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24 intervista
Quattro chiacchiere con Tullo Mosele – AILOG
Tra conservazione e
rivoluzione
Maurizio Peruzzi
Un visionario con i piedi ben piantati per terra, un uomo capace
di alternare immagini (tecnologicamente) profetiche con esempi concreti di come le tecnologie hanno cambiato, cambiano e
cambieranno le nostre vite. A patto che ci vogliamo davvero
credere e che ci facciamo carico di una rivoluzione culturale
Q
Qual è il problema principale?
L’impreparazione di molti manager
e imprenditori, la resistenza al cambiamento. È un problema soprattutto di
dimensioni: le grandi imprese, quelle con
almeno cinquanta dipendenti, possono
contare su manager preparati, curiosi e
aperti al nuovo.
Veramente l’Italia è piena di grandi imprese trascinate a fondo da imprenditori
e manager incapaci. E di piccole aziende
che lottano e resistono.
Meno male: il 95% del nostro tessuto
industriale è rappresentato da piccole
e medie imprese. Ma sono un uomo di
campo, ogni giorno sono a contatto con
le aziende: il muro di impreparazione al
change management è impressionante.
L’imprenditore medio è il protagonista
negativo di una volgarizzazione delle soluzioni tecnologiche: esistono strumenti
avanzatissimi ma non vengono adottati.
Oppure, al contrario, uno si compra una
Ferrari e non la sa guidare.
E come se lo spiega?
L’imprenditore medio italiano è un accen-
tratore, vuole controllare ogni cosa, non
delega, non si dedica all’organizzazione,
non accetta neppure di aprire un cantiere
di lavoro per analizzare proposte innovative.
Innovazione, tecnologia e organizzazione
sono sinonimi?
Sono interconnesse: il fenomeno più impressionante è la distanza tra le potenzialità
insite nelle nuove tecnologie e le applicazioni pratiche. Eppure potrei riempire due libri
raccontando di come le imprese che hanno
saputo implementare soluzioni tecnologiche
avanzate, modificando di conseguenza la
propria organizzazione, abbiano ottenuto
risultati straordinari.
Quando ha scoperto che la tecnologia è
il driver del cambiamento?
Io sono nato come system engineer alla fine
degli anni ‘70 in IBM, una scuola del pensiero tecnologico. In IBM ebbi la fortuna
di contribuire allo sviluppo delle soluzioni
informatiche mainframe per il mondo delle
aziende manifatturiere. Ricordo a chi non
c’era che in quegli anni i computer erano
agli albori, i PC erano di là da venire, lo
smartphone un oggetto da fantascienza.
Tecnologici si nasce
MBM Italia è una delle più importanti società italiane operative nell’offerta di
soluzioni software per la gestione dei processi logistici e produttivi: ciclo attivo
(vendite, spedizioni e fatturazioni) e CRM, dati tecnici (distinta base, cicli di lavoro, configurazione), calcolo e controllo gestionale, pianificazione dei materiali
e delle risorse, gestione degli acquisti e della produzione, Warehouse Management. Negli ultimi anni MBM ha sviluppato competenze ulteriori nell’ambito del
mobile computing e sull’utilizzo di Internet come infrastruttura di connettività in
particolare a presidio di fasi critiche come la tracciabilità, il controllo dei flussi
logistici, la certificazione delle consegne e il monitoraggio dei livelli di servizio. In
MBM il 95% del personale (circa cinquanta risorse) è rappresentato da ingegneri
laureati con il massimo dei voti. Il sito di riferimento è www.mbm.it.
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Tullo Mosele, consigliere AILOG, coordinatore di AILOG Nord Est, co-fondatore e presidente di
MBM, docente presso i master di logistica dell’Università IUAV di Venezia: “quello che più mi impressiona è la distanza tra le potenzialità insite nelle nuove tecnologie e le applicazioni pratiche”
E allora?
Quando si parla di rivoluzione informatica
si parla di come per esempio alla Grundig fu
possibile risolvere il problema della gestione
dei cicli di produzione grazie a soluzioni,
per quegli anni, avanzatissime. Soluzioni che anticipavano i moderni sistemi di
pianificazione. Eravamo dei logistici ante
litteram. È in quegli anni che ho compreso
come l’apertura alle nuove tecnologie, e ai
cambiamenti che ne derivano, sia una delle
chiavi della competitività.
Perché nel 1980 lei lascia la IBM e fonda
la MBM?
Nei primi anni ’80 esistevano grandi computer di altissima potenza ma venivano venduti
senza applicazioni: in pratica ogni impresa,
una volta acquistato il suo mainframe, doveva
ingegnarsi a creare delle sue soluzioni. O
ricorrere a softwaristi esterni in grado di farlo.
