La coltivazione delle «Fuji»
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La coltivazione delle «Fuji»
Arboricoltura LE PRIME ESPERIENZE NEL VERONESE La coltivazione delle «Fuji» Descrizione dei cloni utilizzabili, tipologia d’impianto, potatura e diradamento dei frutti, fertilizzazione e irrigazione, difesa, raccolta e conservazione. Nella nota si descrivono i principali aspetti della tecnica colturale delle «Fuji» Gino Bassi, Raffaele Ferraro Tre sono le novità varietali di melo che stanno riscuotendo interesse in questi ultimi anni: in primis il gruppo delle «Gala» sempre più diffuse a scapito di tutte le altre cultivar a maturazione estiva e ultimamente anche delle «Red Delicious», quindi la dolce-acida «Braeburn», gradita soprattutto nei mercati del nord Europa e la giapponese «Fuji», capostipite di una numerosa serie di cloni più colorati (Werth, 1991). Tutte queste varietà, come pure «Pink Lady» di cui già tanto si parla nonostante l’assenza di impianti, sono state selezionate in Paesi asiatici o dell’Oceania in seguito a programmi di breeding mirati al miglioramento delle qualità intrinseche dei frutti (Sansavini, 1994). La «Fuji» è una varietà ottenuta presso la stazione sperimentale di Morioka in Giappone, da un’attività di miglioramento genetico iniziata nel 1939 in cui si sono incrociate le cultivar «Ralls Janet» e «Red Delicious»; dai franchi ottenuti fu selezionato un semenzale, il «Morioka n. 7» denominato poi nel 1962 «Fuji» (foto 1). In un primo momento la «Fuji» si è diffusa rapidamente nel Paese d’origine, sostituendo le varietà genitrici e in seguito le altre, tanto che nel 1990 copriva il 50% della produzione giapponese. Si è sviluppata poi moltissimo anche in Paesi limitrofi quali la Corea, di cui costituisce l’80% della produzione globale di mele, e la Cina. In questi ultimi anni, con l’introduzione di cloni più colorati, sta prendendo piede anche in altri importanti Paesi produttori di mele non asiatici quali il Brasile, gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, il Cile, l’Argentina, il Sud Africa e ultimamente si stanno realizzando impianti anche in Francia e in Italia (Cossio, 1992; Mantinger, 1995). Gli unici dati ufficiali sulla produzione italiana di «Fuji» nel 1997, quelli del Centro operativo ortofrutticolo di Ferrara (1997), stimano una quantità di poco superio- re alle 3.000 tonnellate, di cui più di 2.100 nella provincia di Bolzano, 419 in Emilia-Romagna, 351 in Piemonte e solo 118 nel Veneto. Sicuramente queste esigue quantità sono determinate dallo sfavorevole andamento climatico di quest’anno (sono oltre 150 gli ettari nella sola Emilia-Romagna con una potenzialità di 2.000 tonnellate) e, comunque, appaiono un po’ sottostimate almeno per quel che riguarda il territorio veneto. Nei Paesi orientali il consumatore ha imparato subito a conoscere queste «nuove» mele ed è disposto a pagarle di più rispetto alle tradizionali «Red Delicious», «Granny Smith» e alle stesse «Gala». È probabile prevedere una certa espansione delle «Fuji» anche in Italia, probabilmente a scapito di cultivar tardive come «Granny Smith» e «Imperatore» o forse anche delle più tradizionali mele europee quali la «Red Delicious» e la stessa «Golden Delicious» che cominciano a mostrare qualche «segno dell’età», almeno per quanto riguarda le preferenze dei consumatori. In alcuni panel test eseguiti Foto 1 - Frutti della cultivar «Fuji» standard dal Centro sperimentale di Laimburg (Bolzano), «Fuji», confrontata con mele tradizionalmente coltivate nel bolzanino, è risultata preferita per sapore e croccantezza (Stainer et al., 1995). In altre degustazioni eseguite dal Consorzio Melapiù, sempre «Fuji», pur venduta al prezzo più elevato della sua categoria, è risultata particolarmente apprezzata e preferita dalla gran parte dei consumatori indipendentemente dal suo aspetto esteriore (Mazzotti, 1995). In un recente panel test