La coltivazione delle «Fuji»

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La coltivazione delle «Fuji»
Arboricoltura
LE PRIME ESPERIENZE NEL VERONESE
La coltivazione delle «Fuji»
Descrizione dei cloni utilizzabili, tipologia d’impianto,
potatura e diradamento dei frutti, fertilizzazione e irrigazione, difesa, raccolta e conservazione. Nella nota si
descrivono i principali aspetti della tecnica colturale
delle «Fuji»
Gino Bassi, Raffaele Ferraro
Tre sono le novità varietali di melo
che stanno riscuotendo interesse in
questi ultimi anni: in primis il gruppo
delle «Gala» sempre più diffuse a scapito di tutte le altre cultivar a maturazione estiva e ultimamente anche delle
«Red Delicious», quindi la dolce-acida
«Braeburn», gradita soprattutto nei
mercati del nord Europa e la giapponese «Fuji», capostipite di una numerosa serie di cloni più colorati (Werth,
1991). Tutte queste varietà, come pure
«Pink Lady» di cui già tanto si parla
nonostante l’assenza di impianti, sono
state selezionate in Paesi asiatici o
dell’Oceania in seguito a programmi di
breeding mirati al miglioramento delle
qualità intrinseche dei frutti (Sansavini, 1994).
La «Fuji» è una varietà ottenuta
presso la stazione sperimentale di Morioka in Giappone, da un’attività di miglioramento genetico iniziata nel 1939
in cui si sono incrociate le cultivar
«Ralls Janet» e «Red Delicious»; dai
franchi ottenuti fu selezionato un semenzale, il «Morioka n. 7» denominato
poi nel 1962 «Fuji» (foto 1).
In un primo momento la «Fuji» si è
diffusa rapidamente nel Paese d’origine, sostituendo le varietà genitrici e in
seguito le altre, tanto che nel 1990 copriva il 50% della produzione giapponese. Si è sviluppata poi moltissimo
anche in Paesi limitrofi quali la Corea,
di cui costituisce l’80% della produzione globale di mele, e la Cina. In questi
ultimi anni, con l’introduzione di cloni
più colorati, sta prendendo piede anche in altri importanti Paesi produttori di mele non asiatici quali il Brasile,
gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, il Cile, l’Argentina, il Sud Africa e ultimamente si stanno realizzando impianti
anche in Francia e in Italia (Cossio,
1992; Mantinger, 1995). Gli unici dati
ufficiali sulla produzione italiana di
«Fuji» nel 1997, quelli del Centro operativo ortofrutticolo di Ferrara (1997),
stimano una quantità di poco superio-
re alle 3.000 tonnellate, di cui più di
2.100 nella provincia di Bolzano, 419
in Emilia-Romagna, 351 in Piemonte e
solo 118 nel Veneto. Sicuramente queste esigue quantità sono determinate
dallo sfavorevole andamento climatico di quest’anno (sono oltre 150 gli ettari nella sola Emilia-Romagna con
una potenzialità di 2.000 tonnellate) e,
comunque, appaiono un po’ sottostimate almeno per quel che riguarda il
territorio veneto.
Nei Paesi orientali il consumatore ha
imparato subito a conoscere queste
«nuove» mele ed è disposto a pagarle
di più rispetto alle tradizionali «Red
Delicious», «Granny Smith» e alle stesse «Gala». È probabile prevedere una
certa espansione delle «Fuji» anche in
Italia, probabilmente a scapito di cultivar tardive come «Granny Smith» e
«Imperatore» o forse anche delle più
tradizionali mele europee quali la «Red
Delicious» e la stessa «Golden Delicious» che cominciano a mostrare
qualche «segno dell’età», almeno per
quanto riguarda le preferenze dei consumatori. In alcuni panel test eseguiti
Foto 1 - Frutti della cultivar «Fuji» standard
dal Centro sperimentale di Laimburg
(Bolzano), «Fuji», confrontata con mele tradizionalmente coltivate nel bolzanino, è risultata preferita per sapore e
croccantezza (Stainer et al., 1995). In
altre degustazioni eseguite dal Consorzio Melapiù, sempre «Fuji», pur venduta al prezzo più elevato della sua categoria, è risultata particolarmente apprezzata e preferita dalla gran parte dei
consumatori indipendentemente dal
suo aspetto esteriore (Mazzotti, 1995).