E allora?
IBM aveva creato un team di sviluppatori
impegnati a “riempire” i computer di contenuti. Io ero uno di quelli. E nel 1980 con
altri due soci e amici, Valerio Moro, tuttora
al mio fianco, e Franco Breda creammo la
MBM il cui scopo era quello di “riempire
di contenuti” i grandi mainframe.
Chissà IBM com’è stata contenta…
Ne fu felicissima; perché dal suo ventre si
generavano imprese con persone preparate
che diffondevano il “verbo” informatico sul
territorio. E che naturalmente, nella scelta
delle infrastrutture, privilegiavano IBM.
Che cosa lega l’esperienza di allora a
quella di oggi?
Il servizio. Offrendo soluzioni il problema è
sempre quello di garantire il miglior servizio
possibile. E cioè soluzioni con un ROI sicuro
e definito, in grado di incrementare l’efficienza aziendale in modi certi e misurabili
in un lasso di tempo stabilito.
E qual è il cambiamento principale, da
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Carta d’identità
Nome e cognome: Tullo Mosele
• Luogo
di nascita: Torri di Quartesolo (Vi• cenza) eil 6data
luglio 1950
anagrafici e personali: Tullo Mosele risiede
• Dati
a Padova (dove si è trasferito con i genitori, papà
•
•
“Il problema è sempre quello di garantire il miglior servizio possibile. E cioè soluzioni con un ROI
sicuro e definito, in grado di incrementare l’efficienza aziendale in modi certi e misurabili in un lasso
di tempo stabilito”
allora ad oggi?
L’abbattimento dei costi e delle dimensioni:
la potenza di calcolo che allora occupava una
stanza oggi è racchiusa in un tablet. Un sistema per la pianificazione e il controllo della
produzione che allora costava un miliardo
delle vecchie lire oggi è accessibile a poche
decine di migliaia di euro. La capacità di
spesa costituiva una delle principali barriere
d’accesso. Oggi non più.
Veramente anche oggi il costo continua
ad essere un ostacolo.
Non scherziamo: un magnifico PC di ultima
generazione costa mille euro ed un software
gestionale dalle prestazioni al top è accessibile a tutti. Il problema non è il costo ma la
capacità di innovare.
Come è possibile contribuire a questa
rivoluzione culturale, chi dovrebbe farsene carico?
La leva più importante è la diffusione delle
best practice e quindi tutti devono farsene
carico: associazioni, istituzioni, università,
centri di ricerca e formazione, media. La responsabilità è di tutti ma in modo particolare
delle Associazioni di categoria.
Veramente lei è molto critico verso Confindustria.
Io critico Confindustria ma ne faccio parte.
Va bene la battaglia per la riduzione dell’IRAP, va bene la semplificazione burocratica,
ma è indispensabile coltivare anche una
vision industriale, immaginare un futuro,
cogliere le opportunità posteci a disposizione
dalla tecnologia.
Un esempio pratico?
L’obiettivo: tutoraggio per l’innovazione di
processo. Lo strumento: un’associazione di
imprese che vede collaborare IBM, ACRIB
(Associazione Calzaturieri della Riviera del
Brenta, circa 400 imprese - NdR), MBM, il
Politecnico Calzaturiero, finanziamenti dalla
Regione Veneto. Il metodo: un sistema cloud
dove le piccole realtà possono attingere idee
organizzative e soluzioni innovative.
E funziona?
Scherza? Stiamo trasformando un universo di
quattrocento aziende litigiose e frammentate
in una filiera produttiva dove l’interscambio
di dati, esperienze e best practice è continuo.
Stiamo trasformando quattrocento impren-
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ditori individualisti, diffidenti e gelosi del
loro know-how in una filiera. Tante piccole
aziende reali hanno creato, di fatto, una
grande azienda virtuale.
L’innovazione, quindi, è possibile anche
in una PMI.
Certamente: ma occorre un soggetto trasversale che se ne faccia carico, che comprendendo le difficoltà e le resistenze della
“base” individui un percorso i cui effetti
positivi siano immediatamente percepibili,
fruibili e spendibili.
Quando un’azienda la chiama per un
progetto, qual è la prima cosa che osserva?
Se dell’informatica aziendale fa un uso “confessionale” oppure propositivo.
Uso confessionale?
Un computer usato in modo confessionale è
una postazione dove ti limiti a riversare tutto
quello che hai fatto - i documenti ricevuti, gli
ordini in entrata, le consegne dei fornitori,
bolle e carte varie - e pianifichi le attività:
lanci di produzione, sospesi e così via. Un
confessore virtuale cui racconti tutto quello
che hai fatto, i peccati di omissione, le buone
intenzioni per il futuro.
