Relatore: Prof. Gabriella Binfarè Studente: Massimo

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Relatore: Prof. Gabriella Binfarè Studente: Massimo
COMUNE DI MILANO
SCUOLA REGIONALE PER OPERATORI SOCIALI
Via G.D’Annunzio,15/17 – MILANO
IL CAMBIAMENTO DELL’ASSOCIAZIONE LE PATRIARCHE
“DA COMUNITA’ DI VITA A COMUNITA’ TERAPEUTICA”
Relatore: Prof. Gabriella Binfarè
Studente: Massimo Bagnaschi
Corso per Educatori Professionali per le tossicodipendenze
Anno scolastico: 2000/2001
Sessione Invernale
Le mele marce.
Nella cassetta ordinata di mele belle e lucenti, le mele marce si notano subito.
Sono diverse. Si buttano via prima che guastino le altre.
Anche nella vita, per qualcuno, ci sono le mele marce. Sono le persone che si
“etichettano” come anormali, diverse. Hanno problemi, difficoltà. Sono scomode, dure,
provocatorie. Ci chiediamo a volte cose incomprensibili. Insomma, disturbano.
Quando entriamo in contatto con loro, scatta la nostra difesa.
Via, fuori, se ne vadano, come se fossero, appunto “mele marce”.
Pochissimi tentano di incontrare quella persona che ha la sua vita, la sua storia,
le sue necessità.
Da sempre la diversità non è accettata.
Io ho imparato a conoscerla, ad accoglierla e a condividere le “diversità” degli
altri con le mie. Ci siamo sentiti, tutti, più “normali”.
Dal libro “Chi ha paura delle mele marce” di Luigi Ciotti.
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INTRODUZIONE
pag.
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CAPITOLO I - QUALI SONO LE SOSTANZE PSICOATTIVE E I LORO
EFFETTI.
1.1 Allucinogeni, L.S.D.,
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1.2 Popper
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1.3 Ecstasy
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1.4. Polvere d’angelo o del diavolo?
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1.5 La Cocaina
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1.6 Il Crack
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1.7 Hashish, marijuana
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1.8 Eroina
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CAPITOLO II - COME NASCONO LE COMUNITA’TERAPEUTICHE
2.1 Origine e sviluppo. Synanon
2.2 Daytop-Village
2.3 Le altre comunità terapeutiche americane
2.4 Il modello americano e il modello europeo
2.5 Nascita delle comunità terapeutiche in Italia
2.6 Il “Progetto Uomo “di Don Mario Picchi”
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CAPITOLO III - NASCITA DELLA COMUNITA’ LE PATRIARCHE
3.1 Il fondatore Lucien J. Engelmajer
3.2 La nascita dell’Associazione Le Patriarche
3.3 L’Aids e la costruzione dell’ospedale di La Mothe
3.4 L’espansione e la diffusione in tutto il mondo
3.5 Azione sociale e aiuti umanitari
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CAPITOLO QUARTO - IL CAMBIAMENTO
4.1 Crisi del Leader e dimissioni
4.2 Comitato di transizione
4.3 Nuovo progetto terapeutico
4.4 Fine del comitato di transizione e nuova struttura giuridica
4.5 Il processo di valutazione e inquadramento del personale
4.5.1 Valutazione
4.5.2 Costruzione dell’organigramma
4.5.3 Definizione del posto di lavoro, Job description e obiettivi
4.5.4 Incorporazione definitiva
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CONCLUSIONI
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ALLEGATI
Questionario
Scheda di autovalutazione
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BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE
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La storia dell’associazione Le Patriarche e del suo fondatore Lucien
J.Engelmajer è l’argomento di questa tesi.
Partendo da una breve presentazione delle sostanze stupefacenti
attualmente
in
consumo,
attraverso
la
nascita
delle
prime
comunità
terapeutiche per arrivare all’associazione Le Patriarche: la nascita, lo sviluppo e
il cambiamento.
La parte finale e le conclusioni sono riservate allo stato attuale della
comunità e ai progetti futuri.
La scelta di questa tesi parte dalla mia particolare “storia di vita” prima
come tossicodipendente, poi come utente e operatore di questa comunità che
da quasi 15 anni rappresenta quasi totalmente la mia vita.
Sono stato molto coinvolto emotivamente da questa tesi, in particolar
modo quando ho dovuto ricercare nei vecchi libri la nascita
e soprattutto i
sentimenti, le illusioni, i sogni, le utopie che aleggiavano nei primi anni di vita
della comunità.
Molte di queste illusioni nel corso degli anni sono naufragate, l’utopia di
una società migliore all’interno delle stessa società è caduta proprio su quegli
ideali materiali come il potere, il denaro, il successo.
Lo stesso fondatore Lucien J: Engelmajer che aveva ideato e fondato
tutto questo ha dovuto dimettersi sulle richieste dei responsabili che lui stesso
aveva aiutato ad uscire dalla droga.
Ma come la fenice che rinasce dalle sue stesse ceneri, così l’associazione
Le Patriarche nel suo momento peggiore ha saputo riprendersi, mettersi in
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gioco e cominciare un cammino verso una metodologia di lavoro, non più
orientata verso la permanenza degli ospiti all’interno della struttura come
comunità di vita, ma verso il reinserimento sociale.
Volutamente ho cercato di effettuare un’analisi storica senza farmi
prendere totalmente dalle emozioni, spero di essere riuscito a fare una
fotografia reale del processo di cambiamento che negli ultimi anni caratterizza
questa struttura che negli anni novanta era la più grande associazione di
recupero tossicodipendenti nel mondo.
Il passaggio da una gestione totalitaria a una gestione collegiale è l’altro
punto che ho voluto evidenziare perché è attraverso questo cambiamento che si
gioca il futuro di questa associazione.
Noi responsabili, che siamo rimasti a gestire questa struttura, siamo
convinti di essere sulla strada giusta, sicuramente il cammino da compiere per
portare l’associazione Le Patriarche a far parte di un contesto che lavora in rete
è ancora lungo e faticoso, ma di una cosa siamo certi, che nel tragitto non
commetteremo più gli errori del passato.
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CAPITOLO I
Quali sono le sostanze psicoattive e i loro effetti
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1.1 ALLUCINOGENI, L.S.D.
Che cos’è?
L’Lsd è un allucinogeno, sostanza che si trova in alcuni funghi o si ottiene
per sintesi. L’Lsd (dietilammide dell’acido lisergico) è l’allucinogeno di
laboratorio più potente, scoperto nel 1943 dal chimico svizzero Albert Hoffman.
Oggi l’Lsd viene prodotto principalmente nei paesi dell’Est europeo. E’ venduto
soprattutto sotto forma di gocce cosparse su pezzetti di carta dalle dimensioni
di un francobollo (i cartoni), che vengono fatti sciogliere in bocca. Con 20-25
mila lire è possibile averne una quantità sufficiente per un trip, cioè un viaggio
di circa due ore in un mondo di allucinazioni.
Dove agisce.
Agisce sul sistema nervoso simpatico (cioè autonomo dal controllo
cosciente).
Gli effetti ricercati
Il principale effetto ricercato è quello allucinogeno: poco dopo
l’assunzione si vedono gnomi, elfi, pacchetti di sigarette che camminano. I volti
delle persone si deformano. Chi consuma acido ha la sensazione di poter
pilotare l’allucinazione, di poter entrare e uscire a piacimento e di gestire così lo
sballo. Cosa che in realtà non avviene.
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I rischi
Gli effetti spiacevoli si presentano quando l’allucinazione si trasforma in
un incubo che sembra reale, dando luogo a comportamenti rischiosi: la persona
può anche arrivare a ferirsi da sola, nel momento in cui cerca di uscire dal
brutto viaggio.
A lungo termine, i danni si manifestano con forme di ansia, depressione,
forte senso di infelicità.
Altro effetto molto sgradevole è il flashback, cioè il ripresentarsi
dell’allucinazione anche molto tempo dopo la prima esperienza. L’allucinazione
può riattivarsi in ogni momento, anche nelle situazioni più inopportune, alla
fermata della metropolitana o a scuola. In questi casi la persona si spaventa e
teme improvvisamente di essere diventata pazza.
1.2 IL POPPER
Che cos’è?
Spesso per potenziarne l’effetto, l’Lsd è associato ad alcolici e al popper,
un composto liquido semisintetico a base di un idrocarburo presente nella
benzina e nell’etere. Si vende in fiale da cui se ne aspirano i vapori. Una fiala
costa circa 30 mila lire. L’effetto è immediato e dura una trentina di secondi,
provocando stordimento, perdita di equilibrio, voglia di ridere e blande
allucinazioni. I danni alla salute sono costituiti da cefalee (mal di testa),
accelerazione del battito cardiaco, convulsioni e alterazioni a livello cellulare che
possono portare alla formazione di tumori.
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1.3 ECSTASY
Che cos’è
L’ecstasy è un preparato semisintetico nato nel 1912 in Germania.
Durante la seconda guerra mondiale è stato utilizzato dai soldati tedeschi e
giapponesi per eliminare il senso della fame e della fatica. Il nome scientifico
del composto è Mdma (3,4-Metildiossi-N-Metilanfetamina), ma in gergo viene
chiamato ecstasy, evocando presunte capacità di dare sensazioni paradisiache.
Viene chiamata anche pasta o caramellina, quasi per esorcizzarne la
pericolosità, in realtà provata a livello scientifico. Costa da 30 a 50 mila lire:
viene ingerita con superalcolici per potenziarne gli effetti, con esiti devastanti
per la salute.
Dove agisce
Agisce sulla regolazione della serotonina, neurotrasmettitore (molecola
che serve alle cellule nervose per comunicare tra loro) responsabile del tono
dell’umore.
Gli effetti ricercati
Chi assume ecstasy o, in gergo, mangia una pasta ha la sensazione di
entrare più in armonia con la musica che sta ballando. Il suo ritmo cardiaco si
sintonizza con essa. Techno, hard core, tribal e progressive sono le musiche che
meglio si adattano allo scopo. L’ecstasy aumenta la resistenza alla fatica, un
effetto necessario per reggere a una festa rave, che dura almeno 24 ore. Per la
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variazione dei livelli di serotonina nel cervello, la timidezza sembra sparire per
incanto e ci si sente momentaneamente più disinibiti con l’altro sesso. Sotto
l’effetto della sostanza, si è spinti ad avere rapporti sessuali non protetti, anche
con sconosciuti.
Negli anni Settanta il principio attivo è stato sperimentato come farmaco
coadiuvante per il trattamento dei pazienti depressi, ma senza successo, vista la
illusorietà degli stati psichici provocati e i gravi effetti collaterali.
Rischi
Nell’immediato il maggior rischio per chi consuma ecstasy è l’ipertemia,
cioè l’aumento della temperatura del corpo anche fino a 42-43 gradi.
L’aumento, associato all’eccesso di sudorazione (dovuta al caldo delle luci e al
ballo scatenato), può provocare la disidratazione, quindi il collasso e addirittura
la morte.
L’ecstasy provoca anche tachicardia, cioè un aumento della frequenza
cardiaca, e quindi il rischio di un infarto.
Il composto chimico della pastiglia è spesso difficile da metabolizzare e
comporta danni a carico del fegato e dei reni.
A lungo termine l’abuso di Mdma provoca conseguenze a livello
neurologico: riduzione della memoria, difficoltà di concentrazione, nervosismo,
ansia e insonnia.
La sostanza dà dipendenza psicologica. Una persona timida che usa
ecstasy scopre che con una caramellina può sentirsi subito spigliata. Questa
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persona ogni volta che si sentirà a disagio farà ricorso alla sostanza, senza
attivare mai un vero e spontaneo processo di crescita e cambiamento.
L’ecstasy aumenta il rischio di incidenti stradali al ritorno dalle
discoteche. Dopo aver ballato tutta la notte, aver assunto stupefacenti e aver
esagerato con l’alcol, è inevitabile avere riflessi meno pronti o colpi di sonno.
Tutto ciò, se si è alla guida di un auto, magari lanciata a 180 chilometri all’ora,
può avere esiti tragici.
La sostanza non crea una vera dipendenza fisica e questo comporta un
pericolo più sottile, perché il consumatore pensa di poter controllare lo sballo.
In questa idea è rafforzato dal fatto che usa l’ecstasy solo in determinate
circostanze: si tratta di un consumo limitato al fine settimana, in discoteca,
senza incidere sulla vita “normale” di lavoro o di studio. A un certo punto, però,
ci si rende conto che, ogni volta che ci si trova in determinate situazioni, non si
può fare a meno di ricorrere alla droga. Generalmente si chiede aiuto solo
quando cominciano a manifestarsi in modo evidente danni neurologici.
1.4 POLVERE D’ANGELO O DEL DIAVOLO?
Che cos’è?
La ketamina (detta anche special K o polvere d’angelo) è un farmaco
noto in veterinaria e usato come anestetico e antidolorifico per cavalli. Si trova
in polvere o compresse e costa circa 20-30 mila lire a dose. La ketamina può
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essere ingerita, sniffata o fumata, mischiata con marijuana, tabacco e
prezzemolo.
