Gennaio 2005 - Ordine dei giornalisti Lombardia
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Gennaio 2005 - Ordine dei giornalisti Lombardia
Anno XXXV n. 1 Gennaio 2005 Direzione e redazione Via A. da Recanate, 1 20124 Milano Telefono: 02 67 71 37 1 Telefax: 02 66 71 61 94 http://www.odg.mi.it e-mail:[email protected] Ordine dei giornalisti della Lombardia Spedizione in a.p. (45%) Comma 20 (lettera b) dell’art. 2 della legge n. 662/96 Filiale di Milano Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo Promossa la gestione dell’Istituto per gli anni dal 2000 al 2003, ma Relazione “lo scenario è poco rassicurante: della Corte per l’avvenire si studino soluzioni dei Conti utili per conservare l’equilibrio” Inpgi 1 “L’Inpgi, a decorrere dal 1° gennaio 1995, ha dismesso la veste di ente di diritto pubblico per assumere quella di persona giuridica privata, nella specie della fondazione, in conformità alla previsioni normative del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509. Nella nuova configurazione giuridica l’Istituto gode di autonomia gestionale, organizzativa e contabile mentre, in ragione della sua natura, rimane pubblica l’attività istituzionale dell’ente”, articolata, a partire dal 1° gennaio 1996, in due diverse forme di previdenza. Di queste l’una, la più risalente nel tempo, ha per finalità la tutela previdenziale e assistenziale obbligatoria, sostitutiva dell’AGO, nei riguardi dei giornalisti professionisti e dei praticanti giornalisti (nonché, per recente estensione normativa, dei pubblicisti), titolari di rapporto di lavoro subordinato ed iscritti nell’Albo e nel Registro tenuti dall’Ordine”. 2 “La Corte ha tuttavia riscontrato uno scenario poco rassicurante nell’ultimo bilancio tecnico nel quale si prevede una situazione di criticità della gestione, in un periodo medio-lungo, sia riguardo al rapporto tra gettito contributivo e prestazioni che all’andamento del patrimonio. Queste ultime proiezioni attuariali, ad avviso della Corte, meritano pertanto una particolare attenzione da parte dell’Istituto, rendendo esse palese la necessità non solo di proseguire l’assiduo monitoraggio degli andamenti della gestione previdenziale e assistenziale, ma altresì di intraprendere lo studio di soluzioni utili per assicurare anche in avvenire l’equilibrio della gestione medesima ed evitare futuri depauperamenti del patrimonio”. Roma, 3 dicembre 2004. Luci e ombre nella relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti, nel quadriennio 2001-2003. La Corte promuove infatti la gestione dell’Istituto - sia principale sia separata, cui fanno capo le due diverse forme di previdenza obbligatoria in cui si articola l’attività dell’ente - ma individua anche «uno scenario poco rassicurante» nell’ultimo bilancio tecnico, in cui si prevede «una situazione di criticità» nel periodo medio-lungo e invita perciò l’Inpgi a «proseguire l’assiduo monitoraggio degli andamenti della gestione previdenziale» e a «intraprendere lo studio di soluzioni utili per assicurare anche in avvenire l’equilibrio della gestione». Nella relazione, la Corte sottolinea innanzi tutto che, nel quadriennio preso in esame, le risultanze finali, economiche e patrimoniali, della gestione principale sono tutte di segno positivo. Sono continuamente aumentati l’avanzo economico e il patrimonio netto, che nel 2003 ammontano rispettivamente a 63 milioni 775mila euro (+34,8% rispetto al 2002) segue a pagina 2 Riconosciuto il credito attraverso lo Sportello legale OgL Articoli non retribuiti secondo tariffario. “Il Mattino” condannato a pagare Giornalista non pagato secondo il tariffario, editore condannato. La sentenza è stata pronunciata recentemente dal magistrato milanese al quale si è rivolta la collega O.G. che ha chiamato in causa - con l’assistenza dell’avvocato Luisella Nicosia di Milano - Il Mattino di Napoli per