Re Manfredi - Innamorato di Gesù

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Re Manfredi - Innamorato di Gesù
Saverio Papicchio 1
Re Manfredi
1 Pietro 2:17
Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio.
Onorate il re.
Re Manfredi
Dedico questa storia a mia moglie
Maria Anna
Saverio Papicchio
Re Manfredi
P
refazione
Le fonti della storia toccano tre pilastri:
I monumenti
Gli atti pubblici
I testimoni sincroni
I monumenti hanno una certa testimonianza delle epoche, ma rare volte possono presentarci delle particolarità o delle ragioni di
fatti veri in se stessi nelle persone che rappresentano.
Gli atti pubblici a differenza dei monumenti
fanno fede a ciò che contengono ma devono
essere confrontati.
I testimoni sincroni, pur avendo una validità piena, devono essere capaci di conoscere
le cose che narrano ed essere soprattutto imparziali.
Applicando tutto questo alla storia di Re
Manfredi si può benissimo affermare che dei
monumenti mancano, degli atti pubblici ci
sono ma sono in copia discordanti e i testimoni sincroni sono la maggior parti implacabili nemici del re.
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Re Manfredi
Davanti a questa realtà storica ho fatto una
minuta ricerca in tutti gli archivi pubblici,
in tutti i documenti e libri scritti, purtroppo
ho scoperto che molte cose non sono narrate
e tante altre sono state contorte dalla signoria Angioina.
Non ho voluto correlare la storia di lunghe e
molteplici note, per non stancare e ripetere
fatti raccontate ormai da diversi autori.
Ho voluto presentare il tutto con punti e situazioni particolari esaminandoli con le pagine della Parola di Dio la Bibbia e dei documenti esistenti.
Questa storia sarà certamente motivo di
grande riflessione e tante scoperte sulla vita
del re Manfredi.
Saverio Papicchio
Saverio Papicchio
Re Manfredi
L
a famiglia di Re Manfredi
Manfredi nacque e visse la sua fanciullezza a Venosa
nel 1232 Era figlio naturale di Federico II di Svevia e di
Bianca dei conti Lancia di Monferrato, sposata
dall’imperatore solo poco prima della sua morte e,
quindi, pienamente legittimato, malgrado la Curia
romana disconoscesse quel vincolo matrimoniale,
mossa com'era dal suo profondo odio per la casa di
Hohenstaufen.
Il padre di Manfredi
Federico II Hohenstaufen (Jesi, 26 dicembre 1194 –
Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250) fu re di Sicilia
(come Federico I di Sicilia, dal 1198 al 1250), Duca di
Svevia (come Federico VII di Svevia, dal 1212 al
1216), re di Germania (dal 1212 al 1220) e Imperatore
dei Romani (come Federico II del Sacro Romano Impero, eletto nel 1211, incoronato ad Aquisgrana nel
1215, incoronato a Roma dal papa nel 1220), infine
re di Gerusalemme (dal 1225 per matrimonio, autoincoronatosi a Gerusalemme nel 1228).
Federico II
Apparteneva alla nobile famiglia
sveva degli Hohenstaufen e discendeva per parte di madre dalla dinastia normanna degli Altavilla, regnanti di Sicilia.
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Conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo
di Puglia"), Federico II era dotato di una personalità
poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca,
ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo,
producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male.
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una
forte attività legislativa e di innovazione artistica e
culturale, volte ad unificare le terre e i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa, sicuramente la sua
conoscenza biblica influì molto. Egli stesso fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e
studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
Federico nacque nel 1194 da Enrico VI (a sua volta
figlio di Federico Barbarossa I di Svevia), e da Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II il Normanno, a
Jesi, nella Marca anconitana, mentre l'imperatrice
stava raggiungendo il marito a Palermo, incoronato
appena il giorno prima, re di Sicilia. Data l'età avanzata, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo
circa la gravidanza di Costanza e per questo motiv o,
fu allestito un baldacchino al centro della piazza di
Jesi, dove l'imperatrice partorì pubblicamente, al fine
di fugare ogni dubbio sulla nascita dell'erede al trono.
Federico nasceva già pretendente di molte corone.
Quella imperiale non era ereditaria, ma Federico era
un valido candidato a re di Germania, che com-
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prendeva anche le corone d'Italia e di Borgogna.
Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non
davano un potere effettivo, mancando in quegli stati
una solida compagine istituzionale controllata dal
sovrano. Tali corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere i diritti
regi sui feudatari e sui Comuni italiani. Inoltre per via
materna aveva ereditato la corona di Sicilia, dove
invece esisteva un apparato amministrativo ben
strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di governo
centralistico. L'unione del regno di Germania e di Sicilia non veniva vista di buon occhio né dai normanni, né dal papa, che con i territori che a vario titolo
componevano lo Stato della Chiesa possedeva una
striscia che avrebbe interrotto l'unità territoriale del
grande regno, facendolo sentire di conseguenza
accerchiato.
Infanzia ed educazione
Il 28 settembre 1197 Enrico VI moriv a e Costanza affidò il figlio a Pietro di Celano conte della Marsica (fratello di Silvestro della Marsica che era stato Grande
Ammiraglio di Guglielmo I il Malo, re di Sicilia) e Berardo di Laureto appartenente alla famiglia degli Altavilla conti di Conversano. Il 17 maggio del 1198 Costanza fece incoronare il figlio re di Sicilia a soli quattro anni. Costanza morì il 27 novembre dello stesso
anno, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo
papa, Innocenzo III, ed aver costituito a favore del
papa un appannaggio di 30.000 talenti d'oro per l'e-
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ducazione di Federico, questo sarà uno dei fatti che
Federico rinfaccerà sempre.
Federico risiedeva nella reggia di Palermo, nel Castello della Favara, il Castello a Mare, seguendo Gentile di Manopello fratello di Gualtiero. Suo primo maestro fu frate Guglielmo Francesco, che ne rispondeva
al vescovo Rinaldo di Capua, il quale informava costantemente il papa dei progressi scolastici, della
crescita e della salute di Federico.
La corona imperiale
Il 26 dicembre 1208 Federico compì il quattordicesimo anno di età e uscì dalla tutela papale assumendo il potere nelle sue mani. Su consiglio del pontefice
nell'agosto del 1209 sposò la venticinquenne Costanza d'Aragona, vedova del re ungherese Emerico: Federico non aveva ancora compiuto quindici anni.
Nel frattempo Ottone IV, che nel novembre 1208 era
stato eletto dai principi tedeschi re di Germania,
nell'ottobre 1209 riceveva a Roma la corona imperiale dal papa Innocenzo III, ma violando i patti calò al
sud per conquistare il Regno di Sicilia e sopraffarre il
puer Apuliae. Così nel 1210 Ottone IV venne scomunicato dal papa che, su consiglio del re di Francia Filippo Augusto, propose Federico per il trono di Germania: nel settembre 1211 i principi tedeschi, sostenuti da Innocenzo III, elessero Federico "re dei Romani" (il che equivaleva alla pre-nomina ad imperatore)
e si recarono a Palermo per conferirgli la nomina.
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In Sicilia, dove Federico era appena divenuto padre
del suo primogenito Enrico che neonato venne incoronato re di Sicilia (coreggente), si organizzò subito
una spedizione rapida verso Oltralpe: partito a marzo
del 1212 da Palermo, Federico giunse a Roma la
domenica di Pasqua e prestò giuramento vassallatico al papa; a settembre entrò trionfalmente a Costanza, a ottobre indisse la sua prima dieta da re di
Germania e a novembre stipulò gli accordi col futuro
re di Francia Luigi VIII per combattere il riv ale Ottone
IV. Finalmente il 9 dicembre 1212 dal vescovo Sigfrido
III di Eppstein Federico veniva incoronato nel duomo
di Magonza, ma la sua effettiva sovranità doveva
ancora essere sancita. Il 12 luglio 1213 con la cosiddetta "Bolla d'Oro", (o "promessa di Eger"), Federico
promise di mantenere la separazione fra Impero e
Regno di Sicilia (vassallo del Pontefice) e di rinunciare
ai diritti germanici in Italia (promessa già di Ottone IV,
mai mantenuta). Promise inoltre di intraprendere presto una crociata in Terrasanta, nonostante non ci fosse stata una esplicita richiesta da parte del papa.
Federico II poté essere riconosciuto unico pretendente alla corona imperiale solo dopo il 27 luglio 1214
quando, nella battaglia di Bouvines, Filippo Augusto
re di Francia, alleato di Federico, sbaragliò Ottone IV
alleato degli inglesi. In Germania resistevano al dominio di Federico soltanto Colonia, la città più ricca e
popolosa della Germania del tempo, i cui mercanti
vantavano particolari diritti commerciali e di traffico
con l'Inghilterra di Enrico II Plantageneto sin dal 1157,
e Aquisgrana, dove erano conservate le spoglie di
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Carlo Magno. Aquisgrana cadde nel 1215 e Federico
vi ricevette una seconda e splendida incoronazione
(25 luglio 1215) che completò quella di Magonza.
L'11 novembre 1215 venne aperto da Innocenzo III il
IV Concilio Lateranense (XII universale) cui anche
Federico partecipò.
Finché fu in vita il suo protettore Innocenzo III, Federico evitò di condurre una politica personale troppo
pronunziata. Morto Innocenzo III e salito al soglio Onorio III (18 luglio 1216), papa di carattere meno deciso del predecessore, Federico fu incalzato dal nuovo papa a dare corso alla promessa di indire la crociata. Federico tergiversò a lungo e nel 1220 fece
nominare dalla Dieta di Francoforte il figlio Enrico "re
di Germania". Il Pontefice ritenne che l'unico modo di
impegnare Federico era quello di nominarlo imperatore, ed il 22 novembre 1220 Federico fu incoronato
imperatore in San Pietro a Roma da Papa Onorio III.
Federico non diede segno di voler abdicare dal Regno di Sicilia, ma mantenne la ferma intenzione di
tenere separate le due corone. La Germania la lasciava al figlio, ma, in quanto imperatore, ne manteneva la suprema autorità. Essendo stato allevato in
Sicilia è probabile che si sentisse più siciliano che tedesco, ma soprattutto conosceva bene il potenziale
del suo regno, con una fiorente agricoltura, città
grandi e buoni porti, oltre alla straordinaria posizione
strategica al centro del Mediterraneo.
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L'attività nel Regno di Sicilia
Federico poté dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno di Sicilia, indicendo due grandi assise a Capua e a Messina (1220-1221).
In quelle occasioni rivendicò che ogni diritto regio confiscato in passato a vario titolo dai feudatari venisse immediatamente reintegrato
al sovrano. Introdusse inoltre il diritto romano, nell'accezione giustinianea rielaborata dall'Università di Bologna su impulso di suo nonno il Barbarossa. A Napoli fondò l'Università nel 1224, dalla quale
sarebbe uscito il ceto di funzionari in grado di servirlo, senza che i
suoi fedeli dovessero recarsi fino a Bologna per studiare. Favorì anche l'antica e gloriosa scuola medica salernitana
Nel castello Federico II, con l'ausilio del suo fidato notaio Pier delle
Vigne, emanò nel 1231 le Constitutiones Augustales (note anche
come Costituzioni di Melfi o Liber Augustalis), codice legislativo del
Regno di Sicilia, fondato sul diritto romano e normanno, tra le più grandi opere della storia del diritto per la sua importanza storica di recupero delle antiche leggi normanne di cui si sono conservati pochissimi documenti. Le costituzioni miravano a limitare i poteri e i
privilegi delle locali famiglie nobiliari e
dei prelati, facendo tornare il potere nelle mani dell'imperatore e a rendere partecipi anche le donne per quanto riguardava la successione dei feudi. Ne doveva nascere uno Stato centralizzato, burocratico e tendenzialmente livellatore,
con caratteristiche che gli storici hanno
reputato "moderne".
Federico II
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S
toria delle crociate
Le crociate hanno costituito alcuni dei più frequenti
argomenti di polemica contro la fede cristiana. .
Quindi, cosa erano le crociate e perché sono viste
come grande problema per la fede cristiana?
Prima di tutto le crociate non dovrebbero essere definite come “crociate cristiane.” Molte delle persone
coinvolte nelle crociate non erano dei veri cristiani,
anche se affermavano di esserlo. Il nome di Cristo fu
abusato, usato male e bestemmiato a causa delle
azioni di molti dei crociati. In secondo luogo le crociate iniziarono da circa il 1095 d.C. al 1230. .
In terzo luogo, anche se questa non può essere considerata una scusa adeguata, il Cristianesimo non è
l’unica religione dal passato violento. In realtà le crociate furono le risposte alle invasioni musulmane su
quelle che una volta erano le terre occupate dai cristiani. Dal 200 d.C. circa al 900, la terra d’Israele,
Giordania, Egitto, Siria e Turchia erano occupate
principalmente dai cristiani. Una volta che l’Islam divenne potente, i Musulmani occuparono queste terre e opprimendo brutalmente, schiavizzarono, deportarono ed uccisero i cristiani che occupavano quelle
terre. In risposta a ciò la Chiesa Cattolica Romana ed
i re/imperatori “cristiani” d’ Europa ordinarono le crociate per riconquistare la terra che i Musulmani av evano preso. Ciò che i tanti pseudo cristiani fecero è
tutt’ora deplorevole. Non esiste alcuna giustificazione biblica per la conquista di terre, sterminio di civili e
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distruzione di città nel nome di Gesù Cristo. Allo stesso
tempo anche l’Islam non può parlare da una posizione di innocenza in tali questioni.
In breve le crociate furono dei tentativ i,
nell’undicesimo secolo d.C., di riconquista delle terre
in oriente che erano state conquistate dai Musulmani. Le crociate furono brutali e malvagie. Molte persone furono forzate a “convertirsi” al Cristianesimo. Se
rifiutavano venivano messe a morte. L’idea di conquistare una terra attraverso una guerra e con così
tanta violenza nel nome di Cristo è totalmente antibiblico. Diversi dei fatti che avvennero durante le
crociate furono completamente antietiche a qualsiasi principio della fede cristiana.
Alla fine del XI secolo non c'è la "crociata" ma ci sono i "crociati" - vale a dire i cruce signati, i pellegrini
diretti a Gerusalemme che in segno di tale pellegrinaggio recano cucita o ricamata sulla spalla o sul
petto oppure sulla bisaccia una piccola croce Alla
fine dell'XI secolo, al concilio di Clermont Ferrand del
1095, papa Urbano II indicò all'inquieto ceto cavall eresco francese - esausto per le continue guerre al suo
interno - un nuovo scopo: partano i cavalieri desiderosi di onore e di bottino verso Oriente, sulla via del
pellegrinaggio, perché l'imperatore di Bisanzio ha bisogno di valorosi guerrieri per fronteggiare l'avanzata
dei turchi in Anatolia.
Ma in quel crepuscolo di secolo era giunta in Europa
la notizia che i turchi selgiuchidi avevano occupato
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anche Gerusalemme sovrapponendosi al più mite
occupante arabo. Essendo molto più brutali dei loro
predecessori, sottoponevano i pellegrini europei a
dure persecuzioni - molestie, furti, uccisioni, e devastazione dei luoghi oggetto della loro venerazione.
Inermi o seminermi pellegrini seguirono i cavalieri: l'iter
dei milites e la peregrinatio dei pauperes ora coincidevano. Nacque, quasi improvvisamente, la Crociata.
Guerra contro i pagani e missione: un tragico legame riv elatosi molto presto, a partire cioè dall'ultimo
quarto dell'VII secolo. In un mondo cristiano solo nel
nome, nell'apparenza, ma non intimamente; nei riti
ma non nei costumi, affiora il tema della scelta fra il
battesimo o la morte che il vincitore "cristiano" propone al vinto infedele. La religione cattolica che presiedeva a tali atteggiamenti era una religione sacrale e regale, con le sue reliquie portate in battaglia, le
sue armi benedette, i suoi vescovi-feudatari più esperti nell'arte di schierare le truppe o in quella di stanar l'orso e inseguire il cinghiale che non nell'ubbidienza al Signore.
Con le Crociate nasceva a poco a poco un nuovo
modo di essere "guerriero di Cristo": fino ad allora, tale espressione era stata usata in modo simbolico per i
martiri, vittime delle persecuzioni; ora la si impiegava
a indicare quei cavalieri che sceglievano di porre la
loro forza al servizio della chiesa cattolica romana. La
nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia
nacque come etica penitenziale proposta a un ceto
di combattenti professionisti per i quali la lotta e il ri-
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schio della vita divenivano, ora, opere meritorie,
mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in luce
l'essenza dello spirito di crociata.
Il monaco Pietro l'Eremita fu il grande div ulgatore della Crociata tra le popolazioni. Un entusiasmo incred ibile pervase le masse per accorrere in Palestina e
strappare ai musulmani il dominio della Terra Santa e
vendicare gli oltraggi e le ingiurie sofferte dai pell egrini.
Una folla di nobili e popolani (circa 300.000 persone)
partì per la Palestina nel mese di agosto 1097 sotto la
guida di Goffredo di Buglione, duca di Lorena. Ebbe
così inizio la prima Crociata (1097-1099).
Soldati crociati
Raggiunta Costantinopoli, iniziarono duri combattimenti con i turchi in Asia Minore. Dopo aver riportato
vittorie su di essi, il 15 luglio 1099 presero d'assalto Gerusalemme e liberarono il Santo Sepolcro. Ma a quale prezzo! I crociati si abbandonarono ad ogni cru-
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deltà, non risparmiando né il sesso, né l'età, né gli
stessi giudei. Goffredo di Buglione assunse il titolo di
"difensore e protettore del Santo Sepolcro", e suo fratello, più tardi, ebbe il titolo di "re di Gerusalemme".
Ma la situazione della Palestina rimaneva precaria,
per cui furono necessarie altre sette Crociate, che si
succedettero nel corso di due secoli, senza che alla
fine Gerusalemme sia stata definitivamente tolta ai
turchi.
I Papi, in seguito, cercarono di indurre i Principi ad
organizzare altre Crociate, ma inutilmente. Agli inizi il
successo delle Crociate contribuì a rafforzare l'autorità papale, ma in seguito agli scacchi subiti, essa ne
uscì ridimensionata.
Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero,
definirà significativamente i papi come "lupi travestiti
da agnelli". Le Crociate infatti non furono imprese
missionarie, ma piuttosto pellegrinaggi militari; furono
manifestazioni di uno «zelo senza conoscenza», direbbe Paolo apostolo (Rm. 10:2), perché male illuminato e contrario allo spirito del Vangelo e ad ogni insegnamento di Cristo.
LE CROCIATE E LA PREDICAZIONE DEI PAPI
Promettendo ai partecipanti indulgenze ecclesiastiche ed esenzione dalle imposte, papa Urbano II aveva dato ai crociati due mete che sarebbero rimaste prioritarie per secoli, nelle Crociate orientali. La
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prima era liberare i cristiani dell'Est. Così ebbe a scrivere il suo successore, Papa Innocenzo III:
"Come può l’uomo che ama, secondo il precetto divino, il suo prossimo come se stesso, sapendo che i
suoi fratelli di fede e di nome sono tenuti al confino
più stretto dai perfidi musulmani e gravati della servitù più pesante, non dedicarsi al compito di liberarli?
Forse non sapete che molte migliaia di cristiani sono
avvinte in ceppi ed imprigionate dai musulmani, torturate con tormenti innumerabili?"
"Fare una crociata era vissuto come un atto di amore". In questo caso, apparentemente, l'amore del
proprio prossimo.
I Papi equipararono la partecipazione alle Crociate
all'offrire aiuto a Cristo stesso (nell'indire la quinta
Crociata, nel 1215, Innocenzo III scrisse: "Cristo non vi
condannerà per il vizio dell'ingratitudine ed il crimine
dell'infedeltà, se voi rifiutate di aiutarLo?").
L'indulgenza ricevuta per la partecipazione alle Crociate fu equiparata canonicamente all'indulgenza
per il pellegrinaggio.
CROCIATE... CRISTIANE ?
Ma cosa avevano di cristiano le Crociate? Uccidere
il proprio nemico per liberare un fratello prigioniero è
un insegnamento di Cristo?
Il Signore Gesù Cristo ha detto molto chiaramente:
"Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pre-
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gate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano" (Matteo 5:44-46).
E ancora: "Non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti
percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra;
e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, l asciagli anche il mantello" (Matteo 5:39). L'insegnamento apostolico, cui i papi avrebbero dovuto rifarsi
se realmente fossero dottori della chiesa, è: "Non
rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini.
Se è possibile, per quanto dipende da voi, viv ete in
pace con tutti gli uomini.
Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il
posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: «A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore.
Anzi, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se
ha sete, dagli da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo.
Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il
bene" (Romani 12:17-21).Se fosse giustificabile la violenza "cristiana" a scopo difensivo e "per amore del
prossimo", cosa dovremmo dire dei milioni di cristiani
perseguitati ai giorni nostri nel mondo? Essi, che come i primi cristiani conoscono l'oppressione, il martirio,
l'ingiustizia, sofferenze di ogni genere solo perché cristiani, come reagiscono? Pregando per i loro persecutori, parlandogli dell'amore del loro Salvatore anche quando stanno per essere giustiziati, così come
Gesù mentre era inchiodato sulla croce chiedeva al
Padre il perdono per i suoi carnefici. Gesù è l'esempio
che dobbiamo seguire, non gli uomini.
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Concludiamo con le parole d'esortazione che ci sono rivolte dall'apostolo: "Siate miei imitatori, fratelli, e
guardate quelli che camminano secondo l'esempio
che avete in noi. Perché molti camminano da nemici
della croce di Cristo (ve l'ho detto spesso e ve lo dico
anche ora piangendo)... Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il
Salvatore, Gesù Cristo, il Signore" (Filippesi 3:17-20).
cavaliere crociato
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I Templari
Le origini dei Cavalieri Templari si possono capire solo se si conosce ed analizza la storia della prima
Crociata guidata dal famosissimo Goffredo di Buglione.
Papa Urbano II al concilio di Clermont (1095) incita
le genti alla "guerra all'infedele", in molti presero
parte, venendo da ogni regione e di qualsiasi ceto
sociale; povera gente, commercianti, nobili cavalieri e principi. La Prima Crociata riuscì a liberare Gerusalemme.
Lo scopo "spirituale" e non economico di questa
Crociata si evidenziò dal comportamento di Goffredo di Buglione, che dopo aver conquistato Gerusalemme si rifiutò di diventarne il Re ritenendosi soltanto "Difensore del Santo Sepolcro".
Dopo aver riconquistato Gerusalemme, molti Crociati, assolto il loro compito, che era quello di permettere ai cristiani di andare a pregare in Terra Santa tornarono in Europa, lasciando Gerusalemme
quasi senza protezione.
Proprio in questo momento iniziò la "leggenda" dei
Cavalieri Templari.
Hugues de Payns insieme ad altri otto cavalieri
(Bysol de Saint Omer, Andrè de Montbard zio di San
Bernardo da Chiaravalle, Archambaud de Saint Ai-
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gnan, Gondemar, Rossal, Jacques de Montignac,
Philippe de Bordeaux e Nivar de Montdidier) partirono dalla Francia per andare in Terra Santa con lo
scopo dichiarato di difendere i pellegrini dagli attacchi dei musulmani.
Ma questi nove Cavalieri avevano anche un altro
scopo, uno "scopo segreto", trovare antiche reliquie
(Arca dell’Alleanza, Santo Graal).
All’inizio furono chiamati i "Poveri Cavalieri di Cristo"
ed erano un Ordine monastico e guerriero. Questo
Ordine fu una cosa riv oluzionaria per quel tempo.
Infatti i ceti sociali dell’epoca si dividevano tra: Bellatores (coloro che combattevano), Oratores (col oro che pregavano), e Laboratores (coloro che lavoravano).
I Cavalieri Templari unirono la mansuetudine del
monaco alla forza del guerriero
I monaci tradizionali avevano tre voti: obbedienza,
povertà e castità.
I Cavalieri Templari, oltre a questi tre voti, ne avev ano un quarto, cioè lo "stare in armi", quindi il combattimento armato. Furono dei veri e propri monaci
guerrieri.
Questi nove Cavalieri, si presentarono nell’Anno
Domini 1119 al Re di Gerusalemme Baldovino II dichiarando di essere disposti a proteggere i pell egrini
e a controllare le strade di Gerusalemme.
Questi cavalieri, erano coperti da un semplice mantello bianco senza nessun altro fregio o armatura
luccicante.
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Hugues de Payns disse al re, che non erano le vesti
che facevano i buoni e coraggiosi cavalieri, ma il
cuore.
Il Re Baldovino II, dopo averli ascoltati, diede loro
come quartier generale un'ala del monastero fortificato di Nostra Signora di Sion, accanto a quello
che era stato il Tempio di Salomone.
I cavalieri cominciarono così a controllare le strade
come promesso al re, il quale fu soddisfatto del loro
operato. Dopo poco tempo, con l’aumentare dei
cavalieri, il quartier generale si trasferirsi, andando
ad occupare tutta l'area di quella che era la spianata del Tempio di Salomone, ossia l'area fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa.
A questo punto presero il nome di "Ordine dei Poveri
Cavalieri di Cristo e del Tempio di Gerusalemme", e
furono più semplicemente riconosciuti come "Templari".
In questo periodo i Cavalieri Templari incontrarono
grandi difficoltà, sia dal punto di vista militare (erano pochi) sia dal punto di vista economico.
Per questi motivi Hugues de Payns tornò in Francia
nel 1127 a cercare rinforzi morali ed economici.
Proprio in questo periodo avviene la svolta decisiva
dell’Ordine del Tempio: Hugues de Payns dopo aver
incontrato a Roma il Papa Onorio II arriv a a Troyes.
Bisogna ritenere che la creazione di questo Ordine
non aveva precedenti nella storia cristiana, e, anche il Papa mostrava evidenti segni di imbarazzo.
Certo, i Cavalieri Templari non furono i primi monaci
con altre finalità oltre la preghiera e la meditazione,
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anche i Cavalieri di San Giovanni conosciuti come
Ospitalieri o Gerosolimitani e oggi come Cavalieri di
Malta già esistevano, ma non avevano il voto delle
armi, si occupavano soprattutto della cura dei feriti,
degli invalidi e dei pellegrini in seguito però,
sull’esempio dei Cavalieri Templari presero anche
loro le armi.
Anche i Cavalieri Teutonici presero le armi, copiando sia la Regola Latina Templare, sia la div isa, con
l’eccezione del colore della Croce nera inv ece che
rossa dei Cavalieri Templari.
Lo stesso dicasi per gli altri Ordini Cavallereschi, soprattutto quelli della Penisola Iberica.
Era necessario quindi trovare una posizione chiara e
precisa, avendo anche una Regola Latina che si
adattasse perfettamente alla situazione. Questa
Regola Latina fu redatta da uno dei personaggi più
carismatici ed autorevoli del tempo: San Bernardo
da Clairvaux (Chiaravalle) appartenente all’ordine
monastico nato a Cistercium (I Cistercensi) e fondatore dell’abbazia di Chiaravalle.
Fu proprio nel Concilio di Troyes (1128) che venne
presentata la Regola Latina e l’Ordine.
Oltre al Papa Onorio II ed allo stesso San Bernardo
da Chiaravalle, erano presenti anche gli arciv escovi
di Reims, Sens, Chartres, Amiens e Tolosa, oltre ai v escovi di Auxerre, Troyes e Payns. Tutti gli Statuti
dell'Ordine furono approvati e la Regola Latina
Templare fu sottoscritta da tutti e vi fu apposto il sigillo papale, mentre Hugues de Payns, anch'egli
presente al Concilio, fu nominato Gran Maestro
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dell'Ordine.
In questo Concilio fu presentato il "De laude novae
militiate",vero e proprio proclama di esaltazione
dell'Ordine Templare. Ne citiamo una parte:
"Una nuova cavalleria è apparsa nella terra dell'Incarnazione... essa è nuova, dico... che si combatta
contro il nemico non meraviglia... ma che si combatta anche contro il Male è straordinario... essi non
vanno in battaglia coperti di pennacchi e fronzoli,
ma di stracci e con un mantello bianco... essi non
hanno paura del Male in ogni sua forma... essi attendono in silenzio ad ogni comando aiutandosi l'un
l'altro nella dottrina insegnata dal Cristo... essi fra l oro non onorano il più nobile, ma il più valoroso... essi
sono i Cavalieri di Dio... essi sono i Cavalieri del
Tempio".
Da un altro scritto relativo all’Ordine Templare redatto da San Bernardo da Chiaravalle si capisce ulteriormente lo spirito dei Cavalieri Templari: "Le armi
nemiche avrebbero forse avuto paura dell'oro, avrebbero rispettato gemme e non oltrepassato la
seta? sono necessarie solo tre cose: abilità, prontezza e circospezione; abilità nel cavalcare, prontezza
nel colpire, circospezione nel guardarsi quando ci si
recasse in terre e fra genti sconosciute".
