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Per una Pasqua Di miseriCOrDia “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi… A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati…” (Gv 20, 19-23) Sono queste le prime Parole di Gesù risorto. Probabilmente i suoi discepoli erano pronti ad accogliere altre parole: di delusione, di sfiducia, di amarezza. Sì, perché Gesù, il Maestro, era stato tradito, rinnegato, lasciato solo. Non c’era più l’entusiasmo iniziale, quello delle folle che lo acclamavano, quello delle guarigioni o dei miracoli. Restava solo il silenzio di offese, oltraggi e cattiverie. Eppure il Risorto torna dai suoi in spirito di riconciliazione e di pace. Torna dai suoi, per inviarli nuovamente per le strade della Galilea a perdonare i peccati. Da allora, possono farlo con generosità e senza limiti perché loro stessi hanno fatto questa esperienza di misericordia. Gesù non ha detto loro: “siete stati una delusione, non posso più contare su di voi”. Gesù dona la pace e il perdono proprio per far comprendere loro che un uomo può cambiare, può sbagliare e rimettersi in cammino, mentre Lui, il Signore, non rinnega se stesso, non muta il suo amore: Egli è fedele per sempre. Oggi, anche a noi, Gesù dona il perdono e la pace e ci manda nel mondo a diffondere la misericordia, non come giudici severi “a caccia di streghe” ma come testimoni e primi destinatari di un immeritato perdono. È molto bello un passaggio della preghiera del Giubileo di Papa Francesco che dice: “Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio”. Cari fratelli e sorelle, questa Pasqua, nell’anno giubilare, sia per tutti noi una Pasqua di misericordia e di rinnovamento spirituale. Non fuggiamo lontani da Gesù col carico pesante dei nostri peccati e delle nostre colpe ma nel segno dei suoi chiodi riconosciamo la storia di ogni vita umana che ha stigmate di dolore, angoli, recessi, grumi di sangue che non scompariranno mai, ferite con le quali dovremo sì convivere, ma dalle quali, come dalle piaghe del Risorto, in un terzo giorno, comincerà a sgorgare non più sangue ma luce. La Pasqua Di san FranCesCO San Francesco sa, e perciò l'insegna ai suoi, che Gesù ha voluto additarci una strada, un percorso da compiere: passare attraverso la morte del nostro egoismo, per risorgere in una vita veramente libera, donata senza riserve e in piena gratuità. S. Bonaventura narra che in un giorno di Pasqua, in un romitorio, Francesco ammaestrò i frati “con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in povertà di spirito, come pellegrini e forestieri”. Fare Pasqua, dunque, vuol dire saper accogliere con serenità gli eventi, accettando anche il dolore e la morte nella consapevolezza che essi non sono la meta definitiva. Fare Pasqua vuol dire trasformare il dolore in amore, senza masticare rabbia e meditare vendette, perchè così ha fatto il Signore; vuol dire saper gioire delle piccole cose, contentarsi di quel che si ha, senza lasciarsi ardere dalla gelosia e dall'invidia; vuol dire amare la propria persona così com'è, perchè è con la nostra povertà che Dio vuol realizzare grandi cose. Francesco ha compiuto questo percorso, fino in fondo, e chiede a noi di fare altrettanto. La Pasqua è, per il Poverello d'Assisi, l'occasione per cantare la vittoria del Signore sulla morte mediante il dono della vita. La Pasqua è l'inizio di un mondo nuovo che attende la manifestazione gloriosa del Risorto. È un giorno splendente, pieno di luce, che rivela il mistero di Dio nascosto nel cuore dell'uomo e dentro tutte le cose che esistono sulla terra e nel cielo. Certamente, la Pasqua di Francesco, come d'altronde la Pasqua di ogni cristiano, non è comprensibile senza il riferimento alla passione e alla morte di croce del Figlio di Dio. Cristo si è offerto come servo per i suoi fratelli e per ciascuno di noi. La Pasqua, allora, è l'inizio di un modo nuovo d'intendere i rapporti con gli altri e di programmare il futuro: è il sì di Dio, per sempre, verso l'uomo; è l'offerta concreta della nostra riconciliazione, un'esperienza vera di perdono e di comunione. L'inizio di un nuovo dialogo, nel Verbo fatto carne, crocifisso e risorto, tra il Padre e l'umanità. Dall'esperienza dell'amore crocifisso e risorto, il Poverello si è sentito sollecitato alla sequela, alla conversione, all'obbedienza, cercando di compiere la volontà del Signore in tutte le cose. Parafrasando la grande scrittrice Simon Weil, potremmo dire che, per Francesco, dalla