villa margherita - Edizioni Helicon

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Alberto Gulisano
VILLA MARGHERITA
Prefazione di
Cristiana Vettori
edizioni
helicon
VILLA MARGHERITA
Milano è una città per certi versi unica. È grande, ma non
troppo. È moderna, ma custodisce al suo interno, anche
se ben nascosti, capolavori d’arte di grande pregio. Ha
una vita frenetica, ma permette a chi lo vuole di condurre un’esistenza tranquilla. È il motore economico dell’Italia, ma è anche la fucina delle innovazioni e delle nuove
tendenze. In buona sostanza è una città che deve essere
compresa per essere amata. In alcune giornate però è veramente difficile poterla amare perché la natura fa di tutto per renderla odiosa, riservandole condizioni climatiche
capaci d’avvilire chiunque, anche il più irriducibile degli
ottimisti. Quella sera era proprio la conclusione di una di
quelle giornate.
Rino lasciò il suo ufficio poco prima dell’ora di cena. Si avviò lungo lo stretto cortile che portava all’uscita carraia
che dava su via Moscova, salutò il piantone infreddolito
nella sua divisa nera bordata di rosso e una volta in strada
di diresse verso Via S. Marco, dove aveva intenzione di
mangiare qualcosa nel ristorante di un amico. Faceva un
freddo cane, piovigginava e, come se non bastasse, c’era
una debole nebbia che rendeva incerti i contorni dei palazzi, le insegne luminose, le auto che affollavano ancora
la via, nonostante fosse già passata l’ora di punta. L’umidità era talmente elevata che sembrava di respirare aria
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liquida condita con i gas di scarico delle auto. Alzò il bavero del giaccone imbottito di piumino. Da una tasca estrasse un cappello di tessuto impermeabile che indossò con
un certo fastidio perché non gradiva i copricapo, aggiustò
sulla spalla l’inseparabile borsa a tracolla e imprecando
contro quel tempo da lupi si diresse con passo veloce verso la trattoria. Il locale era accogliente, ben riscaldato e
ancora semivuoto, visto che erano appena le otto. Si diresse ad un piccolo tavolo d’angolo che gli permetteva di
tenere sotto controllo l’intera sala, deformazione professionale, e consultò il menù che era già sul tavolo. Fu raggiunto dopo qualche istante da Guido il proprietario, che
dopo averlo salutato chiese:
“Che diavolo ci fai in giro con questo tempo infame?”
“Ho finito adesso di lavorare. A casa il frigo è praticamente vuoto e comunque non avevo voglia di chiudermi fra
quattro mura da solo” poi prendendo in mano il menù aggiunse: “Cosa passa stasera il convento?”
“Le solite cose che sai già, ma se vuoi, visto il tempo che
c’è fuori, ho preparato una bella pasta e fagioli che non è
indicata nel menù.”
“Vada per la pasta e fagioli” rispose Rino appoggiando sul
tavolo l’ormai inutile menù.
Mentre Guido si allontanava per passare l’ordinazione in
cucina Rino rivolse la propria attenzione al televisore che
era acceso e stava trasmettendo il telegiornale. Ascoltò il
sommario iniziale poi perse ogni interesse per gli avvenimenti della giornata e volse lo sguardo su una coppia di
clienti che stava entrando nel locale. L’uomo somigliava
tantissimo ad un vecchio compagno di corso conosciuto
a Firenze alla scuola allievi sottufficiali. Chissà che fine
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aveva fatto! Lei invece non gli ricordava nessuno. Era una
donna di mezza età, sfiorita più di quanto avrebbe dovuto essere per l’età che presumibilmente aveva. Erano entrambi infreddoliti e presero posto senza parlare ad un
tavolo distante dal suo, dopo aver appoggiato al muro gli
ombrelli bagnati. Arrivò il cameriere con la pasta e fagioli
fumante e Rino perse ogni interesse anche per la coppia
di clienti e iniziò a mangiare rivolgendo ogni tanto uno
sguardo al televisore. Quando ebbe terminato, Guido tornò al tavolo e chiese:
“Lo vuoi un bel filetto alla brace?”