A Troyes poi i Cavalieri Templari adottarono il motto:
"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da
gloriam", ossia "Non a noi, Signore, non a noi, ma al
Tuo nome da gloria". E’ facile immaginare come un
simile motto potesse accendere gli animi.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
La Regola Latina Templare era formata da 72 articoli ed era durissima. Veniva vietato qualsiasi contatto con le donne (non si poteva baciare neanche
la madre, ma bisognava salutarla compostamente
chinando il capo), non si poteva andare a caccia,
erano banditi il gioco dei dadi e delle carte, aboliti
mimi, giocolieri e tutto ciò che è divertimento, non si
poteva ridere scompostamente, parlare troppo o
urlare senza motivo, i capelli andavano corti o rasi,
in inverno la sveglia era alle 4 del mattino, in estate
alle 2, bisognava dormire "in armi" per essere sempre pronto alla battaglia "...il demonio colpisce di
giorno e di notte, quindi che si difenda il Sacro Sepolcro dall'alba all'alba successiva sempre in armi..."…
C’erano regole anche sul mangiare e sul vestirsi.
Bisognava veramente avere una sincera e profonda vocazione per sottostare a tali ferree regole.
Dopo questa ufficiale approvazione ecclesiastica,
la fama dell'Ordine del Tempio crebbe rapidamente, e con essa aumentò anche la potenza e la ricchezza dell'Ordine stesso, che ricevette elargizioni e
donazioni spontanee praticamente da ogni ceto
sociale.
Ogni elargizione o donazione veniv a usata per finanziare la campagna di guerra in Terra Santa, e
tutti, pur non partecipando attivamente alla guerra,
potevano però dare il loro contributo: in pratica,
donare ai Cavalieri Templari significava contribuire
materialmente alla liberazione dei "Possessi di Dio"
come veniva chiamata spesso la Terra Santa.
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Saverio Papicchio 25
Re Manfredi
L'Ordine Templare crebbe anche in prestigio, tanto
che i nobili facevano a gara per entrare nell'Ordine.
A causa delle moltissime donazioni ed elargizioni,
Hugues de Payns dovette lasciare in Francia parecchi confratelli per amministrare l'enorme patrimonio
acquisito, onde far fronte alle grosse spese delle
campagne di guerra in Terra Santa.
Di vitale importanza fu la bolla "Omne datum optimum" del 1139, di Papa Innocenzo II che concesse
all'Ordine la totale indipendenza, compreso l'esonero dal pagamento di tasse e gabelle, oltre al fatto
che l'Ordine non doveva rendere conto a nessuno
del suo operato, tranne che al Papa. Così l’Ordine
Templare divenne un organismo a parte con una
posizione molto priv ilegiata.
Hugues de Payns tornò a Gerusalemme con un
gran numero di reclute, che divennero perfetti Cavalieri Templari.
I Cavalieri Templari si distinsero sempre per la loro
incredibile determinazione in battaglia, avevano
una disciplina disumana e una spietata fermezza di
fronte all’avversario. Non a caso veniv ano chiamati
dai musulmani i "diavoli rossi", mentre i Gerosolimitani erano chiamati i "diavoli neri".
Pretendevano il priv ilegio della prima linea durante i
combattimenti, molto spesso dovettero pagare con
un alto tributo di sangue questo privilegio, ma con
la loro fama di essere i più valorosi difensori della
Croce non avevano difficoltà a reclutare nuovi
combattenti.
Le loro sconfitte furono assai poche, furono gli ultimi
Saverio Papicchio
Re Manfredi
a lasciare la Terra Santa e nell’assedio di Giovanni
d'Acri non mollarono fino all’ultimo, la difesa della
fortezza che era chiaramente senza speranza, benché senza alcun pericolo potevano salvarsi via mare, ma i Cavalieri Templari combatterono e morirono quasi tutti. Non potendo più guidare
l’avanguardia in battaglia si trasformarono in retroguardia e sacrificarono così le loro vite.
E’ tragico pensare che i Cavalieri Templari sopravvissuti ai Musulmani caddero poi vittime nel 1314 dei
carnefici del Re di Francia Filippo IV il Bello (Cristiano) e del Papa Clemente V, tra di essi c’era anche
l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay e il precettore di Normandia Goffredo di Charney.
Ma i Templari non furono protagonisti solo in Terra
Santa: quando le orde dei Mongoli minacciarono
l’Europa i Cavalieri Templari contribuirono non poco
alla sua difesa, che trovò provvisoria soluzione con
la battaglia di Liegnitz nel 1241. Nella penisola iberica i sovrani di Spagna e Portogallo difficilmente avrebbero conseguito le loro vittorie senza i Cavalieri
Templari, affidando loro le proprie fortezze più munite e ricompensandoli con munifiche donazioni.
Anche la flotta Templare era tra le migliori, nessuno
si sarebbe mai azzardato ad attaccare una nave
battente bandiera Templare e i Musulmani se ne
tenevano ben alla larga.
Bernardo da Chiaravalle, riprendendo il concetto
della "guerra giusta" espresso da Sant'Agostino,
considerò il voto templare dell'uso delle armi contro
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Saverio Papicchio 27
Re Manfredi
gli infedeli non una intenzione di "omicidio", ma una
vera e propria azione contro il Male, ossia un "malicidio" ("De laude novae militiate"), anche perché i
Cavalieri Templari difendevano i Luoghi Santi, che
dovevano essere a disposizione di tutti, quindi chiunque avesse preteso di tenerli soltanto per se sarebbe stato considerato "malvagio" e andava quindi eliminato.
In quel tempo il Cavaliere Templare era il Guerriero
di Dio per antonomasia, ed il suo compito era serv ire Dio combattendo l’eresia e le ingiustizie.
Una grave ingiustizia era quella perpetrata dai musulmani in Terra Santa.
Fin dall’800, infatti, i pellegrini che si recavano al
Santo Sepolcro venivano uccisi, derubati, le donne
violentate, nel migliore dei casi veniva imposta l oro
una forte tassa.
La setta degli "Assassini" nacque proprio in questo
periodo ed aveva come scopo l’uccisione sistematica dei pellegrini Cristiani. Questo atteggiamento
intollerante da parte dei musulmani portò ad una
reazione violenta degli Europei.
Bernardo da Chiaravalle con "De laude novae militiate" espresse bene questa mentalità.
Le Crociate avevano un costo altissimo, sia per gli
armamenti, per il viaggio, per la costruzione di fortezze, e queste spese non potevano essere affrontate dai soli Cavalieri Templari, che nei loro monasteri
si dedicavano per lo più alla coltiv azione e
all’allevamento. Le ricchezze ottenute dai Cavalieri
Templari furono immense e loro stessi furono bravi a
Saverio Papicchio
Re Manfredi
gestirle: investirono il denaro munificamente, soprattutto facendo servizio di tesoreria e prestiti per nobili
e re.
Gli affari che svolgevano erano soprattutto di quattro
categorie:
1) deposito tributi e somme di denaro di un principe
votatosi alla Crociata
2) trasferimento in Terra Santa di dette somme
3) riscossione delle decime pontificie per le crociate
4) prestiti a principi o nobili, che motivassero tale bisogno di denaro con pii motivi.
Inventarono l’assegno o lettera di cambio: per esempio i pellegrini che si volevano recare in Terra Santa,
ma avevano paura di essere rapinati, potevano l asciare denari in una qualsiasi magione templare e ricevere una quietanza di riscossione; all’arrivo in Terra
Santa portavano la quietanza nella magione e tornavano in possesso della somma di denaro lasciata prima della loro partenza.
Da notare che il più famoso sigillo templare era un cavallo cavalcato da due cavalieri che stava ad indicare la povertà iniziale dei cavalieri che erano costretti
ad andare in due su un solo cavallo e il dualismo universale delle cose, a cui si rifà il loro ideale, cioè la
convivenza pacifica in Terra Santa della cultura Cristiana e di quella Islamica.
I Cavalieri Templari godevano di un’altissima stima
da parte delle popolazioni Medioevali, li vedevano
come la Cavalleria di Cristo, i Cavalieri Templari erano l’incarnazione del vero spirito Cavalleresco,
che San Bernardo da Chiaravalle contribuì ad esal-
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Saverio Papicchio 29
Re Manfredi
tare con i suoi scritti, ma non solo, scriv eva infatti
Papa Clemente III nel 1191: "Consacrati al servizio
dell’Onnipotente, vanno considerati parte della
Cavalleria Celeste". Anche Pietro il Venerabile ammoniva: "Chi non si rallegra con tutto il suo animo in
Dio suo Salvatore, che la Cavalleria dell’Eterno, i
Templari, abbia lasciato gli accampamenti celesti
per scendere a ingaggiar nuove battaglie, a battere i principi di questo mondo, a sconfiggere i nemici
della Croce di Cristo?... e siete Monaci nelle vostre
virtù, Cavalieri nelle vostre azioni; le une le realizzate
con la forza dello spirito, le altre le esercitate con la
vigoria del corpo".
Tra i Cavalieri Templari vigeva l’assoluto rispetto per i
superiori, esistevano infatti dei Marescialli, dei Precettori, dei Balivi, dei Priori, dei Gran Priori.
Era una organizzazione perfetta, visto che ognuno
per la gestione interna era totalmente indipendente
dall'altro, e ognuno doveva rendere conto al suo
superiore diretto, fino ad arriv are al Gran Maestro
che era il "primus inter pares".
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Templare in preghiera
La prima vera battaglia Templare fu con il secondo
Gran Maestro, Robert de Craon, nel 1138 a Tecua,
vicino Ghaza, dove i Templari ebbero una gravosa
sconfitta, dovuta al fatto che i comandanti Crociati
non vollero ritirarsi dopo aver conquistato la città (rifiutando il consiglio di Robert de Craon, visto che la
città non era sufficientemente fortificata) dando il
tempo ai musulmani di riorganizzarsi e di reagire
compiendo un vero e proprio massacro.
La situazione in Terra Santa comunque non era delle
migliori, un valoroso condottiero islamico dominava
la scena: Zinki (Zengi), un uomo che riuscì a riunire
gli sceiccati mettendo assieme un formidabile esercito di oltre 100.000 uomini pronti a tutto pur di riconquistare le loro terre. Zengi iniziò fra i musulmani
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Saverio Papicchio 31
Re Manfredi
la predicazione della "jihad" o guerra santa, incitandoli alla riconquista dell'intero Oriente. Alla testa
del suo esercito, nel 1128 si impadronì di Aleppo e il
Principato di Antiochia, fino a conquistare nel 1144
Edessa e tutta la sua Contea.
La caduta di Edessa provocò un grande scalpore in
Europa, e Baldovino III chiese al Papa Eugenio III di
bandire un'altra crociata (Seconda Crociata), cosa
che avvenne il 1 dicembre 1145 con le relativ e bolle
pontificie.
Bernardo da Chiaravalle girò l’Europa esortando le
folle e i Re (tra cui Corrado III di Germania). Le truppe Crociate partirono, ma separate, i francesi via
mare, mentre i tedeschi via terra. I tedeschi nel bel
mezzo delle montagne furono attaccati e quasi
completamente distrutti dall'esercito turco selgiuchida, tanto che i crociati persero quasi tutte le
truppe, e si ritirarono a Nicea, dove attesero l'esercito francese condotto da Luigi VII. I francesi arrivarono insieme ai Cavalieri Templari e al loro Gran Maestro Evrard des Barres, ma furono subito attaccati
dai musulmani e non riuscirono a trovare un sicuro
riparo nella città di Laodicea. I crociati francesi erano allo stremo ed ormai molti disertavano e si ribellavano ai loro ufficiali: solo i Cavalieri Templari rimanevano nei ranghi compatti e disciplinati. A questo
punto Evrard des Barres, dopo un colloquio con Luigi VII, prese il comando dell'esercito, riorganizzandolo, ponendo a capo di ciascun gruppo di 100 soldati un Cavaliere Templare.
Dopodiché si ritrovarono a Gerusalemme Luigi VII,
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Corrado III, Il Gran Maestro Templare, quello degli
Ospitalieri e quello dei Teutonici, che insieme presero una sventurata decisione: attaccare e conquistare Damasco. La seconda Crociata finì nel sangue, e
a Damasco ci fu una terribile sconfitta degli Europei,
schiacciati da Nur al-Din (successore di Zengi) e dal
suo esercito.
Nel 1150, Baldovino III dopo aver fatto fortificare la
città di Gaza la donò ai Cavalieri Templari, perché
la difendessero e perché facessero da sentinelle al
sud della Palestina.
Non solo da parte dei Crociati furono commesse
delle atrocità, ma anche da parte musulmana. Infatti il 25 gennaio 1153, l'intero esercito cristiano si
accampò per assediare Ascalona, ma dopo quattro mesi, ogni attacco alla città veniva sistematicamente respinto.
Verso la fine di luglio 1153, una torre mobile dell'esercito cristiano prese fuoco, e venne scagliata
contro le mura della città: il forte impatto ed il cal ore provocarono una breccia dove si trovava un
gruppo di Cavalieri Templari guidati da Bernard de
Tramelay.
Quest’ultimo vista la breccia colse al volo la possibilità di buttarsi in prima linea e quindi si lanciò con
quaranta Cavalieri Templari dentro la breccia. Gli
altri Crociati in quel momento si trovavano dall’altra
parte della città e non fecero in tempo a seguire i
Cavalieri Templari che si erano gettati all’interno di
Ascalona. I musulmani, vedendo solo quaranta uomini, contrattaccarono, massacrando i Cavalieri
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Saverio Papicchio 33
Re Manfredi
Templari e lo stesso Bernard de Tramelay. I corpi dei
Cavalieri Templari furono appesi per i piedi fuori dalle mura, e le loro teste lanciate sul campo cristiano
con delle piccole catapulte.
La furia dei cristiani a questo spettacolo fu tale che
il 19 agosto 1153, dopo un formidabile ed intenso
assedio, Ascalona fu presa e messa a ferro e fuoco.
Dopo questo evento seguì un periodo di relativ a
pace. Che permise a Salah al-Din più noto come
Saladino di riorganizzare l'esercito musulmano, portandolo ad oltre 200.000 uomini, con i quali attaccò
il Cairo, sbarazzandosi del visir Shawar, ormai amico
dei cristiani, e rivolgendosi direttamente contro Gerusalemme. Tutto il mondo musulmano si unì a Saladino contro i cristiani nel 1174.
Nel novembre 1174 Saladino entrava a Damasco,
ed il 9 dicembre dello stesso anno entrava ad
Homs, per poi proseguire per Aleppo, che venne assediata il 30 dicembre. Nel 1178, Baldovino III fece
costruire una fortezza, chiamata "Guado di Giacobbe", che fu affidata ai Cavalieri Templari.
Nel febbraio del 1179 Saladino attaccò ed invase la
Galilea, senza però tener conto della resistenza della fortezza templare del "Guado di Giacobbe", che
non cadde, ed impedì a Saladino di raggiungere
Gerusalemme.
Il 10 giugno 1179, presso Mesaphat, l'esercito cristiano di Raimondo III ed i Cavalieri Templari si scontrarono con i 200.000 uomini dell'esercito musulmano.
Fu un massacro, tanto che Saladino poi conquistò il
"Guado di Giacobbe", giustiziando tutti i Cavalieri
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Templari di stanza nella fortezza, e prendendo prigioniero il Gran Maestro, Eudes de Saint-Amand,
che però non volle che fosse pagato nulla per il suo
riscatto, e finì i suoi giorni morendo di fame e di stenti nel carcere di Damasco.
Nel 1187, Rinaldo di Chatillon, marciò irresponsabilmente verso Medina e La Mecca, con l'intento di
appropriarsi della "pietra nera", simbolo sacro musulmano. Questo suo intento scatenò le ire degli arabi, e Saladino radunò ed organizzò il più grande
esercito che si sia mai visto: fra cavalieri, arcieri e
fanti, oltre 300.000 uomini erano agli ordini del condottiero musulmano.
La battaglia decisiva si svolse ai corni di Hattin il 4
Luglio 1187. L'esercito Crociato dopo vari giorni di
dura marcia e senza acqua si scontrò con l'esercito
di Saladino.
Saladino riuscì ad accerchiare l'esercito Cristiano
che fra l'altro non aveva un'unica guida, ma ogni
reggimento aveva un suo capo. Gli Ospitalieri erano
guidati da Ruggero di Les Moulins, i Cavalieri Templari da Gerard de Ridefort e le altre truppe Cristiane
da Rinaldo di Chatillon e da altri Baroni; così div iso
l'esercito Cristiano perse molto in efficacia e se ci si
aggiungono la stanchezza e la sete si capisce bene
perché i Cristiani furono duramente battuti.
Gli arcieri a cavallo musulmani riuscirono fin troppo
bene a tenere a bada la fanteria Cristiana, mentre
la fanteria di Saladino ebbe l'arduo compito di reggere le devastanti cariche della Cavalleria pesante
europea.
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Re Manfredi
La battaglia durò diverse ore, ma alla fine, con la
graduale perdita di consistenza delle cariche della
cavalleria pesante, i musulmani ebbero la meglio.
L'esercito Cristiano fu duramente battuto e soltanto
in pochissimi si salvarono: tra questi c'era Gerard de
Ridefort. Da ricordare che il Gran Maestro degli Ospitalieri aveva sconsigliato di attaccare, ma di
concentrare tutto l'esercito su un fronte e cercare di
sfondare per scappare da quella fin troppo ovvia
trappola mortale; Gerard de Ridefort rispose sprezzante al Gran Maestro degli Ospitalieri: "Amate
troppo la vostra bionda testa per temere di perderla in battaglia". Il cavaliere di rispose: "Io morirò in
battaglia da uomo coraggioso, ma sarete voi a
scappare come un coniglio ed un traditore". Ed infatti così fu.
Gerard de Ridefort venne poi ucciso da Saladino in
persona che gli staccò la testa dal busto con un
colpo di scimitarra.
Questa sconfitta portò a non poche ripercussioni
per i Regni Cristiani in Terra Santa.
Dopo questa battaglia caddero in mano araba Tiberiade, San Giovanni d'Acri, Nablus, Jaffa, Sidon
ed Ascalona. Rimaneva Gerusalemme. Dopo alcune settimane di assedio, il 2 ottobre 1187 Gerusalemme cadde nelle mani di Saladino. La crociata
che ne seguì (Terza Crociata), guidata dal famoso
Riccardo I Cuor di Leone e da Federico I Barbarossa
(che morì annegato prima di arrivare in Terra Santa)
si risolse soltanto con un patto con i musulmani che
Saverio Papicchio
Re Manfredi
lasciarono una striscia di terra sul mare ai Cristiani
da Tiro a Jaffa, come porto per lo scalo dei pell egrini. Gerusalemme rimase in mani musulmane e Saladino fece abbattere tutte le croci ed in general e i
segni Cristiani nella città e codici e scritti della Bibbia, sostituendoli con mezzelune e simboli sacri
all’islamismo. Saladino però si mostrò magnanimo
con la popolazione di Gerusalemme che venne risparmiata, anche se dietro il forte pagamento di un
riscatto.
Ad aggravare la situazione giunsero anche i Mongoli che, oltre ad attaccare l’Est Europeo, si scagliarono anche contro la Terra Santa e nel 1244 le truppe mongole insieme a quelle egiziane entrarono a
Gerusalemme, dopo aver abbattuto la resistenza
dei Cavalieri Templari e Ospitalieri che si dimostrarono delle vere e proprie macchine da guerra, tenendo in scacco l’esercito mongolo per molto
tempo, prima di cadere. Si salvarono solo 33 Cavalieri Templari, 26 Ospitalieri e 3 Teutonici. (uno di loro
sarà un fedele compagno di battaglia di Re Manfredi) A questo attacco rispose il Papa Innocenzo III
che bandì una nuova Crociata. I Cavalieri Templari
e gli Ospitalieri poterono ancora dimostrare il loro
coraggio, soprattutto nella battaglia di Al -Mansura
(1250), ma anche questa volta la Crociata finì per
essere un massacro e si concluse con un nulla di fatto.
Gli eserciti Crociati e gli Ordini Cavallereschi avevano subito moltissime perdite in queste battaglie. Inizialmente i Cristiani proposero un’alleanza ai mu-
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Saverio Papicchio 37
Re Manfredi
sulmani per combattere i mongoli. I musulmani rifiutarono e aspettarono l’indebolimento dei due eserciti (cristiano e mongolo), dopodiché attaccarono.
Dopo la caduta del regno di Gerusalemme, il 6 aprile 1291 San Giovanni d'Acri fu assediata da oltre
50.000 uomini.
I Cavalieri Templari tennero duro: il 18 maggio tutta
San Giovanni d'Acri era in mano musulmana, tranne
la fortezza dove si erano arroccati gli ultimi 150 Cavalieri Templari. Tennero testa a tutti gli attacchi per
dieci giorni, fino a quando i musulmani non riuscirono a forzare le difese, sfruttando anche il loro numero elevato. Morirono tutti quanti, tranne una decina
che scamparono.
L'avventura cristiana in Terra Santa era definitiv amente terminata. In due secoli i Cavalieri Templari
avevano lasciato sul terreno dei oltre 12.000 cavalieri.
Nel 1303 i Cavalieri Templari vennero battuti sull'isolotto di Ruad e tornarono in Europa. Nei quasi due
secoli trascorsi in Terra Santa, i Cavalieri Templari
persero sette Gran Maestri in combattimento, cinque in seguito a ferite e uno nelle prigioni saracene.
Dunque tredici, sui ventitré Gran Maestri di tutta la
storia dell'Ordine. L'ultimo Gran Maestro, Jacques
de Molay, si preparava a rendere più forte l'Ordine
nella Francia di Filippo IV il Bello. Portando con sé il
tesoro accumulato in Terra Santa. I Cavalieri Templari erano ricchissimi e potenti, un vero Stato nello
Stato e non soltanto in Francia, dove pare fossero
quindicimila. Tanta ricchezza e tanta potenza sca-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
tenò l’invidia del Re di Francia Filippo IV il Bello che
determinò, con l’aiuto e l’inettitudine di Papa Cl emente V, la fine dell'Ordine.
Il Re di Francia Filippo IV il Bello infatti, già scomunicato nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, pensò che invece di restituire i capitali che gli erano stati prestati
dai Cavalieri Templari per condurre le varie guerre
con Aragonesi, Inglesi e Fiamminghi, fosse più economico eliminare l'Ordine dei Cavalieri Templari e
impossessarsi dei loro beni. Venne dunque istruito un
processo-farsa per eresia che durerà ben sette anni
(dal 1307 al 1314) contando sulla testimonianza di
due Cavalieri Templari espulsi dall’Ordine. Li si accusò di essersi dati a pratiche diaboliche, di idolatria,
di sodomia e di riti iniziatici. Sottoposti a tortura molti
Cavalieri Templari confessarono, persino il Gran
Maestro. Ciò che stupisce è la loro arrendevolezza.
Tutti o quasi si fecero prendere senza opporre resistenza. Forse Jacques de Molay sperava nella protezione del Papa, ma Clemente V non seppe o non
volle opporsi ai voleri del Re di Francia. La bolla papale del 1312 sciolse l'Ordine senza prove ma per
legittima suspicione. Jacques de Molay, ebbe la
possibilità di salvarsi, ma ritrattò la confessione resa
e venne condannato al rogo.
Il 18 marzo 1314, Jacques de Molay e Goffredo di
Charney, precettore di Normandia, salirono sul rogo, che gli uomini di Filippo IV il Bello avevano approntato su un'isoletta della Senna.
Questo è ciò che riporta Goffredo di Parigi, testimone del supplizio:" Il Gran Maestro, quando vide il
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Re Manfredi
fuoco acceso, si spogliò senza esitazioni. Riferisco
come lo vidi. Egli si tolse gli indumenti, esclusa la
camicia, lentamente e con aspetto tranquillo, senza affatto tremare, sebbene lo spingessero e lo
scuotessero molto. Lo presero per assicurarlo al palo
e gli legarono le mani con una corda, ma egli disse
ai suoi carnefici:" almeno, lasciatemi congiungere
un po’ le mani e dire a Dio la mia preghiera, poiché
questo ne è il momento, essendo in punto di morte;
e Dio sa, ingiustamente. Ma accadranno ben presto disgrazie a coloro che ci condannano senza
giustizia. Dio vendicherà la nostra morte; muoio con
questa convinzione.
La leggenda dice che, prima di morire, il Gran Maestro dei Templari avesse convocato davanti al Tribunale di Dio il Papa entro 40 giorni e il Re di Francia Filippo IV il Bello entro l'anno. Trentasette giorni dopo il
supplizio morì Clemente V. Otto mesi dopo, lo seguì il
Re di Francia.
spada Gran Maestro
Templare
Saverio Papicchio
Re Manfredi
La crociata e la scomunica di Federico II da parte di
Gregorio IX
Negli anni seguenti Federico si dedicò a riordinare il
Regno di Sicilia, eludendo le continue richieste del papa Onorio III di intraprendere la crociata. Per dilazionare ulteriormente il suo impegno, Federico stipulò col
papa un trattato (Dieta di San Germano, nel luglio
1225), con il quale si impegnav a a organizzare la crociata entro l'estate del 1227, pena la scomunica. In realtà il v ero obiettiv o di Federico era l'unione fra Regno
di Sicilia e Impero, nonché l'estensione del potere imp eriale all'Italia. In questo disegno rientrò il suo tentativ o di
recuperare all'impero la marca di Ancona e il ducato
di Spoleto, rientranti nella sovranità papale. Inoltre in Sicilia procedette all'occupazione di cinque v escov adi
con sede v acante, alla confisca dei beni ecclesiali e
alla cacciata dei legati pontifici che si erano colà recati per la nomina dei v escov i, pretendendo di provvedere direttamente alle nomine. Il papa era molto adirato
con Federico sia perché non av eva adempito ai patti
di tenere separati Impero e Regno di Sicilia, sia perché
non rispettav a la libertà del clero nei suoi territori intromettendosi sistematicamente nell'elezione dei v escov i
e perché non partiv a per la crociata: durante la fallimentare crociata del 1217-1221 (la quinta) Federico si
era ben guardato da aiutare i crociati, av endo più a
cuore la pace con il sultano d'Egitto i cui territori erano
così v icini alla Sicilia e con il quale era in rapporti di amicizia diplomatica.
Nel frattempo, a causa delle mire di controllo sull'Italia
da parte di Federico, era risorta nel nord Italia la Lega
Lombarda: nell'aprile 1226 Federico conv ocò la Dieta
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Saverio Papicchio 41
Re Manfredi
di Cremona con il pretesto di preparare la crociata ed
estirpare le dilaganti eresie, ma questa non poté av ere
luogo per l'opposizione della Lega Lombarda, che impedì l'acceso ai delegati mentre Federico non av eva al
nord forze sufficienti per contrastare i Comuni ribelli.
Il 9 settembre 1227, pressato dal successore di Onorio,
papa Gregorio IX, e sotto la minaccia di scomunica,
Federico tentò di onorare la promessa fatta al predecessore partendo per la sesta Crociata, ma una pestilenza scoppiata durante il v iaggio in mare che falcidiò i
crociati lo costrinse a rientrare a Otranto: lui stesso si
ammalò e dov ette ritirarsi a Pozzuoli per rimettersi in sesto. Gregorio IX interpretò questo comportamento come un pretesto e, conformemente al trattato di San
Germano del 1225, lo scomunicò il 29 dello stesso mese
a Bitonto. A nulla v alse una lettera di giustificazioni inviata al papa da Federico nel nov embre e la scomun ica fu confermata il 23 marzo 1228.
Nella primav era 1228, Federico decise di partire per la
Terrasanta, pur sapendo che durante la sua assenza il
Papa avrebbe cercato di riunire tutti i suoi oppositori in
Germania e in Sicilia, minacciando la Lombardia e il
suo Regno Meridionale. Come riferito dal cronista Riccardo di San Germano, Federico celebrò a Barletta la
Pasqua 1228 "in omni gaudio et exult atione" e ai primi di
maggio del 1228, conv ocata sempre a Barletta un'assemblea pubblica, comunicò di persona le sue decisoni: nominò Rainaldo di Urslingen, già Duca di Spoleto,
suo sostituto in Italia durante l'assenza; in caso di sua
morte, nominò erede suo figlio Enrico re dei Romani e in
seconda istanza il piccolo Corrado, nato pochi giorni
Saverio Papicchio
Re Manfredi
prima ad Andria il 25 aprile da Jolanda di Brienne, che
nel frattempo era morta in seguito al parto.
Quindi seppur scomunicato, partì da Brindisi il 28 giugno1228 per la sesta Crociata. Federico ottenne il successo grazie a un accordo con il sultano ayyubide alMalik al-Kamil, nipote di Saladino: Gerusalemme v enne
ceduta ma smantellata e indifendibile e con l'esclusione dell'area della moschea di Umar (ritenuta dai cristiani il Tempio di Salomone) che era un luogo santo
musulmano. Questa soluzione av eva ev itato la battaglia e av ev a sollev ato Federico dall'incombenza della
crociata. Il 18 marzo 1229 nella basilica del Santo Sepolcro Federico si incoronò re di Gerusalemme (in
quanto erede del trono per av er sposato nel 1225 Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, nonostante
l'opposizione del clero locale e di quasi tutti i feudatari).