Dove agisce
La ketamina agisce sul sistema nervoso, in particolare sui meccanismi
che
regolano
la
noradrenalina
e
la
dopamina,
molecole
responsabili
rispettivamente della sensazione di eccitazione e del desiderio di ripetere
un’esperienza che dà piacere.
Gli effetti ricercati
La ketamina produce uno stato di eccitazione e blande allucinazioni.
Viene utilizzata in alternativa alle anfetamine (sostanze eccitanti) o agli
allucinogeni, soprattutto dagli adolescenti che non dispongono di soldi per
comprare droghe più costose.
I rischi
Di solito la special K si abbina ad altre droghe, quindi la sua pericolosità
cresce in funzione del mix utilizzato. Può provocare amnesie, difficoltà a
pronunciare le parole e un deterioramento delle capacità intellettive, che può
persistere anche per un anno dopo che si è cessato di farne uso.
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In rari casi, l’abuso di questa sostanza può provocare psicosi (disturbi
mentali gravi). Non sappiamo se la sostanza sviluppi tolleranza (bisogno di
assumerne sempre di più perché faccia effetto) e sintomi di astinenza.
Sicuramente provoca una dipendenza psicologica, dovuta al fatto che la
si usa in situazioni che tendono a riproporsi con una certa regolarità, come il
gruppo di amici o la serata in discoteca.
1.5 LA COCAINA
Che cos’è
La cocaina è una sostanza ricavata dalla pianta della Erythroxylon coca,
un arbusto sempreverde che si coltiva prevalentemente in America Centrale e
del Sud. Le sue proprietà stimolanti e anti-fatica sono note da centinaia di anni
alle popolazioni indigene dell’America Latina, che sono abituate a masticarne le
foglie per sopportare la fatica del lavoro alle alte quote delle zone andine e i
crampi della fame.
La cocaina si ottiene dall’estratto naturale della foglia di coca, mescolato
con solventi organici combinati con acido solforico, in modo da potenziare gli
effetti psicoattivi. Nel mercato illegale è presente in forma di polvere bianca,
chiamata in gergo bamba, che costa oltre 180 mila lire al grammo. Si dice che i
narcotrafficanti stabiliscano il prezzo di un grammo di cocaina in base a quello
dell’oro pubblicato sui giornali finanziari.
Generalmente viene inalata attraverso le narici o, più raramente,
iniettata. In quest’ultimo caso, spesso la polvere di cocaina è mescolata con
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l’eroina, ottenendo un composto, detto speedball, molto pericoloso, con gravi
rischi di overdose e blocco respiratorio.
Dove agisce
La cocaina agisce sulla dopamina, un neurotrasmettitore (molecola che
serve alle cellule nervose per comunicare tra loro). La dopamina è responsabile
del desiderio di ripetere un’esperienza che ha dato piacere. La cocaina blocca il
riassorbimento di questa molecola, in modo che il sistema nervoso continui a
essere stimolato con una sensazione chiamata craving, che è appunto l’impulso
irresistibile ad assumere continuamente nuove dosi della sostanza.
Gli effetti ricercati
Visto il costo, l’uso della cocaina è inevitabilmente connesso alla
possibilità di disporre di notevoli somme di denaro. Sotto l’effetto del craving, ci
sono persone che arrivano a consumare, in una notte, 4 o 5 grammi di cocaina,
spendendo circa un milione. Generalmente i consumatori hanno un’età tra i 20
e i 40 anni e possono contare su una fonte di reddito stabile. Chi assume
cocaina o, in gergo, sniffa la neve, ha la sensazione di avere un improvviso
aumento di energia fisica. Crede erroneamente di riuscire a lavorare con miglior
efficienza e di essere più produttivo.
In realtà l’iperattività del cocainomane si rivela sempre farraginosa e lo
porta a iniziare mille lavori, senza concluderne neppure uno. La sensazione di
una amplificata percezione sensoriale fa sì che molti usino cocaina prima di un
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rapporto sessuale, come afrodisiaco: nei maschi in effetti facilita l’erezione,
tuttavia il rapporto sessuale si rivela insoddisfacente per entrambi i partner.
Ancora, c’è chi la consuma durante interminabili partite a carte con gli amici
(dove il gioco è solo un pretesto), chi per illudersi di essere brillante ed
estroverso in società. Le motivazioni all’uso sono dunque tutte legate a scopi
ricreativi. Tuttavia, per qualcuno la sostanza ha un effetto opposto: la persona,
dopo aver sniffato, si chiude in se stessa, si fissa su un pensiero o un’emozione
particolare, quasi sempre spiacevole o angosciante.
Alcuni salgono alla guida dell’automobile e viaggiano per
ore,
percorrendo centinaia di chilometri, con lo sguardo fisso sull’asfalto, con grave
pericolo di incidenti stradali. Altri passano giornate intere a rimettere in ordine
la cassetta degli attrezzi, contando e ricontando all’infinito chiodi e viti. Altri
ancora si siedono davanti al televisore guardando le immagini che scorrono
finché il sonno non li stronca.
Questa particolare condizione psichica successiva all’uso, nella quale il
pensiero è come congelato, viene detta imbarellamento o ingessamento.
Sigmund Freud nei primi del Novecento sperimentò la cocaina su se stesso e sui
propri pazienti come farmaco antidepressivo. Ne abbandonò poi l’uso, accortosi
dei gravissimi effetti collaterali che provocava e dell’inutilità a scopo
terapeutico.
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I rischi
A breve termine l’utilizzo comporta il rischio di intossicazione acuta,
segnalata dalla dilatazione della pupilla, che può provocare un innalzamento
della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, esponendo al rischio di
infarto.
Nei casi più gravi, l’overdose di cocaina provoca il blocco delle funzioni
respiratorie e la morte per soffocamento.
Dopo l’uso possono perdurare, anche per parecchi giorni, alcuni disturbi
al sistema nervoso come mal di testa, tremori, ansia e insonnia.
Spesso il consumatore di cocaina soffre di deliri, con la sensazione di
sentire sulla propria pelle il brulicare di insetti, da cui si difende grattandosi fino
a provocarsi escoriazioni. In altri casi sviluppa pensieri paranoici ed è convinto
di nemici che tramano contro di lui o progettano azioni aggressive. Questo
delirio può assumere forme così gravi da impedire a chi ne soffre persino di
uscire di casa, spingendolo al suicidio.
La cocaina dà dipendenza psicologica e fisica. La crisi di astinenza si
manifesta già poche ore dopo l’assunzione. Per circa una settimana il sintomo si
presenta sotto forma di umore depresso, irritabilità e forte desiderio di
assumere ancora la sostanza; compaiono tic caratteristici come toccarsi il naso
o tirar su. Superata questa settimana, i sintomi astinenziali tendono lentamente
a diminuire, tranne in alcune particolari situazioni, nelle quali tornano a
riproporsi con la stessa intensità.
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Queste situazioni possono essere provocate da stimoli ambientali, come
incontrarsi con gli amici con i quali si consuma cocaina, oppure passare nei
locali dove la si può acquistare.
Superati due mesi senza ricorrere alla
sostanza, si può considerare risolta la dipendenza fisica, ma non quella
psicologica.
È proprio in questo momento che sono più frequenti le ricadute. La
persona si sente forte e capace di controllarsi, così ricomincia a frequentare
ambienti a rischio, esponendosi alla proposta di fare un tiro. Alla quale
difficilmente sarà in grado di opporsi e resistere.
1.6 Il CRACK
Che cos’è?
Il crack è una modalità alternativa di consumare cocaina. L’abuso di
quest’ultima (vedi paragrafo precedente) porta a un aumento della tolleranza
dell’organismo, che significa che si devono aumentare le dosi per ottenere gli
stessi effetti. Il cocainomane cerca di evitare il fenomeno modificando non solo
la quantità di sostanza assunta, ma anche la modalità. È in quest’ottica che
negli ultimi anni si è sempre più diffuso l’uso di fumare la cocaina. La sostanza
così com’è, però, ha una struttura chimica tale da non poter essere fumata,
perché ad alte temperature si decompone il suo principio attivo.
La sostanza deve allora essere modificata: viene cotta, cioè scaldata in
un pentolino, in una miscela di soda e acqua, a volte anche con ammoniaca. In
questo modo si ottiene il cosiddetto crack. La sostanza si presenta sotto forma
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di cristalli, in gergo chiamati rock (pietre). Questi vengono fumati con speciali
pipe ad acqua o artigianali, ricavate dalle bottiglie in plastica. Il nome crack
sembra derivi dal suono che fanno i cristalli quando si rompono per effetto del
calore. Per altri il termine deriva dal “rumore” delle cellule del cervello, che si
distruggono dopo ogni fumata. Una definizione che la dice lunga sui danni
provocati dalla sostanza. I rischi della cocaina assunta sottoforma di crack sono
amplificati rispetto alla tradizionale sniffata. Il senso di onnipotenza e di forza
provati dal consumatore raggiunge livelli estremi. Sotto l’effetto della sostanza, i
giovani si espongono a comportamenti estremamente pericolosi, come sfidarsi
ad imboccare l’autostrada contromano. In molti casi diventano aggressivi e
crudeli. Infatti i giovani criminali delle grandi città americane fumano crack
prima di compiere rapine oppure omicidi.
Con il tempo l’impulso ad assumere quantità sempre maggiori diventa
incontrollabile, con effetti devastanti sul sistema nervoso centrale.
1.7 HASHISH E MARIJUANA
Che cosa sono.
Hashish e marijuana derivano dalla pianta della canapa indiana
(Cannabis indica). La marijuana, ricavata dalle foglie della pianta, si presenta
come un trito di spezie ed erbe essiccate, mentre l’hashish, derivato dalla resina
che trasuda dal gambo e dall’infiorescenza, ha un aspetto simile al dado da
cucina. Il principio attivo è il Thc (delta-9-trans-tetraidrocannabinolo). È
presente in concentrazione del 29 per cento nell’hashish e del 9 per cento nella
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marijuana. In gergo questa droga è chiamata canna, fumo, cioccolato e di solito
viene fumata, mischiata con il tabacco, utilizzando pipe o cartine da sigaretta.
Più raramente viene utilizzata per preparare torte o infusi. Il costo della
sostanza varia in funzione della sua purezza, ma tendenzialmente è abbordabile
per ogni ragazzo: per procurarsi la quantità necessaria per uno spinello bastano
10-20 mila lire.
Dove agiscono
Il meccanismo d’azione sul sistema nervoso centrale del principio attivo
Thc non è ancora chiaro: ne è stato individuato uno specifico recettore nel
cervello dei mammiferi, ma non nell’uomo.
Questo recettore, ammesso che esista anche nel cervello umano,
sarebbe responsabile della sensazione di vaga euforia sperimentata dai
consumatori di cannabis. Sembra anche che il principio attivo aumenti la
concentrazione di dopamina e noradrenalina, due molecole responsabili
rispettivamente del desiderio di ripetere un’esperienza piacevole e del senso di
eccitazione.
Gli effetti ricercati
Dopo aver fumato, la persona prova una diminuzione dell’ansia, un senso di
rilassamento e uno stato di euforia, con una modesta alterazione delle
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percezioni. Aumenta la loquacità e la voglia di esprimere il proprio pensiero,
spesso però a vanvera. Fumare spinelli per gli adolescenti è un modo per
sentirsi uniti e condividere un’esperienza, contrapponendosi alle regole del
mondo degli adulti.
I rischi
Negli Stati Uniti e in alcuni paesi del Nord Europa si stanno facendo studi sulla
possibilità di utilizzare come farmaco il principio attivo della cannabis, in
particolare come antidolorifico per pazienti affetti da tumore.
Questa osservazione non deve tuttavia far credere che si tratti di una sostanza
innocua o addirittura benefica. L’uso prolungato potrebbe esporre a danni al
sistema nervoso centrale, in particolare alle strutture che controllano la lucidità
e la memoria.
La cannabis, come qualsiasi sostanza fumata, provoca danni all’apparato
respiratorio: probabilmente più di 4 o 5 sigarette, perché la boccata di fumo è
trattenuta a lungo nei polmoni, facilitando l’assorbimento delle sostanze nocive.
Inoltre sul mercato illegale la sostanza è tagliata con prodotti chimici per
aumentarne il peso. Solitamente viene mischiata con paraffina, carta da
macero, fango, gomma di copertoni o sostanze chimiche anche più pericolose,
come l’ammoniaca, il cui assorbimento può provocare gravi danni.
La momentanea sensazione di benessere procurata dal fumo può
spingere una personalità già fragile a concentrare tutta la propria vita attorno al
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rito dello spinello. Ciò può provocare un senso di apatia e di disinteresse per la
vita.
L’uso della cannabis può diventare pericoloso nel momento in cui, sotto
l’effetto della sostanza, il consumatore si mette alla guida di un’auto o di una
moto, perché gli effetti della sostanza rallentano i riflessi.
L’uso può far emergere gravi disturbi psichici, ma solo se essi sono già
presenti in una struttura di personalità fragile.