realizzato dal Centro operativo ortofrutticolo di Ferrara è risultato che la «Fuji» coltivata in pianura presentava valutazioni di gradevolezza identiche alle «Fuji» coltivate in montagna sia in assaggi effettuati in autunno che in inverno e in tutte le condizioni era preferita alla «Golden Delicious» (Nicetto e Febi, 1997). L’interesse dei principali Paesi produttori di mele è motivato dal fatto che le «Fuji» rispondono alle nuove caratteristiche gustative ricercate dal consumatore: buccia sottile, croccantezza, succosità e finezza della polpa, ottimo sapore, elevata dolcezza e acidità contenuta (Sansavini, l.c.; Della Casa et al.,1997). «Fuji» presenta anche una eccellente conservabilità, con mantenimento delle ottime caratteristiche organolettiche per oltre 7-8 mesi senza la necessità di trattamenti post-raccolta (Stainer et al., 1993); ciò la rende particolarmente idonea per l’attuazione della produzione integrata. Si adatta bene a essere coltivata negli areali di pianura; essendo infatti cultivar molto tardiva non è indicata per zone melicole collocate in altitudine per la brevità della stagione vegetativa; in Alto Adige, ad esempio, ne è consigliata la coltivazione solo fino a 300 m slm (Mantinger, l.c.). La qualità che si ottiene in pianura dal punto di vista organolettico è del tutto paragonabile a quella della Bassa atesina in Alto Adige, e questo vale anche per la sua conservabilità; infatti gli indici alla raccolta riscontrati dal Centro sperimentale di Laimburg sono simili a quelli rilevati dall’Istituto sperimentale di frutticoltura della Provincia di Verona. Per contro i difetti principali sono l’aspetto poco attraente del frutto, un po’ troppo grosso, di forma sferica piuttosto irregolare e caratterizzato da una colorazione verde chiara con un L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 51 Arboricoltura sovraccolore rosa-rosso spesso insufficiente sia per estensione e uniformità che per intensità e brillantezza. Può esservi anche presenza di rugginosità piuttosto estesa. Inoltre è soggetta all’alternanza di produzione, risponde male al diradamento chimico, necessita di essere raccolta in più stacchi, presenta talvolta vitrescenza nei frutti (caratteristica peraltro apprezzata nei mercati orientali) (Stainer et al., l.c.). Il tutto fa di «Fuji» una varietà che richiede quindi una particolare e attenta tecnica di coltivazione per contenere al minimo i suoi difetti e ottenere una mela con livelli qualitativi estetici tali da essere apprezzata e valorizzata dal mercato. Descrizione del gruppo «Fuji» La «Fuji» è una varietà diploide caratterizzata da un albero piuttosto vigoroso (simile a «Granny Smith»), con habitus standard, chioma espansa e portamento simile alla «Morgenduft». In vivaio ben reagisce alle tecniche che favoriscono la formazione di rami anticipati. La fioritura è intermedia, contemporanea a «Golden Delicious», in genere di buona entità (foto 2). È cultivar molto fertile, impollinata da «Golden Delicious», dalle «Gala», da «Granny Smith» e da «Red Delicious» delle quali è anche buon impollinatore. L’entrata in produzione è rapida e la produttività abbondante, talvolta eccessiva, ma ciò non compromette la pezzatura dei frutti che rimane accettabile anche in condizioni estreme. Una carica eccessiva di frutti va però a scapito della loro ottimale colorazione (già carente per motivi genetici) e favorisce la sua già naturale tendenza all’alternanza di produzione. Necessita quindi di diradamento energico negli anni di carica ma reagisce scarsamente ai principali diradanti chimici. In Val Padana si raccoglie nella prima decade di ottobre preferibilmente in due o tre stacchi per favorire la colorazione. Non presenta fenomeni di cascola. Il frutto è di notevole pezzatura (diametro superiore a 80 mm e peso medio oltre 230 g, ma che raggiunge anche i 300 g), è di forma sferoidale un po’ cilindrica, piuttosto irregolare. Il