In lotta col papa
Nel successiv o periodo di pace e distensione Federico
approfittò per sistemare alcune questioni giuridiche nei
suoi regni, con particolare riguardo a quello siculo. Il
rinnov ato accordo fra il papa e Federico v enne utile a
quest'ultimo allorché nel 1234 suo figlio Enrico si ribellò
al padre: riv oltosi al papa, Federico ottenne la scomunica contro il figlio, lo fece arrestare e lo tenne prigioniero fino alla morte, avv enuta nel 1242. Alla corona
tedesca v enne allora associato l'altro figlio Corrado IV
(che non riuscì neppure lui a gov ernare in pace per
l'opposizione dei nobili che gli misero dav anti una serie
di antiré).
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Saverio Papicchio 43
Re Manfredi
Nel maggio dello stesso anno alcuni v iolenti tumulti, organizzati da famiglie ostili a Gregorio IX, costrinsero
quest'ultimo a fuggire in Umbria. Federico, cui facev a
molto comodo politicamente apparire come il difensore della Chiesa, accorse in armi, sconfisse i ribelli a Viterbo (ottobre 1237) e ristabilì Gregorio sul trono romano (1238).
Tuttav ia egli non era v enuto meno ai suoi propositi di
sottomettere l'Italia all'impero germanico, fav orendo
l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche (la più potente fu quella dei Da Romano che gov ernava su Padov a, Vicenza, Verona e Trev iso). Nel nov embre 1237
Federico colse una notev ole v ittoria sulla Lega Lombarda a Cortenuov a, conquistando il Carroccio che
inv iò in omaggio al papa. L'anno successiv o il figlio Enzo
(o Enzio) sposò Adelasia di Torres, v edov a di Ubaldo Visconti, giudice di Torres e Gallura e Federico lo nominò
Re di Sardegna. Ciò non potev a essere accettato dal
papa, v isto che la Sardegna era stata promessa in successione al papa dalla stessa Adelasia. Alle rimostranze
del pontefice, Federico rispose nel marzo 1239 tentando di sollev argli contro la curia e il papa lo scomunicò,
indicendo anche un concilio a Roma per la Pasqua del
1241. Federico, per impedire lo sv olgimento del Concilio che av rebbe confermato solennemente la sua scomunica, bloccò le v ie di terra per Roma e fece catturare i cardinali stranieri in v iaggio per mare dalla flotta
comandata dal figlio Enzo con una battaglia nav ale
avv enuta presso l'isola del Giglio. Le truppe imperiali
giunsero alle porte di Roma, ma il 22 agosto 1241 l'anziano papa Gregorio IX morì e Federico, dichiarando
diplomaticamente che lui combattev a il papa ma non
Saverio Papicchio
Re Manfredi
la Chiesa (egli era sempre sotto scomunica), si ritirò in
Sicilia.
Dopo la morte di Gregorio IX, v enne eletto papa Goffredo Castiglioni, che prese il nome di Celestino IV, ma
che morì subito dopo. La prigionia di due cardinali catturati da Federico e l'incombente minaccia delle sue
truppe alle porte di Roma prov ocarono una v acanza al
soglio pontificio di un anno e mezzo, periodo durante il
quale si sv olsero frenetiche trattativ e. Infine il conclav e
si tenne ad Anagni e fu eletto il genov ese Sinibaldo Fieschi che prese il nome di Innocenzo IV. Il 31 marzo 1244
fu stilata in Laterano una bozza di accordo fra Federico
ed Innocenzo IV che prev edev a, in cambio del ritiro
della scomunica, la restituzione di tutte le terre pontif icie occupate dall'imperatore, ma nulla dicev a sulle
pretese imperiali in Lombardia. L'accordo non fu mai
ratificato. Tra il 1243 e il 1246 Federico II trascorse le stagioni inv ernali a Grosseto, approfittando del clima mite
e delle aree umide attorno alla città per praticare la
caccia, suo passatempo preferito.
In quegli stessi decenni, circolarono in Italia div erse opere di impronta apocalittica, che attribuiv ano a Federico un ruolo di protagonista nella riforma della Chiesa.
In particolare, il commento al profeta Geremia Super
Hieremiam (attribuito pseudoepigraficamente a Gioacchino da Fiore ma prodotto forse entro ambienti cistercensi o florensi e rielaborato e aggiornato entro
ambienti francescani rigoristi) riconoscev a a Federico II
un ruolo paradossalmente provv idenziale, proprio in
quanto atteso persecutore della Chiesa corrotta e in
special modo dei cardinali.
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Saverio Papicchio 45
Re Manfredi
Il declino e la fine
Papa Innocenzo IV decise che l'assoggettamento
della Lombardia all'impero non potev a essere accettato: av rebbe significato l'accerchiamento dei domini
pontifici da parte dell'imperatore. Perciò decise di indire un Concilio per confermare la scomunica a Federico
e far nominare un altro imperatore, riv olgendosi ai suoi
nemici che in Germania erano numerosi. Giunto a Lione sv olse un'intensa attiv ità diplomatica presso i nobili
tedeschi ed indisse un Concilio che si aprì il 28 giugno
1245. Lione, sebbene formalmente in Borgogna, quindi
di proprietà dell'imperatore, era fuori dal tiro di Feder ico ed era sotto protezione del re di Francia.
Il concilio confermò la scomunica a Federico, lo dep ose, sciogliendo sudditi e v assalli dall'obbligo di f edeltà,
ed inv itò i nobili elettori tedeschi a proclamare un altro
imperatore, bandendo contro Federico una nuov a
crociata. Non tutta la Cristianità però accettò quanto
deliberato nel concilio, che si era tenuto in condizioni
non troppo chiare. Il papa av eva finto fino all'ultimo di
voler patteggiare con Federico e molti si domandarono
se fosse giusto un provvedimento così grav e contro
l'imperatore in un momento in cui nuov e minacce si affacciav ano all'orizzonte (l'offensiv a mongola).
L'imperatore subì il grav issimo colpo che ne appannò il
prestigio e dal 1245 gli ev enti iniziarono a precipitare.
Gli Elettori tedeschi trov arono il nuov o imperatore (in
realtà "re di Roma", titolo che preludev a alla nomina di
imperatore) in Enrico Raspe, margrav io di Turingia, che
il 5 agosto 1246 sconfisse nella battaglia di Nidda il figlio
Saverio Papicchio
Re Manfredi
di Federico Corrado (tuttav ia, l'anno successiv o, il Raspe morì).
Nel febbraio del 1248 Federico subì una grav e sconfitta
nella battaglia di Parma ad opera di Gregorio da Montelongo. Dopo un assedio durato oltre sei mesi i parmigiani, approfittando dell'assenza dell'imperatore che
era andato a caccia nella v alle del Taro, uscirono dalla
città e attaccarono le truppe imperiali, distruggendo la
città-accampamento di Vittoria. L'imperatore riuscì a
stento a rifugiarsi a San Donnino, da dov e raggiunse poi
la fedele alleata Cremona. L'anno seguente il figlio Enzo, battuto nella battaglia di Fossalta, fu catturato dai
bolognesi che lo tennero prigioniero fino alla morte
(1272). Poco dopo Federico subì il tradimento di uno
dei suoi più fidati consiglieri, Pier delle Vigne.
La v ittoria militare del figlio Corrado sul successore di
Raspe, Guglielmo II d'Olanda avv enuta nel 1250, non
portò alcun v antaggio per Federico, il quale nel d icembre dello stesso anno morì a causa di un attacco
di dissenteria. Nel suo testamento nominav a suo successore il figlio Corrado, ma il papa non solo non riconobbe il testamento ma scomunicò pure Corrado (che
morì quattro anni dopo di malaria, nel v ano tentativ o di
ricuperare a sé il regno di Sicilia).
La morte a Fiorentino di Puglia
Federico cadde probabilmente v ittima di un'infezione
intestinale dov uta a malattie trascurate, durante un
soggiorno in Puglia; secondo Guido Bonatti, inv ece, fu
avv elenato. Egli, difatti, qualche tempo prima av ev a
scoperto un complotto, in cui fu coinv olto lo stesso me-
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Saverio Papicchio 47
Re Manfredi
dico di corte. Le sue condizioni apparv ero immediatamente grav i, tanto che si rinunciò a portarlo nel più fornito Palatium di Lucera e la corte dov ette riparare nella
domus di Fiorentino, un borgo fortificato nell'agro
dell'odierna Torremaggiore, non lontano dalla sede imperiale di Foggia.
l'imperatore, sentendosi in punto di morte, v olle indossare l'abito cistercense e dettare così le sue ultime v olontà nelle poche ore di lucidità. Il testamento, dettato
alla presenza dei massimi rappresentanti dell'Impero,
reca la data del 17 dicembre 1250. La salma di Federico fu sommariamente imbalsamata, i funerali si sv olsero
nella sede imperiale di Foggia, la sua salma omaggiata
dalla presenza di moltitudini di sudditi v enne esposta
per qualche giorno e trasportata poi a Palermo, per essere tumulata nel Duomo, entro il sepolcro di porfido
rosso antico, come v olev a la tradizione normannosv eva, accanto alla madre Costanza d'Altav illa, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II.
Recentemente il sepolcro è stato riaperto. Federico
giace sul fondo sotto altre due spoglie (Pietro III di Aragona e una donna sconosciuta). La tomba era stata
già ispezionata nel tardo XVIII secolo: il corpo, nel Settecento, era mummificato e in buone condizioni di
conserv azione; ne risulta che l'imperatore sia stato inumato con il globo dorato, la spada, calzari di seta, una
dalmatica ricamata con iscrizioni cufiche e una corona
a cuffia.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
L'eredità culturale
Federico fu chiamato ai suoi tempi Stupor Mundi
(Stupore del Mondo), appellativo che deriv a dalla
sua inestinguibile curiosità intellettuale, un eclettismo
che lo portò ad approfondire la filosofia, l’astronomia
e la matematica (ebbe corrispondenza e fu in amicizia con il matematico pisano Leonardo Fibonacci,
che gli dedicò il suo Liber quadratorum), l'algebra, la
medicina e le scienze naturali (impiantò a Palermo
persino uno zoo, famoso ai suoi tempi, per il numero
di animali esotici che conteneva); scrisse anche un
libro, un manuale sull'arte della falconeria, il De arte
venandi cum avibus che fu uno dei primi manoscritti
con disegni in tema naturalistico. Si dice che Federico conoscesse ben nove lingue e che fosse un governante molto moderno per i suoi tempi, visto che
favorì la scienza e professò punti di vista piuttosto avanzati in economia, fu uno dei pochi re medioevali
che favorì la lettura e la conoscenza biblica. Questo
tipo di vita condizionerà molto Manfredi che con
dedicazione e precisione si dedicò con passione a
tutto ciò che il padre aveva fatto.
Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura
di quei tempi quali Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele, Teodoro da Antiochia, un
arabo cristiano, e Juda ben Salomon Cohen, grande
enciclopedista ebreo.
L'attività legislativa
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Saverio Papicchio 49
Re Manfredi
Federico condusse un'intensa attiv ità legislativ a: a
Capua e a Catania nel 1220, a Messina nel 1221, a
Melfi nel 1224, a Siracusa nel 1227 e a San Germano
nel 1229, ma soltanto ad agosto del 1231, nel corso
di una fastosa cerimonia tenutasi a Melfi, ne promulgò la raccolta organica ed armonizzata secondo le
sue direttive, avvalendosi di un gruppo di giuristi quali
Roffredo di Benevento, Pier delle Vigne,
l'arcivescovoGiacomo di Capua ed Andrea Bonello
da Barletta. Questo corpo organico, preso lungamente a modello come base per la fondazione di
uno stato moderno, è passato alla storia col nome di
Costituzioni di Melfi o Melfitane anche se il titolo originale Constitutiones Regni Utriusque Siciliae rende più
esplicita la volontà di Federico di riorganizzare il suo
stato, il Regno di Sicilia: quest'ultimo, infatti, fu ripartito
in undici distretti territoriali detti giustizierati, poiché
erano governati da funzionari di propria nomina, i
giustizieri, che rispondevano del loro operato in
campo amministrativo, penale e religioso ad un loro
superiore, il maestro giustiziere, referente diretto
dell'imperatore che stava al vertice di questa struttura gerarchica di tipo piramidale. Abolì i dazi interni
ed i freni alle importazioni all'interno del suo impero.
L'Università
Il 5 giugno 1224, all'età di trent'anni, Federico istituì
con editto formale, a Napoli, la prima universitas studiorum statale e laica della storia d'Occidente, in
contrapposizione all'ateneo di Bologna, nato come
aggregazione privata di studenti e docenti e poi fini-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
to sotto il controllo papale. L'università, polarizzata intorno allo studium di diritto e retorica, contribuì all'affermazione di Napoli quale capitale della scienza
giuridica. Napoli non era ancora la capitale del Regno, ma Federico la scelse per la sua posizione strategica ed il suo già forte ruolo di polo culturale ed intellettuale di quei tempi.
De Arte Venandi cum Avibus
("L'arte di cacciare con gli uccelli"), di cui molte copie illustrate nel XIII e XIV secolo ancora sopravviv ono. Il De arte venandi è un trattato nato innanzitutto
dall'osservazione, che non ha nulla delle enciclopedie zoologiche fino ad allora redatte (i bestiari intrisi
di mitologia, teologia e superstizione). In esso i problemi di ornitologia, di allevamento, di addestramento e di caccia sono trattati con attenzione al principio dell'osservazione diretta e dell'esperienza, con assoluto spirito di indipendenza rispetto alla trattatistica
precedente, per questo rappresenta un fondamentale passo verso la scienza "moderna".
Federico era un cacciatore appassionato. Le battute
di caccia erano un modo per socializzare con persone dello stesso rango, per esercitarsi nell'uso delle
armi e per rappresentare il potere. Il suo hobby preferito era la caccia con il falco addestrato, attiv ità molto costosa e quindi elitaria: un falco addestrato veniva a costare infatti quasi quanto un intero podere. La
caccia con i falchi per Federico non era un passatempo vero e proprio ma una scienza. Egli si procurò
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Saverio Papicchio 51
Re Manfredi
trattati di ornitologia e arte venatoria, e su ordini
dell'imperatore questi testi furono raccolti in un codice miscellaneo, concepito come un libro sulla falconeria. Manfredi era un grande esperto e valente
cacciatore.
La poesia siciliana
Contribuì ad innovare la letteratura italiana ed in
questo senso ebbe importanza fondamentale la
Scuola siciliana che ingentilì il volgare siculo con il
provenzale, ed i cui moduli espressiv i e tematiche
dominanti furono successivamente ripresi dalla lirica
della Scuola toscana. Gli sono inoltre attribuite quattro canzoni. Appassionato della cultura araba, fece
tradurre molte opere da quella lingua e fu quasi
sempre in ottimi rapporti con gli esponenti di quella
cultura al punto da guadagnarsi il soprannome (fra i
tanti) di "sultano battezzato".
Nella corte era presente un gruppo di poeti, per lo
più funzionari, che scrivevano in volgare meridionale.
Nella corte di Federico si costituì una scuola poetica
siciliana al quale si deve l'invenzione di una nuova
metrica, il sonetto. Manfredi proseguì la linea culturale del padre.
Le architetture
Nei pressi di Andria è presente la costruzione più affascinante voluta dall'imperatore, Castel del Monte,
dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO. Dal
Saverio Papicchio
Re Manfredi
punto di vista architettonico il castello è una sintesi
tra le tendenze europee e quelle arabo-musulmane
(presentando soluzioni innovative, quali torri sporgenti, feritoie ed elementi anticipatori del gotico).
A Foggia, aveva fatto costruire un magnifico Palatium, edificato da Bartolomeo da Foggia, su cui vi
era un'iscrizione (oggi conservata nel Portale di Federico) che recitava: "Hoc fieri iussit Federicus Cesar ut
urbs sit Fogia regalis sede inclita imp(er)ialis" (Ciò comandò Federico Cesare che fosse fatto affinché la
città di Foggia divenisse reale e inclita sede imperiale). Federico II considerava la Capitanata un luogo
ideale anche per la caccia e perciò fece costruire
altre due importantissime dimore a Foggia. La prima,
la Domus/Palacium Solatiorum San Laurencii o Pantani, in località Pantano, tra gli attuali quartieri Salice
Nuovo, San Lorenzo ed Ordona Sud, dove il Guiscardo aveva fatto edificare la chiesa di San Lorenzo in
Carmignano, testimonianza visiva, insieme alla Regia
Masseria Pantano, della vasta area che occupava la
struttura federiciana; essa includeva una residenza
signorile, con giardini, vivarium con animali acquatici
ed esotici, padiglioni per il solacium. Il luogo è attualmente un rilevante sito archeologico, oltre che
medioevale, anche romano e neolitico, a pochi chilometri dal centro di Foggia. L'altra dimora del grande imperatore svevo era il Palacium dell'Incoronata,
nei pressi dell'omonimo Bosco; in questo caso, testimonianza importante della struttura federiciana è la
Regia Masseria Giardino, nelle immediate vicinanze
della linea ferroviaria Foggia- Potenza; anche questo
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Saverio Papicchio 53
Re Manfredi
complesso viene descritto dalle cronache di quel
tempo, come tra le dimore più belle e sontuose dello
"Stupor Mundi".
Federico aveva però sparso castelli e palazzi imperiali in tutta la regione, amata anche per le possibilità di
esercitarvi l'arte venatoria, alla quale era appassionato: tra questi, il Castello di Lucera, che affidò ai Saraceni deportati dalla Sicilia. Altre fortificazioni importanti, sono sorte con l'edificazione del castello svevo
di Trani, caratteristico per la sua cortina sul mare e
recentemente restaurato, e il Castello di Barletta, risultato architettonico di una serie di successioni al
potere. Infine va menzionata la Porta di Capua, che
doveva esprimere visivamente la maestà imperiale e
Castello Ursino a Catania
Castel del Monte
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Il crepuscolo di Federico II
Anno
1194
1198
1209
1212
1220
1224
1225
1228
1230
1231
1235
1236
1237
1245
1250
Evento
Nasce a Jesi (Ancona)
Incoronato Re di Sicilia
Sposa Costanza d’Arogona
Eletto Re di Germania e Imperatore
Incoronato Imperatore dal papa
Fonda l’Università di Napoli
Rimasto vedovo sposa Isabella di Gerusalemme. Costruisce una nuova reggia a Foggia. Da impulso alla Scuola medica di Salerno. Eccezionale cultura. Energico uomo politico.
La crociata e l’incoronazione a re di Gerusalemme
Stipula la pace con il papa, che ritira la scomunica
Emana le Costituzioni di Melfi
Doma una ribellione scoppiata in Germania
capeggiata da suo figlio Enrico, incarcera il
figlio che morirà in prigione. Sposa Isabella
d’Inghilterra
La prima guerra vittoriosa contro i Comuni
Cortenuova. La seconda guerra vittoriosa
contro i Comuni. Il Carroccio a Roma. Trattative di pace con il papa che si protraggono a
lungo sena alcun esito.
Il Concilio di Lione. Il papato decreta la condanna di Federico. Inizia il declino degli Svevi
La morte a Castel fiorentino (Foggia)
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Saverio Papicchio 55
Re Manfredi
Le mogli di Federico e i suoi figli
Federico ebbe div erse mogli.
La prima moglie fu Costanza d'Aragona e - come
ogni grande regnante - l'unione fu frutto di un preciso
progetto diplomatico del tutore imperiale papa Innocenzo III. Costanza, infatti, era già alle seconde
nozze ed era di circa dieci anni più anziana del quasi
quindicenne Federico.
Spentasi Costanza, Federico, probabilmente adottando la medesima politica e mantenendo l'avallo
papale, si unì in matrimonio prima con Jolanda (o Isabella) di Brienne e poi, morta questa, con Isabella
d'Inghilterra.
Ma fu Bianca Lancia probabilmente il vero amore
dell'imperatore. Di Bianca, appartenente alla famiglia dei Lancia (o Lanza), molto in vista nella corte di
Federico, non sono rimaste notizie storiche e la stessa
sincerità del sentimento dell'imperatore fu messa
spesse volte in discussione da alcuni critici. Comunque è certo che da questa unione, forse tramutata in
matrimonio negli ultimi anni di vita, nacque a Venosa
Manfredi di Sicilia, il figlio prediletto di Federico.
La madre di Manfredi
Bianca Lancia, o Lanza, meglio Bianca d'Agliano
(Agliano Terme, 1210 circa – 1248 circa), fu l'ultima
moglie di Federico II del Sacro Romano Impero, che
egli sposò in articulo mortis, e madre di Manfredi. Secondo le discordi fonti del tempo, Bianca apparteneva alla nobile famiglia aleramica dei Lancia da
parte di madre; forse era figlia di Bonifacio I d'Aglia-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
no, conte di Agliano, conte di Mineo e signore di Paternò, e di una Bianca Lancia. Tanto i Lancia quanto i
d'Agliano, aristocratiche famiglie ghibelline del Piemonte ormai scalzate dal potere dall'ascesa dei liberi
Comuni, avevano cercato miglior fortuna nel Regno
di Sicilia del giovane Federico II.
A partire dal 1225 Bianca mantenne la relazione con
Federico II, che conobbe in circostanze non determinate. Dalla loro relazione nacquero:
Costanza (1230-1307);
Manfredi (1232-1266);
forse
Violante Lanza di Svevia (1233-1264)
moglie di Riccardo Sanseverino conte di
Caserta.
Sappiamo che il matrimonio fu segreto con Federico
II ed il cronista Matteo Paris riferisce che (di certo dopo il 1247), gravemente malata Bianca supplicò il sovrano di sposarla in articulo mortis, per la salvezza
dell’anima e per il futuro dei figli. A questa unione
Federico avrebbe acconsentito
Essendo già morta l'imperatrice Isabella d'Inghilterra
(1241), Bianca fu investita del feudo dell'ex fortilizio
bizantino di Monte Sant'Angelo, l’Honor Montis
S.Angeli, comprensivo delle città di Vieste e Siponto e
in dotazione a tutte le regine di Sicilia per volontà di
re Guglielmo II di Sicilia. Bianca potrebbe aver vissuto
in giovane età fra le mura del castello dei Lancia a
Brolo e poi molto probabilmente nel castello di Paternò e forse nel castello di Gioia del Colle.
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Saverio Papicchio 57
Re Manfredi
Gli Svevi
Con l'estinzione della famiglia regnante normanna
ed il matrimonio fra l'ultima discendente della famiglia Altavilla Costanza ed Enrico VI di Svevia vi fu il
successivo avvento degli Svevi. Ottone IV di Brunswich, figlio di Enrico il Leone, arriva in Puglia con l'intento di accaparrarsi questi ricchi feudi, sostenuto
peraltro da Papa Innocenzo III che però ritenendolo
troppo forte finisce con appoggiare il giovane Federico II di Svevia. Ottone IV tenta quindi un colpo di
forza e invade le province di Puglia, Calabria e Terra
d'Otranto. Albiria fugge in Francia col figlio Gualtieri
di Brienne; per questo, Federico, già eletto imperatore, nomina Manfredi conte di Lecce e principe di Taranto.
Caduti i Normanni e saliti al potere gli Svevi, soprattutto con Federico II, si crea una lacerazione profonda tra impero e papato. Re Federico, infatti, non tiene mai conto della volontà del pontefice, tanto che
il Papa, da Anagni, il 29 settembre 1227, lo scomunica.
Brindisi e Otranto divennero i principali imbarchi verso
l'Oriente per i numerosi cavalieri e pellegrini diretti in
Terra Santa. Lo stesso Federico II, che il 9 novembre
1221 nella Cattedrale di Brindisi aveva preso in moglie Isabella di Brienne, erede della corona di Gerusalemme, nel 1228 partì dal porto di Otranto per la
Sesta crociata da lui comandata. Morto Federico II
(1250) la Chiesa s'impossessa della Contea di Lecce
e la tiene sotto il suo dominio fino a quando non vie-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
ne ripresa da Manfredi. In questo periodo scontri armati e vere guerre sono all'ordine del giorno, anche il
futuro e sventurato re Corrado è fatto uccidere.
Antonaci in “Hydruntum” scriv e: "Manfredi con audacia e violenza unite ad una grande astuzia conquista Brindisi, Mesagne, Otranto e moltissimi altri centri del Salento".
Nel 1266, l'ultimo sovrano di origine Sveva fu Manfredi. In questo frangente la contea di Lecce passa nelle mani di Caterina d'Angiò, cui segue una rivolta dei
baroni leccesi guidati da Corrado Capece i quali
cercano di impedire l’instaurazione di un dominio
francese nel Salento, ma la riv olta è soffocata e per
punizione il re angioino abbandona Lecce e la contea al saccheggio (1269). Il nuovo sovrano, fondatore della dinastia angioina, era accompagnato da un
nugolo di cavalieri provenzali che nel giro di pochi
anni si sostituirono agli antichi feudatari normannosvevi. Questi ultimi, non sopportando di essere privati
dei loro feudi, invocarono l'aiuto del sovrano aragonese, imparentato con il defunto re Manfredi.
Comincia così un'interminabile contesa tra Angioini
(di origine francese) ed Aragonesi (di origine spagnola), approfittando di questo vuoto di potere presero il
sopravvento i baroni locali che si comportavano da
piccoli sovrani assoluti di feudi più o meno vasti.
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Re Manfredi
Guelfi e Ghibellini
I termini guelfi e ghibellini indicano le due fazioni
che dal XII secolo sostennero in Germania, nel contesto del conflitto tra Chiesa ed Impero, rispettiv amente la casata di Baviera dei Welfen (pronuncia
velfen, da cui la parola guelfo) e quella di Svevia
degli Hohenstaufen,
signori del castello di Waiblingen (da cui la parola
ghibellino), in lotta per la corona imperiale dopo la
morte dell'imperatore Enrico V (1125), che non av eva eredi diretti.
I guelfi sostenevano una linea politica di autonomia
contro ogni tipo di intromissione esterna e contro i
privilegi nobiliari; a volte, furono guelfi coloro che
sostenevano la Chiesa come figura in contrapposizione all'impero pur rimanendo "indipendentisti".
I ghibellini si opponevano al potere del pontefice
affermando la supremazia dell'istituzione imperiale:
morto Enrico V, dunque, i primi posero sul trono di
Germania Lotario, duca di Baviera appoggiato dal
pontefice, cui i ghibellini contrapposero Corrado,
duca di Franconia, che Papa Onorio II non esitò a
scomunicare.
Con l'elezione a re di Germania di Federico I Hohenstaufen (detto il Barbarossa), nel 1152, e la successiva incoronazione imperiale nel 1155, la fazione ghibellina prevalse nel territorio dell'impero: poiché Federico intendeva riaffermare in Italia la supremazia
imperiale che i comuni avevano sottratto all'impero
con il sostegno del papato, sotto il suo regno (1152-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
1190) si verificò uno spostamento dei termini guelfo e
ghibellino dall'area tedesca a quella italiana, dove
essi indicarono rispettivamente i sostenitori del partito papale e i difensori della causa imperiale.
Nel corso del XIV secolo, i partiti guelfi e ghibellini si
frammentarono al loro interno in fazioni (guelfi
bianchi e guelfi neri), attestando una perdita della
forza e della compattezza originarie.
I due termini sopravvissero, e nei secoli successiv i sarebbero stati riutilizzati per indicare linee politiche
favorevoli o contrarie alla Chiesa, ma lo scenario
storico entro cui si erano sviluppati si avviava ormai
verso il declino: dilaniata dai particolarismi e dalle
lotte civili, la realtà comunale cedeva infatti il passo
a quella, di dimensione regionale o cittadina, delle
signorie.
In Italia, dunque, vi furono città come Firenze, Milano e Mantova che abbracciarono la causa guelfa,
altre come Forlì, Pisa, Siena e Lucca che sposarono
la causa imperiale.
La scelta aveva varie motivazioni: in primo luogo, la
ricerca di autonomia spingeva città nominalmente
sotto controllo imperiale a cercare alleanza nel Papato (come è il caso di Milano) e città nominalmente sotto l'influenza papale a cercare l'appoggio
dell'Impero (come è il caso di Forlì); in secondo luogo, si sceglieva un partito per semplice opposizione
al partito in cui si era schierata la città riv ale (se Milano è guelfa, Pavia deve essere ghibellina; se Forlì
è ghibellina, Faenza sarà guelfa, e così via...), in base al vecchio principio "il nemico del mio nemico è
mio amico".
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Saverio Papicchio 61
Re Manfredi
Città Guelfe
Bologna
Arezzo
Faenza
Modena
Osimo
Pisa
Pistoia
Siena
Spoleto
Todi
Città Ghibelline
Brescia
Forlì
Crema
Cremona
Genova
Lodi
Mantova
Orvieto
Perugia
Saverio Papicchio
Re Manfredi
M
anfredi in Battaglia
Dopo l'anno 1000, le città di Firenze e di Siena erano
cresciute grazie alle attività mercantili e commerciali. I banchieri e i mercanti delle due città attraversavano l'Europa arricchendosi. Firenze era facilitata
dalla via d'acqua dell'Arno, Siena dalla sua posizione lungo la via Francigena, percorsa dai numerosi
pellegrini diretti a Roma e dai traffici che dalla città
eterna si dirigevano verso il cuore del Sacro Romano
Impero.
