Re Manfredi - Innamorato di Gesù
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Re Manfredi - Innamorato di Gesù
Saverio Papicchio 1 Re Manfredi 1 Pietro 2:17 Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re. Re Manfredi Dedico questa storia a mia moglie Maria Anna Saverio Papicchio Re Manfredi P refazione Le fonti della storia toccano tre pilastri: I monumenti Gli atti pubblici I testimoni sincroni I monumenti hanno una certa testimonianza delle epoche, ma rare volte possono presentarci delle particolarità o delle ragioni di fatti veri in se stessi nelle persone che rappresentano. Gli atti pubblici a differenza dei monumenti fanno fede a ciò che contengono ma devono essere confrontati. I testimoni sincroni, pur avendo una validità piena, devono essere capaci di conoscere le cose che narrano ed essere soprattutto imparziali. Applicando tutto questo alla storia di Re Manfredi si può benissimo affermare che dei monumenti mancano, degli atti pubblici ci sono ma sono in copia discordanti e i testimoni sincroni sono la maggior parti implacabili nemici del re. 2 Saverio Papicchio 3 Re Manfredi Davanti a questa realtà storica ho fatto una minuta ricerca in tutti gli archivi pubblici, in tutti i documenti e libri scritti, purtroppo ho scoperto che molte cose non sono narrate e tante altre sono state contorte dalla signoria Angioina. Non ho voluto correlare la storia di lunghe e molteplici note, per non stancare e ripetere fatti raccontate ormai da diversi autori. Ho voluto presentare il tutto con punti e situazioni particolari esaminandoli con le pagine della Parola di Dio la Bibbia e dei documenti esistenti. Questa storia sarà certamente motivo di grande riflessione e tante scoperte sulla vita del re Manfredi. Saverio Papicchio Saverio Papicchio Re Manfredi L a famiglia di Re Manfredi Manfredi nacque e visse la sua fanciullezza a Venosa nel 1232 Era figlio naturale di Federico II di Svevia e di Bianca dei conti Lancia di Monferrato, sposata dall’imperatore solo poco prima della sua morte e, quindi, pienamente legittimato, malgrado la Curia romana disconoscesse quel vincolo matrimoniale, mossa com'era dal suo profondo odio per la casa di Hohenstaufen. Il padre di Manfredi Federico II Hohenstaufen (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250) fu re di Sicilia (come Federico I di Sicilia, dal 1198 al 1250), Duca di Svevia (come Federico VII di Svevia, dal 1212 al 1216), re di Germania (dal 1212 al 1220) e Imperatore dei Romani (come Federico II del Sacro Romano Impero, eletto nel 1211, incoronato ad Aquisgrana nel 1215, incoronato a Roma dal papa nel 1220), infine re di Gerusalemme (dal 1225 per matrimonio, autoincoronatosi a Gerusalemme nel 1228). Federico II Apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen e discendeva per parte di madre dalla dinastia normanna degli Altavilla, regnanti di Sicilia. 4 Saverio Papicchio 5 Re Manfredi Conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia"), Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, volte ad unificare le terre e i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa, sicuramente la sua conoscenza biblica influì molto. Egli stesso fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Federico nacque nel 1194 da Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa I di Svevia), e da Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II il Normanno, a Jesi, nella Marca anconitana, mentre l'imperatrice stava raggiungendo il marito a Palermo, incoronato appena il giorno prima, re di Sicilia. Data l'età avanzata, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza e per questo motiv o, fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove l'imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell'erede al trono. Federico nasceva già pretendente di molte corone. Quella imperiale non era ereditaria, ma Federico era un valido candidato a re di Germania, che com- Saverio Papicchio Re Manfredi prendeva anche le corone d'Italia e di Borgogna. Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non davano un potere effettivo, mancando in quegli stati una solida compagine istituzionale controllata dal sovrano. Tali corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere i diritti regi sui feudatari e sui Comuni italiani. Inoltre per via materna aveva ereditato la corona di Sicilia, dove invece esisteva un apparato amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di governo centralistico. L'unione del regno di Germania e di Sicilia non veniva vista di buon occhio né dai normanni, né dal papa, che con i territori che a vario titolo componevano lo Stato della Chiesa possedeva una striscia che avrebbe interrotto l'unità territoriale del grande regno, facendolo sentire di conseguenza accerchiato. Infanzia ed educazione Il 28 settembre 1197 Enrico VI moriv a e Costanza affidò il figlio a Pietro di Celano conte della Marsica (fratello di Silvestro della Marsica che era stato Grande Ammiraglio di Guglielmo I il Malo, re di Sicilia) e Berardo di Laureto appartenente alla famiglia degli Altavilla conti di Conversano. Il 17 maggio del 1198 Costanza fece incoronare il figlio re di Sicilia a soli quattro anni. Costanza morì il 27 novembre dello stesso anno, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa, Innocenzo III, ed aver costituito a favore del papa un appannaggio di 30.000 talenti d'oro per l'e- 6 Saverio Papicchio 7 Re Manfredi ducazione di Federico, questo sarà uno dei fatti che Federico rinfaccerà sempre. Federico risiedeva nella reggia di Palermo, nel Castello della Favara, il Castello a Mare, seguendo Gentile di Manopello fratello di Gualtiero. Suo primo maestro fu frate Guglielmo Francesco, che ne rispondeva al vescovo Rinaldo di Capua, il quale informava costantemente il papa dei progressi scolastici, della crescita e della salute di Federico. La corona imperiale Il 26 dicembre 1208 Federico compì il quattordicesimo anno di età e uscì dalla tutela papale assumendo il potere nelle sue mani. Su consiglio del pontefice nell'agosto del 1209 sposò la venticinquenne Costanza d'Aragona, vedova del re ungherese Emerico: Federico non aveva ancora compiuto quindici anni. Nel frattempo Ottone IV, che nel novembre 1208 era stato eletto dai principi tedeschi re di Germania, nell'ottobre 1209 riceveva a Roma la corona imperiale dal papa Innocenzo III, ma violando i patti calò al sud per conquistare il Regno di Sicilia e sopraffarre il puer Apuliae. Così nel 1210 Ottone IV venne scomunicato dal papa che, su consiglio del re di Francia Filippo Augusto, propose Federico per il trono di Germania: nel settembre 1211 i principi tedeschi, sostenuti da Innocenzo III, elessero Federico "re dei Romani" (il che equivaleva alla pre-nomina ad imperatore) e si recarono a Palermo per conferirgli la nomina. Saverio Papicchio Re Manfredi In Sicilia, dove Federico era appena divenuto padre del suo primogenito Enrico che neonato venne incoronato re di Sicilia (coreggente), si organizzò subito una spedizione rapida verso Oltralpe: partito a marzo del 1212 da Palermo, Federico giunse a Roma la domenica di Pasqua e prestò giuramento vassallatico al papa; a settembre entrò trionfalmente a Costanza, a ottobre indisse la sua prima dieta da re di Germania e a novembre stipulò gli accordi col futuro re di Francia Luigi VIII per combattere il riv ale Ottone IV. Finalmente il 9 dicembre 1212 dal vescovo Sigfrido III di Eppstein Federico veniva incoronato nel duomo di Magonza, ma la sua effettiva sovranità doveva ancora essere sancita. Il 12 luglio 1213 con la cosiddetta "Bolla d'Oro", (o "promessa di Eger"), Federico promise di mantenere la separazione fra Impero e Regno di Sicilia (vassallo del Pontefice) e di rinunciare ai diritti germanici in Italia (promessa già di Ottone IV, mai mantenuta). Promise inoltre di intraprendere presto una crociata in Terrasanta, nonostante non ci fosse stata una esplicita richiesta da parte del papa. Federico II poté essere riconosciuto unico pretendente alla corona imperiale solo dopo il 27 luglio 1214 quando, nella battaglia di Bouvines, Filippo Augusto re di Francia, alleato di Federico, sbaragliò Ottone IV alleato degli inglesi. In Germania resistevano al dominio di Federico soltanto Colonia, la città più ricca e popolosa della Germania del tempo, i cui mercanti vantavano particolari diritti commerciali e di traffico con l'Inghilterra di Enrico II Plantageneto sin dal 1157, e Aquisgrana, dove erano conservate le spoglie di 8 Saverio Papicchio 9 Re Manfredi Carlo Magno. Aquisgrana cadde nel 1215 e Federico vi ricevette una seconda e splendida incoronazione (25 luglio 1215) che completò quella di Magonza. L'11 novembre 1215 venne aperto da Innocenzo III il IV Concilio Lateranense (XII universale) cui anche Federico partecipò. Finché fu in vita il suo protettore Innocenzo III, Federico evitò di condurre una politica personale troppo pronunziata. Morto Innocenzo III e salito al soglio Onorio III (18 luglio 1216), papa di carattere meno deciso del predecessore, Federico fu incalzato dal nuovo papa a dare corso alla promessa di indire la crociata. Federico tergiversò a lungo e nel 1220 fece nominare dalla Dieta di Francoforte il figlio Enrico "re di Germania". Il Pontefice ritenne che l'unico modo di impegnare Federico era quello di nominarlo imperatore, ed il 22 novembre 1220 Federico fu incoronato imperatore in San Pietro a Roma da Papa Onorio III. Federico non diede segno di voler abdicare dal Regno di Sicilia, ma mantenne la ferma intenzione di tenere separate le due corone. La Germania la lasciava al figlio, ma, in quanto imperatore, ne manteneva la suprema autorità. Essendo stato allevato in Sicilia è probabile che si sentisse più siciliano che tedesco, ma soprattutto conosceva bene il potenziale del suo regno, con una fiorente agricoltura, città grandi e buoni porti, oltre alla straordinaria posizione strategica al centro del Mediterraneo. Saverio Papicchio Re Manfredi L'attività nel Regno di Sicilia Federico poté dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno di Sicilia, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221). In quelle occasioni rivendicò che ogni diritto regio confiscato in passato a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato al sovrano. Introdusse inoltre il diritto romano, nell'accezione giustinianea rielaborata dall'Università di Bologna su impulso di suo nonno il Barbarossa. A Napoli fondò l'Università nel 1224, dalla quale sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo, senza che i suoi fedeli dovessero recarsi fino a Bologna per studiare. Favorì anche l'antica e gloriosa scuola medica salernitana Nel castello Federico II, con l'ausilio del suo fidato notaio Pier delle Vigne, emanò nel 1231 le Constitutiones Augustales (note anche come Costituzioni di Melfi o Liber Augustalis), codice legislativo del Regno di Sicilia, fondato sul diritto romano e normanno, tra le più grandi opere della storia del diritto per la sua importanza storica di recupero delle antiche leggi normanne di cui si sono conservati pochissimi documenti. Le costituzioni miravano a limitare i poteri e i privilegi delle locali famiglie nobiliari e dei prelati, facendo tornare il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore, con caratteristiche che gli storici hanno reputato "moderne". Federico II 10 Saverio Papicchio 11 Re Manfredi S toria delle crociate Le crociate hanno costituito alcuni dei più frequenti argomenti di polemica contro la fede cristiana. . Quindi, cosa erano le crociate e perché sono viste come grande problema per la fede cristiana? Prima di tutto le crociate non dovrebbero essere definite come “crociate cristiane.” Molte delle persone coinvolte nelle crociate non erano dei veri cristiani, anche se affermavano di esserlo. Il nome di Cristo fu abusato, usato male e bestemmiato a causa delle azioni di molti dei crociati. In secondo luogo le crociate iniziarono da circa il 1095 d.C. al 1230. . In terzo luogo, anche se questa non può essere considerata una scusa adeguata, il Cristianesimo non è l’unica religione dal passato violento. In realtà le crociate furono le risposte alle invasioni musulmane su quelle che una volta erano le terre occupate dai cristiani. Dal 200 d.C. circa al 900, la terra d’Israele, Giordania, Egitto, Siria e Turchia erano occupate principalmente dai cristiani. Una volta che l’Islam divenne potente, i Musulmani occuparono queste terre e opprimendo brutalmente, schiavizzarono, deportarono ed uccisero i cristiani che occupavano quelle terre. In risposta a ciò la Chiesa Cattolica Romana ed i re/imperatori “cristiani” d’ Europa ordinarono le crociate per riconquistare la terra che i Musulmani av evano preso. Ciò che i tanti pseudo cristiani fecero è tutt’ora deplorevole. Non esiste alcuna giustificazione biblica per la conquista di terre, sterminio di civili e Saverio Papicchio Re Manfredi distruzione di città nel nome di Gesù Cristo. Allo stesso tempo anche l’Islam non può parlare da una posizione di innocenza in tali questioni. In breve le crociate furono dei tentativ i, nell’undicesimo secolo d.C., di riconquista delle terre in oriente che erano state conquistate dai Musulmani. Le crociate furono brutali e malvagie. Molte persone furono forzate a “convertirsi” al Cristianesimo. Se rifiutavano venivano messe a morte. L’idea di conquistare una terra attraverso una guerra e con così tanta violenza nel nome di Cristo è totalmente antibiblico. Diversi dei fatti che avvennero durante le crociate furono completamente antietiche a qualsiasi principio della fede cristiana. Alla fine del XI secolo non c'è la "crociata" ma ci sono i "crociati" - vale a dire i cruce signati, i pellegrini diretti a Gerusalemme che in segno di tale pellegrinaggio recano cucita o ricamata sulla spalla o sul petto oppure sulla bisaccia una piccola croce Alla fine dell'XI secolo, al concilio di Clermont Ferrand del 1095, papa Urbano II indicò all'inquieto ceto cavall eresco francese - esausto per le continue guerre al suo interno - un nuovo scopo: partano i cavalieri desiderosi di onore e di bottino verso Oriente, sulla via del pellegrinaggio, perché l'imperatore di Bisanzio ha bisogno di valorosi guerrieri per fronteggiare l'avanzata dei turchi in Anatolia. Ma in quel crepuscolo di secolo era giunta in Europa la notizia che i turchi selgiuchidi avevano occupato 12 Saverio Papicchio 13 Re Manfredi anche Gerusalemme sovrapponendosi al più mite occupante arabo. Essendo molto più brutali dei loro predecessori, sottoponevano i pellegrini europei a dure persecuzioni - molestie, furti, uccisioni, e devastazione dei luoghi oggetto della loro venerazione. Inermi o seminermi pellegrini seguirono i cavalieri: l'iter dei milites e la peregrinatio dei pauperes ora coincidevano. Nacque, quasi improvvisamente, la Crociata. Guerra contro i pagani e missione: un tragico legame riv elatosi molto presto, a partire cioè dall'ultimo quarto dell'VII secolo. In un mondo cristiano solo nel nome, nell'apparenza, ma non intimamente; nei riti ma non nei costumi, affiora il tema della scelta fra il battesimo o la morte che il vincitore "cristiano" propone al vinto infedele. La religione cattolica che presiedeva a tali atteggiamenti era una religione sacrale e regale, con le sue reliquie portate in battaglia, le sue armi benedette, i suoi vescovi-feudatari più esperti nell'arte di schierare le truppe o in quella di stanar l'orso e inseguire il cinghiale che non nell'ubbidienza al Signore. Con le Crociate nasceva a poco a poco un nuovo modo di essere "guerriero di Cristo": fino ad allora, tale espressione era stata usata in modo simbolico per i martiri, vittime delle persecuzioni; ora la si impiegava a indicare quei cavalieri che sceglievano di porre la loro forza al servizio della chiesa cattolica romana. La nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia nacque come etica penitenziale proposta a un ceto di combattenti professionisti per i quali la lotta e il ri- Saverio Papicchio Re Manfredi schio della vita divenivano, ora, opere meritorie, mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in luce l'essenza dello spirito di crociata. Il monaco Pietro l'Eremita fu il grande div ulgatore della Crociata tra le popolazioni. Un entusiasmo incred ibile pervase le masse per accorrere in Palestina e strappare ai musulmani il dominio della Terra Santa e vendicare gli oltraggi e le ingiurie sofferte dai pell egrini. Una folla di nobili e popolani (circa 300.000 persone) partì per la Palestina nel mese di agosto 1097 sotto la guida di Goffredo di Buglione, duca di Lorena. Ebbe così inizio la prima Crociata (1097-1099). Soldati crociati Raggiunta Costantinopoli, iniziarono duri combattimenti con i turchi in Asia Minore. Dopo aver riportato vittorie su di essi, il 15 luglio 1099 presero d'assalto Gerusalemme e liberarono il Santo Sepolcro. Ma a quale prezzo! I crociati si abbandonarono ad ogni cru- 14 Saverio Papicchio 15 Re Manfredi deltà, non risparmiando né il sesso, né l'età, né gli stessi giudei. Goffredo di Buglione assunse il titolo di "difensore e protettore del Santo Sepolcro", e suo fratello, più tardi, ebbe il titolo di "re di Gerusalemme". Ma la situazione della Palestina rimaneva precaria, per cui furono necessarie altre sette Crociate, che si succedettero nel corso di due secoli, senza che alla fine Gerusalemme sia stata definitivamente tolta ai turchi. I Papi, in seguito, cercarono di indurre i Principi ad organizzare altre Crociate, ma inutilmente. Agli inizi il successo delle Crociate contribuì a rafforzare l'autorità papale, ma in seguito agli scacchi subiti, essa ne uscì ridimensionata. Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero, definirà significativamente i papi come "lupi travestiti da agnelli". Le Crociate infatti non furono imprese missionarie, ma piuttosto pellegrinaggi militari; furono manifestazioni di uno «zelo senza conoscenza», direbbe Paolo apostolo (Rm. 10:2), perché male illuminato e contrario allo spirito del Vangelo e ad ogni insegnamento di Cristo. LE CROCIATE E LA PREDICAZIONE DEI PAPI Promettendo ai partecipanti indulgenze ecclesiastiche ed esenzione dalle imposte, papa Urbano II aveva dato ai crociati due mete che sarebbero rimaste prioritarie per secoli, nelle Crociate orientali. La Saverio Papicchio Re Manfredi prima era liberare i cristiani dell'Est. Così ebbe a scrivere il suo successore, Papa Innocenzo III: "Come può l’uomo che ama, secondo il precetto divino, il suo prossimo come se stesso, sapendo che i suoi fratelli di fede e di nome sono tenuti al confino più stretto dai perfidi musulmani e gravati della servitù più pesante, non dedicarsi al compito di liberarli? Forse non sapete che molte migliaia di cristiani sono avvinte in ceppi ed imprigionate dai musulmani, torturate con tormenti innumerabili?" "Fare una crociata era vissuto come un atto di amore". In questo caso, apparentemente, l'amore del proprio prossimo. I Papi equipararono la partecipazione alle Crociate all'offrire aiuto a Cristo stesso (nell'indire la quinta Crociata, nel 1215, Innocenzo III scrisse: "Cristo non vi condannerà per il vizio dell'ingratitudine ed il crimine dell'infedeltà, se voi rifiutate di aiutarLo?"). L'indulgenza ricevuta per la partecipazione alle Crociate fu equiparata canonicamente all'indulgenza per il pellegrinaggio. CROCIATE... CRISTIANE ? Ma cosa avevano di cristiano le Crociate? Uccidere il proprio nemico per liberare un fratello prigioniero è un insegnamento di Cristo? Il Signore Gesù Cristo ha detto molto chiaramente: "Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pre- 16 Saverio Papicchio 17 Re Manfredi gate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano" (Matteo 5:44-46). E ancora: "Non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, l asciagli anche il mantello" (Matteo 5:39). L'insegnamento apostolico, cui i papi avrebbero dovuto rifarsi se realmente fossero dottori della chiesa, è: "Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, viv ete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore. Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene" (Romani 12:17-21).Se fosse giustificabile la violenza "cristiana" a scopo difensivo e "per amore del prossimo", cosa dovremmo dire dei milioni di cristiani perseguitati ai giorni nostri nel mondo? Essi, che come i primi cristiani conoscono l'oppressione, il martirio, l'ingiustizia, sofferenze di ogni genere solo perché cristiani, come reagiscono? Pregando per i loro persecutori, parlandogli dell'amore del loro Salvatore anche quando stanno per essere giustiziati, così come Gesù mentre era inchiodato sulla croce chiedeva al Padre il perdono per i suoi carnefici. Gesù è l'esempio che dobbiamo seguire, non gli uomini. Saverio Papicchio Re Manfredi Concludiamo con le parole d'esortazione che ci sono rivolte dall'apostolo: "Siate miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che camminano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti camminano da nemici della croce di Cristo (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo)... Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore" (Filippesi 3:17-20). cavaliere crociato 18 Saverio Papicchio 19 Re Manfredi I Templari Le origini dei Cavalieri Templari si possono capire solo se si conosce ed analizza la storia della prima Crociata guidata dal famosissimo Goffredo di Buglione. Papa Urbano II al concilio di Clermont (1095) incita le genti alla "guerra all'infedele", in molti presero parte, venendo da ogni regione e di qualsiasi ceto sociale; povera gente, commercianti, nobili cavalieri e principi. La Prima Crociata riuscì a liberare Gerusalemme. Lo scopo "spirituale" e non economico di questa Crociata si evidenziò dal comportamento di Goffredo di Buglione, che dopo aver conquistato Gerusalemme si rifiutò di diventarne il Re ritenendosi soltanto "Difensore del Santo Sepolcro". Dopo aver riconquistato Gerusalemme, molti Crociati, assolto il loro compito, che era quello di permettere ai cristiani di andare a pregare in Terra Santa tornarono in Europa, lasciando Gerusalemme quasi senza protezione. Proprio in questo momento iniziò la "leggenda" dei Cavalieri Templari. Hugues de Payns insieme ad altri otto cavalieri (Bysol de Saint Omer, Andrè de Montbard zio di San Bernardo da Chiaravalle, Archambaud de Saint Ai- Saverio Papicchio Re Manfredi gnan, Gondemar, Rossal, Jacques de Montignac, Philippe de Bordeaux e Nivar de Montdidier) partirono dalla Francia per andare in Terra Santa con lo scopo dichiarato di difendere i pellegrini dagli attacchi dei musulmani. Ma questi nove Cavalieri avevano anche un altro scopo, uno "scopo segreto", trovare antiche reliquie (Arca dell’Alleanza, Santo Graal). All’inizio furono chiamati i "Poveri Cavalieri di Cristo" ed erano un Ordine monastico e guerriero. Questo Ordine fu una cosa riv oluzionaria per quel tempo. Infatti i ceti sociali dell’epoca si dividevano tra: Bellatores (coloro che combattevano), Oratores (col oro che pregavano), e Laboratores (coloro che lavoravano). I Cavalieri Templari unirono la mansuetudine del monaco alla forza del guerriero I monaci tradizionali avevano tre voti: obbedienza, povertà e castità. I Cavalieri Templari, oltre a questi tre voti, ne avev ano un quarto, cioè lo "stare in armi", quindi il combattimento armato. Furono dei veri e propri monaci guerrieri. Questi nove Cavalieri, si presentarono nell’Anno Domini 1119 al Re di Gerusalemme Baldovino II dichiarando di essere disposti a proteggere i pell egrini e a controllare le strade di Gerusalemme. Questi cavalieri, erano coperti da un semplice mantello bianco senza nessun altro fregio o armatura luccicante. 20 Saverio Papicchio 21 Re Manfredi Hugues de Payns disse al re, che non erano le vesti che facevano i buoni e coraggiosi cavalieri, ma il cuore. Il Re Baldovino II, dopo averli ascoltati, diede loro come quartier generale un'ala del monastero fortificato di Nostra Signora di Sion, accanto a quello che era stato il Tempio di Salomone. I cavalieri cominciarono così a controllare le strade come promesso al re, il quale fu soddisfatto del loro operato. Dopo poco tempo, con l’aumentare dei cavalieri, il quartier generale si trasferirsi, andando ad occupare tutta l'area di quella che era la spianata del Tempio di Salomone, ossia l'area fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa. A questo punto presero il nome di "Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Gerusalemme", e furono più semplicemente riconosciuti come "Templari". In questo periodo i Cavalieri Templari incontrarono grandi difficoltà, sia dal punto di vista militare (erano pochi) sia dal punto di vista economico. Per questi motivi Hugues de Payns tornò in Francia nel 1127 a cercare rinforzi morali ed economici. Proprio in questo periodo avviene la svolta decisiva dell’Ordine del Tempio: Hugues de Payns dopo aver incontrato a Roma il Papa Onorio II arriv a a Troyes. Bisogna ritenere che la creazione di questo Ordine non aveva precedenti nella storia cristiana, e, anche il Papa mostrava evidenti segni di imbarazzo. Certo, i Cavalieri Templari non furono i primi monaci con altre finalità oltre la preghiera e la meditazione, Saverio Papicchio Re Manfredi anche i Cavalieri di San Giovanni conosciuti come Ospitalieri o Gerosolimitani e oggi come Cavalieri di Malta già esistevano, ma non avevano il voto delle armi, si occupavano soprattutto della cura dei feriti, degli invalidi e dei pellegrini in seguito però, sull’esempio dei Cavalieri Templari presero anche loro le armi. Anche i Cavalieri Teutonici presero le armi, copiando sia la Regola Latina Templare, sia la div isa, con l’eccezione del colore della Croce nera inv ece che rossa dei Cavalieri Templari. Lo stesso dicasi per gli altri Ordini Cavallereschi, soprattutto quelli della Penisola Iberica. Era necessario quindi trovare una posizione chiara e precisa, avendo anche una Regola Latina che si adattasse perfettamente alla situazione. Questa Regola Latina fu redatta da uno dei personaggi più carismatici ed autorevoli del tempo: San Bernardo da Clairvaux (Chiaravalle) appartenente all’ordine monastico nato a Cistercium (I Cistercensi) e fondatore dell’abbazia di Chiaravalle. Fu proprio nel Concilio di Troyes (1128) che venne presentata la Regola Latina e l’Ordine. Oltre al Papa Onorio II ed allo stesso San Bernardo da Chiaravalle, erano presenti anche gli arciv escovi di Reims, Sens, Chartres, Amiens e Tolosa, oltre ai v escovi di Auxerre, Troyes e Payns. Tutti gli Statuti dell'Ordine furono approvati e la Regola Latina Templare fu sottoscritta da tutti e vi fu apposto il sigillo papale, mentre Hugues de Payns, anch'egli presente al Concilio, fu nominato Gran Maestro 22 Saverio Papicchio 23 Re Manfredi dell'Ordine. In questo Concilio fu presentato il "De laude novae militiate",vero e proprio proclama di esaltazione dell'Ordine Templare. Ne citiamo una parte: "Una nuova cavalleria è apparsa nella terra dell'Incarnazione... essa è nuova, dico... che si combatta contro il nemico non meraviglia... ma che si combatta anche contro il Male è straordinario... essi non vanno in battaglia coperti di pennacchi e fronzoli, ma di stracci e con un mantello bianco... essi non hanno paura del Male in ogni sua forma... essi attendono in silenzio ad ogni comando aiutandosi l'un l'altro nella dottrina insegnata dal Cristo... essi fra l oro non onorano il più nobile, ma il più valoroso... essi sono i Cavalieri di Dio... essi sono i Cavalieri del Tempio". Da un altro scritto relativo all’Ordine Templare redatto da San Bernardo da Chiaravalle si capisce ulteriormente lo spirito dei Cavalieri Templari: "Le armi nemiche avrebbero forse avuto paura dell'oro, avrebbero rispettato gemme e non oltrepassato la seta? sono necessarie solo tre cose: abilità, prontezza e circospezione; abilità nel cavalcare, prontezza nel colpire, circospezione nel guardarsi quando ci si recasse in terre e fra genti sconosciute". A Troyes poi i Cavalieri Templari adottarono il motto: "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", ossia "Non a noi, Signore, non a noi, ma al Tuo nome da gloria". E’ facile immaginare come un simile motto potesse accendere gli animi. Saverio Papicchio Re Manfredi La Regola Latina Templare era formata da 72 articoli ed era durissima. Veniva vietato qualsiasi contatto con le donne (non si poteva baciare neanche la madre, ma bisognava salutarla compostamente chinando il capo), non si poteva andare a caccia, erano banditi il gioco dei dadi e delle carte, aboliti mimi, giocolieri e tutto ciò che è divertimento, non si poteva ridere scompostamente, parlare troppo o urlare senza motivo, i capelli andavano corti o rasi, in inverno la sveglia era alle 4 del mattino, in estate alle 2, bisognava dormire "in armi" per essere sempre pronto alla battaglia "...il demonio colpisce di giorno e di notte, quindi che si difenda il Sacro Sepolcro dall'alba all'alba successiva sempre in armi..."