Attilio Borin Data di nascita: 1930
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Attilio Borin Data di nascita: 1930
Attilio Borin Data di nascita: 1930 (?) Intervista rilasciata in italiano nel mese di ottobre 2004 Intervistatore: Elisanna Dai Pra Io sono Attilio Borin di S. Quirino, via Beorchia 50. Sono stato assunto al Cotonificio Veneziano il 26 aprile 1962. Per i primi tre mesi sono stato ammesso nel ring; avevo preso pratica e mi ero affezionato, ma mi hanno trasferito al reparto dei battitoi, in cui sono rimasto per sette, otto anni. Poi mi hanno tolto da titolare dei battitoi in seguito ad un grosso infortunio avuto da un mio compagno che, andando dentro nella carda si è rovinato tutto il braccio. Allora il direttore ed il capo reparto con tanta forza mi hanno messo in quel posto, nonostante io non volessi perché ero rimasto impressionato da quell’incidente. Lei aveva paura della carda? Perché avendo visto che era rimasto due ore col braccio legato e lui con la mano dentro la carda, mi ha fatto quell’impressione. Ma il direttore mi ha tanto supplicato di prendere il suo posto… Chi era il direttore? Della (?) Che è morto. Poi sono passato tamburiere, dovevo fare pulizia alle carde, che erano vecchie. Avevano messo le guarnizioni nuove e non serviva più fare quel lavoro, che doveva essere fatto quattro volte in otto ore; allora sono passato nei battitoi, e sono rimasto fino all’integrazione dell’82… Intende “Cassa integrazione”? Sì, ho lavorato fino all’82 e il 16 febbraio mi è arrivata la lettera di licenziamento dal Cotonificio; però ho continuato con la cassa integrazione, perché con questa avevo raggiunto quell’età di lavoro, per cui la ditta mi veniva incontro con cinque anni di contributi versati. Così nell’85 sono andato in pensione. Comunque io in questo periodo, anche se qualche spintone di spalla tra compagni lo si dava, ho avuto sempre nel cuore il Cotonificio; lavoravo con passione e amore arrivando a casa la sera, i primi anni in bicicletta, poi mi sono preso la moto, perché io prima sono rientrato dall’estero. Sono stato dieci anni a Zurigo ed avevo una sola figlia poi la seconda… A Zurigo cosa faceva? Lavorava sempre nel tessile? No, lavoravo in una cartiera, si faceva carta, buste… Nel ’66 ho avuto una seconda figlia che ora non ho più. Quando arrivavo alla sera a casa, pioggia o vento che fosse, mi ripetevo di aver guadagnato il pane per i miei figli… andavo a lavorare nonostante la pioggia o il vento, io di malattia (cassa malati) ne ho fatta ben poca, ho fatto tre mesi per l’infortunio. E dove ha perso il dito? Sempre nel posto di quel signore che era andato dentro con la mano prima, se invece di andare dentro con la mano così (ndr: simula il gesto), fossi andato così (ndr: simula il gesto), avrei fatto la stessa fine. Ma allora lei l’infortunio lo ha avuto prima o dopo quel signore? Dopo, dopo! Perché ho preso il suo posto, ché non volevo. Ripercorrendo i vari movimenti all’interno del Cotonificio, lei ha fatto dieci anni in Svizzera poi è tornato ed è stato assunto nel ’62 al Cotonificio inizialmente ai ring… che diciamo era la parte della filatura, da dove il filato usciva sottile, poi dov’ è passato? Adesso non mi ricordo come si chiamava, ma sono passato in un reparto in cui sono stato poco, per passare subito alla cardatura… Ecco mi spieghi come funzionava la cardatura… Si svolgeva che il cotone da dietro alla macchina, ognuno aveva circa 40 macchine cui stare attento, si metteva dietro l’involucro del cotone lavorato al battitoio, e l’uomo addetto lo portava, caricava, su queste macchine… Il cotone che veniva messo dietro la carda, era ancora “in fiocco” o era già “in nastro?” No, era tutto come un velo… Ah! Allora il cotone veniva dal reparto chiamato garzi, dove facevano una specie di velo… Il velo era venuto fuori dalla macchina e passava per un buco e faceva tutti quanti dei cordoni… …che venivano arrotolati in grossi bidoni che giravano a spirale. Questi bidoni venivano messi poi dietro alla carda? No, poi venivano portati in roccatura; andava su un altro reparto poi; noi si faceva solo quello. Allora mi spieghi come funzionava la