Non esistono dati certi sullo sviluppo di una dipendenza fisica (resta però
quella psicologica) e numerose ricerche scientifiche hanno negato l’ipotesi che
l’uso della cannabis fosse inevitabilmente il primo passo verso droghe pesanti.
Resta comunque in discussione il fatto che i contatti con gli spacciatori, la
curiosità di sperimentare sensazioni sempre più intense e la pressione del
gruppo possano rendere più forte la voglia di rischiare altre esperienze.
1.8 EROINA
Cos’è?
Si prepara per via sintetica, trattando la morfina estratta dall’oppio con
anidride acetica. In generale si presenta come una polvere finissima di colore
bianco, bruno o rossastro, a seconda della purezza. Può avere odore di acido
acetico.
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Effetti prodotti
Gli oppioidi, oltre a svolgere un’azione analgesica, inibiscono le funzioni
della respirazione e della tosse, deprimono la ventilazione polmonare, tanto che
gran parte dei decessi da overdose di eroina è determinata da insufficienza
respiratoria.
L’assunzione di oppioidi inibisce la liberazione di sostanze prodotte
dall’ipotalamo, attraverso le quali il cervello controlla e dirige le funzioni
dell’ipofisi, provocando uno scompenso degli equilibri ormonali, in special modo
dell’apparato riproduttivo.
Notevole è anche l’azione a livello gastro intestinale: le sostanze
oppiacee ritardano i processi digestivi e deprimono la motilità intestinale.
L’assunzione endovenosa di eroina provoca una sensazione di benessere
e di estraneazione dall’ambiente, dalle relazioni e dai problemi connessi ed è
accompagnata da prurito, restringimento delle pupille, riduzione della frequenza
cardiaca e della pressione arteriosa. Segue un rallentamento dei processi ideomotori ed uno stato di sonnolenza. In dosi elevate o in condizioni di
ipersensibilità si giunge alla depressione del sistema nervoso centrale
Effetti prodotti sulla psiche.
Gli oppiacei-narcotici modificano le percezioni sensoriali del soggetto assuntore
il quale, effettivamente distaccato dal mondo circostante, ha la sensazione di
essere “altrove”, e provocano interferenze sulla memoria e nel campo
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dell’immaginazione e la perdita del normale ritmo veglia-sonno e delle
sensazione di fame, freddo, caldo.
Dopo l’interruzione della sostanza sopravviene una serie di sensazioni sgradevoli
e dolorose che, nell’assuntore abituale si esaltano in manifestazioni clamorose,
riassunte sotto il nome di astinenza.
Dipendenza
L’uso cronico degli oppioidi porta i neuroni dei sistemi regolati dalle
endorfine a delegare le funzioni di controllo. Essi divengono di fatto incapaci di
agire senza la presenza di sostanza tossica. Ciò comporta una progressiva
riduzione di risposta alla droga e una necessità di continuo apporto esterno di
oppioidi per permettere il normale funzionamento dei sistemi endorfinici, cioè la
dipendenza fisica. Per tale ragione la brusca interruzione dell’uso prolungato di
sostanze oppiacee provoca l’insorgere della crisi di astinenza.
Con il termine “sindrome di astinenza” possono intendersi due distinti
momenti, l’uno che costituisce essenza fisica dell’astinenza e l’altro che legato
alla dipendenza psicologica dalla pratica tossicomanica, costituisce il periodo più
sensibile alla ricaduta. La fase dell’astinenza è caratterizzata dalla comparsa in
successione di sintomi soggettivi (ansia, irrequietezza, insonnia, brividi,
artromialgie, nausea, dolori addominali, vampate di calore) ed oggettivi
(vomito, diarrea, lacrimazione, tremore, sudorazione, sbadigli incontrollati,
tachicardia, aumento dei valori pressori sistolici, febbre, midriasi evidente).
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Negli ultimi 30 anni la risposta più efficace di fronte al problema
dell’eroina è stata senza dubbio quella delle comunità terapeutiche.
Le comunità terapeutiche sono strutture di tipo residenziale
o
semiresidenziale che offrono la presa in carico integrale del tossicodipendente
ed un percorso di recupero che termina allorché il soggetto dimostri a se stesso
e agli altri la sua capacità di autonomia e di “rientro”nella società.
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CAPITOLO II
COME NASCONO LE COMUNITA’ TERAPEUTICHE
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2.1 ORIGINE E SVILUPPO. SYNANON
In California (USA), nel 1958, un gruppo di persone dipendenti da eroina,
sotto la guida di Charles Diederich, si organizza (seguendo il modello degli
alcolisti anonimi) in una comunità denominata SYNANON. L’obiettivo era creare
una società ideale; l’esperienza era rivoluzionaria, in quanto la stessa era
organizzata e diretta da ex – tossicodipendenti.
In questa comunità vengono accolti tutti i tipi di tossicodipendenti.
Si costituiscono come gruppo di auto-aiuto con la collaborazione di
professionisti della psichiatria.
La comunità SYNANON vuole essere una specie di famiglia sostitutiva e si
conforma come una comunità di vita alternativa che si autolimita e che,
partendo da una supposta incompatibilità tra il tossicodipendente e la società,
esige dai suoi membri la permanenza indefinita nell’organizzazione per
assicurare il mantenimento di una vita senza droga.
Infatti l’abbandono o l’espulsione dalla comunità suppone l’impossibilità
del ritorno. (1)
Questa comunità adotta una struttura interna rigidamente gerarchizzata
in cui il residente occupa posti differenti a seconda dei suoi cambiamenti di
atteggiamento e/o di condotta. (1)
(1)
(Roig- Traver 88, 1986; Comas 89,1978).
27
Intendendo conseguire ciò che viene chiamato “autoidentificazione” o
“ritrovamento di sé stessi” e utilizzano per questo scopo quelli che vengono
chiamati “Giochi di SYNANON”, una particolare dinamica di gruppo di “Attacco e
Confronto” diretta dai residenti più anziani, in cui si denunciano davanti al
gruppo le condotte o gli atteggiamenti negativi dei suoi membri.
In SYNANON il nuovo arrivato è considerato “come un bambino” che in
comunità entra in un processo di apprendimento per raggiungere la maturità.
Quest’organizzazione si diffuse considerevolmente arrivando a più di
mille membri, fino ad arrivare ad una profonda crisi di deterioramento dovuta al
fatto di essere arrivata ad essere una setta fondamentalista e autoritaria,
diretta in modo tirannico e delirante da Charles Diederich, che giunse ad
inserire nella casella postale di un dissidente un serpente velenoso, nel 1987.
SYNANON finì, poi, totalmente isolata e chiusa in se stessa, senza
nessuna progettazione o proiezione assistenziale reale. (2) (OTTENBERG 90,
1982; MANN 91, 1987)
Ma, come sottolinea O’Brien 92, nel 1985:”E’ fuor di dubbio l’influenza e
l’impatto di SYNANON sulle attuali Comunità terapeutiche per tossicodipendenti.
(2) (OTTENBERG 90, 1982; MANN 91, 1987)
28
2.2 DAYTOP-VILLAGE
Nel 1964 alcuni membri fuoriusciti da SYNANON in collaborazione con un
gruppo di professionisti dell’area Salute Mentale (psichiatria) stipula un
contratto con un organismo pubblico nordamericano per l’apertura di un centro
di trattamento per tossicodipendenti.
Nasce così DAYTOP-VILLAGE, la prima comunità terapeutica gestita da un
equipe mista composta da ex-tossicodipendenti e da professionisti.
DAYTOP è ideata come una risorsa assistenziale per la disintossicazione e il
successivo reinserimento del tossicodipendente.
Propone un tempo limitato di permanenza in comunità dai 16 ai 18 mesi
e un ritorno alla società attraverso un programma intermedio, che include
l’utilizzo di appartamenti urbani e la psicoterapia di sostegno.
Mantiene da SYNANON la pretesa di raggiungere, mediante la disciplina e
l’aiuto reciproco, un grado di maturità necessario per il reinserimento nella
società.
Sostiene che la vita in comunità e le attività che in essa si realizzano
hanno un effetto positivo sul tossicodipendente e riproduce una struttura
interna molto gerarchizzata, simile a quella di SYNANON.
Le tecniche d’intervento, per lo più di gruppo, sono qui formalizzate
come “Gruppi d’incontro”, “Dinamico”, “di Controllo “, “Speciali” sono
formalizzati e definiti.
29
L’intervento sulla famiglia, mediante i “Gruppi d’Incontro famigliari” si
inserisce progressivamente come elemento importante nella terapia della
comunità.
Tutti gli studi successivi concordano nel fatto che DAYTOP sarà la
matrice e il modello seguito dalla maggioranza delle comunità terapeutiche per
tossicodipendenti che cominciano a proliferare nei distinti paesi, nel momento in
cui la tossicodipendenza comincia ad estendersi come fenomeno sociale. (3)
2.3. LE ALTRE COMUNITA’ AMERICANE
DELANCEY
tossicodipendenti,
STREET,
è
comunità
specializzata
completamente
nell’accoglienza
dei
gestita
da
delinquenti
ex(70%
provengono dagli organi di giustizia) e dei senza tetto (30%). Questa comunità
rifiuta ogni sovvenzione e si autogestisce attraverso le attività economiche che
ha creato: ristoranti, imprese di sgombero, ecc. Hanno appena aperto una delle
più grandi strutture degli Stati Uniti con oltre 300 persone in California.
Ospitano un migliaio di persone.
SATORI, comunità californiana creata nel 1970 da uno psichiatra, Dr
Zarcone, con figure professionali specializzate (psichiatri, psicologi, infermieri) e
con un programma la cui durata varia dai 18 mesi ai 2 anni.
PHOENIX HOUSE, aperta nel 1967 a New York ed impiantata anche in
tutto il resto del Paese, offre una gamma di servizi completa (residenziali,
giornalieri,
(3) (Ottenberg, 1985, Comas, 1987)
30
educativi, ecc.). I residenti preparano il loro reinserimento imparando un
lavoro, attraverso il quale ritorneranno alla vita attiva. Le permanenze durano
generalmente 2 anni.
PORTAGE, situata nel Quebec e fondata nel 1973 da un anziano membro di
Daytop (J. J. Devlin), è il punto di riferimento in Canada. Il personale è misto,
diviso fra ex-tossicodipendenti e professionisti. Questo centro è controllato da
un consiglio d’amministrazione che assicura il buon funzionamento del
programma terapeutico.
2.3 LA COMUNITA’ TERAPEUTICA DI ORIGINE
ANGLOSASSONE.
SVILUPPO E CARATTERISTICHE DI BASE, MAXWELL JONES
Alla fine degli anni quaranta, dopo la seconda guerra mondiale, sorge in
Inghilterra un movimento di riforma nell’ambito della psichiatria.
Le istituzioni manicomiali sono messe in discussione e viene denunciato il
vero carattere della funzione che svolgono: asilo, controllo e custodia sociale
invece che di assistenza e riabilitazione.
Con l’apporto di altre scienze teoriche: la psicanalisi, la psichiatria sociale, la
psicologia sociale si cercano alternative riformatrici al trattamento in Istituti
residenziali per l’infermità mentale.
31
Così T.F. Maine nel 1946 pubblica un articolo “l’ospedale come Istituzione
Terapeutica” dedicato ai lavori degli psichiatri del gruppo di Northfield, tra i
quali Bion e Richkman.
Maxwell Jones, basandosi sul suo lavoro in una serie di ospedali per più di
vent’anni, pubblica vari testi che sviluppano il concetto riformatore di comunità
terapeutica.
Maxwell è dunque il promotore di comunità terapeutiche organizzate
all’interno di istituzioni psichiatriche come soluzione alternativa al ricovero in
manicomio dei malati mentali.
Queste comunità permettevano di applicare procedure funzionali basate
sulla partecipazione attiva e sulla terapia di gruppo.
Si trattava di aprire spazi democratici nell’ambiente chiuso e gerarchizzato
dell’ospedale psichiatrico.
Maxwell parte dall’ipotesi che il paziente possiede un potenziale terapeutico
positivo per se stesso e per gli altri malati. Anche se resta sempre un “oggetto
di cure” la comunità terapeutica lo trasforma in “soggetto curante”.
Maggior responsabilità così ricadono sui pazienti che decidono, insieme
all’equipe degli operatori l’applicazione del progetto terapeutico e il rispetto
delle regole di funzionamento dell’istituzione.
L’obiettivo di Maxwell è quello di trasformare l’organizzazione dell’ospedale
affinché ogni individuo, sia curato che curante, abbia maggior responsabilità e
goda dell’autonomia necessaria per impegnarsi nell’azione terapeutica comune.
32
2.4 IL MODELLO AMERICANO E IL MODELLO EUROPEO
I due modelli, quello europeo e quello americano, nonostante gli essenziali
punti in comune, quali l’apprendimento dell’autonomia attraverso il self-help e
la vita di gruppo hanno diverse caratteristiche.
