ARCHEOLOGIA E STORIA DEL VILLAGGIO FORTIFICATO

Transcript

ARCHEOLOGIA E STORIA DEL VILLAGGIO FORTIFICATO
ARCHEOLOGIA E STORIA DEL VILLAGGIO FORTIFICATO
DI MONTARRENTI (SI): UN CASO O UN MODELLO?
1. Emmanuel Le Roy Ladurie ha ironicamente affermato che gli storici si dividono in due categorie:
i paracadutisti ed i cercatori di tartufi. I primi osservano il passato dall'alto, planando lentamente
verso il suolo. I secondi, invece, votati alla scoperta di tesori nascosti, procedono fiutando il terreno
da presso. Non è un caso che questi due tipi di storici incontrino delle difficoltà a lavorare assieme.
I1 mondo degli archeologi si allontana ben poco da questo quadro. I cercatori di tartufi, come è
ovvio, vi abbondano, ma i paracadutisti in questo caso praticano più che altro il volo libero.
Dipendono molto dal lavoro di gruppo ed hanno allo stesso tempo tendenza al protagonismo.
Nondimeno, eseguito il loro "show", devono comunque tirare il cordino di sicurezza e fluttuare
dolcemente verso terra. Una volta arrivati, se possiedono un minimo di buon senso, non possono
dimenticare i tartufi1.
Bisogna ammettere che Le Roy Ladurie esagera nel polarizzare queste due categorie di storici.
Pochi di essi, infatti, possono del tutto evitare di studiare i tartufi, anche se, come nel caso del
mèntore di Le Roy Ladurie, Fernand Braudel, sono capaci di una visione globale. È infatti grazie al
loro iniziale esercizio nella caccia al tartufo che, nel volo planato verso terra, gli storici possono
riuscire ad interpretare il passato. Persino i praticanti dei vari "ismi"—marxismo, strutturalismo e
così via—devono aver in qualche modo praticato la caccia al tartufo. Ma l'archeologia dei periodi
storici è, ad un primo sguardo, una sorta di "ismo" anomalo, in cui i cercatori di tartufi centrano la
loro attenzione sull'habitat, mentre i cascatori a volo libero tracciano schizzi generali del panorama,
discendendo ad una velocità troppo rapida per potersi soffermare su qualcosa in particolare.
Trovare, fra archeologi, un terreno comune che meritasse l'attenzione degli storici è stata una vera
impresa.
Uno dei maggiori problemi dell'archeologia è comunque il fatto che quanto si riesce a campionare,
attraverso lo scavo, di qualsiasi sistema culturale si voglia, costituisce sempre un saggio troppo
limitato per consentire valutazioni adeguate. Gli archeologi hanno per questo motivo trovato sempre
qualche difficoltà nel manifestare precise tendenze riguardo ai loro approcci col passato, come ad
esempio il concentrare la loro ricerca su certi tipi di paesaggi piuttosto che altri, o su determinate
categorie di siti, o su quelle parti di siti che si presentassero particolarmente ricchi di depositi
archeologici. Per dare un'idea del problema, gli archeologi negli ultimi anni hanno seguito storici e
geografi concentrandosi su unità regionali di interazione socio-economica. In particolare i
preistorici stanno ora cominciando ad apprezzare ciò che gli archeologi medievisti hanno da tempo
posto in risalto: e cioè che nessuna porzione del paesaggio può mai essere stata inaccessibile agli
esseri umani. Al meglio delle sue possibilità l'archeologo è un paracadutista che cerca di dare un
senso a quello che è stato, nel passato, l'uso dello spazio, nella sua complessità e nel suo continuo
cambiare. Se invece si limita ad essere un cercatore di tartufi, pago di concentrare le sue energie su
quei pezzetti di passato messi in luce con gli scavi, perderà ogni "chanche" di comprendere questa
complessità.
Il segreto per dare un senso a questa complessità si trova nella strategia di campionatura che
l'archeologo decide di adottare. La campionatura ha orrore dei cercatori di tartufi. Come Lewis
Binford ebbe ad affermare più di dieci anni fa «il tempo della discussione sulla opportunità, in
archeologia, di adottare o meno sistemi di campionatura è ormai trascorso, e chi resti ancora
impelagato in simili discussioni è. . . un fossile del passato»2, Le strategie di campionatura
dipendono dagli obbiettivi di ricerca che ci si pone. Qualsiasi archeologo che voglia comprendere
1
R. HODGES, Paractutists and Truffle-hunters: at the frontiers of archaeol and history in M.ASTON, D. AUSTIN, C.
DYER (ed.), The rural settlements of medieval England, Oxford, 1989, pp. 287-305.
2
L. BINFORD, Sampling, judgement and the archaeological record
, in J. W. MUELLER (ed.)
Sampling in
Archacology, Tucson, 1975, pp. 251-7.
sistemi culturali del passato non può aspettarsi di poter essere in grado di scavare intere regioni, e
neppure le sedi di intere comunità. Ragion per cui la strategia di ricerca deve essere chiara, in grado
di valutare le potenzialità del terreno, le condizioni in cui si trova al presente il territorio in cui va ad
operare, le informazioni disponibili sul passato "fossile" su cui indaga. La registrazione di dati in
archeologia crea non pochi problemi, perché si ha sempre a che fare con molteplici incognite;
diversamente, invece, da quanto accade ad esempio per le campionature ambientali ove, a grandi
linee, si dispone già di un quadro chiaro di superficie. Di fatto, non è un'esagerazione affermare che
il carattere spesso enigmatico ed imprevedibile del lato archeologico ha costituito una grave
limitazione all'indagine sul campo, inibendo così la possibilità di esplorare scientificamente
problemi storici.
La campionatura all'interno di una regione allo scopo di identificare la distribuzione dei siti ha una
sua logica interna che ha trovato consensi nella maggioranza degli archeologi. Ma la campionatura
archeologica di singoli siti tende a generare una bella quantità di discussioni, se non di peggio.
L'archeologo tradizionale (ecco un originale personaggio!) ritiene che la campionatura di singoli siti
si risolva con la localizzazione di alcune trincee, con un sistema deciso con dei criteri matematici.
Come è ovvio campionature casuali o probabilistiche hanno anch'esse il loro ruolo in archeologia.
Charles Redman ne ha chiaramente dimostrato i meriti nel suo innovativo scavo della piccola città
tardomedievale di Qsar-es-Seghir in Marocco. Ma Redman, (un noto propugnatore della
campionatura in archeologia), ha sottolineato che "campionature mirate", basate su una gamma
logica di quesìti, sono una tecnica di primaria importanza per indagare quei siti per i quali esista già
una qualche sorta di informazioni. Redman ha mostrato in che modo egli abbia usato i due sistemi
di campionatura a Qsares-Seghir, illustrandone i rispettivi vantaggi3. Quegli scavi che offrono solo
indeterminabili scorci sul passato sono visti da Redman come delle tentate rapine su di esso, prive
di valore scientifico: «scarso uso è fatto delle informazioni preesistenti sul sito al fine di crearsi una
strategia investigativa a più livelli. Scavi come questi non sono di grande aiuto agli storici».