colore di fondo è dapprima verde chiaro in seguito giallo, con sovraccolore rosarosso in alcuni cloni uniforme, in altri striato. Nelle parti non esposte del frutto o nei frutti sottochioma il sovraccolore risulta molto limitato e anche la qualità e il sapore ne risentono. Può presentare della rugginosità estesa su porzioni anche abbondanti di buccia soprattutto nei primi anni di produzione, con rischio di fessurazio- 52 L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 ni più o meno consistenti. La polpa è bianca, di tessitura fine, molto croccante, soda e succosa. Il sapore è ottimo, molto dolce, leggermente acidulo. I frutti si conservano a lungo e possono presentare vitrescenza. Il limite nella colorazione ha fatto sì che dalla capostipite «Fuji» siano stati selezionati numerosissimi mutanti migliorativi di questo carattere. Sono più di un centinaio i cloni disponibili che però, anche all’occhio più esperto, spesso sono molto simili (foto 3), talvolta uguali, e ciò ha creato una certa confusione sul mercato vivaistico. La differenziazione più importante è tra i tipi cosiddetti «striati» e quelli con colorazione «uniforme», ma tale distinzione non è sempre così precisa tanto che i francesi hanno proposto tutta una serie di categorie intermedie (Trillot e Masseron, 1995). La causa di questa variabilità è da ricercarsi nell’instabilità genetica che caratterizza i cloni di «Fuji», che al cambiare degli anni o delle località possono presentarsi dapprima di un tipo e in seguito dell’altro o in categorie intermedie (per esempio: «Nagafu 6» inizialmente descritta come uniforme in un secondo tempo si è dimostrata striata, e viceversa per «Nagafu 2») oppure, soprattutto nei tipi striati, mostrare una colorazione a settori, indice di mutazioni di tipo chimerico (Kikuchi et al., 1997). Il clone da ricercare e da preferire nelle piantagioni deve innanzitutto colorare bene e possibilmente essere di tipo «striato» data la preferenza del consumatore verso questo tipo di mele. Tra i cloni di «Fuji» in osservazione, nell’ambito del Progetto finalizza- to del Ministero per le politiche agricole denominato «Liste di orientamento varietale dei fruttiferi» (che coinvolge per il melo ben 15 Unità operative disposte su tutto il territorio nazionale, tra le quali anche l’Istituto sperimentale di frutticoltura della Provincia di Verona), il clone «Nagafu 12» (o «Chofu 12») (foto 4) è risultato il più interessante e quindi posto in lista A tra le varietà da consigliare per la pianura; presenta infatti una colorazione rosso-rosa intenso striato su oltre l’80% del frutto. Altri cloni, come lo striato «Nagafu 6» (o «Chofu 6») (foto 5) e il «Nagafu 2» (o «Chofu 2») (foto 6), sono stati posti in lista B, il primo a causa di una minor sovraccolorazione e il secondo poiché presenta un sovraccolore, intenso ed esteso su oltre il 70% del frutto, ma di tipo uniforme. Altri cloni infine come «Akifu 1» e la precoce «Yataka» Foto 2 - La quantità dei fiori nella «Fuji» sembra limitata, dato il suo portamento, ma la fertilità è elevata Foto 3 - Le differenze tra diversi cloni di «Fuji» sono spesso molto ridotte 2 Red Fuji Morihofu Chofu 2 Chofu 12 3 Arboricoltura Foto 7 - «Yataca», clone di «Fuji» interessante per la maturazione più precoce Foto 4 - «Fuji Chofu 12» (o «Nagafu 12») il clone migliore, posto in lista A tra le cultivar per la pianura nelle liste di orientamento varietale del Mipa Foto 5 - «Fuji Chofu 6» (o «Nagafu 6») Foto 6 - «Fuji Chofu 2» (o «Nagafu 2»), il miglior clone a colorazione uniforme (non striata) Foto 8 - «Fuji BC 2», clone già oggetto di positive osservazioni in diverse stazioni sperimentali (foto 7), sono ancora in lista C necessitando di ulteriori osservazioni prima di poter dare un giudizio definitivo (Fideghelli e Bassi, 1997). Altri cloni striati interessanti, non ancora confrontati nell’ambito del Progetto suddetto, ma oggetto di positive