… C’erano regole anche sul mangiare e sul vestirsi. Bisognava veramente avere una sincera e profonda vocazione per sottostare a tali ferree regole. Dopo questa ufficiale approvazione ecclesiastica, la fama dell'Ordine del Tempio crebbe rapidamente, e con essa aumentò anche la potenza e la ricchezza dell'Ordine stesso, che ricevette elargizioni e donazioni spontanee praticamente da ogni ceto sociale. Ogni elargizione o donazione veniv a usata per finanziare la campagna di guerra in Terra Santa, e tutti, pur non partecipando attivamente alla guerra, potevano però dare il loro contributo: in pratica, donare ai Cavalieri Templari significava contribuire materialmente alla liberazione dei "Possessi di Dio" come veniva chiamata spesso la Terra Santa. 24 Saverio Papicchio 25 Re Manfredi L'Ordine Templare crebbe anche in prestigio, tanto che i nobili facevano a gara per entrare nell'Ordine. A causa delle moltissime donazioni ed elargizioni, Hugues de Payns dovette lasciare in Francia parecchi confratelli per amministrare l'enorme patrimonio acquisito, onde far fronte alle grosse spese delle campagne di guerra in Terra Santa. Di vitale importanza fu la bolla "Omne datum optimum" del 1139, di Papa Innocenzo II che concesse all'Ordine la totale indipendenza, compreso l'esonero dal pagamento di tasse e gabelle, oltre al fatto che l'Ordine non doveva rendere conto a nessuno del suo operato, tranne che al Papa. Così l’Ordine Templare divenne un organismo a parte con una posizione molto priv ilegiata. Hugues de Payns tornò a Gerusalemme con un gran numero di reclute, che divennero perfetti Cavalieri Templari. I Cavalieri Templari si distinsero sempre per la loro incredibile determinazione in battaglia, avevano una disciplina disumana e una spietata fermezza di fronte all’avversario. Non a caso veniv ano chiamati dai musulmani i "diavoli rossi", mentre i Gerosolimitani erano chiamati i "diavoli neri". Pretendevano il priv ilegio della prima linea durante i combattimenti, molto spesso dovettero pagare con un alto tributo di sangue questo privilegio, ma con la loro fama di essere i più valorosi difensori della Croce non avevano difficoltà a reclutare nuovi combattenti. Le loro sconfitte furono assai poche, furono gli ultimi Saverio Papicchio Re Manfredi a lasciare la Terra Santa e nell’assedio di Giovanni d'Acri non mollarono fino all’ultimo, la difesa della fortezza che era chiaramente senza speranza, benché senza alcun pericolo potevano salvarsi via mare, ma i Cavalieri Templari combatterono e morirono quasi tutti. Non potendo più guidare l’avanguardia in battaglia si trasformarono in retroguardia e sacrificarono così le loro vite. E’ tragico pensare che i Cavalieri Templari sopravvissuti ai Musulmani caddero poi vittime nel 1314 dei carnefici del Re di Francia Filippo IV il Bello (Cristiano) e del Papa Clemente V, tra di essi c’era anche l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay e il precettore di Normandia Goffredo di Charney. Ma i Templari non furono protagonisti solo in Terra Santa: quando le orde dei Mongoli minacciarono l’Europa i Cavalieri Templari contribuirono non poco alla sua difesa, che trovò provvisoria soluzione con la battaglia di Liegnitz nel 1241. Nella penisola iberica i sovrani di Spagna e Portogallo difficilmente avrebbero conseguito le loro vittorie senza i Cavalieri Templari, affidando loro le proprie fortezze più munite e ricompensandoli con munifiche donazioni. Anche la flotta Templare era tra le migliori, nessuno si sarebbe mai azzardato ad attaccare una nave battente bandiera Templare e i Musulmani se ne tenevano ben alla larga. Bernardo da Chiaravalle, riprendendo il concetto della "guerra giusta" espresso da Sant'Agostino, considerò il voto templare dell'uso delle armi contro 26 Saverio Papicchio 27 Re Manfredi gli infedeli non una intenzione di "omicidio", ma una vera e propria azione contro il Male, ossia un "malicidio" ("De laude novae militiate"), anche perché i Cavalieri Templari difendevano i Luoghi Santi, che dovevano essere a disposizione di tutti, quindi chiunque avesse preteso di tenerli soltanto per se sarebbe stato considerato "malvagio" e andava quindi eliminato. In quel tempo il Cavaliere Templare era il Guerriero di Dio per antonomasia, ed il suo compito era serv ire Dio combattendo l’eresia e le ingiustizie. Una grave ingiustizia era quella perpetrata dai musulmani in Terra Santa. Fin dall’800, infatti, i pellegrini che si recavano al Santo Sepolcro venivano uccisi, derubati, le donne violentate, nel migliore dei casi veniva imposta l oro una forte tassa. La setta degli "Assassini" nacque proprio in questo periodo ed aveva come scopo l’uccisione sistematica dei pellegrini Cristiani. Questo atteggiamento intollerante da parte dei musulmani portò ad una reazione violenta degli Europei. Bernardo da Chiaravalle con "De laude novae militiate" espresse bene questa mentalità. Le Crociate avevano un costo altissimo, sia per gli armamenti, per il viaggio, per la costruzione di fortezze, e queste spese non potevano essere affrontate dai soli Cavalieri Templari, che nei loro monasteri si dedicavano per lo più alla coltiv azione e all’allevamento. Le ricchezze ottenute dai Cavalieri Templari furono immense e loro stessi furono bravi a Saverio Papicchio Re Manfredi gestirle: investirono il denaro munificamente, soprattutto facendo servizio di tesoreria e prestiti per nobili e re. Gli affari che svolgevano erano soprattutto di quattro categorie: 1) deposito tributi e somme di denaro di un principe votatosi alla Crociata 2) trasferimento in Terra Santa di dette somme 3) riscossione delle decime pontificie per le crociate 4) prestiti a principi o nobili, che motivassero tale bisogno di denaro con pii motivi. Inventarono l’assegno o lettera di cambio: per esempio i pellegrini che si volevano recare in Terra Santa, ma avevano paura di essere rapinati, potevano l asciare denari in una qualsiasi magione templare e ricevere una quietanza di riscossione; all’arrivo in Terra Santa portavano la quietanza nella magione e tornavano in possesso della somma di denaro lasciata prima della loro partenza. Da notare che il più famoso sigillo templare era un cavallo cavalcato da due cavalieri che stava ad indicare la povertà iniziale dei cavalieri che erano costretti ad andare in due su un solo cavallo e il dualismo universale delle cose, a cui si rifà il loro ideale, cioè la convivenza pacifica in Terra Santa della cultura Cristiana e di quella Islamica. I Cavalieri Templari godevano di un’altissima stima da parte delle popolazioni Medioevali, li vedevano come la Cavalleria di Cristo, i Cavalieri Templari erano l’incarnazione del vero spirito Cavalleresco, che San Bernardo da Chiaravalle contribuì ad esal- 28 Saverio Papicchio 29 Re Manfredi tare con i suoi scritti, ma non solo, scriv eva infatti Papa Clemente III nel 1191: "Consacrati al servizio dell’Onnipotente, vanno considerati parte della Cavalleria Celeste". Anche Pietro il Venerabile ammoniva: "Chi non si rallegra con tutto il suo animo in Dio suo Salvatore, che la Cavalleria dell’Eterno, i Templari, abbia lasciato gli accampamenti celesti per scendere a ingaggiar nuove battaglie, a battere i principi di questo mondo, a sconfiggere i nemici della Croce di Cristo?... e siete Monaci nelle vostre virtù, Cavalieri nelle vostre azioni; le une le realizzate con la forza dello spirito, le altre le esercitate con la vigoria del corpo". Tra i Cavalieri Templari vigeva l’assoluto rispetto per i superiori, esistevano infatti dei Marescialli, dei Precettori, dei Balivi, dei Priori, dei Gran Priori. Era una organizzazione perfetta, visto che ognuno per la gestione interna era totalmente indipendente dall'altro, e ognuno doveva rendere conto al suo superiore diretto, fino ad arriv are al Gran Maestro che era il "primus inter pares". Saverio Papicchio Re Manfredi Templare in preghiera La prima vera battaglia Templare fu con il secondo Gran Maestro, Robert de Craon, nel 1138 a Tecua, vicino Ghaza, dove i Templari ebbero una gravosa sconfitta, dovuta al fatto che i comandanti Crociati non vollero ritirarsi dopo aver conquistato la città (rifiutando il consiglio di Robert de Craon, visto che la città non era sufficientemente fortificata) dando il tempo ai musulmani di riorganizzarsi e di reagire compiendo un vero e proprio massacro. La situazione in Terra Santa comunque non era delle migliori, un valoroso condottiero islamico dominava la scena: Zinki (Zengi), un uomo che riuscì a riunire gli sceiccati mettendo assieme un formidabile esercito di oltre 100.000 uomini pronti a tutto pur di riconquistare le loro terre. Zengi iniziò fra i musulmani 30 Saverio Papicchio 31 Re Manfredi la predicazione della "jihad" o guerra santa, incitandoli alla riconquista dell'intero Oriente. Alla testa del suo esercito, nel 1128 si impadronì di Aleppo e il Principato di Antiochia, fino a conquistare nel 1144 Edessa e tutta la sua Contea. La caduta di Edessa provocò un grande scalpore in Europa, e Baldovino III chiese al Papa Eugenio III di bandire un'altra crociata (Seconda Crociata), cosa che avvenne il 1 dicembre 1145 con le relativ e bolle pontificie. Bernardo da Chiaravalle girò l’Europa esortando le folle e i Re (tra cui Corrado III di Germania). Le truppe Crociate partirono, ma separate, i francesi via mare, mentre i tedeschi via terra. I tedeschi nel bel mezzo delle montagne furono attaccati e quasi completamente distrutti dall'esercito turco selgiuchida, tanto che i crociati persero quasi tutte le truppe, e si ritirarono a Nicea, dove attesero l'esercito francese condotto da Luigi VII. I francesi arrivarono insieme ai Cavalieri Templari e al loro Gran Maestro Evrard des Barres, ma furono subito attaccati dai musulmani e non riuscirono a trovare un sicuro riparo nella città di Laodicea. I crociati francesi erano allo stremo ed ormai molti disertavano e si ribellavano ai loro ufficiali: solo i Cavalieri Templari rimanevano nei ranghi compatti e disciplinati. A questo punto Evrard des Barres, dopo un colloquio con Luigi VII, prese il comando dell'esercito, riorganizzandolo, ponendo a capo di ciascun gruppo di 100 soldati un Cavaliere Templare. Dopodiché si ritrovarono a Gerusalemme Luigi VII, Saverio Papicchio Re Manfredi Corrado III, Il Gran Maestro Templare, quello degli Ospitalieri e quello dei Teutonici, che insieme presero una sventurata decisione: attaccare e conquistare Damasco. La seconda Crociata finì nel sangue, e a Damasco ci fu una terribile sconfitta degli Europei, schiacciati da Nur al-Din (successore di Zengi) e dal suo esercito. Nel 1150, Baldovino III dopo aver fatto fortificare la città di Gaza la donò ai Cavalieri Templari, perché la difendessero e perché facessero da sentinelle al sud della Palestina. Non solo da parte dei Crociati furono commesse delle atrocità, ma anche da parte musulmana. Infatti il 25 gennaio 1153, l'intero esercito cristiano si accampò per assediare Ascalona, ma dopo quattro mesi, ogni attacco alla città veniva sistematicamente respinto. Verso la fine di luglio 1153, una torre mobile dell'esercito cristiano prese fuoco, e venne scagliata contro le mura della città: il forte impatto ed il cal ore provocarono una breccia dove si trovava un gruppo di Cavalieri Templari guidati da Bernard de Tramelay. Quest’ultimo vista la breccia colse al volo la possibilità di buttarsi in prima linea e quindi si lanciò con quaranta Cavalieri Templari dentro la breccia. Gli altri Crociati in quel momento si trovavano dall’altra parte della città e non fecero in tempo a seguire i Cavalieri Templari che si erano gettati all’interno di Ascalona. I musulmani, vedendo solo quaranta uomini, contrattaccarono, massacrando i Cavalieri 32 Saverio Papicchio 33 Re Manfredi Templari e lo stesso Bernard de Tramelay. I corpi dei Cavalieri Templari furono appesi per i piedi fuori dalle mura, e le loro teste lanciate sul campo cristiano con delle piccole catapulte. La furia dei cristiani a questo spettacolo fu tale che il 19 agosto 1153, dopo un formidabile ed intenso assedio, Ascalona fu presa e messa a ferro e fuoco. Dopo questo evento seguì un periodo di relativ a pace. Che permise a Salah al-Din più noto come Saladino di riorganizzare l'esercito musulmano, portandolo ad oltre 200.000 uomini, con i quali attaccò il Cairo, sbarazzandosi del visir Shawar, ormai amico dei cristiani, e rivolgendosi direttamente contro Gerusalemme. Tutto il mondo musulmano si unì a Saladino contro i cristiani nel 1174. Nel novembre 1174 Saladino entrava a Damasco, ed il 9 dicembre dello stesso anno entrava ad Homs, per poi proseguire per Aleppo, che venne assediata il 30 dicembre. Nel 1178, Baldovino III fece costruire una fortezza, chiamata "Guado di Giacobbe", che fu affidata ai Cavalieri Templari. Nel febbraio del 1179 Saladino attaccò ed invase la Galilea, senza però tener conto della resistenza della fortezza templare del "Guado di Giacobbe", che non cadde, ed impedì a Saladino di raggiungere Gerusalemme. Il 10 giugno 1179, presso Mesaphat, l'esercito cristiano di Raimondo III ed i Cavalieri Templari si scontrarono con i 200.000 uomini dell'esercito musulmano. Fu un massacro, tanto che Saladino poi conquistò il "Guado di Giacobbe", giustiziando tutti i Cavalieri Saverio Papicchio Re Manfredi Templari di stanza nella fortezza, e prendendo prigioniero il Gran Maestro, Eudes de Saint-Amand, che però non volle che fosse pagato nulla per il suo riscatto, e finì i suoi giorni morendo di fame e di stenti nel carcere di Damasco. Nel 1187, Rinaldo di Chatillon, marciò irresponsabilmente verso Medina e La Mecca, con l'intento di appropriarsi della "pietra nera", simbolo sacro musulmano. Questo suo intento scatenò le ire degli arabi, e Saladino radunò ed organizzò il più grande esercito che si sia mai visto: fra cavalieri, arcieri e fanti, oltre 300.000 uomini erano agli ordini del condottiero musulmano. La battaglia decisiva si svolse ai corni di Hattin il 4 Luglio 1187. L'esercito Crociato dopo vari giorni di dura marcia e senza acqua si scontrò con l'esercito di Saladino. Saladino riuscì ad accerchiare l'esercito Cristiano che fra l'altro non aveva un'unica guida, ma ogni reggimento aveva un suo capo. Gli Ospitalieri erano guidati da Ruggero di Les Moulins, i Cavalieri Templari da Gerard de Ridefort e le altre truppe Cristiane da Rinaldo di Chatillon e da altri Baroni; così div iso l'esercito Cristiano perse molto in efficacia e se ci si aggiungono la stanchezza e la sete si capisce bene perché i Cristiani furono duramente battuti. Gli arcieri a cavallo musulmani riuscirono fin troppo bene a tenere a bada la fanteria Cristiana, mentre la fanteria di Saladino ebbe l'arduo compito di reggere le devastanti cariche della Cavalleria pesante europea. 34 Saverio Papicchio 35 Re Manfredi La battaglia durò diverse ore, ma alla fine, con la graduale perdita di consistenza delle cariche della cavalleria pesante, i musulmani ebbero la meglio. L'esercito Cristiano fu duramente battuto e soltanto in pochissimi si salvarono: tra questi c'era Gerard de Ridefort. Da ricordare che il Gran Maestro degli Ospitalieri aveva sconsigliato di attaccare, ma di concentrare tutto l'esercito su un fronte e cercare di sfondare per scappare da quella fin troppo ovvia trappola mortale; Gerard de Ridefort rispose sprezzante al Gran Maestro degli Ospitalieri: "Amate troppo la vostra bionda testa per temere di perderla in battaglia". Il cavaliere di rispose: "Io morirò in battaglia da uomo coraggioso, ma sarete voi a scappare come un coniglio ed un traditore". Ed infatti così fu. Gerard de Ridefort venne poi ucciso da Saladino in persona che gli staccò la testa dal busto con un colpo di scimitarra. Questa sconfitta portò a non poche ripercussioni per i Regni Cristiani in Terra Santa. Dopo questa battaglia caddero in mano araba Tiberiade, San Giovanni d'Acri, Nablus, Jaffa, Sidon ed Ascalona. Rimaneva Gerusalemme. Dopo alcune settimane di assedio, il 2 ottobre 1187 Gerusalemme cadde nelle mani di Saladino. La crociata che ne seguì (Terza Crociata), guidata dal famoso Riccardo I Cuor di Leone e da Federico I Barbarossa (che morì annegato prima di arrivare in Terra Santa) si risolse soltanto con un patto con i musulmani che Saverio Papicchio Re Manfredi lasciarono una striscia di terra sul mare ai Cristiani da Tiro a Jaffa, come porto per lo scalo dei pell egrini. Gerusalemme rimase in mani musulmane e Saladino fece abbattere tutte le croci ed in general e i segni Cristiani nella città e codici e scritti della Bibbia, sostituendoli con mezzelune e simboli sacri all’islamismo. Saladino però si mostrò magnanimo con la popolazione di Gerusalemme che venne risparmiata, anche se dietro il forte pagamento di un riscatto. Ad aggravare la situazione giunsero anche i Mongoli che, oltre ad attaccare l’Est Europeo, si scagliarono anche contro la Terra Santa e nel 1244 le truppe mongole insieme a quelle egiziane entrarono a Gerusalemme, dopo aver abbattuto la resistenza dei Cavalieri Templari e Ospitalieri che si dimostrarono delle vere e proprie macchine da guerra, tenendo in scacco l’esercito mongolo per molto tempo, prima di cadere. Si salvarono solo 33 Cavalieri Templari, 26 Ospitalieri e 3 Teutonici. (uno di loro sarà un fedele compagno di battaglia di Re Manfredi) A questo attacco rispose il Papa Innocenzo III che bandì una nuova Crociata. I Cavalieri Templari e gli Ospitalieri poterono ancora dimostrare il loro coraggio, soprattutto nella battaglia di Al -Mansura (1250), ma anche questa volta la Crociata finì per essere un massacro e si concluse con un nulla di fatto. Gli eserciti Crociati e gli Ordini Cavallereschi avevano subito moltissime perdite in queste battaglie. Inizialmente i Cristiani proposero un’alleanza ai mu- 36 Saverio Papicchio 37 Re Manfredi sulmani per combattere i mongoli. I musulmani rifiutarono e aspettarono l’indebolimento dei due eserciti (cristiano e mongolo), dopodiché attaccarono. Dopo la caduta del regno di Gerusalemme, il 6 aprile 1291 San Giovanni d'Acri fu assediata da oltre 50.000 uomini. I Cavalieri Templari tennero duro: il 18 maggio tutta San Giovanni d'Acri era in mano musulmana, tranne la fortezza dove si erano arroccati gli ultimi 150 Cavalieri Templari. Tennero testa a tutti gli attacchi per dieci giorni, fino a quando i musulmani non riuscirono a forzare le difese, sfruttando anche il loro numero elevato. Morirono tutti quanti, tranne una decina che scamparono. L'avventura cristiana in Terra Santa era definitiv amente terminata. In due secoli i Cavalieri Templari avevano lasciato sul terreno dei oltre 12.000 cavalieri. Nel 1303 i Cavalieri Templari vennero battuti sull'isolotto di Ruad e tornarono in Europa. Nei quasi due secoli trascorsi in Terra Santa, i Cavalieri Templari persero sette Gran Maestri in combattimento, cinque in seguito a ferite e uno nelle prigioni saracene. Dunque tredici, sui ventitré Gran Maestri di tutta la storia dell'Ordine. L'ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay, si preparava a rendere più forte l'Ordine nella Francia di Filippo IV il Bello. Portando con sé il tesoro accumulato in Terra Santa. I Cavalieri Templari erano ricchissimi e potenti, un vero Stato nello Stato e non soltanto in Francia, dove pare fossero quindicimila. Tanta ricchezza e tanta potenza sca- Saverio Papicchio Re Manfredi tenò l’invidia del Re di Francia Filippo IV il Bello che determinò, con l’aiuto e l’inettitudine di Papa Cl emente V, la fine dell'Ordine. Il Re di Francia Filippo IV il Bello infatti, già scomunicato nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, pensò che invece di restituire i capitali che gli erano stati prestati dai Cavalieri Templari per condurre le varie guerre con Aragonesi, Inglesi e Fiamminghi, fosse più economico eliminare l'Ordine dei Cavalieri Templari e impossessarsi dei loro beni. Venne dunque istruito un processo-farsa per eresia che durerà ben sette anni (dal 1307 al 1314) contando sulla testimonianza di due Cavalieri Templari espulsi dall’Ordine. Li si accusò di essersi dati a pratiche diaboliche, di idolatria, di sodomia e di riti iniziatici. Sottoposti a tortura molti Cavalieri Templari confessarono, persino il Gran Maestro. Ciò che stupisce è la loro arrendevolezza. Tutti o quasi si fecero prendere senza opporre resistenza. Forse Jacques de Molay sperava nella protezione del Papa, ma Clemente V non seppe o non volle opporsi ai voleri del Re di Francia. La bolla papale del 1312 sciolse l'Ordine senza prove ma per legittima suspicione. Jacques de Molay, ebbe la possibilità di salvarsi, ma ritrattò la confessione resa e venne condannato al rogo. Il 18 marzo 1314, Jacques de Molay e Goffredo di Charney, precettore di Normandia, salirono sul rogo, che gli uomini di Filippo IV il Bello avevano approntato su un'isoletta della Senna. Questo è ciò che riporta Goffredo di Parigi, testimone del supplizio:" Il Gran Maestro, quando vide il 38 Saverio Papicchio 39 Re Manfredi fuoco acceso, si spogliò senza esitazioni. Riferisco come lo vidi. Egli si tolse gli indumenti, esclusa la camicia, lentamente e con aspetto tranquillo, senza affatto tremare, sebbene lo spingessero e lo scuotessero molto. Lo presero per assicurarlo al palo e gli legarono le mani con una corda, ma egli disse ai suoi carnefici:" almeno, lasciatemi congiungere un po’ le mani e dire a Dio la mia preghiera, poiché questo ne è il momento, essendo in punto di morte; e Dio sa, ingiustamente. Ma accadranno ben presto disgrazie a coloro che ci condannano senza giustizia. Dio vendicherà la nostra morte; muoio con questa convinzione. La leggenda dice che, prima di morire, il Gran Maestro dei Templari avesse convocato davanti al Tribunale di Dio il Papa entro 40 giorni e il Re di Francia Filippo IV il Bello entro l'anno. Trentasette giorni dopo il supplizio morì Clemente V. Otto mesi dopo, lo seguì il Re di Francia. spada Gran Maestro Templare Saverio Papicchio Re Manfredi La crociata e la scomunica di Federico II da parte di Gregorio IX Negli anni seguenti Federico si dedicò a riordinare il Regno di Sicilia, eludendo le continue richieste del papa Onorio III di intraprendere la crociata. Per dilazionare ulteriormente il suo impegno, Federico stipulò col papa un trattato (Dieta di San Germano, nel luglio 1225), con il quale si impegnav a a organizzare la crociata entro l'estate del 1227, pena la scomunica. In realtà il v ero obiettiv o di Federico era l'unione fra Regno di Sicilia e Impero, nonché l'estensione del potere imp eriale all'Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativ o di recuperare all'impero la marca di Ancona e il ducato di Spoleto, rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette all'occupazione di cinque v escov adi con sede v acante, alla confisca dei beni ecclesiali e alla cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei v escov i, pretendendo di provvedere direttamente alle nomine. Il papa era molto adirato con Federico sia perché non av eva adempito ai patti di tenere separati Impero e Regno di Sicilia, sia perché non rispettav a la libertà del clero nei suoi territori intromettendosi sistematicamente nell'elezione dei v escov i e perché non partiv a per la crociata: durante la fallimentare crociata del 1217-1221 (la quinta) Federico si era ben guardato da aiutare i crociati, av endo più a cuore la pace con il sultano d'Egitto i cui territori erano così v icini alla Sicilia e con il quale era in rapporti di amicizia diplomatica. Nel frattempo, a causa delle mire di controllo sull'Italia da parte di Federico, era risorta nel nord Italia la Lega Lombarda: nell'aprile 1226 Federico conv ocò la Dieta 40 Saverio Papicchio 41 Re Manfredi di Cremona con il pretesto di preparare la crociata ed estirpare le dilaganti eresie, ma questa non poté av ere luogo per l'opposizione della Lega Lombarda, che impedì l'acceso ai delegati mentre Federico non av eva al nord forze sufficienti per contrastare i Comuni ribelli. Il 9 settembre 1227, pressato dal successore di Onorio, papa Gregorio IX, e sotto la minaccia di scomunica, Federico tentò di onorare la promessa fatta al predecessore partendo per la sesta Crociata, ma una pestilenza scoppiata durante il v iaggio in mare che falcidiò i crociati lo costrinse a rientrare a Otranto: lui stesso si ammalò e dov ette ritirarsi a Pozzuoli per rimettersi in sesto. Gregorio IX interpretò questo comportamento come un pretesto e, conformemente al trattato di San Germano del 1225, lo scomunicò il 29 dello stesso mese a Bitonto. A nulla v alse una lettera di giustificazioni inviata al papa da Federico nel nov embre e la scomun ica fu confermata il 23 marzo 1228. Nella primav era 1228, Federico decise di partire per la Terrasanta, pur sapendo che durante la sua assenza il Papa avrebbe cercato di riunire tutti i suoi oppositori in Germania e in Sicilia, minacciando la Lombardia e il suo Regno Meridionale. Come riferito dal cronista Riccardo di San Germano, Federico celebrò a Barletta la Pasqua 1228 "in omni gaudio et exult atione" e ai primi di maggio del 1228, conv ocata sempre a Barletta un'assemblea pubblica, comunicò di persona le sue decisoni: nominò Rainaldo di Urslingen, già Duca di Spoleto, suo sostituto in Italia durante l'assenza; in caso di sua morte, nominò erede suo figlio Enrico re dei Romani e in seconda istanza il piccolo Corrado, nato pochi giorni Saverio Papicchio Re Manfredi prima ad Andria il 25 aprile da Jolanda di Brienne, che nel frattempo era morta in seguito al parto. Quindi seppur scomunicato, partì da Brindisi il 28 giugno1228 per la sesta Crociata. Federico ottenne il successo grazie a un accordo con il sultano ayyubide alMalik al-Kamil, nipote di Saladino: Gerusalemme v enne ceduta ma smantellata e indifendibile e con l'esclusione dell'area della moschea di Umar (ritenuta dai cristiani il Tempio di Salomone) che era un luogo santo musulmano. Questa soluzione av eva ev itato la battaglia e av ev a sollev ato Federico dall'incombenza della crociata. Il 18 marzo 1229 nella basilica del Santo Sepolcro Federico si incoronò re di Gerusalemme (in quanto erede del trono per av er sposato nel 1225 Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, nonostante l'opposizione del clero locale e di quasi tutti i feudatari). In lotta col papa Nel successiv o periodo di pace e distensione Federico approfittò per sistemare alcune questioni giuridiche nei suoi regni, con particolare riguardo a quello siculo. Il rinnov ato accordo fra il papa e Federico v enne utile a quest'ultimo allorché nel 1234 suo figlio Enrico si ribellò al padre: riv oltosi al papa, Federico ottenne la scomunica contro il figlio, lo fece arrestare e lo tenne prigioniero fino alla morte, avv enuta nel 1242. Alla corona tedesca v enne allora associato l'altro figlio Corrado IV (che non riuscì neppure lui a gov ernare in pace per l'opposizione dei nobili che gli misero dav anti una serie di antiré). 