Nondimeno, esponenti della teoria della campionatura si sono talora trovati, se mai, a dover
indagare villaggi medievali ancora leggibili sul terreno. La campionatura di un sito è più semplice
se nulla di esso è più leggibile in superficie, come era il caso di Qsar-es-Seghir. Molti villaggi
medievali, invece, pongono problemi assai differenti. Normalmente lo schema generale degli edifici
abbandonati dell'ultima fase può essere chiaramente leggibile sul terreno, anche se il palinsesto
delle fasi più antiche, che magari risalgono il passato per mezzo millennio, restano celate agli occhi
dell'archeologo.
R. H.
2. Questo era esattamente il problema presentatosi a chi scrive quando demmo inizio al progetto di
Montarrenti, in provincia di Siena (fig. 1). Qui le tracce di molti degli edifici tardomedievali
potevano ancora essere distinte sullo sperone roccioso a ferro di cavallo sul lato della isolata collina
che il villaggio occupava (figg. 2, 3). In posizione dominante su di essi, sulla cima della collina,
erano due case-torri ed il moncone di una terza, a formare il nucleo del complesso signorile
medievale. Ad oggi la torre "A" è ancora occupata da una famiglia, mentre la torre "B" lo è stata
sino al 1980. Montarrenti, perciò, comprende due parti:
1) la cima della collina, che costituiva il settore signorile dell'insediamento:
2) il sottostante "borgo" a ferro di cavallo che si estendeva dal fianco in ombra del colle—quello a
nord—sino a quello esposto al sole—quello meridionale —ove due case sono rimaste abitate, con
molte alterazioni, sino ai tempi recenti.
All'inizio delle campagne di scavo nel 1982 ci si posero le seguenti domande:
3
C. L. REDMAN, Qsar es-Seghir: an archaeological view of Medieval Life, London, 1986.
1) a che epoca si stabilì il primo nucleo abitato sulla sommità della collina?
2) quale fu la forma che esso prese? Fu un nucleo concentrato in un punto o fu piuttosto sparso sulla
collina?
3) a che momento risaliva la suddivisione del villaggio in due settori distinti, nonché quella che
sembra una distribuzione pianificata delle case nel borgo inferiore?
4) i due settori sarebbero stati distinti fra loro da differenti livelli di ricchezza riscontrabili in termini
di cultura materiale?
R. F.-R. H.
3. Le più antiche notizie documentarie relative a Montarrenti risalgono alla metà del XII secolo
quando, nel 1156, il vescovo di Volterra, Galgano Pannocchieschi, emana una bolla in cui si
confermano tra i beni posseduti dalla non lontana pieve di Radicondoli anche la « cappellam sancti
5
è
Laurentii et sancti Andree in Monte Liurenti »4. Nel 1165 un «Baverii de Monte Arrenti»
testimone in tre documenti stipulati dallo stesso vescovo di Volterra e l'abate del monastero di Santa
Maria di Serena in relazione ai diritti che l'abbazia vantava sul castello di Chiusdino. Quando alcuni
anni dopo (1178-1179) i conti di Frosini cedettero al Comune di Siena le miniere d'argento dei
territori di Miranduolo6 e di Monte Beccaio vollero che fossero designati come castaldiones, ossia
amministratori delle miniere, un certo Cattaneo da Montarrenti e due abitanti del castello di
Sovicille7. Ulteriori accenni a personaggi residenti a Montarrenti, in documenti degli anni 1200­
1216, inducono a ritenere che esistessero stretti legami fra la potente aristocrazia di Frosini,
discendente dai conti Della Gherardesca, ed il gruppo di nobili lambardi8 insediato nel castrum di
Montarrenti e legato alla grande consorteria degli Aldobrandeschi9. Interessante a questo proposito
è la notizia relativa alla presenza a Montarrenti di un Lanfranchinus lambardus o luntardus. Questi,
nell'aprile del 1258, parte alla volta del regno di Francia per recarsi dal re Luigi IX affinché lo
guarisca dalla grave malattia di cui era affetto, definita nel documento «infermitate [. . .] in gula que
nuncupatur ghiandorle», da identificare in una infiammazione del sistema linfatico. Lanfranchino
era probabilmente un discendente dell'antica signoria rurale di Montarrenti10, sebbene il termine
lunbardus suggerisca una provenienza di questo personaggio dall'Italia settentrionale. Si può infatti
ipotizzare anche l'appartenenza di Lanfranchino a quella schiera di maestri muratori di origine
4
V. LUSINI, Una bolla vescovile dell'anno 1156 per la Pieve di Radicondoli , «Bullettino Senese di Storia Patria», I
(1984), p. 259. Il paragrafo sulle vicende storiche fa riferimento al saggio di R. F. G. RONCAGLIA, Un Esempio di
incastellamento nella Val d'Elsa. Il castrum di Montarrenti, in R. GUERRINI (a cura di), Sovicille, Milano, 1988, pp.
163-172.
5
F. SCHNEIDER, Regestum Volaterranum, Roma, 1907, pp. 196-198.
6
F. SCHNEIDER, Regestum Senense , Roma 1911, n. 286. Il castello di Miranduolo di cui oggi non rimangono che
pochi resti nella macchia situata alla destra del fiume Merse, non lontano dall'abbazia di San Galgano, era al centro di
un area di estrazione mineraria di grande importanza durante il medioevo. Alla fine del 1178 la metà del castello venne
ceduta dai conti di Frosini al Comune di Siena, mentre l'altra metà, dell'Abbazia di Serena, sarà ceduta nel 1191 al
Vescovo di Volterra, cfr. P. CAMMAROSANO, V. PASSERI, Città, borghi e castelli dell'area senese-grossetana,
repertorio delle strutture fortificate dal Medioevo alla caduta della Repubblica Senese, Siena, 1984,p.55.
7
G. CECCHINI (ed.), Il Caleffo vecchio del Comune di Siena, Firenze, 1932, doc. 17, pp. 29-31.
8
Sulle diverse interpretazioni del termine si veda G. VISMARA, Istituzioni e disciplina giuridica del castello senese , in
AA. VV., I castelli del senese, Milano, 1976, pp. 225, G. TABACCO, Arezzo, Siena, Chiusi nell'altomedioevo, in Atti
del 5° Congresso internazionale di studi sull'altomedioevo, Spoleto, 1973, pp. 163-189, e G. ROSSETTI, Società e
istituzioni nei secoli IX-X, ibidem, pp. 209-338.
9
F. SCHNEIDER, Regestum Senense, cit., n.441.
10
Si veda al proposito quanto scritto da O. REDON, Des maisons et des arbes . Note sur la Montagnola siennoise entre
XIIIe et XIVe siecle, «Archeologia Medievale», XIV (1987), pp.369-393.
lombarda la cui attività edilizia è largamente attestata nel territorio senese11. Questo dato collima del
resto con l'opera di interventi architettonici verificabili all'interno del castello di Montarrenti ancora
nella metà del XIII secolo. Un'evidente testimonianza di questi interventi è offerta almeno da alcune
delle fasi di una delle due torri ancora in piedi, nell'area del cassero12.