una serie di articoli commissionati (in larga parte pubblicati) e mai retribuiti prima dell’avvio della contestazione legale. L’editore del quotidiano partenopeo, in forza della decisione del giudice, ha così dovuto provvedere al pagamento delle somme dovute alla giornalista con l’aggravio degli interessi legali maturati sulla somma debitoria e delle spese procedurali. IL SERVIZIO A PAGINA 33 L’assemblea degli iscritti giovedì 24 marzo 2005 TORTORA “È ineludibile una stretta sulle pensioni” pag 3 ANDRIOLO pag 3 “I bilanci dell’Inpgi non vanno bene. È il frutto di otto anni di scelte sbagliate” SOMMARIO NUOVE LEGGI SULLA STAMPA: GIORNALISTA STAI ZITTO! Sindacato Editoria La cronaca del Congresso Fnsi La pubblicità sui periodici fa vendere di più Antitrust: concentrazione di pubblicità senza uguali nell’Ue Quando il mercato non salva il pluralismo Media Intervista a Ben Jelloun Inpgi Equo canone per gli inquilini ex via Missaglia Professione Fondo per la formazione continua Normativa Privacy e giornalismo: i cronisti fanno eccezione Memoria Fraccaroli, giornalista sulle strade del mondo Arrigo Benedetti, lo stile e l’impegno Protagonisti Don Verzé, l’avventura del San Raffaele La libreria di Tabloid pag. 5 pag. 6 pag. 8 pag. 10 pag. 12 pag. 14 pag. 16 pag. 17 pag. 24 pag. 28 pag. 30 pag. 35 pag. 36 Appello ai colleghi distratti “Oro” a 19 colleghi per i 50 anni di Albo Quota 2005 (110 euro): possibile da subito aderire al Rid e non pensarci più anche negli anni successivi Milano, 2 dicembre 2004. Sono 19 i colleghi (12 professionisti e 7 pubblicisti) che nel 2005 compiono i 50 anni di iscrizione negli elenchi dell’Albo. Riceveranno la medaglia d’oro dell’Ordine della Lombardia in occasione dell’assemblea annuale degli iscritti che si terrà giovedì 24 marzo (h 15) al Circolo della Stampa. Ed ecco i loro nomi: PROFESSIONISTI Adone Carapezzi, Giovanni Cesareo, Emilio Fede, Nicolino Fudoli, Mario Lodi, Gualtiero Mantelli, Armando Mariotto, Enrico Morati, Gaetano Neri, Mario Pancera, Andreina Pinotti Araldi, Luigi Pizzinelli. PUBBLICISTI Giancarlo Armuzzi, Ermanno Comizio, Mario Conter, Antonio Dorsa, Emilio Mariano, Alcide Paolini, Pasquale Scardillo. Nel corso dell’assemblea verranno premiati anche i vincitori del “Concorso Tesi di laurea sul giornalismo”. All’ordine del giorno dell’assemblea degli iscritti all’Albo figura l’approvazione del bilancio preventivo 2005 e del conto consuntivo 2004. Visto il gradimento che gli iscritti all’Ordine dei giornalisti della Lombardia hanno dimostrato con la massiccia adesione al servizio di pagamento mediante addebito in via continuativa sul conto corrente bancario (Rid), Esatri ha riaperto (ovviamente a favore di chi non ha ancora fatto ricorso al servizio) i canali di adesione per il pagamento dell’avviso della quota annuale (110 euro) relativa all’anno 2005 e agli anni successivi. ORDINE 1 2005 Per aderire al servizio Rid è sufficiente: a) compilare il modello Rid ricevuto con l’avviso di pagamento del 2005 e trasmetterlo via fax ad Esatri al numero 199160771071. b) oppure compilare il modello Rid elettronico disponibile su Internet al sito www.taxtel.it (selezionando nell’home page del sito la voce ADESIONI RID) c) oppure comunicare via telefono i dati richiesti nel modulo Rid al n. 199 104 343 (dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 17.00). Tale numero è disponibile per informazioni e variazioni relative al Rid. Esatri provvederà ad ogni scadenza, a partire dalla quota del 2005 e per gli anni successivi, salvo revoca, al pagamento in automatico con addebito dell’importo sul conto corrente indicato. Con il Rid è possibile pagare gli avvisi di pagamento, ma non le cartelle esattoriali. Il termine ultimo di adesione al Rid verrà indicato sugli avvisi di pagamento relativi alla quota annuale 2005. 