“No, grazie, questo tempo mi ha tolto l’appetito. Portami
una fetta di torta al cioccolato e poi un caffè. Per questa
sera non prenderò altro.”
“Va bene” rispose il proprietario. Fece per andar via, poi si
fermò, prese una sedia e si sedette di fronte a lui dicendo:
“Dovrei chiederti una cortesia: qui da me lavora da qualche settimana una ragazza rumena che aiuta mia moglie
in cucina. Qualche giorno fa è morta una sua amica. Dalle
indagini risulta essere un suicidio, ma lei continua a dire
che non ci crede ed è convinta che sia stata uccisa. Mi sta
facendo la testa come un pallone chiedendomi di presentarle uno dei carabinieri che frequentano il locale. Te la
posso mandare qui al tavolo?”
“Chi segue le indagini, la Polizia?”
“Sì, mi ha detto che se ne sta occupando la Polizia.”
“E allora non posso fare niente. Non è che possiamo mettere il naso nelle loro indagini.”
“Sì, lo so, ma diglielo tu perché se glielo dico io sembra
che lo faccia soltanto per non aiutarla.”
Rino rimase titubante per qualche attimo poi accondisce15
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se con un cenno del capo.
Terminata la torta, il caffè glielo servì la ragazza che, dopo
aver chiesto il permesso, si sedette al tavolo e disse in un
italiano più che apprezzabile:
“Mi scusi se la disturbo signore, ma Guido mi ha detto
che lei è un carabiniere che si occupa di indagini e che ha
accettato di ascoltarmi.”
Era molto impacciata e timorosa così Rino, per metterla a
proprio agio, porse la mano sorridendo e disse:
“Io mi chiamo Rino e tu?”
“Elena” rispose lei con un sorriso ancora impacciato.
“Allora Elena, dimmi cos’è successo alla tua amica e perché pensi che non si tratti di un suicidio.”
Probabilmente la ragazza doveva aver preparato da tempo il suo discorso perché iniziò subito senza esitare:
“La mia amica Anka è stata trovata morta nel Naviglio
Grande in prossimità della Chiesa di San Cristoforo due
settimane fa. La Polizia ha detto che si è trattato di un suicidio o di un incidente perché non aveva ferite ed hanno
trovato acqua nei polmoni, ma io non ci credo.”
“Perché non ci credi?”
“Perché Anka non si sarebbe mai suicidata. E non credo
nemmeno all’incidente perché non aveva alcuna ragione
per andare sul Naviglio e comunque sapeva nuotare molto bene.”
“Quello che dici non è sufficiente per escludere l’incidente. La tua amica poteva trovarsi sul Naviglio per una qualsiasi ragione che non sai.”
“Io sapevo sempre quello che faceva, mi raccontava tutto… eravamo come sorelle.”
“Magari quella volta non ti ha detto proprio tutto o non
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ha avuto modo di raccontarti quello che doveva fare. A
proposito: che lavoro faceva?”
Ricomparve l’imbarazzo nello sguardo della ragazza che
dopo una lunga esitazione rispose:
“Ha lavorato per più di un anno in un bar, poi l’hanno licenziata e non è più riuscita a trovare un nuovo lavoro.
Per procurarsi i soldi per pagare l’affitto e per mangiare
ogni tanto incontrava degli uomini.”
“E questi uomini li trovava per strada?” Chiese Rino che
era ormai abituato ad ascoltare quelle storie di miseria
“No, non faceva la puttana da strada”, rispose la ragazza
tentando di difendere la memoria dell’amica “Li incontrava a casa di una nostra connazionale, ma massimo due
volte alla settimana.”