osservazioni in diverse stazioni sperimentali, sono il «Fuji BC 2» (foto 8), il «Kiku 8» e il «Morihofu 3 A». Questi assieme a «Chofu 6» e «Chofu 12», sono tra i cloni più innestati dai vivaisti altoatesini nel 1996 per i nuovi impianti di quest’anno; per la prima volta nei loro vivai la produzione di astoni di «Fuji» supera il 5% del totale anche se è cultivar consigliata solo per il fondovalle (Lugli e Stainer, 1997). Tale materiale però non è ancora certificato e sarà commercializzato senza alcuna etichetta derivando «da produzione propria dei singoli vivaisti». (Weis, 1997). Molto importante quindi è la realizzazione di una continua selezione dei migliori cloni che necessitano di essere costantemente osservati e se necessario rinnovati. Foto 9 - Impianto molto fitto di «Nagafu 6» su sel. P22. Per migliorare il sovraccolore della «Fuji» devono essere impiegate tutte le strategie possibili: in questo caso si sta provando l’efficacia dell’uso di un telo argentato riflettente posto sotto il filare 30 giorni prima della raccolta L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 53 Arboricoltura Foto 10 - Tipico impianto di «Fuji Nagafu 6» su M9 alla 4a foglia con densità di circa 2.800 piante/ettaro Tecnica di coltivazione delle «Fuji» Gli obiettivi da perseguire per la buona realizzazione di un impianto di «Fuji» sono l’ottenimento di una produzione costante negli anni e di una sovraccolorazione omogenea il più intensa ed estesa possibile (foto 9). Ciò vuol dire che questi due obiettivi dovranno essere sempre tenuti presente, dalla localizzazione dell’impianto (zone particolarmente vocate per il colore con terreni drenanti, sciolti, ricchi di scheletro e caldi) alla sua progettazione (clone, sesto d’impianto, portinnesto, sistema d’irrigazione, reti antigrandine) e alle tecniche di coltivazione (allevamento, potatura, concimazione, difesa). Tipologia d’impianto Nonostante la tendenza di questi ultimi anni all’aumento della densità di piantagione, la «Fuji» per il suo comportamento espanso, abbastanza vigoroso, non si adatta bene all’eccessivo infittimento che può creare condizioni favorevoli alla scarsa colorazione dei frutti, in particolare di quelli interni alla chioma. Nel veronese quindi, pur essendo diverse le tipologie di impianto adottate, in genere non si superano le 3.000-3.500 piante/ettaro. La soluzione più comune è caratterizzata da un sesto di 3,5-3,7×1 metro (2.800 piante/ettaro) a fila singola con piante allevate a fusetto (foto 10); in caso di reimpianto sono adottate soluzioni con densità di 3.200-4.000 piante/ettaro sia con file semplici, che con file binate, ma con piante sfalsate allevate a fusetto (foto 11) o a serpentone (foto 12). Sono presenti anche alcuni impianti molto fitti, con densità tra 5.000 e 8.000 piante/ettaro (foto 9) che però sono realizzati su terreni di contenuta fertilità impiegando portinnesti più nanizzanti dell’EMLA 9 (Pajam 1, Last Minute o sel. P22). La buona conduzione 54 L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 Foto 11 - Nuovo reimpianto di «Fuji Chofu 12» su M9 impiegando file binate sfalsate. Al 1° anno si possono ottenere 3-4 frutti per pianta di questi impianti è condizionata anche dall’impiego di una tecnica sofisticata che non è attuabile dalla maggioranza dei frutticoltori. All’impianto gli astoni devono presentare numerosi rami anticipati preformati in vivaio inseriti a un’altezza superiore ai 70 cm, con un angolo di inserzione ben aperto che limita la Foto 12 - Uno tra i più vecchi impianti di «Fuji» su M9 (7 foglia) formazione di bran- allevato a serpentone che vigorose di difficile gestione (foto 14). Le «Fuji» devono essere innestate sui cloni più deboli di M9; il più usato è l’olandese NAKB T337. Un ulteriore controllo della vigoria è dato dall’altezza dell’innesto, che deve essere fuori terra per almeno 15-20 cm. È sconsigliato, quindi, l’impiego di semplici astoni privi