In un recente panel test realizzato dal
Centro operativo ortofrutticolo di
Ferrara è risultato che la «Fuji» coltivata in pianura presentava valutazioni
di gradevolezza identiche alle «Fuji»
coltivate in montagna sia in assaggi effettuati in autunno che in inverno e in
tutte le condizioni era preferita alla
«Golden Delicious» (Nicetto e Febi,
1997).
L’interesse dei principali Paesi produttori di mele è motivato dal fatto
che le «Fuji» rispondono alle nuove
caratteristiche gustative ricercate dal
consumatore: buccia sottile, croccantezza, succosità e finezza della polpa,
ottimo sapore, elevata dolcezza e acidità contenuta (Sansavini, l.c.; Della
Casa et al.,1997). «Fuji» presenta anche una eccellente conservabilità, con
mantenimento delle ottime caratteristiche organolettiche per oltre 7-8 mesi senza la necessità di trattamenti post-raccolta (Stainer et al., 1993); ciò la
rende particolarmente idonea per l’attuazione della produzione integrata.
Si adatta bene a essere coltivata negli areali di pianura; essendo infatti
cultivar molto tardiva non è indicata
per zone melicole collocate in altitudine per la brevità della stagione vegetativa; in Alto Adige, ad esempio, ne è
consigliata la coltivazione solo fino a
300 m slm (Mantinger, l.c.). La qualità
che si ottiene in pianura dal punto di
vista organolettico è del tutto paragonabile a quella della Bassa atesina in
Alto Adige, e questo vale anche per la
sua conservabilità; infatti gli indici alla
raccolta riscontrati dal Centro sperimentale di Laimburg sono simili a quelli rilevati dall’Istituto sperimentale di
frutticoltura della Provincia di Verona.
Per contro i difetti principali sono
l’aspetto poco attraente del frutto, un
po’ troppo grosso, di forma sferica
piuttosto irregolare e caratterizzato da
una colorazione verde chiara con un
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sovraccolore rosa-rosso spesso insufficiente sia per estensione e uniformità che per intensità e brillantezza.
Può esservi anche presenza di rugginosità piuttosto estesa. Inoltre è soggetta all’alternanza di produzione, risponde male al diradamento chimico,
necessita di essere raccolta in più
stacchi, presenta talvolta vitrescenza
nei frutti (caratteristica peraltro apprezzata nei mercati orientali) (Stainer et al., l.c.). Il tutto fa di «Fuji» una
varietà che richiede quindi una particolare e attenta tecnica di coltivazione
per contenere al minimo i suoi difetti e
ottenere una mela con livelli qualitativi estetici tali da essere apprezzata e
valorizzata dal mercato.
Descrizione
del gruppo «Fuji»
La «Fuji» è una varietà diploide caratterizzata da un albero piuttosto vigoroso (simile a «Granny Smith»), con
habitus standard, chioma espansa e
portamento simile alla «Morgenduft».
In vivaio ben reagisce alle tecniche
che favoriscono la formazione di rami
anticipati. La fioritura è intermedia,
contemporanea a «Golden Delicious»,
in genere di buona entità (foto 2). È
cultivar molto fertile, impollinata da
«Golden Delicious», dalle «Gala», da
«Granny Smith» e da «Red Delicious»
delle quali è anche buon impollinatore. L’entrata in produzione è rapida e
la produttività abbondante, talvolta
eccessiva, ma ciò non compromette la
pezzatura dei frutti che rimane accettabile anche in condizioni estreme.
Una carica eccessiva di frutti va però a
scapito della loro ottimale colorazione
(già carente per motivi genetici) e favorisce la sua già naturale tendenza all’alternanza di produzione. Necessita
quindi di diradamento energico negli
anni di carica ma reagisce scarsamente ai principali diradanti chimici. In
Val Padana si raccoglie nella prima decade di ottobre preferibilmente in due
o tre stacchi per favorire la colorazione. Non presenta fenomeni di cascola.
Il frutto è di notevole pezzatura (diametro superiore a 80 mm e peso medio
oltre 230 g, ma che raggiunge anche i
300 g), è di forma sferoidale un po’ cilindrica, piuttosto irregolare. Il colore
di fondo è dapprima verde chiaro in
seguito giallo, con sovraccolore rosarosso in alcuni cloni uniforme, in altri
striato. Nelle parti non esposte del
frutto o nei frutti sottochioma il sovraccolore risulta molto limitato e anche la qualità e il sapore ne risentono.