42 Saverio Papicchio 43 Re Manfredi Nel maggio dello stesso anno alcuni v iolenti tumulti, organizzati da famiglie ostili a Gregorio IX, costrinsero quest'ultimo a fuggire in Umbria. Federico, cui facev a molto comodo politicamente apparire come il difensore della Chiesa, accorse in armi, sconfisse i ribelli a Viterbo (ottobre 1237) e ristabilì Gregorio sul trono romano (1238). Tuttav ia egli non era v enuto meno ai suoi propositi di sottomettere l'Italia all'impero germanico, fav orendo l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche (la più potente fu quella dei Da Romano che gov ernava su Padov a, Vicenza, Verona e Trev iso). Nel nov embre 1237 Federico colse una notev ole v ittoria sulla Lega Lombarda a Cortenuov a, conquistando il Carroccio che inv iò in omaggio al papa. L'anno successiv o il figlio Enzo (o Enzio) sposò Adelasia di Torres, v edov a di Ubaldo Visconti, giudice di Torres e Gallura e Federico lo nominò Re di Sardegna. Ciò non potev a essere accettato dal papa, v isto che la Sardegna era stata promessa in successione al papa dalla stessa Adelasia. Alle rimostranze del pontefice, Federico rispose nel marzo 1239 tentando di sollev argli contro la curia e il papa lo scomunicò, indicendo anche un concilio a Roma per la Pasqua del 1241. Federico, per impedire lo sv olgimento del Concilio che av rebbe confermato solennemente la sua scomunica, bloccò le v ie di terra per Roma e fece catturare i cardinali stranieri in v iaggio per mare dalla flotta comandata dal figlio Enzo con una battaglia nav ale avv enuta presso l'isola del Giglio. Le truppe imperiali giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto 1241 l'anziano papa Gregorio IX morì e Federico, dichiarando diplomaticamente che lui combattev a il papa ma non Saverio Papicchio Re Manfredi la Chiesa (egli era sempre sotto scomunica), si ritirò in Sicilia. Dopo la morte di Gregorio IX, v enne eletto papa Goffredo Castiglioni, che prese il nome di Celestino IV, ma che morì subito dopo. La prigionia di due cardinali catturati da Federico e l'incombente minaccia delle sue truppe alle porte di Roma prov ocarono una v acanza al soglio pontificio di un anno e mezzo, periodo durante il quale si sv olsero frenetiche trattativ e. Infine il conclav e si tenne ad Anagni e fu eletto il genov ese Sinibaldo Fieschi che prese il nome di Innocenzo IV. Il 31 marzo 1244 fu stilata in Laterano una bozza di accordo fra Federico ed Innocenzo IV che prev edev a, in cambio del ritiro della scomunica, la restituzione di tutte le terre pontif icie occupate dall'imperatore, ma nulla dicev a sulle pretese imperiali in Lombardia. L'accordo non fu mai ratificato. Tra il 1243 e il 1246 Federico II trascorse le stagioni inv ernali a Grosseto, approfittando del clima mite e delle aree umide attorno alla città per praticare la caccia, suo passatempo preferito. In quegli stessi decenni, circolarono in Italia div erse opere di impronta apocalittica, che attribuiv ano a Federico un ruolo di protagonista nella riforma della Chiesa. In particolare, il commento al profeta Geremia Super Hieremiam (attribuito pseudoepigraficamente a Gioacchino da Fiore ma prodotto forse entro ambienti cistercensi o florensi e rielaborato e aggiornato entro ambienti francescani rigoristi) riconoscev a a Federico II un ruolo paradossalmente provv idenziale, proprio in quanto atteso persecutore della Chiesa corrotta e in special modo dei cardinali. 44 Saverio Papicchio 45 Re Manfredi Il declino e la fine Papa Innocenzo IV decise che l'assoggettamento della Lombardia all'impero non potev a essere accettato: av rebbe significato l'accerchiamento dei domini pontifici da parte dell'imperatore. Perciò decise di indire un Concilio per confermare la scomunica a Federico e far nominare un altro imperatore, riv olgendosi ai suoi nemici che in Germania erano numerosi. Giunto a Lione sv olse un'intensa attiv ità diplomatica presso i nobili tedeschi ed indisse un Concilio che si aprì il 28 giugno 1245. Lione, sebbene formalmente in Borgogna, quindi di proprietà dell'imperatore, era fuori dal tiro di Feder ico ed era sotto protezione del re di Francia. Il concilio confermò la scomunica a Federico, lo dep ose, sciogliendo sudditi e v assalli dall'obbligo di f edeltà, ed inv itò i nobili elettori tedeschi a proclamare un altro imperatore, bandendo contro Federico una nuov a crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto deliberato nel concilio, che si era tenuto in condizioni non troppo chiare. Il papa av eva finto fino all'ultimo di voler patteggiare con Federico e molti si domandarono se fosse giusto un provvedimento così grav e contro l'imperatore in un momento in cui nuov e minacce si affacciav ano all'orizzonte (l'offensiv a mongola). L'imperatore subì il grav issimo colpo che ne appannò il prestigio e dal 1245 gli ev enti iniziarono a precipitare. Gli Elettori tedeschi trov arono il nuov o imperatore (in realtà "re di Roma", titolo che preludev a alla nomina di imperatore) in Enrico Raspe, margrav io di Turingia, che il 5 agosto 1246 sconfisse nella battaglia di Nidda il figlio Saverio Papicchio Re Manfredi di Federico Corrado (tuttav ia, l'anno successiv o, il Raspe morì). Nel febbraio del 1248 Federico subì una grav e sconfitta nella battaglia di Parma ad opera di Gregorio da Montelongo. Dopo un assedio durato oltre sei mesi i parmigiani, approfittando dell'assenza dell'imperatore che era andato a caccia nella v alle del Taro, uscirono dalla città e attaccarono le truppe imperiali, distruggendo la città-accampamento di Vittoria. L'imperatore riuscì a stento a rifugiarsi a San Donnino, da dov e raggiunse poi la fedele alleata Cremona. L'anno seguente il figlio Enzo, battuto nella battaglia di Fossalta, fu catturato dai bolognesi che lo tennero prigioniero fino alla morte (1272). Poco dopo Federico subì il tradimento di uno dei suoi più fidati consiglieri, Pier delle Vigne. La v ittoria militare del figlio Corrado sul successore di Raspe, Guglielmo II d'Olanda avv enuta nel 1250, non portò alcun v antaggio per Federico, il quale nel d icembre dello stesso anno morì a causa di un attacco di dissenteria. Nel suo testamento nominav a suo successore il figlio Corrado, ma il papa non solo non riconobbe il testamento ma scomunicò pure Corrado (che morì quattro anni dopo di malaria, nel v ano tentativ o di ricuperare a sé il regno di Sicilia). La morte a Fiorentino di Puglia Federico cadde probabilmente v ittima di un'infezione intestinale dov uta a malattie trascurate, durante un soggiorno in Puglia; secondo Guido Bonatti, inv ece, fu avv elenato. Egli, difatti, qualche tempo prima av ev a scoperto un complotto, in cui fu coinv olto lo stesso me- 46 Saverio Papicchio 47 Re Manfredi dico di corte. Le sue condizioni apparv ero immediatamente grav i, tanto che si rinunciò a portarlo nel più fornito Palatium di Lucera e la corte dov ette riparare nella domus di Fiorentino, un borgo fortificato nell'agro dell'odierna Torremaggiore, non lontano dalla sede imperiale di Foggia. l'imperatore, sentendosi in punto di morte, v olle indossare l'abito cistercense e dettare così le sue ultime v olontà nelle poche ore di lucidità. Il testamento, dettato alla presenza dei massimi rappresentanti dell'Impero, reca la data del 17 dicembre 1250. La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata, i funerali si sv olsero nella sede imperiale di Foggia, la sua salma omaggiata dalla presenza di moltitudini di sudditi v enne esposta per qualche giorno e trasportata poi a Palermo, per essere tumulata nel Duomo, entro il sepolcro di porfido rosso antico, come v olev a la tradizione normannosv eva, accanto alla madre Costanza d'Altav illa, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II. Recentemente il sepolcro è stato riaperto. Federico giace sul fondo sotto altre due spoglie (Pietro III di Aragona e una donna sconosciuta). La tomba era stata già ispezionata nel tardo XVIII secolo: il corpo, nel Settecento, era mummificato e in buone condizioni di conserv azione; ne risulta che l'imperatore sia stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una dalmatica ricamata con iscrizioni cufiche e una corona a cuffia. Saverio Papicchio Re Manfredi L'eredità culturale Federico fu chiamato ai suoi tempi Stupor Mundi (Stupore del Mondo), appellativo che deriv a dalla sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo che lo portò ad approfondire la filosofia, l’astronomia e la matematica (ebbe corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano Leonardo Fibonacci, che gli dedicò il suo Liber quadratorum), l'algebra, la medicina e le scienze naturali (impiantò a Palermo persino uno zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero di animali esotici che conteneva); scrisse anche un libro, un manuale sull'arte della falconeria, il De arte venandi cum avibus che fu uno dei primi manoscritti con disegni in tema naturalistico. Si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fosse un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che favorì la scienza e professò punti di vista piuttosto avanzati in economia, fu uno dei pochi re medioevali che favorì la lettura e la conoscenza biblica. Questo tipo di vita condizionerà molto Manfredi che con dedicazione e precisione si dedicò con passione a tutto ciò che il padre aveva fatto. Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi quali Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele, Teodoro da Antiochia, un arabo cristiano, e Juda ben Salomon Cohen, grande enciclopedista ebreo. L'attività legislativa 48 Saverio Papicchio 49 Re Manfredi Federico condusse un'intensa attiv ità legislativ a: a Capua e a Catania nel 1220, a Messina nel 1221, a Melfi nel 1224, a Siracusa nel 1227 e a San Germano nel 1229, ma soltanto ad agosto del 1231, nel corso di una fastosa cerimonia tenutasi a Melfi, ne promulgò la raccolta organica ed armonizzata secondo le sue direttive, avvalendosi di un gruppo di giuristi quali Roffredo di Benevento, Pier delle Vigne, l'arcivescovoGiacomo di Capua ed Andrea Bonello da Barletta. Questo corpo organico, preso lungamente a modello come base per la fondazione di uno stato moderno, è passato alla storia col nome di Costituzioni di Melfi o Melfitane anche se il titolo originale Constitutiones Regni Utriusque Siciliae rende più esplicita la volontà di Federico di riorganizzare il suo stato, il Regno di Sicilia: quest'ultimo, infatti, fu ripartito in undici distretti territoriali detti giustizierati, poiché erano governati da funzionari di propria nomina, i giustizieri, che rispondevano del loro operato in campo amministrativo, penale e religioso ad un loro superiore, il maestro giustiziere, referente diretto dell'imperatore che stava al vertice di questa struttura gerarchica di tipo piramidale. Abolì i dazi interni ed i freni alle importazioni all'interno del suo impero. L'Università Il 5 giugno 1224, all'età di trent'anni, Federico istituì con editto formale, a Napoli, la prima universitas studiorum statale e laica della storia d'Occidente, in contrapposizione all'ateneo di Bologna, nato come aggregazione privata di studenti e docenti e poi fini- Saverio Papicchio Re Manfredi to sotto il controllo papale. L'università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all'affermazione di Napoli quale capitale della scienza giuridica. Napoli non era ancora la capitale del Regno, ma Federico la scelse per la sua posizione strategica ed il suo già forte ruolo di polo culturale ed intellettuale di quei tempi. De Arte Venandi cum Avibus ("L'arte di cacciare con gli uccelli"), di cui molte copie illustrate nel XIII e XIV secolo ancora sopravviv ono. Il De arte venandi è un trattato nato innanzitutto dall'osservazione, che non ha nulla delle enciclopedie zoologiche fino ad allora redatte (i bestiari intrisi di mitologia, teologia e superstizione). In esso i problemi di ornitologia, di allevamento, di addestramento e di caccia sono trattati con attenzione al principio dell'osservazione diretta e dell'esperienza, con assoluto spirito di indipendenza rispetto alla trattatistica precedente, per questo rappresenta un fondamentale passo verso la scienza "moderna". Federico era un cacciatore appassionato. Le battute di caccia erano un modo per socializzare con persone dello stesso rango, per esercitarsi nell'uso delle armi e per rappresentare il potere. Il suo hobby preferito era la caccia con il falco addestrato, attiv ità molto costosa e quindi elitaria: un falco addestrato veniva a costare infatti quasi quanto un intero podere. La caccia con i falchi per Federico non era un passatempo vero e proprio ma una scienza. Egli si procurò 50 Saverio Papicchio 51 Re Manfredi trattati di ornitologia e arte venatoria, e su ordini dell'imperatore questi testi furono raccolti in un codice miscellaneo, concepito come un libro sulla falconeria. Manfredi era un grande esperto e valente cacciatore. La poesia siciliana Contribuì ad innovare la letteratura italiana ed in questo senso ebbe importanza fondamentale la Scuola siciliana che ingentilì il volgare siculo con il provenzale, ed i cui moduli espressiv i e tematiche dominanti furono successivamente ripresi dalla lirica della Scuola toscana. Gli sono inoltre attribuite quattro canzoni. Appassionato della cultura araba, fece tradurre molte opere da quella lingua e fu quasi sempre in ottimi rapporti con gli esponenti di quella cultura al punto da guadagnarsi il soprannome (fra i tanti) di "sultano battezzato". Nella corte era presente un gruppo di poeti, per lo più funzionari, che scrivevano in volgare meridionale. Nella corte di Federico si costituì una scuola poetica siciliana al quale si deve l'invenzione di una nuova metrica, il sonetto. Manfredi proseguì la linea culturale del padre. Le architetture Nei pressi di Andria è presente la costruzione più affascinante voluta dall'imperatore, Castel del Monte, dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. Dal Saverio Papicchio Re Manfredi punto di vista architettonico il castello è una sintesi tra le tendenze europee e quelle arabo-musulmane (presentando soluzioni innovative, quali torri sporgenti, feritoie ed elementi anticipatori del gotico). A Foggia, aveva fatto costruire un magnifico Palatium, edificato da Bartolomeo da Foggia, su cui vi era un'iscrizione (oggi conservata nel Portale di Federico) che recitava: "Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er)ialis" (Ciò comandò Federico Cesare che fosse fatto affinché la città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale). Federico II considerava la Capitanata un luogo ideale anche per la caccia e perciò fece costruire altre due importantissime dimore a Foggia. La prima, la Domus/Palacium Solatiorum San Laurencii o Pantani, in località Pantano, tra gli attuali quartieri Salice Nuovo, San Lorenzo ed Ordona Sud, dove il Guiscardo aveva fatto edificare la chiesa di San Lorenzo in Carmignano, testimonianza visiva, insieme alla Regia Masseria Pantano, della vasta area che occupava la struttura federiciana; essa includeva una residenza signorile, con giardini, vivarium con animali acquatici ed esotici, padiglioni per il solacium. Il luogo è attualmente un rilevante sito archeologico, oltre che medioevale, anche romano e neolitico, a pochi chilometri dal centro di Foggia. L'altra dimora del grande imperatore svevo era il Palacium dell'Incoronata, nei pressi dell'omonimo Bosco; in questo caso, testimonianza importante della struttura federiciana è la Regia Masseria Giardino, nelle immediate vicinanze della linea ferroviaria Foggia- Potenza; anche questo 52 Saverio Papicchio 53 Re Manfredi complesso viene descritto dalle cronache di quel tempo, come tra le dimore più belle e sontuose dello "Stupor Mundi". Federico aveva però sparso castelli e palazzi imperiali in tutta la regione, amata anche per le possibilità di esercitarvi l'arte venatoria, alla quale era appassionato: tra questi, il Castello di Lucera, che affidò ai Saraceni deportati dalla Sicilia. Altre fortificazioni importanti, sono sorte con l'edificazione del castello svevo di Trani, caratteristico per la sua cortina sul mare e recentemente restaurato, e il Castello di Barletta, risultato architettonico di una serie di successioni al potere. Infine va menzionata la Porta di Capua, che doveva esprimere visivamente la maestà imperiale e Castello Ursino a Catania Castel del Monte Saverio Papicchio Re Manfredi Il crepuscolo di Federico II Anno 1194 1198 1209 1212 1220 1224 1225 1228 1230 1231 1235 1236 1237 1245 1250 Evento Nasce a Jesi (Ancona) Incoronato Re di Sicilia Sposa Costanza d’Arogona Eletto Re di Germania e Imperatore Incoronato Imperatore dal papa Fonda l’Università di Napoli Rimasto vedovo sposa Isabella di Gerusalemme. Costruisce una nuova reggia a Foggia. Da impulso alla Scuola medica di Salerno. Eccezionale cultura. Energico uomo politico. La crociata e l’incoronazione a re di Gerusalemme Stipula la pace con il papa, che ritira la scomunica Emana le Costituzioni di Melfi Doma una ribellione scoppiata in Germania capeggiata da suo figlio Enrico, incarcera il figlio che morirà in prigione. Sposa Isabella d’Inghilterra La prima guerra vittoriosa contro i Comuni Cortenuova. La seconda guerra vittoriosa contro i Comuni. Il Carroccio a Roma. Trattative di pace con il papa che si protraggono a lungo sena alcun esito. Il Concilio di Lione. Il papato decreta la condanna di Federico. Inizia il declino degli Svevi La morte a Castel fiorentino (Foggia) 54 Saverio Papicchio 55 Re Manfredi Le mogli di Federico e i suoi figli Federico ebbe div erse mogli. La prima moglie fu Costanza d'Aragona e - come ogni grande regnante - l'unione fu frutto di un preciso progetto diplomatico del tutore imperiale papa Innocenzo III. Costanza, infatti, era già alle seconde nozze ed era di circa dieci anni più anziana del quasi quindicenne Federico. Spentasi Costanza, Federico, probabilmente adottando la medesima politica e mantenendo l'avallo papale, si unì in matrimonio prima con Jolanda (o Isabella) di Brienne e poi, morta questa, con Isabella d'Inghilterra. Ma fu Bianca Lancia probabilmente il vero amore dell'imperatore. Di Bianca, appartenente alla famiglia dei Lancia (o Lanza), molto in vista nella corte di Federico, non sono rimaste notizie storiche e la stessa sincerità del sentimento dell'imperatore fu messa spesse volte in discussione da alcuni critici. Comunque è certo che da questa unione, forse tramutata in matrimonio negli ultimi anni di vita, nacque a Venosa Manfredi di Sicilia, il figlio prediletto di Federico. La madre di Manfredi Bianca Lancia, o Lanza, meglio Bianca d'Agliano (Agliano Terme, 1210 circa – 1248 circa), fu l'ultima moglie di Federico II del Sacro Romano Impero, che egli sposò in articulo mortis, e madre di Manfredi. Secondo le discordi fonti del tempo, Bianca apparteneva alla nobile famiglia aleramica dei Lancia da parte di madre; forse era figlia di Bonifacio I d'Aglia- Saverio Papicchio Re Manfredi no, conte di Agliano, conte di Mineo e signore di Paternò, e di una Bianca Lancia. Tanto i Lancia quanto i d'Agliano, aristocratiche famiglie ghibelline del Piemonte ormai scalzate dal potere dall'ascesa dei liberi Comuni, avevano cercato miglior fortuna nel Regno di Sicilia del giovane Federico II. A partire dal 1225 Bianca mantenne la relazione con Federico II, che conobbe in circostanze non determinate. Dalla loro relazione nacquero: Costanza (1230-1307); Manfredi (1232-1266); forse Violante Lanza di Svevia (1233-1264) moglie di Riccardo Sanseverino conte di Caserta. Sappiamo che il matrimonio fu segreto con Federico II ed il cronista Matteo Paris riferisce che (di certo dopo il 1247), gravemente malata Bianca supplicò il sovrano di sposarla in articulo mortis, per la salvezza dell’anima e per il futuro dei figli. A questa unione Federico avrebbe acconsentito Essendo già morta l'imperatrice Isabella d'Inghilterra (1241), Bianca fu investita del feudo dell'ex fortilizio bizantino di Monte Sant'Angelo, l’Honor Montis S.Angeli, comprensivo delle città di Vieste e Siponto e in dotazione a tutte le regine di Sicilia per volontà di re Guglielmo II di Sicilia. Bianca potrebbe aver vissuto in giovane età fra le mura del castello dei Lancia a Brolo e poi molto probabilmente nel castello di Paternò e forse nel castello di Gioia del Colle. 56 Saverio Papicchio 57 Re Manfredi Gli Svevi Con l'estinzione della famiglia regnante normanna ed il matrimonio fra l'ultima discendente della famiglia Altavilla Costanza ed Enrico VI di Svevia vi fu il successivo avvento degli Svevi. Ottone IV di Brunswich, figlio di Enrico il Leone, arriva in Puglia con l'intento di accaparrarsi questi ricchi feudi, sostenuto peraltro da Papa Innocenzo III che però ritenendolo troppo forte finisce con appoggiare il giovane Federico II di Svevia. Ottone IV tenta quindi un colpo di forza e invade le province di Puglia, Calabria e Terra d'Otranto. Albiria fugge in Francia col figlio Gualtieri di Brienne; per questo, Federico, già eletto imperatore, nomina Manfredi conte di Lecce e principe di Taranto. Caduti i Normanni e saliti al potere gli Svevi, soprattutto con Federico II, si crea una lacerazione profonda tra impero e papato. Re Federico, infatti, non tiene mai conto della volontà del pontefice, tanto che il Papa, da Anagni, il 29 settembre 1227, lo scomunica. Brindisi e Otranto divennero i principali imbarchi verso l'Oriente per i numerosi cavalieri e pellegrini diretti in Terra Santa. Lo stesso Federico II, che il 9 novembre 1221 nella Cattedrale di Brindisi aveva preso in moglie Isabella di Brienne, erede della corona di Gerusalemme, nel 1228 partì dal porto di Otranto per la Sesta crociata da lui comandata. Morto Federico II (1250) la Chiesa s'impossessa della Contea di Lecce e la tiene sotto il suo dominio fino a quando non vie- Saverio Papicchio Re Manfredi ne ripresa da Manfredi. In questo periodo scontri armati e vere guerre sono all'ordine del giorno, anche il futuro e sventurato re Corrado è fatto uccidere. Antonaci in “Hydruntum” scriv e: "Manfredi con audacia e violenza unite ad una grande astuzia conquista Brindisi, Mesagne, Otranto e moltissimi altri centri del Salento". Nel 1266, l'ultimo sovrano di origine Sveva fu Manfredi. In questo frangente la contea di Lecce passa nelle mani di Caterina d'Angiò, cui segue una rivolta dei baroni leccesi guidati da Corrado Capece i quali cercano di impedire l’instaurazione di un dominio francese nel Salento, ma la riv olta è soffocata e per punizione il re angioino abbandona Lecce e la contea al saccheggio (1269). Il nuovo sovrano, fondatore della dinastia angioina, era accompagnato da un nugolo di cavalieri provenzali che nel giro di pochi anni si sostituirono agli antichi feudatari normannosvevi. Questi ultimi, non sopportando di essere privati dei loro feudi, invocarono l'aiuto del sovrano aragonese, imparentato con il defunto re Manfredi. Comincia così un'interminabile contesa tra Angioini (di origine francese) ed Aragonesi (di origine spagnola), approfittando di questo vuoto di potere presero il sopravvento i baroni locali che si comportavano da piccoli sovrani assoluti di feudi più o meno vasti. 58 Saverio Papicchio 59 Re Manfredi Guelfi e Ghibellini I termini guelfi e ghibellini indicano le due fazioni che dal XII secolo sostennero in Germania, nel contesto del conflitto tra Chiesa ed Impero, rispettiv amente la casata di Baviera dei Welfen (pronuncia velfen, da cui la parola guelfo) e quella di Svevia degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen (da cui la parola ghibellino), in lotta per la corona imperiale dopo la morte dell'imperatore Enrico V (1125), che non av eva eredi diretti. I guelfi sostenevano una linea politica di autonomia contro ogni tipo di intromissione esterna e contro i privilegi nobiliari; a volte, furono guelfi coloro che sostenevano la Chiesa come figura in contrapposizione all'impero pur rimanendo "indipendentisti". I ghibellini si opponevano al potere del pontefice affermando la supremazia dell'istituzione imperiale: morto Enrico V, dunque, i primi posero sul trono di Germania Lotario, duca di Baviera appoggiato dal pontefice, cui i ghibellini contrapposero Corrado, duca di Franconia, che Papa Onorio II non esitò a scomunicare. Con l'elezione a re di Germania di Federico I Hohenstaufen (detto il Barbarossa), nel 1152, e la successiva incoronazione imperiale nel 1155, la fazione ghibellina prevalse nel territorio dell'impero: poiché Federico intendeva riaffermare in Italia la supremazia imperiale che i comuni avevano sottratto all'impero con il sostegno del papato, sotto il suo regno (1152- Saverio Papicchio Re Manfredi 1190) si verificò uno spostamento dei termini guelfo e ghibellino dall'area tedesca a quella italiana, dove essi indicarono rispettivamente i sostenitori del partito papale e i difensori della causa imperiale. Nel corso del XIV secolo, i partiti guelfi e ghibellini si frammentarono al loro interno in fazioni (guelfi bianchi e guelfi neri), attestando una perdita della forza e della compattezza originarie. I due termini sopravvissero, e nei secoli successiv i sarebbero stati riutilizzati per indicare linee politiche favorevoli o contrarie alla Chiesa, ma lo scenario storico entro cui si erano sviluppati si avviava ormai verso il declino: dilaniata dai particolarismi e dalle lotte civili, la realtà comunale cedeva infatti il passo a quella, di dimensione regionale o cittadina, delle signorie. In Italia, dunque, vi furono città come Firenze, Milano e Mantova che abbracciarono la causa guelfa, altre come Forlì, Pisa, Siena e Lucca che sposarono la causa imperiale. La scelta aveva varie motivazioni: in primo luogo, la ricerca di autonomia spingeva città nominalmente sotto controllo imperiale a cercare alleanza nel Papato (come è il caso di Milano) e città nominalmente sotto l'influenza papale a cercare l'appoggio dell'Impero (come è il caso di Forlì); in secondo luogo, si sceglieva un partito per semplice opposizione al partito in cui si era schierata la città riv ale (se Milano è guelfa, Pavia deve essere ghibellina; se Forlì è ghibellina, Faenza sarà guelfa, e così via...), in base al vecchio principio "il nemico del mio nemico è mio amico". 