Agli inizi del Duecento, il Comune di Siena estese il suo dominio su una vasta area della Toscana
meridionale, e il segno tangibile di questa espansione politica si può ravvisare nella lunga serie di
sottomissioni di castelli che, con ritmo crescente, si susseguirono durante la prima metà del secolo.
A questa situazione non si sottrasse Montarrenti: il 5 settembre 1217 i nobili e i tre consoli del
castello giuravano fedeltà ed obbedienza ai comandamenta della Repubblica di Siena,
impegnandosi al pagamento di un censo annuale di otto lire13. A partire da questo anno il Comune
di Siena inviò ogni sei mesi nel castello un podestà, sino a quando nel 1271 «resosi [l'insediamento]
poco meno che vuoto d'abitatori e incapace di sostenere il mantenimento» di tale ufficio, le autorità
cittadine decisero l'abolizione della sede podestarile di Montarrenti14. Il sottolineare la notizia di
questo calo demografico ci conferma, con l'evidenza archeologica, che l'assetto urbanistico del
castello ha avuto il suo massimo sviluppo proprio tra la fine del XII e la prima metà del XIV secolo,
quando l'incremento della popolazione raggiunse a Montarrenti, il punto più alto. L'analisi
dell'andamento demografico del castello presenta un quadro sostanzialmente statico per i secoli XIII
e XIV: il numero di 32 fuochi censiti per gli anni 1248-1251 aumenta di sole tre unità nel
rilevamento dell'Estimo del 1317-132015.
La fonte fondamentale per ricostruire la realtà economico-sociale e la struttura urbanistica di
Montarrenti è offerta dall'Estimo del 1317. Attraverso il registro preparatorio della "Tavola delle
Possessioni"16 sappiamo infatti che l'insediamento constava di due parti: nella parte alta del castello
il cassero, la cui proprietà è attestata per intero a Giovanni Meschiati, membro della ricca famiglia
Petroni di Siena, e il sottostante borgo abitato da contadini e piccoli proprietari terrieri17. Cittadino
senese, « Ioannes domini Meschiati » risulta essere il maggiore possidente del comune di
Montarrenti: oltre alla proprietà del vasto complesso signorile del cassero, l'Estimo ricorda anche il
possesso di otto case, una platea e di undici casalini nel borgo, cui si associano un insieme di piccoli
appezzamenti di terra diffusi nel circostante territorio del comune, un imprecisato numero di domus
ed un mulino.
Attraverso l'Estimo del 1317 sappiamo dell'esistenza nel cassero di due palazzi, identificabili con le
due torri ancora esistenti, di alcune platee, della via di accesso, di carbonaie, di pluribus domibus,
racchiusi da una cinta muraria. Per quanto il documento fornisca una sommaria descrizione del
cassero, è possibile comunque ricostruire più dettagliatamente la conformazione di quest'area grazie
all'indagine archeologica. Inoltre l'Estimo offre numerose notizie relative al borgo contadino.
Incluso entro un ampio circuito murario, il borgo si sviluppava a forma di ferro di cavallo lungo le
pendici del rilievo, e constava di ventisei case, di venti casalini e di una platea18. Il documento non
11
Sull'immigrazione di manodopera lombarda a Siena si veda G. PINTO,
La Toscana nel tardo medioevo. Ambiente,
economia rurale, società, Firenze, 1982, pp. 421-449.
12
Sulle fasi di costruzioni delle torri si veda R. PARENTI, La torre A: una lettura stratigrafica , in R. FRANCOVICH,
R. HODGES, Il progetto Montarrenti. Relazione preliminare 1984, « Archeologia Medievale », XII (1985), pp. 417­
437, e IDEM, La torre B, « Archeologia Medievale », XIII, (1986), pp.277-29.
13
F. SCHNEIDER, Regestum senense, cit., n. 551.
14
G A. PECCI, Memorie storiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state sudiate della città di
Siena, in Archivio di Stato di Siena, Mss. D. 70, cc. 339-341.
15
Cfr. O. REDON, Des maisons, cit., Tab. I, p. 374.
16
Per un esauriente illustrazione ed un esemplare utilizzazione della fonte in questione cfr. G. CHERUBINI,
Signori,
contadini e borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso Medioevo, Firenze, 1974, PP. 231-295.
17
V. BARTOLONI, La struttura urbanistica del castello di Montarrenti secondo l'Estimo del 1317
, « Archeologia
Medievale », XI (1984), PP. 255-295.
18
Il termine casalino indica il lotto di terreno edificabile o un edificio diruto all'interno di centri abitati, cfr. R.
FRANCOVICH, R. HODGES, Scavi nel villaggio abbandonato di Montarrenti (Comune di Sovicille, Provincia di
offre alcuna descrizione materiale degli edifici, fatta eccezione per una domus cum cellario e per le
stime in denaro, corrispondenti grosso modo alle diverse estensioni delle abitazioni. La valutazione
media delle case del borgo si aggira intorno alle 15-20 lire; hanno invece un valore nettamente
superiore quattro abitazioni, per le quali viene registrata una stima compresa fra le 30 e le 40 lire19.
Ciò suggerisce la presenza di abitazioni articolate su due piani, con doppi volumi e più stanze.
L'indagine archeologica (settore 2.000) ha confermato questa ipotesi, mettendo in luce un edificio
terrazzato comprendente al piano superiore l'abitazione vera e propria e in quello inferiore la
stalla20.
I dati offerti dall'estimo forniscono inoltre l'opportunità di conoscere la viabilità del castello: oltre
alla strada che conduceva entro il cassero (via comunis) sono attestate due vie nel borgo sottostanti
il rilievo e correnti lungo il pendio, e una serie di strade minori sviluppate tra le abitazioni contadine
ed ortogonali alle due vie principali. L'andamento della viabilità del borgo è stato evidenziato dallo
scavo dell'area 2.000, dove 1'indagine archeologica ha messo in luce la strada principale ed una via
secondaria di servizio, perpendicolare alla vias del borgo e terminante a ridosso della cinta muraria
esterna, vicolo su cui si aprono gli accessi alle abitazioni, alle stalle e alle cantine21.
La "Tavola delle Possessioni" offre infine una chiara situazione dei tipi e delle forme di
insediamento sparso presenti nel territorio del comune di Montarrenti agli inizi del Trecento.