Era lo sviluppo dell'era mercantile. Ovviamente, gli
interessi delle due città erano da tempo in conflitto,
sia per questioni economiche che di pura egemonia sul territorio. Nella prima metà del XIII secolo, i
confini fiorentini si spingevano a sud fin quasi a Siena. La riv alità economica si traduceva in una riv al ità politica.
A Firenze avevano la supremazia i guelfi, che sostenevano la supremazia del Papa, mentre a Siena il
partito predominante era quello ghibellino, alleato
dell'Imperatore, in questo periodo il re di Sicilia Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II.
La battaglia di Montaperti si svolse a Montaperti
(Siena) il 4 settembre 1260 tra Firenze e Siena.
Nel 1251 i senesi si erano legati ai ghibellini di Firenze
in un patto di reciproca assistenza. Nella guerra del
1255 Siena aveva avuto la peggio e aveva dovuto
sottoscriv ere un impegno a non ospitare alcun esiliato dalle città di Firenze, Montepulciano e Montal-
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Re Manfredi
cino. Il casus belli fu l'accoglienza data nel 1258 da
Siena ai ghibellini di Firenze, esiliati dopo una tentata riv olta contro i guelfi al potere. Tra questi fuoriusciti ricordiamo il nome di Farinata degli Uberti. A
questo esilio era seguito l'assassinio di Tesauro Beccharia, Arcivescovo di Vallombrosa, accusato di
complottare con i ghibellini allo scopo di farli rientrare a Firenze. All'inizio della nuova guerra, il teatro
delle operazioni fu soprattutto la Maremma dove i
guelfi riuscirono a fomentare riv olte dei comuni di
Grosseto, Montiano, Montemassi.
Quest'ultimo sarà nei secoli teatro di operazioni mil itari senesi, ricordate nel famoso affresco del Palazzo
Pubblico, "Guidoriccio da Fogliano all'assedio di
Montemassi" (l'assedio fu dovuto ad una nuova rivolta contro Siena nel 1328). Nel 1259 Siena ottiene
l'appoggio di re Manfredi, che fornì alcune compagnie di cavalieri tedeschi comandati dal Conte
Giordano D'Anglano, cugino del Re di Napoli. L'offerta fu di cento cavalieri, e stava per essere ritenuta non adeguata dagli ambasciatori senesi. Ma
questi, su consiglio di Farinata degli Uberti, accettarono.
L'idea era che, una volta che le bandiere di re
Manfredi fossero state coinvolte nello scontro, questi
sarebbe stato costretto a inviare ulteriori rinforzi. Nei
primi mesi del 1260 le truppe tedesche piegano la
resistenza dei comuni maremmani. Questo suscitò la
reazione della lega guelfa, guidata da Firenze, che
fece muovere un esercito di trentatrentacinquemila uomini a difesa dei comuni riconquistati dai ghibellini senesi. L'esercito guelfo si ac-
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Re Manfredi
campò alle porte di Siena, nei pressi di Santa Petronilla, nella zona nord vicina alla Porta Camollìa, attuando un assedio il 18 maggio. I cavalieri tedeschi
e quelli senesi attaccarono l'accampamento nello
stesso giorno e le operazioni si protrassero fino al 20
maggio.
Il 20 maggio i guelfi interrompono l'assedio e mentre una parte prosegue il cammino verso la Maremma, il grosso ritorna a Firenze. Durante le operazioni del 18 maggio, tutti i cavalieri tedeschi furono
uccisi e le insegne di re Manfredi trascinate nel fango dai fiorentini ed esposte al ludibrio pubblico nella città guelfa. Questo spinse re Manfredi ad inviare
in luglio ulteriori e più consistenti aiuti a Siena, nel
numero di ottocento cavalieri. Aiuti arrivarono da
Pisa e dagli altri ghibellini toscani. Questo dà ulteriore respiro ai senesi, che riconquistano Montepulciano e Montalcino, stazione strategica a sud, sulla via
Francigena.
La lega guelfa comprendeva Firenze, Bologna, Prato, Lucca,Orvieto, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d'Elsa. Il suo esercito si muove di
nuovo verso Siena, con la giustificazione della necessità di riconquistare Montepulciano e Montalcino. Per quanto consigliati altrimenti da Tegghiaio
Aldobrandi degli Adimari, i comandanti fecero passare l'esercito alle porte di Siena anche perché desiderosi di rivalsa dopo la scaramuccia di maggio e
si accampano nelle vicinanze del fiume Arbia, a
Montaperti, il 2 settembre 1260. In tale giorno gli
ambasciatori guelfi consegnarono un ultimatum al
Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che
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Re Manfredi
fu respinto, seppure con qualche incertezza di una
parte favorevole alla trattativa.
Per meglio motivare i cavalieri tedeschi, fu deliberato di corrispondergli una doppia paga grazie ai
fondi forniti da Salimbeno de' Salimbeni (la cui famiglia fonderà nel 1472 la banca Monte dei Paschi).
Le cronache indicano in trentamila fanti e tremila
cavalieri le forze della lega guelfa. Le forze ghibell ine ammontavano a ventimila unità, composte da
ottomila fanti senesi, tremila pisani e duemila fanti di
re Manfredi. A loro, si aggiungevano i fuorisciti fiorentini, i bonizzesi, nonostante in quel momento
Poggiobonizio fosse occupato dai fiorentini, e i cavalieri tedeschi.
Il 3 settembre l'esercito senese-ghibellino guidato
da Provenzano Salvani uscì da Porta Pispini, diretto
al Poggio delle Repole, in prossimità dell'accampamento guelfo, che si era spostato nel frattempo
sul Poggio delle Cortine da dove poteva controllare
i movimenti dei ghibellini. Una leggenda narra che i
senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte
davanti all'esercito guelfo, cambiando ogni volta i
vestiti con i colori dei terzi di Siena cercando di far
credere che le proprie forze fossero tre volte più
numerose di quello che fossero in realtà.
La mattina del 4 settembre l'esercito ghibellino, superato il fiume Arbia, si prepara alla battaglia. Era
formato da quattro divisioni, che si posizionarono sul
campo di battaglia così da tentare una manovra
d'accerchiamento.
La prima divisione, guidata dal conte d'Arras, doveva attaccare i guelfi alle spalle. La seconda, guida-
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Re Manfredi
ta dal conte Giordano d'Anglano, e la terza, guidata dal senese Aldobrandino Aldobrandeschi, dov evano impegnare frontalmente l'esercito guelfo, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno.
La quarta, comandata da Niccolò da Bigozzi, era
posta a guardia del carroccio senese.
Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio partì un contrattacco dei ghibellino-senesi.
È in questa fase che si verificò l'episodio di Bocca
degli Abati. Questi, seppure al fianco dei guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era
in realtà di parte ghibellina. Alla vista del contrattacco senese, Bocca si avvicinò al portastendardo
fiorentino Jacopo de' Pazzi e gli tranciò di netto la
mano che reggeva l'insegna. Questo causò un notevole sconcerto tra le fila guelfe. Oltre a questo episodio, in questa fase dalle file ghibelline si alzò l'invocazione biblica del Re Asa, (2 Cronache 14) segnale per la prima divisione, quella del conte d'Arras, che attaccò i fiorentini alle spalle. Il conte stesso
uccise il comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena. È a questo l'inizio della
rotta dei guelfo-fiorentini. I ghibellini si lanciarono
all'inseguimento e iniziarono "lo strazio e 'l grande
scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" durato
fino all'arriv o della notte. Si calcola che le perdite
siano ammontate a diecimila morti e quindicimila
prigionieri in campo guelfo, di cui 2500 e 1500 fiorentini, e 600 morti e 400 feriti in campo ghibellino.
Solo al calare della notte i comandanti ghibellini
diedero l'ordine di salvare la vita di chi si fosse arreso, uccidendo comunque tutti i fiorentini che fosse-
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ro stati catturati. Questi ultimi, uditi i comandi della
parte avversa, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono ai loro alleati per
aver salva la vita.
Le bandiere e gli stendardi dei fiorentini furono presi
e lo stesso gonfalone di Firenze fu attaccato alla
coda di un asino e trascinato nella polvere. Il 13 settembre del 1260 i guelfi fiorentini abbandonarono la
loro città e si rifugiarono a Bologna e a Lucca, considerando di non potersi più trattenere a Firenze per
paura delle rappresaglie dei ghibellini. A Lucca si rifugiarono anche i guelfi delle altre città partecipanti alla lega sconfitta. I senesi avanzarono in territorio
fiorentino, conquistandone alcuni castelli. I ghibellini
fiorentini fuoriusciti rientrarono nella città dell'Arno il
27 settembre 1260 e si insediarono al governo della
città. Tutti i cittadini furono furono fatti giurare fedeltà al re Manfredi con un testo Biblico.
Le torri e le abitazioni dei fiorentini di parte guelfa
furono rase al suolo, così come era stato fatto
contro i ghibellini nel 1258. Alla fine dello stesso
mese fu convocata a Empoli una dieta delle città e
dei signori della Toscana di parte ghibellina per discutere come rafforzare il ghibellinismo toscano e
consolidare nella regione l'autorità del re. Ad
Empoli, i rappresentanti di Siena e Pisa sostennero la
distruzione di Firenze, alla quale si oppose il
ghibellino fiorentino Farinata degli Uberti,
salvandola da ulteriori distruzioni. Dopo Montaperti,
il 18 novembre, il papa Alessandro IV scomunicò
tutti i sostenitori di re Manfredi in Toscana.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Se da una parte la scomunica in realtà rafforzò il
partito ghibellino, che il 28 marzo 1261 si strinse in alleanza contro i guelfi toscani, a lungo termine fu
presa a prestesto dai capi guelfi d'Italia e da molti
stranieri per non pagare i debiti contratti con i mercanti e i banchieri senesi, con conseguenze serie
sull'economia della città. Il 25 maggio 1261 il papa
Alessandro IV moriva e questo sembrava decretare
la definitiva vittoria del partito ghibellino su quello
guelfo. In realtà, nel giro di pochi anni la fazione
guelfa riprese il potere in Toscana e già nel 1269
Siena subì una grave sconfitta da parte di Firenze
nella Battaglia di Colle, durante la quale trovò la
morte lo stesso comandante senese Provenzano
Salvani.
Spada di Re Manfredi
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Re Manfredi
La battaglia di Benevento
La Battaglia di Benevento fu combattuta nei pressi
di Benevento, Campania, il 26 febbraio 1266 fra le
truppe di Carlo d'Angiò e Manfredi di Sicilia. La
sconfitta e la morte di quest'ultimo portarono alla
conquista angioina del Regno di Sicilia
Il papato era stato a lungo in conflitto con la casa
imperiale degli Hohenstaufen durante il periodo del
loro dominio in Italia. Corradino,legittimo erede del
regno in quanto nipote legittimo di Federico, era
giovane e si trovava al sicuro oltre le Alpi, in Baviera.
Approfittando di una falsa notizia della morte di
Corradino, Manfredi aveva usurpato il trono nel
1258. Papa Urbano IV, determinato a strappare il
regno a Manfredi nel 1263 concluse un trattato segreto con Carlo d'Angiò, promettendogli il trono siciliano. Carlo giunse a Roma già nel 1265, ma fu
temporaneamente fermato da dissesti finanziari:
Manfredi non scenderà in campo contro di lui fino
al gennaio del 1266, quando passò le Alpi il grosso
dell'esercito francese. Allarmato dalle diserzioni tra i
suoi seguaci e temendo ulteriori tradimenti, Manfredi cercò di portare Carlo in battaglia il più rapidamente possibile. Carlo tentò di far uscire allo
scoperto Manfredi, asserragliato a Capua, in modo
da costringerlo ad una pericolosa traversata degli
Appennini che avrebbe consentito ai francesi di
impedire l'arriv o di rinforzi e rifornimenti per l'esercito
imperiale, ma Manfredi aveva capito le sue intenzioni e rimase in una posizione fortificata oltre il fiume Calore, attraversato da un solo ponte. Carlo
Saverio Papicchio
Re Manfredi
d'Angiò aveva diviso la sua cavalleria in tre battaglioni. La fanteria e il primo battaglione, composto
di 900 provenzali erano in prima linea, comandati
da Ugo di Mirepoix e Filippo di Montfort, signore di
Castres. Dietro di loro si trovava il secondo battaglione, che consisteva di 400 italiani e 1.000 uomini
della Linguadoca e della Francia centrale. Carlo
guidava personalmente il secondo battaglione.
Dietro di loro, il terzo battaglione consisteva in circa
700 uomini della contea di Fiandra sotto Gilles de
Trasignies II, Constable della Francia, e Roberto III
delle Fiandre. Manfredi aveva adottato disposizioni
simili. I suoi arcieri saraceni erano in prima linea. Dietro di loro si trovava il primo battaglione, 1.200 mercenari tedeschi armati con armature in strati di lastre (una novità per l'epoca), comandato da suo
cugino Giordano d'Anglano e Galvano di Anglona.
Il secondo battaglione consisteva di circa 1000
mercenari italiani e 300 cavalli leggeri saraceni,
comandati da suo zio Galvano Lancia. Il terzo battaglione era composto da 1400 feudatari del Regno, sotto il comando personale di Manfredi. La
battaglia iniziò al mattino, quando Manfredi fece
avanzare la sua prima linea (arcieri e cavalleria
leggera) sul ponte. Questi attaccarono la fanteria
francese, ma furono presto messi in fuga dal primo
battaglione. Avventatamente, il primo battaglione
tedesco attraversò il ponte e contro-caricò i francesi. In un primo momento, i mercenari tedeschi sembravano inarrestabili: tutti i colpi rimbalzavano sulle
loro corazze, e Carlo fu costretto ad impiegare anche il suo secondo battaglione. I tedeschi conti-
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nuavano ad avanzare, ma i francesi scoprirono che
la nuova armatura a strati di piastre non proteggeva le ascelle quando il braccio veniva alzato per
colpire. Le sorti della battaglia di qui volsero rapidamente contro Manfredi. Le sue truppe erano state costrette ad attraversare tutte l'unico ponte sul
Calore per raggiungere il campo. Infatti anche il
secondo battaglione tedesco aveva passato il fiume; Carlo aveva ordinato al suo terzo battaglione
di circondarli su entrambi i lati e questi furono rapidamente distrutti. Alla sconfitta degli italiani, la
maggior parte dei nobili nel terzo battaglione di
Manfredi abbandonò il campo, lasciando solo il re
con pochi fedelissimi seguaci. Dopo aver scambiato la sopravveste reale con il suo amico Tebaldo
Annibaldi, Manfredi e i suoi seguaci caricarono nella mischia e furono uccisi.
La distruzione dell'esercito di Manfredi segnò il crollo
della dominazione degli Hohenstaufen in Italia e la
definitiva sconfitta del partito ghibellino. I resti del
Regno di Sicilia furono conquistati senza resistenza.
Insediatosi nel suo nuovo dominio, Carlo poteva attendere la venuta di Corradino di Svevia, l'ultima speranza degli Hohenstaufen, nel 1268, e incontrarlo vittoriosamente nella battaglia di Tagliacozzo.
In tutta Italia i ghibellini venivano uccisi e cacciati
dalle città.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
I
papi e Manfredi
Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di
Lavagna (Genova, circa 1195 – Napoli, 7 dicembre
1254), fu il 180º papa della Chiesa cattolica dal 1243
alla sua morte. Era figlio di Ugo Fieschi, conte di Lavagna. Apparteneva alla nobile famiglia genovese
dei Fieschi. Venne educato a Parma e a Bologna e
divenne uno dei migliori canonisti dell'epoca.
Nel 1226 è menzionato come uditore della Curia.
Creato cardinale prete da papa Gregorio IX il 23 settembre 1227 con il titolo di san Lorenzo in Lucina. Il 28
luglio fu nominato vice-cancelliere di Roma. Nel 1235
divenne vescovo di Albenga e legato per l'Italia del
Nord. Fu tra gli otto cardinali che vissero l'elezione
papale del 1241 che portò all'elezione di papa Celestino IV. In quei giorni i cardinali, segregati nel Settizonio dal Senatore di Roma Matteo Rosso Orsini, non
riuscendo a trovare un accordo tra gregoriani e filoimperiali, elessero un uomo molto anziano e già malato che morì dopo diciassette giorni dall'elezione. Si
era in pieno contrasto tra il Sacro Romano Impero e
lo Stato della Chiesa e le rispettive fazioni dei ghibellini e dei guelfi. Passarono due anni prima di una
nuova elezione per le precarie condizioni di sicurezza
in cui viveva la città di Roma, sempre minacciata da
un possibile assedio dell'esercito dell'imperatore Federico II, e per i numerosi tentativi che gli otto cardinali fecero per ottenere la liberazione dei due cardinali fatti prigionieri dall'Imperatore.
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Re Manfredi
Gli otto cardinali si riunirono nel febbraio 1242 ad Anagni e dopo molte trattative riuscirono a far rilasciare i due prigionieri, con l'accordo del loro ritorno in
prigionia al termine dell'elezione. Il Sacro Collegio poté quindi riunirsi nel giugno 1243. Sinibaldo Fieschi fu
eletto all'unanimità pontefice il 25 giugno 1243 ad
Anagni grazie anche all'avallo di Federico II, fiducioso che un esponente della potente famiglia ghibellina, i Fieschi, fosse più arrendevole alle sue mire espansionistiche. Fu consacrato ad Anagni il 28 giugno
con il nome di Innocenzo IV, in chiaro riferimento alla
linea politica di Innocenzo III. Federico, di stanza a
Melfi, gli inviò una lettera di felicitazioni, elogiando la
sua famiglia. Lo scontro tra papa e imperatore comunque continuò, non avendo Innocenzo IV alcun
timore per il sovrano tedesco ed essendo intenzionato a riavere i territori che Federico aveva conquistato
in precedenza. Si narra che alla notizia della sua elezione Federico II, intuendo che un papa non poteva
che difendere gli interessi della Chiesa, disse di aver
perso l'amicizia di un cardinale e guadagnato l'inim icizia di un papa.
Si aprirono subito i negoziati: il Papa inviò una del egazione guidata dal cardinale Oddone da Monferrato con la richiesta di rilasciare tutti i prelati imprigionati, ricordando la scomunica ancora vigente, ed invitando Federico a rientrare nella Chiesa. L'imperatore poneva condizioni e si lamentava di non voler trattare le questioni relative ai comuni lombardi. Accadde poi durante queste trattative un episodio che portò ulteriore conflitto: il cardinale Raniero Capocci,
Saverio Papicchio
Re Manfredi
biasimato per questo dallo stesso pontefice, fomentò
una rivolta contro Federico nella città di Viterbo, che
all'epoca era vicina all'imperatore. Federico pose
sotto assedio la città, ma non riuscì a conquistarla,
anzi, i soldati viterbesi guidati dal Capocci, in un furioso contrattacco, sconfissero e misero in fuga l'esercito imperiale. Si addivenne quindi alla pace stipulata in Laterano il 31 marzo 1244: l'imperatore si impegnava a restituire i prigionieri ed alcuni dei territori
della Stato Pontificio, ma nulla veniva stabilito sui diritti imperiali nei confronti dei comuni lombardi. Quando i delegati imperiali giunti dal Papa chiesero a
quali penitenze dovesse sottostare Federico per vedersi annullata la scomunica, il Papa richiese l'immediata restituzione di tutti i territori da lui usurpati allo
Stato della Chiesa.
Federico ovviamente non accettò: si dichiarò disposto a cedere solo una parte di tali territori, e solo dopo la revoca della scomunica. Essendo di stanza a
Terni invitò il Papa nella vicina Narni per colloqui diretti. Probabilmente sotto questo invito vi era una
trappola tesa al pontefice, al quale però arriv arono
voci in proposito che lo spinsero, durante il viaggio
verso Narni, a cambiare improvvisamente direzione,
recandosi prima a Civita Castellana e da qui a Civitavecchia, da dove salpò per Genova. Colpito da
malore durante il viaggio, rimase tre mesi nel convento di sant'Andrea presso Genova per rimettersi in forze; quindi si portò a Lione. Qui convocò un concilio
generale che si riunì nel 1245 con l'unico obiettivo di
scomunicare Federico, sciogliere i suoi sudditi dal giu-
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ramento di fedeltà e riprendere tutti i possedimenti
imperiali.
Al Concilio di Lione, che iniziò il 28 giugno 1245, l'Imperatore fu rappresentato da Taddeo da Sessa, che
offrì a nome dell'Imperatore la restituzione di altri territori pur di evitare la scomunica, ma Innocenzo IV non
accettò e nella seconda convocazione del 5 luglio
1245, portò nuove accuse all'Imperatore; finalmente,
nella terza convocazione del 17 luglio, lo scomunicò.
La scomunica fece notevole scalpore in tutta Europa. Essa comportava automaticamente la destituzione e quindi i principi germanici si riunirono per eleggere un nuovo imperatore: Enrico Raspe, margravio di Turingia, eletto il 22 maggio 1246. Molti principi
comunque si erano astenuti e quelli fedeli a Federico
non lo riconobbero come re. Subito Corrado, figlio
dell'imperatore, tentò di battere il Raspe con la forza
delle armi, ma fu invece sconfitto a Francoforte il 5
agosto. Pochi mesi dopo però, il 17 febbraio 1247 Enrico Raspe morì: alcuni mesi dopo i principi tedeschi
elessero imperatore Guglielmo II d'Olanda.
Nel regno di Sicilia nel frattempo dominava il caos,
mentre Federico II vagava nell'Italia settentrionale
con il figlio Enzo ed il feroce Ezzelino III da Romano,
guerreggiando contro i Comuni che non accettavano la sua supremazia. Parma ad esempio fu passata
a ferro e fuoco, ma si dimostrò indomabile e si rivoltò
fino ad attaccare lo stesso accampamento dell'imperatore poco fuori la città, il 18 febbraio 1248; Federico a stento poté mettersi in salvo e riparare a Cremona, mentre trovava la morte Taddeo di Sessa. Il 26
Saverio Papicchio
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maggio 1249, attaccando Bologna nella battaglia di
Fossalta, suo figlio Enzo fu fatto prigioniero dai bol ognesi che lo misero in stretta prigionia fino alla morte
Ezzelino III da Romano intanto otteneva con la sua
ferocia molte vittorie sempre nel nord-Italia; Federico,
dopo la sconfitta contro Bologna, si portò a sud. Qui il
partito ghibellino filo-imperiale era ormai esiguo e
Federico si sentì sempre più isolato, tanto da sospettare anche delle persone che lo circondavano.
Giunse ad accusare di tradimento anche il suo stretto collaboratore, il cancelliere Pier delle Vigne che
fece prima accecare e poi mettere in prigione ove il
malcapitato si suicidò. Il 13 dicembre 1250 Federico
II, all'età di cinquantasei anni morì.
Innocenzo IV lasciò Lione dopo la Pasqua del 1251
ed a novembre si portò a Perugia dove rimase oltre
un anno. Doveva ora affrontare gli eredi di Federico:
Corrado IV, figlio legittimo, in Germania, e Manfredi, il
figlio nato dalla relazione con la contessa Bianca
Lancia, in Puglia. Nell'ottobre 1251, Corrado IV scese
in Italia invitato a Verona da Ezzelino da Romano, e si
portò in Sicilia dove Manfredi gli consegnò simbol icamente la sovranità sul regno, trattenendo per sé il
principato di Taranto. Il Papa non accettò che uno
svevo potesse di nuovo avere la sovranità in Italia, e
cominciò a contattare diversi possibili candidati:
dapprima Riccardo di Cornovaglia fratello di Enrico III
di Inghilterra, poi Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX di
Francia; infine il cardinale Ottobono Fieschi suo nipote e futuro papa Adriano V riuscì a stipulare un patto
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Re Manfredi
con Enrico III d'Inghilterra sulla persona del principe
Edmondo allora di soli nove anni.
Nell'aprile 1254 scomunicò Corrado IV, accusato di
aver commesso gravi soprusi contro la Chiesa; Innocenzo IV conferì ufficialmente l'investitura del feudo
della Sicilia al principe inglese il 14 maggio 1254, ma
undici giorni dopo Corrado IV moriv a a soli ventisei
anni ed, avendo egli affidato secondo testamento il
figlio di due anni Corradino alla custodia della Chiesa, tutto tornò in discussione e l'accordo con il principe inglese fu sospeso. Innocenzo IV, a questo punto,
doveva accordarsi con Manfredi. Per questo si recò
ad Anagni, ai confini dello Stato Pontificio, dove ricevette una delegazione inviata da Manfredi. Questi
chiese che venisse accettata subito la sovranità del
piccolo Corradino, ma il Papa ribatté che si sarebbe
dovuto attendere che questi divenisse adulto e che
nel frattempo avendone lui la custodia era lui ad avere la sovranità sulla Sicilia. Manfredi prese tempo.
Il Papa si recò quindi a Napoli dove fu accolto trionfalmente il 27 ottobre 1254. Cominciò a concedere le
prime autonomie e ad impartire i primi atti amministrativi, quando fu informato che Manfredi stava organizzandosi per attaccarlo militarmente arruolando
anche truppe saracene. Il Papa gli inviò contro il suo
esercito: a Foggia avvenne lo scontro che però vide,
il 2 dicembre, la vittoria di Manfredi. In virtù di questa
vittoria Manfredi dichiarò: Fede e verità vincono
sempre contro bugia e infedeltà.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
La notizia giunse ad Innocenzo IV a Napoli, nel palazzo che era stato di Pier delle Vigne e qui, già ammalato, Innocenzo si spense cinque giorni dopo, il 7 dicembre.
Manfredi che conosceva bene la Bibbia sostenne
con la tecnica della Ghematriah applicata al nome
che "Innocentius papa" e il risultato del numero 666,
ossia quello tradizionalmente associato all'Anticristo.
Alessandro IV, Rinaldo dei Signori di Jenne (Jenne,
ca. 1199 – Viterbo, 25 maggio 1261), fu il 181º papa
della Chiesa cattolica dal 1254 alla morte. Rinaldo
era figlio di una sorella di Gregorio IX, e di Filippo II,
signore di Jenne. Questa parentela ha fatto sì che
molti storici, nel corso dei secoli, lo abbiano inserito
erroneamente nel casato dei Conti di Segni.
Membro di una famiglia ricca e potente fu inizialmente per diversi anni canonico presso la cattedrale
di Anagni e successivamente, certamente prima del
1221, completò i suoi studi all'Università di Parigi ove
conseguì il titolo di magister. Nel 1221 prese parte
con lo zio Ugolino di Anagni ad un'importante ambasceria a Milano. Quando poi Ugolino, nel 1227, divenne papa Gregorio IX, creò Rinaldo cardinale diacono, assegnandogli la diaconia di Sant'Eustachio,
titolo che mantenne fino al 1231 (o 1232), allorché
divenne cardinale-vescovo di Ostia e di Velletri. Fu
consacrato vescovo nel 1235. Il papa lo inviò più volte come suo legato ad Anagni, Perugia, Viterbo ed
in Lombardia; conobbe in quegli anni Federico II,
con il quale ebbe un rapporto amichevole. Nel 1244
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Re Manfredi
divenne Decano del Sacro Collegio. L'unico incarico
importante che ebbe sotto papa Innocenzo IV fu
quello di cardinale protettore dell'Ordine francescano.
Il cardinale Rinaldo di Jenne partecipò a tre elezioni
papali:
1241, che elesse Papa Celestino IV
1241-1243, che elesse Papa Innocenzo IV
1254, quando salì sul trono di San Pietro
Dopo il decesso di Innocenzo IV il cardinale Rinaldo
di Jenne, nonostante la sua età avanzata, venne eletto all'unanimità papa a Napoli il 12 dicembre 1254.
Fu incoronato il 20 dicembre ed assunse il nome pontificale di Alessandro IV.
Alessandro viene descritto come un uomo robusto,
buono, allegro, ma non molto brillante: nell'azione
politica e curiale si avvalse con ogni probabilità
dell'esperienza del potente cardinale Riccardo Annibaldi, nipote di Gregorio IX e dunque suo consanguineo. Successe a Innocenzo IV come tutore di Corradino, l'ultimo degli Hohenstaufen, promettendogli la
sua benevola protezione; ebbe viceversa un rapporto di dura e difficile contrapposizione con lo zio di
Corradino, Manfredi di Sicilia.
Tale comportamento contrastava con l'atteggiamento benevolo verso Federico II Hohenstaufen che
Rinaldo aveva tenuto quando era stato cardinale.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Alessandro scagliò la scomunica e l'interdetto contro
Manfredi e il suo partito, ma invano. Tantomeno poté
arruolare i Re d'Inghilterra e di Norvegia in una Crociata contro gli Hohenstaufen. Roma stessa div enne Ghibellina con il Senatore Brancaleone degli Andalò, e il
Papa fu costretto (1257) a trasferire la sede pontificia
a Viterbo, dove morì nel 1261, venendo sepolto nella
Cattedrale di San Lorenzo; la sua tomba andò purtroppo dispersa, forse in occasione di imponenti lavori
di restauro eseguiti nella Cattedrale nel XVI secolo.
