzare il proprio credo?
«Ogni realtà misteriosa come il bene e il male, Dio e Satana, non può che essere espressa da noi uomini attraverso
un linguaggio simbolico. Come i cristiani hanno un linguaggio simbolico per esprimere il bene, cioè Dio, così
chi appartiene a delle sette sataniche ha i suoi linguaggi
simbolici per esprimere il male, cioè il diavolo. Ci sono
diverse modalità e vie per introdurre nel nostro comune
modo di vivere la simbologia e la gestualità che in un
primo momento passano inosservate, ma in realtà hanno
un loro preciso significato.
Sicuramente è un fenomeno da non esasperare, ma al
tempo stesso da non sottovalutare».
- Nella nostra società in crisi di identità si tende ad attaccare in maniera semplicistica la chiesa e la religione,
senza magari averne una giusta e precisa conoscenza.
«Più che dare giudizi e fare degli attacchi alla realtà che
ci circonda, credo che tutti quanti dobbiamo prendere atto
di una crisi di valori e, con molta umiltà, cercare la via più
corretta che ci porti alla scoperta della Verità».
SANDRO CAMPISI
11
Cervignanesi nella storia
di VANNI VERONESI
QUARTA PUNTATA
LUIGI CHIOZZA:
LA SCIENZA DAL VOLTO UMANO
Non è la prima volta che mi occupo di Luigi Chiozza, ma credo che non sia mai abbastanza: Cervignano dovrebbe andare fiera di questo suo illustre concitadino dell’Ottocento,
scienziato di levatura internazionale, amico e collaboratore di Louis Pasteur, geniale innovatore in campo agricolo e industriale, uomo di scienza, ma umanista nell’anima.
Questa è la sua storia.
Una vita per la ricerca
Nato a Trieste il 20 dicembre 1828, Luigi Chiozza apparteneva a una famiglia di grandi imprenditori di origine ligure, trasferitasi a Trieste nel 1775 attratta dal porto
franco. Fu in questa città dall’atmosfera internazionale
che Chiozza visse gli anni della sua giovinezza, per poi
formarsi nei suoi studi a Milano, Ginevra e soprattutto
Parigi, dove ebbe modo di lavorare nel laboratorio di
Charles Gerhardt. Tornato a Milano nel 1854, divenne, in
virtù del suo prestigio già altissimo, direttore della ‘Scuo-
is Pasteur. Questi era stato inviato dall’imperatore Napoleone III nelle tenute di Villa Vicentina, ospite di Elisa
Bonaparte Baciocchi, per completare le ricerche sulle malattie del baco da seta. L’occasione per una collaborazione
era imperdibile e i risultati non tardarono ad arrivare: individuata la causa della pebrina, i due riuscirono a porre
le basi per il sistema cellulare di produzione del seme,
avviando gli studi futuri alla soluzione del problema.
Il nome di Chiozza compare anche accanto ad altri progetti: la costituzione della Società di Cabotaggio cervignanese, la canalizzazione delle cascate del Reno e soprattutto
la straordinaria ferrovia Pontebbana. Il 21 maggio 1889
una grave affezione cardiaca lo portò alla morte e due
giorni dopo venne sepolto nel cimitero di Scodovacca:
aveva 61 anni.
La villa e la sua biblioteca
Tutti, a Cervignano, conoscono Villa Chiozza, nella frazione di Scodovacca. L’aspetto attuale, comunque vicino
a quello dei tempi di Luigi Chiozza, è dovuto agli interventi del 1904: un piano in più e un ridisegno del parco.
Nel 1970, l’intera proprietà venne acquistata dall’ERSA,
che vi allestì il Centro di educazione professionale per
imprenditori agricoli. Dal 13 dicembre 2010, la villa è
proprietà di Turismo Fvg, che qui ha stabilito la sua sede
legale. L’interno, sobrio e arredato con eleganza, ci restituisce ancora oggi la personalità del grande scienziato:
la incoraggiamento per arti e mestieri’. Proprio a Milano
Luigi Chiozza conobbe Pisana, giovanissima rampolla
della nobile famiglia friulana Di Prampero. Ammalatasi
poco dopo il suo arrivo in Lombardia, Pisana riceveva
di frequente le visite dello scienziato, da tempo amico di
famiglia: fu così che i due si innamorarono e finirono per
sposarsi nel 1857. In occasione del matrimonio, il grande letterato Ippolito Nievo compose il carme Le Muse di
Aquileia, preceduto da una breve dedica:
«Ecco, salgon gli altari: pronubo è amore.
E voi pur, se in clemenza amor largheggi,
Voi pure, eterne giovinette Muse,
Tra le faci danzando, il rilucente
Pallor mescete con le rosee nozze».
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
negli anni della gestione ERSA, la villa ha infatti ritrovato il suo antico splendore, grazie al recupero del mobilio
d’epoca, alla valorizzazione della grande biblioteca (5700
volumi scientifici; e pensare che un numero simile di libri
si trova oggi a Vienna, portati via dai soldati austriaci nella Prima Guerra Mondiale) e alla ricostruzione, com’era
e dov’era, della stanza da letto del Chiozza. In una sala
è stato anche riprodotto un tipico laboratorio scientifico
ottocentesco: molti strumenti sono ancora quelli usati dal
padrone di casa e dall’amico Pasteur. All’esterno, il parco
si estende per 16 ettari, in parte attraversati dal piccolo
fiume Pulvino, ed è caratterizzato da una varietà infinita di piante: di fatto, è il più grande e importante parco
all’inglese del Friuli - Venezia Giulia.