di anticipati o l’im- Foto 13 - «Fuji Nagafu 6» alla 3 foglia. Si possono ottenere circa 10 piego di portinne- kg per pianta sti più vigorosi dell’M9 per il maggior lavoro che ne- bo con prodotti a basso impatto amcessitano e per evitare la formazio- bientale (glifosate, glufosinate-ammone di branche vigorose di difficile ge- nio e glifosate trimesio), per una larstione. ghezza di 70-100 cm. In taluni casi si riI meleti di «Fuji», nel Veneto, sono corre alle lavorazioni superficiali sulla inerbiti nell’interfilare; tale tecnica, or- fila che consentono tra l’altro di contemai consolidata, ha un influenza positi- nere i danni provocati dai topi campava sull’estensione del sovraccolore. Sul- gnoli all’apparato radicale e al colletto la fila in genere viene praticato il diser- delle piante. a a Arboricoltura 15 14 Foto 17 - Impianto in piena produzione (alla 4a foglia) di «Fuji Nagafu 6»: si possono ottenere 15-18 Kg per pianta Potatura di allevamento e di produzione Le cure colturali devono permettere la rapida messa a frutto e contemporaneamente sviluppare un’architettura della pianta adatta all’ottenimento di una buona colorazione dei frutti. All’impianto gli astoni sono sfoltiti dai rami al di sotto dei 70 cm o con un angolo di inserzione acuto. La freccia, se vigorosa, è preferibilmente piegata, come pure eventuali laterali anch’essi vigorosi; se deboli, invece, sono leggermente spuntati per favorire il rivestimento. La messa a frutto nei primi 2-3 anni avviene in prevalenza su brindilli e in seguito anche su lamburde e rami misti. È tipico della «Fuji» la presenza di branchette lunghe e spoglie con gemma apicale a fiore; per tale motivo bisogna creare le condizioni per lo sviluppo di formazioni fruttifere ben distribuite su tutto il ramo. La potatura di produzione dal 2°-3° anno deve favorire un moderato rinno- 16 Foto 14 - Esempio di astone ben preparato in vivaio. Foto 15 - Asportazione di rami apicali troppo vigorosi tramite strappo, così da impedire l’emissione di nuovi germogli. Foto 16 - Nella parte mediana e basale della pianta le branche vigorose sono asportate con le forbici, così da favorire un rinnovo con una vegetazione più contenuta Foto 18 - Esempio della facilità all’alternanza di produzione cui è soggetta «Fuji» se non ben diradata vo, eliminando branchette invecchiate, spoglie ed eccessivamente lunghe a favore di giovani brindilli. Lo sviluppo nella parte apicale della freccia di branchette troppo vigorose (in genere con diametro superiore a 1/3 di quello nel punto di inserzione della freccia) può essere contenuto con l’asportazione tramite strappo, così da impedire l’emissione di nuovi germogli (foto 15) e, nello stesso tempo, esercitare una generale azione frenante. Nella parte mediana e basale invece le branche vigorose sono asportate con le forbici così da favorire un rinnovo con una vegetazione più contenuta (foto 16). Operando in tale maniera negli impianti veronesi di «Fuji» si sono ottenuti alcuni frutti per pianta (1 kg circa) già al 1° anno (foto 11) e al 2° anno produzioni intorno a 4-6 kg/pianta, che raggiungono i 10 kg al 3° anno (foto 13). Dal 4° anno in poi si è in piena produzione con quantitativi di circa 15-18 kg/pianta (a seconda della den- sità) (foto 12-17) con produzioni medie annuali per ettaro che non devono essere inferiori ai 450-500 q; tali quantità sono in linea con quelle ottenute in altre regioni. L’ottenimento di queste produzioni elevate e costanti è condizionato da un corretto diradamento dei frutti fin dai primi anni di impianto e da una buona presenza di impollinatori, al fine di favorire l’ottenimento di una forma regolare dei frutti. Diradamento Si è già detto della notevole fertilità della «Fuji» (foto 19); questa cultivar presenta inoltre problemi di alternanza di produzione (foto 18) e di scarsa efficacia dei diradanti chimici auxinici. L’ideale sarebbe avere al massimo un frutto per