Urbano IV, nato Jacques Pantaléon (Troyes, ca. 1195
– Deruta, 2 ottobre 1264), fu il 182º papa della Chiesa
cattolica dal 1261 alla morteEra figlio di un calzolaio
di Troyes in Francia. Dopo aver studiato teologia e
legge a Parigi, fu canonico a Leon e arcidiacono di
Liegi. mentre era arcidiacono di Liegi ricevette una
lettera da suor Giuliana di Cornillon, una monaca
che era vissuta nella prima metà del 1200 e che ebbe la visione di Cristo, per istituire la festa del Santissimo Sacramento. L'arcidiacono di Liegi, Jacques
Pantaléon (futuro Urbano IV) approvò la sua richiesta
ponendo le basi, a Liegi, per l'istituzione nella Chiesa
Cattolica Romana della Festa del Corpus Domini.
Sembra proprio una predestinazione escatologica
quella di colui che fu anche patriarca di Gerusalemme e legato pontificio per l'esercito crociato in
quel d'Acri tra il 1255 e il 1260.
Urbano IV con grande intelligenza, era div enuto consapevole che le armi spirituali non erano sufficienti a
debellare Manfredi. Perché il Re che aveva di fronte
spiritualmente parlando gli era superiore perché co-
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Re Manfredi
nosceva la Bibbia. Data la situazione di pericolo incombente per tutti, si ricordo' di Carlo D'Angiò' val oroso contro i Saraceni a Gerusalemme. Il suo ricordo
lo convinse a chiamarlo dalla Francia in soccorso
della Chiesa, per opporlo a Manfredi. Carlo D'Angiò
era un antagonista valoroso, potente,anche se purtroppo ambizioso, ma in grado con le sue forze ed il
suo valore in battaglia a togliere il regno al riv ale,
capeggiare il Guelfismo e mantenersi devoto alla
Santa Sede. Il Pontefice individuò questa figura di
Carlo I D'Angiò, in occasione della spedizione di Luigi
IX in Egitto. Ne aveva per l'occasione ammirato il coraggio, il valore e la costanza.
Sebbene non fosse di tal natura da rimanere, dopo il
successo, assolutamente ligio ai voleri del Papato,
Carlo era l'uomo che più d'ogni altro avrebbe potuto
giovare per salvare la Chiesa romana di Cristo, contro Manfredi. Il Pontefice affidò le trattativ e con Carlo
all'arcivescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli.
Questi, mosso da grande timore per le sorti della
Chiesa per colpa di Manfredi, seppe rimuovere ogni
difficoltà: ottenne, che Edmondo il Gobbo rinunciasse ai diritti sul regno di Sicilia conferitigli da Alessandro
IV, riuscì' a convincere Luigi IX di Francia a non intralciare le mire del fratello Carlo e riuscì a far concludere al Papa un trattato con Carlo d'Angiò, mediante il
quale questi riconosceva alla Santa Sede l'alta sovranità sul regno siciliano, ne riceveva dal Pontefice
l'investitura, rinunciava al possesso di Benevento e si
obbligava a pagare per il sostentamento della Chiesa di Cristo e di tutte le sue innumerevoli iniziative nei
Saverio Papicchio
Re Manfredi
riguardi dei poveri e dei malati, un tributo annuo di
diecimila once d'oro. Poiché durante le trattativ e il
partito guelfo romano, guidato dal cardinale Riccardo Annibaldi, aveva eletto senatore protettore della
città Carlo d'Angiò, questi giurò al papa di deporre
la potestà senatoria non appena fosse venuto in possesso del regno siciliano conquistato con il suo valore.
Le trattative tra la Santa Sede e Carlo d'Angiò non
erano rimaste ignote a Manfredi. Egli si rendeva conto che il riv ale, che la Santa Sede gli metteva di fronte, era un uomo valorosissimo, impavido, temibile ed
anche ambizioso; prevedeva inoltre che si sarebbero
schierati con lui tutti i Guelfi d'Italia ed era sicuro che,
all'avvicinarsi dell'Angioino, i tiepidi amici lo avrebbero abbandonato ed avrebbero ripreso animo i numerosi nemici da lui frustrati e maltrattati, che si celav ano nel regno, pronti a schierarsi contro di lui. Tornando alle vicende storiche, volendo rafforzare la sua
posizione e intimorire gli avversari prima che Carlo
D'Angiò scendesse in campo, Manfredi ideò un piano scellerato,egoistico e violento contro la Chiesa e
quindi per forza destinato a fallire. Voleva impadronirsi di Roma e di Orvieto, dove risiedeva la corte
pontificia che lui sottovalutò come "segnata" e quindi
anche "protetta" dal Miracolo di Bolsena. A tale scopo chiamò a dargli man forte contro la Chiesa, nella
marca d'Ancona le milizie del conte Giordano; mandò Percivalle Doria con un forte contingente di cav alieri ed arcieri saraceni nel ducato di Spoleto; per
chiudere la via del mare ai Guelfi di Roma inviò ad
Ostia il romano Tebaldo Annibaldi; e lanciò contro la
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Saverio Papicchio 83
Re Manfredi
città alcuni gruppi di fuorusciti romani comandati da
Pietro di Vico. L'impresa però riuscì solo in parte: Percivalle Doria, mentre marciava su Orvieto, morì annegando nelle acque della Nera e Pietro di Vico,
giunto alle porte di Roma, fu respinto dai Guelfi. Mentre nella marca d'Ancona solo due capitani delle milizie pontificie, il conte d'Anguillara e il vescovo di V erona, furono sconfitti e fatti prigionieri. Ad Orvieto il
Papa Urbano IV, corse il pericolo di cadere in mano
alle truppe sveve e a stento riuscì a fuggire e a rifugiarsi a Perugia.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
M
anfredi e i cavalieri Teutonici
L'Ordine Teutonico è un antico ordine monasticomilitare ed ospitaliero sorto in Terrasanta all'epoca
della terza crociata ad opera di alcuni mercanti di
Brema e Lubecca per assistere i pellegrini.
Fino alla perdita di Acri nel 1291, il principale teatro di
operazioni dei Cavalieri Teutonici rimase la Terrasanta. Tuttavia già a partire dal secondo decennio del
XIII secolo operarono nell'Europa orientale, prima in
Transilvania, per proteggere il Regno d'Ungheria dalle
incursioni dei nomadi Cumani su richiesta di re Andrea II d'Ungheria, quindi sulla costa baltica, nella
zona che si estendeva a nord-est dei territori polacchi. Contribuirono ad una vasta opera di conquista e
cristianizzazione dei territori occupati da tribù baltiche, perlopiù pagane, iniziata già nel secolo precedente con le cosiddette Crociate del Nord.
In Palestina i crociati dipendevano in larga misura sulle spedizioni di grano e di altre merci attraverso i porti
di Puglia, dove inoltre si riunivano prima di imbarcarsi
per la Terra Santa. Questo spiega perché gli ordini m ilitari e religiosi avevano un notevole patrimonio in
Puglia
Durante la primavera e l'estate del 1197, l'imperatore
Enrico VI di Hohenstaufen, leader carismatico della
terza crociata, diede un impulso decisivo allo sviluppo dei Cavalieri Teutonici, fornendo beni importanti
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Saverio Papicchio 85
Re Manfredi
in Italia, soprattutto nella città di Barletta. Questi beni
furono il centro dei pellegrini e dei crociati germanici
nel Mediterraneo. Anche altri ospedali tedeschi nel
sud d'Italia furono ugualmente organizzati dai Cavalieri Teutonici e servirono sopratutto come base di rifornimenti e per la partenza per la Terra Santa
Torre Alemanna a Cerignola il cuore del Baliato di
Puglia era costituito dalle tre città portuali più importanti di Puglia: Bari, Brindisi e Barletta. La principale
area agricola di proprietà dell’Ordine Teutonico, si
sviluppò intorno al monastero di San Leonardo di Siponto. Le terre teutoniche si estendevano anche a
Cerignola, Corneto, Foggia, Belvedere, Ginosa ed
Eboli.
Infatti, mentre nel maggio 1348 frate Giovanni de Argentina si costituisce come «precettore» di San Leonardo, nel gennaio 1354 egli è un «luogotenente» di
San Leonardo de Matina. Restano però ancora distinte le due cariche, perché stipulano dei contratti in
Manfredonia i gran precettori di Puglia, frate Cristiano «de Colonia» (1361) e frate Ulrico «de Smalestein»
(1369), mentre è precettore di San Leonardo de Lama Volaria frate Pietro Piczulo. Nel gennaio 1378 però frate Cristiano de Colonia si costituisce per un'enfiteusi a Monte S. Angelo come magnus preceptor in
Apulia eccl. S. Leonardi de Maytina intus in terra
Montis, existentis prope ecclesiam B. Michaelis Arcangeli, mentre frate Pietro «Picchulus» si costituisce
nel 1378 in Barletta come preceptor tabule domus
hosp. S. Marie Theot. in Barulo, dove presenta il decantato priv ilegio del re Federico II Rom. rex et Sicilie.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Una bolla di papa Celestino V, concessa in Napoli ai
Frati Teutonici il 22 novembre 1294, ci fa rievocare i
danni subiti dall'Ordine in Oriente, allorché fu spogliato dei suoi beni dai Saraceni. Il papa venne incontro
ai bisogni di tutti i precettori e frati, col renderli esenti
dalle prestazioni da essi dovute ai legati, nunzi e cursori della Santa Sede, ed ai procuratori non solo per il
presente, ma anche nel futuro, salvo che non si facesse cenno esplicito della medesima bolla. Sappiamo che Manfredi più volte fu aiutato dai cavalieri
Teutonici, alcuni di loro diedero la propria vita per
salvare il Re. Molto bello è l’episodio di un cavaliere
che per non far colpire Manfredi da una freccia, si
mise avanti e fu colpito lui, Manfredi fu riconoscente
verso questo cavaliere raccontando più volte del suo
gesto in ogni posto che si recava.
Cavaliere Teutonico
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Saverio Papicchio 87
Re Manfredi
I figli di re Manfredi
Beatrice di Savoia, (Catania, ca. 1220 – ca. 1259),
principessa di casa Savoia fu regina consorte di Sicilia (1258-1259).
Era figlia del conte di Savoia, d'Aosta e di Moriana,
Amedeo IV (figlio del conte Tommaso I) e di Anna o
Margherita di Borgogna, figlia di Ugo III di Borgogna
e di Beatrice di Albon (1161- 1228), delfina del Viennois (figlia di Ghigo V di Albon, delfino del Viennois e
di Beatrice di Monferrato).
Il 4 marzo 1223, Beatrice fu fidanzata al marchese di
Saluzzo, Manfredo III
Secondo la Historia de rebus gestis Federici II di Saba
Malaspina, Beatrice (natam Amadei comitis Sabaudiæ…Beatricem) sposò il marchese di Saluzzo, Manfredo III (Manfredus).
Nel 1244, Beatrice rimase vedova e il padre, Amedeo
IV, che aveva stretto un'alleanza con l'imperatore,
Federico II di Svevia, la fidanzò con Manfredi.
Beatrice morì prima del 10 maggio 1259.
Dall'unione con Manfredo III di Saluzzo nacquero
quattro figli:
Alasia] (1236-1311), che sposò, nel 1247, il conte di Lincoln, Edmondo di Lacy;
Tommaso (ca. 1240- 13 dicembre 1296), conte
di Saluzzo;
Agnese (1245- dopo il 4 agosto 1265), nata postuma, non citata nel testamento paterno del
Saverio Papicchio
Re Manfredi
1244. Sposò, nel 1262, Giovanni di Vescy, conte
di Alnwick;
Margherita (1245-?), gemella di Agnese, che si
fece suora.
Dall'unione con Manfredi di Sicilia nacque una sola
figlia:
Costanza (1249-1302), che sposò il re d'Aragona, Pietro III d'Aragona e fu anche regina di Sicilia.
Elena Ducas, o Elena degli Angeli o Elena Angelo
Comneno di Epiro (1242 – Nocera Inferiore, 14 marzo
1271), fu moglie di Manfredi di Svevia. Figlia del despota d'Epiro Michele II e di Teodora Petralife, era sorella di Niceforo I Ducas (che successe al padre come re dell'Epiro) e sorellastra (tramite padre) di Giovanni I Ducas, principe di Tessaglia. Il nonno paterno
era Michele I d'Epiro, figlio illegittimo del sebastocratore Giovanni Ducas, che era il figlio maggiore di Costantino, il settimo figlio del imperatore bizantino Alessio I di Bisanzio e di Irene Ducas.
Il 2 giugno 1259 a diciassette anni Elena sposava, nel
castello di Trani, Manfredi di Svevia, rimasto vedovo
di Beatrice di Savoia, in virtù di una serie di accordi
diplomatici del padre Michele II.
Il suo matrimonio era destinato a mantenere la pace
tra Epiro e la Sicilia, poiché sia Michele II che Manfredi avevano preoccupazioni più impellenti altrove.
Nella sua dote erano inclusi tutti i diritti della città di
Durazzo (già conquistato nel 1256) con i suoi dintorni,
l'isola di Corfù, Valona, Berati e altre città
dell'Albania. Con Manfedi non si tratto solo di un'unione dinastica ma di un'alleanza tra i due regni: in-
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Re Manfredi
fatti Manfredi invio tremila fanti in aiuto del suocero
contro l'Imperatore di Nicea, per la conquista di Costantinopoli.
Sconfitto ed ucciso Manfredi dagli Angioini durante
la Battaglia di Benevento, Elena venne imprigionata.
Lasciò il castello di Lucera per trasferirsi prima a Trani
e poi a Lagopesole, per incontrare Carlo I d'Angiò.
Dopo l'incontro, il Re di Napoli, tra luglio ed agosto
1266, ne dispose l'isolamento nel castello del Parco di
Nuceria Christianorum, oggi Nocera inferiore, dove
morì in carcere.
A Manfredi Elena diede cinque figli:
Beatrice di Sicilia, (1260 – 1307);
Federico di Sicilia, (1261– 1312);
Enrico di Sicilia, (1262– 1318);
Enzo di Sicilia, (1265 – 1301);
Flordelis di Sicilia, (1266– 1297).
Castello di Trani
Saverio Papicchio
Re Manfredi
M
anfredi e Manfredonia
Manfredonia (antico Sipontum, quindi Sypontum Novellum, poi Sipontum Nova; Mambredònje in dialetto
locale) è un comune italiano della provincia di Foggia in Puglia.
Nel gennaio 1256 il re di Sicilia e principe di Taranto
Manfredi giunto a Siponto durante una battuta di
caccia sul Gargano, trovò la città distrutta e gli abitanti costretti a vivere in case non più adatte all'uso
abitativo, in un'area resa malarica dall'impaludamento. Decise quindi di ricostruire la città due miglia
a nord dell'insediamento originario. Le sue intenzioni
erano duplici: da un lato, creare uno dei più importanti centri di governo di tutto il Regno, secondo gli
evoluti canoni amministrativi ormai consolidati dal
padre, l'imperatore Federico II; dall'altro, presidiare il
territorio la cui posizione era strategica anche per via
della vicinanza all'Oriente bizantino.
Le conferì il proprio nome in segno di futuro prestigio,
onore e potenza. In marzo i lavori vennero affidati al
maestro costruttore Marino Capece, che riutilizzò i
ruderi della città più antica e organizzò l'importazione
via mare dalla Schiavonia di legname, calce, pietre
e sabbia. Nel complesso furono impiegati 700 operai
e molti buoi. Il 23 aprile 1256, fu posata la prima pietra e nel 1257, convocato il Parlamento di Puglia a
Barletta, Manfredi ottenne di costruire la nuova città
a spese dell'erario reale e della sua cassa privata. Nel
novembre 1263 venne consegnato il Datum Orte, os-
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Saverio Papicchio 91
Re Manfredi
sia l'atto notarile col quale la città veniva ufficialmente riconosciuta. Manfredi successivamente affidò i
lavori a suo zio Manfredi Maletta.
Ai primi del 1258 erano state costruite la metà delle
mura che guardano verso il mare e verso Foggia,
con fortini e baluardi, e la grande campana il cui
suono era percettibile a distanze notevoli, questa
serviva in caso di pericolo per chiamare a raccolta i
pochi abitanti di Manfredonia
La nuova città ottenne benefici fiscali (franchigie)
che la resero un porto franco e la sua popolazione si
accrebbe con il trasferimento di abitanti delle vicine
città di San Paolo di Civitate, Trani, Carpino, Monte
Sant'Angelo, Barletta, Ischitella, Andria e Corato. Sin
dalla sua costituzione fu dotata di una zecca che
coniò e impresse diverse monete (doppio tarì, dinari
d'oro, di rame e di biglione).
In fondo al Golfo omonimo, accarezzata dalle spumeggianti onde azzurre del Mare Adriatico, difesa
dal Gargano, la Montagna del Sole, sorge Manfredonia.
La ridente cittadina dauna conta oggi circa sessantamila anime e si estende lungo la fascia costiera;
confina a Sud con Zapponeta ed a Nord con il territorio di Monte Sant'Angelo, ai piedi del Gargano. Il
clima è temperato tutto l'anno con valori di 16° C. Situata a poca distanza dalla progenitrice Siponto, divenuta una immensa palude a seguito dell'evento
tellurico del 1223 che la distrusse quasi interamente.
Il suo fondatore, il "biondo e bello e di gentile aspetto" re Manfredi, figlio del grande Federico II, amò
tanto la terra di Puglia ed in particolare la Capitana-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
ta, da renderla immortale per avervi realizzato numerose opere. " Se il Signore", disse Federico, "avesse
conosciuto questa piana di Puglia, luce dei miei occhi, si sarebbe fermato a vivere qui".
Dotò la nuova città, alla quale diede il suo nome, di
strutture moderne. Concesse agli abitanti privilegi
perchè potessero ripopolarla degnamente e prosperare.
La prematura scomparsa avvenuta il 1266, durante la
battaglia di Benevento, però, non gli consentì di v ederla così come avrebbe voluto che fosse. Purtuttavia, Manfredonia ha continuato il suo cammino verso
un futuro ricco di avvenimenti. Nonostante le mutate
situazioni ambientali, culturali e sociali, la città ha
conservato la sua connotazione originaria, consol idando il feeling con il passato. Il nuovo si fonde con
l'antico.
il castello di Manfredonia
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Saverio Papicchio 93
Re Manfredi
L
a Zecca a Manfredonia
Parlare degli Svevi, di Manfredonia e della sua Zecca
senza parlare della Puglia in genere e di Brindisi medievale vuol dire fare un discorso a circuito chiuso.
Poiché la storia è tutto un discorso aperto, allora è
necessario soffermarci un po' sull'Apulia antica, quella precisamente del periodo 1085-1197: due date
fondamentali per comprendere la storia della numismatica pugliese, senza considerare naturalmente il
periodo romano e quello greco.
Il 1085 segna l'apertura della Zecca dei Normanni in
Puglia con Brindisi e i suoi "Follari", battuti da Ruggero
Borsa duca fino alla sua morte (1111).
Il 1197 è l'anno dell'elezione di Federico di Svevia a re
di Sicilia sotto la tutela della madre Costanza d'Altavilla, ultima erede normanna, che nel 1194 andò in
isposa a Enrico VI di Svevia, re dei Tedeschi per v olontà di Federico Barbarossa col preciso intento di unire la corona di Sicilia e quella di Germania. L'unione
delle due corone suscitò l'opposizione del Papato,
perché essa poneva lo Stato Pontificio tra due fuochi. E questo spiega la discesa di Carlo d'Angiò in Italia e la conseguente sconfitta di re Manfredi, avvenuta a Benevento il 26 febbraio del 1266.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Il 1197 segna quindi l'inizio della fortuna degli Svevi,
che durerà fino all'anzidetta sconfitta dell'ultimo
biondo Svevo (re Manfredi) e precisamente:
* dal 1197 al 1250 con Federico II (successo al padre
Enrico all'età di 3 anni);
* al 1250 al 1254 con Corrado I (re dei Tedeschi nel
1237 e successore al trono di Sicilia nel 1250, alla morte del padre Federico II);
* dal 1254 al 1258 con Corrado II, detto Corradino
(successo al padre Corrado I all'età di 2 anni e morto
nel 1268);
* dal 1258 al 1266 con Manfredi (principe di Taranto e
reggente del Regno di Sicilia nel 1250).
Il 1250 registra, oltre la morte di Federico II, anche la
crisi dell'Impero a favore del Papato. E tutti gli sforzi
fatti da Federico II e dai figli Manfredi ed Enzo (re di
Sardegna) per la creazione di un forte Stato nell'Italia
settentrionale non riuscirono ad unire i dominii italiani
a quelli tedeschi.
Enzo, nato nel 1220 dalla stessa madre di Manfredi
(Bianca Lancia), nonostante i diversi successi contro i
Comuni ribelli dell'Italia settentrionale, il 26 maggio
del 1249 con la sconfitta subita a Fossalta viene fatto
prigioniero e condotto a Bologna, dove mori nel
1272.
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Saverio Papicchio 95
Re Manfredi
Sempre nel 1250, quando Corrado I si trovava in
Germania a lottare per i suoi dominii contro Guglielmo d'Olanda, che i Guelfi e il Papato gli avevano
contrapposto, Manfredi veniva nominato reggente
del Regno di Sicilia. Questa reggenza, un po' travagliata, è caratterizzata dal ritorno di Corrado I dalla
Germania (1252), che, con l'aiuto del partito tedesco, riuscì ad impadronirsi del Regno di Sicilia.
Nel 1254 improvvisamente moriv a a Lavello Corrado I,
lasciando il trono al figlioletto Corradino sotto la protezione della Santa Sede e il governo del Regno al
Marchese Bertoldo di Hohenburg, che non accettò.
Questo stato di cose, unitamente all'ostilità di Innocenzo IV, favorì nuovamente la reggenza di Manfredi, grazie soprattutto all'appoggio della nobiltà siciliana e alla diffusa e falsa notizia della morte di Corradino, che in realtà avvenne il 29 ottobre del 1268 a
Napoli nella Piazza del Mercato, dopo essere stato
sconfitto a Tagliacozzo da Carlo d'Angiò nel tentativo di riconquistare il suo regno.
Praticamente dalla morte di Federico II (1250) al 1266
il sovrano effettivo del regno di Sicilia era Manfredi
anche se Corrado e Corradino coniarono monete rispettivamente per i periodi 1250-1254 e 1254-1258.
Durante il periodo (1197-1266) furono battute div erse
monete in oro, argento-mistura e rame a Messina, a
Brindisi e a Manfredonia.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Le Zecche di Messina e di Brindisi hanno funzionato
per tutto il periodo del dominio svevo da Enrico VI e
Costanza d'Altavilla a Manfredi: Messina dal 1194 al
1266 e Brindisi dal 1194 al 1263.
La Zecca di Manfredonia ha invece battuto monete
solo dal 1263 al 1266, contrariamente a quanto asserisce qualcuno, perché dal 1258 al 1263 Manfredi
batte monete in rame e mistura a Brindisi. Sta di fatto
che alcuni denari di Manfredi hanno nel campo una
grande "A" e altri denari "AP" in monogramma (Apulia). Gli stessi monogrammi "A" e "AP" sono riportati sui
denari e mezzi denari di Federico II, battuti a Brindisi,
quando Manfredonia non era stata ancora fondata.
L'esistenza di queste monete, contrassegnate da "A"
e "AP", sta a dimostrare che Manfredi continuò a battere monete con gli stessi simboli a Brindisi. Pertanto,
tutte le monete sveve riportanti "A" e "AP" sono da attribuire esclusivamente alla zecca di Brindisi.
Dei denari battuti a Messina (1258-1266) alcuni portano un'aquila (simbolo di potenza già da Enrico VI),
altri una "S" o una "S" crociata nel campo (Sicilia), altri
la scritta "MAY" (Maynfridus) e altri ancora una "T" stilizzata per Trinacria, anche se il Corpus Nummorum
Italicorum attribuisce quest'ultima a Manfredonia.
La monetazione in biglione coniata a Manfredonia
porta nel campo due tipi di emme: (emme gotica o
"M" normale) sul diritto e una croce sul rovescio. La
emme sta per indicare sia l'iniziale di Manfredi che il
segno di Zecca di Manfredonia. Il segno "M" non può
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Saverio Papicchio 97
Re Manfredi
essere attribuito a Messina, perché le monete siciliane sono caratterizzate dai simboli "S", "S" crociata, "T",
"MAY"" e aquila spiegata, mentre quelle di Brindisi "A"
e "AP".
Da quanto sopra si deve dedurre che anche Manfredonia avesse un simbolo. Questo simbolo, procedendo per esclusione e per logica, e dato dai due
tipi di emme (gotica e normale), che non figura in
nessun'altra moneta battuta a Messina dai predecessori di Manfredi, contrariamente ai simboli "A" e
"AP" delle monete brindisine di Federico II e Manfredi.
I Tari d'oro e i multipli di Tari sono stati battuti a Messina dal 1258 al 1263, mentre dal 1263 al 1266 essi furono battuti a Manfredonia.
La monetazione manfredina, sia in ora che in biglione, e stata molto più abbondante di quella dei suoi
predecessori anche se fatta con poca cura e più difficile a trovarsi di quella di Federico II. La maggior
parte delle emissioni in oro sono della Zecca di Manfredonia. Altre monete d'oro, dopo la morte di Manfredi e la chiusura automatica delle Zecche di Manfredonia e Messina, sono state coniate da Carlo
d'Angiò con la riapertura della Zecca di Brindisi e la
concessione del diritto di conio a Bar letta per il periodo 1266-1278, perché dal 1278 fino alla morte di
Carlo (1285) la Zecca funzionò a Napoli.
Con la riapertura della Zecca di Brindisi da parte di
Carlo d'Angiò è probabile che gran parte della monetazione aurea di Manfredi sia stata fusa, perché,
Saverio Papicchio
Re Manfredi
come ci racconta Salimbene da Adam cronista medievale, re Carlo aveva in dispregio Manfredi e ogni
sua traccia tanto che tentò di chiamare "Nuova Siponto" la città di Manfredonia, fondata dal suo riv ale.
Di particolare importanza storica e rarità è il denaro
di Manfredi, che porta una grande "R" nel campo in
monogramma REX, che tutti gli studiosi di numismatica medievale meridionale attribuiscono alla Zecca
di Messina in occasione dell'incoronazione del 1258.
Monete di Re Manfredi
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Saverio Papicchio 99
Re Manfredi
I
l castello di Re Manfredi
Il Castello sorgeva su un promontorio roccioso, tra il
torrente Salinello, proveniente dall'area della Montagna di Campli, ed il fosso Rivolta, che scendeva dalle
Canavine, alla base della Montagna dei Fiori. In principio, sul luogo esisteva un accampamento fortificato romano, una "castrum" che probabilmente controllava e difendeva la "via del sale"; esso fu occupato, in seguito, dai Longobardi, all'epoca della loro invasione. Sui resti di questa costruzione Manfredi di
Svevia avrebbe fatto erigere il fortilizio, secondo i
modelli costruttivi dell'epoca.
L'organizzazione dei lavori, iniziati nel 1263, si deve al
generale Percivalle d'Oria e la scelta del luogo, oltre
al fatto che preesistevano delle strutture fortificate,
deriva dalla volontà del sovrano svevo di rafforzare
la cerniera difensiva che univa la Valle Castellana alla futura Rocca di Civitella del Tronto, nella convinzione (risultata errata) che le armate di Carlo d'Angiò
invadessero il Regno di Sicilia seguendo la via naturale costituita dalle gole del torrente Salinello. Sulla l inea di confine erano allineati i castelli di Pietralta,
Macchia, Civitella del Tronto, Rocca di Murro e Colonnella. L'appartenenza a tale "linea" difensiva dava
a Castel Manfrino un'enorme importanza strategica,
che ha favorito la fioritura di racconti, tra storia e
leggenda, che ancora lo caratterizzano. Il castello,
situato ad una quota lievemente più elevata di quella del borgo di Macchia (963 mt.), aveva una pianta
quadrangolare allungata e occupava per intero lo
Saverio Papicchio
Re Manfredi
sperone calcareo a picco sul torrente Salinello, (100
mt. circa di dislivello). Le mura di cinta, con l'asse
longitudinale ad orientamento N-S, erano lunghe un
centinaio di metri circa e larghe 20-25 mt.: la cinta
muraria aveva un andamento tortuoso e occupava
per intero lo spazio disponibile.