60 Saverio Papicchio 61 Re Manfredi Città Guelfe Bologna Arezzo Faenza Modena Osimo Pisa Pistoia Siena Spoleto Todi Città Ghibelline Brescia Forlì Crema Cremona Genova Lodi Mantova Orvieto Perugia Saverio Papicchio Re Manfredi M anfredi in Battaglia Dopo l'anno 1000, le città di Firenze e di Siena erano cresciute grazie alle attività mercantili e commerciali. I banchieri e i mercanti delle due città attraversavano l'Europa arricchendosi. Firenze era facilitata dalla via d'acqua dell'Arno, Siena dalla sua posizione lungo la via Francigena, percorsa dai numerosi pellegrini diretti a Roma e dai traffici che dalla città eterna si dirigevano verso il cuore del Sacro Romano Impero. Era lo sviluppo dell'era mercantile. Ovviamente, gli interessi delle due città erano da tempo in conflitto, sia per questioni economiche che di pura egemonia sul territorio. Nella prima metà del XIII secolo, i confini fiorentini si spingevano a sud fin quasi a Siena. La riv alità economica si traduceva in una riv al ità politica. A Firenze avevano la supremazia i guelfi, che sostenevano la supremazia del Papa, mentre a Siena il partito predominante era quello ghibellino, alleato dell'Imperatore, in questo periodo il re di Sicilia Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II. La battaglia di Montaperti si svolse a Montaperti (Siena) il 4 settembre 1260 tra Firenze e Siena. Nel 1251 i senesi si erano legati ai ghibellini di Firenze in un patto di reciproca assistenza. Nella guerra del 1255 Siena aveva avuto la peggio e aveva dovuto sottoscriv ere un impegno a non ospitare alcun esiliato dalle città di Firenze, Montepulciano e Montal- 62 Saverio Papicchio 63 Re Manfredi cino. Il casus belli fu l'accoglienza data nel 1258 da Siena ai ghibellini di Firenze, esiliati dopo una tentata riv olta contro i guelfi al potere. Tra questi fuoriusciti ricordiamo il nome di Farinata degli Uberti. A questo esilio era seguito l'assassinio di Tesauro Beccharia, Arcivescovo di Vallombrosa, accusato di complottare con i ghibellini allo scopo di farli rientrare a Firenze. All'inizio della nuova guerra, il teatro delle operazioni fu soprattutto la Maremma dove i guelfi riuscirono a fomentare riv olte dei comuni di Grosseto, Montiano, Montemassi. Quest'ultimo sarà nei secoli teatro di operazioni mil itari senesi, ricordate nel famoso affresco del Palazzo Pubblico, "Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi" (l'assedio fu dovuto ad una nuova rivolta contro Siena nel 1328). Nel 1259 Siena ottiene l'appoggio di re Manfredi, che fornì alcune compagnie di cavalieri tedeschi comandati dal Conte Giordano D'Anglano, cugino del Re di Napoli. L'offerta fu di cento cavalieri, e stava per essere ritenuta non adeguata dagli ambasciatori senesi. Ma questi, su consiglio di Farinata degli Uberti, accettarono. L'idea era che, una volta che le bandiere di re Manfredi fossero state coinvolte nello scontro, questi sarebbe stato costretto a inviare ulteriori rinforzi. Nei primi mesi del 1260 le truppe tedesche piegano la resistenza dei comuni maremmani. Questo suscitò la reazione della lega guelfa, guidata da Firenze, che fece muovere un esercito di trentatrentacinquemila uomini a difesa dei comuni riconquistati dai ghibellini senesi. L'esercito guelfo si ac- Saverio Papicchio Re Manfredi campò alle porte di Siena, nei pressi di Santa Petronilla, nella zona nord vicina alla Porta Camollìa, attuando un assedio il 18 maggio. I cavalieri tedeschi e quelli senesi attaccarono l'accampamento nello stesso giorno e le operazioni si protrassero fino al 20 maggio. Il 20 maggio i guelfi interrompono l'assedio e mentre una parte prosegue il cammino verso la Maremma, il grosso ritorna a Firenze. Durante le operazioni del 18 maggio, tutti i cavalieri tedeschi furono uccisi e le insegne di re Manfredi trascinate nel fango dai fiorentini ed esposte al ludibrio pubblico nella città guelfa. Questo spinse re Manfredi ad inviare in luglio ulteriori e più consistenti aiuti a Siena, nel numero di ottocento cavalieri. Aiuti arrivarono da Pisa e dagli altri ghibellini toscani. Questo dà ulteriore respiro ai senesi, che riconquistano Montepulciano e Montalcino, stazione strategica a sud, sulla via Francigena. La lega guelfa comprendeva Firenze, Bologna, Prato, Lucca,Orvieto, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d'Elsa. Il suo esercito si muove di nuovo verso Siena, con la giustificazione della necessità di riconquistare Montepulciano e Montalcino. Per quanto consigliati altrimenti da Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, i comandanti fecero passare l'esercito alle porte di Siena anche perché desiderosi di rivalsa dopo la scaramuccia di maggio e si accampano nelle vicinanze del fiume Arbia, a Montaperti, il 2 settembre 1260. In tale giorno gli ambasciatori guelfi consegnarono un ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che 64 Saverio Papicchio 65 Re Manfredi fu respinto, seppure con qualche incertezza di una parte favorevole alla trattativa. Per meglio motivare i cavalieri tedeschi, fu deliberato di corrispondergli una doppia paga grazie ai fondi forniti da Salimbeno de' Salimbeni (la cui famiglia fonderà nel 1472 la banca Monte dei Paschi). Le cronache indicano in trentamila fanti e tremila cavalieri le forze della lega guelfa. Le forze ghibell ine ammontavano a ventimila unità, composte da ottomila fanti senesi, tremila pisani e duemila fanti di re Manfredi. A loro, si aggiungevano i fuorisciti fiorentini, i bonizzesi, nonostante in quel momento Poggiobonizio fosse occupato dai fiorentini, e i cavalieri tedeschi. Il 3 settembre l'esercito senese-ghibellino guidato da Provenzano Salvani uscì da Porta Pispini, diretto al Poggio delle Repole, in prossimità dell'accampamento guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. Una leggenda narra che i senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti all'esercito guelfo, cambiando ogni volta i vestiti con i colori dei terzi di Siena cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quello che fossero in realtà. La mattina del 4 settembre l'esercito ghibellino, superato il fiume Arbia, si prepara alla battaglia. Era formato da quattro divisioni, che si posizionarono sul campo di battaglia così da tentare una manovra d'accerchiamento. La prima divisione, guidata dal conte d'Arras, doveva attaccare i guelfi alle spalle. La seconda, guida- Saverio Papicchio Re Manfredi ta dal conte Giordano d'Anglano, e la terza, guidata dal senese Aldobrandino Aldobrandeschi, dov evano impegnare frontalmente l'esercito guelfo, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno. La quarta, comandata da Niccolò da Bigozzi, era posta a guardia del carroccio senese. Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio partì un contrattacco dei ghibellino-senesi. È in questa fase che si verificò l'episodio di Bocca degli Abati. Questi, seppure al fianco dei guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era in realtà di parte ghibellina. Alla vista del contrattacco senese, Bocca si avvicinò al portastendardo fiorentino Jacopo de' Pazzi e gli tranciò di netto la mano che reggeva l'insegna. Questo causò un notevole sconcerto tra le fila guelfe. Oltre a questo episodio, in questa fase dalle file ghibelline si alzò l'invocazione biblica del Re Asa, (2 Cronache 14) segnale per la prima divisione, quella del conte d'Arras, che attaccò i fiorentini alle spalle. Il conte stesso uccise il comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena. È a questo l'inizio della rotta dei guelfo-fiorentini. I ghibellini si lanciarono all'inseguimento e iniziarono "lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" durato fino all'arriv o della notte. Si calcola che le perdite siano ammontate a diecimila morti e quindicimila prigionieri in campo guelfo, di cui 2500 e 1500 fiorentini, e 600 morti e 400 feriti in campo ghibellino. Solo al calare della notte i comandanti ghibellini diedero l'ordine di salvare la vita di chi si fosse arreso, uccidendo comunque tutti i fiorentini che fosse- 66 Saverio Papicchio 67 Re Manfredi ro stati catturati. Questi ultimi, uditi i comandi della parte avversa, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono ai loro alleati per aver salva la vita. Le bandiere e gli stendardi dei fiorentini furono presi e lo stesso gonfalone di Firenze fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere. Il 13 settembre del 1260 i guelfi fiorentini abbandonarono la loro città e si rifugiarono a Bologna e a Lucca, considerando di non potersi più trattenere a Firenze per paura delle rappresaglie dei ghibellini. A Lucca si rifugiarono anche i guelfi delle altre città partecipanti alla lega sconfitta. I senesi avanzarono in territorio fiorentino, conquistandone alcuni castelli. I ghibellini fiorentini fuoriusciti rientrarono nella città dell'Arno il 27 settembre 1260 e si insediarono al governo della città. Tutti i cittadini furono furono fatti giurare fedeltà al re Manfredi con un testo Biblico. Le torri e le abitazioni dei fiorentini di parte guelfa furono rase al suolo, così come era stato fatto contro i ghibellini nel 1258. Alla fine dello stesso mese fu convocata a Empoli una dieta delle città e dei signori della Toscana di parte ghibellina per discutere come rafforzare il ghibellinismo toscano e consolidare nella regione l'autorità del re. Ad Empoli, i rappresentanti di Siena e Pisa sostennero la distruzione di Firenze, alla quale si oppose il ghibellino fiorentino Farinata degli Uberti, salvandola da ulteriori distruzioni. Dopo Montaperti, il 18 novembre, il papa Alessandro IV scomunicò tutti i sostenitori di re Manfredi in Toscana. Saverio Papicchio Re Manfredi Se da una parte la scomunica in realtà rafforzò il partito ghibellino, che il 28 marzo 1261 si strinse in alleanza contro i guelfi toscani, a lungo termine fu presa a prestesto dai capi guelfi d'Italia e da molti stranieri per non pagare i debiti contratti con i mercanti e i banchieri senesi, con conseguenze serie sull'economia della città. Il 25 maggio 1261 il papa Alessandro IV moriva e questo sembrava decretare la definitiva vittoria del partito ghibellino su quello guelfo. In realtà, nel giro di pochi anni la fazione guelfa riprese il potere in Toscana e già nel 1269 Siena subì una grave sconfitta da parte di Firenze nella Battaglia di Colle, durante la quale trovò la morte lo stesso comandante senese Provenzano Salvani. Spada di Re Manfredi 68 Saverio Papicchio 69 Re Manfredi La battaglia di Benevento La Battaglia di Benevento fu combattuta nei pressi di Benevento, Campania, il 26 febbraio 1266 fra le truppe di Carlo d'Angiò e Manfredi di Sicilia. La sconfitta e la morte di quest'ultimo portarono alla conquista angioina del Regno di Sicilia Il papato era stato a lungo in conflitto con la casa imperiale degli Hohenstaufen durante il periodo del loro dominio in Italia. Corradino,legittimo erede del regno in quanto nipote legittimo di Federico, era giovane e si trovava al sicuro oltre le Alpi, in Baviera. Approfittando di una falsa notizia della morte di Corradino, Manfredi aveva usurpato il trono nel 1258. Papa Urbano IV, determinato a strappare il regno a Manfredi nel 1263 concluse un trattato segreto con Carlo d'Angiò, promettendogli il trono siciliano. Carlo giunse a Roma già nel 1265, ma fu temporaneamente fermato da dissesti finanziari: Manfredi non scenderà in campo contro di lui fino al gennaio del 1266, quando passò le Alpi il grosso dell'esercito francese. Allarmato dalle diserzioni tra i suoi seguaci e temendo ulteriori tradimenti, Manfredi cercò di portare Carlo in battaglia il più rapidamente possibile. Carlo tentò di far uscire allo scoperto Manfredi, asserragliato a Capua, in modo da costringerlo ad una pericolosa traversata degli Appennini che avrebbe consentito ai francesi di impedire l'arriv o di rinforzi e rifornimenti per l'esercito imperiale, ma Manfredi aveva capito le sue intenzioni e rimase in una posizione fortificata oltre il fiume Calore, attraversato da un solo ponte. Carlo Saverio Papicchio Re Manfredi d'Angiò aveva diviso la sua cavalleria in tre battaglioni. La fanteria e il primo battaglione, composto di 900 provenzali erano in prima linea, comandati da Ugo di Mirepoix e Filippo di Montfort, signore di Castres. Dietro di loro si trovava il secondo battaglione, che consisteva di 400 italiani e 1.000 uomini della Linguadoca e della Francia centrale. Carlo guidava personalmente il secondo battaglione. Dietro di loro, il terzo battaglione consisteva in circa 700 uomini della contea di Fiandra sotto Gilles de Trasignies II, Constable della Francia, e Roberto III delle Fiandre. Manfredi aveva adottato disposizioni simili. I suoi arcieri saraceni erano in prima linea. Dietro di loro si trovava il primo battaglione, 1.200 mercenari tedeschi armati con armature in strati di lastre (una novità per l'epoca), comandato da suo cugino Giordano d'Anglano e Galvano di Anglona. Il secondo battaglione consisteva di circa 1000 mercenari italiani e 300 cavalli leggeri saraceni, comandati da suo zio Galvano Lancia. Il terzo battaglione era composto da 1400 feudatari del Regno, sotto il comando personale di Manfredi. La battaglia iniziò al mattino, quando Manfredi fece avanzare la sua prima linea (arcieri e cavalleria leggera) sul ponte. Questi attaccarono la fanteria francese, ma furono presto messi in fuga dal primo battaglione. Avventatamente, il primo battaglione tedesco attraversò il ponte e contro-caricò i francesi. In un primo momento, i mercenari tedeschi sembravano inarrestabili: tutti i colpi rimbalzavano sulle loro corazze, e Carlo fu costretto ad impiegare anche il suo secondo battaglione. I tedeschi conti- 70 Saverio Papicchio 71 Re Manfredi nuavano ad avanzare, ma i francesi scoprirono che la nuova armatura a strati di piastre non proteggeva le ascelle quando il braccio veniva alzato per colpire. Le sorti della battaglia di qui volsero rapidamente contro Manfredi. Le sue truppe erano state costrette ad attraversare tutte l'unico ponte sul Calore per raggiungere il campo. Infatti anche il secondo battaglione tedesco aveva passato il fiume; Carlo aveva ordinato al suo terzo battaglione di circondarli su entrambi i lati e questi furono rapidamente distrutti. Alla sconfitta degli italiani, la maggior parte dei nobili nel terzo battaglione di Manfredi abbandonò il campo, lasciando solo il re con pochi fedelissimi seguaci. Dopo aver scambiato la sopravveste reale con il suo amico Tebaldo Annibaldi, Manfredi e i suoi seguaci caricarono nella mischia e furono uccisi. La distruzione dell'esercito di Manfredi segnò il crollo della dominazione degli Hohenstaufen in Italia e la definitiva sconfitta del partito ghibellino. I resti del Regno di Sicilia furono conquistati senza resistenza. Insediatosi nel suo nuovo dominio, Carlo poteva attendere la venuta di Corradino di Svevia, l'ultima speranza degli Hohenstaufen, nel 1268, e incontrarlo vittoriosamente nella battaglia di Tagliacozzo. In tutta Italia i ghibellini venivano uccisi e cacciati dalle città. Saverio Papicchio Re Manfredi I papi e Manfredi Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna (Genova, circa 1195 – Napoli, 7 dicembre 1254), fu il 180º papa della Chiesa cattolica dal 1243 alla sua morte. Era figlio di Ugo Fieschi, conte di Lavagna. Apparteneva alla nobile famiglia genovese dei Fieschi. Venne educato a Parma e a Bologna e divenne uno dei migliori canonisti dell'epoca. Nel 1226 è menzionato come uditore della Curia. Creato cardinale prete da papa Gregorio IX il 23 settembre 1227 con il titolo di san Lorenzo in Lucina. Il 28 luglio fu nominato vice-cancelliere di Roma. Nel 1235 divenne vescovo di Albenga e legato per l'Italia del Nord. Fu tra gli otto cardinali che vissero l'elezione papale del 1241 che portò all'elezione di papa Celestino IV. In quei giorni i cardinali, segregati nel Settizonio dal Senatore di Roma Matteo Rosso Orsini, non riuscendo a trovare un accordo tra gregoriani e filoimperiali, elessero un uomo molto anziano e già malato che morì dopo diciassette giorni dall'elezione. Si era in pieno contrasto tra il Sacro Romano Impero e lo Stato della Chiesa e le rispettive fazioni dei ghibellini e dei guelfi. Passarono due anni prima di una nuova elezione per le precarie condizioni di sicurezza in cui viveva la città di Roma, sempre minacciata da un possibile assedio dell'esercito dell'imperatore Federico II, e per i numerosi tentativi che gli otto cardinali fecero per ottenere la liberazione dei due cardinali fatti prigionieri dall'Imperatore. 72 Saverio Papicchio 73 Re Manfredi Gli otto cardinali si riunirono nel febbraio 1242 ad Anagni e dopo molte trattative riuscirono a far rilasciare i due prigionieri, con l'accordo del loro ritorno in prigionia al termine dell'elezione. Il Sacro Collegio poté quindi riunirsi nel giugno 1243. Sinibaldo Fieschi fu eletto all'unanimità pontefice il 25 giugno 1243 ad Anagni grazie anche all'avallo di Federico II, fiducioso che un esponente della potente famiglia ghibellina, i Fieschi, fosse più arrendevole alle sue mire espansionistiche. Fu consacrato ad Anagni il 28 giugno con il nome di Innocenzo IV, in chiaro riferimento alla linea politica di Innocenzo III. Federico, di stanza a Melfi, gli inviò una lettera di felicitazioni, elogiando la sua famiglia. Lo scontro tra papa e imperatore comunque continuò, non avendo Innocenzo IV alcun timore per il sovrano tedesco ed essendo intenzionato a riavere i territori che Federico aveva conquistato in precedenza. Si narra che alla notizia della sua elezione Federico II, intuendo che un papa non poteva che difendere gli interessi della Chiesa, disse di aver perso l'amicizia di un cardinale e guadagnato l'inim icizia di un papa. Si aprirono subito i negoziati: il Papa inviò una del egazione guidata dal cardinale Oddone da Monferrato con la richiesta di rilasciare tutti i prelati imprigionati, ricordando la scomunica ancora vigente, ed invitando Federico a rientrare nella Chiesa. L'imperatore poneva condizioni e si lamentava di non voler trattare le questioni relative ai comuni lombardi. Accadde poi durante queste trattative un episodio che portò ulteriore conflitto: il cardinale Raniero Capocci, Saverio Papicchio Re Manfredi biasimato per questo dallo stesso pontefice, fomentò una rivolta contro Federico nella città di Viterbo, che all'epoca era vicina all'imperatore. Federico pose sotto assedio la città, ma non riuscì a conquistarla, anzi, i soldati viterbesi guidati dal Capocci, in un furioso contrattacco, sconfissero e misero in fuga l'esercito imperiale. Si addivenne quindi alla pace stipulata in Laterano il 31 marzo 1244: l'imperatore si impegnava a restituire i prigionieri ed alcuni dei territori della Stato Pontificio, ma nulla veniva stabilito sui diritti imperiali nei confronti dei comuni lombardi. Quando i delegati imperiali giunti dal Papa chiesero a quali penitenze dovesse sottostare Federico per vedersi annullata la scomunica, il Papa richiese l'immediata restituzione di tutti i territori da lui usurpati allo Stato della Chiesa. Federico ovviamente non accettò: si dichiarò disposto a cedere solo una parte di tali territori, e solo dopo la revoca della scomunica. Essendo di stanza a Terni invitò il Papa nella vicina Narni per colloqui diretti. Probabilmente sotto questo invito vi era una trappola tesa al pontefice, al quale però arriv arono voci in proposito che lo spinsero, durante il viaggio verso Narni, a cambiare improvvisamente direzione, recandosi prima a Civita Castellana e da qui a Civitavecchia, da dove salpò per Genova. Colpito da malore durante il viaggio, rimase tre mesi nel convento di sant'Andrea presso Genova per rimettersi in forze; quindi si portò a Lione. Qui convocò un concilio generale che si riunì nel 1245 con l'unico obiettivo di scomunicare Federico, sciogliere i suoi sudditi dal giu- 74 Saverio Papicchio 75 Re Manfredi ramento di fedeltà e riprendere tutti i possedimenti imperiali. Al Concilio di Lione, che iniziò il 28 giugno 1245, l'Imperatore fu rappresentato da Taddeo da Sessa, che offrì a nome dell'Imperatore la restituzione di altri territori pur di evitare la scomunica, ma Innocenzo IV non accettò e nella seconda convocazione del 5 luglio 1245, portò nuove accuse all'Imperatore; finalmente, nella terza convocazione del 17 luglio, lo scomunicò. La scomunica fece notevole scalpore in tutta Europa. Essa comportava automaticamente la destituzione e quindi i principi germanici si riunirono per eleggere un nuovo imperatore: Enrico Raspe, margravio di Turingia, eletto il 22 maggio 1246. Molti principi comunque si erano astenuti e quelli fedeli a Federico non lo riconobbero come re. Subito Corrado, figlio dell'imperatore, tentò di battere il Raspe con la forza delle armi, ma fu invece sconfitto a Francoforte il 5 agosto. Pochi mesi dopo però, il 17 febbraio 1247 Enrico Raspe morì: alcuni mesi dopo i principi tedeschi elessero imperatore Guglielmo II d'Olanda. Nel regno di Sicilia nel frattempo dominava il caos, mentre Federico II vagava nell'Italia settentrionale con il figlio Enzo ed il feroce Ezzelino III da Romano, guerreggiando contro i Comuni che non accettavano la sua supremazia. Parma ad esempio fu passata a ferro e fuoco, ma si dimostrò indomabile e si rivoltò fino ad attaccare lo stesso accampamento dell'imperatore poco fuori la città, il 18 febbraio 1248; Federico a stento poté mettersi in salvo e riparare a Cremona, mentre trovava la morte Taddeo di Sessa. Il 26 Saverio Papicchio Re Manfredi maggio 1249, attaccando Bologna nella battaglia di Fossalta, suo figlio Enzo fu fatto prigioniero dai bol ognesi che lo misero in stretta prigionia fino alla morte Ezzelino III da Romano intanto otteneva con la sua ferocia molte vittorie sempre nel nord-Italia; Federico, dopo la sconfitta contro Bologna, si portò a sud. Qui il partito ghibellino filo-imperiale era ormai esiguo e Federico si sentì sempre più isolato, tanto da sospettare anche delle persone che lo circondavano. Giunse ad accusare di tradimento anche il suo stretto collaboratore, il cancelliere Pier delle Vigne che fece prima accecare e poi mettere in prigione ove il malcapitato si suicidò. Il 13 dicembre 1250 Federico II, all'età di cinquantasei anni morì. Innocenzo IV lasciò Lione dopo la Pasqua del 1251 ed a novembre si portò a Perugia dove rimase oltre un anno. Doveva ora affrontare gli eredi di Federico: Corrado IV, figlio legittimo, in Germania, e Manfredi, il figlio nato dalla relazione con la contessa Bianca Lancia, in Puglia. Nell'ottobre 1251, Corrado IV scese in Italia invitato a Verona da Ezzelino da Romano, e si portò in Sicilia dove Manfredi gli consegnò simbol icamente la sovranità sul regno, trattenendo per sé il principato di Taranto. Il Papa non accettò che uno svevo potesse di nuovo avere la sovranità in Italia, e cominciò a contattare diversi possibili candidati: dapprima Riccardo di Cornovaglia fratello di Enrico III di Inghilterra, poi Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX di Francia; infine il cardinale Ottobono Fieschi suo nipote e futuro papa Adriano V riuscì a stipulare un patto 76 Saverio Papicchio 77 Re Manfredi con Enrico III d'Inghilterra sulla persona del principe Edmondo allora di soli nove anni. Nell'aprile 1254 scomunicò Corrado IV, accusato di aver commesso gravi soprusi contro la Chiesa; Innocenzo IV conferì ufficialmente l'investitura del feudo della Sicilia al principe inglese il 14 maggio 1254, ma undici giorni dopo Corrado IV moriv a a soli ventisei anni ed, avendo egli affidato secondo testamento il figlio di due anni Corradino alla custodia della Chiesa, tutto tornò in discussione e l'accordo con il principe inglese fu sospeso. Innocenzo IV, a questo punto, doveva accordarsi con Manfredi. Per questo si recò ad Anagni, ai confini dello Stato Pontificio, dove ricevette una delegazione inviata da Manfredi. Questi chiese che venisse accettata subito la sovranità del piccolo Corradino, ma il Papa ribatté che si sarebbe dovuto attendere che questi divenisse adulto e che nel frattempo avendone lui la custodia era lui ad avere la sovranità sulla Sicilia. Manfredi prese tempo. Il Papa si recò quindi a Napoli dove fu accolto trionfalmente il 27 ottobre 1254. Cominciò a concedere le prime autonomie e ad impartire i primi atti amministrativi, quando fu informato che Manfredi stava organizzandosi per attaccarlo militarmente arruolando anche truppe saracene. Il Papa gli inviò contro il suo esercito: a Foggia avvenne lo scontro che però vide, il 2 dicembre, la vittoria di Manfredi. In virtù di questa vittoria Manfredi dichiarò: Fede e verità vincono sempre contro bugia e infedeltà. Saverio Papicchio Re Manfredi La notizia giunse ad Innocenzo IV a Napoli, nel palazzo che era stato di Pier delle Vigne e qui, già ammalato, Innocenzo si spense cinque giorni dopo, il 7 dicembre. Manfredi che conosceva bene la Bibbia sostenne con la tecnica della Ghematriah applicata al nome che "Innocentius papa" e il risultato del numero 666, ossia quello tradizionalmente associato all'Anticristo. Alessandro IV, Rinaldo dei Signori di Jenne (Jenne, ca. 1199 – Viterbo, 25 maggio 1261), fu il 181º papa della Chiesa cattolica dal 1254 alla morte. Rinaldo era figlio di una sorella di Gregorio IX, e di Filippo II, signore di Jenne. Questa parentela ha fatto sì che molti storici, nel corso dei secoli, lo abbiano inserito erroneamente nel casato dei Conti di Segni. Membro di una famiglia ricca e potente fu inizialmente per diversi anni canonico presso la cattedrale di Anagni e successivamente, certamente prima del 1221, completò i suoi studi all'Università di Parigi ove conseguì il titolo di magister. Nel 1221 prese parte con lo zio Ugolino di Anagni ad un'importante ambasceria a Milano. Quando poi Ugolino, nel 1227, divenne papa Gregorio IX, creò Rinaldo cardinale diacono, assegnandogli la diaconia di Sant'Eustachio, titolo che mantenne fino al 1231 (o 1232), allorché divenne cardinale-vescovo di Ostia e di Velletri. Fu consacrato vescovo nel 1235. Il papa lo inviò più volte come suo legato ad Anagni, Perugia, Viterbo ed in Lombardia; conobbe in quegli anni Federico II, con il quale ebbe un rapporto amichevole. Nel 1244 78 Saverio Papicchio 79 Re Manfredi divenne Decano del Sacro Collegio. L'unico incarico importante che ebbe sotto papa Innocenzo IV fu quello di cardinale protettore dell'Ordine francescano. Il cardinale Rinaldo di Jenne partecipò a tre elezioni papali: 1241, che elesse Papa Celestino IV 1241-1243, che elesse Papa Innocenzo IV 1254, quando salì sul trono di San Pietro Dopo il decesso di Innocenzo IV il cardinale Rinaldo di Jenne, nonostante la sua età avanzata, venne eletto all'unanimità papa a Napoli il 12 dicembre 1254. Fu incoronato il 20 dicembre ed assunse il nome pontificale di Alessandro IV. Alessandro viene descritto come un uomo robusto, buono, allegro, ma non molto brillante: nell'azione politica e curiale si avvalse con ogni probabilità dell'esperienza del potente cardinale