mazzetto fiorale; per il momento non è ancora stata messa a punto una tecnica efficace che possa sostituire il diradamento manuale. La linea più usata nel veronese per il L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 55 Arboricoltura Foto 19 - La fertilità della «Fuji» può risultare davvero eccessiva Foto 20 - Esempio in cui l’effetto del carbaryl è stato ottimale diradamento chimico è l’impiego del carbaryl a 50-70 g/hl addizionato di 100 cc/hl di olio minerale quando il diametro dei frutticini centrali è circa 10 mm (foto 20). In taluni casi il trattamento è ripetuto dopo una settimana. Nonostante i due interventi è comunque necessario ripassare manualmente il più presto possibile per diradare i numerosi mazzetti con la presenza di 4-5 frutti (foto 21) per avere gli effetti benefici non tanto sulla pezzatura, ma sull’induzione fiorale per l’anno successivo. In alcune prove condotte su «Fuji» presso l’Istituto agrario di S. Michele all’Adige (Trento) si è avuta una buona risposta con l’impiego di una miscela con 50 g/hl di carbaryl+50 cc/hl di NAA (acido naftalenacetico)+100 cc/hl di olio minerale da distribuire quando il frutticino centrale è di 12-14 mm. In questo modo è stata eliminata l’alternanza, anche se può verificarsi la presenza di qualche frutto piccolo ed è comunque necessario completare il dirado manualmente (Comai, comunicazione personale). Vi sono studi anche su altri principi attivi che però non sono ammessi in Italia, almeno come diradanti. In Tasmania, ad esempio, si è visto la buona efficacia sulla pezzatura dei frutti e sulla fioritura dell’anno successivo effettuando un trattamento con 30-40 g/hl di ethephon dall’inizio alla piena fioritura. Inoltre nel proseguimento di tali esperimenti si è vista l’efficacia di un secondo intervento con 14-16 g/hl di benziladenina 23 giorni dopo la piena fioritura (Bound et al., 1993). 140 unità di potassio (K2O) per ettaro (Marangoni et al., 1997). Per favorire la colorazione è necessario non abbondare con gli apporti azotati, contenere al minimo le carenze di magnesio, potassio, microelementi e assicurare al terreno una buona dotazione di sostanza organica. Per conoscere la fertilità del terreno all’impianto è buona pratica eseguire un’analisi del suolo e in seguito, per monitorare le reali condizioni nutritive del meleto, ricorrere alla diagnostica fogliare effettuando le relative analisi una volta nel mese di giugno e una seconda all’inizio di agosto. In tale maniera è più facile individuare sia le macrocarenze, in genere più evidenti, sia le microcarenze, talvolta sottovalutate, da contenere con la realizzazione di trattamenti fogliari da effettuarsi soprattutto nei mesi primaverili. La fertilizzazione non deve assolutamente essere disgiunta da una razionale gestione idrica; entrambe infatti influenzano l’equilibrio vegetativo, nonché la produzione e la qualità dei frutti. La pratica dell’irrigazione nel Veneto è stata fino ad ora delegata a criteri empirici e all’esperienza dei frutticoltori (Bassi e Piva, 1996). È auspicabile l’adozione di sistemi più moderni con l’ausilio di «servizi di assistenza all’irrigazione» che, attraverso il calcolo del bilancio idrico, determinino le effettive esigenze idriche del meleto; potrebbe anche essere ampliata la sperimentazione, iniziata da alcune aziende agricole del Consorzio ortofrutticolo zeviano di Verona, che impiega in abbinamento tensiometri nel terreno e apparecchiature (messe a punto dalla stazione sperimentale francese dell’Inra) chiamate «Pepista» che misurano il potenziale idrico della pianta (Marangoni et al., l.c.). I sistemi irrigui impiegati negli impianti di «Fuji» del veronese sono vari; la preferenza è per quelli localizzati a Fertilizzazione e irrigazione Non vi sono indagini specifiche nel veronese per quanto riguarda le esigenze nutritive delle «Fuji»; valori medi per la coltivazione del melo nei terreni veronesi