1 Inpgi Relazione della Corte dei Conti segue dalla prima pagina Promossa la gestione dell’Istituto per gli anni dal 2000 al 20 Per l’avvenire si studino soluzioni utili per conservare l’equi ed a 1 miliardo 122 milioni 828mila euro (+5,8, sempre rispetto al 2002). L’ammontare della riserva di garanzia Ivs (Indennità vecchiaia superstiti) è risultato in ogni esercizio superiore a quello della riserva legale minima prevista dalla legge 449/1997, ed ha raggiunto nel 2003 una consistenza pari a circa 7,4 annualità delle pensioni al 31 dicembre 1994. Delle due principali aree della gestione economica, cioè quella previdenziale e assistenziale e quella patrimoniale, quest’ultima - rileva ancora la Corte dei Conti - ha registrato risultati discontinui, in calo negli esercizi 2001 e 2002 (dovuto soprattutto dall’aumento dei relativi oneri e tra questi, e in misura consistente, degli oneri di gestione del portafoglio titoli, a causa degli andamenti sfavorevoli dei mercati finanziari) rispetto a quelli raggiunti nel 2000 e nell’ultimo esercizio, nel quale il rendimento degli investimenti mobiliari è tornato a valori positivi. La gestione previdenziale e assistenziale ha visto invece continuamente aumentare il saldo positivo, che nell’ultimo esercizio (con un ammontare di 63 milioni 615mila euro) ha avuto tuttavia una forte riduzione (- 9 milioni 253mila euro) rispetto al 2002, per effetto di un rallentamento della crescita delle entrate complessive (+1% a fronte del +10,2% del 2002), dovuto principalmente ad una contrazione dell’incremento annuo dei contributi Ivs, mentre è variata di poco, ma in senso opposto, la crescita annuale delle uscite complessive (+4,9% nel 2003 rispetto al +4,5% nel 2002). Tuttavia la Corte ha riscontrato uno scenario poco rassicurante nell’ultimo bilancio tecnico nel quale si prevede una situazione di criticità della gestione, in un periodo medio-lungo, sia riguardo al rapporto tra gettito contributivo e prestazioni che all’andamento del patrimonio. Di qui la necessità, secondo la Corte, di proseguire l’assiduo monitoraggio degli andamenti della gestione previdenziale e assistenziale, ma altresì di intraprendere lo studio di soluzioni utili per assicurare anche in avvenire l’equilibrio della gestione stessa ed evitare future riduzioni del patrimonio. Quanto alla gestione separata, il cui sistema tecnico-finanziario si fonda sul sistema contributivo a capitalizzazione individuale, si presenta nel quadriennio sostanzialmente solida sul piano finanziario e patrimoniale. Questa situazione ha trovato conferma, secondo la Corte, nell’ultimo bilancio tecnico le cui previsioni indicano che anche nell’arco LA VICENDA DEL MANCATO RICORSO AL TAR CONTRO LO STATO DI CRISI CONCESSO DAL MINISTERO DEL LAVORO AL GRUPPO RIFFESER La legge n. 415/1981 è una minaccia per la stabilità finanziaria dell’Inpgi di Pierluigi Franz* Roma, 12 novembre 2004. Sinceramente avrei preferito non intervenire nel dibattito in corso sulla vicenda della bocciatura da parte del CdA Inpgi del ricorso al Tar contro il decreto con cui il 7 settembre scorso il ministro del Lavoro Maroni ha concesso lo stato di crisi al gruppo Riffeser (QN- Il Giorno- Il Resto del Carlino- La Nazione). Ma sono, purtroppo, costretto a farlo dopo il fango, i veleni, le strumentalizzazioni a ruota libera, le insinuazioni di bassa lega, calunniose (si è addirittura parlato di una mia tessera onoraria della Fieg, quasi come se mi fossi venduto!!!) e del tutto fantasiose, che ho, purtroppo, letto in questi ultimi tre giorni da parte di chi, pur essendo tenuto da giornalista a verificarne la reale fondatezza, ha aperto bocca e gli ha dato fiato dimenticandosi di ammettere di essere forse digiuno dell’argomento (evidentemente solo per farsi propaganda pre-elettorale in vista del prossimo Congresso Fnsi di Saint Vincent). Sono davvero indignato di fronte a simili mistificazioni e stravolgimento dei