Alla scoperta della Nigeria - Suore Domenicane di Santa Caterina

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Alla scoperta della Nigeria - Suore Domenicane di Santa Caterina
OBIETTIVO DONNA
Alla scoperta
della Nigeria
Centoventi milioni di abitanti e una ricca storia. Le tre comunità delle suore: le
case di Mafoluku e Ibadan, sono nell’area della tribù Yoruba, quella di Abatete
tra gli Igbo. Le caratteristiche di questi due gruppi, dagli abiti ai comportamenti, senza dimenticare gli Hausa. La religione: parte integrante del mondo femminile. La maternità cardine sociale. La strada complessa per capire il valore della
scelta di vita consacrata, realtà in crescita.
L
a Nigeria, generalmente nota
come il “Gigante d’Africa”, fa
parte delle regioni dell’Africa occidentale. È il Paese africano più densamente popolato, costellato di
molte culture, gruppi etnici o tribù
e popoli contraddistinti ognuno da
una ricca storia e da tradizioni sue
proprie. Secondo fonti storiche,
alcune etnie giunsero nella regione
dall’est e dal nord-est del continente. Attualmente la popolazione è
stimata intorno ai 120 milioni.
La maggior parte delle tribù possiede un proprio segno tribale, che
i membri portano tatuato sul corpo,
come segno di appartenenza che
consente loro di riconoscersi facilmente dappertutto. Esistono più di
250 lingue in Nigeria, anche se la
lingua ufficiale e comunemente
parlata è l’inglese.
Le tribù maggiori sono tre: gli Igbo a
oriente, gli Yoruba a occidente e gli
Hausa a settentrione. Accanto si
situano minoranze come gli Efik e gli
Ibibio nell’area Calabar, gli Ikweres a
Port Harcourt, i Tivs e molte altre.
Nel cuore di due delle principali
etnie sono state fondate le nostre
tre comunità: la prima, “Our Lady
of the Holy Rosary” a Mafoluku,
Lagos, e la casa di noviziato a Ibadan, nell’area Yoruba, mentre la
seconda, Abatete, nella parte
orientale del Paese, nell’area Igbo.
GLI YORUBA
Con il termine Yoruba si intende sia
la tribù che la lingua. L’etnia è concentrata soprattutto nel sud-ovest
del Paese. Gli Yoruba vestono in
maniera semplice: le donne generalmente indossano il “buba”, un
tipo di camicia con maniche ampie
fino al polso, abbinato al “wrapper”, un tessuto avvolto intorno alla
vita, e a un foulard di buon pregio.
Ibadan, religiosi e laici in festa, per la prima professione di un gruppo di suore
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l’acqua a tavola. Queste tradizioni
ancora sussistono ed è meraviglioso farne esperienza. Particolarissimo è il fatto che quasi ogni cosa
che accade sotto il cielo è contraddistinta da uno specifico saluto:
“Eku ojo”, ad esempio, quando
piove, “Eku alejo”, nei confronti di
chi accoglie un ospite, “O to jo
meta” quando si incontra una persona dopo più di due giorni,…
GLI IGBO
Una bambina Yoruba mentre danza
I saluti
Il rispetto per le persone maggiori
di età è molto importante fra gli
Yoruba: le persone della stessa età
si conoscono tra di loro e manifestano rispetto e riguardo per coloro
che sono più anziani. Secondo la
tradizione, bisogna rivolgersi nella
maniera appropriata e con le dovute parole persino a chi è più anziano di un solo giorno. Ogni parola di
saluto è adattata all’età della persona a cui ci si rivolge. È obbligatorio per una giovane donna inginocchiarsi dinanzi al più anziano e salutare per prima. L’anziano risponde
al saluto con altrettanto amore e
rispetto a volte tendendo le braccia
o toccando la giovane in un gesto
di amorevole accoglienza e di
benedizione. Inoltre l’anziano
aggiunge
al
suo
saluto
un’espressione del tipo ‘Omomi’
(figlia mia o figlio mio) o ‘Aburo’
(sorellina, fratellino). Gli uomini
rivolgono un profondo inchino o si
prostrano a terra in segno di riguardo. Le mogli si inginocchiano
davanti al marito, per salutarlo, o
prima di servire la pietanza o
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L’etnia Igbo occupa il sud-est del
Paese e in misura minore anche gli
stati del Delta, nella parte centrooccidentale della Nigeria del sud.
Altamente industriosi e portati al
commercio, la loro perizia in quest’ultimo settore spiega il loro stile
di vita itinerante. Secondo un noto
proverbio, un paese dove non esiste nessun Igbo, è un paese senza
vita.