carda… Un involucro così, si pesava, mi sembra pesasse sui 27-28 kg, lungo un metro, così grosso; però veniva fuori tutto quanto, una volta caricato e quando veniva fuori, la carda girava e lo cardava tutto. Davanti, ché andava dentro sul vaso, era come un velo di donna, una roba finissima finissima… Allora se ho capito bene la carda formava questo velo… Sì… …che all’uscita veniva costretto e fatto entrare a spirale nel bidone. Ma prima della carda come era il cotone? Che reparto c’era prima della carda? Il battitoio. E il battitoio serviva per battere il cotone in modo che uscissero le impurità? Veniva fresato in modo che uscissero le impurità, ma anche in modo che si formasse quella balla da circa 30 kg, che passava sulla carda. Quindi il cotone arrivava pulito… La prima lavorazione era il battitoio, poi passava alla carda, dove veniva messo sui bidoni e poi passava in roccatura, lì facevano le rocche e le spole. Poi andavano ai ring. Poi c’è un altro reparto, la binatura, dove il filato veniva binato per essere più grosso. Quindi lei ha lavorato prima ai ring, poi alla cardatura, poi al battitoio. Dopo sul battitoio hanno messo le macchine moderne e non serviva più. Prima c’erano le guarnizioni larghe così, col cuoio sotto e tutte quante con i “rampini” in modo di purificare il cotone. Poi negli ultimi anni hanno messo le guarnizioni della carda che non serviva più il lavoro di manutenzione che facevo io. Qundi lei si è fatto male facendo il lavoro di manutenzione? Sì, sulle carde con le guarnizioni vecchie; poi mi hanno passato nel battitoio. Nel battitoio con le balle di 4/5 quintali di diverse qualità, si faceva un miscuglio, una mischia, e si tirava fuori una cosa grossa come una bottiglia e passava dalle carde, poi passava in roccatura e finiva sui ring, passava sulle pettinatrici e così, conforme le qualità che erano richieste. Questo era un po’ il ciclo produttivo… Sì, dalla prima all’ultima (fase). Ma si lavorava anche il sintetico, oltre che il cotone, ma era un altro reparto, lì lavoravo se mancava qualcuno o c’era abbondanza, scorta di velo. Mi sono spiegato? Sì, ho capito! Glielo ho chiesto perché una delle difficoltà che abbiamo incontrato in queste interviste è stato capire il ciclo produttivo, anche perché poi ognuno usa dei termini diversi che poi, per chi non ha lavorato, è difficile capire in che reparto si può usare quel termine. Senta, si ricorda qualche episodio, oltre quel signore che si è fatto male? Nel periodo che sono stato lì, di 120/130 operai c’è sempre qualcuno che diceva:“Tu hai lasciato la macchina sporca”, ma siamo sempre rimasti amici tuttora, beh… ora non più, da quando mi è mancata la figlia, non ci muoviamo più. I rapporti col direttore com’erano? Buonissimi; ho avuto solo una discussione, con un capo reparto, pace all’anima sua, che riposi in pace! Eravamo in 3 di S.Quirino, uno abitava qui vicino ma è morto, un altro alle Villotte, che era un istriano. Sembrava che ce l’avesse fissa con quelli di S.Quirino, poi invece negli ultimi anni è venuto anche qui con la moglie ed i figli. Allora avevo un po’ di vigna e gli mettevo via il vino per tutto l’anno, amici come fratelli. A quell’epoca avevamo tre turni alla notte e quando venivamo col turno suo, mi diceva: “Borin, vai in quel reparto!” ed io “Ma se io ho fatto il mio turno di notte in un posto adesso che viene giorno mi sposti in un altro reparto… Lasciami sul mio posto!” Lui rispondeva “Se ti comoda così, sennò ti comoda lo stesso!” “Io ti do gli otto giorni (per il licenziamento)” E lui: “ A me non me ne frega!” Il direttore mi manda a chiamare un giorno da un compagno della commissione interna; io non ho detto nulla, erano le dieci di sera, il giorno dopo mi hanno chiesto: “Ma tu hai dato gli otto giorni a Mario?” “Eh sì!”, “Ma sai che lui può spostarti? Lui così, lui colà”. Il giovedì, quello della commissione viene verso le sei di sera per dirmi: “Guarda che il direttore ti vuole in ufficio!” Io gli dico: “Vieni dentro anche tu che fai parte della commissione interna”. Alla fine sono andato dentro da solo. Il direttore mi chiede: “Che cosa succede?” e io: “Signor Direttore succede così, così… quando arrivo con questo capo reparto, mi sposta…” “Eh ma sa, va bene anche così, perché lei sa fare un sacco di lavori!” Io: “Guardi signor Direttore che quando io faccio il turno di notte, ho una moglie e abito in campagna, non sto in paese” - allora S.Quirino era considerato campagna -“ e devo pagare anche una ragazza che faccia compagnia a mia moglie che non aveva coraggio di dormir da sola”. Lui mi rispose: “E se io la tengo sempre di giorno?” Poi torniamo indietro e mi dice: “Chi ha detto a lei che non può spostarlo?” Io rispondo: “Toppan!”