Riccardo Annibaldi, nipote di Gregorio IX e dunque suo consanguineo. Successe a Innocenzo IV come tutore di Corradino, l'ultimo degli Hohenstaufen, promettendogli la sua benevola protezione; ebbe viceversa un rapporto di dura e difficile contrapposizione con lo zio di Corradino, Manfredi di Sicilia. Tale comportamento contrastava con l'atteggiamento benevolo verso Federico II Hohenstaufen che Rinaldo aveva tenuto quando era stato cardinale. Saverio Papicchio Re Manfredi Alessandro scagliò la scomunica e l'interdetto contro Manfredi e il suo partito, ma invano. Tantomeno poté arruolare i Re d'Inghilterra e di Norvegia in una Crociata contro gli Hohenstaufen. Roma stessa div enne Ghibellina con il Senatore Brancaleone degli Andalò, e il Papa fu costretto (1257) a trasferire la sede pontificia a Viterbo, dove morì nel 1261, venendo sepolto nella Cattedrale di San Lorenzo; la sua tomba andò purtroppo dispersa, forse in occasione di imponenti lavori di restauro eseguiti nella Cattedrale nel XVI secolo. Urbano IV, nato Jacques Pantaléon (Troyes, ca. 1195 – Deruta, 2 ottobre 1264), fu il 182º papa della Chiesa cattolica dal 1261 alla morteEra figlio di un calzolaio di Troyes in Francia. Dopo aver studiato teologia e legge a Parigi, fu canonico a Leon e arcidiacono di Liegi. mentre era arcidiacono di Liegi ricevette una lettera da suor Giuliana di Cornillon, una monaca che era vissuta nella prima metà del 1200 e che ebbe la visione di Cristo, per istituire la festa del Santissimo Sacramento. L'arcidiacono di Liegi, Jacques Pantaléon (futuro Urbano IV) approvò la sua richiesta ponendo le basi, a Liegi, per l'istituzione nella Chiesa Cattolica Romana della Festa del Corpus Domini. Sembra proprio una predestinazione escatologica quella di colui che fu anche patriarca di Gerusalemme e legato pontificio per l'esercito crociato in quel d'Acri tra il 1255 e il 1260. Urbano IV con grande intelligenza, era div enuto consapevole che le armi spirituali non erano sufficienti a debellare Manfredi. Perché il Re che aveva di fronte spiritualmente parlando gli era superiore perché co- 80 Saverio Papicchio 81 Re Manfredi nosceva la Bibbia. Data la situazione di pericolo incombente per tutti, si ricordo' di Carlo D'Angiò' val oroso contro i Saraceni a Gerusalemme. Il suo ricordo lo convinse a chiamarlo dalla Francia in soccorso della Chiesa, per opporlo a Manfredi. Carlo D'Angiò era un antagonista valoroso, potente,anche se purtroppo ambizioso, ma in grado con le sue forze ed il suo valore in battaglia a togliere il regno al riv ale, capeggiare il Guelfismo e mantenersi devoto alla Santa Sede. Il Pontefice individuò questa figura di Carlo I D'Angiò, in occasione della spedizione di Luigi IX in Egitto. Ne aveva per l'occasione ammirato il coraggio, il valore e la costanza. Sebbene non fosse di tal natura da rimanere, dopo il successo, assolutamente ligio ai voleri del Papato, Carlo era l'uomo che più d'ogni altro avrebbe potuto giovare per salvare la Chiesa romana di Cristo, contro Manfredi. Il Pontefice affidò le trattativ e con Carlo all'arcivescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli. Questi, mosso da grande timore per le sorti della Chiesa per colpa di Manfredi, seppe rimuovere ogni difficoltà: ottenne, che Edmondo il Gobbo rinunciasse ai diritti sul regno di Sicilia conferitigli da Alessandro IV, riuscì' a convincere Luigi IX di Francia a non intralciare le mire del fratello Carlo e riuscì a far concludere al Papa un trattato con Carlo d'Angiò, mediante il quale questi riconosceva alla Santa Sede l'alta sovranità sul regno siciliano, ne riceveva dal Pontefice l'investitura, rinunciava al possesso di Benevento e si obbligava a pagare per il sostentamento della Chiesa di Cristo e di tutte le sue innumerevoli iniziative nei Saverio Papicchio Re Manfredi riguardi dei poveri e dei malati, un tributo annuo di diecimila once d'oro. Poiché durante le trattativ e il partito guelfo romano, guidato dal cardinale Riccardo Annibaldi, aveva eletto senatore protettore della città Carlo d'Angiò, questi giurò al papa di deporre la potestà senatoria non appena fosse venuto in possesso del regno siciliano conquistato con il suo valore. Le trattative tra la Santa Sede e Carlo d'Angiò non erano rimaste ignote a Manfredi. Egli si rendeva conto che il riv ale, che la Santa Sede gli metteva di fronte, era un uomo valorosissimo, impavido, temibile ed anche ambizioso; prevedeva inoltre che si sarebbero schierati con lui tutti i Guelfi d'Italia ed era sicuro che, all'avvicinarsi dell'Angioino, i tiepidi amici lo avrebbero abbandonato ed avrebbero ripreso animo i numerosi nemici da lui frustrati e maltrattati, che si celav ano nel regno, pronti a schierarsi contro di lui. Tornando alle vicende storiche, volendo rafforzare la sua posizione e intimorire gli avversari prima che Carlo D'Angiò scendesse in campo, Manfredi ideò un piano scellerato,egoistico e violento contro la Chiesa e quindi per forza destinato a fallire. Voleva impadronirsi di Roma e di Orvieto, dove risiedeva la corte pontificia che lui sottovalutò come "segnata" e quindi anche "protetta" dal Miracolo di Bolsena. A tale scopo chiamò a dargli man forte contro la Chiesa, nella marca d'Ancona le milizie del conte Giordano; mandò Percivalle Doria con un forte contingente di cav alieri ed arcieri saraceni nel ducato di Spoleto; per chiudere la via del mare ai Guelfi di Roma inviò ad Ostia il romano Tebaldo Annibaldi; e lanciò contro la 82 Saverio Papicchio 83 Re Manfredi città alcuni gruppi di fuorusciti romani comandati da Pietro di Vico. L'impresa però riuscì solo in parte: Percivalle Doria, mentre marciava su Orvieto, morì annegando nelle acque della Nera e Pietro di Vico, giunto alle porte di Roma, fu respinto dai Guelfi. Mentre nella marca d'Ancona solo due capitani delle milizie pontificie, il conte d'Anguillara e il vescovo di V erona, furono sconfitti e fatti prigionieri. Ad Orvieto il Papa Urbano IV, corse il pericolo di cadere in mano alle truppe sveve e a stento riuscì a fuggire e a rifugiarsi a Perugia. Saverio Papicchio Re Manfredi M anfredi e i cavalieri Teutonici L'Ordine Teutonico è un antico ordine monasticomilitare ed ospitaliero sorto in Terrasanta all'epoca della terza crociata ad opera di alcuni mercanti di Brema e Lubecca per assistere i pellegrini. Fino alla perdita di Acri nel 1291, il principale teatro di operazioni dei Cavalieri Teutonici rimase la Terrasanta. Tuttavia già a partire dal secondo decennio del XIII secolo operarono nell'Europa orientale, prima in Transilvania, per proteggere il Regno d'Ungheria dalle incursioni dei nomadi Cumani su richiesta di re Andrea II d'Ungheria, quindi sulla costa baltica, nella zona che si estendeva a nord-est dei territori polacchi. Contribuirono ad una vasta opera di conquista e cristianizzazione dei territori occupati da tribù baltiche, perlopiù pagane, iniziata già nel secolo precedente con le cosiddette Crociate del Nord. In Palestina i crociati dipendevano in larga misura sulle spedizioni di grano e di altre merci attraverso i porti di Puglia, dove inoltre si riunivano prima di imbarcarsi per la Terra Santa. Questo spiega perché gli ordini m ilitari e religiosi avevano un notevole patrimonio in Puglia Durante la primavera e l'estate del 1197, l'imperatore Enrico VI di Hohenstaufen, leader carismatico della terza crociata, diede un impulso decisivo allo sviluppo dei Cavalieri Teutonici, fornendo beni importanti 84 Saverio Papicchio 85 Re Manfredi in Italia, soprattutto nella città di Barletta. Questi beni furono il centro dei pellegrini e dei crociati germanici nel Mediterraneo. Anche altri ospedali tedeschi nel sud d'Italia furono ugualmente organizzati dai Cavalieri Teutonici e servirono sopratutto come base di rifornimenti e per la partenza per la Terra Santa Torre Alemanna a Cerignola il cuore del Baliato di Puglia era costituito dalle tre città portuali più importanti di Puglia: Bari, Brindisi e Barletta. La principale area agricola di proprietà dell’Ordine Teutonico, si sviluppò intorno al monastero di San Leonardo di Siponto. Le terre teutoniche si estendevano anche a Cerignola, Corneto, Foggia, Belvedere, Ginosa ed Eboli. Infatti, mentre nel maggio 1348 frate Giovanni de Argentina si costituisce come «precettore» di San Leonardo, nel gennaio 1354 egli è un «luogotenente» di San Leonardo de Matina. Restano però ancora distinte le due cariche, perché stipulano dei contratti in Manfredonia i gran precettori di Puglia, frate Cristiano «de Colonia» (1361) e frate Ulrico «de Smalestein» (1369), mentre è precettore di San Leonardo de Lama Volaria frate Pietro Piczulo. Nel gennaio 1378 però frate Cristiano de Colonia si costituisce per un'enfiteusi a Monte S. Angelo come magnus preceptor in Apulia eccl. S. Leonardi de Maytina intus in terra Montis, existentis prope ecclesiam B. Michaelis Arcangeli, mentre frate Pietro «Picchulus» si costituisce nel 1378 in Barletta come preceptor tabule domus hosp. S. Marie Theot. in Barulo, dove presenta il decantato priv ilegio del re Federico II Rom. rex et Sicilie. Saverio Papicchio Re Manfredi Una bolla di papa Celestino V, concessa in Napoli ai Frati Teutonici il 22 novembre 1294, ci fa rievocare i danni subiti dall'Ordine in Oriente, allorché fu spogliato dei suoi beni dai Saraceni. Il papa venne incontro ai bisogni di tutti i precettori e frati, col renderli esenti dalle prestazioni da essi dovute ai legati, nunzi e cursori della Santa Sede, ed ai procuratori non solo per il presente, ma anche nel futuro, salvo che non si facesse cenno esplicito della medesima bolla. Sappiamo che Manfredi più volte fu aiutato dai cavalieri Teutonici, alcuni di loro diedero la propria vita per salvare il Re. Molto bello è l’episodio di un cavaliere che per non far colpire Manfredi da una freccia, si mise avanti e fu colpito lui, Manfredi fu riconoscente verso questo cavaliere raccontando più volte del suo gesto in ogni posto che si recava. Cavaliere Teutonico 86 Saverio Papicchio 87 Re Manfredi I figli di re Manfredi Beatrice di Savoia, (Catania, ca. 1220 – ca. 1259), principessa di casa Savoia fu regina consorte di Sicilia (1258-1259). Era figlia del conte di Savoia, d'Aosta e di Moriana, Amedeo IV (figlio del conte Tommaso I) e di Anna o Margherita di Borgogna, figlia di Ugo III di Borgogna e di Beatrice di Albon (1161- 1228), delfina del Viennois (figlia di Ghigo V di Albon, delfino del Viennois e di Beatrice di Monferrato). Il 4 marzo 1223, Beatrice fu fidanzata al marchese di Saluzzo, Manfredo III Secondo la Historia de rebus gestis Federici II di Saba Malaspina, Beatrice (natam Amadei comitis Sabaudiæ…Beatricem) sposò il marchese di Saluzzo, Manfredo III (Manfredus). Nel 1244, Beatrice rimase vedova e il padre, Amedeo IV, che aveva stretto un'alleanza con l'imperatore, Federico II di Svevia, la fidanzò con Manfredi. Beatrice morì prima del 10 maggio 1259. Dall'unione con Manfredo III di Saluzzo nacquero quattro figli: Alasia] (1236-1311), che sposò, nel 1247, il conte di Lincoln, Edmondo di Lacy; Tommaso (ca. 1240- 13 dicembre 1296), conte di Saluzzo; Agnese (1245- dopo il 4 agosto 1265), nata postuma, non citata nel testamento paterno del Saverio Papicchio Re Manfredi 1244. Sposò, nel 1262, Giovanni di Vescy, conte di Alnwick; Margherita (1245-?), gemella di Agnese, che si fece suora. Dall'unione con Manfredi di Sicilia nacque una sola figlia: Costanza (1249-1302), che sposò il re d'Aragona, Pietro III d'Aragona e fu anche regina di Sicilia. Elena Ducas, o Elena degli Angeli o Elena Angelo Comneno di Epiro (1242 – Nocera Inferiore, 14 marzo 1271), fu moglie di Manfredi di Svevia. Figlia del despota d'Epiro Michele II e di Teodora Petralife, era sorella di Niceforo I Ducas (che successe al padre come re dell'Epiro) e sorellastra (tramite padre) di Giovanni I Ducas, principe di Tessaglia. Il nonno paterno era Michele I d'Epiro, figlio illegittimo del sebastocratore Giovanni Ducas, che era il figlio maggiore di Costantino, il settimo figlio del imperatore bizantino Alessio I di Bisanzio e di Irene Ducas. Il 2 giugno 1259 a diciassette anni Elena sposava, nel castello di Trani, Manfredi di Svevia, rimasto vedovo di Beatrice di Savoia, in virtù di una serie di accordi diplomatici del padre Michele II. Il suo matrimonio era destinato a mantenere la pace tra Epiro e la Sicilia, poiché sia Michele II che Manfredi avevano preoccupazioni più impellenti altrove. Nella sua dote erano inclusi tutti i diritti della città di Durazzo (già conquistato nel 1256) con i suoi dintorni, l'isola di Corfù, Valona, Berati e altre città dell'Albania. Con Manfedi non si tratto solo di un'unione dinastica ma di un'alleanza tra i due regni: in- 88 Saverio Papicchio 89 Re Manfredi fatti Manfredi invio tremila fanti in aiuto del suocero contro l'Imperatore di Nicea, per la conquista di Costantinopoli. Sconfitto ed ucciso Manfredi dagli Angioini durante la Battaglia di Benevento, Elena venne imprigionata. Lasciò il castello di Lucera per trasferirsi prima a Trani e poi a Lagopesole, per incontrare Carlo I d'Angiò. Dopo l'incontro, il Re di Napoli, tra luglio ed agosto 1266, ne dispose l'isolamento nel castello del Parco di Nuceria Christianorum, oggi Nocera inferiore, dove morì in carcere. A Manfredi Elena diede cinque figli: Beatrice di Sicilia, (1260 – 1307); Federico di Sicilia, (1261– 1312); Enrico di Sicilia, (1262– 1318); Enzo di Sicilia, (1265 – 1301); Flordelis di Sicilia, (1266– 1297). Castello di Trani Saverio Papicchio Re Manfredi M anfredi e Manfredonia Manfredonia (antico Sipontum, quindi Sypontum Novellum, poi Sipontum Nova; Mambredònje in dialetto locale) è un comune italiano della provincia di Foggia in Puglia. Nel gennaio 1256 il re di Sicilia e principe di Taranto Manfredi giunto a Siponto durante una battuta di caccia sul Gargano, trovò la città distrutta e gli abitanti costretti a vivere in case non più adatte all'uso abitativo, in un'area resa malarica dall'impaludamento. Decise quindi di ricostruire la città due miglia a nord dell'insediamento originario. Le sue intenzioni erano duplici: da un lato, creare uno dei più importanti centri di governo di tutto il Regno, secondo gli evoluti canoni amministrativi ormai consolidati dal padre, l'imperatore Federico II; dall'altro, presidiare il territorio la cui posizione era strategica anche per via della vicinanza all'Oriente bizantino. Le conferì il proprio nome in segno di futuro prestigio, onore e potenza. In marzo i lavori vennero affidati al maestro costruttore Marino Capece, che riutilizzò i ruderi della città più antica e organizzò l'importazione via mare dalla Schiavonia di legname, calce, pietre e sabbia. Nel complesso furono impiegati 700 operai e molti buoi. Il 23 aprile 1256, fu posata la prima pietra e nel 1257, convocato il Parlamento di Puglia a Barletta, Manfredi ottenne di costruire la nuova città a spese dell'erario reale e della sua cassa privata. Nel novembre 1263 venne consegnato il Datum Orte, os- 90 Saverio Papicchio 91 Re Manfredi sia l'atto notarile col quale la città veniva ufficialmente riconosciuta. Manfredi successivamente affidò i lavori a suo zio Manfredi Maletta. Ai primi del 1258 erano state costruite la metà delle mura che guardano verso il mare e verso Foggia, con fortini e baluardi, e la grande campana il cui suono era percettibile a distanze notevoli, questa serviva in caso di pericolo per chiamare a raccolta i pochi abitanti di Manfredonia La nuova città ottenne benefici fiscali (franchigie) che la resero un porto franco e la sua popolazione si accrebbe con il trasferimento di abitanti delle vicine città di San Paolo di Civitate, Trani, Carpino, Monte Sant'Angelo, Barletta, Ischitella, Andria e Corato. Sin dalla sua costituzione fu dotata di una zecca che coniò e impresse diverse monete (doppio tarì, dinari d'oro, di rame e di biglione). In fondo al Golfo omonimo, accarezzata dalle spumeggianti onde azzurre del Mare Adriatico, difesa dal Gargano, la Montagna del Sole, sorge Manfredonia. La ridente cittadina dauna conta oggi circa sessantamila anime e si estende lungo la fascia costiera; confina a Sud con Zapponeta ed a Nord con il territorio di Monte Sant'Angelo, ai piedi del Gargano. Il clima è temperato tutto l'anno con valori di 16° C. Situata a poca distanza dalla progenitrice Siponto, divenuta una immensa palude a seguito dell'evento tellurico del 1223 che la distrusse quasi interamente. Il suo fondatore, il "biondo e bello e di gentile aspetto" re Manfredi, figlio del grande Federico II, amò tanto la terra di Puglia ed in particolare la Capitana- Saverio Papicchio Re Manfredi ta, da renderla immortale per avervi realizzato numerose opere. " Se il Signore", disse Federico, "avesse conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui". Dotò la nuova città, alla quale diede il suo nome, di strutture moderne. Concesse agli abitanti privilegi perchè potessero ripopolarla degnamente e prosperare. La prematura scomparsa avvenuta il 1266, durante la battaglia di Benevento, però, non gli consentì di v ederla così come avrebbe voluto che fosse. Purtuttavia, Manfredonia ha continuato il suo cammino verso un futuro ricco di avvenimenti. Nonostante le mutate situazioni ambientali, culturali e sociali, la città ha conservato la sua connotazione originaria, consol idando il feeling con il passato. Il nuovo si fonde con l'antico. il castello di Manfredonia 92 Saverio Papicchio 93 Re Manfredi L a Zecca a Manfredonia Parlare degli Svevi, di Manfredonia e della sua Zecca senza parlare della Puglia in genere e di Brindisi medievale vuol dire fare un discorso a circuito chiuso. Poiché la storia è tutto un discorso aperto, allora è necessario soffermarci un po' sull'Apulia antica, quella precisamente del periodo 1085-1197: due date fondamentali per comprendere la storia della numismatica pugliese, senza considerare naturalmente il periodo romano e quello greco. Il 1085 segna l'apertura della Zecca dei Normanni in Puglia con Brindisi e i suoi "Follari", battuti da Ruggero Borsa duca fino alla sua morte (1111). Il 1197 è l'anno dell'elezione di Federico di Svevia a re di Sicilia sotto la tutela della madre Costanza d'Altavilla, ultima erede normanna, che nel 1194 andò in isposa a Enrico VI di Svevia, re dei Tedeschi per v olontà di Federico Barbarossa col preciso intento di unire la corona di Sicilia e quella di Germania. L'unione delle due corone suscitò l'opposizione del Papato, perché essa poneva lo Stato Pontificio tra due fuochi. E questo spiega la discesa di Carlo d'Angiò in Italia e la conseguente sconfitta di re Manfredi, avvenuta a Benevento il 26 febbraio del 1266. Saverio Papicchio Re Manfredi Il 1197 segna quindi l'inizio della fortuna degli Svevi, che durerà fino all'anzidetta sconfitta dell'ultimo biondo Svevo (re Manfredi) e precisamente: * dal 1197 al 1250 con Federico II (successo al padre Enrico all'età di 3 anni); * al 1250 al 1254 con Corrado I (re dei Tedeschi nel 1237 e successore al trono di Sicilia nel 1250, alla morte del padre Federico II); * dal 1254 al 1258 con Corrado II, detto Corradino (successo al padre Corrado I all'età di 2 anni e morto nel 1268); * dal 1258 al 1266 con Manfredi (principe di Taranto e reggente del Regno di Sicilia nel 1250). Il 1250 registra, oltre la morte di Federico II, anche la crisi dell'Impero a favore del Papato. E tutti gli sforzi fatti da Federico II e dai figli Manfredi ed Enzo (re di Sardegna) per la creazione di un forte Stato nell'Italia settentrionale non riuscirono ad unire i dominii italiani a quelli tedeschi. Enzo, nato nel 1220 dalla stessa madre di Manfredi (Bianca Lancia), nonostante i diversi successi contro i Comuni ribelli dell'Italia settentrionale, il 26 maggio del 1249 con la sconfitta subita a Fossalta viene fatto prigioniero e condotto a Bologna, dove mori nel 1272. 94 Saverio Papicchio 95 Re Manfredi Sempre nel 1250, quando Corrado I si trovava in Germania a lottare per i suoi dominii contro Guglielmo d'Olanda, che i Guelfi e il Papato gli avevano contrapposto, Manfredi veniva nominato reggente del Regno di Sicilia. Questa reggenza, un po' travagliata, è caratterizzata dal ritorno di Corrado I dalla Germania (1252), che, con l'aiuto del partito tedesco, riuscì ad impadronirsi del Regno di Sicilia. Nel 1254 improvvisamente moriv a a Lavello Corrado I, lasciando il trono al figlioletto Corradino sotto la protezione della Santa Sede e il governo del Regno al Marchese Bertoldo di Hohenburg, che non accettò. Questo stato di cose, unitamente all'ostilità di Innocenzo IV, favorì nuovamente la reggenza di Manfredi, grazie soprattutto all'appoggio della nobiltà siciliana e alla diffusa e falsa notizia della morte di Corradino, che in realtà avvenne il 29 ottobre del 1268 a Napoli nella Piazza del Mercato, dopo essere stato sconfitto a Tagliacozzo da Carlo d'Angiò nel tentativo di riconquistare il suo regno. Praticamente dalla morte di Federico II (1250) al 1266 il sovrano effettivo del regno di Sicilia era Manfredi anche se Corrado e Corradino coniarono monete rispettivamente per i periodi 1250-1254 e 1254-1258. Durante il periodo (1197-1266) furono battute div erse monete in oro, argento-mistura e rame a Messina, a Brindisi e a Manfredonia. Saverio Papicchio Re Manfredi Le Zecche di Messina e di Brindisi hanno funzionato per tutto il periodo del dominio svevo da Enrico VI e Costanza d'Altavilla a Manfredi: Messina dal 1194 al 1266 e Brindisi dal 1194 al 1263. La Zecca di Manfredonia ha invece battuto monete solo dal 1263 al 1266, contrariamente a quanto asserisce qualcuno, perché dal 1258 al 1263 Manfredi batte monete in rame e mistura a Brindisi. Sta di fatto che alcuni denari di Manfredi hanno nel campo una grande "A" e altri denari "AP" in monogramma (Apulia). Gli stessi monogrammi "A" e "AP" sono riportati sui denari e mezzi denari di Federico II, battuti a Brindisi, quando Manfredonia non era stata ancora fondata. L'esistenza di queste monete, contrassegnate da "A" e "AP", sta a dimostrare che Manfredi continuò a battere monete con gli stessi simboli a Brindisi. Pertanto, tutte le monete sveve riportanti "A" e "AP" sono da attribuire esclusivamente alla zecca di Brindisi. Dei denari battuti a Messina (1258-1266) alcuni portano un'aquila (simbolo di potenza già da Enrico VI), altri una "S" o una "S" crociata nel campo (Sicilia), altri la scritta "MAY" (Maynfridus) e altri ancora una "T" stilizzata per Trinacria, anche se il Corpus Nummorum Italicorum attribuisce quest'ultima a Manfredonia. La monetazione in biglione coniata a Manfredonia porta nel campo due tipi di emme: (emme gotica o "M" normale) sul diritto e una croce sul rovescio. La emme sta per indicare sia l'iniziale di Manfredi che il segno di Zecca di Manfredonia. Il segno "M" non può 96 Saverio Papicchio 97 Re Manfredi essere attribuito a Messina, perché le monete siciliane sono caratterizzate dai simboli "S", "S" crociata, "T", "MAY"" e aquila spiegata, mentre quelle di Brindisi "A" e "AP". Da quanto sopra si deve dedurre che anche Manfredonia avesse un simbolo. Questo simbolo, procedendo per esclusione e per logica, e dato dai due tipi di emme (gotica e normale), che non figura in nessun'altra moneta battuta a Messina dai predecessori di Manfredi, contrariamente ai simboli "A" e "AP" delle monete brindisine di Federico II e Manfredi. I Tari d'oro e i multipli di Tari sono stati battuti a Messina dal 1258 al 1263, mentre dal 1263 al 1266 essi furono battuti a Manfredonia. La monetazione manfredina, sia in ora che in biglione, e stata molto più abbondante di quella dei suoi predecessori anche se fatta con poca cura e più difficile a trovarsi di quella di Federico II. La maggior parte delle emissioni in oro sono della Zecca di Manfredonia. Altre monete d'oro, dopo la morte di Manfredi e la chiusura automatica delle Zecche di Manfredonia e Messina, sono state coniate da Carlo d'Angiò con la riapertura della Zecca di Brindisi e la concessione del diritto di conio a Bar letta per il periodo 1266-1278, perché dal 1278 fino alla morte di Carlo (1285) la Zecca funzionò a Napoli. Con la riapertura della Zecca di Brindisi da parte di Carlo d'Angiò è probabile che gran parte della monetazione aurea di Manfredi sia stata fusa, perché, Saverio Papicchio Re Manfredi come ci racconta Salimbene da Adam cronista medievale, re Carlo aveva in dispregio Manfredi e ogni sua traccia tanto che tentò di chiamare "Nuova Siponto" la città di Manfredonia, fondata dal suo riv ale. Di particolare importanza storica e rarità è il denaro di Manfredi, che porta una grande "R" nel campo in monogramma REX, che tutti gli studiosi di numismatica medievale meridionale attribuiscono alla Zecca di Messina in occasione dell'incoronazione del 1258. Monete di Re Manfredi 98 Saverio Papicchio 99 Re Manfredi I l castello di Re Manfredi Il Castello sorgeva su un promontorio roccioso, tra il torrente Salinello, proveniente dall'area della Montagna di Campli, ed il fosso Rivolta, che scendeva dalle Canavine, alla base della Montagna dei Fiori. In principio, sul luogo esisteva un accampamento fortificato romano, una "castrum" che probabilmente controllava e difendeva la "via del sale"; esso fu occupato, in seguito, dai Longobardi, all'epoca della loro invasione. Sui resti di questa costruzione Manfredi di Svevia avrebbe fatto erigere il fortilizio, secondo i modelli costruttivi dell'epoca. L'organizzazione dei lavori, iniziati nel 1263, si deve al generale Percivalle d'Oria e la scelta del luogo, oltre al fatto che preesistevano delle strutture fortificate, deriva dalla volontà del sovrano svevo di rafforzare la cerniera difensiva che univa la Valle Castellana alla futura Rocca di Civitella del Tronto, nella convinzione (risultata errata) che le armate di Carlo d'Angiò invadessero il Regno di Sicilia seguendo la via naturale costituita dalle gole del torrente Salinello. Sulla l inea di confine erano allineati i castelli di Pietralta, Macchia, Civitella del Tronto, Rocca di Murro e Colonnella. L'appartenenza a tale "linea" difensiva dava a Castel Manfrino un'enorme importanza strategica, che ha favorito la fioritura di racconti, tra storia e leggenda, che ancora lo caratterizzano. Il castello, situato ad una quota lievemente più elevata di quella del borgo di Macchia (963 mt.), aveva una pianta quadrangolare allungata e occupava per intero lo Saverio Papicchio Re Manfredi sperone calcareo a picco sul torrente Salinello, (100 mt. circa di dislivello). Le mura di cinta, con l'asse longitudinale ad orientamento N-S, erano lunghe un centinaio di metri circa e larghe 20-25 mt.: la cinta muraria aveva un andamento tortuoso e occupava per intero lo spazio disponibile. La costruzione, in pietra locale squadrata grossol anamente, con qualche concio di miglior fattura, era cementata con pozzolana ed era legata alla funzione d'uso: ha pertanto un limitato interesse architettonico se non quello legato alla struttura militare. Non è possibile nemmeno ipotizzare la presenza di una merlatura, anche se l'attribuzione della fortezza agli svevi potrebbe far propendere per merlature simili a quelle ghibelline. Il Castello aveva tre torri, delle quali rimangono ben pochi resti. Quella di maggiori dimensioni era situata a settentrione: conosciuta come torrione angioino, era di grosse dimensioni