Modo di vestire
Gli Igbo spendono molto per
l’abbigliamento. Le donne amano
usare camicie aderenti abbinate,
sopra a due “wrappers”. È fortemente disdicevole che una donna
sposata indossi un solo wrapper,
come invece accade nelle altre
Una giovane donna Igbo con il suo bambino
(Lagos)
Una elegante signora Yoruba con un
elaborato copricapo
tribù; devono essere due. Gli uomini adorano vestire con ampie e
costose camicie sopra un wrapper
chiamato “Jogi” e portare un
bastone da passeggio, segno di
riguardo, di onore e di ricchezza.
Gli Igbo solitamente si scambiano
un semplice saluto affettuoso. Non
si inchinano né si inginocchiano in
segno di rispetto come gli Yoruba o
gli Hausa; comunque i più giovani
sono tenuti a salutare per primi i
maggiori d’età. Quando questi ultimi anticipano il saluto, i più giovani
si scusano immediatamente, spiegando il motivo per cui si erano
rifiutati di salutare per primi.
Un aspetto particolarissimo degno
di nota, della cultura Igbo, è la concezione del matrimonio. Generalmente esso è molto costoso, a differenza delle altre tribù: prima che
si possa stipulare il contratto matrimoniale, il marito deve aver pagato
una generosa somma in beni e in
denaro. Peculiarità unica del matrimonio Igbo è che il divorzio è quasi
impossibile, tanto che secondo
alcune persone di mente ristretta,
la vera causa del tasso minimo dei
divorzi è l’ingente somma richiesta
LA
RELIGIONE NEL CUORE
DELLE DONNE NIGERIANE
Due giovani di Ibadan
allo sposo. In realtà il matrimonio è
un legame sacro e secondo la cultura Igbo l’orgoglio di una donna
risiede nella casa di suo marito. La
fedeltà al proprio marito e alla casa
matrimoniale è inculcata sin dall’inizio; il matrimonio è veramente il
punto d’onore di una donna…
GLI HAUSA
L’etnia Hausa risiede nell’area settentrionale del Paese. La lingua
comunemente parlata allo stesso
modo si chiama Hausa. Un membro
di tale etnia si può facilmente riconoscere dal suo aspetto, dal modo
di vestire e di danzare. Ad esempio,
gli uomini indossano ampie e lunghe vesti, mentre le donne tessuti
strettamente avvolti in vita e scialli
legati intorno al collo.
Anche gli Hausa manifestano, attraverso il saluto, un grande rispetto
per i più anziani: le donne si inginocchiano, mentre gli uomini si
inchinano in diversi modi. Dopo il
saluto gli uomini usano poggiare la
mano destra sul petto in segno di
riguardo, affetto e unità: questo
gesto conferma che il saluto dell’altro è stato accolto e sarà custodito
gelosamente nel cuore.
La varietà dei gruppi etnici e delle
tribù fa sì che anche la percezione e
la relazione con Dio siano differenti. Considerato inoltre che il Cristianesimo si è diffuso in queste culture con tempi e ritmi diversi, le pratiche religiose tradizionali, sopravvissute in più casi fino a tempi molto
recenti, hanno influenzato la percezione del cristianesimo e particolarmente della vita religiosa.
È generalmente noto che religione
e fede sono i punti chiave per comprendere la vita quotidiana dei
nigeriani, soprattutto delle donne;
sono cioè come le “lenti” attraverso le quali esse guardano all’intera
esistenza: stile di vita, modelli di
pensiero, comportamento, credenze e leggi, così come la concezione
della morte, del dolore e della vita.
Molte religioni coesistono in Nigeria, ma le maggiori sono l’Islam, il
Cristianesimo e la Religione Tradizionale Africana (ATR)
Il Cattolicesimo predomina tra gli
Igbo, nella Nigeria dell’est e nelle
aree strettamente collegate a tale
tribù, mentre l’Islam domina nel
nord e il Protestantesimo e una
sorta di Cristianesimo sincretico
locale sono presenti soprattutto tra
gli Yoruba.
La religione è cara alle donne nigeriane, come l’aria per vivere. È infatti spesso difficile pensare alla persona al di fuori della sua relazione
con Dio, o riconoscere un ateo, tantomeno una donna atea.
Dio è percepito come il grande Dio
– “Olodumare” in Yoruba, “Chiukwu” in Igbo –, ma anche come
Colui che è molto vicino al suo
popolo, che si preoccupa delle
situazioni dei suoi figli, non uno
spettatore lontano. È un Dio personale, come riflettono i diversi nomi
a Lui attribuiti dalle diverse lingue.