Sebbene la mezzadria rappresentasse il tipo di conduzione agricola più diffuso nel territorio di
Montarrenti, conduzione peraltro determinata da una forte presenza della proprietà cittadina che
tendeva ad affidare i propri terreni alle cure di altri22, essa non sembra ancora richiedere la presenza
della casa colonica posta al centro della struttura poderale. Un'inversione di tendenza si riscontra a
partire dalla prima metà del XV secolo con l'affermarsi, anche nel territorio di Montarrenti, della
struttura poderale costituita da terreni lavorativi e dalla dimora rurale al centro del podere, che avrà
come diretta conseguenza il progressivo abbandono del borgo di Montarrenti. Infatti l'indagine
archeologica di un edificio contadino nell'area 2.000 ha collocato la fase di abbandono della
struttura abitativa nel corso del primo Quattrocento; un indice significativo del momento di
abbandono è offerto dal fatto che lo scavo ha restituito in quest'area sporadici materiali ceramici di
"ingubbiata-graffita", una tipologia ceramica che si diffonde nel contado senese a partire dalla
prima metà del XV secolo23. L'affermarsi del resedio sparso induce ad un più attento
approfondimento del problema dell'appoderamento in quest'area prossima alle porte della città. Va
infatti chiarito in che misura la formazione della struttura poderale nel comune di Montarrenti fosse
già un fatto compiuto all'inizio del XIV secolo, pur non accogliendo ancora la dimora contadina, o
se piuttosto la lunga fase di appoderamento fosse direttamente legata alla trasformazione del
territorio che vede il progressivo affermarsi della casa colonica isolata. Questo problema ha trovato
una risposta nelle ricognizioni di superficie effettuate nel territorio della val di Rosia: il
rinvenimento di rari frammenti di maiolica arcaica del primo Trecento-fine Quattrocento sembrano
rilevare il carattere episodico del resedio sparso connesso alla struttura poderale, mentre la maggior
Siena). Relazione preliminare 1982, « Archeologia Medievale » IX (1983), 317-332, V. BARTOLONI, La struttura
urbanistica, cit., p. 263.
19
V. BARTOLONI, La struttura urbanistica, cit., p. 262.
20
V, BARTOLONI, Relazione finale di scavo area 2000, « Archeologia Medievale », XIII (1986), PP. 260-264.
21
Ibidem, p. 265.
22
Cfr. G. CHERUBINI, Signori, contadini, borghesi, cit. 284-286.
23
Per la diffusione e le specificità dei tipi senesi di questa classe ceramica si veda R. FRANCOVICH,
La ceramica
medievale a Siena e nella Toscana meridionale, Firenze, 1982, pp 80, 151-170. Per i recuperi di ingubbiata e graffita di
Montarrenti si veda E. BOLDRINI, G. RONCAGLIA Prime osservazioni sul materiale ceramico dal castrum di
Montarrenti, « Archeologia Medievale », XI (1984), p. 269, e G. RONCAGLIA, Ceramiche bassomedievali dal
castello di Montarrenti, « Archeologia Medievale », XII (1985), p. 412.
frequenza di reperti ceramici databili tra la fine del XV secolo e tutto il XVII secolo testimonia
l'avvenuta trasformazione del territorio determinata dall'affermazione della struttura poderale24.
Un aspetto che lo spoglio dell'Estimo lascia insoluto riguarda l'ubicazione della chiesa parrocchiale
all'interno del castello. La sua assenza dal registro della "Tavola delle Possessioni" si spiega col
fatto che gli enti ecclesiastici non erano soggetti alle imposizioni fiscali; sappiamo comunque per
certo dell'esistenza di una chiesa a Montarrenti, grazie alle Rationes Decimarum del 1295-130425.
Non siamo in grado stabilire se la chiesa citata nelle Rationes possa essere identificata con la «
cappellam sancti Laurentii et sanctii Andree in Monte Liurenti » ricordata nella bolla del 1156.
Anche i sondaggi effettuati durante le prime campagne di scavo (1982-1983) non hanno aiutato a
risolvere il non piccolo 'enigma' della localizzazione della chiesa26.
Dopo il 1317 le fonti pervenute non sono abbondanti e prevalentemente limitate ai passaggi di
proprietà del castello. Nel 1457 il cassero diventa proprietà della famiglia Dati in seguito al
matrimonio fra Agostino Dati e Orsina vedova di Simone di Cristofano Petroni. Estinta la famiglia
Dati, Montarrenti pervenne sotto il dominio dei Ghini27. Un quadro della situazione amministrativa
e socio-economica di Montarrenti si ha nel 1676, anno in cui il Gherardini visitò il castello per
conto dello stato senese, descrivendo il « comunello » come un luogo abitato da soli nuclei familiari
per un totale di 46 persone, e sede di soli quattro poderi. Questo dato conferma l'osservazione sopra
esposta circa il processo di appoderamento, un fenomeno che si consolidò in quest'area del contado
senese in un periodo relativamente tardo e in diretto rapporto con la costante flessione della
popolazione del castello a partire dal primo Quattrocento. Ancora dalla relazione del Gherardini
sappiamo che l'economia locale si basava essenzialmente sull'allevamento vaccino e su una modesta
coltivazione cerealicola e vinicola28. Nel 1720 il castello era ormai in rovina e dalla descrizione che
Antonio Pecci offre dell'antico insediamento sappiamo che le mura delle abitazioni erano crollate,
che le due torri dell'antico cassero erano occupate da un esiguo nucleo di pigionali e che nella
chiesa di Santa Maria non si officiava più29.
R. F.-G. R.
4. Le esplorazioni archeologiche si sono svolte in un arco di tempo di 18 settimane, distribuite in
cinque campagne di scavo conclusesi nel 1987, che hanno visto partecipare sino ad un massimo di
70 studenti provenienti dalle Università di Sheffield e di Siena. Le aree da scavare sono state
selezionate al fine di dare risposta alle domande che abbiamo enumerato più sopra. L'area 1.000 (m
10 x 30 ca.) è stata posizionata alle spalle della torre "B", sulla cima della collina, laddove ci si
aspettava di trovare l'orto ed i depositi di rifiuti presumibilmente associati agli edifici signorili, e
sotto ai quali si sperava di riportare alla luce possibili strutture anteriori alla torre nonché livelli
relativi alle più antiche fasi di occupazione di Montarrenti. Inoltre, Roberto Parenti avrebbe studiato
le "facies" archeologiche del complesso signorile, definendo le fasi di ciascuna delle due torri. Nel
24
Cfr G BARKER et alii , The Montarrenti survey, 1985: integrating archacological, environmental, and historical
data, « Archeologia Medievale », XIII (1986), pp. 291-329.
25
M GIUSTI, P. GUIDI, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Le decime degli anni 1295-1304 , Città del
Vaticano, 1942, p. 213 dall'Estimo, 88 cc. 541r-543v, sappiamo comunque il titolo della chiesa castellana «Santa Lucia
a Montarrenti». La parrocchia di Montarrenti dipendeva sino dal XIV secolo dalla Pieve di Malcavolo e alla fine del
XVI secolo passò dalla Diocesi di Volterra sotto quella di Colle. La chiesa era intitolata nel XVII secolo a Santa Maria
Assunta, cfr. AA. VV., I castelli del senese, cit., p. 7.
26
Per i numerosi sondaggi di scavo realizzati al fine di individuare il sito della chiesa si veda R. FRANCOVICH, R.
HODGES in « Archeologia Medievale », X (1983), pp. 324-329, « Archeologia Medievale », XI (1984), p. 225.
27
G. A. PECCI, Memorie storiche, cit., c. 340v.
28
B. GHERARDINI, Visita fatta nell anno 1676 alle città, terre, castelli comuni e comunelli dello stato della città di
Siena, 1676 in Arch. di Stato, cc. 86.