Può presentare della rugginosità estesa su porzioni anche abbondanti di
buccia soprattutto nei primi anni di
produzione, con rischio di fessurazio-
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ni più o meno consistenti. La polpa è
bianca, di tessitura fine, molto croccante, soda e succosa. Il sapore è ottimo, molto dolce, leggermente acidulo.
I frutti si conservano a lungo e possono presentare vitrescenza.
Il limite nella colorazione ha fatto sì
che dalla capostipite «Fuji» siano stati
selezionati numerosissimi mutanti migliorativi di questo carattere. Sono più
di un centinaio i cloni disponibili che
però, anche all’occhio più esperto,
spesso sono molto simili (foto 3), talvolta uguali, e ciò ha creato una certa
confusione sul mercato vivaistico. La
differenziazione più importante è tra i
tipi cosiddetti «striati» e quelli con colorazione «uniforme», ma tale distinzione non è sempre così precisa tanto
che i francesi hanno proposto tutta
una serie di categorie intermedie (Trillot e Masseron, 1995). La causa di questa variabilità è da ricercarsi nell’instabilità genetica che caratterizza i cloni
di «Fuji», che al cambiare degli anni o
delle località possono presentarsi dapprima di un tipo e in seguito dell’altro
o in categorie intermedie (per esempio: «Nagafu 6» inizialmente descritta
come uniforme in un secondo tempo
si è dimostrata striata, e viceversa per
«Nagafu 2») oppure, soprattutto nei tipi striati, mostrare una colorazione a
settori, indice di mutazioni di tipo chimerico (Kikuchi et al., 1997).
Il clone da ricercare e da preferire
nelle piantagioni deve innanzitutto colorare bene e possibilmente essere di
tipo «striato» data la preferenza del
consumatore verso questo tipo di mele.
Tra i cloni di «Fuji» in osservazione, nell’ambito del Progetto finalizza-
to del Ministero per le politiche agricole denominato «Liste di orientamento varietale dei fruttiferi» (che
coinvolge per il melo ben 15 Unità
operative disposte su tutto il territorio nazionale, tra le quali anche l’Istituto sperimentale di frutticoltura della Provincia di Verona), il clone «Nagafu 12» (o «Chofu 12») (foto 4) è risultato il più interessante e quindi posto in lista A tra le varietà da consigliare per la pianura; presenta infatti
una colorazione rosso-rosa intenso
striato su oltre l’80% del frutto. Altri
cloni, come lo striato «Nagafu 6» (o
«Chofu 6») (foto 5) e il «Nagafu 2» (o
«Chofu 2») (foto 6), sono stati posti in
lista B, il primo a causa di una minor
sovraccolorazione e il secondo poiché presenta un sovraccolore, intenso ed esteso su oltre il 70% del frutto,
ma di tipo uniforme. Altri cloni infine
come «Akifu 1» e la precoce «Yataka»
Foto 2 - La quantità dei fiori nella «Fuji»
sembra limitata, dato il suo portamento, ma
la fertilità è elevata
Foto 3 - Le differenze tra diversi cloni di
«Fuji» sono spesso molto ridotte
2
Red Fuji
Morihofu
Chofu 2
Chofu 12
3
Arboricoltura
Foto 7 - «Yataca»,
clone di «Fuji»
interessante per la
maturazione più
precoce
Foto 4 - «Fuji Chofu 12» (o «Nagafu 12») il
clone migliore, posto in lista A tra le cultivar
per la pianura nelle liste di orientamento
varietale del Mipa
Foto 5 - «Fuji Chofu 6» (o «Nagafu 6»)
Foto 6 - «Fuji Chofu 2» (o «Nagafu 2»), il
miglior clone a colorazione uniforme (non
striata)
Foto 8 - «Fuji BC 2», clone già oggetto
di positive osservazioni
in diverse stazioni sperimentali
(foto 7), sono ancora in lista C necessitando di ulteriori osservazioni prima di poter dare un giudizio definitivo (Fideghelli e Bassi, 1997).