La religiosità, sia delle donne consacrate che di tante donne del
Paese, coinvolge tutta la loro vita
nel suo dispiegarsi quotidiano: le
donne sposate sanno e credono
fortemente che la loro riverenza nei
confronti di Dio deve essere vissuta
e manifestata nell’essere buone,
gentili e fedeli a Lui e al prossimo
prendendosi cura dei propri figli e
di tutta la famiglia.
LA
MATERNITÀ
La maternità è una realtà così importante e così “divina” che un matrimonio senza figli è malvisto, quasi
come un’infamia, da tutta la società,
particolarmente nella cultura Igbo.
Le donne si considerano come
l’orgoglio della famiglia, quando
mettono al mondo dei figli, per cui
si definiscono “alberi che portano
frutto” ad indicare la loro fecondità
fisica e ad affermare il fatto che solo
dai figli generati dipende la sopravvivenza dell’individuo e il futuro dell’intera comunità.
Le madri sono anche i primi educatori dei figli: sin dall’inizio si prendono cura della loro socializzazione in
Una mamma che porta il suo bimbo sulla
schiena, in modo tradizionale
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zioni locali, una delle maggiori difficoltà per l’accettazione della vita
religiosa. La continenza assoluta
sembra a molti quasi impossibile
da abbracciare.
In realtà la perplessità più consistente, oggi, ha a che fare con la
sfera economica: non riguarda più il
voto di castità, ma quello di povertà. La gente si domanda perché
una persona bella, piena di energia
e di salute, dovrebbe scegliere di
finire miseramente nella vita religiosa, invece di darsi da fare per riuscire negli affari, acquistare una casa
tutta sua, guidare una macchina di
grossa cilindrata,…: conquistare,
insomma, qualcosa di tangibile.
Un paesaggio nigeriano
modo efficace e rispondono alla
maggior parte dei loro bisogni fisiologici ed emozionali. Sono le madri
che trasmettono gli usi e le credenze della propria terra. L’autore della
vita di Shanahan, in riferimento al
ruolo inequivocabile delle donne in
Nigeria, scrive: “Che splendido
libro per ciascuno di noi, il cuore e
la vita di una madre, da leggere e
approfondire, meditare, imitare e
vivere nelle nostre stesse vite. È la
vita di Dio che si rivela a noi, nel
cuore e nella vita delle nostre
madri… e delle nostre sorelle”1.
I primi missionari compresero la
portata del ruolo della donna in
famiglia e anche che solo puntando
sulle potenzialità delle donne
l’evangelizzazione sarebbe stata
efficace; per questo motivo sostennero la fondazione delle prime
comunità religiose locali. Anche a
livello ecclesiale, fino ad oggi, le
donne rivestono una grande
responsabilità nel processo di istituzione e consolidamento della
fede cattolica e della dottrina. Le
madri infatti provvedono a impartire sistematicamente il catechismo
ai loro figli, con il compito di gettare semi delle virtù cristiane fonda-
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mentali, dei principi e valori che
porteranno frutto in età adulta.
L’APOSTOLATO
LA
PERCEZIONE GENERALE
DELLA VITA RELIGIOSA
La percezione della vita religiosa,
specialmente agli inizi del cristianesimo, era molto diversa a seconda
delle culture e dell’insegnamento
cristiano diffuso in una data area.
In alcune regioni era inimmaginabile qualsiasi valutazione positiva
della vita consacrata, principalmente a causa del voto di castità, che si
poneva in contrasto con la concezione della donna come portatrice
di vita, ossia strumento della generazione dei figli. Per molti era
inconcepibile pensare a un uomo o
una donna che scegliessero di crocifiggersi rinunciando alla generazione di figli. Questi piccoli orizzonti non si limitavano tanto alla riproduzione biologica: ciò che forse
conta più di tutto è che la vita trasmessa dalla donna non era la sua
stessa vita, ma quella del suo popolo. Un bambino infatti non appartiene mai solo ai sui genitori, ma
all’intero gruppo sociale.
L’impegno ad una vita casta costituisce ancora oggi, per le popola-
DELLE RELIGIOSE
È l’impegno apostolico delle religiose che attenua gli ostacoli alla
comprensione del senso della loro
vocazione. Il fatto che molte suore
siano insegnanti di bambini e giovani di diversi ordini di scuola e di
diverse fedi, e che lavorino negli
ospedali, prendendosi cura dei
malati, aiuta a comprendere una
scelta di vita che non è fondata solo
nel partorire bambini, ma si pone
come un modo alternativo di vivere
che non nega la maternità, anzi la
afferma in modo diverso. Le suore
stesse spiegano la risposta alla loro
vocazione in termini di una maternità che fa di loro delle “madri di
tutti” e non solo di alcuni.