La costruzione, in pietra locale squadrata grossol anamente, con qualche concio di miglior fattura, era
cementata con pozzolana ed era legata alla funzione d'uso: ha pertanto un limitato interesse architettonico se non quello legato alla struttura militare. Non è
possibile nemmeno ipotizzare la presenza di una merlatura, anche se l'attribuzione della fortezza agli svevi
potrebbe far propendere per merlature simili a quelle
ghibelline. Il Castello aveva tre torri, delle quali rimangono ben pochi resti. Quella di maggiori dimensioni era situata a settentrione: conosciuta come torrione angioino, era di grosse dimensioni e sostituiva,
come residenza del castellano, il più antico mastio
(torre centrale). La torre sveva era a Sud, a strapiombo sul Salinello, in una posizione molto panoramica
(in vista della linea di costa) e quindi adatta per eventuali segnalazioni con specchi o fuochi con la
Rocca di Civitella del Tronto. Essa era situata vicino
l'ingresso del forte, che aveva sul portale un'aquila
imperiale di pietra. La torre di centro, il maschio, era
l'abitazione del castellano, nonché la difesa ultima
del castello, nella quale si asserragliavano i difensori
in caso le difese esterne cedessero. Ad essa si arriv ava mediante un ampio corridoio, alla destra del quale erano situati ambienti di diversa tipologia, identificabili come stalle, locali del corpo di guardia e al-
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Saverio Papicchio 101
Re Manfredi
loggi dei soldati. Tra la torre centrale e quella meridionale, i resti di una costruzione a pianta quadrata,
di destinazione ignota ma che, in lavori più recenti,
viene identificata come la sala della preghiera.
ASSEDIO E CADUTA DEL CASTELLO
Dopo la sconfitta di Manfredi, il castello di Macchia
fu dato in feudo a Pierre del l'Isle e poi "ripreso e restituito" dagli Ascolani al dinasta Armellino. Re Carlo
ordinò al Giustiziere d'Abruzzo di riconquistarlo e raderlo al suolo. L'impresa risultò più difficile del prev isto, e richiese un lungo assedio: furono costruiti due
bastida, sorta di castelli lignei in miniatura, uno a
monte ed uno a valle del castello "vero". Più di mille
soldati, al comando di Pagano di Vario, capitano
generale dell'esercito Angioino, strinsero in una morsa
i ribelli. Altri duecento militi erano accampati nelle
adiacenze di Sant'Angelo in Volturino e controllavano la strada per San Vito, impedendo l'arriv o di aiuti
dalla città di Ascoli. L'assedio iniziò nell'autunno del
1272 e si protrasse per diversi mesi, fino alla primavera
dell'anno successivo: gli assedianti occuparono l'inverno per costruire macchine da guerra per superare
le mura del Castello. Secondo i piani, il capitano
Matteo du Plexis diede l'ordine d'attacco il giorno
successivo alla Pasqua del 1273: le baliste aprirono
una breccia nelle mura e i soldati si precipitarono
all'interno del fortilizio pronti a vincere la resistenza
degli assediati ..... e non trovarono nessuno! Nel Castello c'erano solo un vecchio e due donnette: questo fatto apparentemente inspiegabile è alla base
delle storie che narrano di scale e cunicoli scavati
nella roccia. Certo che qualche passaggio segreto ci
Saverio Papicchio
Re Manfredi
doveva essere se più di duecento persone riuscirono
a dileguarsi nel nulla sotto il naso di un intero esercito.
Tra l'altro, i capi della rivolta, tra i quali Rinaldo della
Macchia, erano fuggiti già da qualche giorno, approfittando di un'improvvisa nevicata: furono però
catturati in breve tempo. Il Giustiziere avvertì Re Carlo della "strepitosa vittoria" ottenuta e quest'ultimo
abbandonò le velleità di distruzione del maniero, anzi
lo fece riparare e lo diede in feudo lo stesso anno
della conquista. Questo dimostra che il Castello di
Macchia aveva un ruolo importante nello scacchiere
difensivo e il fatto che avesse resistito al lungo assedio testimonia della sua solidità. Nel 1281, fu costruita
una cisterna e una nuova torre a base quadrata, di
grosse dimensioni (10 mt. di lato, tre piani per 24 mt.
circa di altezza). Castel Manfrino ebbe una notevole
importanza strategica fino al XV secolo: la sua decadenza, come quella di altri castelli simili, è legata
all'invenzione della polvere da sparo, che rendeva
inutili le sue strutture difensive.
resti del Castel Manfrino
i
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Re Manfredi
L
a vita di Re Manfredi
La vita di Manfredi è ricca di avvenimenti che hanno
condizionato vari secoli di vita italiana.
Federico II aveva una particolare predilezione per
Manfredi: perché è figlio di Bianca Lancia, il suo unico vero amore; perché vede in lui l’erede dello spirito battagliero, indomito, tipico degli Svevi; perché
dimostra di avere le sue stesse passioni.
Eppure, Manfredi ha una vita discussa, con atteggiamenti a volte contraddittori, che lo fanno un personaggio fra i più interessanti del suo secolo.
In realtà, se l’Impero medievale tramonta con Federico II, Manfredi è ultimo protagonista di questo impero, l’uomo che per primo sconta l’invettiva di Innocenzo IV disse: "Estirpare il nome di questo babilonese
e quanto di lui possa rimanere, dei suoi discendenti,
del suo seme".
Manfredi nasce nel 1232 ed accompagna il padre in
molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in
punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento
Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che
aveva assegnato a Corrado IV — il primogenito figlio
di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in
Germania. Questa decisione lo inimica subito al Pa-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
pa, che avrebbe voluto liberamente disporre
dell’intero patrimonio svevo.
Incoronazione di Re Manfredi
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Saverio Papicchio 105
Re Manfredi
Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche
se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere
buoni.
Ma quando Corrado, nell’agosto del 1252, sbarca a
Siponto e giunge nella Puglia per prendere possesso
dei suoi territori dimostra di non avere il talento e le
virtù paterne e di non poter reggere il confronto con
Manfredi che, si riduce al semplice rango di vassallo.
Fra i due corrono dissapori, invidie, rivalità finché nel
1254 Corrado muore. Diventato di fatto capo della
Casa di Svevia, Manfredi si trova a tu per tu con Innocenzo IV, determinato a disfarsi dell’incomoda dinastia imperiale. Un tentativo di rappacificazione fallisce nel luglio del 1254, mentre il successiv o 12 settembre Manfredi è colpito da anatema.
Di fronte alla possibilità di uno scontro cruento al
quale nessuno era preparato, si giunge rapidamente
ad un accordo.
Accanto alla revoca della scomunica, Manfredi riceve dalla mani del Papa feudi e principati, una
rendita di ottomila once d’oro, e soprattutto la nomina a vicario per la maggior parte dei territori continentali del Meridione, in cambio del riconoscimento
dell’autorità papale sul Regno di Sicilia.
Ma lo Svevo non demorde: all’inizio di dicembre organizza una riv olta in Puglia riuscendo a conquistare
Lucera ed a battere l’esercito pontificio. E’ l’ultimo
atto del confronto con Innocenzo IV muore il 7 dicembre 1254.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Sul piano militare il conflitto si inasprisce in Puglia; ma
è fondamentale provvedere in tempi brevi
all’occupazione del trono di Sicilia, che Manfredi r itiene un patrimonio svevo ereditato dai Normanni e
destinato a Corradino, legittimo successore del defunto Corrado.
Così, il 10 agosto 1258, dopo aver allontanato il reggente Bertoldo di Hohenburg — un fedele di Federico II passato ad infoltire le file papaline — si fa incoronare nella cattedrale di Palermo tra le feste ed il
giubilo della popolazione.
Alessandro IV dichiara nulla l’incoronazione, mentre
è dalla Germania, la madre di Corradino, l’erede legittimo di Corrado IV, insorge. Ma a Manfredi non è
difficile spiegare il proprio operato, che si era reso
necessario per salvare il Regno dallo sfacelo.
Da quel momento, Palermo tornava ad essere la capitale del più bel Regno d’Europa.
Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i
nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato.
Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma
senza cercare la guerra.
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Re Manfredi
Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la
sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai
sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se
non avrà il tempo di raccoglierne i frutti.
Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un
Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la
barba fini…
Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV,
succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I
d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia,
l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia.
Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla
fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una
Crociata che rasenta il fanatismo;
è a corrompere con il denaro i governanti che non
condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per
agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I.
Alle strette, Manfredi si rivolge agli alleati ormai ridotti
di numero. In questi appelli vi è tutta la dignità di un
sovrano che non considera il nemico degno di sé. Essi esprimono l’illusione di un intellettuale, destinata ad
essere soffocata dalla forza brutale.
Carlo I valica le Alpi al Colle di Tenda alla fine del
1265. Con un esercito di almeno 30.000 uomini, inizia
a spargere il terrore nelle campagne e riduce la resistenza nelle roccaforti ghibelline. Il 6 gennaio 1266 è
Saverio Papicchio
Re Manfredi
incoronato a Roma, in assenza del Papa. Il 20 gennaio Carlo I riparte da Roma e supera i confini del Regno attraversando il fiume Liri. Dopo varie scaramucce, lo scontro campale avviene a Benevento.
Il mattino del 26 febbraio, Manfredi decide l’attacco.
Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte.
Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più fav orevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che
combattono al grido di "Svevia!". Deciso a gettarsi
nella mischia, è sta vestendo l’armatura, quando
l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. "Ecco la volontà di Dio" mormora: è il segno della fine.
La giornata si conclude con un massacro e Carlo I
resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva
ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo.
Era il tramonto del 12 febbraio 1266.
Manfredi Lancia, o Manfredi di Sicilia o, Manfredi
di Svevia, figlio dell’Imperatore Federico II di Hohenstaufen e di Bianca Lancia, aveva diciotto
anni quando assistette all’agonia ed alla morte
del padre: un evento che, mutando il destino
della storia del Mezzogiorno italiano, fu salutato
da Papa Innocenzo IV con le parole di fuoco
dell’enciclica Laetentur Coeli: «… Esultino i cieli!
Si rallegri la terra, perché con la morte del vostro
persecutore sembra, per l'ineffabile misericordia
di Dio, che si siano mutati in dolci zeffiri e in fre-
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Re Manfredi
sche rugiade i fulmini e le procelle che sono stati
lungamente sospesi sulle vostre teste. Tornate
dunque subito nel grembo della Santa Chiesa,
vostra madre, dove soltanto in questa potete
trovare riposo, pace, libertà...»
Finalmente il Papa poteva attuare il progetto di
espellere dall’Italia l’invisa e temuta casata sveva e restaurarvi la propria incontrastata autorità.
Accorato e struggente, invece, fu il messaggio
indirizzato da Manfredi al fratellastro Corrado IV,
Re di Germania: «... si è spento il sole del mondo
che brillava sulle genti, si è spento il sole della
giustizia, si è spento l’amore per la pace... …. ma
anche se quell’astro è tramontato, i suoi ordinamenti gli assicurano continuità e nuova vita in
Voi... Nessuno crede che il Padre sia assente
perché si spera che nel Figlio viva...»
Sulle sue giovani spalle gravava il compito di difendere il Regno, gli interessi ed il nome di quella
che era stata la più potente dinastia del Medio
Evo.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Manfredi e il suo falcone
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Re Manfredi
Frastornata, l’Italia ghibellina pianse lacrime amare per la condizione di orfanità politica verso
la quale il Pontefice, dall’interno del suo lussuoso
baldacchino di seta rossa, esibiv a il suo gelido
sprezzo incontrando la deputazione guelfa di
Genova; annodando relazioni con le città lombarde pronte a rivisitare i rapporti con la Chiesa;
ricevendo gli onori delle popolazioni umbre; fissando la sua sede in Anagni, ove si sarebbe trattenuto fino all'inizio dell’autunno del 1253; preparando il suo piano di rivalsa e di recupero del
Mezzogiorno peninsulare ed insulare.
Corrado IV, nel capodanno del 1252 aveva varcato le Alpi e, dopo una sosta in Veneto, si era
portato a Pola ove era atteso da sedici unità della flotta siciliana che lo avrebbero scortato fino a
Siponto: lo attendeva Manfredi, Luogotenente
del Regno, restato nella regione per garantire
l’obbedienza dei sudditi di Foggia, Andria, Barletta, Avellino, Aversa e Nola ove, fomentate da
frati mendicanti, erano esplose accese riv olte
antisveve. Egli stesso, dopo aver trasferito in Sic ilia il quindicenne Enrico Carlo Ottone con
l’incarico di Vicerè, aveva incaricato il Margravio
Bertoldo di Hohenburg di riportare l’ordine in molti dei centri in fermento, ma Capua e Napoli resistevano tenacemente.
Accolto come legittimo sovrano da tutta la Puglia, Corrado avallò le decisioni del fratello e con
lui proseguì la campagna militare: insieme ebbero ragione del Conte d'Aquino che capeggiava
Saverio Papicchio
Re Manfredi
la ribellione di Nocera, Sessa Aurunca e San
Germano. Insieme, nell’ottobre del 1253 ottennero la capitolazione del capoluogo partenopeo
che, assediato dal lato di terra e dal mare, dopo
dieci mesi di resistenza cadde per fame.
Fissata la corte in Barletta e chiusa l’univ ersità
napoletana, nel perdurare delle attiv ità militari,
Corrado si dette al ripianamento dei rapporti
con il Papa inviandogli un’ambasceria che gli
comunicasse la propria disponibilità a giurargli
fedeltà, in cambio della incoronazione imperiale
e del riconoscimento delle prerogativ e sul Regno
di Sicilia.
Innocenzo IV liquidò la proposta: in conseguenza
delle decisioni adottate all’interno del Concilio di
Lione, gli Svevi erano decaduti da ogni diritto.
I negoziati furono ripresi nel 1254, ma neppure i
buoni uffici del Conte Tommaso di Savoia sortirono risultati positivi: il Primate romano accusava lo
Staufen di avere imposto agli ecclesiastici, a
sprezzo dell’interdetto, la celebrazione degli Uffici; di aver diffuso fra i partigiani staufici dell'Italia
settentrionale dottrine eretiche; di essersi appropriato dei beni della Chiesa e di vari Ordini religiosi; di essere colpevole di tante iniquità, da non
poter accampare il titolo alla corona di Sicilia
destinata ad un nobile straniero che egli stesso
avrebbe individuato, pur senza esito, prima nella
persona di Riccardo di Cornovaglia, fratello di
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Re Manfredi
Enrico III d’Inghilterra; poi in Edmondo, figlio del
medesimo Sovrano.
Tuttavia, malgrado ogni esibizione di forza, il potere di Innocenzo era molto fragile: Roma negli
ultimi nove anni aveva vissuto libera dall’ipoteca
papale e la sua borghesia, nell'agosto del 1252
aveva eletto alla carica di senatore il giurista bolognese Brancaleone degli Andalò, Conte di Casalecchio, ghibellino e molto amico di Ezzelino
da Romano e di Oberto Pallavicino: egli non solo
aveva energicamente riportato l'ordine nella città, ma nell’ottobre del 1253 aveva obbligato il
Papa a rientrarvi, costringendolo a riaprire le trattative con lo Staufen.
La replica della Curia era consistita di un arrogante messaggio, mirante a colpire l’intero arco
degli alleati imperiali: l’estensione del provvedimento di scomunica già irrogato a Corrado, anche al cognato Ezzelino da Romano.
Nel clima di aperta belligeranza però, una nuova
tragedia si abbatté sugli Svevi: il ventuno maggio
del 1254, mentre si trovava a Lavello presso Melfi,
il Sovrano tedesco si spense lasciando la complessa eredità al figlio Corradino, la cui tutela era
stata affidata comunque al Pontefice.
La sua inattesa fine aprì numerose crepe nella
stabilità dell’Impero e del Regno agitato dalle
pressioni guelfe. E forse anche in seno alla famiglia e fra fratelli medesimi, s’era aperto un fronte
Saverio Papicchio
Re Manfredi
di rivalità, di invidie e di contrapposizioni: Corrado aveva trascorso fin da bambino la sua vita in
Germania ed era considerato a tutti gli effetti un
tedesco; Manfredi, che aveva vissuto accanto al
padre condividendone le passioni, era un figlio
del Sud, un figlio della Puglia, un figlio della Dauna.
Di fatto, contro ogni disposizione testamentaria
paterna e defraudando i diritti e le sue pur legittime attese, a sorpresa, prima di morire,
l’Imperatore aveva indicato reggente e balio del
Regno il Margravio Bertoldo di Hohenburg.
Manfredi, già dotato di senso dello Stato e di responsabilità politica, non impugnò le scelte del
germano ma fece, anzi, parte della delegazione
che si recò presso Innocenzo per la ratifica delle
clausole testamentarie, comprese le prerogativ e
ereditarie di Corradino, Manfredi mostrò saggezza e rispetto virtù di un vero Re.
Anche questo incontro fu infruttuoso: il Papa sarebbe stato anche propenso ad accettare
l’erede come Sovrano feudale, ma esigeva
l’immediata consegna del Regno di Sicilia che
diversamente avrebbe invaso. Nel frattempo, irrogava la scomunica a Manfredi.
L’Hohenburg, anche nella consapevolezza di essere inviso ai sudditi, dai quali era considerato un
usurpatore, cedette a Manfredi il governo non
trascurando di insidiarlo; di tradirlo; di spingersi fi-
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Re Manfredi
no a trattenere le entrate erariali necessarie a
fronteggiare i clavisegnati, già pronti
all’aggressione del Sud. Infatti, San Germano,
stazione di confine, cadde nelle mani di Innocenzo; le Baronie si disposero a sollecite trattativ e
con la Chiesa; lo stesso Hohenburg si mostrò
pronto a cambiare sponda politica.
Manfredi, dotato di forze numericamente inferiori, era in difficoltà: il nipote era nella lontana
Germania ed egli aveva l’onere morale di salvarne i diritti pesantemente minacciati. Decise,
pertanto, di cedere alle pressioni papali e nel
trattato di pace sottoscritto il ventisette novembre del 1254, di accettare l’occupazione pontificia del Mezzogiorno con riserva delle prerogativ e
di Corradino e proprie. In cambio, ottenne
l’assoluzione dalla scomunica.
Naturalmente si trattò di intesa di forma: nella sostanza, infatti, Innocenzo aveva già esteso la sua
egemonia sull’intero Mezzogiorno esibendo atteggiamenti da Sovrano fin da quando si era dato a girare nelle province campane: Montecassino, Teano, San Germano, Capua e Napoli, sulle
quali già esercitava controllo politico ed economico. Il suo comportamento non affrancava
Manfredi dai rischi: egli era cosciente della propria impotenza amplificata dalla presenza, nella
corte papale, degli acerrimi ed irriducibili nemici
degli Svevi: i protagonisti della congiura di Capaccio e, con essi, avventurieri a vario titolo,
come tal Borrello d’Anglone. Costui, peraltro, for-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
te della protezione fornitagli dalla Curia di Roma,
aveva impunemente occupato la Contea Alesina e le proteste inoltrate al Pontefice in sosta a
Capua erano state sprezzantemente disattese.
Deluso, Manfredi progettava di rientrare in Puglia
quando un evento imprevedibile era intervenuto
ad accentuare l’ostilità fra le parti: sotto Teano,
Borrello ed i suoi sgherri gli avevano teso un agguato.
Nella mischia, ferito da un soldato saraceno,
l’aggressore si dette alla fuga. Ma la concitazione che ne seguì accreditò la tesi che proprio
Manfredi fosse stato assassinato: era quanto bastava perché un gruppo di popolani inseguisse il
Borrello e per vendetta lo linciasse.
Malgrado ai fatti avessero assistito div ersi guelfi,
quella uccisione fu invece addebitata al Sovrano che invano protestò la sua innocenza presso il
Pontefice: contro di lui era stato già spiccato un
ordine di arresto per omicidio.
Rifugiatosi in Acerra; inseguito e ricercato, Manfredi decise di riparare a Lucera, anche su suggerimento dello zio Galvano Lancia.
Marino e Corrado Capece protessero la sua
drammatica ritirata fra i monti dell’Irpinia: Mercogliano, Atripalda, Guardia dei Lombardi, Bisaccia e Venosa, fino a Lucera, raggiunta nella
notte del primo novembre, mentre già lo atta-
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Re Manfredi
nagliava l’ansia che le frontiere della Capitanata
subissero incursioni e rappresaglie dei clavisegnati.
Ottenuto il giuramento di fedeltà dei sudditi, arruolò altre truppe e il due dicembre sfidò in battaglia il traditore Oddone di Hohenburg, fratello
di Bertoldo: lo sconfisse a Foggia, costringendolo
ad arretrare verso Canosa.
Ma alto fu il pedaggio pagato per il favorevole
esito dello scontro: il suo giovane fratello Federico di Antiochia, capo delle schiere saracene,
perse la vita. In compenso, il Cardinale Guglielmo di Sant’Eustachio, la cui guarnigione si era
già insediata a Troia pronta ad aggredire Lucera,
si ritirò infliggendo alle velleità egemoniche di Innocenzo un duro colpo, certamente concausa
della morte che lo stroncò il sette dicembre del
1254 a Napoli, ove le sue ambizioni cesaropapiste erano state demolite.
Al trono pontificio gli successe Alessandro IV, al
secolo Reginaldo di Ostia, della famiglia dei
Conti di Segni, mentre il figlio di Bianca Lancia si
dava al consolidamento dell’opera restauratrice
della monarchia, sostenuto da sudditi che egli
rincuorò stimolando l’orgoglio
dell’appartenenza: «...alle benemerenze dei
normanni si aggiungono quelle di casa Sveva, e
sol deplorando la morte degli uomini validi appartenenti alla famiglia del grande Federico, la
bontà di Dio mi riserva, qual rappresentante di
Saverio Papicchio
Re Manfredi
quella stirpe di apportare i maggiori benefizii a
queste città, sia di qua che di là del Faro... la
successione dei Papi, sempre rapida e varia, non
può arrecare a questo Regno né felicità né prosperità...»
Il nove febbraio del 1255 Manfredi respinse con
rigorosa fermezza l’ultimatum col quale il nuovo
Pontefice, esigendo l’espulsione dei Saraceni dal
Regno, pose in marcia contro Foggia i Clavigeri
al comando del Cardinale Ottaviano degli Ubaldini.
Ormai la sua potenza era in crescita e
l’entusiasmo popolare supportò le sue iniziative
militari, malgrado il venticinque marzo fosse colpito da una seconda scomunica: entro l’estate
successiva, domati tutti i focolai di ribellione e ripreso saldamente il controllo della più parte Regno, Manfredi marciò su Napoli esigendone
l’obbedienza. Nella primavera del 1256, sottomesso tutto il Sud peninsulare, finalmente traversò lo stretto: le speranze siciliane lo attendevano
riconoscendo in lui l’incarnazione non solo delle
indimenticabili tradizioni della casa sveva, ma
anche della coscienza nazionale dell’isola.
Nel frattempo, essendosi sparsa voce che Corradino fosse morto, quale unico erede degli Svevi
l’undici agosto del 1258 Manfredi fu incoronato
Re di Sicilia alla presenza di Romano Capodiferro: quel coraggioso Arcivescovo beneventano
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Re Manfredi
custode del tesoro della Corona; fieramente
ghibellino.
La corte di Palermo fu ben presto restituita alla
sua prestigiosa tradizione, riproponendosi focol aio di civiltà e cultura. Quanto alla legislazione,
all’amministrazione ed all’assetto economico del
Paese, Manfredi proseguì l’attività di riforma
tracciata dal padre.
Entro un anno avrebbe conseguito la stabilizzazione della monarchia.
Anche il 1260 fu un anno storico: vi si attese
l’imminenza dell’Apocalisse preannunciata dalla
setta dei Flagellanti, sulla base di calcoli e prev isioni dettati dall’ignoranza e dalla superstizione.
Manfredi che conosceva la Bibbia diceva che
nessuno sa quando verrà l’apocalisse, solo il Padre Eterno.
Influenzati dalla lettura dei testi di San Paolo, (I
Cor., IX, 27; Col., I, 24) nell’Italia segata in due
dalle contrapposizioni guelfe e ghibelline, costoro divennero un vero elemento di sovversione
sociale utile agli interessi papali. Li guidava Raniero Fasani che, muovendo da Perugia, si dette
a percorrere le piazze italiane flagellandosi; cantando laudi penitenziali e fornendo pretesto
all’irriducibile zelo antisvevo della Curia Romana:
la collera di Dio era stata in gran parte scatenata proprio dalla presenza del figlio del babilonese .
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Ma il linciaggio cui Manfredi fu esposto finì con
l’esaltarne il ruolo di riferimento dei partigiani italiani: il quattro settembre di quello stesso anno
Siena, che aveva legato le proprie fortune al
fronte staufico accettando la sovranità del Re di
Sicilia, ricevette alcuni corpi di cavalleria tedesca determinanti per l’esito della guerra aperta
con la riv ale Firenze. Nella storica battaglia
campale di Montaperti, il trionfo ghibellino fu enfatizzato dalla carismatica e suggestiv a figura di
Manente degli Uberti, detto Farinata.
Da quel momento, Manfredi era diventato a tutti
gli effetti il degno successore di Federico II: un elemento sufficiente perché dalla Curia Romana
fosse successivamente disposta un’altra scomunica, notificatagli il ventinove marzo del 1263.
Per i sudditi, indifferenti alle strumentali elucubrazioni papali, contava che l’illuminata e saggia
attività di governo seguitasse a produrre prosperità e benessere: amato all'interno e stimato
all’esterno del Regno, il Sovrano impegnò la sua
azione in una serie di opere pubbliche ed in proficui piani di politica economica, attraverso nuovi
trattati commerciali con Venezia, Genova e l'Egitto; rilanciò il porto di Siponto, abbandonato
per l'insalubrità di quel territorio; fondò, Manfredonia; restituì prestigio alle università di Salerno e
Napoli; riportò la corte siciliana ai fasti federiciani
attraverso la presenza di scienziati, artisti, poeti e
cantori internazionali.
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Re Manfredi
Il ventinove agosto del 1261, anche Alessandro
IV morì.
Gli otto membri del collegio cardinalizio elessero
alla successione il francese Jacques Pantaléon,
nato a Troyes nella Champagne nel 1220; già Patriarca di Gerusalemme; coltissimo ma di temperamento protervo e prevaricatore.
Assunto il nome di Urbano IV, nel corso del suo
triennale mandato, bandì una crociata contro
Manfredi; nominò capo dei contingenti clavigeri
Ruggero di Sanseverino, acerrimo oppositore
degli Svevi; tentò di contrastare le nozze fra Pietro d’Aragona e Costanza, intervenendo pesantemente su Re Giacomo, padre dello sposo;
sparse notizia dell’imminente castigo di Dio, amplificato dall’attività mistico/isterica dei Flagellanti; rinnovata, infine, la scomunica contro Manfredi, il sei aprile del 1262 lo invitò a comparirgli davanti per giustificare la condotta della sua lasciva Corte, nel frattempo guardando a Carlo
d'Angiò come contraltare e ritenendolo pedina
utile ai suoi interessi egemonici sul Mezzogiorno
italiano.
Incaricò delle trattative il Vescovo di Cosenza
Bartolomeo Pignatelli.
Costui, con grande talento diplomatico, ottenuta la rinuncia da parte di Edmondo d’Inghilterra
sui diritti a suo tempo attribuitigli da Alessandro
IV, indusse l’Angioino a sottoscrivere un accordo
Saverio Papicchio
Re Manfredi
col quale, in cambio dell’investitura a sovrano di
Sicilia, si impegnava a cedere Benevento ed un
tributo annuo di diecimila once d’oro. E poiché
nel frattempo i guelfi di Roma lo avevano eletto
Senatore cittadino, Carlo giurò anche di deporre
la potestà senatoria appena fosse stato infeudato.
I negoziati fra il Papato e l’Angiò erano noti a
Manfredi. Egli sapeva che Carlo, ancorché ambizioso, infido, cinico, ipocrita e bigotto, coagulava attorno a sé tutta la comunità guelfa italiana. Soprattutto temeva che, forte del consistente
appoggio e della legittimazione episcopale, egli
potesse determinare anche in ambito ghibellino
cedimenti e defezioni.
Per anticiparne le mosse, pensò di prendere Roma ed Orvieto, sede della Corte pontificia. A tale
scopo occupò tutte le vie di accesso all’Urbe: inviò nella Marca anconetana il Conte Giordano
Lancia; nel Ducato di Spoleto Percivalle Doria;
ad Ostia Tebaldo Annibaldi ed affidò la sorveglianza della città, preclusa dalla terra e dal mare, al fuoriuscito Pietro de Vico, capo della ribellione locale.
L’impresa si risolse in una sostanziale disfatta: se in
territorio di Ancona due Capitani delle milizie
pontificie, il Conte D'Anguillara ed il Vescovo di
Verona, furono sconfitti e fatti prigionieri; se il Papa, atterrito e precipitosamente fuggito, nel settembre del 1264 riuscì con la sua scorta a trovare
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riparo in Perugia, donde fece partire una urgente
richiesta di aiuto all’Angioino, d’altra parte il fedelissimo Doria annegò nel guado della Nera e il
De Vico, contro ogni previsione, fu battuto dalle
forze guelfe alle porte di Roma.
Il tre ottobre, la morte sorprese Urbano IV: mancava poco che le hoste francesi lo raggiungessero e la ingarbugliata situazione politica italiana
si era fatta assai precaria: a Torino si era formata
una Lega di Comuni filoangioini capeggiata dal
Marchese del Monferrato Guglielmo VII Lungaspada; a Ferrara il potere era nelle mani della
famiglia degli Este e, morto Azzo VII gli era succeduto Obizzo, che aveva avviato un ampio
progetto di espansionismo, conquistando Modena, Reggio, Rovigo e parte del Padovano; a Roma, il trono della Curia era vuoto. Solo il cinque
febbraio del 1265, il conclave elesse il Cardinale
Guido Foulquois Le Gros, col nome di Clemente
IV: un valente giurista arrivato al sacerdozio dopo un’esperienza coniugale; una creatura di Urbano IV, dotata di particolare animosità antisv eva; un Papa che non riuscì mai ad entrare a Roma e che svolse il suo mandato a Viterbo, ove si
spense a soli tre anni dalla nomina.