fatti! E pensare che proprio per evitare equivoci e malintesi sull’argomento avevo presentato e fatto votare domenica scorsa al V Congresso dell’Associazione stampa romana una serie di mozioni per sollecitare i nuovi organismi dell’Asr e della Fnsi ad adoperarsi per l’urgente modifica in Parlamento della legge sull’editoria! Ricordo che la legge n. 416 del 1981- lo dico da 10 anni - è una piovra che incombe sul futuro del nostro Istituto di previdenza ed è una mina vagante sulla stabilità finanziaria dell’Inpgi e si riflette automaticamente anche sul superbonus, sulla perequazione delle pensioni e sulle risultanze del bilancio tecnico attuariale dei prossimi 40 anni, come evidenziato due mesi fa dal professor Gismondi. È una normativa che consente alle aziende editoriali - anche quotate in Borsa come il gruppo Riffeser - con bilanci in utile di dichiararsi in ristrutturazione o in fase di riorganizzazione, prepensionando e scaricando in mare un po’ di giornalisti anziani, con scivoli, scivoloni e scivoletti che poi paga l’Inpgi, cioè tutti noi. In passato ci sono stati casi anche di 15 anni di contributi regalati ai colleghi, a nostre spese, con le aziende che si strofinavano le mani. Da ultimo la cosiddetta “legge Giulietti”, cioè la 62 del 2001, ha ridotto lo scivolo massimo a 5 anni, ma ha mantenuto la possibilità di ricorrervi in caso di “deterioramento” e di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale, anziché solo in caso di una vera crisi (ad esempio, l’amministrazione controllata decretata dal tribunale). Non c’è, quindi, forse da chiedersi se sia corretto addossare ad un ente previdenziale “privatizzato” come l’Inpgi, che è anche l’unico ente “privatizzato” sostitutivo dell’Inps, il costo di pesantissimi ammortizzatori sociali (cassintegrazione e disoccupazione 2 con i relativi contributi previdenziali figurativi, prepensionamenti e tfr in caso di fallimento)? E come si concilia che l’Inpgi, da un lato, sia obbligato dalla legge sull’editoria - nello stesso identico modo di quando era ancora ente pubblico - ad addossarsi oneri pesantissimi e del tutto impropri come gli ammortizzatori sociali e, quindi, fungere da “cassiere pagatore” del ministro del Lavoro Maroni, e, dall’altro, invece, in base alla privatizzazione decretata 10 anni fa dal 1° governo Berlusconi (decreto legislativo n. 509 del 1994), essere tenuto a garantire ben 5 anni di riserva tecnica ai fini del puntuale pagamento delle pensioni, pena il commissariamento dell’ente? Non è, forse, una contraddizione in termini che rischia di mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’Inpgi, Fondazione privata? E come si può equiparare l’Inpgi alle altre Casse “privatizzate” dei liberi professionisti (Cassa forense, Inarcassa, Notariato, Dottori commercialisti, Enpam, ecc.) tenute anch’esse a rispettare i 5 anni di riserva tecnica, ma senza avere l’obbligo di pagare 1 solo euro per gli ammortizzatori sociali? A ciò si aggiunga che l’art. 31 dello Statuto dei lavoratori, che assurdamente addossa per intero all’Inpgi - unico ente previdenziale privatizzato - l’onere pesantissimo dei contributi previdenziali a favore di circa 100 giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, governatori di Regioni e sindaci di grandi città. Quanti sanno che decine e decine di parlamentari di tutti i partiti con trascorsi giornalistici prendono una doppia pensione (una dall’Inpgi, l’altra, sotto forma di vitalizio, dallo Stato) prosciugando le nostre risorse? Infatti la pensione di questi circa 100 colleghi è in gran parte pagata dall’intera categoria!! In più, ma a parte, lo Stato (cioè “pantalone”) provvede a pagare loro una seconda pensione sotto forma di vitalizio per il mandato parlamentare o equiparati!! Ho quindi predisposto un’articolata petizione che, come qualsiasi cittadino, presenterò nei prossimi giorni alle