Altri cloni striati interessanti, non
ancora confrontati nell’ambito del Progetto suddetto, ma oggetto di positive
osservazioni in diverse stazioni sperimentali, sono il «Fuji BC 2» (foto 8), il
«Kiku 8» e il «Morihofu 3 A». Questi assieme a «Chofu 6» e «Chofu 12», sono
tra i cloni più innestati dai vivaisti altoatesini nel 1996 per i nuovi impianti
di quest’anno; per la prima volta nei loro vivai la produzione di astoni di
«Fuji» supera il 5% del totale anche se
è cultivar consigliata solo per il fondovalle (Lugli e Stainer, 1997). Tale materiale però non è ancora certificato e
sarà commercializzato senza alcuna
etichetta derivando «da produzione
propria dei singoli vivaisti». (Weis,
1997). Molto importante quindi è la
realizzazione di una continua selezione
dei migliori cloni che necessitano di
essere costantemente osservati e se
necessario rinnovati.
Foto 9 - Impianto
molto fitto di
«Nagafu 6»
su sel. P22.
Per migliorare il
sovraccolore della
«Fuji» devono
essere impiegate
tutte le strategie
possibili: in questo
caso si sta provando
l’efficacia dell’uso
di un telo argentato
riflettente posto
sotto il filare
30 giorni prima
della raccolta
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Arboricoltura
Foto 10 - Tipico impianto di «Fuji Nagafu 6» su M9 alla 4a foglia
con densità di circa 2.800 piante/ettaro
Tecnica di coltivazione
delle «Fuji»
Gli obiettivi da perseguire per la buona realizzazione di un impianto di
«Fuji» sono l’ottenimento di una produzione costante negli anni e di una sovraccolorazione omogenea il più intensa ed estesa possibile (foto 9). Ciò vuol
dire che questi due obiettivi dovranno
essere sempre tenuti presente, dalla localizzazione dell’impianto (zone particolarmente vocate per il colore con terreni drenanti, sciolti, ricchi di scheletro
e caldi) alla sua progettazione (clone,
sesto d’impianto, portinnesto, sistema
d’irrigazione, reti antigrandine) e alle
tecniche di coltivazione (allevamento,
potatura, concimazione, difesa).
Tipologia d’impianto
Nonostante la tendenza di questi ultimi anni all’aumento della densità di
piantagione, la «Fuji» per il suo comportamento espanso, abbastanza vigoroso, non si adatta bene all’eccessivo
infittimento che può creare condizioni
favorevoli alla scarsa colorazione dei
frutti, in particolare di quelli interni alla chioma. Nel veronese quindi, pur essendo diverse le tipologie di impianto
adottate, in genere non si superano le
3.000-3.500 piante/ettaro.
La soluzione più comune è caratterizzata da un sesto di 3,5-3,7×1 metro
(2.800 piante/ettaro) a fila singola con
piante allevate a fusetto (foto 10); in caso di reimpianto sono adottate soluzioni con densità di 3.200-4.000 piante/ettaro sia con file semplici, che con file
binate, ma con piante sfalsate allevate
a fusetto (foto 11) o a serpentone (foto
12). Sono presenti anche alcuni impianti molto fitti, con densità tra 5.000
e 8.000 piante/ettaro (foto 9) che però
sono realizzati su terreni di contenuta
fertilità impiegando portinnesti più nanizzanti dell’EMLA 9 (Pajam 1, Last Minute o sel. P22). La buona conduzione
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Foto 11 - Nuovo reimpianto di «Fuji Chofu 12» su M9 impiegando file
binate sfalsate. Al 1° anno si possono ottenere 3-4 frutti per pianta
di questi impianti è
condizionata anche dall’impiego di
una tecnica sofisticata che non è attuabile dalla maggioranza dei frutticoltori.