Manfredi si preparò alla difesa da un nuovo e
potente attacco dei guelfi galvanizzati dal Pontefice francese: assoldò mercenari a rinforzo dei
Saraceni; ordinò ai vassalli del Regno di disporsi
alla guerra; approvvigionò le fortezze di confine;
fece sbarrare le imboccature del Tevere e, per
Saverio Papicchio
Re Manfredi
condizionare lo sbarco angioino sulle coste laziali, organizzò presidi navali nelle acque fino alla
Sardegna.
Carlo d'Angiò intanto organizzava la sua spedizione con l’ampio sostegno del clero francese
che, a favore della sua causa, accettò anche di
rinunciare alla decima sui beni ecclesiastici.
Nella primavera del 1265 un esercito di cinquemila cavalieri, quindicimila fanti e diecimila bal estrieri si radunò sulle riv e del Rodano: l’Angiò, che
aveva già ricevuto dal Pontefice una bolla con
la quale mentre gli si confermava l'investitura del
Regno di Sicilia si esercitavano pressioni perché
stringesse i tempi della partenza, aveva promesso di essere a Roma entro la Pentecoste. Ma non
aveva navi sufficienti per trasbordare l'esercito
nel Lazio per la via del mare e temeva le insidie
della flotta nemica.
Incaricato del comando delle truppe il Connestabile de Traisignies, perché le guidasse attraverso le Alpi egli, assieme alla moglie, nell'aprile
del 1265 s'imbarcò a Marsiglia con una scorta selezionata di mille cavalieri distribuiti in venti gal ee.
Giunto nel Lazio e si trattenne nel convento di
San Paolo fuori le Mura, fino all’arriv o dei suoi eserciti e, il ventiquattro maggio, vigilia della Pentecoste, fece il suo ingresso trionfale a Roma,
accolto dal Clero osannante e dal Popolo minu-
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Saverio Papicchio 125
Re Manfredi
to che lo salutavano Re di Sicilia. Pochi giorni più
tardi, nel tempio d'Aracoeli sul Campidoglio, indossò la toga senatoriale e si impegnò al rispetto
di una serie di clausole: corrispondere, dopo la
conquista del Sud, cinquantamila marchi alla
Curia Romana, cui avrebbe assegnato anche un
tributo annuo di ottomila once d'oro; guidare il
Regno siciliano in qualità di vassallo della Chiesa
per sé e i suoi legittimi eredi; cederlo alle figlie
femmine, in assenza di eredi maschi; non aspirare alla carica imperiale, al Regno di Germania e
d’Italia e alla Signoria della Toscana o della
Lombardia; rinunciare al Regno di Sicilia, ove
l’eventuale erede femmina avesse sposato
l’Imperatore; accettare la corona dell’Impero solo previa rinuncia del Regno in favore dei suoi discendenti; non occupare alcun territorio della
Chiesa cui avrebbe, invece, restituito quelli occupati dagli Svevi; conservare la funzione di senatore solo fino alla conclusione della campagna di conquista; riconoscere le immunità eccl esiastiche e revocare le costituzioni contrarie alla
libertà della Chiesa; concedere ai sudditi del Regno i privilegi del tempo di Guglielmo II.
Nel perdurare della sua presenza a Roma, si
concludevano in Francia le operazioni di trasferimento delle truppe: verso la fine dell'estate del
1265, de Traisignies varcò le Alpi e traversò il
Monferrato.
Lungi dal piegare il capo, la resistenza ghibellina
era in agguato: il veronese Martino della Scala
Saverio Papicchio
Re Manfredi
aveva il pieno controllo del territorio; Brescia,
Cremona, Piacenza e Pavia erano supportate
da truppe tedesche dei Marchesi Pallavicino e
Lancia; Buoso di Novara sorvegliava la fascia ad
Ovest del Po ed il passaggio dell'Oglio.
I frastornati Francesi non sapevano quale strada
imboccare, quando Martino della Torre li guidò
fino a Palazzuolo donde avrebbero potuto guadare il fiume, se Buoso non li avesse disturbati.
Il Marchese Obizzo d’Este ed il Conte di San Bonifacio, a rincalzo dei Guelfi, avviarono una rapida
manovra di accerchiamento impedendo a Buoso di Novara di condizionare l’attraversamento
delle acque. Parallelamente, a Capriolo veniv a
sconfitto il Pallavicino mentre il nemico, attraverso Ferrara, guadagnava l’entrata nell’Italia centrale.
I Francesi raggiunsero Roma nei primi giorni del
1266.
La guerra fra il Papa e Manfredi era ormai irreversibilmente aperta. Fu l’anno più drammatico della storia italiana, dalla morte di Federico II in poi.
Carlo d’Angiò venne nominato Vicario di Toscana.
I ghibellini furono espulsi dalla regione.
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Re Manfredi
Ma i rapporti dell’Angioino col Papato si incrinarono: egli non aveva danaro sufficiente per pagare le sue truppe mercenarie e Clemente IV,
che gli aveva già erogato quanto necessario a
mantenere i contingenti provenienti da Marsiglia,
insistentemente sollecitato si schermì «… Pretendi
tu forse che io faccia miracoli e cambi la terra e i
sassi in oro… ?»
Il suo duro linguaggio era dovuto al risentimento
per la condotta delle truppe che, nel corso dell’
attraversamento della penisola, si erano date a
scorrerie e saccheggi anche dei beni ecclesiastici e, una volta a Roma, non avevano cessato
di commettere inaudite violenze.
Tuttavia, malgrado le divergenze personali, il
progetto di cancellare dal contesto politico italiano Manfredi di Sicilia restava prioritario. Sicché,
fra alterne vicende, cinque Cardinali furono incaricati d'incoronare Carlo e la moglie Beatrice.
Il sei gennaio del 1266, l’Angiò fu infeudato Re di
Sicilia nella basilica lateranense dove, alla presenza di Magistrati, Episcopato e Baronie franco/provenzali, prestò nelle mani del Vescovo di
Albano il giuramento di vassallaggio alla Chiesa
e dell'osservanza assoluta dei patti.
Pochi giorni più tardi, ebbe inizio la sua marcia
verso il Mezzogiorno.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Manfredi era a Benevento: ne aveva fatto sede
del suo quartiere generale; vi aveva convocato i
Baroni, i feudatari e i rappresentanti delle città
demaniali; vi aveva disposto il riarmo dei vassalli;
vi aveva dato ordine di rafforzamento dei confini
con opere di difesa e truppe formate da Saraceni, Lombardi e Tedeschi; vi aveva conferito la
sorveglianza del ponte di Ceprano al cognato
Riccardo di Caserta; vi aveva conferito a Giordano Lancia l’incarico di controllo dei guadi del
Garigliano.
Dal capoluogo sannita egli stesso avrebbe diretto le operazioni, raggiungendo agevolmente le
avanguardie o, in caso di sfondamento delle
prime linee, coordinando l’arretramento verso
l’interno.
Il primo scontro si consumò il quattro febbraio
del 1266: Saraceni, Tedeschi e Lombardi si batterono strenuamente ma in numero inferiore. Dopo
sei giorni di furiosi combattimenti, San Germano
cadde nelle mani dell’Angiò che ricevette l'omaggio dell'abate di Montecassino.
Il successivo ventisei, la vicenda si concluse
drammaticamente sul campo di battaglia alle
porte di quella città che aveva avviato e concluso la drammatica saga della casata normanno-tedesca.
La sera di quel lungo giorno, a soli sedici anni dalla morte di Federico II, il dramma degli Hohen-
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Re Manfredi
staufen celebrò il suo ultimo atto con la disfatta
del figlio di Bianca Lancia .
Nella notte, annunciando al Pontefice la vittoria,
Carlo scrisse: «…Di Manfredi si ignora se sia caduto in battaglia o preso o fuggito. Il suo cavallo è
in nostre mani, e ciò potrebbe far credere che
sia già morto. Dò l'annuncio alla Santità Vostra di
questa grande vittoria affinché ne porga grazie
all'Onnipotente che ce la concesse, combattendo con il braccio mio per la causa della Chiesa. Se giungerò ad estirpare dalla Sicilia le radici
del male, assicuro che ristabilirò in questo reame
l'antico obbligo di vassallaggio che deve alla
Chiesa stessa: l'avvierò di nuovo, ad onore e gloria di Dio, all'esaltazione del suo nome e pace
della Chiesa ed al bene del paese….»
Il successivo ventisette Benevento accolse il vincitore, ma fu atterrata da otto interminabili giorni
di orribili devastazioni, lutti, orrori e morte: preda
di furia sanguinaria, dopo averla selvaggiamente
messa a sacco, i Francesi massacrarono uomini e
donne, senza distinzione di ceto e di età; violentarono bambini e donne; saccheggiarono palazzi e conventi; scempiarono edifici storici.
Non una vittoria, ma una vergognosa esaltazione
dell’odio più irrazionale e primordiale.
Gli eserciti vincitori avevano obbedito alle prescrizioni di Carlo d’Angiò.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
E questo era il Re che Santa Romana Chiesa aveva scelto e priv ilegiato in danno della ormai
disfatta dinastia normanno/sveva.
Quale credito storico e morale assegnare alle
formali parole di doglianza che Clemente indirizzò al sovrano solo il dodici aprile: «…I Crociati
che dovevano protegger templi e i conventi, li
hanno invece assaliti e saccheggiati, hanno arso
le sante immagini, e perfino recata violenza alle
vergini sacre al Signore. Né le rapine, le uccisioni
e gli orribili delitti di ogni maniera furono compiuti
nel primo furore della battaglia, ma durarono per
ben otto giorni sotto i tuoi occhi, senza che nulla
venisse da te fatto per impedirli. Apertamente si
dice che questo è stato fatto a bello studio, per il
motivo che la città non sarebbe rimasta al re,
ma al Pontefice. Nemmeno Federico, il nemico
della Chiesa, si è mai comportato così indegnamente…»?
Pochi giorni più tardi, ricevuto l'omaggio del Podestà Francesco Roffredo, il nuovo Sovrano di Sicilia entrò a Napoli con la moglie su un carro
coperto di velluto azzurro e ricamato di gigli d'oro.
Intanto, le residue risorse ghibelline, guidate da
Galvano Lancia, erano riparate in Calabria mentre i Saraceni si erano rinchiusi a Lucera, decisi alla resistenza più oltranzista. Il medesimo ed irridu-
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Re Manfredi
cibile odio antifrancese sopravvisse anche in Sic ilia, ove fu mandato come Viceré il sanguinario
Guglielmo d’Étendard, autore anche di una mostruosa strage fatta ad Augusta fra la fine del
1269 e l’inizio del 1270.
Ma dove si combattè quella battaglia la cui ubicazione è ancora controversa?
Le cronache raccontano che quel ventisei Manfredi fosse uscito poco dopo l’alba dal pons
major per andare incontro agli eserciti nemici.
Era già frastornato: le attese truppe di rincalzo
del cognato non erano arriv ate e correva voce
di cedimenti e tradimenti dell’ultima ora sul fronte delle parentele e degli alleati. Di più: aveva
avuto notizia dell’imprevedibile cambio di percorso dei Francesi. Piuttosto che giungere dalla
via Appia, lungo la quale erano attesi, costoro
erano in arrivo dalla via Latina ed avevano così
scompigliato i piani di battaglia e le linee difensive già tracciate.
Non si saprà mai se, mentre si portava sul terreno
di scontro, egli avesse avuto già notizia
dell’arresto disposto dal Papa in danno del suo
fedelissimo Arcivescovo beneventano Romano
Capodiferro.
Il suo esercito era schierato in tre contingenti: mille e duecento Tedeschi erano guidati da Giordano e Bartolomeo Lancia; mille e cinquecento
Saverio Papicchio
Re Manfredi
circa, selezionati fra le forze italiane più fedeli alla
causa ghibellina, erano sotto il comando di Galvano Lancia; circa duemila Saraceni componevano la scorta d’assalto che egli stesso avrebbe
capeggiato nella manovra del primo affondo.
Dove avvenne la fase più aspra dello scontro?
Si dice: << ponte presso a Benevento…>>
Quale degli innumeri ponti?
Si vuole quello sul fiume Calore: una sorta di Rubicone del Medio Evo. Ma molti misteri restano
ancora irrisolti circa la sua reale collocazione. Da
più parti essa fu identificata sulla piana segata
dal Calore e la cui passerella è denominata Ponte Valentino; da altre, alle porte della città
sull’area fra l’attuale contrada Torre Palazzo e la
contrada Olivola o lungo la sponda di sinistra del
Calore, appena all’esterno delle vecchie mura;
da altri ancora in una zona compresa fra le Contrade Cancelleria e Capodimonte; da altre, infine, in località Serretelle a poca distanza dalla
confluenza del Sabato nel Calore, dal lato di
accesso alla città in direzione di Napoli.
Nella striscia più accreditata e già sito romano
del Ponte Valentino, costruito a ridosso di un
vecchio ponte sannitico, a parere di Falcone
Beneventano in epoca normanna era stato fissato un insediamento nei cui pressi era stata eretta
una chiesa romanica. Vi si affaccia la contrada
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Re Manfredi
detta Saglieta, confinante col punto di confluenza dei fiumi Calore e Tammaro e di rilevante estensione ed importanza strategica.
Potrebbe davvero esservisi consumato l’ultimo,
sanguinoso atto campale fra guelfi e ghibellini?
La pianura, peraltro, si protende su due primarie
arterie di comunicazione del tempo: la via Traiana ed il settimo tratturo Pescasseroli-Candela:
entrambi conducenti a Lucera; entrambi accesso alla Puglia.
Manfredi la elesse a sede di scontro perché avvertì, benché ne avesse sottostimato le forze, il
pericolo d’una irrefrenabile aggressione alla città
tanto cara al padre?
O più semplicemente, se quella fascia fu il teatro
della battaglia, perché da quella parte ritenne di
interdire agli Angioini l’accesso al territorio dauno?
O, ancora perché, ipotizzata la probabilità della
rotta e la portata del danno causato dalla pur
improbabile defezione di ampi ed inimmaginabili
fronti, volle fissarvi il corridoio protetto per una disperata ritirata in direzione della ghibellina e vicina Buonalbergo, frontiera sannitico-pugliese?
O, infine, perché volle solo inscenarvi una manovra di ripiego, secondo consolidata prassi normanno-sveva?
Saverio Papicchio
Re Manfredi
V’è una Piana Rose anche nell’estesa area del
Cubante, ove pure esiste un ponte sul Calore elevato in onore di Ulpio Traiano ed ove la pianura
è presidiata dal quella domus federiciana voluta
a simbolo della estrema presenza e vigilanza
dell’Imperatore, rispetto alle ricorrenti ribellioni
dei Beneventani. In questa località l’ansa del
fiume è limitrofa ad un segmento della via Traiana: la Egnatia, anch’essa veloce via di collegamento con la Puglia. Il trafugamento di vario materiale di scavo accredita l’ipotesi che comunque in sito fosse stata combattuta una importante battaglia.
Carlo gli aveva fatto sapere che intendeva battersi subito.
Toccato nel suo orgoglio, pur non essendo pronto, egli aveva accolto la sfida ed aveva, alla testa dei suoi Saraceni, ingaggiato lotta in prima linea contro la fanteria angioina in soccorso alla
quale era giunta di rincalzo la sleale cavalleria di
Guido di Monforte: a colpi di daga si era data a
mozzare la testa ai cavalli tedeschi, finendo a
colpi di picche e di mazze i cavalieri sbalzati di
sella.
Manfredi, con accanto Tebaldo degli Annebaldi,
si era cacciato nella mischia con fiero sprezzo
del pericolo, ma le ombre della sera ammantarono di desolazione e morte il campo: nessuno
s’era accorto che egli era caduto e che Giorda-
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Re Manfredi
no Lancia e Pietro degli Uberti assieme a molti altri nobili, erano stati presi prigionieri.
Il suo disperato eroismo antifrancese era rifulso
invano: la morte gli era stata inferta senza onore
e gloria di combattimento.
Aveva solo trentaquattro anni.
Era stato un anonimo Picardo ad ucciderlo: senza alcuna consapevolezza di aver colpito il legittimo Sovrano di Sicilia.
Ferito e disarcionato, egli era stato finito da un
gruppo di ignari ribauds e per tre giorni l’Anjou
non ebbe alcuna cognizione della sua morte, né
certezza d’averlo sconfitto, malgrado l’enfasi
trionfalistica permeasse la sua missiv a indirizzata
al Papa.
Caduto in campo; a sera seppellito pietosamente dai suoi amati Saraceni, che avevano invano
incalzato al corale e coraggioso grido Svevia,
con quella parola rievocando lo splendore federiciano, per ordine congiunto di Carlo, del Papa
e del Legato Apostolico Bartolomeo Pignatelli,
l’ultimo Staufen fu disseppellito: le sue spoglie furono esposte ad ogni tipo di affronto, prima
d’essere ufficialmente riconosciute ed identificate dal Conte d’Acerra, dal Conte di Caserta e
dagli zii Giordano e Galvano Lancia. Poi, come
scomunicate, furono gettate tra i rifiuti lungo le
acque del fiume, mentre il Papa vantava di ave-
Saverio Papicchio
Re Manfredi
re il «...cadavere putrido di quell’uomo pestilenziale di Manfredi, la di lui moglie, i figli ed il tesoro...»
l ghibellinismo italiano era in pezzi: i Guelfi avviarono in tutta Italia feroci rappresaglie e cacciarono definitivamente gli Uberti da Firenze. A Farinata, già morto nel 1264, furono risparmiati gli
scempi operati sulla sua famiglia: i palazzi di proprietà furono rasi al suolo e su quelle rovine, al fine di impedirne la ricostruzione, fu aperta Piazza
della Signoria; suo fratello Pietro fu decapitato
ed suoi amici e sostenitori furono arrestati e
mandati a morte. Le residue speranze della importante famiglia sarebbero crollate definitiv amente nell’agosto del 1268, con la sconfitta di
Corradino. I superstiti avrebbero abbandonato
anche Siena, che nel 1274 si sarebbe riconciliata
con Firenze.
Anche gli ultimi discendenti: Azzolino, Neracozzo
e Conticino furono impiccati.
Elena, la figlia del Despota dell’Epiro che Manfredi aveva sposato in seconde nozze, dopo la
morte di Beatrice di Savoia dalla quale era nata
Costanza -andata sposa a Pedro d’Aragona-,
appresa la morte del marito tentò di riparare a
Trani con i quattro figli. Ma le milizie angioine la
catturarono, facendola morire di stenti e priv azioni, dopo cinque anni di insopportabile carcere. I suoi bambini, tutti compresi in un’età fra i
due ed i sei anni, dopo essere stati brutalmente
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Saverio Papicchio 137
Re Manfredi
accecati, furono messi alla catena di una segreta di Castel del Monte e poi del partenopeo Castel dell’Ovo, ove morirono dopo trent’anni di atrocità, sofferenze e stenti.
La politica di Carlo d’Angiò sfuggì presto anche
al controllo della Curia di Roma, che se ne rese
comunque complice. Nei primi mesi del 1267, il
Papa gli scrisse una seconda lettera: «…Se dobbiamo credere alla voce pubblica, le persone
che godono della tua confidenza e che hai
messo a governare le province si arricchirono a
spese delle popolazioni; e tu tolleri le loro malefatte sia perché non dai loro uno stipendio sufficiente, sia perché trattieni quello che dovresti loro dare. Oppressi e dissanguati i popoli invano
da te invocano giustizia: anzi le loro querele - se
è vero quel che ci riferiscono - raramente giungono fino a te. Se tu non vorrai mostrarti affabile
e benigno, se vorrai invece governare dispot icamente i sudditi, ti sarà necessario esser sempre
coperto di corazza e tener la spada in pugno e
sempre avere in armi l'esercito….»
L’ultimo tentativo di far riv ivere il sogno ed il fasto
staufico fu drammaticamente attuato da Corradino, il quindicenne figlio dell’Imperatore Corrado IV e di Elisabetta di Baviera.
A lui guardarono i sostenitori svevi ed egli trasformò in missione della sua vita il proposito di fare giustizia e vendetta alle memorie del nonno
Federico e dello zio Manfredi.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Ma la storia ha le sue vittime.
Ed egli, proprio come già lo zio ed il mitico nonno, anch’egli fu fra esse.
Manfredi fu il re che non calpestava i vinti, ma li
perdonava per poi convertirli.
Egli fu il principe che viveva all’ombra di Federico II e il Re risoluto e preciso.
Le sue passioni paterne contribuirono a formarlo
caratterialmente, lui uomo di cultura, che amava la musica, il canto, la poesia, la caccia, la
lettura della Bibbia, le lettere, la filosofia,
l’università, e la medicina.
I suoi amici erano poeti, glossatori, musicisti, cantanti, fabbricatori di armi e in modo particolare i
lettori della Bibbia.
Questo suo amore per il sapere fu grandemente
contrastato energicamente dal papato, che
preferirà Carlo D’Angiò, uomo duro, bigotto, taciturno, avaro,ascetico, indifferente alle arti, non
amante della musica, della caccia, non rideva
mai, non era amato, ma da tutti temuto.
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Re Manfredi
Manfredi indica il posto dove costruire
Manfredonia
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Il tramonto di Manfredi
Anno
1232
1247
1250
1251
1254
1258
1260
1261
1262
Evento
Nasce in Piemonte
Sposa Beatrice di Savoia
Dopo la morte del padre, div enta
principe di Taranto, conte di Tricarico,
di Gravina, di Montescaglioso e reggente del regno di Sicilia, in nome del
fratello Corrado IV che si trovava in
Germania
Rivalità tra Manfredi e Corrado IV
Con la morte prematura di Corrado IV,
Manfredi si colloca in primo piano nella
scena politica del regno di Sicilia. I
rapporti con il papa Innocenzo IV. La
lunga fuga da Acerra a Lucera. Il tesoro. Falliti i tentativi di accordo con nuovo papa Alessandro IV, Manfredi si dedica all’opera di riconquista del regno
che poteva considerarsi compiuta nel
1257.
Rimasto vedovo, sposa la bellissima Elena di Michelangelo Comneno Ducas,
Deposta d’Epiro
La vittoria a Monteaperti segna
l’apogeo della potenza di Manfredi
Ascesa al soglio pontificio
dell’energico Urbano IV. Deciso a farla
finita con gli Svevi, il nuovo papa riprende le trattative con Carlo D’Angiò.
Manfredi tenta di reagire con l’offerta
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Saverio Papicchio 141
Re Manfredi
1263
1265
1266
di nuove proposte che falliscono completamente.
La lotta riprende con un’alternanza di
vittorie e di sconfitte da ambo le parti.
La chiesa investe definitivamente del
regno di Sicilia Carlo D’Angiò, che viene eletto Senatore di Roma.
A Urbano IV succede Clemente IV, tenace difensore degli interessi della
chiesa. Questi continua ad appoggiare la Casa d’angiò per il possesso del
reame di Sicilia e favorisce la discesa
di Carlo
La battaglia di Benevento e la morte
eroica di Manfredi.
La morte di Manfredi
Lo spaventoso sacco di Benevento e delle terre circostanti durò otto giorni “sotto l’insegna della Croce
e sotto il nome dei difensori della Chiesa”.
Saba Malaspina, pur ostile a Manfredi, descrive lo
stato d’animo dei popoli dopo l’avvento di Carlo
d’Angiò in Italia:
“Ciascuno sommessamente lamentandosi, quasi non
osando parlare, diceva: “Oh, re Manfredi! Te vivo
non abbiamo conosciuto e ora morto ti piangiamo. Ti
credevamo un lupo rapace tra le pecore pascenti in
questo regno, ma in confronto del presente dominio
dal quale secondo la nostra consueta volubilità ci
Saverio Papicchio
Re Manfredi
aspettavamo tanti vantaggi e che abbiamo desiderato, riconosciamo che tu eri un agnello mansueto.
Sentiamo ora quanto erano dolci i tuoi ordini, ora
che subiamo quelli così amari di un altro!”
La ferocia dei soldati di Carlo indignò perfino il pontefice, pur implacabile quando si era trattato di assicurarsi che nessun seguace di Manfredi fosse sfuggito dalle mani del vincitore. La notizia della catastrofe
di Benevento giunse alla regina Elena. Nei primi giorni
dell’invasione Elena con i figli e con la sorella di Manfredi, Costanza, si era rifugiata a Lucera che con la
sua cinta fortificata e con la guarnigione saracena
poteva sembrare al riparo di ogni pericolo. Ma la rapida caduta di fortezze munite come San Germano
e Rocca d’Arce, lo sbandamento delle forze di Manfredi inséguito ai successiv i tradimenti, indussero Elena a trasferirsi a Trani, per imbarcarsi ed andare a
cercare rifugio con i figli in Oriente, presso il padre. Al
momento di partire Elena dovette provare l’immensa
amarezza di vedere allontanarsi da sé quelli che
credeva più fedeli.
Qualcuno rimase e un cronista anonimo ce ne ha
tramandato i nomi: uno era Bartolomeo Amerosio di
Trani, forse armatore, che aveva in città un amico sicuro fedele agli Svevi, il magistrato Lupone de Pav one. I due fedeli pensarono di organizzare il salvataggio di Elena e dei quattro fanciulli imbarcandoli a
Trani, per trasferirli sulla vicina costa greca.
La notizia che Manfredi era morto giunse a Lucera il
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Saverio Papicchio 143
Re Manfredi
tre marzo e nella notte stessa Elena lasciò la città con
poco bagaglio e giunse a Trani: la nave era pronta ,
ma una furiosa mareggiata impedì alla sventurata
d’imbarcarsi.
Fu necessario fermarsi e il custode del castello apprestò gli alloggiamenti per la breve sosta. Era lo stesso
che otto anni prima aveva accolto Elena sposa v enuta a raggiungere Manfredi vittorioso, splendente di
giovinezza e di potenza.
Ma la notte stessa alcuni monaci dei molti inviati dal
pontefice, che da tempo percorrevano il regno predicando la riv olta contro Manfredi, si presentarono al
castello ed in nome della Chiesa e del re Carlo, nuovo sovrano, intimarono al custode, sotto minaccia di
terribili pene non soltanto spirituali, di non lasciar ripartire Elena e i suoi e di tenere tutti prigionieri nel
castello.
La vedova di Manfredi rimase qualche mese prigioniera nel castello di Trani. A Carlo parve per un momento che ella potesse divenire una pedina in un
vasto gioco diplomatico d’influenze nell’Oriente latino, perché figlia del despota d’Epiro, o come eventuale moglie di qualche principe del quale fosse utile
l’alleanza; e volle che fosse condotta a Lagopesole,
dove egli si trovava per parlarle. L’incontro è storicamente certo, ma nessuno può dire quali ne siano
stati lo scopo e il risultato. Elena dovette però del udere le speranze politiche di Carlo, poiché da Trani
venne portata a Nocera condannata a prigionia
Saverio Papicchio
Re Manfredi
perpetua, sebbene mitigata da un trattamento pricipesco.
I documenti della prigionia di Elena sono stati raccolti
e pubblicati da Del Giudice
Separata dai quattro figli, dei quali non le fu data notizia, isolata da tutti quanti erano stati amici fedeli di
Manfredi e ne avevano costituito la Corte, si spense
sei anni dopo in età di ventinove anni…
E’ certo che la primogenita, Beatrice, venne separata dai fratelli: fu rinchiusa nel Catello dell’Ovo a Napoli, in una prigionia abbastanza indulgente dato
che in nessun caso avrebbe potuto vantare diritti,
perché donna e come cadetta, alla successione del
padre. Riuscì a riconquistare la libertà dopo diciott’anni di prigionia nel 1284.
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Re Manfredi
L’atto tremendo della carcerazione fatto dei soldati
Angioini verso la famiglia di Manfredi
I tre maschi vennero rinchiusi in Castel del Monte, la
mirabile costruzione che domina con le sue sei torri la
pianura pugliese, voluta da Federico II.
Nel 1299 erano ancora prigionieri. Dopo trentatre
anni di segregazione vennero trasferiti a Napoli.
Quando tocchiamo la morte di Re Manfredi ci rendiamo conto, di come malvagi sono stati gli uomini
che l’hanno provocata.
Manfredi preferisce la morte alla vergogna della fuga.
C’è un segno che lo colpisce. Nel mettersi l’elmo
sormontato da un’aquila d’argento, il cimiero, che lui
ha assicurato con cura sul copricapo, si stacca e fin isce a terra. Manfredi, allora dice ai suoi guerrieri: Hoc
est signum Dei (è un segno di Dio).
Un soldato racconta: il corpo di Manfredi ferito a
morte era biondo, col viso sereno e l’aspetto piacevole; le guance accese e gli occhi celesti; bianco
come neve nel corpo.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Il ritrovamento del cadavere di Re Manfredi
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Re Manfredi
Manfredi rotola nella polvere, nel campo delle rose
di Benevento, dove da valoroso è caduto.