Camere, ai sensi dell’art. 50 della Costituzione, non appena avrò completato le procedure burocratiche. In questa petizione, che ho già anticipato nel corso dell’ultimo CdA Inpgi di martedì scorso, sollecito la modifica della legge 416 (indennità di disoccupazione e relativi contributi previdenziali figurativi, indennità di cassintegrazione e relativi contributi previdenziali figurativi, prepensionamento e t.f.r. in caso di fallimento) e della legge 300 del 1970 nei punti: per il prepensionamento non prevedono l’intervento e la presenza obbligatoria dell’Inp1 che gi nel procedimento amministrativo davanti al ministero del Lavoro prima della firma del decreto di concessione dello stato di crisi; per il prepensionamento non definiscono con assoluta certezza il concetto di “crisi” o 2 che di “deterioramento” aziendale. Oggi è assurdamente consentita la legge 416 in caso di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale senza alcun accertamento da parte del tribunale civile che accerti e ratifichi uno stato di insolvenza anche temporanea (vedi, ad esempio, il caso dell’amministrazione controllata); per gli ammortizzatori sociali (indennità di disoccupazione e relativi contributi previdenziali figurativi, indennità di cassintegrazione e relativi contributi previdenziali figurativi, 3 che prepensionamento e t.f.r. in caso di fallimento) non specificano che l’Inpgi è ormai da 10 anni una Fondazione privata, e non più ente pubblico; per il prepensionamento non prevedono che lo Stato rimborsi all’Inpgi almeno una 4 che parte dei pesantissimi oneri che mettono a serio repentaglio il suo futuro, in quanto il decreto legislativo del governo Berlusconi n. 509 del 1994, come detto, impone a tutti gli enti previdenziali privatizzati di garantire le 5 annualità di riserva tecnica; 5 che per l’indennità di cassa integrazione guadagni non consentono all’Inpgi di ottenere dalle aziende editoriali lo stesso 0,90% pagato, invece, all’Inps da tutte le altre aziende non editoriali. Oggi, al contrario, l’Inpgi non incassa neppure 1 euro per l’indennità di cassa integrazione guadagni!! Ad esempio, tutti i colleghi cassintegrati (vedi L’Unità, Avvenimenti ecc.) sono stati pagati a totale carico della categoria. venga modificato l’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori escludendo qualsiasi onere 6 che per l’Inpgi nel pagamento dei contributi previdenziali a favore di giornalisti divenuti parlamentari. E veniamo alla bocciatura del ricorso al Tar del Lazio contro lo stato di crisi al gruppo Riffeser. Personalmente sarei stato favorevole solo ad un ricorso in cui fosse eccepita esclusivamente l’illegittimità della legge 416 per contrasto con gli articoli 3, 23 e 38 della Costituzione o in alternativa del decreto legislativo Berlusconi 509 del 1994 che, come detto, impone all’Inpgi le 5 annualità di riserva tecnica, pena il commissariamento dell’Istituto. Il presidente Inpgi Gabriele Cescutti e il segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi volevano, invece, presentare un ricorso indirizzato esclusivamente nel merito del decreto Riffeser senza neppure chiedere al Tar del Lazio in via d’urgenza la sospensiva del provvedimento. Una mossa che, in pratica, si sarebbe rivelata solo propagandistica e priva di qualsiasi concreto risultato pratico e “politico”. Infatti, presentando un simile ricorso, il decreto del ministro Maroni sarebbe rimasto in piedi per anni e quindi l’Inpgi avrebbe dovuto ugualmente pagare i colleghi del gruppo Riffeser e non avrebbe ottenuto alcuna modifica della legge 416, né del decreto Berlusconi del 1994 che sono le vere mine vaganti sul futuro dell’Inpgi, come dico ormai da 10 anni (all’epoca, come alcuni si ricorderanno, ero una voce che gridava da solo nel deserto, mentre Cescutti e Serventi da sindacalisti plaudevano alla bontà della legge 416 che doveva essere