All’impianto gli
astoni devono presentare numerosi
rami anticipati preformati in vivaio
inseriti a un’altezza superiore ai 70
cm, con un angolo
di inserzione ben
aperto che limita la Foto 12 - Uno tra i più vecchi impianti di «Fuji» su M9 (7 foglia)
formazione di bran- allevato a serpentone
che vigorose di difficile gestione (foto
14). Le «Fuji» devono essere innestate sui cloni più
deboli di M9; il più
usato è l’olandese
NAKB T337. Un
ulteriore controllo della vigoria è
dato dall’altezza
dell’innesto, che
deve essere fuori
terra per almeno
15-20 cm. È sconsigliato, quindi,
l’impiego di semplici astoni privi di
anticipati o l’im- Foto 13 - «Fuji Nagafu 6» alla 3 foglia. Si possono ottenere circa 10
piego di portinne- kg per pianta
sti più vigorosi
dell’M9 per il maggior lavoro che ne- bo con prodotti a basso impatto amcessitano e per evitare la formazio- bientale (glifosate, glufosinate-ammone di branche vigorose di difficile ge- nio e glifosate trimesio), per una larstione.
ghezza di 70-100 cm. In taluni casi si riI meleti di «Fuji», nel Veneto, sono corre alle lavorazioni superficiali sulla
inerbiti nell’interfilare; tale tecnica, or- fila che consentono tra l’altro di contemai consolidata, ha un influenza positi- nere i danni provocati dai topi campava sull’estensione del sovraccolore. Sul- gnoli all’apparato radicale e al colletto
la fila in genere viene praticato il diser- delle piante.
a
a
Arboricoltura
15
14
Foto 17 - Impianto in piena produzione (alla 4a foglia) di «Fuji
Nagafu 6»: si possono ottenere 15-18 Kg per pianta
Potatura di allevamento e di
produzione
Le cure colturali devono permettere
la rapida messa a frutto e contemporaneamente sviluppare un’architettura
della pianta adatta all’ottenimento di
una buona colorazione dei frutti.
All’impianto gli astoni sono sfoltiti
dai rami al di sotto dei 70 cm o con un
angolo di inserzione acuto. La freccia,
se vigorosa, è preferibilmente piegata,
come pure eventuali laterali anch’essi
vigorosi; se deboli, invece, sono leggermente spuntati per favorire il rivestimento. La messa a frutto nei primi
2-3 anni avviene in prevalenza su brindilli e in seguito anche su lamburde e
rami misti. È tipico della «Fuji» la presenza di branchette lunghe e spoglie
con gemma apicale a fiore; per tale
motivo bisogna creare le condizioni
per lo sviluppo di formazioni fruttifere
ben distribuite su tutto il ramo.
La potatura di produzione dal 2°-3°
anno deve favorire un moderato rinno-
16
Foto 14 - Esempio di astone ben preparato in vivaio. Foto 15 - Asportazione di rami
apicali troppo vigorosi tramite strappo, così da impedire l’emissione di nuovi germogli.
Foto 16 - Nella parte mediana e basale della pianta le branche vigorose sono asportate con
le forbici, così da favorire un rinnovo con una vegetazione più contenuta
Foto 18 - Esempio della facilità all’alternanza di produzione cui è
soggetta «Fuji» se non ben diradata
vo, eliminando branchette invecchiate,
spoglie ed eccessivamente lunghe a favore di giovani brindilli. Lo sviluppo
nella parte apicale della freccia di
branchette troppo vigorose (in genere
con diametro superiore a 1/3 di quello
nel punto di inserzione della freccia)
può essere contenuto con l’asportazione tramite strappo, così da impedire
l’emissione di nuovi germogli (foto 15)
e, nello stesso tempo, esercitare una
generale azione frenante. Nella parte
mediana e basale invece le branche vigorose sono asportate con le forbici
così da favorire un rinnovo con una vegetazione più contenuta (foto 16).
Operando in tale maniera negli impianti veronesi di «Fuji» si sono ottenuti alcuni frutti per pianta (1 kg circa) già al 1° anno (foto 11) e al 2° anno
produzioni intorno a 4-6 kg/pianta, che
raggiungono i 10 kg al 3° anno (foto
13). Dal 4° anno in poi si è in piena
produzione con quantitativi di circa
15-18 kg/pianta (a seconda della den-
sità) (foto 12-17) con produzioni medie annuali per ettaro che non devono
essere inferiori ai 450-500 q; tali quantità sono in linea con quelle ottenute in
altre regioni.
L’ottenimento di queste produzioni
elevate e costanti è condizionato da
un corretto diradamento dei frutti fin
dai primi anni di impianto e da una
buona presenza di impollinatori, al fine di favorire l’ottenimento di una forma regolare dei frutti.