e sostituiva, come residenza del castellano, il più antico mastio (torre centrale). La torre sveva era a Sud, a strapiombo sul Salinello, in una posizione molto panoramica (in vista della linea di costa) e quindi adatta per eventuali segnalazioni con specchi o fuochi con la Rocca di Civitella del Tronto. Essa era situata vicino l'ingresso del forte, che aveva sul portale un'aquila imperiale di pietra. La torre di centro, il maschio, era l'abitazione del castellano, nonché la difesa ultima del castello, nella quale si asserragliavano i difensori in caso le difese esterne cedessero. Ad essa si arriv ava mediante un ampio corridoio, alla destra del quale erano situati ambienti di diversa tipologia, identificabili come stalle, locali del corpo di guardia e al- 100 Saverio Papicchio 101 Re Manfredi loggi dei soldati. Tra la torre centrale e quella meridionale, i resti di una costruzione a pianta quadrata, di destinazione ignota ma che, in lavori più recenti, viene identificata come la sala della preghiera. ASSEDIO E CADUTA DEL CASTELLO Dopo la sconfitta di Manfredi, il castello di Macchia fu dato in feudo a Pierre del l'Isle e poi "ripreso e restituito" dagli Ascolani al dinasta Armellino. Re Carlo ordinò al Giustiziere d'Abruzzo di riconquistarlo e raderlo al suolo. L'impresa risultò più difficile del prev isto, e richiese un lungo assedio: furono costruiti due bastida, sorta di castelli lignei in miniatura, uno a monte ed uno a valle del castello "vero". Più di mille soldati, al comando di Pagano di Vario, capitano generale dell'esercito Angioino, strinsero in una morsa i ribelli. Altri duecento militi erano accampati nelle adiacenze di Sant'Angelo in Volturino e controllavano la strada per San Vito, impedendo l'arriv o di aiuti dalla città di Ascoli. L'assedio iniziò nell'autunno del 1272 e si protrasse per diversi mesi, fino alla primavera dell'anno successivo: gli assedianti occuparono l'inverno per costruire macchine da guerra per superare le mura del Castello. Secondo i piani, il capitano Matteo du Plexis diede l'ordine d'attacco il giorno successivo alla Pasqua del 1273: le baliste aprirono una breccia nelle mura e i soldati si precipitarono all'interno del fortilizio pronti a vincere la resistenza degli assediati ..... e non trovarono nessuno! Nel Castello c'erano solo un vecchio e due donnette: questo fatto apparentemente inspiegabile è alla base delle storie che narrano di scale e cunicoli scavati nella roccia. Certo che qualche passaggio segreto ci Saverio Papicchio Re Manfredi doveva essere se più di duecento persone riuscirono a dileguarsi nel nulla sotto il naso di un intero esercito. Tra l'altro, i capi della rivolta, tra i quali Rinaldo della Macchia, erano fuggiti già da qualche giorno, approfittando di un'improvvisa nevicata: furono però catturati in breve tempo. Il Giustiziere avvertì Re Carlo della "strepitosa vittoria" ottenuta e quest'ultimo abbandonò le velleità di distruzione del maniero, anzi lo fece riparare e lo diede in feudo lo stesso anno della conquista. Questo dimostra che il Castello di Macchia aveva un ruolo importante nello scacchiere difensivo e il fatto che avesse resistito al lungo assedio testimonia della sua solidità. Nel 1281, fu costruita una cisterna e una nuova torre a base quadrata, di grosse dimensioni (10 mt. di lato, tre piani per 24 mt. circa di altezza). Castel Manfrino ebbe una notevole importanza strategica fino al XV secolo: la sua decadenza, come quella di altri castelli simili, è legata all'invenzione della polvere da sparo, che rendeva inutili le sue strutture difensive. resti del Castel Manfrino i 102 Saverio Papicchio 103 Re Manfredi L a vita di Re Manfredi La vita di Manfredi è ricca di avvenimenti che hanno condizionato vari secoli di vita italiana. Federico II aveva una particolare predilezione per Manfredi: perché è figlio di Bianca Lancia, il suo unico vero amore; perché vede in lui l’erede dello spirito battagliero, indomito, tipico degli Svevi; perché dimostra di avere le sue stesse passioni. Eppure, Manfredi ha una vita discussa, con atteggiamenti a volte contraddittori, che lo fanno un personaggio fra i più interessanti del suo secolo. In realtà, se l’Impero medievale tramonta con Federico II, Manfredi è ultimo protagonista di questo impero, l’uomo che per primo sconta l’invettiva di Innocenzo IV disse: "Estirpare il nome di questo babilonese e quanto di lui possa rimanere, dei suoi discendenti, del suo seme". Manfredi nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV — il primogenito figlio di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in Germania. Questa decisione lo inimica subito al Pa- Saverio Papicchio Re Manfredi pa, che avrebbe voluto liberamente disporre dell’intero patrimonio svevo. Incoronazione di Re Manfredi 104 Saverio Papicchio 105 Re Manfredi Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni. Ma quando Corrado, nell’agosto del 1252, sbarca a Siponto e giunge nella Puglia per prendere possesso dei suoi territori dimostra di non avere il talento e le virtù paterne e di non poter reggere il confronto con Manfredi che, si riduce al semplice rango di vassallo. Fra i due corrono dissapori, invidie, rivalità finché nel 1254 Corrado muore. Diventato di fatto capo della Casa di Svevia, Manfredi si trova a tu per tu con Innocenzo IV, determinato a disfarsi dell’incomoda dinastia imperiale. Un tentativo di rappacificazione fallisce nel luglio del 1254, mentre il successiv o 12 settembre Manfredi è colpito da anatema. Di fronte alla possibilità di uno scontro cruento al quale nessuno era preparato, si giunge rapidamente ad un accordo. Accanto alla revoca della scomunica, Manfredi riceve dalla mani del Papa feudi e principati, una rendita di ottomila once d’oro, e soprattutto la nomina a vicario per la maggior parte dei territori continentali del Meridione, in cambio del riconoscimento dell’autorità papale sul Regno di Sicilia. Ma lo Svevo non demorde: all’inizio di dicembre organizza una riv olta in Puglia riuscendo a conquistare Lucera ed a battere l’esercito pontificio. E’ l’ultimo atto del confronto con Innocenzo IV muore il 7 dicembre 1254. Saverio Papicchio Re Manfredi Sul piano militare il conflitto si inasprisce in Puglia; ma è fondamentale provvedere in tempi brevi all’occupazione del trono di Sicilia, che Manfredi r itiene un patrimonio svevo ereditato dai Normanni e destinato a Corradino, legittimo successore del defunto Corrado. Così, il 10 agosto 1258, dopo aver allontanato il reggente Bertoldo di Hohenburg — un fedele di Federico II passato ad infoltire le file papaline — si fa incoronare nella cattedrale di Palermo tra le feste ed il giubilo della popolazione. Alessandro IV dichiara nulla l’incoronazione, mentre è dalla Germania, la madre di Corradino, l’erede legittimo di Corrado IV, insorge. Ma a Manfredi non è difficile spiegare il proprio operato, che si era reso necessario per salvare il Regno dallo sfacelo. Da quel momento, Palermo tornava ad essere la capitale del più bel Regno d’Europa. Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato. Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma senza cercare la guerra. 106 Saverio Papicchio 107 Re Manfredi Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se non avrà il tempo di raccoglierne i frutti. Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la barba fini… Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia. Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che rasenta il fanatismo; è a corrompere con il denaro i governanti che non condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I. Alle strette, Manfredi si rivolge agli alleati ormai ridotti di numero. In questi appelli vi è tutta la dignità di un sovrano che non considera il nemico degno di sé. Essi esprimono l’illusione di un intellettuale, destinata ad essere soffocata dalla forza brutale. Carlo I valica le Alpi al Colle di Tenda alla fine del 1265. Con un esercito di almeno 30.000 uomini, inizia a spargere il terrore nelle campagne e riduce la resistenza nelle roccaforti ghibelline. Il 6 gennaio 1266 è Saverio Papicchio Re Manfredi incoronato a Roma, in assenza del Papa. Il 20 gennaio Carlo I riparte da Roma e supera i confini del Regno attraversando il fiume Liri. Dopo varie scaramucce, lo scontro campale avviene a Benevento. Il mattino del 26 febbraio, Manfredi decide l’attacco. Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte. Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più fav orevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che combattono al grido di "Svevia!". Deciso a gettarsi nella mischia, è sta vestendo l’armatura, quando l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. "Ecco la volontà di Dio" mormora: è il segno della fine. La giornata si conclude con un massacro e Carlo I resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo. Era il tramonto del 12 febbraio 1266. Manfredi Lancia, o Manfredi di Sicilia o, Manfredi di Svevia, figlio dell’Imperatore Federico II di Hohenstaufen e di Bianca Lancia, aveva diciotto anni quando assistette all’agonia ed alla morte del padre: un evento che, mutando il destino della storia del Mezzogiorno italiano, fu salutato da Papa Innocenzo IV con le parole di fuoco dell’enciclica Laetentur Coeli: «… Esultino i cieli! Si rallegri la terra, perché con la morte del vostro persecutore sembra, per l'ineffabile misericordia di Dio, che si siano mutati in dolci zeffiri e in fre- 108 Saverio Papicchio 109 Re Manfredi sche rugiade i fulmini e le procelle che sono stati lungamente sospesi sulle vostre teste. Tornate dunque subito nel grembo della Santa Chiesa, vostra madre, dove soltanto in questa potete trovare riposo, pace, libertà...» Finalmente il Papa poteva attuare il progetto di espellere dall’Italia l’invisa e temuta casata sveva e restaurarvi la propria incontrastata autorità. Accorato e struggente, invece, fu il messaggio indirizzato da Manfredi al fratellastro Corrado IV, Re di Germania: «... si è spento il sole del mondo che brillava sulle genti, si è spento il sole della giustizia, si è spento l’amore per la pace... …. ma anche se quell’astro è tramontato, i suoi ordinamenti gli assicurano continuità e nuova vita in Voi... Nessuno crede che il Padre sia assente perché si spera che nel Figlio viva...» Sulle sue giovani spalle gravava il compito di difendere il Regno, gli interessi ed il nome di quella che era stata la più potente dinastia del Medio Evo. Saverio Papicchio Re Manfredi Manfredi e il suo falcone 110 Saverio Papicchio 111 Re Manfredi Frastornata, l’Italia ghibellina pianse lacrime amare per la condizione di orfanità politica verso la quale il Pontefice, dall’interno del suo lussuoso baldacchino di seta rossa, esibiv a il suo gelido sprezzo incontrando la deputazione guelfa di Genova; annodando relazioni con le città lombarde pronte a rivisitare i rapporti con la Chiesa; ricevendo gli onori delle popolazioni umbre; fissando la sua sede in Anagni, ove si sarebbe trattenuto fino all'inizio dell’autunno del 1253; preparando il suo piano di rivalsa e di recupero del Mezzogiorno peninsulare ed insulare. Corrado IV, nel capodanno del 1252 aveva varcato le Alpi e, dopo una sosta in Veneto, si era portato a Pola ove era atteso da sedici unità della flotta siciliana che lo avrebbero scortato fino a Siponto: lo attendeva Manfredi, Luogotenente del Regno, restato nella regione per garantire l’obbedienza dei sudditi di Foggia, Andria, Barletta, Avellino, Aversa e Nola ove, fomentate da frati mendicanti, erano esplose accese riv olte antisveve. Egli stesso, dopo aver trasferito in Sic ilia il quindicenne Enrico Carlo Ottone con l’incarico di Vicerè, aveva incaricato il Margravio Bertoldo di Hohenburg di riportare l’ordine in molti dei centri in fermento, ma Capua e Napoli resistevano tenacemente. Accolto come legittimo sovrano da tutta la Puglia, Corrado avallò le decisioni del fratello e con lui proseguì la campagna militare: insieme ebbero ragione del Conte d'Aquino che capeggiava Saverio Papicchio Re Manfredi la ribellione di Nocera, Sessa Aurunca e San Germano. Insieme, nell’ottobre del 1253 ottennero la capitolazione del capoluogo partenopeo che, assediato dal lato di terra e dal mare, dopo dieci mesi di resistenza cadde per fame. Fissata la corte in Barletta e chiusa l’univ ersità napoletana, nel perdurare delle attiv ità militari, Corrado si dette al ripianamento dei rapporti con il Papa inviandogli un’ambasceria che gli comunicasse la propria disponibilità a giurargli fedeltà, in cambio della incoronazione imperiale e del riconoscimento delle prerogativ e sul Regno di Sicilia. Innocenzo IV liquidò la proposta: in conseguenza delle decisioni adottate all’interno del Concilio di Lione, gli Svevi erano decaduti da ogni diritto. I negoziati furono ripresi nel 1254, ma neppure i buoni uffici del Conte Tommaso di Savoia sortirono risultati positivi: il Primate romano accusava lo Staufen di avere imposto agli ecclesiastici, a sprezzo dell’interdetto, la celebrazione degli Uffici; di aver diffuso fra i partigiani staufici dell'Italia settentrionale dottrine eretiche; di essersi appropriato dei beni della Chiesa e di vari Ordini religiosi; di essere colpevole di tante iniquità, da non poter accampare il titolo alla corona di Sicilia destinata ad un nobile straniero che egli stesso avrebbe individuato, pur senza esito, prima nella persona di Riccardo di Cornovaglia, fratello di 112 Saverio Papicchio 113 Re Manfredi Enrico III d’Inghilterra; poi in Edmondo, figlio del medesimo Sovrano. Tuttavia, malgrado ogni esibizione di forza, il potere di Innocenzo era molto fragile: Roma negli ultimi nove anni aveva vissuto libera dall’ipoteca papale e la sua borghesia, nell'agosto del 1252 aveva eletto alla carica di senatore il giurista bolognese Brancaleone degli Andalò, Conte di Casalecchio, ghibellino e molto amico di Ezzelino da Romano e di Oberto Pallavicino: egli non solo aveva energicamente riportato l'ordine nella città, ma nell’ottobre del 1253 aveva obbligato il Papa a rientrarvi, costringendolo a riaprire le trattative con lo Staufen. La replica della Curia era consistita di un arrogante messaggio, mirante a colpire l’intero arco degli alleati imperiali: l’estensione del provvedimento di scomunica già irrogato a Corrado, anche al cognato Ezzelino da Romano. Nel clima di aperta belligeranza però, una nuova tragedia si abbatté sugli Svevi: il ventuno maggio del 1254, mentre si trovava a Lavello presso Melfi, il Sovrano tedesco si spense lasciando la complessa eredità al figlio Corradino, la cui tutela era stata affidata comunque al Pontefice. La sua inattesa fine aprì numerose crepe nella stabilità dell’Impero e del Regno agitato dalle pressioni guelfe. E forse anche in seno alla famiglia e fra fratelli medesimi, s’era aperto un fronte Saverio Papicchio Re Manfredi di rivalità, di invidie e di contrapposizioni: Corrado aveva trascorso fin da bambino la sua vita in Germania ed era considerato a tutti gli effetti un tedesco; Manfredi, che aveva vissuto accanto al padre condividendone le passioni, era un figlio del Sud, un figlio della Puglia, un figlio della Dauna. Di fatto, contro ogni disposizione testamentaria paterna e defraudando i diritti e le sue pur legittime attese, a sorpresa, prima di morire, l’Imperatore aveva indicato reggente e balio del Regno il Margravio Bertoldo di Hohenburg. Manfredi, già dotato di senso dello Stato e di responsabilità politica, non impugnò le scelte del germano ma fece, anzi, parte della delegazione che si recò presso Innocenzo per la ratifica delle clausole testamentarie, comprese le prerogativ e ereditarie di Corradino, Manfredi mostrò saggezza e rispetto virtù di un vero Re. Anche questo incontro fu infruttuoso: il Papa sarebbe stato anche propenso ad accettare l’erede come Sovrano feudale, ma esigeva l’immediata consegna del Regno di Sicilia che diversamente avrebbe invaso. Nel frattempo, irrogava la scomunica a Manfredi. L’Hohenburg, anche nella consapevolezza di essere inviso ai sudditi, dai quali era considerato un usurpatore, cedette a Manfredi il governo non trascurando di insidiarlo; di tradirlo; di spingersi fi- 114 Saverio Papicchio 115 Re Manfredi no a trattenere le entrate erariali necessarie a fronteggiare i clavisegnati, già pronti all’aggressione del Sud. Infatti, San Germano, stazione di confine, cadde nelle mani di Innocenzo; le Baronie si disposero a sollecite trattativ e con la Chiesa; lo stesso Hohenburg si mostrò pronto a cambiare sponda politica. Manfredi, dotato di forze numericamente inferiori, era in difficoltà: il nipote era nella lontana Germania ed egli aveva l’onere morale di salvarne i diritti pesantemente minacciati. Decise, pertanto, di cedere alle pressioni papali e nel trattato di pace sottoscritto il ventisette novembre del 1254, di accettare l’occupazione pontificia del Mezzogiorno con riserva delle prerogativ e di Corradino e proprie. In cambio, ottenne l’assoluzione dalla scomunica. Naturalmente si trattò di intesa di forma: nella sostanza, infatti, Innocenzo aveva già esteso la sua egemonia sull’intero Mezzogiorno esibendo atteggiamenti da Sovrano fin da quando si era dato a girare nelle province campane: Montecassino, Teano, San Germano, Capua e Napoli, sulle quali già esercitava controllo politico ed economico. Il suo comportamento non affrancava Manfredi dai rischi: egli era cosciente della propria impotenza amplificata dalla presenza, nella corte papale, degli acerrimi ed irriducibili nemici degli Svevi: i protagonisti della congiura di Capaccio e, con essi, avventurieri a vario titolo, come tal Borrello d’Anglone. Costui, peraltro, for- Saverio Papicchio Re Manfredi te della protezione fornitagli dalla Curia di Roma, aveva impunemente occupato la Contea Alesina e le proteste inoltrate al Pontefice in sosta a Capua erano state sprezzantemente disattese. Deluso, Manfredi progettava di rientrare in Puglia quando un evento imprevedibile era intervenuto ad accentuare l’ostilità fra le parti: sotto Teano, Borrello ed i suoi sgherri gli avevano teso un agguato. Nella mischia, ferito da un soldato saraceno, l’aggressore si dette alla fuga. Ma la concitazione che ne seguì accreditò la tesi che proprio Manfredi fosse stato assassinato: era quanto bastava perché un gruppo di popolani inseguisse il Borrello e per vendetta lo linciasse. Malgrado ai fatti avessero assistito div ersi guelfi, quella uccisione fu invece addebitata al Sovrano che invano protestò la sua innocenza presso il Pontefice: contro di lui era stato già spiccato un ordine di arresto per omicidio. Rifugiatosi in Acerra; inseguito e ricercato, Manfredi decise di riparare a Lucera, anche su suggerimento dello zio Galvano Lancia. Marino e Corrado Capece protessero la sua drammatica ritirata fra i monti dell’Irpinia: Mercogliano, Atripalda, Guardia dei Lombardi, Bisaccia e Venosa, fino a Lucera, raggiunta nella notte del primo novembre, mentre già lo atta- 116 Saverio Papicchio 117 Re Manfredi nagliava l’ansia che le frontiere della Capitanata subissero incursioni e rappresaglie dei clavisegnati. Ottenuto il giuramento di fedeltà dei sudditi, arruolò altre truppe e il due dicembre sfidò in battaglia il traditore Oddone di Hohenburg, fratello di Bertoldo: lo sconfisse a Foggia, costringendolo ad arretrare verso Canosa. Ma alto fu il pedaggio pagato per il favorevole esito dello scontro: il suo giovane fratello Federico di Antiochia, capo delle schiere saracene, perse la vita. In compenso, il Cardinale Guglielmo di Sant’Eustachio, la cui guarnigione si era già insediata a Troia pronta ad aggredire Lucera, si ritirò infliggendo alle velleità egemoniche di Innocenzo un duro colpo, certamente concausa della morte che lo stroncò il sette dicembre del 1254 a Napoli, ove le sue ambizioni cesaropapiste erano state demolite. Al trono pontificio gli successe Alessandro IV, al secolo Reginaldo di Ostia, della famiglia dei Conti di Segni, mentre il figlio di Bianca Lancia si dava al consolidamento dell’opera restauratrice della monarchia, sostenuto da sudditi che egli rincuorò stimolando l’orgoglio dell’appartenenza: «...alle benemerenze dei normanni si aggiungono quelle di casa Sveva, e sol deplorando la morte degli uomini validi appartenenti alla famiglia del grande Federico, la bontà di Dio mi riserva, qual rappresentante di Saverio Papicchio Re Manfredi quella stirpe di apportare i maggiori benefizii a queste città, sia di qua che di là del Faro... la successione dei Papi, sempre rapida e varia, non può arrecare a questo Regno né felicità né prosperità...» Il nove febbraio del 1255 Manfredi respinse con rigorosa fermezza l’ultimatum col quale il nuovo Pontefice, esigendo l’espulsione dei Saraceni dal Regno, pose in marcia contro Foggia i Clavigeri al comando del Cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Ormai la sua potenza era in crescita e l’entusiasmo popolare supportò le sue iniziative militari, malgrado il venticinque marzo fosse colpito da una seconda scomunica: entro l’estate successiva, domati tutti i focolai di ribellione e ripreso saldamente il controllo della più parte Regno, Manfredi marciò su Napoli esigendone l’obbedienza. Nella primavera del 1256, sottomesso tutto il Sud peninsulare, finalmente traversò lo stretto: le speranze siciliane lo attendevano riconoscendo in lui l’incarnazione non solo delle indimenticabili tradizioni della casa sveva, ma anche della coscienza nazionale dell’isola. Nel frattempo, essendosi sparsa voce che Corradino fosse morto, quale unico erede degli Svevi l’undici agosto del 1258 Manfredi fu incoronato Re di Sicilia alla presenza di Romano Capodiferro: quel coraggioso Arcivescovo beneventano 118 Saverio Papicchio 119 Re Manfredi custode del tesoro della Corona; fieramente ghibellino. La corte di Palermo fu ben presto restituita alla sua prestigiosa tradizione, riproponendosi focol aio di civiltà e cultura. Quanto alla legislazione, all’amministrazione ed all’assetto economico del Paese, Manfredi proseguì l’attività di riforma tracciata dal padre. Entro un anno avrebbe conseguito la stabilizzazione della monarchia. Anche il 1260 fu un anno storico: vi si attese l’imminenza dell’Apocalisse preannunciata dalla setta dei Flagellanti, sulla base di calcoli e prev isioni dettati dall’ignoranza e dalla superstizione. Manfredi che conosceva la Bibbia diceva che nessuno sa quando verrà l’apocalisse, solo il Padre Eterno. Influenzati dalla lettura dei testi di San Paolo, (I Cor., IX, 27; Col., I, 24) nell’Italia segata in due dalle contrapposizioni guelfe e ghibelline, costoro divennero un vero elemento di sovversione sociale utile agli interessi papali. Li guidava Raniero Fasani che, muovendo da Perugia, si dette a percorrere le piazze italiane flagellandosi; cantando laudi penitenziali e fornendo pretesto all’irriducibile zelo antisvevo della Curia Romana: la collera di Dio era stata in gran parte scatenata proprio dalla presenza del figlio del babilonese . Saverio Papicchio Re Manfredi Ma il linciaggio cui Manfredi fu esposto finì con l’esaltarne il ruolo di riferimento dei partigiani italiani: il quattro settembre di quello stesso anno Siena, che aveva legato le proprie fortune al fronte staufico accettando la sovranità del Re di Sicilia, ricevette alcuni corpi di cavalleria tedesca determinanti per l’esito della guerra aperta con la riv ale Firenze. Nella storica battaglia campale di Montaperti, il trionfo ghibellino fu enfatizzato dalla carismatica e suggestiv a figura di Manente degli Uberti, detto Farinata. Da quel momento, Manfredi era diventato a tutti gli effetti il degno successore di Federico II: un elemento sufficiente perché dalla Curia Romana fosse successivamente disposta un’altra scomunica, notificatagli il ventinove marzo del 1263. Per i sudditi, indifferenti alle strumentali elucubrazioni papali, contava che l’illuminata e saggia attività di governo seguitasse a produrre prosperità e benessere: amato all'interno e stimato all’esterno del Regno, il Sovrano impegnò la sua azione in una serie di opere pubbliche ed in proficui piani di politica economica, attraverso nuovi trattati commerciali con Venezia, Genova e l'Egitto; rilanciò il porto di Siponto, abbandonato per l'insalubrità di quel territorio; fondò, Manfredonia; restituì prestigio alle università di Salerno e Napoli; riportò la corte siciliana ai fasti federiciani attraverso la presenza di scienziati, artisti, poeti e cantori internazionali. 