mantenuta in piedi a tutti i costi anche dopo la “privatizzazione” dell’ente). A ciò aggiungasi che nel corso del suo intervento il professor Mauro Masi, che rappresenta la Presidenza del consiglio nel Consiglio dell’Inpgi, si è detto favorevole a modificare la legge 416 in modo che lo stesso Istituto possa finalmente partecipare alle trattative su futuri altri stati di crisi. Il governo, quindi, si è detto finalmente disponibile a recepire quanto reclamava da tempo lo stesso presidente dell’Inpgi Cescutti che sarà ascoltato il 16 novembre prossimo davanti alla Commissione cultura della Camera dei deputati che sta appunto esaminando il disegno di legge governativo n. 4163 di riforma della legge sull’editoria. Il professor Masi ha però aggiunto che il ricorso che intendeva presentare l’Inpgi era del tutto infondato e pretestuoso nel merito, essendo il decreto Maroni formalmente inattaccabile e giuridicamente ineccepibile allo stato della legislazione attuale. Lo stesso concetto è stato poi ribadito dall’avvocato Maurizio Bernasconi che rappresenta il ministro del Lavoro nel CdA Inpgi, il quale ha aggiunto che un eventuale ricorso al Tar nel merito avrebbe addirittura esposto l’Inpgi ad una possibile condanna per lite temeraria. Sembra quindi ovvio che se si fosse intrapresa ancora una volta la via giudiziaria l’Inpgi non avrebbe ottenuto da quella politica neppure quel minimo che ci è stato offerto. Ecco perché - come la collega Silvana Mazzocchi - mi sono astenuto al momento del voto. E me ne assumo tutte le responsabilità, essendo a 57 anni pienamente cosciente di intendere e volere. Sfido chiunque a mettere ora in dubbio la mia onorabilità. Ho a disposizione dei colleghi gli stenografici dei miei interventi all’Inpgi sia sulla vicenda Riffeser, sia su altre vicende in passato legate sempre alla legge 416 (Corriere dello Sport-Stadio, Il Secolo XIX, Il Mattino, Ansa, La Stampa, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, ecc. ecc.) perché ritengo assolutamente doverosa la trasparenza da parte di ogni amministratore, soprattutto se giornalista. *Consigliere d’amministrazione dell’Inpgi ed esponente di Inpgi.sicambia ORDINE 1 2005 0 03 ma “lo scenario è poco rassicurante. librio” del quarantennio considerato le entrate e le uscite complessive e la consistenza del patrimonio sono sufficienti a garantire l’equilibrio della gestione. L’andamento della gestione patrimoniale, che consiste pressoché esclusivamente nell’investimento in titoli della liquidità, dipende in sostanza da quello dei mercati finanziari. Di qui l’opportunità di strategie di investimento che consentano all’Inpgi di arrivare, nel medio periodo, ad una equilibrata struttura del patrimonio sotto il profilo rischio-rendimento tenendo sempre presente l’esigenza di coniugare il principio della redditività con quello della sicurezza degli investimenti. Nell’ultimo esercizio esaminato - rileva infine la Corte - il rendimento del portafoglio titoli, pur essendo tornato a valori positivi, grazie alla ripresa dei mercati mobiliari, non è risulta- D I B A T to sufficiente a coprire l’onere della rivalutazione dei montanti contributivi, onere che è stato perciò coperto (nella parte residua), come nei precedenti esercizi, mediante il gettito della contribuzione integrativa (anche se con modalità contabili che il ministero dell’Economia ha giustamente ritenuto non esatte). Poiché tale contribuzione (al netto delle spese di gestione) costituisce una fonte essenziale per la garanzia della capitalizzazione, la Corte dei Conti ha pienamente condiviso l’invito a contenere i costi generali di funzionamento, rivolto all’Inpgi dall’amministrazione vigilante. (ANSA) ---------------------------La delibera si può leggere in http://www.corteconti.it/Ricerca-e-1/GliAtti-d/Controllo-/Documenti/Sezione-de/Anno2004/Documenti/Det80.DOC_cvt.htm T I T O