Diradamento
Si è già detto della notevole fertilità
della «Fuji» (foto 19); questa cultivar
presenta inoltre problemi di alternanza di produzione (foto 18) e di scarsa
efficacia dei diradanti chimici auxinici. L’ideale sarebbe avere al massimo
un frutto per mazzetto fiorale; per il
momento non è ancora stata messa a
punto una tecnica efficace che possa
sostituire il diradamento manuale.
La linea più usata nel veronese per il
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Arboricoltura
Foto 19 - La fertilità della «Fuji» può
risultare davvero eccessiva
Foto 20 - Esempio in cui l’effetto del
carbaryl è stato ottimale
diradamento chimico è l’impiego del
carbaryl a 50-70 g/hl addizionato di 100
cc/hl di olio minerale quando il diametro dei frutticini centrali è circa 10 mm
(foto 20). In taluni casi il trattamento è
ripetuto dopo una settimana. Nonostante i due interventi è comunque necessario ripassare manualmente il più
presto possibile per diradare i numerosi mazzetti con la presenza di 4-5 frutti
(foto 21) per avere gli effetti benefici
non tanto sulla pezzatura, ma sull’induzione fiorale per l’anno successivo.
In alcune prove condotte su «Fuji»
presso l’Istituto agrario di S. Michele
all’Adige (Trento) si è avuta una buona risposta con l’impiego di una miscela con 50 g/hl di carbaryl+50 cc/hl
di NAA (acido naftalenacetico)+100
cc/hl di olio minerale da distribuire
quando il frutticino centrale è di 12-14
mm. In questo modo è stata eliminata
l’alternanza, anche se può verificarsi
la presenza di qualche frutto piccolo
ed è comunque necessario completare
il dirado manualmente (Comai, comunicazione personale).
Vi sono studi anche su altri principi
attivi che però non sono ammessi in
Italia, almeno come diradanti. In Tasmania, ad esempio, si è visto la buona
efficacia sulla pezzatura dei frutti e
sulla fioritura dell’anno successivo effettuando un trattamento con 30-40
g/hl di ethephon dall’inizio alla piena
fioritura. Inoltre nel proseguimento di
tali esperimenti si è vista l’efficacia di
un secondo intervento con 14-16 g/hl
di benziladenina 23 giorni dopo la piena fioritura (Bound et al., 1993).
140 unità di potassio (K2O) per ettaro
(Marangoni et al., 1997).
Per favorire la colorazione è necessario non abbondare con gli apporti
azotati, contenere al minimo le carenze di magnesio, potassio, microelementi e assicurare al terreno una buona dotazione di sostanza organica.
Per conoscere la fertilità del terreno
all’impianto è buona pratica eseguire
un’analisi del suolo e in seguito, per
monitorare le reali condizioni nutritive del meleto, ricorrere alla diagnostica fogliare effettuando le relative analisi una volta nel mese di giugno e una
seconda all’inizio di agosto. In tale maniera è più facile individuare sia le macrocarenze, in genere più evidenti, sia
le microcarenze, talvolta sottovalutate, da contenere con la realizzazione di
trattamenti fogliari da effettuarsi soprattutto nei mesi primaverili.
La fertilizzazione non deve assolutamente essere disgiunta da una razionale gestione idrica; entrambe infatti influenzano l’equilibrio vegetativo, nonché la produzione e la qualità dei frutti.
La pratica dell’irrigazione nel Veneto è stata fino ad ora delegata a criteri
empirici e all’esperienza dei frutticoltori (Bassi e Piva, 1996). È auspicabile
l’adozione di sistemi più moderni con
l’ausilio di «servizi di assistenza all’irrigazione» che, attraverso il calcolo
del bilancio idrico, determinino le effettive esigenze idriche del meleto; potrebbe anche essere ampliata la sperimentazione, iniziata da alcune aziende
agricole del Consorzio ortofrutticolo
zeviano di Verona, che impiega in abbinamento tensiometri nel terreno e
apparecchiature (messe a punto dalla
stazione sperimentale francese dell’Inra) chiamate «Pepista» che misurano
il potenziale idrico della pianta (Marangoni et al., l.c.).