ALTA UOTA
Nievo, inoltre, si ispirò in parte a Pisana per l’omonima
protagonista femminile del suo romanzo capolavoro, Le
confessioni di un italiano.
Nello stesso anno nacque la figlia Teresa, ma a soli 21
anni sua madre morì di malattia. Per Chiozza fu un colpo
durissimo: abbandonato il suo incarico presso la Scuola
milanese, si ritirò nella villa di famiglia a Scodovacca,
dove si dedicò agli studi di chimica e botanica applicati
all’agricoltura.
In quei tempi, i campi friulani erano attraversati da terribili malattie che falcidiavano gelsi e viti, senza contare
che da noi gli aratri erano ancora quelli del XVI secolo,
mentre negli altri paesi era già in uso un aratro molto più
pesante, capace di aumentare la produttività. Chiozza intervenne in questa direzione: con opportuni investimenti,
fece in modo che nelle sue campagne le famiglie coloniche lavorassero il doppio dei terreni rispetto a prima e
con maggiori entrate; usò da pioniere i concimi chimici;
fu il primo italiano a introdurre nel nostro paese una trebbiatrice.
Nel 1865, un’altra svolta: la nascita dell’Amideria in località La Fredda (vedi il paragrafo sotto). Quattro anni
dopo, il ritrovamento di un’antica amicizia parigina: Lou-
La Fredda: successo di un’amideria
Nel 1865, Chiozza fondò a Perteole una fabbrica che oggi
è un gioiello dell’archeologia industriale: la cosiddetta
‘Fredda’ per l’estrazione dell’amido di frumento e in seguito per la lavorazione del riso. Chiozza investì molto
denaro nella ricerca di nuove tecnologie e nuovi metodi
di lavorazione: i risultati non tardaronz ad arrivare. Durante l’esposizione di Philadelphia (1876), lo scienziato
presentò un amido perfettamente bianco tratto dal mais:
fu un successo, subito accolto con grande favore negli
USA e di lì in Francia e Inghilterra. Nei tempi migliori, la
fabbrica produceva 45.000 tonnellate di amido all’anno e
impiegava 100 operai: operai che potevano godere di un
‘Regolamento di lavoro’ all’avanguardia, con tutela della
maternità, assistenza gratuita ai malati, ferree regole sulla
sicurezza e istruzione obbligatoria per i giovani. A metà
degli anni Ottanta del secolo scorso, l’Amideria chiuse
i battenti: terminava una storia gloriosa, spariva l’amido
della migliore qualità disponibile sul mercato. Oggi, tutto
giace nel degrado più assoluto: le immagini del sugge-
t
ultura
stivo documentario realizzato da Cinemazero di Pordenone, reperibile su YouTube (http://www.youtube.com/
watch?v=fW_z5YwWPd0), fanno male al cuore.
12
10 ANNI DI BRICIOLE D’ARTE!
Venerdì 23 dicembre alle ore 20.45 presso il Teatro sala Aurora del Ricreatorio San Michele,
il gruppo teatrale delle Briciole d’arte, per festeggiare il suo decennale, metterà in scena lo spettacolo
“10 ANNI DI BRICIOLE”
Questo spettacolo vuole essere la celebrazione ed il coronamento dei dieci anni di attività del gruppo teatrale del nostro ricreatorio che, negli anni, ha
coinvolto quasi 200 fra bambini, ragazzi ed adulti, proponendo numerosi spettacoli sia a Cervignano sia in tante altre località della nostra regione. Per
fare questo abbiamo deciso di presentare uno spettacolo che ripercorrerà i momenti più belli di molti spettacoli da noi proposti. La cosa più significativa
da sottolineare è che, per l’occasione, molte ‘ex Briciole’ sono tornate a far parte del gruppo, creando in questo modo un bellissimo incontro fra diverse
generazioni che negli anni hanno calcato il palco della sala Aurora. Ci auguriamo di avere davanti a noi un folto pubblico e di approfittare dell’occasione
per scambiarci gli auguri di un felice e sereno Natale.
Prenotazioni online:
ri rreatorio
o
su www.ricre.org fino ad esaurimento posti. Nel caso in cui i biglietti non vengano ritirati entro 30
minuti dallo spettacolo, verranno
rimessi a disposizione di tutti (scade la prelazione). I biglietti saranno quindi ritirabili dalle 17.00 alle
20.15 del 23 dicembre.
2012
Vi aspettiamo!
Lo stesso giorno, dalle ore 17.00, non perdetevi la mostra fotografica allestita all’interno del ricreatorio e dedicata proprio a questo splendido decennale!
TESSERAMENTO AL
RICREATORIO SAN MICHELE!
Sostieni il Ricre, sottoscrivi la tessera!
Domenica 29 gennaio, dalle 8.30 alle 12.15 sul piazzale del Duomo,
sarà allestito lo stand del Ricreatorio San Michele per sottoscrivere la tessera 2012.
Le quote sono invariate: € 8,50 maggiorenni; € 7 per gli under 18.
Sostieni anche tu l'attività del nostro Ricreatorio: il 29 gennaio ti aspettiamo!
SAN NICOLÒ 2011
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TUTTE LE FOTO S
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ALTA UOTA
La Redazione di Alta Quota augura a tutti
un sereno Natale
e un felice
Anno Nuovo
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AUGURI DI BUONE FESTE!
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54