29
G A. PECCI, Memorie storiche, cit., c. 341r.
borgo sottostante furono scelte tre aree campione. L'area 2.000 (10 x 15) era costituita da un lotto di
case sul lato settentrionale, in ombra, della collina; l'area 5.000, uno spazio trapezoidale presso la
porta Est,si trovava sulla punta del "ferro di cavallo" su cui si stende il borgo; e l'area 8.000 (m 10 x
7) si trovava sul lato meridionale, esposto al sole, della collina. In tutto, si sarebbe esplorato il 10%
circa della sommità della collina e 3 dei 26 lotti di case identificabili nel borgo30.
Dal momento che gli scavi si sono conclusi solo di recente, ogni conclusione che si voglia trarre sui
loro risultati non può che essere provvisoria. Nondimeno, emergendo come il risultato di una
strategia globale di campionatura, nonostante la sua sommaria formulazione, il complesso dei dati
di scavo può già chiarire alcune delle caratteristiche generali della comunità che abitò Montarrenti.
Perciò, sia i paracadutisti che i cacciatori di tartufi possono cominciare a trovare un certo interesse
nei risultati che abbiamo ottenuto.
Consideriamo in primo luogo la fondazione del villaggio. Tracce di abitazioni altomedievali,
costituite da tagli nella roccia vergine, sono state scoperte sulla sommità della collina (area 1.000);
come pure sono state identificate tracce di uso delle sporgenze naturali della roccia, nelle aree
2.000, 5.000 e 8.000. Sulla sommità della collina (area 1.000) la sequenza di questi resti appare un
po' più chiaramente definibile.
FASE 1 (figg. 4, 5, 6)
Da sei ad otto buche di palo possono essere sicuramente considerate precedenti alle prime strutture
difensive, poiché dalle più antiche di esse sono state tagliate e sigillate. Di buche di palo assegnabili
a questa fase ve ne potrebbero essere state altre nel costone meridionale, che risale dall'area in cui
più profondo era l'accumulo stratigrafico, ma la natura dei depositi lì riscontrati non ha consentito di
attribuire con precisione ad alcuna fase le buche rinvenute in questo ambito. Non è possibile
evincere una planimetria precisa da queste tracce, ma si può almeno dire che esse rappresentano
come minimo due fasi distinte, poiché gli strati che riempiono e sigillano le buche di palo non erano
uniformi. In due casi si è potuto riscontrare che i pali sono stati tagliati a livello del suolo, lasciando
le buche inutilizzate. Non sono stati riscontrati livelli di frequentazione associabili a queste buche di
palo, ma le dimensioni di alcune di esse autorizzano a pensare che appartenessero ad edifici
cospicui. Non sono state riscontrate, inoltre, tracce di terrazzamenti. Molto presto, forse
immediatamente dopo la demolizione della fase più tarda di edifici in legno, la leggera depressione
in cui le buche di palo si trovavano fu parzialmente riempita con terra di riporto, proveniente
principalmente dall'estremità meridionale del sito. Questo riempimento è a diretto contatto con la
roccia vergine, senza che, al di sotto, vi fossero tracce di precedenti superfici erbose. All'estremità
occidentale esso consisteva di due strati di terra nerastra antropizzata, che, verso Est, lascia il posto
ad un'argilla rossiccia. Quest'ultima è stata rinvenuta anche a Nord, al di fuori delle strutture
difensive più tarde, ed in un punto era chiaramente coperta da esse. La sequenza dei depositi
stratigrafici, verso Nord, non può in altro modo essere posta in diretta relazione con le strutture
difensive più antiche, dal momento che il contatto diretto è stato interrotto da un muro più tardo.
Gli edifici erano su uno scosceso costone, ed anche il modo in cui il terreno di riporto veniva
trattenuto, lì dove era stato scaricato, costituisce un problema irrisolto. Si pone la questione di
comprendere anche se vi fosse una fase di strutture difensive, che precedesse tutte le altre,
possibilmente edificata in legno, localizzabile più oltre a Nord, lungo il costone al di sotto dei muri
difensivi in pietra—d'altra parte gli scavi non si sono spinti più in là di un paio di metri dai piedi del
muro più tardo, ed anche questo sondaggio è stato di dimensioni piuttosto limitate, dato che la
suddetta questione si è posta, in effetti, solo durante l'ultima campagna di scavo.
30
Per i rapporti preliminari delle varie campagne di scavo si veda «Archeologia Medievale» a partire dal 1983.
FASE 2 (figg 4, 7)
Il muro più antico (6.081), fu costruito in calcare, con malta giallo-scura. In molti punti esso è stato
costruito direttamente sulla roccia vergine, dopo il taglio di una trincea di livellamento sul lato
interno del muro stesso. Solo lungo la parte centrale della terrazza settentrionale il muro fu costruito
in parte su terra—e fu proprio questa sezione del muro a soffrire sempre problemi di stabilità sino al
suo definitivo collasso nel XIV secolo. Questo muro, ed il successivo, furono entrambi certamente
precedenti alla erezione della casa-torre "B".
Dopo una vita, che sembra essere stata piuttosto breve, il primo muro fu demolito sino alle
fondamenta, al livello di quello che era allora il piano di campagna, e su quelle stesse fondazioni fu
costruito un nuovo muro (1. 151), di simile aspetto, ma su un allineamento leggermente differente.
Questo secondo muro avrebbe avuto vita più lunga e la sequenza di strutture in legno, di cui si è
discusso più sopra, si trovava alle spalle di esso. I livelli di distruzione della prima fase ed i livelli di
costruzione della seconda non sono visibili nella sezione che qui pubblichiamo, ma erano
nettamente riconscibili più ad Ovest.
Il livello di costruzione del muro era tagliato da un piccolo gruppo di buche di palo, alcune delle
quali erano sigillate da un muro a secco di rozza fattura, che correva parallelo al muro di difesa, alle
spalle di esso, ed apparentemente sembrava costruito per impedire il depositarsi di fango e limo
contro le strutture di quello. Una grande pietra era anche stata sistemata presso uno dei fori di
collezione delle acque, praticati lungo il muro di cinta, per evitarne l'ostruzione. Comunque il fango
non cessò di accumularsi, insieme ad alcuni deliberati accumuli di pietra e terra, anteriormente alla
costruzione di uno o più edifici in quell'area. Uno di questo edifici andò a fuoco, lasciando al suo
interno uno spesso strato di granaglie carbonizzate, suggerendo che, in quella fase, l'edificio fosse
usato come granaio. Tutti questi edifici furono costruiti ad immediato ridosso del muro di cinta,
probabilmente addossati ad essi. In nessun caso sono stati rinvenuti i livelli pavimentali, e ciò a
Montarrenti è un fatto piuttosto comune anche in quegli edifici il cui carattere domestico era
piuttosto chiaro. L'altra peculiarità sta nel fatto che quasi in ogni fase i pali non venivano rimossi
dai loro alloggiamenti, ma le basi di essi venivano lasciate marcire nel terreno, cosicché restano
evidenti le cavità dei pali stessi. Gli edifici più tardi avevano uno schema più regolare, con
allineamenti di grossi pali posti ad angolo retto rispetto al muro di cinta.