I sistemi irrigui impiegati negli impianti di «Fuji» del veronese sono vari;
la preferenza è per quelli localizzati a
Fertilizzazione e irrigazione
Non vi sono indagini specifiche nel
veronese per quanto riguarda le esigenze nutritive delle «Fuji»; valori medi per la coltivazione del melo nei terreni veronesi prevedono la distribuzione annuale di 30-50 unità di azoto
(N), 6-25 unità di fosforo (P2O5) e 90-
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Foto 21 - Nonostante due trattamenti con
carbaryl, vi è ancora la presenza di numerosi
frutticini che devono essere diradati
manualmente
microjet o a goccia: il primo è preferibile poiché può avere un’influenza positiva sulla colorazione dei frutti e può
essere impiegato anche come difesa
antibrina in fioritura.
Difesa da parassiti e avversità
atmosferiche
La difesa delle «Fuji» dai parassiti
non differisce sostanzialmente da
quella attuata nel Veneto sulle altre
cultivar di melo. «Fuji» è più sensibile
alla ticchiolatura di «Golden Delicious» e, a causa della raccolta molto
tardiva, necessita delle medesime cure riservate alle varietà sensibili, quali
«Morgenduft» o simili, sia per le infezioni primarie primaverili, sia per le infezioni estivo-autunnali tipiche delle
zone umide veronesi. Tutta la pratica
colturale però deve prestare particolare attenzione a mantenere integro l’apparato fogliare non particolarmente
abbondante in questa cultivar.
Si deve quindi fare attenzione a tutti
quei patogeni (ticchiolatura) e parassiti (afidi, minatori fogliari, eriofidi, ragno rosso) che possono alterare negativamente il giusto rapporto tra foglie e
frutti (i giapponesi prevedono la presenza di 50 foglie per ogni frutto). In tale maniera è possibile evitare che le
piante di «Fuji» in estate appaiano già
spoglie o con foglie non efficienti e
quindi con scarsa capacità fotosintetica e di metabolizzazione di sufficienti
sostanze nutritive (soprattutto negli
anni di carica) con influenze negative
sul colore e sulla brillantezza dei frutti.
In particolare va messa in atto una
efficace lotta contro gli eriofidi e si deve operare un’attenta scelta dei fungicidi, realizzando una linea di difesa simile a quella effettuata su «Golden Delicious», dove è preferito l’uso di captano e diclofluanide che hanno un effetto «cosmetico».
Dalle osservazioni finora raccolte,
le «Fuji» sembrano meno suscettibili
Arboricoltura
Foto 22 - Esempio di frutti rugginosi
Foto 23 - «Fuji» è abbastanza sensibile alle
scottature se non è coltivata sotto rete
ai cancri rameali causati da Nectria
galligena rispetto a «Gala», «Braeburn» e alle «Red Delicious».
Da non dimenticare infine la difesa
dalle principali avversità atmosferiche:
il gelo primaverile che favorisce la presenza di frutti rugginosi (foto 22) o addirittura rugosi (da contenere appunto
con l’ausilio di impianti antibrina) e la
grandine. «Fuji» è una varietà tardiva e,
quindi, ha un rischio grandine molto elevato (nel 1996 ha grandinato il 15 settembre); vista la frequenza e l’intensità
con cui si abbatte questa meteora sulla
Pianura Padana, e in particolare nella
provincia di Verona, diventa indispensabile adottare la difesa attiva con reti antigrandine che, tra l’altro, limitano i danni da scottature a cui «Fuji» è abbastanza soggetta (foto 23). In generale sono
impiegate le reti nere che però hanno un
effetto negativo sulla colorazione dei
frutti; l’impiego di reti bianche, già utilizzate in Francia, potrebbe risolvere questo inconveniente, ma è necessario che
aumenti la loro durata cosicché vi sia
convenienza economica al loro utilizzo.
Raccolta e conservazione
La «Fuji» matura nella pianura veneta nella prima metà di ottobre. È
necessario raccoglierla in più stacchi al fine di favorire la buona colorazione di tutti i
frutti. Non presenta cascola pre-raccolta. I frutti sono immediatamente serbevoli, resistenti alle manipolazioni, senza particolari predisposizioni a fisiopatie come la butteratura amara,
anche nelle annate di scarica. È
soggetta però alla
vitrescenza che,
se non eccessivamente estesa, viene
riassorbita durante la conservazione
(Guarinoni et al., 1996).