La cultura americana e la tipologia della popolazione tossicodipendente
statunitense hanno forgiato il modello di comunità gerarchica. Qui il residente
ha l’obbligo di indossare la tuta, di avere i capelli rasati, di sottoporsi a un
sistema di punizioni/privilegi e a una disciplina quasi carceraria.
Negli anni ’70 gli operatori terapeutici europei, cercando nuove forme di
cura, si sono orientati verso la formula delle Comunità Terapeutiche.
Recatisi negli Stati Uniti rimasero impressionati dagli aspetti coercitivi del
modello americano. Avendo ancora vive nel ricordo le immagini delle follie
autoritarie naziste, si preoccuparono del “rispetto della persona”, degli aspetti
negativi “dell’obbedienza cieca” e della tendenza alla “coercizione”.
Preferirono, quindi, adottare il modello democratico europeo anche se, con
il passare degli anni e alla luce dell’esperienza, alcune comunità inizialmente
democratiche hanno finito con l’adottare il modello gerarchico di Daytop,
depurandolo dagli aspetti più coercitivi, da alcuni obblighi e adattandolo al
contesto culturale del vecchio continente.
Le comunità europee, inoltre, hanno introdotto i gruppi di espressione
emozionale, le psicoterapie individuali e le terapie familiari. Inoltre hanno
cominciato ad impiegare i residenti in fine programma come modello per gli
33
altri, e gli ex tossicodipendenti hanno cominciato a lavorare come membri delle
équipe curanti.
2.5 LA NASCITA DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE IN ITALIA
Sino al 1978 le Comunità Terapeutiche sembravano essere prerogativa
dei paesi anglosassoni e scandinavi. L’Europa del Nord, infatti, sembrava più
recettiva allo sviluppo di questo modello terapeutico. In seguito alla 3a
Conferenza mondiale delle Comunità Terapeutiche svoltasi a Roma nel 1978,
un’équipe romana ha visitato diverse Comunità Terapeutiche in Europa e negli
Stati Uniti allo scopo di ricercare un modello terapeutico efficace che fosse
adattabile al contesto italiano. È stato ritenuto valido il modello Daytop perché
poteva funzionare con mezzi limitati, senza richiedere personale numeroso e
molto istruito.
Essendo i fondatori animati da valori missionari cristiani, istituirono
un’opera caritativa senza l’aiuto dello Stato.
Le Comunità Terapeutiche italiane si sono progressivamente trasformate
ed hanno, ormai, una fisionomia ben precisa. Se da una parte si basano sul self
help e su staff operativi composti in massima parte da ex-tossicodipendenti,
come nelle comunità americane, si distinguono da queste ultime per diversi
aspetti: si basano su un modello ampiamente compenetrato da una dimensione
religiosa; devono il loro sviluppo al sostegno del Vaticano che ha ceduto delle
proprietà per le loro sedi e contribuisce al loro finanziamento; gli operatori non
34
sono solamente ex-tossicodipendenti, ma anche membri del clero e fedeli
formati nella comunità religiosa; la collaborazione delle famiglie è essenziale per
il programma terapeutico.
A partire dagli anni ’80, le Comunità Terapeutiche si sono diffuse in tutti i
paesi europei. La maggior parte delle C.T. sono in contatto tra loro e, in
Europa, sono coordinate da due organismi: la Federazione Europea delle
Comunità Terapeutiche (EFTC) nel movimento di WFTC e di Daytop, e la
Federazione degli Aiuti ai Tossicodipendenti in Europa (FATE).
Le comunità differiscono le une dalle altre per la loro natura (pubblica o
privata), per gli statuti e per i fondamenti (religiosi o laici) che stanno alla base
della loro creazione. Differiscono, inoltre, per la loro organizzazione più o meno
efficiente e soprattutto per il modello adottato.
2.6
IL “PROGETTO UOMO DI DON MARIO PICCHI”
Una delle prime comunità italiane è senza dubbio Il “Progetto Uomo” di Don
Mario Picchi.
Nel 1979, Don Picchi che già si occupava di giovani tossicodipendenti dal
1968, fondò il primo centro di accoglienza e la prima comunità terapeutica
“Progetto Uomo” a Roma con la collaborazione di operatori di Daytop (Progetto
Uomo negli U.S.A.) avviando un corso sperimentale con alcuni operatori
volontari, per arrivare nei primi anni 80, all’avvio dell’esperienza FICT –
Federazione Italiana Comunita’ Terapeutiche.
35
Il programma classico del “Progetto Uomo” è impostato su tre fasi:
La prima fase di accoglienza prevede che i ragazzi, insieme alle loro famiglie,
inizino a frequentare il Centro con colloqui preliminari di conoscenza, dove
formulare un contratto terapeutico fatto di regole, piccole responsabilità ed
impegni che i ragazzi e le famiglie devono accettare per iniziare il cammino da
fare insieme. Questa fase è necessaria per una prima conoscenza delle
problematiche che la famiglia e il ragazzo vivono, per poi prepararli e motivarli
al cambiamento vero e proprio.
Successivamente i ragazzi passano alla fase comunità terapeutica che è
solo una parte di un programma più ampio; all’interno di essa avviene il vero e
proprio cambiamento dei comportamenti.
Le famiglie e i ragazzi, in tempi e momenti diversi, diventano protagonisti
di questo cambiamento a vantaggio di una migliore qualità della vita.
Ultima fase del programma è il reinserimento, fase delicata ed importante, di
verifica per alcuni aspetti, ma anche occasione per affrontare la realtà con
modalità diversa.
Tutto il lavoro di cambiamento è finalizzato di fatto a non rimanere chiusi
in un contenitore protettivo, ma a reinserirsi nella stessa realtà, nella stessa
società dalla quale si era rimasti fuori, per riappropriarsi del proprio posto e
contribuire al miglioramento di questa realtà e di questa società.
36
CAPITOLO TERZO
LA NASCITA DELLA COMUNITA’ LE PATRIARCHE
37
3.1 IL FONDATORE LUCIEN J. ENGELMAJER
Lucien J. Engelmajer nasce il 27 novembre 1920 a Francoforte sul Mare.
Membro di una numerosa famiglia d’origine ebrea residente in Polonia e
trasferitasi nei primi anni venti in Francia a Metz, a causa dei gravi problemi
economici in cui si trovava la Polonia.
Nel 1940 si arruola volontario nell’esercito francese per combattere
contro il nazismo e per ottenere la cittadinanza francese come tutti gli stranieri
che combattono per la Francia, ma fugge più volte dall’esercito regolare per
raggiungere e combattere nella resistenza francese.
E’
ferito,
catturato dai
tedeschi
e
rinchiuso
in
un
campo
di
concentramento.
Dopo varie peripezie riesce a fuggire e a raggiungere i partigiani della
resistenza francese.
Alla fine della guerra richiede la cittadinanza francese per aver
combattuto nell’esercito ma gli è negata per aver disertato.
Dopo la guerra si occupa dell’organizzazione dei campi di lavoro e di
vacanza per i figli dei deportati della guerra.
Seguendo l’esempio del padre che era stato commerciante di mobili
antichi comincia l’attività di restauratore di mobili a Tolosa.
Allo stesso tempo frequenta dei corsi di psicopatologia all’università di
Tolosa.
38
Ottiene con quest’attività un buon successo economico e sociale, ma si
rende conto che quel tipo di vita non lo soddisfa e quindi decide di cambiare
completamente, vende il negozio e l’attività e si ritira in campagna con la
moglie e i tre figli.
Siamo a metà degli anni sessanta e già si sente nell’aria il profumo del
68, del cambiamento, delle idee rivoluzionarie, Lucien Engelmajer acquista una
cascina abbandonata chiamata La Boere nei pressi di Tolosa ed accoglie giovani
provenienti da tutto il mondo, poeti, musicisti, emarginati di ogni tipo. Ben
presto si rende conto che parecchi di questi giovani fanno uso di droghe: dalla
marijuana all’eroina, dagli psicofarmaci all’alcool.
Da “Per i drogati la Speranza” di Lucien J.Engelmajer:
“Gennaio 1972. Da cinque anni io e mia moglie Renà cerchiamo di aiutare i giovani emarginati e
ci troviamo di fronte al problema della droga.
Accogliamo a casa nostra i resti delle “comuni” sfasciate che avevano abbandonato le loro
famiglie e che adesso si trovano senza casa e senza mezzi economici”.
Verso la fine del 72 cerchiamo nei pressi di Thil un luogo dove poter vivere e per accogliere
coloro che verranno da noi per tentare di rivivere.
In quei giorni un vicino ci ha parlato di una vecchia cascina nel comune di Saint-Paul Sur Save
denominata la Boere……..”
S’interroga sulle motivazioni, sul bisogno di usare droga, cerca di aiutarli
ma non essendo un professionista, un esperto, prova, inventa, sbaglia,
ricomincia mettendoci soprattutto il cuore.
Poco a poco insieme a questo misto di passione, di comprensione, di
dinamismo, sperimenta un metodo che diventerà fondamentale per il futuro
dell’Associazione Le Patriarche.
39
3.2
LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE LE PATRIARCHE.
Nasce cosi un metodo di disintossicazione naturale chiamato “sevrage bloc”
o
arresto
immediato
di
qualsiasi
sostanza
stupefacente
con
l’accompagnamento psico- affettivo al nuovo arrivato 24 ore su 24.
A questo si aggiunge l’utilizzo di una fitoterapia specializzata che prevede la
somministrazione giornaliera di tisane calmanti e diuretiche, di massaggi e
bagni rilassanti di erbe, accompagnata da passeggiate distensive in campagna.
Rimane fondamentale la presa in carico dei nuovi arrivati da parte degli stessi
ex-tossicodipendenti.
E’ questo il concetto fondamentale del metodo di Lucien Engelmajer.
La nozione dell’auto-aiuto.
La presa in carico psicoaffettiva del tossicodipendente inizia al suo arrivo
con l’immediata partecipazione e inserimento nella vita del gruppo, è una
presenza costante, 24 ore su 24, di uno o due ex-tossicodipendenti, una
vicinanza basata su criteri di fiducia e attendibilità.
Questo calore umano dà al nuovo arrivato un supporto psicologico
notevole.
L’ultimo arrivato, a volte anche giovanissimo, dal passato giuridicosociale
generalmente
pesante
(fallimento
scolastico,
prostituzione,
40
incarcerazioni, fallimenti terapeutici, demotivazione e disinteresse progressivo,
carenze affettive, asocialità palese) ha bisogno di essere confortato.
Si tratta quindi di offrirgli un contesto motivazionale potente, efficace,
solido, che lo metta al riparo, nei primi momenti difficili, dal pericolo di ricadute.
I più “vecchi” gli parlano, lo tranquillizzano, spesso raccontando la loro
storia così simile alla sua. Cosi si apre la terapia relazionale, basata sul dialogo,
sull’ascolto, sulla speranza, sul rispecchiamento…
Quando l’ex-tossicodipendente è disintossicato ritrova la forza fisica, la
lucidità mentale e una certa capacità di riflessione. Libero dai prodotti artificiali,
impara ad aiutare gli altri, ad essere solidale, a ritrovare lo spirito critico, a
mettersi in discussione e poco alla volta gli ritorna la voglia di vivere.
L’uso di droghe (sostanze) è un piacere immediato, superficiale; il
tossicodipendente è un promotore di piaceri che si degradano continuamente e
totalmente.
La grande intuizione di Lucien J. Engelmajer è di trasformare questa
forza distruttrice in forza costruttrice.
Da “Il dovere di fermare Droga e Aids di Lucien J.Engelmajer”
“Io do i mezzi per essere promotori del piacere di vivere, della gioia di esistere, di partecipare,
di creare; un piacere naturale significante e che dà significato alla propria esistenza, un senso
all’assoluto, amare per essere amato, vivere per aiutare a vivere, partecipare per coinvolgere gli
altri nella partecipazione, comunicare ed imparare ad essere responsabili”.
41
L’ergoterapia.
La riabilitazione si ottiene anche attraverso il lavoro (ergoterapia). La
crescita, la maturità, la presa di coscienza di una nuova responsabilità
all’interno di un gruppo in relazione ad un’attività in un centro. In questo
periodo sono disponibili svariate attività che permettono l’apprendimento di un
lavoro.
La formazione professionale e la formazione umana permettono a questi
giovani di ritrovare la loro dignità, di dare un senso alla loro esistenza a
ritrovare quindi la loro identità.
Diventano partecipi di un nuovo modo di vivere, costruendo una base di
partenza
per
riprendersi
il
tempo
perduto
negli
anni
della
loro
tossicodipendenza.
3.3
L’AIDS E LA COSTRUZIONE DELL’OSPEDALE DI LA MOTHE
Alla fine degli anni 70 Lucien Engelmajer ha già accolto nelle sue strutture
migliaia di tossicodipendenti provenienti da tutto il mondo.
Le
innumerevoli
complicazioni
mediche
dovute
all’uso
di
sostanze
stupefacenti, soprattutto inerenti al modo di somministrazione delle droghe (per
via endovenosa) e al disastroso tipo di vita (prostituzione, carcere, vita
42
disordinata) dei tossicodipendenti convince Lucien Engelmajer della necessità di
dare un maggior impulso medico all’associazione Le Patriarche.