“D’accordo, non era una puttana” disse Rino con tono accomodante non volendo stimolare la suscettibilità della
ragazza “però aveva conoscenze occasionali potenzialmente pericolose.”
“Sì è vero, ma ci teneva a tener separato il lavoro dalla
vita privata e non frequentava nessuno dei suoi clienti.
Questo lo so per certo perché vivevamo insieme e me ne
sarei accorta.”
Per esperienza Rino sapeva che in quell’ambiente quasi
sempre niente era come appariva, ma evitò di dirlo perché non aveva voglia di intavolare una discussione che in
quella circostanza non aveva senso, così disse:
“Va bene, dando per scontato che quello che hai detto
corrisponda alla realtà, purtroppo posso fare ben poco
per te. L’indagine è in mano alla Polizia e sarà un magistrato che dovrà decidere se archiviare il caso come suicidio
o incidente, oppure disporre un supplemento di indagine,
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se ritiene che ci siano elementi sufficienti per ipotizzare
un omicidio. I Carabinieri non possono fare niente.”
Una profonda delusione si dipinse sul volto della ragazza
che comunque tentò un’altra strada chiedendo:
“Ma tu non hai un amico nella Polizia che possa tentare di
mettere il naso in tutta questa faccenda?”
“No Elena, mi dispiace, ma non ho nessuno a cui rivolgermi. Tra carabinieri e poliziotti c’è una certa rivalità e
difficilmente vengono scambiati favori di questo genere.”
Fece una pausa osservando la delusione e lo scoraggiamento sul volto della ragazza, poi per addolcire la pillola
aggiunse “Comunque lasciami qualche giorno per guardarmi in giro, magari mi verrà in mente qualcosa”.
Elena si aggrappò a quella debole speranza, ringraziò sorridendo e tornò in cucina. Guido aveva seguito da lontano
il colloquio e quando la ragazza si fu allontanata raggiunse
il maresciallo portando una bottiglia di grappa e due bicchieri. Sedette al tavolo, versò il liquore poi disse:
“C’è rimasta male vero?”
“Mi spiace, ma non potevo fare altrimenti. Comunque
cercherò di scoprire qualcosa di più. Il mio colonnello ha
un amico in Polizia e se domani non avrà le palle che girano gli chiederò di fare una telefonata. Comunque non dire
niente alla ragazza, non voglio creare inutili aspettative”
Pagato il conto Rino raggiunge a piedi la stazione della
metropolitana e si recò a casa.
Quella sera non pensò più alla giovane rumena, ma al
mattino successivo, appena aperti gli occhi, fu quello il
primo pensiero. La cosa lo stupì non poco perché la sera
precedente aveva considerato quell’episodio marginale e
di nessun interesse mentre, dopo una notte nella quale il
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subconscio aveva elaborato l’intera vicenda, era propenso a credere alla versione dei fatti da lei esposta.
Non aveva elementi che avvalorassero quella tesi, ma a
pelle sentiva che la ragazza aveva ragione, che c’era qualcosa che non quadrava.
Una volta in ufficio, dopo aver sbrigato una pratica che
aveva lasciato in sospeso la sera precedente, si decise ad
andare dal colonnello per esporre il suo dubbio.
“Può anche essere che la ragazza abbia ragione a sospettare un omicidio” disse il colonnello dopo aver ascoltato
l’intero racconto “ma sai benissimo che abbiamo le mani
legate: il caso è in mano alla Polizia!”
“Sì, lo so, ma pensavo che lei potesse fare una telefonata
a quel suo amico in via Fatebenefratelli . Giusto per sapere a che punto sono.”
“Questo lo posso anche fare, ma se per loro è suicidio stai
tranquillo che il magistrato archivierà il caso senza chiedere ulteriori supplementi d’indagine.”
“È proprio questo che voglio evitare.”
“D’accordo, lo chiamerò e ti farò sapere. Adesso vai dal
capitano Gregori che ha bisogno di te, visto che ho appena passato alla vostra sezione un caso piuttosto ingarbugliato da risolvere.”