Elementi datanti
A causa delle difficoltà riscontrate nella datazione della ceramica, e la mancanza di altre
indipendenti fonti di datazione, come le monete, è stato deciso di procedere ad una serie di analisi
del C 14 dagli strati più antichi. Di essi diamo esposizione nella fig. 4, mostrando i dati ad uno e
due sigma rilevati a fronte dei dati provenienti dall'analisi convenzionale C14, ed anche con una
correlazione approssimativa con i dati calibrati. I numeri di contesto da cui i dati provengono sono
correlati con i contesti mostrati nella sezione in fig. 4. I dati ottenuti da Harwell Laboratories,
Oxford sono come segue:
N°
contesto
fase
età bp
età ad
materiale
HAR-8313
1931-1
2
1180+/-90
770
cereali
HAR-8314
1931-2
2
950+/-80
990
cereali
HAR-8315
1931-3
2
920+/-80
930
cereali
HAR-9988
6756
1
1180+/-90
770
carboni
Questi dati indicano che vi è un'alta possibilità che il grano sia andato a fuoco in un data compresa
fra il 950 ed il 1000, sebbene i campioni 8313 e 9988 indichino una data assai anteriore collocabile
intorno al 770. La fase 2, pertanto, sembra essere stata edificata anteriormente al 1000 e, tenendo
presente che esistono almeno tre sottofasi dell'edificio ad essa attribuito, dobbiamo ritenere che esso
debba essere durato sino alla costruzione della torre "B", a metà del XII secolo. Il terminus post
quem per gli edifici della fase 1, appartenenti al periodo anteriore alla costruzione del muro di cinta
è da porre pertanto fra il 950 ed il 1000. Si è perciò tentati di concluderne che quanto resta della
fase 1 sia attribuibile all'VIII o al IX secolo.
In ogni caso, faceva parte delle nostre ipotesi il fatto che il primo nucleo di Montarrenti fosse
concentrato sulla sommità della collina. Ma tracce di strutture poggianti direttamente sulla roccia
sono state rinvenute, come accennato, in ciascuno dei saggi scavati. Le strutture nel borgo,
comunque, si snodavano lungo l'andamento delle curve di livello (come nell'area 1.000),
differentemente dalle successive case del pieno medioevo, i cui lunghi assi erano allineati in modo
da scavalcare le curve stesse. Nell'area 2.000, dove le fasi più antiche (fig. 8) sono risultate
particolarmente ben preservate, le strutture sostenute da pali furono succedute da una rudimentale
struttura in pietra, forse edificata sui medesimi allineamenti. All'interno di essa è stato rinvenuto un
grande focolare. Appartenente a questa stessa fase, nell'area 5.000 è stata rinvenuta traccia di una
zona per la lavorazione del ferro.
La scoperta della medesima sequenza all' interno di tutte le prime strutture edificate in legno, tanto
sui fianchi che sulla sommità della collina, ci spinge a riconsiderare la storia iniziale del sito. Due
questioni devono essere poste in evidenza:
1) Il villaggio iniziò sulla sommità della collina, all'interno del muro di cinta, come anticipammo in
un primo momento, o iniziò piuttosto sui fianchi della collina stessa, come fu rilevato sul sito di
Vacchereccia in Molise31, ad una data imprecisata dopo il collasso del sistema insediativo classico
nel periodo tardoromano? Naturalmente la presenza di torri del periodo signorile ha indotto a
ritenere che sin dagli inizi la sommità della collina doveva essere in qualche modo occupata. Però
affermazioni di questo genere possono non essere nel vero per quanto riguarda il periodo pre­
signorile, ed è abbastanza possibile che i ritmi dello sviluppo dell'insediamento a Montarrenti
successivi al 1000 siano piuttosto differenti da quelli anteriori a tale data, quando differenti fattori,
sociali ed economici, determinavano la localizzazione e lo sviluppo degli insediamenti.
2) Se il villaggio nacque sulla cima della collina (vale a dire nell'area 1.000), allora noi dobbiamo
anticipare la sua fondazione, sulla base delle evidenze disponibili, fra il 750 ed il 900. Dobbiamo
anche considerare l'interessante possibilità che vi sia stata una repentina espansione della
popolazione al fine di colonizzare tutti i settori della collina, nel corso della fase 1, arrivando così a
coprire un'area che eguagliava quella del villaggio bassomedievale. Un'ipotesi alternativa a questa
potrebbe essere un lento inizio dell'insediamento sui fianchi della collina (in aree come la 2.000, la
5.000 e la 8.000), verso la fine del quale si assiste alla creazione di una cinta muraria che chiude la
sommità della collina, come a Vacchereccia in Molise. Ad un certo momento, dopo la costruzione
di questa cinta, inizia una nuova fase architettonica, che include infine un piccolo "prototipo" in
pietra della torre "A"32, i grandi edifici lignei della fase 2b nell'area 1.000 e, forse, altri edifici in
pietra di grossolana fattura.
La strategia di campionatura dei saggi ha anche nettamente illuminato la sequenza dei cambiamenti
nella morfologia del villaggio, dopo la fase 2. La sommità della collina subì radicali interventi di
modifica fra l'inizio e la metà del XII secolo, quando furono costruite almeno tre case-torri. In
questo periodo l'area 1.000 fu trasformata in orto. Allo stesso momento si assiste ad una
ripianificazione del villaggio lungo il fianco della collina. Le case della fase 2, che seguivano le
curve di livello della collina, furono rimpiazzate da edifici leggermente più grandi allineati ad
angolo retto rispetto alle curve di livello. Usando il pendìo in questo modo, fu possibile ottenere
31
R. HODGES et alii, Excavations at Vacchereccia (Rocchetta Nuova): a later roman and early medieval settlement in
the Volturno Valley, Molise, « PBSR », LXII (1984), PP. 148-194, nonché la discussione di questi problemi e l'apparato
critico in F. BOUGARD, E. HUBERT e G. NOYÉ, Du village parché au castrum. Le site de Caprignano en Sabine, in
Structures de l'habitat, cit., p. 433 e segg.
32
R PARENTI, La Torre A, cit., p. 420.
sufficiente spazio per dotare di due piani la metà delle case33. Questo tipo di schema planimetrico,
insieme agli stretti vicoli che separano le case l'una dall'altra, è rimasto caratteristico dei villaggi
toscani sino a tempi recenti.
A questo punto, cessando per un momento di fare i cercatori di tartufi, possiamo aspirare a divenire
dei paracadusti (se mai una cosa del genere possa essere possibile!), osservando ciò che Fernand
Braudel identificò come la prime mosse del mondo moderno. Montarrenti, come altri simili villaggi
indagati in Toscana (Scarlino, Rocca S. Silvestro) è sicuramente un esempio di un diffondersi di
ricchezza in aree differenziate dal punto di vista delle risorse, nel momento in cui l'economia
mediterranea riconquistò slancio, dopo sette secoli di sonno34. Non va sottostimato, pertanto, come
questi cambiamenti nell'aspetto architettonico globale di un villaggio, echeggino e testimonino non
solo un balzo in avanzi della prosperità materiale, ma, più significativamente, un cambiamento
radicale nel modo in cui si intese rappresentare l'immagine di questo villaggio.