Pasqua di Cristo s'impara ad amare con amore di compassione, provando le miserie dell'altro. La vittoria di Cristo sulla morte si imprime nella vita di frate Francesco più che in ogni altra persona attraverso le stimmate prima, e con la morte da nudo sulla nuda terra poi. Dal momento in cui aveva ricevuto le stimmate, due anni prima di morire, Francesco non fa altro che pensare alla sua morte, cioè all’incontro pieno e definitivo con Dio. Ecco perché per Francesco la morte si chiamava “sorella”, perché era ed è colei che ci conduce fraternamente all’incontro definitivo con Dio. Le stimmate sono il segno del Cristo crocifisso, ma anche del Risorto! ingresso bambini 2a elementare al catechismo grande, una contemplazione che si trasforma in lode: “…ti rendiamo grazie perché […] per la croce, il sangue e la morte di Lui ci hai voluti liberare e redimere” (Rnb XXIII, 5). L’esPerienza mOnastiCa e La PaCe E l’immagine del Cristo crocifisso che Francesco ha sempre prediletto è quella del Crocifisso Risorto (di San Damiano), perché meglio rappresenta la condizione del cristiano, che ogni giorno è chiamato a vivere la sua morte e resurrezione per opera di Dio. Frate Francesco volle morire nudo sulla nuda terra perché voleva rimettersi in Dio così come Dio l’aveva creato, proprio come nell’episodio di Adamo, attraverso la terra, come ci racconta anche Tommaso da Celano: “E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato <transito> e la benedetta fine, quell’anima santissima si sciolse nella carne, per salire nell’eterna luce, e il corpo s’addormentò nel Signore” (1Cel II, VIII, 13-14). La Pasqua era per il Poverello, anche il passaggio da questo mondo al Padre, cioè un esodo, l’Esodo. Gli episodi della vita di Francesco richiamano continuamente questo aspetto: San Damiano, la spoliazione davanti al padre Pietro ed al vescovo Guido, presente tutta Assisi, l’abbraccio con il lebbroso…ogni tappa è una tappa del deserto verso la Terra Promessa, pellegrinaggio di colui che si riteneva pellegrino e forestiero in questo mondo. San Bonaventura argomenta questo aspetto dell’Alter Christus forse, meglio di chiunque altro: “Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si trovava in un romitorio molto lontano dall’abitato e non c’era possibilità di andare a mendicare, memore di Colui che in quello stesso giorno apparve ai discepoli in cammino verso Emmaus, in figura di pellegrino, chiese l’elemosina, come pellegrino e povero, ai suoi stessi frati. Come l’ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre…” (LM VII, 9). La Pasqua era per il frate d’Assisi, il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla penitenza, dalla superficialità alla contemplazione. Una contemplazione che è rendimento di grazie a Dio per quanto ha operato in lui attraverso questo Mistero così Presepe vivente La nostra parrocchia, come tutti sappiamo, in passato era un’antica e famosa abbazia. Per questo motivo vogliamo riportare qui di seguito una riflessione riguardante un aspetto della vita monastica e cioè l’esperienza della pace che il monaco cerca di vivere e di raggiungere. Inoltre sappiamo che la pace è il primo dono di Gesù Cristo Risorto e quindi questa riflessione è in sintonia col periodo forte della Pasqua che ci stiamo accingendo a vivere. Nel salmo 33 che noi cantiamo tutte le settimane, c’è un versetto che dice: “Cerca la pace e perseguila”. Se è vero che queste parole della Scrittura possono tradurre bene uno degli aspetti importanti dell’esperienza monastica, crediamo che sia specifico e costitutivo dell’uomo, di ogni uomo e donna che abitano la terra, cercare la pace e perseguirla. Certo non si tratta di una pace esteriore o di un quieto vivere, né si tratta di un benessere economico o di non avere grane a cui pensare. La pace, quella vera, quella più profonda e alla quale uomini e donne di ogni tempo aspirano –anche talvolta e purtroppo! senza saperlo- è la pace del cuore. E quando si parla di pace del cuore si deve parlare di Dio, come ricorda bene sant’Agostino in una sua famosa frase: “O Dio, il nostro cuore non ha pace finché non trova riposo in Te”. Certo qui Agostino non alludeva al riposo della morte, ma al rapporto fondamentale e vitale che lega ogni uomo a Dio, il quale, la Scrittura dice, è “il Principe della pace”(Is 9,5) perché è “Lui che ci concede la pace” (Is 26,12) e che “ha fatto a nostro riguardo progetti di pace e non di sventura”(Ger 29,11) e che tramite Gesù ci ha assicurato “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”(Gv 14,27). In questa prospettiva di pace quale dono divino, risulta evidente come ciascuno possa aver chiara coscienza di non possedere ancora la pace in senso pieno e per tale ragione mai deve stancarsi di cercarla e perseguirla. Lo scambio di pace, ad esempio, che si è invitati a fare durante la S. Messa è un gesto che deve contenere l’autentico proposito di arrivare alla pace nel proprio cuore e in maniera stabile, conservandola ad ogni costo. E ciò richiede lo specifico impegno della persona, a prescindere della vocazione di ognuno, perché la pace è anche la conquista di se stessi nel bene, è portare gli altri sulle vie del bene; la pace è rifiutare e combattere il male a qualsiasi livello. E chi fa questo è in pace con Dio, cioè vive in coerenza tra la verità e il suo proprio essere. Solo da qui può scaturire la possibilità per ogni cristiano di diventare ope- Festa dei battesimi 2015 ratori di pace (Mt 5,9), monaci e monache comprese, anzi per primi, essendo essi entrati in monastero per Dio, per stare alla Sua presenza di pace, e per vivere secondo la Sua volontà così come si vive di pane e di aria. Senso e fine del monachesimo non è infatti l’ideale di una vita comunitaria ben regolata, edificante per il suo ordine e la sua puntualità, ma l’ideale dell’intimità di ciascuno e di tutti con Dio, per cui le mortificazioni, l’umiltà, la vita comune non sono fine a se stesse: esse ci vengono imposte solo per aprire i nostri occhi alla luce deificante che Dio vuole riversare su di noi, per farci pronti alla Sua azione in noi, così che in ogni cosa i monaci possano vedere e lodare Dio. Ogni loro azione sarà più opera Sua che loro, e risplenderà del fulgore della Sua pace. Cosi gioiranno della Sua presenza e lo ringrazieranno con le loro lodi. Per questo motivo infatti, al di sopra e al di là di ogni impegno particolare e limitato, il monaco è chiamato ad essere monaco. È chiamato cioè a vivere in Dio, a far risuonare le profondità più intime della sua filiazione divina, a essere in ogni cosa membro di una comunità che con la sua pace, e unità rappresenta in modo pieno Cristo. È quindi la singola persona a dover essere nella pace camminando per l’umile sentiero di Cristo, che la Regola di San Benedetto propone a quanti cercano Dio nella forma della vita monastica. D’altronde come in una comunità monastica la pace non regna per imposizione del superiore, così anche a livello mondiale la pace non può essere imposta da alcuni uomini su altri uomini, perché, e lo vediamo bene in questi nostri tempi, imporre la pace agli altri è nella storia il seme di nuove guerre future. La pace è dono, per di più dono divino e solo se veramente cercato con ogni sforzo interiore da parte di ciascuno, sarà possibile perseguirlo e possederlo. unzione degl infermi messa vigilia di natale alla Casa di riposo Processione di san Biagio Or ar i se t ti man a 20/03 Domenica delle Palme: Caramagna 9,30 benedizione degli Ulivi (presso il piazzale dei battuti) e S. Messa in Parrocchia Foresto ore 11,30 benedizione degli ulivi e S. Messa 21/03 Lunedì Ore 7,45: in parrocchia, preghiera del mattino per le scuole Ore 8,30 Santa Messa alla Beata Ore 16-18 Caramagna Confessioni ragazzi elementari e medie Ore 20,30 Caramagna Confessioni adulti e giovani martedì 22 marzo Ore 7,45: in parrocchia, preghiera del mattino per le scuole Ore 9,30 S. Messa alla Casa di Riposo mercoledì 23 marzo Ore 7,45: in parrocchia, preghiera del mattino per le scuole Ore 8,30 S. Messa alla Beata segue l’adorazione Eucaristica Foresto ore 20,30 Confessioni giovedì santo - 24 marzo Ore 21,00 Santa Messa Cena del Signore, lavanda dei piedi, segue l’adorazione eucaristica comunitaria Venerdì santo - 25 marzo Ore 6,00: recita del Mattutino Ore 8,30; recita delle Lodi Ore 9-12; 15-17: Confessioni in Parrocchia Ore 15,00: Via Crucis in parrocchia animata dai bambini Ore 21,00: celebrazione della Passione e adorazione della Croce sabato santo - 26 marzo Ore 8,30; recita delle Lodi Ore 9-12 e 15-17: Confessioni in Parrocchia Ore 21,00: Veglia Pasquale con Battesimi Domenica di Pasqua 27 marzo Ore 10 S. Messa Caramagna Ore 11,30 S. Messa Foresto Lunedì 28 marzo Ore 8,30 S. Messa alla cappella della Beata Battesimi Caramagna 3 aprile 2016 durante la S. Messa delle ore 10,00 1 maggio 2016 durante la S. Messa delle ore 10,00 15 maggio 2016 ore 16,30 (solo liturgia Battesimale) Presepe vivente al Foresto san ta Carnevale al Foresto