Nasce cosi nel 1983 l’ IDRET (istituto di documentazione e ricerca sulla
tossicomania) il cui scopo è di documentare, registrare ed indagare sulle
malattia correlate alla tossicodipendenza.
Le prime malattie di cui l’Idret si occupa sono le endocarditi, le malattie
sessualmente trasmissibili e l’epatite b.
I primi risultati sono la nascita e la strutturazione in ogni centro di una
farmacia, la pubblicazione di studi effettuati su un numero elevato d’ospiti di Le
Patriarche e l’istituzione di un follow up sistematico (cartella medica individuale)
per ogni ospite.
Gli anni 80 e l’apparizione dell’ Hiv moltiplicano questo sforzo e gli studi, i
seminari si moltiplicano, viene ideato un follow up standardizzato per ogni
sieropositivo all’Hiv.
Una rete internazionale di medici e paramedici contribuisce ad uno screening
permanente degli ospiti dell’associazione.
Nel 1987 nasce una struttura specifica di sostegno e aiuto ai sieropositivi
all’Hiv.
Si tratta dell’Associazione ADDEPOS (associazione dei diritti e dei doveri dei
sieropositivi e dei portatori del virus dell’Aids) caratterizzata da una
responsabilizzazione dei sieropositivi e dei malati nel quadro della vita sociale
ma anche in quello della loro malattia e addirittura della ricerca medica.
43
La piena responsabilizzazione avviene in termini di lotta contro la
discriminazione, di mutuo sostegno, di aiuto reciproco e di partecipazione di
ciascuno all’evoluzione dei concetti sociali e allo sforzo scientifico.
La chiave di volta è la rinuncia all’anonimato, attitudine all’avanguardia ma
poco raccomandata in una società fredda che preferisce non sapere, tenere
nascosto e usare l’ aids solo per motivi scandalistici e quasi colpevolizza chi ha
condotto una vita diversa (omosessuali, tossicodipendenti etc ).
Nello stesso periodo vengono studiate, progettate e costruite le prime
strutture d’accoglienza per malati d’Aids.
Gli “Spazi di salute ” sono dei luoghi di residenza privilegiati, adattati ad
ospiti fragili, con un deficit immunitario importante, esposti ad infezioni
ricorrenti, hanno norme igieniche specifiche, un’assistenza medica privilegiata
in un ambiente psicoaffettivo favorevole.
In pochi anni più di 30 Spazi di salute nascono nelle strutture comunitarie e
ne costituiscono parte integrante, accolgono i malati ad esclusione dei malati
gravi che vengono ricoverati negli ospedali.
All’inizio degli anni novanta più del 40 % degli ospiti risulta positivo al virus
dell’Hiv e questo aumento unito all’esperienza accumulata dalle varie equipes
del personale curante sempre in collaborazione con gli ospedali di malattie
infettive portano alla tappa seguente: l’apertura degli “Spazi di Cura”. Questi si
differenziano dagli spazi di salute per una pratica soprattutto medica che
permette l’assistenza completa dei malati in caso di episodi acuti. In pratica non
44
si sostituiscono al ricovero ma diventano una alternativa, un supporto ai reparti
di malattia infettiva degli ospedali.
Da sottolineare che spesso il personale paramedico è costituito dagli stessi
ospiti dell’associazione consentendo un continuo interscambio di assistenza, di
relazioni e di affetti che rendono l’ambiente molto più dinamico rispetto ai
reparti ospedalieri cosi grigi e asettici.
Una di questi Spazi di Cura viene costruito a La Mothe (Touluse).
Da: “Il dovere di fermare Droga e Aids” di Lucien J. Engelmajer.
La struttura.
L’edificio, di grandi dimensione, è stato interamente ideato e realizzato dall’equipes
dell’associazione Le Patriarche; una quarantina di muratori, falegnami, molti dei quali
sieropositivi.
L’edificio comprende tre piani e un sottosuolo. Ogni piano ha una superficie di 300 mq, l’ultimo
piano è a soppalco per rispettare lo stile architettonico del centro dove è inserito.
Lo spazio di cura di La Mothe può accogliere 45 persone.
L’equipe è formato da due medici, tre infermieri più un numero elevato di volontari che
attraverso una turnazione garantiscono la permanenza costante nell’arco delle 24 ore.
3.4
L’ESPANSIONE E LA DIFFUSIONE IN TUTTO IL MONDO.
Di pari passo con l’aumento degli ospiti sieropositivi e con l’adattamento
delle strutture alla malattia l’associazione Le Patriarche si espande in tutto il
mondo.
Dopo la Francia, comincia l’espansione in tutta Europa (Spagna, Portogallo,
Italia, Svizzera, Germania, Irlanda).
45
Lo slogan di Le Patriarche è che tutti i tossicodipendenti devono avere una
possibilità di vita, le porte sono aperte a tutti: uomini, donne, minori coppie con
bambini, sieropositivi e malati d’aids, omosessuali, persone con problemi
giuridici e soprattutto in tempi brevissimi (una settimana ) nei primi anni
novanta sono più di 5000 gli ospiti dell’associazione.
I primi tossicodipendenti entrati a La Boere nei primi 70 sono al fianco di
Lucien, fanno parte del direttorio internazionale che guida e dirige tutta la
struttura.
Ogni nazione ha la sua direzione nazionale alla quale fanno capo tutti i
centri del paese. Questa è a sua volta è direttamente collegata con la direzione
internazionale.
Sono gli stessi ex-tossicodipendenti riabilitati che fungono da responsabili
di ogni struttura. Fin dai primi anni infatti la comunità terapeutica diventa un
Luogo di vita per tutti coloro che vogliono vivere all’interno dell’associazione che
diventa in breve un’organizzazione mondiale di lotta contro la droga e l’Aids.
Far parte della struttura vuol dire sentirsi parte integrante di un’azione
mondiale contro la droga, avere quindi un senso di appartenenza elevato.
Il tutto comunque è sempre spinto dalla volontà d’espansione del
fondatore Lucien Engelmajer che dirige, vigila, interviene e funge da promotore,
motivatore costante di tutto il movimento.
E’ sempre lui a decidere se e dove aprire nuovi centri, chi nominare quale
responsabile, dove stabilire la direzione, ecc.
46
I Governi di molti paesi, in crisi per l’espansione del “fenomeno” droga
richiedono l’intervento di Le Patriarche. Dopo tutto è sufficiente una vecchia
struttura e un minimo d’appoggio da parte delle istituzione locali e
l’associazione Le Patriarche mette a disposizione le risorse umane per aprire
una comunità terapeutica.
Si aprono così strutture in Polonia, in Russia destinate però a fallire
proprio per la mancanza di analisi preventiva e di conoscenza della situazione
politica e sociale in materia di tossicodipendenza.
Prima si fanno i lavori e poi si chiedono i permessi…
La droga non può aspettare i tempi della burocrazia, della legge, questo
è il motto dell’associazione Le Patriarche e del suo fondatore Lucien
J.Engelmajer.
Quando arrivano i momenti in cui le ammissioni sono poche basta inviare
degli autobus nelle più importanti piazze d’Europa e raccogliere decine di
tossicodipendenti disperati e portarli nei centri dell’associazione.
La sopravvivenza economica è garantita dalle rette delle famiglie, dai
servizi pubblici, dalla raccolta fondi capillare e continua e dalla raccolta di generi
alimentari, mobili e materiali effettuata dagli stessi utenti.
Queste enormi quantità di alimentari e materiali vengono stoccati in
grandi magazzini e settimanalmente distribuiti in tutti i centri.
Credo che questa sia stata una delle iniziative economiche più
interessanti del fondatore: grazie a questa raccolta praticamente l’associazione
47
non ha spese per quanto riguarda gli alimentari e i materiali da costruzione:
tutto è gratuito.
Anche le strutture spesso sono donazioni o comodati gratuiti.
Tutto questo avviene nonostante l’associazione e il suo fondatore non
siano ben visti in gran parte del mondo, sono infatti accusati di avvalersi solo
della buona volontà degli operatori ex-tossicodipendenti senza alcuna
professionalità, lo stesso Lucien viene accusato di essere un specie di guru e di
aver creato una setta.
Incurante delle critiche, alle quali risponde spesso dalle pagine del giornale
“Antitox” vero e proprio portavoce dell’associazione, il fondatore cerca paesi
nuovi dove i governi si dichiarano disponibili ad accoglierlo. Decide di aprire
nuove strutture in America (Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Belize,
Uruguay e Nicaragua).
3.5
AZIONE SOCIALE E AIUTI UMANITARI.
A differenza dei paesi europei, in America, ma soprattutto nell’America del
sud, l’associazione differenzia il suo tipo di lavoro spostandosi sempre di più
verso un’azione di tipo sociale.
Il Nicaragua è l’esempio, un paese distrutto dalle guerre, dalle catastrofi
naturali, dalla controrivoluzione e dalla rivoluzione, un paese di bambini senza
padri e senza casa.
48
L’associazione Le Patriarche acquista delle strutture malridotte in Nicaragua
e poco alla volta con i suoi volontari le rimette in ordine, in modo da poter
accogliere i primi tossicodipendenti.
Ben presto però ci si rende conto che il problema del Nicaragua è ben più
ampio della droga: è vero che esistono centinaia di bambini che annusano colla
ma forse lo fanno per lenire la fame e lo stato di denutrimento.
Si decide quindi di allargare il campo d’azione in tutti i settori sociali, grazie
al materiale che le strutture in Europa inviano per container, si ristrutturano
decine di villaggi, si distribuiscono viveri, materiali di ogni genere, giocattoli.
Il progetto diventa poi più ampio e cioè far partecipare a quest’azione i
giovani nicaraguensi in modo che un giorno possano diventare i responsabili di
queste strutture e possano essere in grado di progettare la propria vita.
In ogni centro si costruisce un asilo, una scuola, si acquistano barche e
battelli per la pesca, si creano cooperative di pesca, di allevamento che possano
in futuro essere autogestite dagli stessi giovani.
In pochi anni, l’associazione in Nicaragua diventa un’organizzazione
umanitaria conosciuta e rispettata in tutto il paese, tanto che la Signora Violeta
Chamorra Presidente del Nicaragua visita più volte le strutture ed incontra il
fondatore Lucien J. Engelmajer.
Tutto ciò si riflette anche sulle strutture in Europa, con l’esperienza positiva
effettuata in Nicaragua si decide che l’azione sociale, gli aiuti umanitari
diventino parte integrante dell’associazione.
49
Il primo “clamoroso” passo è l’acquisto di una vecchia nave traghetto della
marina spagnola con una grossa stiva predisposta al carico di alimentari,
materiali.
Per far conoscere anche questo lato umanitario dell’associazione viene
deciso che il primo viaggio deve essere qualcosa di speciale: l’invio di generi
alimentari a Sarajevo nel bel mezzo della guerra tra Bosniaci, Croati e Serbi.
Tutti i centri d’europa si mobilitano per questo scopo: raccolgono il maggior
quantitativo di generi alimentari possibili che viene stoccato nei magazzini e poi
trasferito nel porto di Barcellona da dove salperà la nave.
In un mese tutto è pronto, la nave è carica e pronta a partire.
L’ultimo ostacolo è la ricerca del capitano che la condurrà visto che il
resto dell’equipaggio è formato da ex-tossicodipendenti con esperienze navali,
ricerca difficile perché ovviamente il salario è basso considerato lo scopo del
viaggio. Alla fine un vecchio lupo di mare forse per amore dell’avventura accetta
questo incarico e la nave parte.
Malgrado il blocco navale della Nato la nave dopo un lungo viaggio arriva
a Split e rilascia il carico alla Croce Rossa che poi lo distribuirà alle popolazioni
colpite dalla guerra.
Dopo questo viaggio cominciano le donazioni umanitarie, alcune delle
quali ai limiti veramente della “follia”.
Viene inviato un carico di medicinali in Senegal, dove il Governo locale
stava
concordando
con
l’associazione
l’apertura
di
un
centro
per
i
tossicodipendenti, che al momento dello sbarco non viene fatto sdoganare per
50
la mancanza dei permessi adeguati e questo, ovviamente, fa saltare tutto il
progetto.
Vengono inoltre effettuati diversi viaggi in America latina (Nicaragua,
Cile) con una nave obsoleta, progettata in realtà come nave traghetto per il
Mediterraneo.
Tre camion carichi di arance da Valencia a Sarajevo attraverso una
strada dissestata dalla guerra e a rischio di mine anticarro.
Ogni paese ha l’obbligo di inviare almeno un container al mese in
Nicaragua e in Cile, dove all’inizio l’associazione è molto ben vista, al punto da
dedicare una piazza della capitale a Lucien j. Engelmajer.
Questi, inorgoglito da tale riconoscimento, decide di istallare nella stessa
piazza un’enorme cupola (diametro 200 mt.) che potrà in futuro accogliere
spettacoli, concerti, rappresentazioni teatrali oltre ad essere un costante punto
di riferimento contro la droga.