Per queste ragioni, i modi in cui la ricchezza si manifesta nell'insediamento sono estremamente
interessanti. Uno studio preliminare mostra che una percentuale più alta di ceramica invetriata
policroma del XIII-XIV secolo è stata riscontrata nell'area 1.000 piuttosto che nelle case del borgo
sottostante. I1 vetro appare di frequente nei livelli del giardino sulla cima della collina, ma è assente
nelle case delle aree 2.000, 5.000, 8.000. Un'analisi preliminare delle ossa animali tende a
confermare il medesimo quadro (vedi il contributo di Gillian Clark). In breve i migliori tagli di
carne venivano consumati dagli abitanti della sommità della collina piuttosto che dai loro
compaesani che vivevano più in basso. Nessuna di queste evidenze costituisce motivo di sorpresa,
in realtà. Del resto affreschi in stile senese abbellirono i muri della torre "A", lasciando così pochi
dubbi sullo status sociale dei signori di Montarrenti alla vigilia del Rinascimento. Ancora, i ricchi
depositi di ceramica, gli attrezzi metallici, monete ed altri oggetti di ogni genere databili al basso
medioevo, rinvenuti nel borgo sottostante, indicano che, comunque, anche i contadini, a
Montarrenti, avevano ampie opportunità di partecipare ai fiorenti mercati della regione.
In conclusione i dati acquisiti con lo scavo, integrati con le fonti scritte, permettono di delineare in
modo globale la storia di questo insediamento. Va innanzitutto rilevato come l'indagine
archeologica abbia permesso di far risalire l'impianto insediativo del castello di Montarrenti di
quattro secoli rispetto alla cronologia ricostruibile sulla base delle fonti scritte, che iniziano a
comparire contestualmente soltanto alla fase "romanica" del castello e ignorano quindi tutta la lunga
fase di vita in cui l'insediamento era costituito da edifici di legno con una loro lunga storia articolata
in più fasi, alcune delle quali cinte da strutture murarie difensive, e si era quindi sviluppato con
capanne di pietra e legno. Lo scavo ha quindi permesso di cogliere una trasformazione delle
tecniche edilizie, che trova confronti di lunga durata in ambito nord e centro europeo dove
l'archeologia ha prodotto una maggiore documentazione ed anzi, in alcuni casi, costituisce l'unica
base su cui ricostruire le vicende del popolamento. La stessa estensione cronologica e fisica del
villaggio precedente alla fase "romanica", che trova riscontri in altri campioni archeologici, pone il
problema di quanto la dinamica verificata nel caso di Montarrenti sia esemplificativa dei processi di
trasformazione dove l'incastellamento rappresenta un fenomeno di "consolidamento" e di
mutamenti di rapporti giuridico-istituzionali all'interno di forme di popolamento preesistenti che
storici ed archeologici devono ancora definire, ma che certo non possono più ignorare.
L'approfondimento di strategie adeguate in termini di campioni da indagare e l'impiego di raffinati
metodi di datazione delle prime fasi devono costituire l'impegno degli archeologi nell'avanzamento
della ricerca. La dilatazione cronologica delle fasi preromaniche o il loro "schiacciamento" sulle più
tarde fasi, fuori da verifiche incrociate a livello archeometrico e di datazioni tradizionali, può
contribuire a mantenere nell’indefinito un problema storiografico di grande importanza.
33
Si veda al proposito la ricostruzione di una casa tardo medievale realizzata da R. Parenti (fig. 9).
R. HODGES, Anglo-Saxon England and the Origins of the Modern World Economy , in D HOOKE (a cura di), Anglo-
Saxon Settlements, Oxford, 1988, pp. 291-304.
34
Lo scavo ha fornito, inoltre, indicazioni specifiche anche su aspetti fondamentali
dell'organizzazione economica del villaggio nelle sue prime fasi di vita attraverso la constatazione
dell'assenza di circolazione monetaria fino al XII secolo, che deve trovare una spiegazione in un
quadro di riferimento storico, non essendo cambiato metodo di raccolta dei materiali fra le prime e
le ultime fasi di vita del villaggio, e attraverso il rinvenimento di tracce relative ad attività
siderurgiche. L'individuazione di scarti di lavorazione di un "basso fuoco" nell'area 8.000 e di una
modesta struttura di forgia nell'area 5.000, legate probabilmente alla lavorazione di minerali di ferro
provenienti probabilmente dai vicini affioramenti di Spannocchia, testimonia infatti un'attività
collaterale ed integrativa a quella agricola, legata ad un autoconsumo. Questa interpretazione ci è
confermata dalla scomparsa di ogni traccia di questo tipo di attività nelle più tarde fasi "romaniche"
permettendoci di verificare il complessivo radicale mutamento, constatabile a partire dall'XI secolo
nei centri a prevalente economia rurale, che da questo momento sempre più raramente restituiscono
"indicatori" di attività "industriali" legati all'autoconsumo, spia di un contestuale sviluppo di un
economia di mercato e della nascita di centri che iniziano ad essere "specializzati".
Il quadro di Montarrenti che emerge dall'interpretazione dei nostri scavi non può essere considerato
definitivo. Idealmente, paracadutisti e cercatori di tartufi potrebbero sentirsi entrambi più certi se la
campionatura fosse stata di dimensioni maggiori di quelle effettivamente raggiunte. Tuttavia,
scavando il 10% della sommità della collina e altrettanto del borgo, ci sembra di poter essere in
grado di offrire un quadro diacronico credibile della comunità di Montarrenti, nonché di poter
adombrare diversi temi stimolanti per una parte della storia dell'Italia medievale e per la definizione
delle strategie di ricerca dell'archeologia medievale.
R. F.-R. H.
5. I risultati scientifici ottenuti dal «progetto Montarrenti» non sono comunque le sole conseguenze
di tanto lavoro. La collaborazione con la Provincia di Siena, condotta con pieno successo, ci ha
spinti a riflettere sul ruolo che l'archeologia storica ricopre in questa nostra sempre mutevole
società. In tempi recenti l"'archeologia pubblica" e la gestione manageriale delle risorse culturali
hanno costituito spesso un vantaggioso, se non vitale, risultato del "boom" mondiale dell'industria
turistica. Con alterne fortune l"'archeologia pubblica" provenienti dal mondo accademico.
Invariabilmente, comunque, l'archeologia si è concentrata a presentare se stessa sia come una
disciplina scientifica "in camice bianco", armata di tutte le sue diavolerie tecnologiche, sia come
una dispensatrice di banali interpretazioni etnocentriche del passato. Questo tipo di risposta è
abbastanza comprensibile, dal momento che in molte nazioni il turismo basato su questo passato
commerciabile è divenuto in breve tempo un grosso affare, riuscendo a cogliere di sorpresa non solo
il mondo accademico, ma gli stessi operatori turistici. D'altronde non si può ignorare che la grande
attrattiva del turismo culturale sta nel fatto di essere un turismo che crea posti di lavoro, ed è quasi
sempre concentrato su aree rimaste marginali nell'epoca dello sviluppo industriale. Quindi, se
archeologia e storia devono giocare un ruolo attivo su un più vasto terreno educativo, l'archeologia
pubblica deve divenire un attraente tramite per la pluralità di tendenze del mondo accademico, e,
viceversa, è necessario che i ricercatori e gli archeologi professionisti operanti sul campo stendano
progetti in grado di produrre diversi livelli di risultati educativi che possano raggiungere ogni tipo
di pubblico, dai bambini delle elementari ai ricercatori universitari. Per dirla in due parole, buoni
progetti di ricerca accademica dovrebbero condurre ad una buona "archeologia pubblica".