prevedono la distribuzione annuale di 30-50 unità di azoto (N), 6-25 unità di fosforo (P2O5) e 90- 56 L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 Foto 21 - Nonostante due trattamenti con carbaryl, vi è ancora la presenza di numerosi frutticini che devono essere diradati manualmente microjet o a goccia: il primo è preferibile poiché può avere un’influenza positiva sulla colorazione dei frutti e può essere impiegato anche come difesa antibrina in fioritura. Difesa da parassiti e avversità atmosferiche La difesa delle «Fuji» dai parassiti non differisce sostanzialmente da quella attuata nel Veneto sulle altre cultivar di melo. «Fuji» è più sensibile alla ticchiolatura di «Golden Delicious» e, a causa della raccolta molto tardiva, necessita delle medesime cure riservate alle varietà sensibili, quali «Morgenduft» o simili, sia per le infezioni primarie primaverili, sia per le infezioni estivo-autunnali tipiche delle zone umide veronesi. Tutta la pratica colturale però deve prestare particolare attenzione a mantenere integro l’apparato fogliare non particolarmente abbondante in questa cultivar. Si deve quindi fare attenzione a tutti quei patogeni (ticchiolatura) e parassiti (afidi, minatori fogliari, eriofidi, ragno rosso) che possono alterare negativamente il giusto rapporto tra foglie e frutti (i giapponesi prevedono la presenza di 50 foglie per ogni frutto). In tale maniera è possibile evitare che le piante di «Fuji» in estate appaiano già spoglie o con foglie non efficienti e quindi con scarsa capacità fotosintetica e di metabolizzazione di sufficienti sostanze nutritive (soprattutto negli anni di carica) con influenze negative sul colore e sulla brillantezza dei frutti. In particolare va messa in atto una efficace lotta contro gli eriofidi e si deve operare un’attenta scelta dei fungicidi, realizzando una linea di difesa simile a quella effettuata su «Golden Delicious», dove è preferito l’uso di captano e diclofluanide che hanno un effetto «cosmetico». Dalle osservazioni finora raccolte, le «Fuji» sembrano meno suscettibili Arboricoltura Foto 22 - Esempio di frutti rugginosi Foto 23 - «Fuji» è abbastanza sensibile alle scottature se non è coltivata sotto rete ai cancri rameali causati da Nectria galligena rispetto a «Gala», «Braeburn» e alle «Red Delicious». Da non dimenticare infine la difesa dalle principali avversità atmosferiche: il gelo primaverile che favorisce la presenza di frutti rugginosi (foto 22) o addirittura rugosi (da contenere appunto con l’ausilio di impianti antibrina) e la grandine. «Fuji» è una varietà tardiva e, quindi, ha un rischio grandine molto elevato (nel 1996 ha grandinato il 15 settembre); vista la frequenza e l’intensità con cui si abbatte questa meteora sulla Pianura Padana, e in particolare nella provincia di Verona, diventa indispensabile adottare la difesa attiva con reti antigrandine che, tra l’altro, limitano i danni da scottature a cui «Fuji» è abbastanza soggetta (foto 23). In generale sono impiegate le reti nere che però hanno un effetto negativo sulla colorazione dei frutti; l’impiego di reti bianche, già utilizzate in Francia, potrebbe risolvere questo inconveniente, ma è necessario che aumenti la loro durata cosicché vi sia convenienza economica al loro utilizzo. Raccolta e conservazione La «Fuji» matura nella pianura veneta nella prima metà di ottobre. È necessario raccoglierla in più stacchi al fine di favorire la buona colorazione di tutti i frutti. Non presenta cascola pre-raccolta. I frutti sono immediatamente serbevoli, resistenti alle manipolazioni, senza particolari predisposizioni a fisiopatie come la butteratura amara, anche nelle annate di scarica. È soggetta però alla vitrescenza che, se non eccessivamente estesa, viene riassorbita durante la conservazione (Guarinoni et al., 1996). Non vi è un solo parametro per individuare il momento migliore per la raccolta: si deve raccogliere