Il rapporto con la Croce rossa diventa costante: dove c’è una catastrofe,
un’alluvione Le Patriarche è presente, dopo l’alluvione in Polonia un intero
castello francese viene messo a disposizione di 150 bambini polacchi rimasti
senza casa.
L’azione sociale è diventata talmente parte integrante dell’associazione
da diventarne quasi prioritaria e questo incide molto sul bilancio economico
della stessa.
E’ per questo motivo che poco alla volta diventa necessario pensare a
qualcosa per il mantenimento della stessa, ed ecco che cominciano a nascere in
51
tutta l’associazione ristoranti “Paella store”, società di trasporti, gestione di
pompe di benzina, vendita di mobili e di materiali attraverso le braderie,
cooperative di costruzione edile, cooperative di pesca.
Di pari passo viene incrementata la raccolta fondi, la stampa dei libri e
dei giornali, un centro in Francia diventa una vera e propria casa editrice, si
incrementano le accoglienze di giovani svizzeri ai quali il Governo garantisce
una presa in carico molto elevata.
Tutto ciò crea però confusione, i vecchi responsabili sempre al fianco di
Lucien cominciano a metà degli anni 90 a chiedersi quale sarà il loro futuro e il
futuro dell’associazione Le Patriarche.
52
CAPITOLO IV
IL CAMBIAMENTO
53
4.1 CRISI DEL LEADER E DIMISSIONI.
Alla fine degli anni 80 l’Associazione Le Patriarche contava 5.200 ospiti in
210 centri, suddivisi in 17 paesi.
Nel 1993, le diverse associazioni e fondazioni si uniscono in una
associazione di diritto, in Svizzera con il nome di “Organizzazione Internazionale
Lucien J. Engelmajer” con sede a Losanna.
Questa creazione legale avrebbe potuto in apparenza rappresentare una
chiarificazione e un consolidamento delle strutture.
Al contrario, a causa dell’età del fondatore, della sua gestione autoritaria
e paternalistica e della sua crescente megalomania, l’associazione Le Patriarche
si isola progressivamente dal suo contesto e perde il senso della realtà.
In effetti durante i primi decenni del suo funzionamento, il modello di
gestione dei centri riabilitativi, è stato di tipo patriarcale, fondato cioè, quasi
esclusivamente,
sulle
intuizioni
del
fondatore
e
leader
carismatico
dell’Associazione, Lucien Engelmajer che si proponeva quale punto di
riferimento sia per gli utenti che per gli operatori.
Per oltre due decenni, l’Associazione ha tratto la sua forza dalla spinta
emotiva e vocazionale di quanti accolti in qualità di utenti, divenissero col
tempo operatori.
Il rapporto tra utenti e operatori era personalizzato e diretto al punto che
l’intervento terapeutico era incentrato sull’idea che quanti accolti dovessero
aderire anche idealmente allo stile di vita presentato dall’associazione,
54
adeguando e confermando i propri atteggiamenti e comportamenti a quelli
proposti dagli operatori e ovviamente dal fondatore.
E’ ovvio che nel momento in cui la figura del leader comincia a perdere di
credibilità, le decisioni vengono prese in funzione della sua visione megalomane
e viene perso di vista l’obiettivo principale e cioè la riabilitazione del
tossicodipendente, tra i dirigenti comincia a prevalere uno stato di confusione
ed instabilità.
Nei corridoi si comincia a mormorare che Lucien ha perso l’obiettività e
che continuando di questo passo porterà allo sfacelo la struttura.
Nel 1997 i responsabili della struttura organizzano una riunione
straordinaria senza la presenza del fondatore e per la prima volta in pubblico si
parla apertamente della situazione che sta diventando catastrofica e soprattutto
dello stato d’animo di ognuno.
Uno stato d’animo a cavallo tra la paura di perdere la figura di
riferimento e la preoccupazione per lo strano comportamento della stessa.
Si decide di scrivere tutto quanto è stato discusso e di inviarlo direttamente a
Lucien.
Il quale dalla sua villa di Miami (Usa) dove nel frattempo si è ritirato,
risponde rifiutando in blocco le critiche che gli sono state poste e attuando un
comportamento ancora peggiore e cioè cercando di dividere e di mettere in
contrapposizione tra di loro i responsabili, allo scopo di mantenere il potere e di
emarginare i dissidenti.
55
E’ il periodo peggiore dell’associazione. Non si capisce più chi detti legge
né quale sia la linea politica da seguire. I tempi sono maturi per reagire, così
dopo varie riunioni si elegge un comitato (20 persone) che si dovrà recare a
Miami per spiegare la situazione direttamente al fondatore e chiedere le sue
dimissioni.
Il 23 febbraio 1998, 22 rappresentanti delle varie associazioni si recano a
Miami, consegnano la lettera di richiesta dimissioni al fondatore, che dopo vari
tentativi di reazione, accetta e si dimette dalla carica di presidente
dell’organizzazione Internazionale Lucien J. Engelmajer.
Questa è una data storica perché in questo momento comincia il
processo di rinnovamento che nel breve volgere di qualche anno stravolgerà
completamente il funzionamento dell’associazione Le Patriarche.
4.2 Comitato di transizione.
Per far fronte alle dimissioni del fondatore e alla crisi di identità in cui
versa la struttura i rappresentanti della associazioni dei diversi paesi riuniti in
assemblea plenaria a Santa Lucia (Spagna) eleggono democraticamente
attraverso votazioni ( è la prima volta che un organo direttivo viene votato
democraticamente, prima i responsabili erano scelti direttamente da Lucien) un
organo che traghetti l’associazione verso gli obiettivi della missione istituzionale.
56
Questo organo viene denominato Comitato di transizione e accoglie 10
rappresentanti delle varie associazioni mondiali.
L’obiettivo primario del Comitato di Transizione è quello di consentire un
passaggio da un sistema di funzionamento ad un altro, e cioè da una
associazione di natura piramidale ad un’altra più collegiale.
La prima tappa di questo lavoro è quella di rendere l’associazione più
dinamica, più giusta e dedita ad uno scopo principale: dare ai tossicodipendenti
la miglior qualità di assistenza possibile.
E’ in effetti questo che tutti i responsabili vogliono; ritornare a quello che
da sempre doveva essere l’obiettivo principale: il recupero e la riabilitazione del
tossicodipendente, senza disperdere energia in altre azioni che la possano
distogliere dalla sua missione.
Il primo processo rivoluzionario elaborato dal comitato di Transizione è la
differenziazione tra residenti ed utenti e di conseguenza l’inserimento di un
concetto basilare e cioè il reinserimento degli utenti alla fine del progetto
terapeutico.
Come già evidenziato prima, fino ad allora l’utente che veniva ammesso
nella struttura entrava fin da subito a far parte di un sistema di vita tanto
condizionante che molto difficilmente riusciva a spezzare e se lo faceva era
attraverso una brusca rottura che interrompeva, spesso definitivamente, i
rapporti con l’associazione.
57
Sino ad allora, l’associazione aveva considerato le persone che
abbandonavano la struttura come traditori, mentre chi rimaneva era investito di
un carico di responsabilità molto elevato e gratificante a livello personale.
Da qui la nascita di centri che si proponevano quali luoghi di vita
piuttosto che semplicemente luoghi di cura e l’inserimento lavorativo effettuato
direttamente all’interno dell’associazione, senza un confronto diretto con la
realtà esterna. Ovviamente questo comportava l’assoluta uguaglianza di
comportamento con gli utenti, i responsabili dovevano altresì essere il più
possibile esemplari; i primi ad alzarsi la mattina, gli ultimi ad andare a letto la
sera, i più dinamici durante le attività e soprattutto dovevano rinunciare al
proprio tempo libero, alla propria privacy, ai propri interessi.
Non c’erano orari di lavoro, né giorni festivi e soprattutto a parte un
minimo di rimborso spese non esisteva lo stipendio.
Per regolarizzare tutto ciò era necessario un mansionario, che
raccogliesse tutto ciò e che servisse come base di partenza per il futuro.
Dopo sei mesi di lavoro e con la collaborazione di diverse commissioni di
studio che per la prima volta vedono la presenza di professionisti esterni
all’associazione viene editato un mansionario definito ”libro bianco” proprio
perché non vuole essere qualcosa di definitivo ma che raccolga tutto il lavoro
positivo che l’associazione aveva costruito, lo renda moderno e che soprattutto
definisca la missione e la carta magna della struttura.
Il “libro bianco “ contiene tutti i regolamenti, gli statuti delle strutture e
delle persone, le modalità di funzionamento, la descrizione dei posti di lavoro e
58
deve essere accessibile e noto a tutti coloro che hanno delle responsabilità in
seno all’associazione.
Il lavoro realizzato con questo mansionario è indispensabile affinché
ciascun possa progredire, in modo personale, verso una nuova concezione del
lavoro.
In generale, il libro bianco risponde ai grandi interrogativi che si sono
immediatamente imposti all’inizio di questo difficile periodo, pone le basi per
una struttura di lavoro futura e definisce gli obiettivi a lungo termine.
E’ comunque solo uno strumento pratico e riflette, solo in parte, le
aspirazioni della maggioranza dei residenti
4.3 Il nuovo progetto terapeutico
Il concetto più rivoluzionario del libro bianco è l’articolazione e la stesura del
nuovo progetto terapeutico.
Un progetto terapeutico che suddivide in fasi il percorso dell’utente e per la
prima volta definisce il concetto di reinserimento sociale.
“Breve sintesi del progetto terapeutico dell’associazione Le Patriarche”
Il progetto si sviluppa nelle strutture dell’associazione definite di prima,
seconda e terza fase o reinserimento.
59
Nelle stesse strutture viene applicato un programma socio-riabilitativo
dell'Associazione della durata indicativa di anni due: questo periodo
naturalmente può variare a secondo delle peculiarità dei singoli utenti ed è
costituito da tre fasi evolutive:
- Prima fase - Adattamento:
Si tratta di un periodo variabile che, a
seconda delle condizioni generali
dell’utente e delle sue capacità di adattamento alle regole di comunità, ha la
durata minima di tre mesi.
L’obiettivo prioritario è quello di interrompere totalmente il consumo di droghe e
recuperare progressivamente ritmi e abitudini di vita equilibrati.
In questa fase gli operatori sono particolarmente impegnati nel creare un clima
accogliente e familiare.
Obiettivo generale: Disassuefazione
Obiettivi specifici: 1. Recupero fisico:
2. Adattamento alle regole
3. Integrazione al gruppo
4. Approfondimento della valutazione iniziale sull’utente
5. Orientamento
60
- Seconda fase – Assestamento – Apprendimento - Riabilitazione:
Si tratta di un periodo variabile che, a seconda dell’evoluzione individuale di
ciascun utente, ha la durata media di 12 mesi.
Per il raggiungimento degli obiettivi viene applicata l’ergoterapia.
Il lavoro infatti implica e racchiude in sé una molteplicità di altri aspetti,
necessari alla ristrutturazione della personalità e alla determinazione di
un'identità matura ed autonoma. Tra questi aspetti: la valorizzazione,
l’implicazione, la responsabilità, l’autocontrollo, l’ autostima, la formazione.
I momenti di gruppo assolvono invece funzioni fondamentali quali il rispetto
altrui, la relazione, la condivisione, il contenimento, l’elaborazione e il
cambiamento.
Riassumendo, si può affermare che la relazione d'aiuto é centrata sul
gruppo attraverso:
- la partecipazione e il coinvolgimento delle persone nella vita quotidiana, nella
condivisione e nell’adesione alle regole di convivenza e di solidarietà,
nell'attivazione e nella corresponsabilità della gestione e dell’organizzazione
delle attività e del tempo libero;
- il reciproco scambio di pareri, l'espressione dei problemi, delle difficoltà, delle
tendenze e delle motivazioni.
- l'adesione ai gruppi di aiuto aiuto.
Obiettivi generali: 1. Stabilizzazione
2. Ristrutturazione della personalità
61
3. Maturità personale e autonomia
Obiettivi specifici: 1.Valorizzazione
2. Implicazione
3. Responsabilizzazione
4. Autocontrollo
5. Autostima
6. Formazione professionale
7. Ripristino relazione utente/familiari
8. Approccio alla vita sociale
9. Orientamento
-Terza fase – Preparazione al reinserimento sociale:
Questa fase prevede una durata media di 6 mesi, l’obiettivo è quello di
integrare l’individuo nella società con il sostegno, la supervisione e il controllo
degli operatori.
La fase di pre-reinserimento è avviata solo dopo un’opportuna verifica sul
livello di evoluzione raggiunto dal singolo individuo e verrà coinvolta in modo
significativo la famiglia.
Il reinserimento é l’ultima tappa della riabilitazione ed è preparato nel corso
di tutto il soggiorno presso l’Associazione.
62
Reinserirsi significa tornare ad una vita regolare senza droga, dopo aver
imparato a controllare le proprie emozioni di fronte allo stress, alla gioia, alle
difficoltà della vita quotidiana, alle esigenze familiari e/o di coppia, alle pressioni
esterne, all’ambiente di lavoro, alle esigenze sociali ecc.....