Lo stile di vita evangelico fondato
sull’unità nella diversità, sulla
comunione e sull’amore, testimoniato nelle comunità religiose da
sorelle di diverse culture, tribù, persino nazionalità, parla direttamente
al cuore e alla mente delle persone.
La comprensione e l’accoglienza
della vita religiosa trovano meno
difficoltà in quelle tribù, come gli
Igbo, in cui il cristianesimo ha potu-
to porre le sue radici in profondità,
sostenuto da un forte credo pretradizionale che inculcava il valore
della speciale dedicazione e consacrazione agli dei, e delle cose
messe da parte per Dio. In tali
regioni la vita religiosa è apprezzata e sostenuta, perché vista come
una benedizione. Le famiglie si
considerano fortunate se un figlio o
una figlia o persino entrambi manifestano il desiderio di servire il
Signore, perché lo considerano un
segno concreto della presenza e
delle benedizioni di Dio.
La popolazione locale manifesta
una grande stima per la vita domenicana, sostenendo di percepirla
diversa, per la semplicità e l’umiltà,
per il rispetto e l’amore nei confronti di tutti, senza distinzioni
sociali. Uno dei soliti commenti che
riceviamo dai giovani che entrano
in contatto con noi è: “Suore, voi
siete diverse, non siete come gli
altri!”
Noi stesse, nigeriane-domenicane,
possiamo testimoniare che uno
degli aspetti dello stile domenicano che fa sentire un nigeriano
immediatamente a casa sua è il
fondamento della vita comune: una
vita che consente la crescita e la
realizzazione di ciascuno in Dio, e
che incoraggia l’espressione del
meglio di sé; una vita in cui ogni
persona si sente saldamente legata
all’altro nello spirito comunitario. È
come se la vita domenicana fosse
un particolare prolungamento di
quello spirito della famiglia estesa
in cui un nigeriano cresce e vive.
Le persone si meravigliano della
semplicità e dell’umiltà che riconoscono nei domenicani, ad esempio
quando non riescono a distinguere
chi è superiore e chi non lo è. Vedono una santa competizione tra di
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noi e il desiderio di fare il possibile
per servire l’altro nel bene: questo
davvero stupisce la gente del
luogo, che manifesta ammirazione
anche per il modo di parlare non
prepotente o costrittivo, ma gentile
e educato. Semplicemente molte
persone credono nella presenza di
Dio in una comunità domenicana.
IL
BOOM DELLE VOCAZIONI
L’incremento delle vocazioni di speciale consacrazione in Nigeria negli
ultimi anni è stato attribuito a diversi fattori: i problemi economici, le
conseguenze della guerra e della
vita difficile che avrebbe spinto i
giovani a cercare nella vita religiosa
migliori condizioni di vita. Indubbiamente, questi fattori possono
aver contribuito, ma non spiegano
l’intero fenomeno.
Un elemento da prendere sicuramente in considerazione è
l’estrema riverenza nei confronti di
Dio radicata nel cuore e nelle convinzioni dei Nigeriani. La vocazione
presbiterale o religiosa è vista
come chiamata di Dio. Ed è chiaro
che se Dio chiama, nessuno osa
mettere in questione la chiamata o
opporsi ad essa, per timore di ritrovarsi in lotta con Dio. Si verificano
di tanto in tanto dei contrasti con le
famiglie, ma ciò che Dio desidera
per la vita di una persona rimane
per molti un valore assoluto.
Tra i fattori che hanno determinato
il boom delle vocazioni bisogna
tener conto prima di tutto della diffusione del cristianesimo in diverse
regioni
del
Paese:
l’evangelizzazione penetra sempre
più profondamente, rafforzando la
consapevolezza che Dio, nostro
creatore, ama tutta l’umanità e
desidera che seguiamo i suoi passi.
Oggi c’è più libertà di scelta e le
persone sanno che come il matrimonio, la vita religiosa è una via
per servire Dio. La presenza di
uomini e donne consacrati è molto
più significativa che in passato e le
persone si affiancano a loro e con
loro lavorano, fanno esperienza
della loro benevolenza e del loro
amore e a loro volta desiderano
fare lo stesso.
Sr. M. Paulina Chioma o.p.
Sr. M. Juliana Okafor o.p.
Postulanti e novizie nel chiostro della casa di Ibadan
Cf Mary Joseph-Ann, The Igbo Woman and Consecrated Life: Effective Key, Onitsha. 1994 P. 6.
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