Quel giorno Rino non ebbe più il tempo di pensare alla
giovane rumena perché l’indagine affidata si rivelò particolarmente complessa e impegnativa. Saltò il pranzo e
continuò a lavorare ben oltre l’orario previsto per il suo
turno lavorativo. Alle nove di sera, esausto e con la mente
annebbiata per la stanchezza decise che per quel giorno
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ne aveva abbastanza di indagini e interrogatori e che era
giunto il momento di mangiare qualcosa e distrarsi un po’.
Si recò alla stessa trattoria del giorno precedente e prese
posto al solito tavolo. Guido, il proprietario, lo raggiunse
quasi subito, lo salutò con cordialità e disse:
“Qual buon vento! Due sere di fila non eri mai venuto.
Forse sei qui per parlare con la ragazza?”
“No, sono qui per mangiare perché ho saltato il pranzo
per colpa del lavoro. Comunque quando avrò finito due
parole con Elena le scambierò volentieri perché ho alcune
cose da chiederle.”
“Quando le dirò che sei qui sarà felicissima perché ieri temeva che l’avessi scaricata.”
“La tentazione c’era, ma poi ci ho pensato su e qualche
dubbio comincio ad averlo anch’io.”
“Ottimo! Adesso dimmi cosa vuoi mangiare che te lo faccio preparare subito.”
Rino fece la sua ordinazione e nell’attesa si dedicò al suo
passatempo preferito quando, come quasi sempre, si
trovava da solo al ristorante: osservare gli altri avventori
e ricavarne un profilo valutandone l’aspetto, la postura,
l’atteggiamento, il modo di parlare e di rapportarsi con i
commensali.
Fu interrotto nel suo passatempo dall’arrivo di un fumante piatto di pasta e a quel punto lasciò perdere la sua esercitazione e si dedicò al cibo con sano appetito.
A conclusione della cena, come la sera precedente, il caffè
fu servito da Elena che, preso posto accanto a lui, disse:
“Grazie per essere tornato. Vuol dire che almeno un po’
mi hai creduta.”
“Sì, in effetti ho ripensato molto a quanto hai detto e qual20
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che dubbio comincio ad averlo anch’io. Sto aspettando
notizie dalla Polizia per sapere a che punto è l’indagine,
ma a prescindere da ciò che mi diranno, vorrei chiederti
qualche informazione supplementare.”
“Chiedi pure, ti dirò tutto quello che vuoi.”
Rino raccolse un momento le idee poi iniziò:
“Che tu sappia, Anka aveva qualche amicizia pericolosa?
Frequentava qualche balordo?”
“No, non aveva questo genere di amicizie. Nella vita privata era molto riservata, usciva molto poco e quasi sempre
insieme a me.”
“Aveva un fidanzato o comunque qualcuno con cui si vedeva?”
“Ha avuto un fidanzato fino a otto mesi fa. Poi hanno rotto
e lei non ha più avuto nessuno.”
“E questo fidanzato si è più fatto vivo? Le telefonava? La
vedeva ancora?”
“No. Non l’ha più sentito”, fece un pausa poi riprese:
“È stato lui a lasciarla perché si è innamorato di un’altra.
Era tornato in Romania per trovare i parenti, ha conosciuto una donna, si è innamorato ed è rimasto in Patria. Non
è più tornato in Italia per quanto ne so.”
“Va bene, comunque dammi il suo nome completo e verificherò che non sia rientrato qui in Italia. Adesso dimmi
un’altra cosa: Anka si drogava?”
“No, mai. Di questo sono certa. Aveva addirittura paura
dei tossici e quando è capitato in discoteca che qualcuno
cercasse di convincerla a farsi lo ha sempre trattato male
mandandolo a quel paese!”
Rino valutò le risposte che aveva ricevuto che non lasciavano ipotizzare alcun movente per un omicidio e così pro21