. Lui mi indica la porta e penso che sia finita, ma mi dice “Vedi quella porta? E’ da qui che esce la busta paga e finché esce da qua Toppan non può far nulla. E se io la tengo di giorno così lei non ha più la preoccupazione della famiglia?” “Signor Direttore anche a pulire i gabinetti!” “Per lei questa è l’ultima settimana fatta di notte.” E da allora non sono più stato di notte. Questo è stato l’unico contrasto che ho avuto. Poi con questo caposala siamo diventati amici, non siamo andati più in certi discorsi, ma mi chiedeva bottiglie per il vino, forme di formaggio; altre discussioni non c’erano. Tante volte quando passo di là penso “Quante volte sono entrato qui dentro!” Sempre a Pordenone? No a Torre! Io sono sempre stato a Torre! Avevo già chiesto lavoro a Pordenone, qualche mese prima del Natale ’61. Mi ero rivolto al portinaio e lui mi chiese quanti anni avevo, io risposi che ne avevo trenta, ma ero troppo vecchio, mi rispose. Allora ho inoltrato una domanda alla Zanussi tramite un amico e aspettavo; ma la moglie aveva già una bambina e la casa era sempre vuota l’avevo comprata due anni prima, allora io pensai che fino a che non mi accoglievano la domanda di Zanussi, tornavo via da solo… Perché lei era in Svizzera con sua moglie? Sì Fatto sta che sono partito in febbraio ed ai primi di aprile, quella volta non c’era il telefono, mi hanno comunicato, che avrei avuto un posto fisso in Cotonificio, prima ero vecchio adesso ero tornato giovane! Come mai? Perché richiedevano operai… Perché era in espansione? Sì, ultimamente prendevano anche gente di 50/55 anni; dopo tre, quattro mesi che ero lì dentro, mi arriva la domanda di presentarmi alla Zanussi, a me e ad altri quattro, cinque. Ma io rifiutai, perché ormai ero già venuto via dalla Svizzera, mi ero impratichito con le macchine. Alcuni sono andati via, perché il settore tessile pagava di meno di quello meccanico, ma io non ci badavo, mi bastava avere il lavoro sicuro e non mi sono più presentato alla Zanussi. Quindi ha sempre avuto buoni rapporti? Sì, anche tuttora, anche se tanti sono morti, mamma mia! Mi ricordo un ragazzo lì sulle carde un certo Paolini… Ma con l’età si va avanti, ne ho 75 anch’io. Io sono andato in pensione a 65 anni, con qualche anno in più; io quando passo di là sento qualcosa! Lei in Cotonificio ha partecipato a qualche sciopero? Sì, ma non molti. Forse lavorando negli anni ’60 -’80 che era un periodo abbastanza tranquillo forse… Ma ultimamente quando ci avevano messo in cassa integrazione, facevamo il picchetto una volta a settimana. Il bello è che mia moglie lavorava tre ore al giorno da un privato; i primi anni il padrone le ha versato le marchette, ma il destino vuole che quel giorno in cui mi è arrivata la lettera del licenziamento dal Cotonificio, il 16 febbraio, lei torna a casa verso le 11.30 e mi dice che chiese al padrone perché mancavano dei soldi. Lui le rispose che se gli comodava, era così, che lui soldi non ne aveva. Allora da quel giorno siamo stati a casa tutti e due. E così siamo andati all’ispettorato del lavoro che ha preso tutto quanto e ci è arrivata una raccomandata di trovarci un avvocato. Ma come facevamo? Eravamo entrambi a casa. Ma alle mie figlie non è mai mancato nulla, a me sì perché quando alla sera alle dieci faceva caldo e andavo a prendermi una coca cola, mi domandavo:“Devo prenderla?” Alla fine la prendevo, la mettevo in borsa e la portavo a loro. Ma in Cotonificio? Sì, andavamo al distributore automatico che costava 50 centesimi. A me bastava stare a casa la domenica, avevo un po’ di terra, che ora ho venduto.