E non va bene?
Va malissimo: perché non hai fatto altro che
creare un bellissimo sistema di archiviazione.
Ma un’azienda moderna non ha bisogno di
un archivista ma di un sistema propositivo:
non sono io a dover parlare al sistema ma è
il sistema che mi deve parlare, indirizzare,
proporre e pianificare le attività. Io devo
mantenere il controllo, ma il lavoro lo deve
fare la macchina.
•
•
ferroviere, nel 1955) è sposato e ha una figlia,
Christina, oggi responsabile commerciale in MBM.
Curriculum di studi: nel 1974 si laurea in Ingegneria
Elettronica, indirizzo Telecomunicazioni, presso
l’Università di Padova, città dove frequenta l’intero
ciclo di studi dalle elementari al Liceo Scientifico.
Altrettanto formativo è il servizio militare svolto
presso il Battaglione Folgore.
Attività professionale: nel 1976 entra in IBM,
Divisione Industry - Large Account, con il ruolo
di System Engineer. Partecipa a rilevanti progetti di informatizzazione dei processi produttivi,
realizza ex novo applicazioni software in ambito mainframe maturando significative esperienze non solo tecniche ma anche applicative. Nel 1980 lascia IBM e fonda MBM Italia, società
specializzata nella progettazione e realizzazione di sistemi informativi integrati. Nel tempo la
società ha sviluppato un’importante attività anche nell’offerta di software per la gestione dei
processi logistici e produttivi. Tullo Mosele è uno dei soci di maggioranza nonché presidente
della società.
Attività istituzionali: membro del Consiglio direttivo dell’AILOG con delega alle nuove tecnologie nonché coordinatore di AILOG Nord Est. È docente presso l’Università IUAV di Venezia
(Master di Logistica).
Hobbies e passioni: il suo ufficio parla per lui: carte nautiche alle pareti, fotografie di barche
a vela, modellini di imbarcazioni. Il suo “buen retiro” viaggiante: le coste di Istria e Dalmazia.
strepitosi sistemi gestionali, poi trascorre con
altrettanto entusiasmo molti giorni accanto
agli operativi per la formazione, per ascoltare i dubbi, per risolvere le perplessità, per
trasformare i più critici in key users.
Lei conta su una cinquantina di collaboratori. Tutti italiani?
Gli italiani sono bravissimi a fare software, sia
pacchetti integrati che soluzioni personalizzate. Perché gli italiani hanno tutte le qualità
necessarie per la programmazione: fantasia
e tenacia con un pizzico di cocciutaggine.
Come si gestisce in azienda l’impatto
dell’introduzione di tecnologie innovative,
tali da scuotere equilibri consolidati?
In nessun modo il cambiamento deve essere
imposto: deve nascere dal basso, dal convincimento delle persone, e il metodo è la creazione
di team con metodiche di lavoro che consentono di stabilire obiettivi, cadenzare i tempi,
verificare i risultati, correggere le criticità. Se
necessario, nelle realtà di più ampie dimensioni
con decine e decine di persone coinvolte, più
uffici e stabilimenti, ricorrendo a società specializzate nel change management.
Una criticità importante deriva dalla necessità che nei processi di cambiamento
siano coinvolti anche i fornitori.
Certo: occorre sviluppare nuovi rapporti con
i fornitori ragionando in un’ottica di filiera,
così come è accaduto in Ferragamo, Gucci,
Bofrost, tutte realtà con le quali abbiamo
progettato processi importanti che hanno
coinvolto anche PMI. Le grandi imprese
possono fare da scuola per le piccole, stimolandole a migrare da una gestione artigianale
dei processi ad una gestione industriale.
Lei siede nel Consiglio Direttivo dell’AILOG ed è coordinatore di AILOG Nord
Est: tutte le associazioni sono in crisi di
adesioni.
Ciascuno di noi partecipa alla vita di un’Associazione solo se ne riceve in cambio qualcosa.
E i convegni rispondono solo in parte a questa necessità. Io credo che oggi sia necessario
offrire qualche cosa di più strutturato.
Un esempio concreto?
AILOG Nord Est in collaborazione con il
CFLI di Venezia (Consorzio per la Formazione Logistica Intermodale, ente di formazione
Magnifico…
Magnifico? Per niente: c’è da soffrire. Un’azienda che transita da un’informatica che
passivamente assorbe dati ad un’informatica
che proattivamente li elabora e li propone
deve cambiare pelle, necessita di sensori e spie
ovunque, tutto il personale deve coltivare la
certezza del dato e il culto dell’informazione
distribuita in tempo reale.