La conclusione del programma viene siglata con uno o più colloqui finali con
l'utente e la famiglia e, trattandosi di una tappa cruciale nel percorso
dell’assistito, oltre che un avvenimento importante nella vita del centro, è
oggetto di festività.
Obiettivo generale: Reinserimento sociale
Obiettivo specifico: Consolidamento delle acquisizioni
Articolazione del programma terapeutico
Il programma terapeutico personalizzato in base alla nostra esperienza definisce
i criteri generali del percorso di recupero dalla tossicodipendenza; il concetto di
personalizzazione del progetto riabilitativo si riferisce chiaramente alle eventuali
e specifiche variazioni del programma di recupero sociale in relazione al
dissimile coefficiente di adattabilità del soggetto utente, difficilmente ipotizzabile
in sede propedeutica e, di conseguenza, determinabile soltanto nel corso delle
verifiche, che periodicamente vengono precisate al servizio pubblico
competente.
63
I passaggi di fase (dalla prima alla seconda e alla fase di reinserimento) sono
supportati dalle schede di auto-valutazione, di valutazione del gruppo dei pari, e
di valutazione definitiva da parte dell’equipe. (scheda di valutazione in allegato)
4.4. Fine del comitato di transizione e nuova strutturazione giuridica.
L’aver definito il percorso degli utenti, attraverso il nuovo progetto
terapeutico, ha inevitabilmente obbligato a una rinnovata definizione del ruolo
degli operatori all’interno della struttura. Questo è avvenuto al fine di poter
incorporare a livello lavorativo, e dunque salariale, ciascun operatore a seconda
delle sue competenze e delle necessità dell’associazione.
Compito arduo visto che fino a quel momento l’unica cosa ad aver definito il
ruolo di ciascuno era stato un criterio di tipo temporale, basato cioè
sull’anzianità maturata all’interno della struttura.
Per fare ciò il comitato di transizione incaricò una commissione di esperti
mista, interni e professionisti esterni esperti in risorse umane per compilare una
prima bozza di organigramma funzionale della struttura, l’identificazione dei
posti di lavoro e un metodo di taglio psico-sociale sulle organizzazioni per
effettuare delle valutazioni sulle risorse umane.
A questo punto il lavoro del comitato di transizione era terminato; il suo
scopo di traghettatore era stato portato a termine.
Molti tra gli anziani dell’associazione rimasti fedeli a Lucien se ne erano
andati, la quasi totalità dell’assemblea
era d’accordo sulla linea del
64
cambiamento, le basi per l’incorporazione futura erano tracciate, il percorso
terapeutico degli utenti definito, quello che mancava era l’applicazione nei
singoli paesi delle linee guida dettate dal comitato di transizione.
Nell’assemblea
plenaria
dell’ex-organizzazione
Internazionale
Lucien
Engelmajer ora diventata Dianova con il cambio del nome, veniva ratificato la
fine del Comitato di Transizione e l’elezione di un Comitato Esecutivo di durata
annuale, con il compito di verificare la corretta applicazione a livello
internazionale di quanto ideato fino a quel momento dal comitato di transizione.
La
stessa
forma
giuridica
veniva
assunta
anche
nei
vari
paesi,
un’organizzazione collegiale con l’elezione da parte dei soci di un comitato
esecutivo formato da quattro membri dalla durata annuale.
I quattro membri rappresentavano i quattro settori operanti all’interno
dell’associazione e cioè:
-
terapeutico (il funzionamento dei centri)
-
amministrativo (il funzionamento economico)
-
servizi d’appoggio (cantieri, approvvigionamento alimentari, logistica veicoli
leggeri e mezzi pesanti)
-
immagine (ufficio marketing e redazione del giornale).
Ai quattro veniva affiancato l’Ufficio risorse umane con la consulenza di un
professionista di consolidata esperienza con il compito di valutazione e
assunzione del personale.
65
4.5 Il processo di valutazione e inquadramento del personale in Italia.
Sicuramente questo è stato e continua ad essere il passaggio più arduo da
compiere e quello emotivamente più difficile.
E’ bene ricordare che nel passato con la gestione di Engelmajer i ruoli e le
responsabilità non modificavano lo status sociale, anche se i grossi responsabili,
coloro che facevano parte del “direttorio” insieme a Engelmajer, avevano senza
dubbio la possibilità di condurre una vita dal tenore più alto, a livello di
appartamenti personali, di veicoli personali e di rimborsi spese sicuramente
superiori a quelli di tutti gli altri operatori.
In questo momento e con il cambiamento in corso per essere il più obiettivi
possibili veniva dato il mandato relativo alla valutazione del personale ad un
professionista con un grosso bagaglio d’esperienza in varie ditte sulla gestione
delle risorse umane.
Il processo da lui svolto in collaborazione con il Comitato esecutivo si può
dividere nelle seguenti fasi:
1) valutazione
2) costruzione dell’organigramma funzionale
3) definizione del posto di lavoro, job descrition e obiettivi
4) incorporazione definitiva.
66
4.5.1
Valutazione.
Fu il processo più lungo, infatti all’epoca erano più di duecento le persone
che vivevano all’interno dell’associazione a tutti gli effetti, molti con ruoli ben
specifici, altri invece di meno, altri non avevano scelto se rimanere a lavorare
nella struttura o andare da un’altra parte.
Venne scelto un metodo per valutare le caratteristiche, le potenzialità, le
attitudini alla gestione dei gruppi, le difficoltà di ognuno e lo strumento usato fu
un questionario (compreso negli allegati) con item strutturati secondo un metodo di
psicologia- sociale delle organizzazioni.
Attraverso i risultati del questionario e un colloquio personale con tutti i
residenti venne stilata una classificazione di quattro livelli:
Direttori: persone in grado di gestire centri terapeutici o servizi a livello
nazionale
Monitor: persone dalle capacità di svolgere il ruolo di direttori ma che
necessitavano ancora di formazione.
Operatori: persone dalle attitudini alla gestione di piccoli gruppi
Tecnici: persone con capacità tecniche ma non atte alla gestione di risorse
umane.
Nel colloquio di rimando molte persone non accettarono l’inserimento in
categorie più basse rispetto alle loro aspettative e lasciarono l’associazione.
67
4.5.2
Costruzione dell’organigramma
Con i suggerimenti emessi dal comitato a livello internazionale, con i
risultati delle prime valutazioni
si cominciò a delineare l’organigramma di
funzione dell’associazione Le Patriarche in Italia.
L’organigramma era legato alle esigenze reali di risorse umane necessarie
per la gestione dei centri e dei servizi che ruotavano intorno e che
permettevano il corretto sviluppo del programma terapeutico degli utenti.
A questo organigramma e alle classificazioni effettuate corrispondeva poi un
salario che ovviamente era diversificato in funzione dei livelli.
4.5.3
Definizione del posto di lavoro, job descrition e obiettivi
Con l’organigramma stabilito di tutto il personale, rimaneva l’esatta
definizione del posto di lavoro e la conseguente job-descrition.
Se sulla carta tutto ciò sembra estremamente facile, all’atto pratico ha
causato molti cambiamenti con le relative problematiche personali.
In effetti molti responsabili che fino a quel momento si erano dedicati ad
attività o servizi solo di supporto al terapeutico erano risultati dal processo di
valutazione in grado di gestire una comunità terapeutica; questo significava un
cambiamento radicale alle loro abitudini, spesso anche del luogo in cui
vivevano.
Altri che fino a quel momento avevano ricoperto ruoli anche dirigenziali si
vedevano retrocessi a ruoli tecnici o operativi.
68
Per definire il posto di lavoro e la spiegazione della job descrition si
adottò ancora una volta il colloquio con il responsabile delle risorse umane
insieme al responsabile della linea nazionale.
In questo colloquio venivano assegnati gli obiettivi da raggiungere e
veniva comunicato la data del prossimo colloquio o feed-back per la valutazione
degli obiettivi.
Anche in questa fase ci fu una selezione ulteriore, molti non accettarono
il nuovo incarico e preferirono lasciare la struttura, ma alla fine dei colloqui la
struttura appariva finalmente definita e con un organigramma completo, ma
non rigido e con la possibilità di modifiche.
4.5.4 Incorporazione definitiva.
Ultima fase del processo che prevedeva la firma del contratto, la
spiegazione delle regole da rispettare e del regolamento interno.
In
questa
fase
venivano
sostituite
le
definizioni
delle
quattro
classificazioni che si differenziavano solamente in IV livelli.
Ad ogni persona prima di far firmare il contratto venivano spiegate le
regole di comportamento e del regolamento interno e gli veniva comunicato che
in caso di scelta di lavorare e vivere in comunità gli sarebbero stati detratti i
benefit (veicoli e alimentari) e gli affitti (anche questo veniva fatto in funzione
di una maggior autonomia personale degli operatori).
69
CONCLUSIONI
70
Per poter riflettere su ciò che è stata l’associazione Le Patriarche nel
corso dei suo trent’anni di vita bisogna prima di tutto analizzare il contesto
storico culturale in cui è nata e si è sviluppata. Un contesto impreparato di
fronte alla crescente diffusione del problema della droga.
Le Patriarche, insieme ad altre strutture dello stesso tipo (Ceis, Comunità
Incontro, San Patrignano etc.) nate più sulla buona volontà dei vari fondatori,
che da progetti studiati ed elaborati, hanno trovato fin dall’inizio un terreno
fertile su cui diffondersi ed espandersi. Questo, se da un lato gli ha permesso di
ingrandirsi, di autogestirsi e di autofinanziarsi, dall’altro visto il continuo rifiuto
di confrontarsi con il mondo sociale ha fatto sì che Le Patriarche tendesse a
chiudersi sempre più in sé stessa.
E’ riconosciuto dalla teoria sistemica che un sistema chiuso (come quello
di una comunità di vita) col passare degli anni tende a sclerotizzarsi, se non
cambia, se non riconosce almeno il cambiamento del contesto sociale in cui
opera, andando sempre di più verso la distruzione del sistema stesso. E’ quello
che stava succedendo all’associazione Le Patriarche chiusa nelle teorie del suo
fondatore Lucien J. Engelmajer, convinto di poter riabilitare e salvare il mondo
senza affrontare il confronto con l’esterno. La sua era un’analisi che partiva da
una visione socialista del mondo, ma, che vedeva un’applicazione, all’interno
della struttura, decisamente patriarcale e gerarchica.
Solo inizialmente il fondatore aveva deciso di dividere l’esperienza con il
noto psichiatra francese Olivestein. Tentativo fallito miseramente, che ha
portato Olivestein a diventare il suo peggior critico. Da allora in poi tutti coloro
71
che si avvicinavano a Lucien si dovevano sottomettere alle sue idee senza
possibilità di discussione o di confronto.
Col passare degli anni l’associazione si è chiusa totalmente nei confronti
dell’esterno. Lucien era convinto che tutto il mondo cospirasse contro di lui: dai
socialisti, ai massoni agli psichiatri. Nessuno voleva fare qualcosa per salvare il
mondo dalla droga e dall’Aids mentre lui, nonostante tutto, continuava la sua
crociata senza rendersi conto di isolare sempre di più la sua ‘creazione’ dal resto
del contesto sociale.
Questo isolamento ha fatto sì che in Francia, paese noto per la sua
guerra alle sette, l’associazione Le Patriarche venisse spesso considerata come
tale e Lucièn Engelmajer fosse indicato come il suo guru.
Nel momento del cambiamento e della dimissione del fondatore (vedi
capitolo IV) i paesi che avevano visto una sua costante e assidua presenza sono
quelli che più ne hanno pagato le conseguenze. Infatti in Francia, luogo di
nascita di Le Patriarche che nei primi anni novanta ospitava più di 2000 utenti,
l’associazione dopo lunghe traversie non è riuscita a rimanere in vita.
Schiacciata in mezzo alla pesante eredità di Lucien e alle critiche di tutto
l’ambiente sociale che non ha creduto nel cambiamento ed ha spinto per la
chiusura totale della struttura.
Diversa è la situazione nei paesi che hanno vissuto sempre ai margini
degli interessi di Lucien. Infatti in Italia, visto che il fondatore non ha mai
approvato la situazione politica e sociale italiana e di conseguenza le visite ai
centri sono state sporadiche. Quindi non è riuscito ad influenzare la gestione
72
delle strutture che hanno acquisito, nel corso degli anni, una gestione più
collegiale ed autonoma.
Nel momento in cui è arrivato il cambiamento è
apparso come la normale evoluzione di un sistema impostato per lavorare in
rete con le altre istituzioni. Anche se bisogna sottolineare quanto il
cambiamento sia stato difficile soprattutto per il background culturale che
l’associazione e i suoi membri
si portano dentro, una trasformazione che
implica lasciare alle spalle una storia di conflitti con le istituzioni per cominciare
a cercare accordi, scambi e possibili collaborazioni nell’ottica di offrire i migliori
servizi socio-pedagogici. Una comunità terapeutica rinnovata e aperta alle
esigenze e alle necessità che il ventunesimo secolo sta pianificando per questo
tipo di istituzioni. Un’evoluzione che, all’interno di Le Patriarche, non si riferisce
solo alla sua filosofia, alla sua missione globale, bensì ad ognuno dei piccoli
aspetti su cui si regge la quotidianità della comunità terapeutica.