Perché tanti prepensionamenti? Ci dicono che i conti dell’Inpgi in futuro potrebbero saltare. Ma si continua a prepensionare i giornalisti a 58 anni, anche contro la loro volontà, con trattamenti estremamente penalizzanti Dunque, secondo uno studio commissionato da Gabriele Cescutti (presidente Inpgi) al prof. Fulvio Gismondi dell’Università “La Sapienza” di Roma, di cui si parla in un articolo de Il Mondo attualmente in edicola, in prospettiva le pensioni dei giornalisti sarebbero a rischio perché la spesa pensionistica supererà le entrate. Ma l’Inpgi continua imperterrita ad accogliere i ricorrenti stati di crisi richiesti dalle aziende, facendo un favore solo agli editori e non certo ai giornalisti, che nella maggior parte dei casi vengono prepensionati contro la loro volontà e senza la possibilità di opporvisi, subendo penalizzazioni economiche e professionali pesantissime. Quello dei prepensionamenti in effetti è un problema che non riguarda solo pochi di noi, ma tutta la categoria, compresi i giovani. Ormai l’uscita “normale” (e ineluttabile) dalla nostra professione non è più la pensione, ma il prepensionamento. Le aziende vi ricorrono sempre più spesso, dichiarando stati di crisi il più delle volte strumentali. Ma non tutti sanno che le norme Inpgi da alcuni anni sono cambiate ed i prepensionamenti sono estremamente penalizzanti per i giornalisti. In base al combinato disposto della legge 416 e successive modificazioni e del regolamento Inpgi: 1) Si è costretti al prepensionamento, perché l’alternativa è la “cassa integrazione finalizzata al licenziamento”. 2) Si subisce un forte taglio della pensione (per chi va in prepensionamento a 58 anni ad esempio la decurtazione è del 29,17%). Questa penalizzazione, che non esiste per tutti gli altri lavoratori italiani, potrebbe avere una logica solo nei confronti di chi va in pensione anticipata volontariamente, ma non certo per chi è costretto a farlo. 3) C’è un divieto quasi totale di cumulo pensione-lavoro, mentre tutti gli altri lavoratori italiani ne sono esenti. La pensione in molti casi si riduce così a circa la metà dell’ultimo stipendio (ed a meno della metà di quella che si sarebbe ottenuta lavorando fino ai 65 anni). E non è consentito neppure di integrare il calo del reddito con altro lavoro, neppure autonomo, mentre dovrebbe essere permesso almeno di raggiungere (fra pensione e collaborazioni) il livello dello stipendio precedente. Il tenore di vita si abbassa in maniera intollerabile. La morte civile per regolamento Inpgi. Sono norme che vanno contro i principi costituzionali e la Carta dei diritti europea. Senza contare che andando in prepensionamento ad esempio a 58 anni, si perdono inoltre 3 o 4 scatti biennali, 7 anni di anzianità contributiva, aumenti contrattuali ed eventuali avanzamenti di carriera. Se la pensione è la metà di quella che si sarebbe ottenuta lavorando fino ai 65 anni, in 20 o 30 anni di vita successivi al pensionamento si perdono cifre astronomiche. Gli incentivi statali e aziendali sono briciole rispetto a quello che si perde. E intanto l’Inpgi si svena, le nostre pensioni diventano a rischio e a festeggiare sono solo gli editori. Occorrerebbe una forte azione per ottenere la modifica di queste norme del tutto inique e per frenare i prepensionamenti, che dovrebbero scattare solo nei casi di fallimento o di chiusura di un’azienda editoriale e non solo per periodici e reiterati alleggerimenti dei costi. Ma su questo tema non mi pare ci sia ancora un’adeguata attenzione da parte dell’intera categoria. Ogni tanto poi rispunta la polemica su un ventilato proposito del governo di ridurre l’autonomia dell’Inpgi. Ma i vertici del nostro ente previdenziale non sono stati sfiorati dal dubbio che il governo voglia riportare in riga l’Inpgi, che ha inventato i disincentivi al prepensionamento ed ha introdotto il divieto di