Qualcuno rischia di spaventarsi.
Tutti si spaventano di fronte all’ignoto, per
questo è così importante la formazione. Per
questo i miei ingegneri, gente laureata con
110 e lode, gente in grado di progettare
“Non scherziamo: il costo delle tecnologie non è più un ostacolo. Un magnifico PC di ultima generazione costa mille euro ed un software gestionale dalle prestazioni al top è accessibile a tutti. Il
problema non è il costo ma la capacità di innovare”
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26 intervista
dell’Autorità Portuale di Venezia - NdR) e
l’Università IUAV di Venezia ha creato la
Logistics Academy che offre formazione a
tutti i livelli, un’attività talmente apprezzata
da essere oggi proposta non solo nel Nord
Est ma anche a Genova, nell’ambito delle
attività di AILOG Nord Ovest. L’adesione
all’AILOG non deve essere effettuata per
senso di appartenenza, ma perché se ne
traggono benefici concreti.
Lei è considerato uno dei massimi esperti
in nuove tecnologie. Quali sono le soluzioni con le maggiori potenzialità di
sviluppo?
Le tecnologie del mobile e tutto quanto è
connesso all’Internet delle cose. L’acquisizione e la condivisione delle informazioni
direttamente dal campo rivoluzionerà, e
ha già cominciato a rivoluzionare presso
le imprese più avvedute, la gestione della
supply chain. Infrastrutture tecnologiche
quali il GPS, il GSM e quindi il 4G permettono una connettività totale, in tempo
reale e ovunque, facendo spesso “parlare” gli
oggetti che comunicano la loro posizione,
il loro status, eventuali criticità. Gli stessi
smartphone si stanno evolvendo in veri e
propri terminali ad uso logistico.
E la tecnologia più “futuribile”?
La firma biometrica che permette una per-
fetta identificazione dei soggetti per esempio
al momento di effettuare una consegna. Una
tecnologia attiva, già in fase di sperimentazione sul campo, non fantascienza.
Quale è la prima cosa che dice ad un suo
ingegnere, il primo giorno che entra in
azienda?
Sei un ingegnere: fai l’ingegnere, cioè progetta e crea. Non vendere a tutti il medesimo
vestito ma inventa un vestito su misura per
ciascuno. Non adattare ad un altro un vestito
che ha funzionato per un precedente cliente:
ma per ciascuno parti da zero, come se fosse
il primo e unico vestito che progetterai in
vita tua.
Ha l’aria di essere una soluzione costosa.
Per niente: le dimostro, conti alla mano, che
forse spenderò qualcosa di più all’avvio, ma
poi recupererò abbondantemente sul ciclo vita,
ridurrò significativamente il ROI rispetto ad
una soluzione “da banco”, otterrò risultati più
performanti. Tutto misurabile e verificabile.
Del resto, in questi anni di crisi, MBM ha
continuato a crescere a doppia cifra, anno su
anno. Un motivo ci sarà.
Qual è la sua massima soddisfazione professionale?
Tornare a trovare un cliente dopo anni e
vedere all’opera una nostra soluzione ancora
perfettamente adeguata alle sue necessità.
Visto che vedo circolare software obsoleti
dopo tre anni, mi vorrà perdonare un moto di
auto - compiacimento, anche a proposito della
competitività della nostra offerta. Oppure
tornare da un cliente dopo la messa a regime
e leggere nei suoi occhi la soddisfazione per i
risultati raggiunti.
Per finire la nostra domanda di rito: qual è
il suo peggior difetto professionale, e quale
la miglior virtù?
Sono un accentratore. Ma a differenza dell’imprenditore medio di cui abbiamo parlato io
so che si tratta di un grave difetto e quindi mi
sforzo di delegare. Il pregio? Sono curioso e
visionario e so che il futuro è nelle mani dei
curiosi e dei visionari. Lo so per esperienza.
“Dell’informatica aziendale occorre fare un uso propositivo e non “confessionale”.
Un computer usato in modo confessionale è una postazione dove ti limiti raccontare
quello che hai fatto, i peccati di omissione, le buone intenzioni per il futuro. Ma in questo modo non hai creato un sistema gestionale ma solo un sistema di archiviazione”
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“Gli italiani sono bravissimi a fare software, sia pacchetti integrati
che soluzioni personalizzate. Perché gli italiani hanno tutte le
qualità necessarie per la programmazione: fantasia e tenacia con
un pizzico di cocciutaggine”
Grazie.
Copyright Il Giornale della Logistica
novembre 2014
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