Connettere questi due settori dell'archeologia può sembrare una sfida alla logica, ma tutto ciò
significa essere costretti a presentare e definire progetti di ricerca ben mirati. Questa è stata la
scommessa giocata con lo scavo di Montarrenti, attraverso un necessario sforzo teso alla
razionalizzazione delle risorse disponibili. Negli anni più recenti, il legame fra archeologia
accademica e pubblica è talora venuto meno perché le indagini archeologiche non sono state
realizzate su una scala e con una visione consone alle necessità che il nostro nuovo bisogno di
comprensione del passato implica. Troppo spesso le civiltà storiche sono state oggetto di indagini
condotte con metodologie di qualità approssimativa, incapaci di comunicare veri stimoli
all'archeologia. Naturalmente, migliorando dal punto di vista metodologico, l'archeologia ha
sviluppato voraci appetiti nei confronti di tutti i tipi di risorse. Ma è ormai tempo di rendersi
conto—come fece la Provincia di Siena nel 1981—che l'archeologia gioca una sua parte non solo
nel progresso culturale, ma anche in quello economico. Chi controlla i cordoni della borsa deve
avere bene in mente che oggi porre l'archeologia in condizioni di operare ha molta più importanza
di quanta non ne abbia mai avuta in passato. Da parte nostra dobbiamo garantire, per dirla con Sir
Mortimer Wheeler, che il nostro lavoro non sia come la polvere più leggera che il vento muove.
Chiaramente l'archeologia storica, come scienza, muove ora i suoi primi passi e solo col tempo si
svilupperà l'apparato che ne garantirà la maturazione. Anche così non possono comunque esistere
scuse che permettano indugi sulla correttezza metodologica o che consentano alla cultura materiale
di condurre la disciplina verso sempre crescenti frazionamenti, a detrimento delle scienze umane e
di un più ampio raggio educazionale. I1 nostro compito è chiaro; resta da vedere se la visuale
necessaria ad ottenere simili risultati saprà contrapporsi ai molteplici meccanismi di livellamento
operanti nella vita accademica ed in quella pubblica, che tendono ad indebolire gli sforzi su questa
scala e di questa importanza. Lavori sul campo delle dimensioni di quello sponsorizzato per
Montarrenti dalla Provincia di Siena sembrano essere divenuti fuori moda non solo per l'impegno
logistico che richiedono, ma anche perché la conservazione è divenuta la parola d'ordine dei nostri
tempi e le risorse sembrano scarseggiare. Ma accettare passivamente un embargo su ricerche di
vasta scala finisce per significare che l'archeologia accademica dipenderà dai resti ancora visibili e
dalle combinazioni fortuite offerte dagli scavi di salvataggio. Come speriamo che venga dimostrato
da questo convegno, tutto ciò non porterebbe beneficio né all'archeologia né alla storia.
Naturalmente non si possono ignorare né i resti di superficie né le indagini condotte in circostanze
di emergenza; al contrario, l'optimum sarebbe inserire questi ultimi due in più ampi programmi di
ricerca. Naturalmente sarebbe sciocco immaginare che una professione ad uno stadio ancora acerbo
di sviluppo, di fronte alle pressioni economiche dell'industria turistica della fine del ventesimo
secolo, possa riuscire a studiare e far conoscere ogni sfaccettatura del passato, senza incontrare
problemi. I problemi di interpretazione di un sito, la pubblicazione di esso, la sua conservazione, la
sua gestione e cosi via, sono destinati a divenire modelli per la gestione delle risorse archeologiche.
Cerchiamo di non venir meno a noi stessi su questo punto e soprattutto di non lasciarci scoraggiare
dai possibili errori che commetteremo in questa fase. In ogni caso sarebbe un grave errore accettare
come modelli-guida i progressi ottenuti in paradisi turistici come York. Senza dubbio l'ambizioso
progetto dello "Jorvik Viking Centre" a York è servito a magnificare l'importanza dell'archeologia
in Europa, ma la preesistenza di grandi masse di visitatori nella città ha rappresentato un
indubitabile fattore di successo per quell'impresa. I nostri veri modelli, piuttosto, devono essere quei
casi in cui pressocché dal nulla si è creato un luogo di attrazione, dotandolo di validità scientifica e
divulgativa. Montarrenti difficilmente potrebbe essere un paradiso turistico, nondimeno facendo
conoscere la sua storia al grande pubblico si può rendere un incalcolabile servizio economico e
culturale ad un'area altrimenti poco conosciuta.
L'archeologia, con la sua capacità di conferire un'aurea di fascino quasi mistico a paesaggi, luoghi
ed oggetti, costituisce una risorsa assai più importante di quanto non possa essere dimostrato dai più
immediati vantaggi economici. Sebbene questo prodotto sia qualcosa di difficilmente quantificabile,
archeologi e storici devono convincere se stessi ed il pubblico che ciò che si scopre sotto terra non
sono tesori, nel comune senso del termine, ma strumenti critici per comprendere il nostro universo.
Troppi archeologi fraintenderanno queste parole come un trito esercizio retorico ad uso di "public
relations". Ma non prendiamoci in giro: storici ed archeologi, come tutti del resto in questa parte di
mondo più sviluppata, hanno la tendenza a dare per scontate molte cose che sono il frutto di una
lunga tradizione scientifica. Alla fine degli anni '80, per esempio è facile minimizzare il fatto che i
nostri bambini siano in grado di guardare alla complessità del mondo ed al suo passato in luoghi
come Montarrenti, in un modo assolutamente impensabile appena dieci o venti anni fa. Gli
archeologi e tutti gli altri che hanno contribuito ad un simile risultato dovrebbero esserne fieri,
considerando che questo incalcolabile bene culturale è senza dubbio un aspetto positivo dei nostri
tempi.
Possiamo perciò certamente concludere che, qualunque sia la veridicità dei modelli proposti in
questa sede, al di là delle nostre personali inclinazioni al paracadutismo o alla caccia al tartufo,
l'incastellamento, grazie al lungimirante impegno della Provincia di Siena, resterà certamente un
soggetto impresso nelle menti dei nostri figli, che saranno coloro che si occuperanno dei nostri
affari di qui a trent'anni. Nella fiducia di avere in ciò un valido motivo per essere ancora insieme,
voglio chiudere esprimendo tutta la nostra gratitudine.
R. H. (*)
R. FRANCOVICH - R. HODGES
(*) Vorrei ringraziare dott. Marco Rendeli per la traduzione italiana.