quando il colore di fondo dei frutti vira da verde a verde pallido, evitando il raggiungimento di una colorazione di fondo gialla che predispone alla vitrescenza. In tale momento i frutti presentano i seguenti indici di raccolta: residuo rifrattometrico di 13-15°Brix (con punte fino a 17-18°Brix), acidità 3,5-4,5 g equivalenti di acido malico per litro di succo e durezza variabile tra 7-9 kg /cm2 (penetrometro con puntale da 11 mm). Di scarsa affidabilità è il test dell’amido (3,5-4,5) anche se si consiglia la raccolta prima che sia completamente degradato. Un altro indice è il periodo dalla piena fioritura alla raccolta che per le «Fuji» è di circa 178-180 giorni. (Werth, 1995; Regione Veneto, 1996). Le «Fuji» si conservano per 7-8 mesi mantenendo inalterate le loro caratteristiche (colore e brillantezza, contenuto zuccherino, consistenza della polpa, peso) senza la necessità di effettuare trattamenti post-raccolta; conservazioni più prolungate possono essere caratterizzate da una perdita di sapore dei frutti dovuta soprattutto all’abbassamento dell’acidità (Guarinoni et al., l.c.). In atmosfera controllata è consigliabile avere una temperatura di 1-1,5 °C, 1,5-2 % di O2, 0,5 -1 % di CO2 e un’umidità relativa elevata (93-95%) (Pratella 1996; Werth, l.c.). Conclusioni In questo momento di crisi per la melicoltura di pianura determinata dall’eccesso strutturale dell’offerta e dalla difficoltà di competere con le crescenti produzioni montane, caratterizzate da migliore qualità estetica e superiore serbevolezza (in particolare le classiche «Golden Delicious» e «Red Delicious») ancorché ben supportate da adeguate politiche di marketing e strategie commerciali, è necessario attuare tutte le iniziative affinché la mela di pianura possa riconquistare un suo spazio e invertire la tendenza negativa di questi ultimi anni. Si è consapevoli ormai della necessità di creare una identità al prodotto «mela di pianura» e dell’importanza di un marchio commerciale (Melinda, La Trentina, Marlene) per l’affermazione di un prodotto sul mercato; è necessario però caratterizzare e differenziare meglio la mela di pianura, anche attraverso una diversa scelta varietale che favorisca la complementarietà con la mela di montagna ed eviti perdenti imitazioni. Sono quindi da sostenere e incentivare iniziative come quella intrapresa dal Consorzio Melapiù dell’Emilia-Romagna che ha attivato uno specifico «Progetto Fuji» per la valorizzazione di questa mela prodotta in pianura (Consorzio Melapiù, 1994). Le novità varietali per la pianura possono essere individuate sia tra le cultivar precoci, come le affermate «Gala», sia soprattutto tra quelle a maturazione tardiva, che non possono essere coltivate in montagna, come le note «Granny Smith» e «Dallago», e le recenti «Fuji», «Pink Lady», «Gold Rush» e altre. «Fuji» presenta quei requisiti che la rendono un’alternativa da non sottovalutare per la melicoltura di pianura anche se è una cultivar difficile da coltivare (al contrario di «Golden Delicious»), con l’obiettivo di ottenere produzioni costanti e di buona qualità estetica; per tale motivo c’è una certa resistenza dei melicoltori a impiantarla. Così non vi è ancora una «massa critica» di prodotto (quest’anno hanno contribuito anche le avverse condizioni climatiche) che permetta di poterla immettere costantemente sul mercato per lunghi periodi, così da farla conoscere al consumatore. Cio è un limite perché se non viene identificata e riconosciuta, magari come una mela «brutta ma buona», non è possibile valorizzarla, nonostante dai panel test effettuati risulti che il suo gusto e la sua croccantezza sono particolarmente apprezzati almeno dal consumatore italiano. Gino Bassi Istituto sperimentale di frutticoltura Provincia di Verona Raffaele Ferraro Apo Scaligera Zevio (Verona) La bibliografia verrà pubblicata negli estratti. L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97 57