120 Saverio Papicchio 121 Re Manfredi Il ventinove agosto del 1261, anche Alessandro IV morì. Gli otto membri del collegio cardinalizio elessero alla successione il francese Jacques Pantaléon, nato a Troyes nella Champagne nel 1220; già Patriarca di Gerusalemme; coltissimo ma di temperamento protervo e prevaricatore. Assunto il nome di Urbano IV, nel corso del suo triennale mandato, bandì una crociata contro Manfredi; nominò capo dei contingenti clavigeri Ruggero di Sanseverino, acerrimo oppositore degli Svevi; tentò di contrastare le nozze fra Pietro d’Aragona e Costanza, intervenendo pesantemente su Re Giacomo, padre dello sposo; sparse notizia dell’imminente castigo di Dio, amplificato dall’attività mistico/isterica dei Flagellanti; rinnovata, infine, la scomunica contro Manfredi, il sei aprile del 1262 lo invitò a comparirgli davanti per giustificare la condotta della sua lasciva Corte, nel frattempo guardando a Carlo d'Angiò come contraltare e ritenendolo pedina utile ai suoi interessi egemonici sul Mezzogiorno italiano. Incaricò delle trattative il Vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli. Costui, con grande talento diplomatico, ottenuta la rinuncia da parte di Edmondo d’Inghilterra sui diritti a suo tempo attribuitigli da Alessandro IV, indusse l’Angioino a sottoscrivere un accordo Saverio Papicchio Re Manfredi col quale, in cambio dell’investitura a sovrano di Sicilia, si impegnava a cedere Benevento ed un tributo annuo di diecimila once d’oro. E poiché nel frattempo i guelfi di Roma lo avevano eletto Senatore cittadino, Carlo giurò anche di deporre la potestà senatoria appena fosse stato infeudato. I negoziati fra il Papato e l’Angiò erano noti a Manfredi. Egli sapeva che Carlo, ancorché ambizioso, infido, cinico, ipocrita e bigotto, coagulava attorno a sé tutta la comunità guelfa italiana. Soprattutto temeva che, forte del consistente appoggio e della legittimazione episcopale, egli potesse determinare anche in ambito ghibellino cedimenti e defezioni. Per anticiparne le mosse, pensò di prendere Roma ed Orvieto, sede della Corte pontificia. A tale scopo occupò tutte le vie di accesso all’Urbe: inviò nella Marca anconetana il Conte Giordano Lancia; nel Ducato di Spoleto Percivalle Doria; ad Ostia Tebaldo Annibaldi ed affidò la sorveglianza della città, preclusa dalla terra e dal mare, al fuoriuscito Pietro de Vico, capo della ribellione locale. L’impresa si risolse in una sostanziale disfatta: se in territorio di Ancona due Capitani delle milizie pontificie, il Conte D'Anguillara ed il Vescovo di Verona, furono sconfitti e fatti prigionieri; se il Papa, atterrito e precipitosamente fuggito, nel settembre del 1264 riuscì con la sua scorta a trovare 122 Saverio Papicchio 123 Re Manfredi riparo in Perugia, donde fece partire una urgente richiesta di aiuto all’Angioino, d’altra parte il fedelissimo Doria annegò nel guado della Nera e il De Vico, contro ogni previsione, fu battuto dalle forze guelfe alle porte di Roma. Il tre ottobre, la morte sorprese Urbano IV: mancava poco che le hoste francesi lo raggiungessero e la ingarbugliata situazione politica italiana si era fatta assai precaria: a Torino si era formata una Lega di Comuni filoangioini capeggiata dal Marchese del Monferrato Guglielmo VII Lungaspada; a Ferrara il potere era nelle mani della famiglia degli Este e, morto Azzo VII gli era succeduto Obizzo, che aveva avviato un ampio progetto di espansionismo, conquistando Modena, Reggio, Rovigo e parte del Padovano; a Roma, il trono della Curia era vuoto. Solo il cinque febbraio del 1265, il conclave elesse il Cardinale Guido Foulquois Le Gros, col nome di Clemente IV: un valente giurista arrivato al sacerdozio dopo un’esperienza coniugale; una creatura di Urbano IV, dotata di particolare animosità antisv eva; un Papa che non riuscì mai ad entrare a Roma e che svolse il suo mandato a Viterbo, ove si spense a soli tre anni dalla nomina. Manfredi si preparò alla difesa da un nuovo e potente attacco dei guelfi galvanizzati dal Pontefice francese: assoldò mercenari a rinforzo dei Saraceni; ordinò ai vassalli del Regno di disporsi alla guerra; approvvigionò le fortezze di confine; fece sbarrare le imboccature del Tevere e, per Saverio Papicchio Re Manfredi condizionare lo sbarco angioino sulle coste laziali, organizzò presidi navali nelle acque fino alla Sardegna. Carlo d'Angiò intanto organizzava la sua spedizione con l’ampio sostegno del clero francese che, a favore della sua causa, accettò anche di rinunciare alla decima sui beni ecclesiastici. Nella primavera del 1265 un esercito di cinquemila cavalieri, quindicimila fanti e diecimila bal estrieri si radunò sulle riv e del Rodano: l’Angiò, che aveva già ricevuto dal Pontefice una bolla con la quale mentre gli si confermava l'investitura del Regno di Sicilia si esercitavano pressioni perché stringesse i tempi della partenza, aveva promesso di essere a Roma entro la Pentecoste. Ma non aveva navi sufficienti per trasbordare l'esercito nel Lazio per la via del mare e temeva le insidie della flotta nemica. Incaricato del comando delle truppe il Connestabile de Traisignies, perché le guidasse attraverso le Alpi egli, assieme alla moglie, nell'aprile del 1265 s'imbarcò a Marsiglia con una scorta selezionata di mille cavalieri distribuiti in venti gal ee. Giunto nel Lazio e si trattenne nel convento di San Paolo fuori le Mura, fino all’arriv o dei suoi eserciti e, il ventiquattro maggio, vigilia della Pentecoste, fece il suo ingresso trionfale a Roma, accolto dal Clero osannante e dal Popolo minu- 124 Saverio Papicchio 125 Re Manfredi to che lo salutavano Re di Sicilia. Pochi giorni più tardi, nel tempio d'Aracoeli sul Campidoglio, indossò la toga senatoriale e si impegnò al rispetto di una serie di clausole: corrispondere, dopo la conquista del Sud, cinquantamila marchi alla Curia Romana, cui avrebbe assegnato anche un tributo annuo di ottomila once d'oro; guidare il Regno siciliano in qualità di vassallo della Chiesa per sé e i suoi legittimi eredi; cederlo alle figlie femmine, in assenza di eredi maschi; non aspirare alla carica imperiale, al Regno di Germania e d’Italia e alla Signoria della Toscana o della Lombardia; rinunciare al Regno di Sicilia, ove l’eventuale erede femmina avesse sposato l’Imperatore; accettare la corona dell’Impero solo previa rinuncia del Regno in favore dei suoi discendenti; non occupare alcun territorio della Chiesa cui avrebbe, invece, restituito quelli occupati dagli Svevi; conservare la funzione di senatore solo fino alla conclusione della campagna di conquista; riconoscere le immunità eccl esiastiche e revocare le costituzioni contrarie alla libertà della Chiesa; concedere ai sudditi del Regno i privilegi del tempo di Guglielmo II. Nel perdurare della sua presenza a Roma, si concludevano in Francia le operazioni di trasferimento delle truppe: verso la fine dell'estate del 1265, de Traisignies varcò le Alpi e traversò il Monferrato. Lungi dal piegare il capo, la resistenza ghibellina era in agguato: il veronese Martino della Scala Saverio Papicchio Re Manfredi aveva il pieno controllo del territorio; Brescia, Cremona, Piacenza e Pavia erano supportate da truppe tedesche dei Marchesi Pallavicino e Lancia; Buoso di Novara sorvegliava la fascia ad Ovest del Po ed il passaggio dell'Oglio. I frastornati Francesi non sapevano quale strada imboccare, quando Martino della Torre li guidò fino a Palazzuolo donde avrebbero potuto guadare il fiume, se Buoso non li avesse disturbati. Il Marchese Obizzo d’Este ed il Conte di San Bonifacio, a rincalzo dei Guelfi, avviarono una rapida manovra di accerchiamento impedendo a Buoso di Novara di condizionare l’attraversamento delle acque. Parallelamente, a Capriolo veniv a sconfitto il Pallavicino mentre il nemico, attraverso Ferrara, guadagnava l’entrata nell’Italia centrale. I Francesi raggiunsero Roma nei primi giorni del 1266. La guerra fra il Papa e Manfredi era ormai irreversibilmente aperta. Fu l’anno più drammatico della storia italiana, dalla morte di Federico II in poi. Carlo d’Angiò venne nominato Vicario di Toscana. I ghibellini furono espulsi dalla regione. 126 Saverio Papicchio 127 Re Manfredi Ma i rapporti dell’Angioino col Papato si incrinarono: egli non aveva danaro sufficiente per pagare le sue truppe mercenarie e Clemente IV, che gli aveva già erogato quanto necessario a mantenere i contingenti provenienti da Marsiglia, insistentemente sollecitato si schermì «… Pretendi tu forse che io faccia miracoli e cambi la terra e i sassi in oro… ?» Il suo duro linguaggio era dovuto al risentimento per la condotta delle truppe che, nel corso dell’ attraversamento della penisola, si erano date a scorrerie e saccheggi anche dei beni ecclesiastici e, una volta a Roma, non avevano cessato di commettere inaudite violenze. Tuttavia, malgrado le divergenze personali, il progetto di cancellare dal contesto politico italiano Manfredi di Sicilia restava prioritario. Sicché, fra alterne vicende, cinque Cardinali furono incaricati d'incoronare Carlo e la moglie Beatrice. Il sei gennaio del 1266, l’Angiò fu infeudato Re di Sicilia nella basilica lateranense dove, alla presenza di Magistrati, Episcopato e Baronie franco/provenzali, prestò nelle mani del Vescovo di Albano il giuramento di vassallaggio alla Chiesa e dell'osservanza assoluta dei patti. Pochi giorni più tardi, ebbe inizio la sua marcia verso il Mezzogiorno. Saverio Papicchio Re Manfredi Manfredi era a Benevento: ne aveva fatto sede del suo quartiere generale; vi aveva convocato i Baroni, i feudatari e i rappresentanti delle città demaniali; vi aveva disposto il riarmo dei vassalli; vi aveva dato ordine di rafforzamento dei confini con opere di difesa e truppe formate da Saraceni, Lombardi e Tedeschi; vi aveva conferito la sorveglianza del ponte di Ceprano al cognato Riccardo di Caserta; vi aveva conferito a Giordano Lancia l’incarico di controllo dei guadi del Garigliano. Dal capoluogo sannita egli stesso avrebbe diretto le operazioni, raggiungendo agevolmente le avanguardie o, in caso di sfondamento delle prime linee, coordinando l’arretramento verso l’interno. Il primo scontro si consumò il quattro febbraio del 1266: Saraceni, Tedeschi e Lombardi si batterono strenuamente ma in numero inferiore. Dopo sei giorni di furiosi combattimenti, San Germano cadde nelle mani dell’Angiò che ricevette l'omaggio dell'abate di Montecassino. Il successivo ventisei, la vicenda si concluse drammaticamente sul campo di battaglia alle porte di quella città che aveva avviato e concluso la drammatica saga della casata normanno-tedesca. La sera di quel lungo giorno, a soli sedici anni dalla morte di Federico II, il dramma degli Hohen- 128 Saverio Papicchio 129 Re Manfredi staufen celebrò il suo ultimo atto con la disfatta del figlio di Bianca Lancia . Nella notte, annunciando al Pontefice la vittoria, Carlo scrisse: «…Di Manfredi si ignora se sia caduto in battaglia o preso o fuggito. Il suo cavallo è in nostre mani, e ciò potrebbe far credere che sia già morto. Dò l'annuncio alla Santità Vostra di questa grande vittoria affinché ne porga grazie all'Onnipotente che ce la concesse, combattendo con il braccio mio per la causa della Chiesa. Se giungerò ad estirpare dalla Sicilia le radici del male, assicuro che ristabilirò in questo reame l'antico obbligo di vassallaggio che deve alla Chiesa stessa: l'avvierò di nuovo, ad onore e gloria di Dio, all'esaltazione del suo nome e pace della Chiesa ed al bene del paese….» Il successivo ventisette Benevento accolse il vincitore, ma fu atterrata da otto interminabili giorni di orribili devastazioni, lutti, orrori e morte: preda di furia sanguinaria, dopo averla selvaggiamente messa a sacco, i Francesi massacrarono uomini e donne, senza distinzione di ceto e di età; violentarono bambini e donne; saccheggiarono palazzi e conventi; scempiarono edifici storici. Non una vittoria, ma una vergognosa esaltazione dell’odio più irrazionale e primordiale. Gli eserciti vincitori avevano obbedito alle prescrizioni di Carlo d’Angiò. Saverio Papicchio Re Manfredi E questo era il Re che Santa Romana Chiesa aveva scelto e priv ilegiato in danno della ormai disfatta dinastia normanno/sveva. Quale credito storico e morale assegnare alle formali parole di doglianza che Clemente indirizzò al sovrano solo il dodici aprile: «…I Crociati che dovevano protegger templi e i conventi, li hanno invece assaliti e saccheggiati, hanno arso le sante immagini, e perfino recata violenza alle vergini sacre al Signore. Né le rapine, le uccisioni e gli orribili delitti di ogni maniera furono compiuti nel primo furore della battaglia, ma durarono per ben otto giorni sotto i tuoi occhi, senza che nulla venisse da te fatto per impedirli. Apertamente si dice che questo è stato fatto a bello studio, per il motivo che la città non sarebbe rimasta al re, ma al Pontefice. Nemmeno Federico, il nemico della Chiesa, si è mai comportato così indegnamente…»? Pochi giorni più tardi, ricevuto l'omaggio del Podestà Francesco Roffredo, il nuovo Sovrano di Sicilia entrò a Napoli con la moglie su un carro coperto di velluto azzurro e ricamato di gigli d'oro. Intanto, le residue risorse ghibelline, guidate da Galvano Lancia, erano riparate in Calabria mentre i Saraceni si erano rinchiusi a Lucera, decisi alla resistenza più oltranzista. Il medesimo ed irridu- 130 Saverio Papicchio 131 Re Manfredi cibile odio antifrancese sopravvisse anche in Sic ilia, ove fu mandato come Viceré il sanguinario Guglielmo d’Étendard, autore anche di una mostruosa strage fatta ad Augusta fra la fine del 1269 e l’inizio del 1270. Ma dove si combattè quella battaglia la cui ubicazione è ancora controversa? Le cronache raccontano che quel ventisei Manfredi fosse uscito poco dopo l’alba dal pons major per andare incontro agli eserciti nemici. Era già frastornato: le attese truppe di rincalzo del cognato non erano arriv ate e correva voce di cedimenti e tradimenti dell’ultima ora sul fronte delle parentele e degli alleati. Di più: aveva avuto notizia dell’imprevedibile cambio di percorso dei Francesi. Piuttosto che giungere dalla via Appia, lungo la quale erano attesi, costoro erano in arrivo dalla via Latina ed avevano così scompigliato i piani di battaglia e le linee difensive già tracciate. Non si saprà mai se, mentre si portava sul terreno di scontro, egli avesse avuto già notizia dell’arresto disposto dal Papa in danno del suo fedelissimo Arcivescovo beneventano Romano Capodiferro. Il suo esercito era schierato in tre contingenti: mille e duecento Tedeschi erano guidati da Giordano e Bartolomeo Lancia; mille e cinquecento Saverio Papicchio Re Manfredi circa, selezionati fra le forze italiane più fedeli alla causa ghibellina, erano sotto il comando di Galvano Lancia; circa duemila Saraceni componevano la scorta d’assalto che egli stesso avrebbe capeggiato nella manovra del primo affondo. Dove avvenne la fase più aspra dello scontro? Si dice: << ponte presso a Benevento…>> Quale degli innumeri ponti? Si vuole quello sul fiume Calore: una sorta di Rubicone del Medio Evo. Ma molti misteri restano ancora irrisolti circa la sua reale collocazione. Da più parti essa fu identificata sulla piana segata dal Calore e la cui passerella è denominata Ponte Valentino; da altre, alle porte della città sull’area fra l’attuale contrada Torre Palazzo e la contrada Olivola o lungo la sponda di sinistra del Calore, appena all’esterno delle vecchie mura; da altri ancora in una zona compresa fra le Contrade Cancelleria e Capodimonte; da altre, infine, in località Serretelle a poca distanza dalla confluenza del Sabato nel Calore, dal lato di accesso alla città in direzione di Napoli. Nella striscia più accreditata e già sito romano del Ponte Valentino, costruito a ridosso di un vecchio ponte sannitico, a parere di Falcone Beneventano in epoca normanna era stato fissato un insediamento nei cui pressi era stata eretta una chiesa romanica. Vi si affaccia la contrada 132 Saverio Papicchio 133 Re Manfredi detta Saglieta, confinante col punto di confluenza dei fiumi Calore e Tammaro e di rilevante estensione ed importanza strategica. Potrebbe davvero esservisi consumato l’ultimo, sanguinoso atto campale fra guelfi e ghibellini? La pianura, peraltro, si protende su due primarie arterie di comunicazione del tempo: la via Traiana ed il settimo tratturo Pescasseroli-Candela: entrambi conducenti a Lucera; entrambi accesso alla Puglia. Manfredi la elesse a sede di scontro perché avvertì, benché ne avesse sottostimato le forze, il pericolo d’una irrefrenabile aggressione alla città tanto cara al padre? O più semplicemente, se quella fascia fu il teatro della battaglia, perché da quella parte ritenne di interdire agli Angioini l’accesso al territorio dauno? O, ancora perché, ipotizzata la probabilità della rotta e la portata del danno causato dalla pur improbabile defezione di ampi ed inimmaginabili fronti, volle fissarvi il corridoio protetto per una disperata ritirata in direzione della ghibellina e vicina Buonalbergo, frontiera sannitico-pugliese? O, infine, perché volle solo inscenarvi una manovra di ripiego, secondo consolidata prassi normanno-sveva? Saverio Papicchio Re Manfredi V’è una Piana Rose anche nell’estesa area del Cubante, ove pure esiste un ponte sul Calore elevato in onore di Ulpio Traiano ed ove la pianura è presidiata dal quella domus federiciana voluta a simbolo della estrema presenza e vigilanza dell’Imperatore, rispetto alle ricorrenti ribellioni dei Beneventani. In questa località l’ansa del fiume è limitrofa ad un segmento della via Traiana: la Egnatia, anch’essa veloce via di collegamento con la Puglia. Il trafugamento di vario materiale di scavo accredita l’ipotesi che comunque in sito fosse stata combattuta una importante battaglia. Carlo gli aveva fatto sapere che intendeva battersi subito. Toccato nel suo orgoglio, pur non essendo pronto, egli aveva accolto la sfida ed aveva, alla testa dei suoi Saraceni, ingaggiato lotta in prima linea contro la fanteria angioina in soccorso alla quale era giunta di rincalzo la sleale cavalleria di Guido di Monforte: a colpi di daga si era data a mozzare la testa ai cavalli tedeschi, finendo a colpi di picche e di mazze i cavalieri sbalzati di sella. Manfredi, con accanto Tebaldo degli Annebaldi, si era cacciato nella mischia con fiero sprezzo del pericolo, ma le ombre della sera ammantarono di desolazione e morte il campo: nessuno s’era accorto che egli era caduto e che Giorda- 134 Saverio Papicchio 135 Re Manfredi no Lancia e Pietro degli Uberti assieme a molti altri nobili, erano stati presi prigionieri. Il suo disperato eroismo antifrancese era rifulso invano: la morte gli era stata inferta senza onore e gloria di combattimento. Aveva solo trentaquattro anni. Era stato un anonimo Picardo ad ucciderlo: senza alcuna consapevolezza di aver colpito il legittimo Sovrano di Sicilia. Ferito e disarcionato, egli era stato finito da un gruppo di ignari ribauds e per tre giorni l’Anjou non ebbe alcuna cognizione della sua morte, né certezza d’averlo sconfitto, malgrado l’enfasi trionfalistica permeasse la sua missiv a indirizzata al Papa. Caduto in campo; a sera seppellito pietosamente dai suoi amati Saraceni, che avevano invano incalzato al corale e coraggioso grido Svevia, con quella parola rievocando lo splendore federiciano, per ordine congiunto di Carlo, del Papa e del Legato Apostolico Bartolomeo Pignatelli, l’ultimo Staufen fu disseppellito: le sue spoglie furono esposte ad ogni tipo di affronto, prima d’essere ufficialmente riconosciute ed identificate dal Conte d’Acerra, dal Conte di Caserta e dagli zii Giordano e Galvano Lancia. Poi, come scomunicate, furono gettate tra i rifiuti lungo le acque del fiume, mentre il Papa vantava di ave- Saverio Papicchio Re Manfredi re il «...cadavere putrido di quell’uomo pestilenziale di Manfredi, la di lui moglie, i figli ed il tesoro...» l ghibellinismo italiano era in pezzi: i Guelfi avviarono in tutta Italia feroci rappresaglie e cacciarono definitivamente gli Uberti da Firenze. A Farinata, già morto nel 1264, furono risparmiati gli scempi operati sulla sua famiglia: i palazzi di proprietà furono rasi al suolo e su quelle rovine, al fine di impedirne la ricostruzione, fu aperta Piazza della Signoria; suo fratello Pietro fu decapitato ed suoi amici e sostenitori furono arrestati e mandati a morte. Le residue speranze della importante famiglia sarebbero crollate definitiv amente nell’agosto del 1268, con la sconfitta di Corradino. I superstiti avrebbero abbandonato anche Siena, che nel 1274 si sarebbe riconciliata con Firenze. Anche gli ultimi discendenti: Azzolino, Neracozzo e Conticino furono impiccati. Elena, la figlia del Despota dell’Epiro che Manfredi aveva sposato in seconde nozze, dopo la morte di Beatrice di Savoia dalla quale era nata Costanza -andata sposa a Pedro d’Aragona-, appresa la morte del marito tentò di riparare a Trani con i quattro figli. Ma le milizie angioine la catturarono, facendola morire di stenti e priv azioni, dopo cinque anni di insopportabile carcere. I suoi bambini, tutti compresi in un’età fra i due ed i sei anni, dopo essere stati brutalmente 136 Saverio Papicchio 137 Re Manfredi accecati, furono messi alla catena di una segreta di Castel del Monte e poi del partenopeo Castel dell’Ovo, ove morirono dopo trent’anni di atrocità, sofferenze e stenti. La politica di Carlo d’Angiò sfuggì presto anche al controllo della Curia di Roma, che se ne rese comunque complice. Nei primi mesi del 1267, il Papa gli scrisse una seconda lettera: «…Se dobbiamo credere alla voce pubblica, le persone che godono della tua confidenza e che hai messo a governare le province si arricchirono a spese delle popolazioni; e tu tolleri le loro malefatte sia perché non dai loro uno stipendio sufficiente, sia perché trattieni quello che dovresti loro dare. Oppressi e dissanguati i popoli invano da te invocano giustizia: anzi le loro querele - se è vero quel che ci riferiscono - raramente giungono fino a te. Se tu non vorrai mostrarti affabile e benigno, se vorrai invece governare dispot icamente i sudditi, ti sarà necessario esser sempre coperto di corazza e tener la spada in pugno e sempre avere in armi l'esercito….» L’ultimo tentativo di far riv ivere il sogno ed il fasto staufico fu drammaticamente attuato da Corradino, il quindicenne figlio dell’Imperatore Corrado IV e di Elisabetta di Baviera. A lui guardarono i sostenitori svevi ed egli trasformò in missione della sua vita il proposito di fare giustizia e vendetta alle memorie del nonno Federico e dello zio Manfredi. Saverio Papicchio Re Manfredi Ma la storia ha le sue vittime. Ed egli, proprio come già lo zio ed il mitico nonno, anch’egli fu fra esse. Manfredi fu il re che non calpestava i vinti, ma li perdonava per poi convertirli. Egli fu il principe che viveva all’ombra di Federico II e il Re risoluto e preciso. Le sue passioni paterne contribuirono a formarlo caratterialmente, lui uomo di cultura, che amava la musica, il canto, la poesia, la caccia, la lettura della Bibbia, le lettere, la filosofia, l’università, e la medicina. I suoi amici erano poeti, glossatori, musicisti, cantanti, fabbricatori di armi e in modo particolare i lettori della Bibbia. Questo suo amore per il sapere fu grandemente contrastato energicamente dal papato, che preferirà Carlo D’Angiò, uomo duro, bigotto, taciturno, avaro,ascetico, indifferente alle arti, non amante della musica, della caccia, non rideva mai, non era amato, ma da tutti temuto. 138 Saverio Papicchio 139 Re Manfredi Manfredi indica il posto dove costruire Manfredonia Saverio Papicchio Re Manfredi Il tramonto di Manfredi Anno 1232 1247 1250 1251 1254 1258 1260 1261 1262 Evento Nasce in Piemonte Sposa Beatrice di Savoia Dopo la morte del padre, div enta principe di Taranto, conte di Tricarico, di Gravina, di Montescaglioso e reggente del regno di Sicilia, in nome del fratello Corrado IV che si trovava in Germania Rivalità tra Manfredi e Corrado IV Con la morte prematura di Corrado IV, Manfredi si colloca in primo piano nella scena politica del regno di Sicilia. I rapporti con il papa Innocenzo IV. La lunga fuga da Acerra a Lucera. Il tesoro. Falliti i tentativi di accordo con nuovo papa Alessandro IV, Manfredi si dedica all’opera di riconquista del regno che poteva considerarsi compiuta nel 1257. Rimasto vedovo, sposa la bellissima Elena di Michelangelo Comneno Ducas, Deposta d’Epiro La vittoria a Monteaperti segna l’apogeo della potenza di Manfredi Ascesa al soglio pontificio dell’energico Urbano IV. Deciso a farla finita con gli Svevi, il nuovo papa riprende le trattative con Carlo D’Angiò. Manfredi tenta di reagire con l’offerta 140 Saverio Papicchio 141 Re Manfredi 1263 1265 1266 di nuove proposte che falliscono completamente. La lotta riprende con un’alternanza di vittorie e di sconfitte da ambo le parti. La chiesa investe definitivamente del regno di Sicilia Carlo D’Angiò, che viene eletto Senatore di Roma. A Urbano IV succede Clemente IV, tenace difensore degli interessi della chiesa. Questi continua ad appoggiare la Casa d’angiò per il possesso del reame di Sicilia e favorisce la discesa di Carlo La battaglia di Benevento e la morte eroica di Manfredi. La morte di Manfredi Lo spaventoso sacco di Benevento e delle terre circostanti durò otto giorni “sotto l’insegna della Croce e sotto il nome dei difensori della Chiesa”. Saba Malaspina, pur ostile a Manfredi, descrive lo stato d’animo dei popoli dopo l’avvento di Carlo d’Angiò in Italia: “Ciascuno sommessamente lamentandosi, quasi non osando parlare, diceva: “Oh, re Manfredi! Te vivo non abbiamo conosciuto e ora morto ti piangiamo. Ti credevamo un lupo rapace tra le pecore pascenti in questo regno, ma in confronto del presente dominio dal quale secondo la nostra consueta volubilità ci Saverio Papicchio Re Manfredi aspettavamo tanti vantaggi e che abbiamo desiderato, riconosciamo che tu eri un agnello mansueto. Sentiamo ora quanto erano dolci i tuoi ordini, ora che subiamo quelli così amari di un altro!” La ferocia dei soldati di Carlo indignò perfino il pontefice, pur implacabile quando si era trattato di assicurarsi che nessun seguace di Manfredi fosse sfuggito dalle mani del vincitore. La notizia della catastrofe di Benevento giunse alla regina Elena. Nei primi giorni dell’invasione Elena con i figli e con la sorella di Manfredi, Costanza, si era rifugiata a Lucera che con la sua cinta fortificata e con la guarnigione saracena poteva sembrare al riparo di ogni pericolo. Ma la rapida caduta di fortezze munite come San Germano e Rocca d’Arce, lo sbandamento delle forze di Manfredi inséguito ai successiv i tradimenti, indussero Elena a trasferirsi a Trani, per imbarcarsi ed andare a cercare rifugio con i figli in Oriente, presso il padre. Al momento di partire Elena dovette provare l’immensa amarezza di vedere allontanarsi da sé quelli che credeva più fedeli. Qualcuno rimase e un cronista anonimo ce ne ha tramandato i nomi: uno era Bartolomeo Amerosio di Trani, forse armatore, che aveva in città un amico sicuro fedele agli Svevi, il magistrato Lupone de Pav one. I due fedeli pensarono di organizzare il salvataggio di Elena e dei quattro fanciulli imbarcandoli a Trani, per trasferirli sulla vicina costa greca. La notizia che Manfredi era morto giunse a Lucera il 142 Saverio Papicchio 143 Re Manfredi tre marzo e nella notte stessa Elena lasciò la città con poco bagaglio e giunse a Trani: la nave era pronta , ma una furiosa mareggiata impedì alla sventurata d’imbarcarsi. Fu necessario fermarsi e il custode del castello apprestò gli alloggiamenti per la breve sosta. Era lo stesso che otto anni prima aveva accolto Elena sposa v enuta a raggiungere Manfredi vittorioso, splendente di giovinezza e di potenza. Ma la notte stessa alcuni monaci dei molti inviati dal pontefice, che da tempo percorrevano il regno predicando la riv olta contro Manfredi, si presentarono al castello ed in nome della Chiesa e del re Carlo, nuovo sovrano, intimarono al custode, sotto minaccia di terribili pene non soltanto spirituali, di non lasciar ripartire Elena e i suoi e di tenere tutti prigionieri nel castello. La vedova di Manfredi rimase qualche mese prigioniera nel castello di Trani. A Carlo parve per un momento che ella potesse divenire una pedina in un vasto gioco diplomatico d’influenze nell’Oriente latino, perché figlia del despota d’Epiro, o come eventuale moglie di qualche principe del quale fosse utile l’alleanza; e volle che fosse condotta a Lagopesole, dove egli si trovava per parlarle. L’incontro è storicamente certo, ma nessuno può dire quali ne siano stati lo scopo e il risultato. Elena dovette però del udere le speranze politiche di Carlo, poiché da Trani venne portata a Nocera condannata a prigionia Saverio Papicchio Re Manfredi perpetua, sebbene mitigata da un trattamento pricipesco. I documenti della prigionia di Elena sono stati raccolti e pubblicati da Del Giudice Separata dai quattro figli, dei quali non le fu data notizia, isolata da tutti quanti erano stati amici fedeli di Manfredi e ne avevano costituito la Corte, si spense sei anni dopo in età di ventinove anni… E’ certo che la primogenita, Beatrice, venne separata dai fratelli: fu rinchiusa nel Catello dell’Ovo a Napoli, in una prigionia abbastanza indulgente dato che in nessun caso avrebbe potuto vantare diritti, perché donna e come cadetta, alla successione del padre. Riuscì a riconquistare la libertà dopo diciott’anni di prigionia nel 1284. 