Il cadavere lo si rinviene domenica 28 Febbraio 1266.
Sappiamo che in un primo tempo Manfredi fu sepolto sotto un tumulto di sassi ammucchiati dai cavalieri
Angioini a ridosso del fiume Calore, a capo di un
ponte che il poeta Dante localizza presso Benevento.
Ciò sarebbe avvenuto tre o quattro giorni dopo la
battaglia del 26 Febbraio 1266.
Alcuni guerrieri raccontano che, Manfrendi fu cercato per più di tre giorni, che non si trovava, e non si sapeva se fosse veramente morto, alla fine fu
riconosciuto da un galantuomo che trovato il corpo
lo mise su di un asino e per le strade andava
gridando: <<Chi accatta Manfredi? Chi accatta
IlManfredi?
copro di Manfredi
>>
fu portato davanti a Carlo
D’Angiò, il quale fece venire tutti i baroni che senza
esitazioni dissero di conoscere in quel cadavere
Manfredi.
Sappiamo ancora che il papa, Clemente IV, qualche
mese più tardi, abbia dato ordine al vescovo di Cosenza di esumare Manfredi e di spargere le ossa altrove.
Per antica definizione, il regno della chiesa era un
vasto territorio e su questo territorio non poteva essere seppellito Manfredi perché era scomunicato.
Si sa che nel Marzo 1266 Clemente IV da l’ordine di
trasferimento a Messina ed alcune altre nozioni pol itiche-regligiose pertinenti al fatto di esumare le ossa
di Manfredi e di poterle verso l’estremo meridione
per disfarsene.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Nell’Aprile del 1300 le ossa di Manfredi si trovano
“fuor del regno, ch’era terra di chiesa” il papato aveva chiaramente dichiarato che per Manfredi essere sepolto in terra di chiesa era troppo onore, tutto
questo dimostra ancor di più la malvagità di questi
uomini di chiesa che nulla hanno delle cose scritte
nella Bibbia che Manfredi leggeva.
Manfredi consegna il decreto della costruzione
della città di Manfredonia
148
Saverio Papicchio 149
Re Manfredi
L
a Bibbia di Re Manfredi
Il Medio Evo è stato, dal punto di vista religioso, un
periodo di grande ignoranza. La Bibbia non esisteva
se non sottoforma di manoscritti in latino, costosi e rari, e la popolazione era in gran parte analfabeta.
Tuttavia, in quei tempi oscuri, vi furono degli uomini e
delle donne che hanno creduto in Cristo per la salvezza e hanno affrontato delle persecuzioni per averla fatta conoscere ad altri. In una lettera del papa
Innocenzo III, si trova questa lamentela datata 1180:
"Una moltituine di laici e di donne trascinati da un
desiderio smodato di conoscere le Scritture hanno
fatto tradurre in lingua francese i Vangeli, le epistole
di Paolo, le moralità di Giobbe e diversi altri libri con
lo scopo colpevole ed insensato di riunirsi, uomini e
donne in segreti conciliaboli, nei quali essi non temono di predicare gli uni agli altri".
Quando si pensa al lavoro che rappresenta una traduzione, al tempo in cui bisognava copiare i testi
manualmente, siamo meravigliati dell'amore di questi
credenti per la Parola di Dio e della loro devozione a
Cristo Gesù.
Oggi come ieri, è la Bibbia a condurre le anime alla
salvezza e a donare la vita. Come apprezzi il priv il egio di poter avere nelle mani il testo della Parol a di
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Dio, di poterti istruire in essa e di poterti riunire con altri tuoi fratelli e sorelle in Cristo nella tua chiesa?
La più importante versione della Bibbia in latino fu la
Vulgata di Girolamo. Il nome Vulgata deriv a da “vulgata editio” (edizione per il popolo). Girolamo, figlio
di cristiani benestanti, studio a Roma la letteratura l atina ed il greco. Fu segretario del vescovo di Roma
Damaso I da cui ricevette l’incarico di tradurre la
Bibbia in latino.
Girolamo si recò prima ad Antiochia di Siria, per apprendere l’ebraico, poi, verso la fine del IV secolo, si
stabilì a Betlemme, dove tradusse l’AT dal testo ebraico, inserendo i libri apocrifi della versione dei settanta; mentre per il NT eseguì una revisione della V etus latina. L’opera fu completata intorno al 405/406.
All’inizio la Vulgata fu molto criticata, ma in seguito
ebbe un grande successo e divenne il testo ufficiale
della chiesa di Roma fino al Concilio Vaticano II. Nel
1546 il Concilio di Trento dichiarò la Vulgata la sola
autentica ed ispirata. Con l’invenzione della stampa,
la Vulgata fu il primo libro ad essere stampato. Fu revisionata sotto i pontificati di Sisto V (1585-1590) e
Clemente VIII (1592-1605) prendendo il nome di Vulgata Sisto Clementina.
Verso il Medio Evo
Nel IV secolo il cristianesimo divenne religione di stato
e poco per volta la Bibbia si allontanò sempre più
dalla gente. L’analfabetismo era grande e
l’insegnamento rimase nelle mani della chiesa, senza
possibilità di verifica. Come era lontano il ricordo
dell’esperienza della chiesa di Berea: (Atti 17:10/11).
150
Saverio Papicchio 151
Re Manfredi
Per tutto il medio evo non vi furono nuove traduzioni
ma avvennero alcuni fatti degni di nota:
La Bibbia dei poveri (Biblia pauperum). I codici iniziarono ad essere illustrate e nelle chiese comparvero gli
affreschi di scene bibliche, da qui il detto di Bibbia
dei poveri. “La pittura è usata nelle chiese perché gli
analfabeti, guardando sulle pareti, leggano ciò che
non sono capaci di decifrare sui codici” (Gregorio
Magno, VI sec).
La Bibbia chiusa. La Bibbia medioevale fu dunque il
regno del colore, della bellezza, della ricchezza. Ma
fu anche una Bibbia generalmente “chiusa”, da v enerare più che da capire. Chiusa perché scritta in latino, una lingua dotta, che rapidamente scompariv a
dall’uso; chiusa perché, per l’alto costo, erano accessibile solo al clero o ai ricchi. Una Bibbia bella, ricca di miniature, ma che nessuno legge.
La Bibbia di Borso d’Este. Fra tutte per lo splendore
delle sue miniature spicca la Bibbia di Borso d’Este
Duca di Ferrara (1455-61). Un’opera in due volumi,
celebre per la sontuosità, l’eleganza e la ricchezza
eccezionale, con riquadri a piena pagina che conferiscono al testo maggiore solennità e ne fanno uno
dei più splendidi monumenti di tutti i tempi. Questo
capolavoro alla fine dell’800 era finito in Svizzera. Fu
riportato in Italia per l’interessamento di Giovanni
Treccani che si riservò i diritti di stampare un certo
numero di copie anastatiche da destinare a bibliofili
e collezionisti. L’originale è conservato nella Biblioteca Estense di Modena. Per quanto si sappia questo è
l’ultimo esemplare copiato a mano.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Versioni medioevali
Nel corso dei secoli il latino divenne sempre più una
lingua dotta, lontana dalla gente; del resto in molti
paesi d’Europa non era stato mai parlato. Inoltre,
verso la fine del medio evo, sorsero dei movimenti,
considerati ereticali dalla chiesa ufficiale, che predicarono un ritorno alla lettura diretta dei testi biblici e
che cominciarono a farli tradurre nella lingua parlata
dal popolo.
Le prime versioni parziali apparvero in Inghilterra ed in
Germania nell’VIII secolo. Nel XII secolo vi furono alcune versioni in Francia e nel XIII secolo in ungherese
e rumeno.
La Dugentista. È la prima versione scritta con sempl icità in italiano volgare. Non si hanno molte notizie ma
si pensa che sia nata probabilmente in uno di quei
centri di fervore religioso ereticale del XIII secolo
(valdesi, albigesi, patarini).
La traduzione di John Wicliff. Il primo grande lavoro di
traduzione della Bibbia in lingua volgare si deve a
Wyclif che intorno al 1380 tradusse la Bibbia
nell’inglese parlato dalla gente, partendo dalla Vulgata. Secondo alcuni, questa traduzione ispirò la rivolta dei contadini del 1381, in Inghilterra.
L’arcivescovo Arundel nel 1408 ed Enrico VII (ancora
sotto Roma) nel 1530 vietarono la lettura della Bibbia
in inglese
La Bibbia di Manfredi è un codice miniato duecentesco scritto dall’amanuense Johensis: questa bellissima Bibbia - che presenta notevoli influssi dell'arte gotica francese e inglese - fu realizzata a Napoli per lo
152
Saverio Papicchio 153
Re Manfredi
stesso Manfredi tra il 1250 e il 1258, come attesta la
dedica al principe: essa fu di prototipo per altri codici, che si pensa siano usciti da una bottega miniatoria di Napoli attiva per la corte e per l’ambiente universitario. A questa bottega si fa riferire anche il famoso esemplare del De arte venandi cum avibus
della Biblioteca Vaticana che è una copia parziale
ma splendidamente illustrata del famoso trattato di
Federico II, certamente commissionata da Manfredi.
Lo scrittore Johensis consegna al re Manfredi la Bibbia
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Pagina Bibbia Re Manfredi
154
Saverio Papicchio 155
Re Manfredi
A
rmatura di Re Manfredi
Inizialmente l’armatura dei cavalieri era costituita da
una cotta di maglia: una specie di tunica fatta di
molti e piccoli anelli di ferro fittamente collegati fra
loro. Nel corso del XII secolo questa corazzatura
andò estendendosi, venendo a proteggere anche le
braccia e le gambe mediante maniche e cosciali di
maglia metallica. Si cominciò anche a portare una
sottocotta imbottita e trapuntata avente il compito
di smorzare i colpi.
Nel Trecento si diffuse tra i cavalieri l’uso di piastre di
ferro per proteggere gli arti, o le parti più esposte di
essi. Anche il torso venne protetto sempre più spesso
con piastre metalliche fissate ad una veste d’arme di
tessuto. Nel secolo successivo, alcuni cavalieri cominciarono a portare una completa armatura metallica, che proteggeva ogni parte del corpo. Il peso
completo di una simile corazzatura si aggirava intorno ai 20 25 kg, così ben distribuiti tuttavia, da consentire ad un guerriero armato di tutto punto, di correre,
saltare o montare a cavallo senza alcun aiuto, anche se, allora come oggi, correvano storie di cavalieri (peraltro del tutto infondate) che si facevano issare
a cavallo con una gru, perché paralizzati dal peso
dell’armatura. In realtà, il vero problema della corazza era un altro: la grande scatola di ferro, quasi senza
aerazione, diventava rapidamente un forno.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
armatura di Re Manfredi
A partire dal XV secolo si
generalizzò l’uso di proteggere i cavalieri con
un’armatura completa di
piastre metalliche, sagomate in modo che le
punte e le lame delle
armi, scivolassero sulle loro superfici levigate.
Questo accorgimento
permetteva di smorzare
la forza dei colpi, e quindi, consentiva di realizzare corazze ragionevolmente leggere. Le armature imitavano spesso le
fogge delle vesti civili. Alcune erano parzialmente
verniciate di nero, sia per proteggere il metallo, sia
per ragioni decorative; altre venivano azzurrate, così
da riflettere i raggi solari e diminuire il riscaldamento
del metallo sotto il sole.
Qualche esemplare di pregio venne decorato al bulino e, nel Cinquecento, si diffuse l’abitudine di incidere i disegni decorativi con l’acido. Bordi e fregi erano spesso in oro, o dorati: finitura che, in alcuni casi
speciali, veniva estesa a tutta l’armatura.
Alcuni pezzi dell’armatura, venivano fissati alla veste
d’armi, ma nel secolo successivo, ogni piastra veniva, di regola, assicurata alle altre per mezzo di corregge, perni o ganci.
Le parti dell’armatura
156
Saverio Papicchio 157
Re Manfredi
Il cimiero: questo ornamento rendeva agevole
l’identificazione sul campo di battaglia, tuttavia già
in quell’epoca, andava perdendo popolarità a fav ore di elmi meno ornati, come il bacinetto con visiera.
Il bacinetto: o elmetto con visiera, nato in Italia nel
XIV secolo, aveva probabilmente in origine una celata ribaltabile sulla fronte. Ma venne poi affermandosi
la più pratica incernieratura laterale, quella che in
Germania veniva scherzosamente chiamata Hundgugel, museruola.
Maglia metallica: nelle cotte di maglia ogni anello
era intrecciato, mentre era ancora aperto, con quattro altri anelli.Poi veniva ribattuto così da chiudersi. Il
peso di una simile corazza si aggirava attorno ai 9-14
kg, in parte gravanti sulle spalle del combattente.
Poiché la maglia era flessibile, un colpo inferto con
forza, poteva provocare serie contusioni, od anche
fratture letali.
Lo scudo: i cavalieri protetti dalla sola maglia metallica, erano molto vulnerabili da parte di forti colpi di
mazza o di lancia. Dovevano perciò proteggersi dietro grandi scudi. Nel Quattrocento, grazie ai progressi
della corazza a piastre, gli scudi divennero molto più
piccoli e leggeri. La spada era l’arma più importante
del cavaliere, il simbolo stesso della cavalleria. Fin
verso la fine del Duecento, la tipica spada da combattimento era a lama larga ed a doppio taglio; ma,
con il diffondersi delle armature a piastre, vennero in
uso spade più lunghe e sottili, adatte a colpire di
punta, così da infilarsi nei sottili spazi, tra una piastra e
l’altra. Venne acquisendo favore anche la mazza
ferrata, eccellente per fracassare le armature. Prima
Saverio Papicchio
Re Manfredi
di impugnare la spada o la mazza, tuttavia, il cavaliere caricava l’avversario con la lancia abbassata.
Anche la lancia venne trasformandosi con il tempo,
aumentando la sua lunghezza e munendosi, a partire
dal Trecento, di una guardia circolare a protezione
dell’impugnatura. Altre armi, come l’ascia da guerra
a manico corto, potevano essere saltuariamente usate nel combattimento a cavallo. Gli spadoni
dall’impugnatura allungata, da afferrare a due mani,
erano invece riservate per i combattimenti a piedi.
Le cavalcature erano un elemento costoso, ma fondamentale, nell’equipaggiamento del cavaliere.
Occorrevano cavalli per combattere, altri per cacciare, altri ancora per le giostre, per i tornei e per trasportare i bagagli. La cavalcatura più costosa era il
destriero, cioè il cavallo da battaglia. Si trattava, generalmente, di uno stallone di grosse dimensioni. La
sua cassa
toracica ne
faceva un
animale
molto solido e resistente, ma
era anche
agile nei
movimenti.
Soldato Re
Manfredi
158
Saverio Papicchio 159
Re Manfredi
I
cibi di Re Manfredi
Con alimentazione medievale ci si riferisce ai
cibi, alle abitudini alimentari, ai metodi di cottura e in generale alla cucina di varie culture
europee nel corso del Medioevo, un'epoca
che si estende, per convenzione, dal 476 al
1492. In tale periodo le diete e la cucina
cambiavano a seconda delle varie zone
dell'Europa e tali cambiamenti posero le basi
della moderna cucina europea.
I cereali erano consumati sotto forma di pane, farinate d'avena, polenta e pasta praticamente da tutti i componenti della società.
Le verdure rappresentavano un'importante
integrazione alla dieta basata sui cereali. La
carne era più costosa e quindi considerata
un alimento più prestigioso ed era per lo più
presente sulle tavole dei ricchi e dei nobili. I
tipi di carne più diffusi erano quelle di maiale
e pollo, mentre il manzo, che richiedeva la disponibilità di una maggiore quantità di terra
per l'allevamento, era meno comune. Il merluzzo e le aringhe erano molto comuni nella
dieta delle popolazioni nordiche, ma veniva
comunque consumata un'ampia varietà di
pesci d'acqua dolce e salata.
Saverio Papicchio
Re Manfredi
La lentezza dei trasporti e le inefficienti tecniche di
trasformazione agroalimentare rendevano estremamente costoso il commercio di cibi sulle lunghe distanze. Per questa ragione il cibo dei nobili era più
esposto alle influenze straniere rispetto a quello consumato dai poveri e dalla gente comune. Dal momento che ciascuna classe sociale cercava di imitare quella a lei immediatamente superiore, le innovazioni dovute al commercio internazionale e alle guerre con paesi stranieri si diffusero gradualmente tra le
classi medio-alte delle città medievali. Oltre all'indisponibilità di certi cibi per ragioni economiche, furono emessi decreti che vietavano il consumo di alcuni
alimenti per alcune classi sociali, e alcune leggi limitarono le possibilità di consumarne in grosse quantità
ai "nuovi ricchi". Alcune norme sociali inoltre prescrivevano che il cibo della classe lavoratrice fosse meno raffinato, perché si credeva che esistesse un'affinità naturale tra il lavoro di una persona e il suo cibo; si
riteneva quindi che il lavoro manuale richiedesse cibi
più scadenti ed economici.
Nel corso del tardo Medioevo iniziò a svilupparsi una
forma di Haute cuisine che andò a costituire uno
standard tra la nobiltà di tutta Europa. I metodi di
conservazione più comuni vedevano l'impiego di agresto[1]. Questi trattamenti, uniti al diffuso impiego di
zucchero[2] e miele, donavano a molti piatti un sapore tendente all'agrodolce. Anche le mandorle erano
molto popolari e usate come addensante in minestra, stufati e salse, in particolare usate sotto forma di
latte di mandorla.
160
Saverio Papicchio 161
Re Manfredi
La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa con i loro
calendari liturgici influenzavano notevolmente le abitudini alimentari; il consumo di carne era proibito ai
cristiani per un buon terzo dell'anno, e tutti i cibi di origine animale, tra cui le uova e i latticini (ma non il
pesce) erano generalmente proibiti durante la quaresima e i digiuni. Inoltre tutti osservavano[5] il digiuno
prima di ricevere l'eucarestia e tali digiuni potevano
durare anche un giorno intero e comportavano l'assoluta astensione dal cibo. Sia la chiesa occidentale
sia quella orientale decretarono che i periodi di festa
dovevano essere alternati ad altri di digiuno. Nella
maggior parte d'Europa i mercoledì, i v enerdì e talvolta i sabati, oltre a varie altre date, tra cui la quaresima e il periodo dell'avvento, erano dedicati al digiuno. La carne e i
prodotti di origine
animale come latte,
formaggio, burro e
uova non erapermessi, si poteva
mangiare solo il pesce. Man
fredi non seguì mai
una così rigida regola, più volte affermò:
<< Gesù con i discepoli non fece
così >>
RE MANFREDI
Saverio Papicchio
Re Manfredi
C
ronologia
1002-1014
Morto Ottone, la dura contesa fra Arduino d'Ivrea e
Enrico II si conclude con l'incoronazione di quest'ultimo.
1027
Corrado II il Salico diviene imperatore romano.
1028
Rainulfo Drengot ottiene la contea di Aversa fra
Capua (principato) e Napoli (ducato), è il primo
possesso normanno nel Sud.
1037
Corrado II emana la Constitutio de feudis .
1042
Guglielmo d'Altavilla si proclama conte di Puglia.
1044
A Milano la lotta fra nobili e cittadini, si conclude
con un governo misto.
1046
Enrico III elegge papa Clemente II, che lo incorona
imperatore.
1053
Papa Leone IX che avanzava pretese sull'Italia meridonale è sconfitto a Civitate dagli eserciti normanni e preso prigioniero.
1056-1106
Regno di Enrico IV.
1059
162
Saverio Papicchio 163
Re Manfredi
Papa Niccolò II riserva ai cardinali l'elezione del
pontefice.
1059
Niccolo II riconosce Roberto d'Altavilla detto il Guiscardo nel ducato di Puglia e Riccardo Quarrel nel
principato di Capua.
1061-1091
Ruggero d'Altavilla libera la Sicilia dagli arabi div enendone conte.
1073
Ildebrano di Soana è papa col nome di Gregorio
VII. Col Dictatus papae inizia la lotta per le investiture (1075-1122).
1076
Enrico IV convoca il concilio di Worms e fa deporre
Gregorio VII. Il papa scomunica l'imperatore e scioglie i suoi sudditi dal vincolo di fedeltà.
1077
Per evitare la scomunica, Enrico IV scende in Italia e
a Canossa, in veste di penitente, chiede ed ottiene
il perdono del papa.
1080
Enrico IV riprende le armi contro Gregorio VII che lo
scomunica nuovamente.
1084
Enrico IV assedia Gregorio VII in Castel Sant'Angelo,
e si fa incoronare imperatore dall'antipapa Clemente III; Roberto il Guiscardo viene in aiuto di Gregorio
VII. Roma, è saccheggiata. Gregorio VII muore a
Salerno (1085).
1090
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Enrico IV riprende la lotta contro il papa Urbano II.
Corrado, figlio di Enrico si schiera dalla parte del
papa e con Matilde di Canossa e diverse città della
lombarde.
1095
Urbano II rinnova la condanna della simonia e delle
investiture laiche. Bandisce la crociata.
1095-1099
La prima crociata per la liberazione dei luoghi santi
della cristianità. VI partecipa l'alta feudalità europea, appoggiata dalle repubbliche marinare di
Genova e Venezia.
1110-11
Enrico V, dopo aver costretto il padre Enrico IV ad
abdicare (1106) scende in Italia e si accorda a Sutri
col Papa Pasquale II sul problema delle investiture.
1115
Matilde di Canossa muore lasciando erede dei suoi
beni la Chiesa.
1116-18
Enrico V torna in Italia per riv endicare i beni feudali
di Matilde e riprende la lotta per le investiture.
1122
Con il concordato di Worms tra Enrico V e Callisto II
pone fine alla lotta per le investiture.
1125-52
Periodo di crisi imperiale durante il quale si affermano e si sviluppano i comuni in Italia.
1130
Scisma fra Innocenzo II costretto all'esilio e Anacleto
II, che appoggiato, da Ruggero II di Sicilia, gli concede la corona dell'Italia meridionale.
164
Saverio Papicchio 165
Re Manfredi
1132-1139
Ribellioni di potentati e comuni del Sud contro Ruggero II. Spedizione dell'imperatore Lotario II e papa
Innocenzo II, che investono Rainulfo di Alife del ducato di Puglia (1137).
1139-1154
Espansione mediterranea del Regno di Sicilia, controllato da re Ruggero II.
1143
I cittadini romani si costituiscono in libero comune.
1145
Arnaldo di Brescia inizia la sua predicazione per una
riforma religiosa.
1147-49
Bernardo di Chiaravalle che ha fondato numerosi
monasteri in Italia, bandisce la seconda crociata.
1152-90
Regno di Federico di Hohenstaufen, detto il Barbarossa. Deciso a restaurare l'autorità imperiale in Italia
discende una prima volta nel 1154-55. Federico entra in Roma, pone fine al libero comune ed è incoronato imperatore dal papa Adriano IV.
1158-62
Seconda discesa del Barbarossa: nella seconda
dieta di Roncaglia egli fissa con la Constitutio de
regalibus i diritti imperiali e incendia le ribelli Crema
e Milano.
1159
Con l'elezione al soglio pontificio di Alessandro, riprende la lotta fra papato e impero sulla questione
delle investiture.
1167-77
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Una forza antimperiale viene costituita a Pontida.
Dopo due anni di ostilità l'esercito imperiale e quello
della lega si affrontano presso Legnano (1176). Federico I, sconfitto, avvia trattative, a Venezia chiude la pace con Alessandro III (1177).
1183
La pace di Costanza chiude la lunga lotta tra i comuni italiani e Federico I: riconoscimento da parte
dei comuni della suprema autorità imperiale, a sua
volta l'imperatore riconosce ai comuni i diritti di regalia e la facoltà di eleggere i propri magistrati.
1186
Il figlio di Federico I, Enrico VI, viene incoronato re
d'Italia. Il matrimonio di Enrico VI con Costanza d'Altavilla figlia del Re Guglielmo di Sicilia assicura l'unione del regno normanno all'impero.
1189
Morte di Guglielmo II di Sicilia. Per impedire la successione di Enrico VI i baroni eleggono re Tancredi
di Lecce.
1190
Muore, durante la terza crociata, Federico Barbarossa; gli succede il figlio Enrico VI, che viene incoronato imperatore. Poi (1195) è incoronato re di Sic ilia.
1197
Morte di Enrico VI. Gli succede, sotto la tutela della
madre Costanza e poi di Innocenzo III, Federico II. Si
scatenano in Germania e in Italia aspre lotte di successione tra Ottone di Brunswick e Filippo di Svevia.
1198-1216
Pontificato di Innocenzo III.
166
Saverio Papicchio 167
Re Manfredi
1202-04
Quarta crociata. Venezia, che aveva fornito le navi
per la spedizione, si assicura importanti basi nell'Egeo e sul mar Nero.
1210
In seguito all'aggressione di Ottone di Brunswick
nell'Italia meridionale, il papa lo scomunica e sostiene Federico II per le corone del regno di Sicilia e
del Sacro Romano Impero (1220).
1212
Federico II viene incoronato re di Germania dal papa alla condizione di non riunificare i possessi imperiali e quelli siciliani di cui viene investito Enrico, suo
figlio.
1220
Rientrato in Italia, Federico II, Stupor Mundi , è incoronato imperatore da Onorio III.
1226
Si costituisce la seconda lega lombarda in funzione
antimperiale.
1227
Federico II non parte per la crociata e il papa soll eva i sudditi del regno di Sicilia dal vincolo di fedeltà.
1230
Da Cassino, dopo la sconfitta delle truppe papali
contro Federico II, Gregorio IX revoca la scomunica
contro l'imperatore e ottiene in cambio nuovi priv ilegi.
1231
Costituzioni di Melfi.
1237
Saverio Papicchio
Re Manfredi
Federico II sconfigge a Cortenuova i comuni della
lega.
1239
Federico II viene scomunicato dal papa, che convoca un concilio per deporre l'imperatore.
1241
I pisani, alleati di Federico II, assaltano la flotta genovese che scortava i vescovi francesi diretti al
concilio e li fanno prigionieri.
1248
Federico II ottiene un grave insuccesso durante l'assedio di Parma.
1249
Enzo, re di Sardegna, figlio di Federico II, viene sconfitto a Fossalta e fatto prigioniero dai bolognesi.
1250
Federico II muore a Fiorentino, gli succede il figlio
Corrado IV.
1251
Corrado IV scende in Italia per prendere possesso
del Regno.
1254
Alla morte di Corrado IV gli succede il figlio minorenne Corradino. Nel Regno di Sicilia governa come
suo tutore, e poi in proprio, Manfredi figlio naturale
dl Federico II.
1259
Una lega di comuni settentrionali sconfigge e cattura a Cassano d'Adda Ezzelino da Romano.
1260
A Montaperti i guelfi di Firenze sono sconfitti dai fuoriusciti ghibellini.
168
Saverio Papicchio 169
Re Manfredi
1265
Carlo d'Angiò scende in Italia contro Manfredi, con
l'appoggio papale.
1266
Battaglia di Benevento: Carlo d'Angiò sconfigge
Manfredi che cade sul campo di battaglia. Carlo
viene incoronato re di Sicilia.
1267-68
Corradino scende in Italia per riconquistare il Regno
di Sicilia. Sconfitto a Tagliacozzo viene consegnato
agli Angioini, ed è decapitato a Napoli.
1282
Scoppia a Palermo la riv olta del vespro (marzo). Pietro III d'Aragona, genero di Manfredi, conquista la
Sicilia. Guerra del vespro fra gli Angioini e gli Aragonesi (1282-1302).
1284
Genova sconfigge Pisa alla Meloria.
1293
Gli ordinamenti di Giano della Bella favoriscono a Firenze il 'popolo minuto' ed escludono dal potere i
nobili.
1294-1303
Pontificato di Bonifacio VIII.
1297
A Venezia la serrata del Maggior consiglio rende la
partecipazione al governo un priv ilegio ereditario
dei patrizi.
1298
La lunga rivalità fra le repubbliche marinare di Genova e Venezia per il predominio in oriente culmina
Saverio Papicchio
Re Manfredi
nella battaglia di Curzola, conclusasi a favore di
Genova.
170
Saverio Papicchio 171
Re Manfredi
Indice
Prefazione
La famiglia di Re Manfredi
Storia delle crociate
I templari
Gli Svevi
Guelfi e Ghibellini
Manfredi in battaglia
I papi e Manfredi
Manfredi e i cavalieri teutonici
I figli di re Manfredi
Manfredi e Manfredonia
La zecca a Manfredonia
Il castello di Re Manfredi
La vita di Re Manfredi
La Bibbia di Re Manfredi
Armatura di Re Manfredi
I cibi di Re Manfredi
Cronologia
Pagina 2
Pagina 4
Pagina 11
Pagina 19
Pagiba 57
Pagina 59
Pagina 62
Pagina 72
Pagina 84
Pagina 87
Pagina 90
Pagina 93
Pagina 99
Pagina 103
Pagina 149
Pagina 155
Pagina 159
Pagina 162