In un tale contesto riuscirà l’associazione a tenere il passo con i nuovi
bisogni degli utenti, con la nascita di nuove forme di ‘dipendenza’ nonché con
un numero sempre più crescente di tossicodipendenti extracomunitari? Riuscirà
ad entrare in un’ottica di qualità di servizio necessaria per poter essere
competitiva in un sistema sanitario sempre più spinto verso la privatizzazione e
l’accreditamento? Questi sono gli interrogativi più importanti a cui abbiamo il
dovere di dare, non una semplice risposta, bensì di riuscire a garantire una
valida alternativa in una realtà in continua evoluzione. Infatti Le Patriarche,
mettendo da parte l’autoreferenzialità che l’ha caratterizzata per anni, sta
73
cercando di aprire i suoi orizzonti educativi per rientrare nel nuovo contesto
sociale.
Dopo quindici anni di esperienza nel mondo delle tossicodipendenze sono
sempre più convinto che non esista l’intervento ad ‘hoc’ per superare il
problema, ma siano necessari una serie variegata di interventi che si integrino e
che vadano sempre di più verso i bisogni dell’utente e non verso il
mantenimento delle strutture.
Purtroppo siamo in un paese dove la politica sulle tossicodipendenze
varia continuamente a seconda di chi governa, passando da leggi repressive e
punitive (come la 309/90) a politiche di riduzione del danno per tornare, poi,
con il Governo Berlusconi verso posizioni repressive nei confronti dei meri
consumatori.
Nel corso degli anni sono stati attribuiti diversi significati ai servizi
pubblici e alle comunità. Le comunità sono state giudicate quali luoghi
miracolosi nei primi anni novanta, sono state demonizzate con lo scandalo di
San Patrignano durante il governo di centrosinistra, per tornare oggi
prepotentemente di moda con l’ultimo governo. Mentre i servizi pubblici,
considerati all’inizio completamente assenti, sono diventati predominanti con il
Ministro Livia Turco per tornare, in seguito, sotto accusa dopo le “picconate” dei
vari politici di destra: Fini, Gasparri e Giovanardi.
Muoversi in questo panorama politico e mantenere la propria identità non
è cosa facile per una struttura come la nostra, che per scelta non si è mai
schierata politicamente e che non riceve, ovviamente, neanche l’appoggio della
74
Chiesa come molte altre strutture comunitarie di chiara matrice cattolica. Se da
un lato l’associazione viene accusata di essere di destra perché contro la
legalizzazione, dall’altro lavorando in rete con i servizi pubblici e con i vari
coordinamenti del privato-sociale, è accusata di non prendere posizioni radicali
contro le politiche della “riduzione del danno”. Ebbene secondo me è proprio in
questo che l’idea del cambiamento viene rafforzata: una struttura lontana da
prese di posizioni puramente ideologiche, politiche, economiche, ma che esista
solamente in funzione dei bisogni del tossicodipendente, non più l’unica
struttura in grado di aiutare, ma semplicemente una delle strutture, con i suoi
limiti e le sue competenze ben delimitate, da inserire in un sistema di rete
pubblico e privato.
Il futuro dell’associazione Le Patriarche dipenderà molto da come saprà
far fronte alle richieste economiche e sindacali all’interno e a come reggerà il
confronto esterno con le altre istituzioni pubbliche e private. Lavorare in rete
vuol dire aprire le strutture alle visite, al confronto con i servizi invianti, alla
valutazione da parte dei servizi competenti, all’approvazione e applicazione di
progetti terapeutici individuali preparati da altri servizi, accettare, quindi, di
diventare un semplice anello della rete con compiti specifici e delimitati, ma
soprattutto vuole anche dire farsi conoscere, uscire dall’anonimato, partecipare.
Mettersi in relazione con le altre istituzioni significa mettersi in gioco,
confrontarsi sulle tematiche attuali relative alla riduzione del danno, alla
sperimentazione della distribuzione controllata dell’eroina, alla legalizzazione
delle droghe leggere e al mantenimento a metadone dei tossicodipendenti nei
75
servizi pubblici. Tematiche che fino a questo momento, per motivi ideologici,
sono sempre state escluse dalla visione e missione della struttura e che solo in
questo momento sono diventati motivo di grosse discussioni interne nei vari
organi dirigenziali.
Sono ottimista, credo che con un po’ di buona volontà e di buon senso
riusciremo ad entrare in questo sistema di lavoro in rete. Già da qualche anno
abbiamo cominciato questa collaborazione con risultati molto soddisfacenti,
tenendo presente che le risorse umane necessarie per continuare questo lavoro
prendano coscienza che il cambiamento è una situazione che richiede il suo
tempo naturale e che non si può passare da una struttura basata
esclusivamente sul volontariato ad un’impresa.
L’equilibrio tra il vecchio volontariato e la professionalità attuale, insieme
all’integrazione tra i vecchi responsabili e le figure professionali esterne può
essere la giusta miscela per il presente e per il futuro più prossimo. Lo scambio
tra una cultura basata sull’esperienza diretta sul campo e una cultura fatta di
professionalità teorica, non chiusa nei paradigmi intellettuali ma che indaga,
osserva, partecipa e fa tesoro delle esperienze altrui può portare alla nascita di
una nuova cultura interna a Le Patriarche. Una cultura che si adatta ai bisogni
degli utenti, che non propone schemi rigidi da applicare o modelli antichi da
seguire, ma che accompagni l’utente non più verso la presunta riabilitazione
totale ma verso una degna autonomia. La stessa autonomia che spero
raggiungano anche i collaboratori interni della struttura, non più condizionati
nelle loro scelte da un pesante ricatto morale ma neanche protetti da un
76
sistema di vita che, comunque, non li mette alla prova di fronte alla quotidianità
della vita.
Le esperienze verificate fino a questo momento sono abbastanza
positive,
anche
se
non
bisogna
dimenticare
alcuni
fallimenti
dovuti,
probabilmente, alla mancanza di esperienza (investimenti sbagliati, acquisto di
case e veicoli non adatti allo status sociale equivalente).
Comunque credo si tratti del normale prezzo da pagare inizialmente;
indubbiamente è ben più importante il passaggio da una vita programmata 24
ore su 24 ad una vita che richieda un’organizzazione giornaliera sia dal punto di
vista lavorativo, sia dal punto di vista del tempo libero e degli impegni
quotidiani. In questo senso i messaggi sono più positivi, gli ‘apripista’ di questa
nuova condizione sociale hanno imparato in breve tempo che l’organizzazione
della propria vita passa attraverso una buona organizzazione lavorativa, fatta
sui turni di lavoro e centrata su obiettivi da raggiungere per poter ottenere degli
spazi propri.
Siamo alle porte del 2002 e io credo che nel futuro ci sia ancora spazio
per una comunità terapeutica come l’associazione Le Patriarche Italia Onlus a
patto che i dipendenti, i collaboratori, i soci tengano sempre presenti gli errori
del passato e lavorino uniti verso la realizzazione di un progetto educativo
nuovo. Un progetto che parte dai bisogni degli utenti e, attraverso un
programma metodologico orientato all’autonomia, li accompagni verso il
reinserimento sociale.
77
ALLEGATI:
Questionario
Scheda di valutazione
78
QUESTIONARIO
I.
DATI PERSONALI
COGNOME: _____________________________________
NOME: ________________________
LUOGO DI NASCITA: _____________________________
DATA DI NASCITA: ____________
STATO CIVILE:
celibe/nubile
sposato/a
separato/a
divorziato/a
vedovo/a
A. SITUAZIONE FAMIGLIARE:
1) Bambini
(specificare per ciascuno, nome, data di nascita, nazionalità, luogo di residenza, chi è il tutore, con
chi vive, se è in affidamento e a quali condizioni, altro):
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
___________________
2) Partner:
All’interno dell’Associazione:
SI
SI
NO
NO
Cognome e Nome:
_____________________________________________________________
Data di Nascita ___________________________
Luogo di Nascita_______________________
79
Nazionalità:
__________________________________________________________________
Occupazione:
_______________________________________________________________
Altri dati rilevanti (problemi legali e/o sanitari, per stranieri comunitari o
extra comunitari situazione e scadenze vari permessi):
___________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
________________________________________________________________
_____________________________________________________
2) Genitori:
Professione della madre: _____________________________
Data di nascita: ______________
Stato civile:
__________________________________________________________________
Professione del padre: _______________________________
Data di nascita: ______________
Stato civile:
___________________________________________________________________
Altri dati rilevanti (stato di salute, necessità di assistenza, ecc):
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_______________________
B. SITUAZIONE MILITARE:
Servizio militare: assolto
renitente alla leva
militesente
obiettore
80
C. PATENTI:
Tipo (segnalare eventuali patentini escavatore, elevatore, altro):
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
______________________
D. SITUAZIONE ECONOMICA:
Benefici di una pensione?:
SI
NO
Di
che
tipo?:
_____________________________________________________________________
Di che ammontare?:
_______________________________________________________________
Data scadenza
pensione_____________________________________________________
E. DISPONIBILITA’ A VIAGGIARE (Per motivi di lavoro):
SI
NO
EVENTUALMENTE
Motivi:
_________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________
_________________________________________________________________________________
___________________________________________
II.
FORMAZIONE (dimostrabile)
Scuola elementare:
Completata
Non completata
Scuola media:
Completata
Non completata
Formazione professionale:
Tipo:
_____________________________________________
Completata
Non completata
81
Scuole Superiori:
Tipo:
_____________________________________________
Completata
Non completata
Università:
Facoltà:
___________________________________________
Laureato
Non laureato
Ultimo anno di corso:
________________________________
Altro (corsi di specializzazione, informatica, lingue straniere, master, dottorati, qualsiasi diploma,
certificato o attestato):
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
_________________________________
III.
LINGUE STRANIERE
(specificare livello:M = male, E = elementare, B = bene, MB = molto bene)
Spagnolo
Francese
Inglese
Italiano
Portoghese
Tedesco
IV.
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________
ATTIVITA’ LAVORATIVA:
FUORI DALL’ORGANIZZAZIONE
(Specificare: attività svolta, cronologia dei posti di lavoro, durata e luogo)
82
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
ALL’INTERNO DELL’ORGANIZZAZIONE
(Specificare: cronologia di attività, posti di lavoro, responsabilità, durata, centro e paese)
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
83
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
dal ______ al ______
_____________________________________________________
INCARICO ATTUALE E LUOGO DELLA PRESTAZIONE
_____________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
______
V.
CURRICULUM ALL’INTERNO DELL’ASSOCIAZIONE
A. Numero di ammissioni:
Data 1.a ammissione: __________________
Data 2.a ammissione: __________________
Data 3.a ammissione: __________________
Data uscita: __________________
Data uscita: __________________
Data uscita: __________________
A. Hai avuto qualche ricaduta?
NO
SI
Data e commenti:
____________________________________________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
____________________________________________________________
84
_______________________________________________________________
___________________________________________________________
VI.
OBIETTIVI
In quale linea ti piacerebbe lavorare?:
Terapeutica
Appoggio
Amministrazione
Immagine
Commenti:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
________________________________________
Nel caso in cui desideri un posto nella linea terapeutica, specifica:
Prima fase
Seconda fase
Terza fase
Commenti:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________
B. _ Indica i settori nei quali ti senti particolarmente competente:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________
Responsabilità desiderata:
__________________________________________________________
85
Luogo di lavoro desiderato:
_________________________________________________________
Nel caso in cui desideri cambiare, specifica: in che periodo desideri cambiare
posto/paese e i motivi del cambiamento:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
Formazione desiderata (formazione professionale ufficiale e/o formazione all’interno
dell’Organizzazione, fornire quanti più dati possibili relativi alla formazione richiesta):
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
VII
INFORMAZIONI PARTICOLARI
Vedi il tuo futuro:
nell’Organizzazione
fuori dell’Organizzazione
non sai
Se vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, spiega il perché e quale potrebbe essere il tuo
compito:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
___________________________________________________________________
86
Se vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, la tua permanenza sarà condizionata da:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
____________________________________________________________
Se non vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, spiega quali sono i tuoi piani di
reiserimento:
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
_________
87
BIBLIOGRAFIA
88
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COMAS, D.” criterios y normas para la Homologation de comunidades
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ENGELMAJER, L. “Ecco chi siamo”. Le Patre, 1991
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FLORENT, F.”Le comunità terapeutiche Europee”Parigi
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diffusione in Europa” XIII Giornata nazionale della droga. Palma di Maiorca,
1986
SETREUS, A. “Le comunità terapeutiche sono fondamentali” E.C.A.D. 1997
CIOTTI, L. “Chi ha paura delle mele marce” Edizione Gruppo Abele.1992
90
91