144 Saverio Papicchio 145 Re Manfredi L’atto tremendo della carcerazione fatto dei soldati Angioini verso la famiglia di Manfredi I tre maschi vennero rinchiusi in Castel del Monte, la mirabile costruzione che domina con le sue sei torri la pianura pugliese, voluta da Federico II. Nel 1299 erano ancora prigionieri. Dopo trentatre anni di segregazione vennero trasferiti a Napoli. Quando tocchiamo la morte di Re Manfredi ci rendiamo conto, di come malvagi sono stati gli uomini che l’hanno provocata. Manfredi preferisce la morte alla vergogna della fuga. C’è un segno che lo colpisce. Nel mettersi l’elmo sormontato da un’aquila d’argento, il cimiero, che lui ha assicurato con cura sul copricapo, si stacca e fin isce a terra. Manfredi, allora dice ai suoi guerrieri: Hoc est signum Dei (è un segno di Dio). Un soldato racconta: il corpo di Manfredi ferito a morte era biondo, col viso sereno e l’aspetto piacevole; le guance accese e gli occhi celesti; bianco come neve nel corpo. Saverio Papicchio Re Manfredi Il ritrovamento del cadavere di Re Manfredi 146 Saverio Papicchio 147 Re Manfredi Manfredi rotola nella polvere, nel campo delle rose di Benevento, dove da valoroso è caduto. Il cadavere lo si rinviene domenica 28 Febbraio 1266. Sappiamo che in un primo tempo Manfredi fu sepolto sotto un tumulto di sassi ammucchiati dai cavalieri Angioini a ridosso del fiume Calore, a capo di un ponte che il poeta Dante localizza presso Benevento. Ciò sarebbe avvenuto tre o quattro giorni dopo la battaglia del 26 Febbraio 1266. Alcuni guerrieri raccontano che, Manfrendi fu cercato per più di tre giorni, che non si trovava, e non si sapeva se fosse veramente morto, alla fine fu riconosciuto da un galantuomo che trovato il corpo lo mise su di un asino e per le strade andava gridando: <<Chi accatta Manfredi? Chi accatta IlManfredi? copro di Manfredi >> fu portato davanti a Carlo D’Angiò, il quale fece venire tutti i baroni che senza esitazioni dissero di conoscere in quel cadavere Manfredi. Sappiamo ancora che il papa, Clemente IV, qualche mese più tardi, abbia dato ordine al vescovo di Cosenza di esumare Manfredi e di spargere le ossa altrove. Per antica definizione, il regno della chiesa era un vasto territorio e su questo territorio non poteva essere seppellito Manfredi perché era scomunicato. Si sa che nel Marzo 1266 Clemente IV da l’ordine di trasferimento a Messina ed alcune altre nozioni pol itiche-regligiose pertinenti al fatto di esumare le ossa di Manfredi e di poterle verso l’estremo meridione per disfarsene. Saverio Papicchio Re Manfredi Nell’Aprile del 1300 le ossa di Manfredi si trovano “fuor del regno, ch’era terra di chiesa” il papato aveva chiaramente dichiarato che per Manfredi essere sepolto in terra di chiesa era troppo onore, tutto questo dimostra ancor di più la malvagità di questi uomini di chiesa che nulla hanno delle cose scritte nella Bibbia che Manfredi leggeva. Manfredi consegna il decreto della costruzione della città di Manfredonia 148 Saverio Papicchio 149 Re Manfredi L a Bibbia di Re Manfredi Il Medio Evo è stato, dal punto di vista religioso, un periodo di grande ignoranza. La Bibbia non esisteva se non sottoforma di manoscritti in latino, costosi e rari, e la popolazione era in gran parte analfabeta. Tuttavia, in quei tempi oscuri, vi furono degli uomini e delle donne che hanno creduto in Cristo per la salvezza e hanno affrontato delle persecuzioni per averla fatta conoscere ad altri. In una lettera del papa Innocenzo III, si trova questa lamentela datata 1180: "Una moltituine di laici e di donne trascinati da un desiderio smodato di conoscere le Scritture hanno fatto tradurre in lingua francese i Vangeli, le epistole di Paolo, le moralità di Giobbe e diversi altri libri con lo scopo colpevole ed insensato di riunirsi, uomini e donne in segreti conciliaboli, nei quali essi non temono di predicare gli uni agli altri". Quando si pensa al lavoro che rappresenta una traduzione, al tempo in cui bisognava copiare i testi manualmente, siamo meravigliati dell'amore di questi credenti per la Parola di Dio e della loro devozione a Cristo Gesù. Oggi come ieri, è la Bibbia a condurre le anime alla salvezza e a donare la vita. Come apprezzi il priv il egio di poter avere nelle mani il testo della Parol a di Saverio Papicchio Re Manfredi Dio, di poterti istruire in essa e di poterti riunire con altri tuoi fratelli e sorelle in Cristo nella tua chiesa? La più importante versione della Bibbia in latino fu la Vulgata di Girolamo. Il nome Vulgata deriv a da “vulgata editio” (edizione per il popolo). Girolamo, figlio di cristiani benestanti, studio a Roma la letteratura l atina ed il greco. Fu segretario del vescovo di Roma Damaso I da cui ricevette l’incarico di tradurre la Bibbia in latino. Girolamo si recò prima ad Antiochia di Siria, per apprendere l’ebraico, poi, verso la fine del IV secolo, si stabilì a Betlemme, dove tradusse l’AT dal testo ebraico, inserendo i libri apocrifi della versione dei settanta; mentre per il NT eseguì una revisione della V etus latina. L’opera fu completata intorno al 405/406. All’inizio la Vulgata fu molto criticata, ma in seguito ebbe un grande successo e divenne il testo ufficiale della chiesa di Roma fino al Concilio Vaticano II. Nel 1546 il Concilio di Trento dichiarò la Vulgata la sola autentica ed ispirata. Con l’invenzione della stampa, la Vulgata fu il primo libro ad essere stampato. Fu revisionata sotto i pontificati di Sisto V (1585-1590) e Clemente VIII (1592-1605) prendendo il nome di Vulgata Sisto Clementina. Verso il Medio Evo Nel IV secolo il cristianesimo divenne religione di stato e poco per volta la Bibbia si allontanò sempre più dalla gente. L’analfabetismo era grande e l’insegnamento rimase nelle mani della chiesa, senza possibilità di verifica. Come era lontano il ricordo dell’esperienza della chiesa di Berea: (Atti 17:10/11). 150 Saverio Papicchio 151 Re Manfredi Per tutto il medio evo non vi furono nuove traduzioni ma avvennero alcuni fatti degni di nota: La Bibbia dei poveri (Biblia pauperum). I codici iniziarono ad essere illustrate e nelle chiese comparvero gli affreschi di scene bibliche, da qui il detto di Bibbia dei poveri. “La pittura è usata nelle chiese perché gli analfabeti, guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici” (Gregorio Magno, VI sec). La Bibbia chiusa. La Bibbia medioevale fu dunque il regno del colore, della bellezza, della ricchezza. Ma fu anche una Bibbia generalmente “chiusa”, da v enerare più che da capire. Chiusa perché scritta in latino, una lingua dotta, che rapidamente scompariv a dall’uso; chiusa perché, per l’alto costo, erano accessibile solo al clero o ai ricchi. Una Bibbia bella, ricca di miniature, ma che nessuno legge. La Bibbia di Borso d’Este. Fra tutte per lo splendore delle sue miniature spicca la Bibbia di Borso d’Este Duca di Ferrara (1455-61). Un’opera in due volumi, celebre per la sontuosità, l’eleganza e la ricchezza eccezionale, con riquadri a piena pagina che conferiscono al testo maggiore solennità e ne fanno uno dei più splendidi monumenti di tutti i tempi. Questo capolavoro alla fine dell’800 era finito in Svizzera. Fu riportato in Italia per l’interessamento di Giovanni Treccani che si riservò i diritti di stampare un certo numero di copie anastatiche da destinare a bibliofili e collezionisti. L’originale è conservato nella Biblioteca Estense di Modena. Per quanto si sappia questo è l’ultimo esemplare copiato a mano. Saverio Papicchio Re Manfredi Versioni medioevali Nel corso dei secoli il latino divenne sempre più una lingua dotta, lontana dalla gente; del resto in molti paesi d’Europa non era stato mai parlato. Inoltre, verso la fine del medio evo, sorsero dei movimenti, considerati ereticali dalla chiesa ufficiale, che predicarono un ritorno alla lettura diretta dei testi biblici e che cominciarono a farli tradurre nella lingua parlata dal popolo. Le prime versioni parziali apparvero in Inghilterra ed in Germania nell’VIII secolo. Nel XII secolo vi furono alcune versioni in Francia e nel XIII secolo in ungherese e rumeno. La Dugentista. È la prima versione scritta con sempl icità in italiano volgare. Non si hanno molte notizie ma si pensa che sia nata probabilmente in uno di quei centri di fervore religioso ereticale del XIII secolo (valdesi, albigesi, patarini). La traduzione di John Wicliff. Il primo grande lavoro di traduzione della Bibbia in lingua volgare si deve a Wyclif che intorno al 1380 tradusse la Bibbia nell’inglese parlato dalla gente, partendo dalla Vulgata. Secondo alcuni, questa traduzione ispirò la rivolta dei contadini del 1381, in Inghilterra. L’arcivescovo Arundel nel 1408 ed Enrico VII (ancora sotto Roma) nel 1530 vietarono la lettura della Bibbia in inglese La Bibbia di Manfredi è un codice miniato duecentesco scritto dall’amanuense Johensis: questa bellissima Bibbia - che presenta notevoli influssi dell'arte gotica francese e inglese - fu realizzata a Napoli per lo 152 Saverio Papicchio 153 Re Manfredi stesso Manfredi tra il 1250 e il 1258, come attesta la dedica al principe: essa fu di prototipo per altri codici, che si pensa siano usciti da una bottega miniatoria di Napoli attiva per la corte e per l’ambiente universitario. A questa bottega si fa riferire anche il famoso esemplare del De arte venandi cum avibus della Biblioteca Vaticana che è una copia parziale ma splendidamente illustrata del famoso trattato di Federico II, certamente commissionata da Manfredi. Lo scrittore Johensis consegna al re Manfredi la Bibbia Saverio Papicchio Re Manfredi Pagina Bibbia Re Manfredi 154 Saverio Papicchio 155 Re Manfredi A rmatura di Re Manfredi Inizialmente l’armatura dei cavalieri era costituita da una cotta di maglia: una specie di tunica fatta di molti e piccoli anelli di ferro fittamente collegati fra loro. Nel corso del XII secolo questa corazzatura andò estendendosi, venendo a proteggere anche le braccia e le gambe mediante maniche e cosciali di maglia metallica. Si cominciò anche a portare una sottocotta imbottita e trapuntata avente il compito di smorzare i colpi. Nel Trecento si diffuse tra i cavalieri l’uso di piastre di ferro per proteggere gli arti, o le parti più esposte di essi. Anche il torso venne protetto sempre più spesso con piastre metalliche fissate ad una veste d’arme di tessuto. Nel secolo successivo, alcuni cavalieri cominciarono a portare una completa armatura metallica, che proteggeva ogni parte del corpo. Il peso completo di una simile corazzatura si aggirava intorno ai 20 25 kg, così ben distribuiti tuttavia, da consentire ad un guerriero armato di tutto punto, di correre, saltare o montare a cavallo senza alcun aiuto, anche se, allora come oggi, correvano storie di cavalieri (peraltro del tutto infondate) che si facevano issare a cavallo con una gru, perché paralizzati dal peso dell’armatura. In realtà, il vero problema della corazza era un altro: la grande scatola di ferro, quasi senza aerazione, diventava rapidamente un forno. Saverio Papicchio Re Manfredi armatura di Re Manfredi A partire dal XV secolo si generalizzò l’uso di proteggere i cavalieri con un’armatura completa di piastre metalliche, sagomate in modo che le punte e le lame delle armi, scivolassero sulle loro superfici levigate. Questo accorgimento permetteva di smorzare la forza dei colpi, e quindi, consentiva di realizzare corazze ragionevolmente leggere. Le armature imitavano spesso le fogge delle vesti civili. Alcune erano parzialmente verniciate di nero, sia per proteggere il metallo, sia per ragioni decorative; altre venivano azzurrate, così da riflettere i raggi solari e diminuire il riscaldamento del metallo sotto il sole. Qualche esemplare di pregio venne decorato al bulino e, nel Cinquecento, si diffuse l’abitudine di incidere i disegni decorativi con l’acido. Bordi e fregi erano spesso in oro, o dorati: finitura che, in alcuni casi speciali, veniva estesa a tutta l’armatura. Alcuni pezzi dell’armatura, venivano fissati alla veste d’armi, ma nel secolo successivo, ogni piastra veniva, di regola, assicurata alle altre per mezzo di corregge, perni o ganci. Le parti dell’armatura 156 Saverio Papicchio 157 Re Manfredi Il cimiero: questo ornamento rendeva agevole l’identificazione sul campo di battaglia, tuttavia già in quell’epoca, andava perdendo popolarità a fav ore di elmi meno ornati, come il bacinetto con visiera. Il bacinetto: o elmetto con visiera, nato in Italia nel XIV secolo, aveva probabilmente in origine una celata ribaltabile sulla fronte. Ma venne poi affermandosi la più pratica incernieratura laterale, quella che in Germania veniva scherzosamente chiamata Hundgugel, museruola. Maglia metallica: nelle cotte di maglia ogni anello era intrecciato, mentre era ancora aperto, con quattro altri anelli.Poi veniva ribattuto così da chiudersi. Il peso di una simile corazza si aggirava attorno ai 9-14 kg, in parte gravanti sulle spalle del combattente. Poiché la maglia era flessibile, un colpo inferto con forza, poteva provocare serie contusioni, od anche fratture letali. Lo scudo: i cavalieri protetti dalla sola maglia metallica, erano molto vulnerabili da parte di forti colpi di mazza o di lancia. Dovevano perciò proteggersi dietro grandi scudi. Nel Quattrocento, grazie ai progressi della corazza a piastre, gli scudi divennero molto più piccoli e leggeri. La spada era l’arma più importante del cavaliere, il simbolo stesso della cavalleria. Fin verso la fine del Duecento, la tipica spada da combattimento era a lama larga ed a doppio taglio; ma, con il diffondersi delle armature a piastre, vennero in uso spade più lunghe e sottili, adatte a colpire di punta, così da infilarsi nei sottili spazi, tra una piastra e l’altra. Venne acquisendo favore anche la mazza ferrata, eccellente per fracassare le armature. Prima Saverio Papicchio Re Manfredi di impugnare la spada o la mazza, tuttavia, il cavaliere caricava l’avversario con la lancia abbassata. Anche la lancia venne trasformandosi con il tempo, aumentando la sua lunghezza e munendosi, a partire dal Trecento, di una guardia circolare a protezione dell’impugnatura. Altre armi, come l’ascia da guerra a manico corto, potevano essere saltuariamente usate nel combattimento a cavallo. Gli spadoni dall’impugnatura allungata, da afferrare a due mani, erano invece riservate per i combattimenti a piedi. Le cavalcature erano un elemento costoso, ma fondamentale, nell’equipaggiamento del cavaliere. Occorrevano cavalli per combattere, altri per cacciare, altri ancora per le giostre, per i tornei e per trasportare i bagagli. La cavalcatura più costosa era il destriero, cioè il cavallo da battaglia. Si trattava, generalmente, di uno stallone di grosse dimensioni. La sua cassa toracica ne faceva un animale molto solido e resistente, ma era anche agile nei movimenti. Soldato Re Manfredi 158 Saverio Papicchio 159 Re Manfredi I cibi di Re Manfredi Con alimentazione medievale ci si riferisce ai cibi, alle abitudini alimentari, ai metodi di cottura e in generale alla cucina di varie culture europee nel corso del Medioevo, un'epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al 1492. In tale periodo le diete e la cucina cambiavano a seconda delle varie zone dell'Europa e tali cambiamenti posero le basi della moderna cucina europea. I cereali erano consumati sotto forma di pane, farinate d'avena, polenta e pasta praticamente da tutti i componenti della società. Le verdure rappresentavano un'importante integrazione alla dieta basata sui cereali. La carne era più costosa e quindi considerata un alimento più prestigioso ed era per lo più presente sulle tavole dei ricchi e dei nobili. I tipi di carne più diffusi erano quelle di maiale e pollo, mentre il manzo, che richiedeva la disponibilità di una maggiore quantità di terra per l'allevamento, era meno comune. Il merluzzo e le aringhe erano molto comuni nella dieta delle popolazioni nordiche, ma veniva comunque consumata un'ampia varietà di pesci d'acqua dolce e salata. Saverio Papicchio Re Manfredi La lentezza dei trasporti e le inefficienti tecniche di trasformazione agroalimentare rendevano estremamente costoso il commercio di cibi sulle lunghe distanze. Per questa ragione il cibo dei nobili era più esposto alle influenze straniere rispetto a quello consumato dai poveri e dalla gente comune. Dal momento che ciascuna classe sociale cercava di imitare quella a lei immediatamente superiore, le innovazioni dovute al commercio internazionale e alle guerre con paesi stranieri si diffusero gradualmente tra le classi medio-alte delle città medievali. Oltre all'indisponibilità di certi cibi per ragioni economiche, furono emessi decreti che vietavano il consumo di alcuni alimenti per alcune classi sociali, e alcune leggi limitarono le possibilità di consumarne in grosse quantità ai "nuovi ricchi". Alcune norme sociali inoltre prescrivevano che il cibo della classe lavoratrice fosse meno raffinato, perché si credeva che esistesse un'affinità naturale tra il lavoro di una persona e il suo cibo; si riteneva quindi che il lavoro manuale richiedesse cibi più scadenti ed economici. Nel corso del tardo Medioevo iniziò a svilupparsi una forma di Haute cuisine che andò a costituire uno standard tra la nobiltà di tutta Europa. I metodi di conservazione più comuni vedevano l'impiego di agresto[1]. Questi trattamenti, uniti al diffuso impiego di zucchero[2] e miele, donavano a molti piatti un sapore tendente all'agrodolce. Anche le mandorle erano molto popolari e usate come addensante in minestra, stufati e salse, in particolare usate sotto forma di latte di mandorla. 160 Saverio Papicchio 161 Re Manfredi La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa con i loro calendari liturgici influenzavano notevolmente le abitudini alimentari; il consumo di carne era proibito ai cristiani per un buon terzo dell'anno, e tutti i cibi di origine animale, tra cui le uova e i latticini (ma non il pesce) erano generalmente proibiti durante la quaresima e i digiuni. Inoltre tutti osservavano[5] il digiuno prima di ricevere l'eucarestia e tali digiuni potevano durare anche un giorno intero e comportavano l'assoluta astensione dal cibo. Sia la chiesa occidentale sia quella orientale decretarono che i periodi di festa dovevano essere alternati ad altri di digiuno. Nella maggior parte d'Europa i mercoledì, i v enerdì e talvolta i sabati, oltre a varie altre date, tra cui la quaresima e il periodo dell'avvento, erano dedicati al digiuno. La carne e i prodotti di origine animale come latte, formaggio, burro e uova non erapermessi, si poteva mangiare solo il pesce. Man fredi non seguì mai una così rigida regola, più volte affermò: << Gesù con i discepoli non fece così >> RE MANFREDI Saverio Papicchio Re Manfredi C ronologia 1002-1014 Morto Ottone, la dura contesa fra Arduino d'Ivrea e Enrico II si conclude con l'incoronazione di quest'ultimo. 1027 Corrado II il Salico diviene imperatore romano. 1028 Rainulfo Drengot ottiene la contea di Aversa fra Capua (principato) e Napoli (ducato), è il primo possesso normanno nel Sud. 1037 Corrado II emana la Constitutio de feudis . 1042 Guglielmo d'Altavilla si proclama conte di Puglia. 1044 A Milano la lotta fra nobili e cittadini, si conclude con un governo misto. 1046 Enrico III elegge papa Clemente II, che lo incorona imperatore. 1053 Papa Leone IX che avanzava pretese sull'Italia meridonale è sconfitto a Civitate dagli eserciti normanni e preso prigioniero. 1056-1106 Regno di Enrico IV. 1059 162 Saverio Papicchio 163 Re Manfredi Papa Niccolò II riserva ai cardinali l'elezione del pontefice. 1059 Niccolo II riconosce Roberto d'Altavilla detto il Guiscardo nel ducato di Puglia e Riccardo Quarrel nel principato di Capua. 1061-1091 Ruggero d'Altavilla libera la Sicilia dagli arabi div enendone conte. 1073 Ildebrano di Soana è papa col nome di Gregorio VII. Col Dictatus papae inizia la lotta per le investiture (1075-1122). 1076 Enrico IV convoca il concilio di Worms e fa deporre Gregorio VII. Il papa scomunica l'imperatore e scioglie i suoi sudditi dal vincolo di fedeltà. 1077 Per evitare la scomunica, Enrico IV scende in Italia e a Canossa, in veste di penitente, chiede ed ottiene il perdono del papa. 1080 Enrico IV riprende le armi contro Gregorio VII che lo scomunica nuovamente. 1084 Enrico IV assedia Gregorio VII in Castel Sant'Angelo, e si fa incoronare imperatore dall'antipapa Clemente III; Roberto il Guiscardo viene in aiuto di Gregorio VII. Roma, è saccheggiata. Gregorio VII muore a Salerno (1085). 1090 Saverio Papicchio Re Manfredi Enrico IV riprende la lotta contro il papa Urbano II. Corrado, figlio di Enrico si schiera dalla parte del papa e con Matilde di Canossa e diverse città della lombarde. 1095 Urbano II rinnova la condanna della simonia e delle investiture laiche. Bandisce la crociata. 1095-1099 La prima crociata per la liberazione dei luoghi santi della cristianità. VI partecipa l'alta feudalità europea, appoggiata dalle repubbliche marinare di Genova e Venezia. 1110-11 Enrico V, dopo aver costretto il padre Enrico IV ad abdicare (1106) scende in Italia e si accorda a Sutri col Papa Pasquale II sul problema delle investiture. 1115 Matilde di Canossa muore lasciando erede dei suoi beni la Chiesa. 1116-18 Enrico V torna in Italia per riv endicare i beni feudali di Matilde e riprende la lotta per le investiture. 1122 Con il concordato di Worms tra Enrico V e Callisto II pone fine alla lotta per le investiture. 1125-52 Periodo di crisi imperiale durante il quale si affermano e si sviluppano i comuni in Italia. 1130 Scisma fra Innocenzo II costretto all'esilio e Anacleto II, che appoggiato, da Ruggero II di Sicilia, gli concede la corona dell'Italia meridionale. 164 Saverio Papicchio 165 Re Manfredi 1132-1139 Ribellioni di potentati e comuni del Sud contro Ruggero II. Spedizione dell'imperatore Lotario II e papa Innocenzo II, che investono Rainulfo di Alife del ducato di Puglia (1137). 1139-1154 Espansione mediterranea del Regno di Sicilia, controllato da re Ruggero II. 1143 I cittadini romani si costituiscono in libero comune. 1145 Arnaldo di Brescia inizia la sua predicazione per una riforma religiosa. 1147-49 Bernardo di Chiaravalle che ha fondato numerosi monasteri in Italia, bandisce la seconda crociata. 1152-90 Regno di Federico di Hohenstaufen, detto il Barbarossa. Deciso a restaurare l'autorità imperiale in Italia discende una prima volta nel 1154-55. Federico entra in Roma, pone fine al libero comune ed è incoronato imperatore dal papa Adriano IV. 1158-62 Seconda discesa del Barbarossa: nella seconda dieta di Roncaglia egli fissa con la Constitutio de regalibus i diritti imperiali e incendia le ribelli Crema e Milano. 1159 Con l'elezione al soglio pontificio di Alessandro, riprende la lotta fra papato e impero sulla questione delle investiture. 1167-77 Saverio Papicchio Re Manfredi Una forza antimperiale viene costituita a Pontida. Dopo due anni di ostilità l'esercito imperiale e quello della lega si affrontano presso Legnano (1176). Federico I, sconfitto, avvia trattative, a Venezia chiude la pace con Alessandro III (1177). 1183 La pace di Costanza chiude la lunga lotta tra i comuni italiani e Federico I: riconoscimento da parte dei comuni della suprema autorità imperiale, a sua volta l'imperatore riconosce ai comuni i diritti di regalia e la facoltà di eleggere i propri magistrati. 1186 Il figlio di Federico I, Enrico VI, viene incoronato re d'Italia. Il matrimonio di Enrico VI con Costanza d'Altavilla figlia del Re Guglielmo di Sicilia assicura l'unione del regno normanno all'impero. 1189 Morte di Guglielmo II di Sicilia. Per impedire la successione di Enrico VI i baroni eleggono re Tancredi di Lecce. 1190 Muore, durante la terza crociata, Federico Barbarossa; gli succede il figlio Enrico VI, che viene incoronato imperatore. Poi (1195) è incoronato re di Sic ilia. 1197 Morte di Enrico VI. Gli succede, sotto la tutela della madre Costanza e poi di Innocenzo III, Federico II. Si scatenano in Germania e in Italia aspre lotte di successione tra Ottone di Brunswick e Filippo di Svevia. 1198-1216 Pontificato di Innocenzo III. 166 Saverio Papicchio 167 Re Manfredi 1202-04 Quarta crociata. Venezia, che aveva fornito le navi per la spedizione, si assicura importanti basi nell'Egeo e sul mar Nero. 1210 In seguito all'aggressione di Ottone di Brunswick nell'Italia meridionale, il papa lo scomunica e sostiene Federico II per le corone del regno di Sicilia e del Sacro Romano Impero (1220). 1212 Federico II viene incoronato re di Germania dal papa alla condizione di non riunificare i possessi imperiali e quelli siciliani di cui viene investito Enrico, suo figlio. 1220 Rientrato in Italia, Federico II, Stupor Mundi , è incoronato imperatore da Onorio III. 1226 Si costituisce la seconda lega lombarda in funzione antimperiale. 1227 Federico II non parte per la crociata e il papa soll eva i sudditi del regno di Sicilia dal vincolo di fedeltà. 1230 Da Cassino, dopo la sconfitta delle truppe papali contro Federico II, Gregorio IX revoca la scomunica contro l'imperatore e ottiene in cambio nuovi priv ilegi. 1231 Costituzioni di Melfi. 1237 Saverio Papicchio Re Manfredi Federico II sconfigge a Cortenuova i comuni della lega. 1239 Federico II viene scomunicato dal papa, che convoca un concilio per deporre l'imperatore. 1241 I pisani, alleati di Federico II, assaltano la flotta genovese che scortava i vescovi francesi diretti al concilio e li fanno prigionieri. 1248 Federico II ottiene un grave insuccesso durante l'assedio di Parma. 1249 Enzo, re di Sardegna, figlio di Federico II, viene sconfitto a Fossalta e fatto prigioniero dai bolognesi. 1250 Federico II muore a Fiorentino, gli succede il figlio Corrado IV. 1251 Corrado IV scende in Italia per prendere possesso del Regno. 1254 Alla morte di Corrado IV gli succede il figlio minorenne Corradino. Nel Regno di Sicilia governa come suo tutore, e poi in proprio, Manfredi figlio naturale dl Federico II. 1259 Una lega di comuni settentrionali sconfigge e cattura a Cassano d'Adda Ezzelino da Romano. 1260 A Montaperti i guelfi di Firenze sono sconfitti dai fuoriusciti ghibellini. 168 Saverio Papicchio 169 Re Manfredi 1265 Carlo d'Angiò scende in Italia contro Manfredi, con l'appoggio papale. 1266 Battaglia di Benevento: Carlo d'Angiò sconfigge Manfredi che cade sul campo di battaglia. Carlo viene incoronato re di Sicilia. 1267-68 Corradino scende in Italia per riconquistare il Regno di Sicilia. Sconfitto a Tagliacozzo viene consegnato agli Angioini, ed è decapitato a Napoli. 1282 Scoppia a Palermo la riv olta del vespro (marzo). Pietro III d'Aragona, genero di Manfredi, conquista la Sicilia. Guerra del vespro fra gli Angioini e gli Aragonesi (1282-1302). 1284 Genova sconfigge Pisa alla Meloria. 1293 Gli ordinamenti di Giano della Bella favoriscono a Firenze il 'popolo minuto' ed escludono dal potere i nobili. 1294-1303 Pontificato di Bonifacio VIII. 1297 A Venezia la serrata del Maggior consiglio rende la partecipazione al governo un priv ilegio ereditario dei patrizi. 1298 La lunga rivalità fra le repubbliche marinare di Genova e Venezia per il predominio in oriente culmina Saverio Papicchio Re Manfredi nella battaglia di Curzola, conclusasi a favore di Genova. 170 Saverio Papicchio 171 Re Manfredi Indice Prefazione La famiglia di Re Manfredi Storia delle crociate I templari Gli Svevi Guelfi e Ghibellini Manfredi in battaglia I papi e Manfredi Manfredi e i cavalieri teutonici I figli di re Manfredi Manfredi e Manfredonia La zecca a Manfredonia Il castello di Re Manfredi La vita di Re Manfredi La Bibbia di Re Manfredi Armatura di Re Manfredi I cibi di Re Manfredi Cronologia Pagina 2 Pagina 4 Pagina 11 Pagina 19 Pagiba 57 Pagina 59 Pagina 62 Pagina 72 Pagina 84 Pagina 87 Pagina 90 Pagina 93 Pagina 99 Pagina 103 Pagina 149 Pagina 155 Pagina 159 Pagina 162