Non vi è un solo parametro per individuare il momento migliore per la raccolta: si deve raccogliere quando il colore di fondo dei frutti vira da verde a
verde pallido, evitando il raggiungimento di una colorazione di fondo gialla che predispone alla vitrescenza. In
tale momento i frutti presentano i seguenti indici di raccolta: residuo rifrattometrico di 13-15°Brix (con punte fino a 17-18°Brix), acidità 3,5-4,5 g equivalenti di acido malico per litro di succo e durezza variabile tra 7-9 kg /cm2
(penetrometro con puntale da 11 mm).
Di scarsa affidabilità è il test dell’amido (3,5-4,5) anche se si consiglia la raccolta prima che sia completamente degradato. Un altro indice è il periodo
dalla piena fioritura alla raccolta che
per le «Fuji» è di circa 178-180 giorni.
(Werth, 1995; Regione Veneto, 1996).
Le «Fuji» si conservano per 7-8 mesi
mantenendo inalterate le loro caratteristiche (colore e brillantezza, contenuto zuccherino, consistenza della
polpa, peso) senza la necessità di effettuare trattamenti post-raccolta;
conservazioni più prolungate possono
essere caratterizzate da una perdita di
sapore dei frutti dovuta soprattutto all’abbassamento dell’acidità (Guarinoni et al., l.c.).
In atmosfera controllata è consigliabile avere una temperatura di 1-1,5 °C,
1,5-2 % di O2, 0,5 -1 % di CO2 e un’umidità relativa elevata (93-95%) (Pratella
1996; Werth, l.c.).
Conclusioni
In questo momento di crisi per la melicoltura di pianura determinata dall’eccesso strutturale dell’offerta e dalla
difficoltà di competere con le crescenti produzioni montane, caratterizzate
da migliore qualità estetica e superiore
serbevolezza (in particolare le classiche «Golden Delicious» e «Red Delicious») ancorché ben supportate da
adeguate politiche di marketing e strategie commerciali, è necessario attuare tutte le iniziative affinché la mela di
pianura possa riconquistare un suo
spazio e invertire la tendenza negativa
di questi ultimi anni.
Si è consapevoli ormai della necessità di creare una identità al prodotto
«mela di pianura» e dell’importanza di
un marchio commerciale (Melinda, La
Trentina, Marlene) per l’affermazione
di un prodotto sul mercato; è necessario però caratterizzare e differenziare
meglio la mela di pianura, anche attraverso una diversa scelta varietale che
favorisca la complementarietà con la
mela di montagna ed eviti perdenti
imitazioni. Sono quindi da sostenere e
incentivare iniziative come quella intrapresa dal Consorzio Melapiù dell’Emilia-Romagna che ha attivato uno
specifico «Progetto Fuji» per la valorizzazione di questa mela prodotta in
pianura (Consorzio Melapiù, 1994).
Le novità varietali per la pianura
possono essere individuate sia tra le
cultivar precoci, come le affermate
«Gala», sia soprattutto tra quelle a maturazione tardiva, che non possono essere coltivate in montagna, come le
note «Granny Smith» e «Dallago», e le
recenti «Fuji», «Pink Lady», «Gold Rush» e altre.
«Fuji» presenta quei requisiti che la
rendono un’alternativa da non sottovalutare per la melicoltura di pianura anche se è una cultivar difficile da coltivare (al contrario di «Golden Delicious»), con l’obiettivo di ottenere produzioni costanti e di buona qualità estetica; per tale motivo c’è una certa resistenza dei melicoltori a impiantarla.
Così non vi è ancora una «massa critica» di prodotto (quest’anno hanno contribuito anche le avverse condizioni climatiche) che permetta di poterla immettere costantemente sul mercato per
lunghi periodi, così da farla conoscere
al consumatore. Cio è un limite perché
se non viene identificata e riconosciuta, magari come una mela «brutta ma
buona», non è possibile valorizzarla,
nonostante dai panel test effettuati risulti che il suo gusto e la sua croccantezza sono particolarmente apprezzati
almeno dal consumatore italiano.
Gino Bassi
Istituto sperimentale di frutticoltura
Provincia di Verona
Raffaele Ferraro
Apo Scaligera
Zevio (Verona)
La bibliografia verrà pubblicata negli estratti.
L ’ I N F O R M A T O R E A G R A R I O 48/97
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