cumulo, mentre gli altri italiani sono esenti da questi bei “regalini”? Non è “massacrando” i colleghi che si merita l’indipendenza. L’allarme sulla salute dell’Inpgi Franco Ferorelli [email protected] In www-odg.mi.it L’Inpgi a rischio default? ORDINE 1 2005 Relazione attuariale (30 agosto 2004) del prof. Fulvio Gismondi al presidente Gabriele Cescutti: “L’Inpgi evidenzia dal 1° gennaio 2017 uno squilibrio che non consente di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento delle pensioni promesse agli iscritti mediante le risorse derivanti dalla contribuzione corrente”. La risposta dell’Istituto: “La riforma pensioni non ci riguarda. Il bonus contributivo può, ma non deve, essere recepito”. Dichiarazione del dg dell’Inpgi a “Il Sole - 24Ore” TORTORA “È ineludibile una stretta sulle pensioni” ROMA - Il pacchetto di correzioni per garantire, nel medio-lungo periodo, l’equilibrio nei bilanci della Cassa di previdenza dei giornalisti (Inpgi) sarà pronto - secondo il direttore Arsenio Tortora - in primavera. Ineludibile una stretta sulle prestazioni, ora piuttosto generose, visto che la rivalutazione annuale è del 2,66% contro il 2% Inps (per le pensioni retributive). Il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi e poi l’assemblea dei delegati non potranno prescindere dalle conclusioni del bilancio tecnico attuariale al 31 dicembre 2003 affidato allo studio Pirola Gismondi & Associati. «La Gestione principale scrive il professor Fulvio Gismondi - evidenzia dal 1 ° gennaio 2017 uno squilibrio che non consente di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento delle pensioni promesse agli iscritti mediante le risorse derivanti dalla contribuzione corrente. La natura dello squilibrio è di tipo strutturale: l’attuale modello contributi/presta- zioni, sancito dal regolamento, stante l’attuale assetto demografico del Fondo, non consente ipotesi di equilibrio tendenziale della gestione in ripartizione». Le conclusioni - spiega Tortora - sono in linea con il precedente bilancio attuariale che aveva individuato nel 2019 l’anno a partire dal quale le entrate contributive non sarebbero sufficienti a coprire le pensioni. Il “peggioramento” è imputabile ai criteri severi alla base del bilancio attuariale elaborato da Gismondi, che per la prima volta tiene conto della variabile prepensionamenti. Per altro, secondo Tortora, la situazione dell’Inpgi non si discosta da quella di gran parte delle Casse privatizzate, che senza correttivi sono destinate al “rosso” nel giro di qualche lustro. Diverso, invece, il discorso per la gestione separata, in cui l’equilibrio è assicurato dal contributivo a capitalizzazione. (da Il Sole - 24 Ore del 6 novembre 2004) Presa di posizione del vicepresidente ANDRIOLO “I bilanci dell’Inpgi non vanno bene. È il frutto di otto anni di scelte sbagliate” Cescutti: “Il vicepresidente è in errore: la situazione attuale dell’Inpgi è solida ed in crescita. Lo dimostrano proprio le cifre” Roma, 25 novembre 2004. Maurizio Andriolo, vicepresidente vicario dell’Inpgi, ha rilasciato una dichiarazione polemica sulla situazione dell’Istituto: “Non è ancora iniziato il Congresso e già il gruppazzo di potere, che gestisce la Fnsi, ne ha fatta un’altra delle sue. Ha fatto votare in maniera bulgara, all’appena concluso Congresso dei pensionati, una mozione piena di dati falsi, una turlupinatura. La Federazione continua a strumentalizzare la questione Riffeser e demonizza, secondo i sistemi praghesi, chi non fa parte della sua cordata. La questione, peraltro, serve a nascondere fatti più gravi: il non saper fare accordi sindacali, oppure sperperare la forza sindacale per motivi politici o per accordi sottobanco (vedi la questione di un noto giornale sportivo) oppure fare “commercio” degli incarichi in cambio di voti. La vera situazione dell’Inpgi viene nascosta, i bilanci dell’Istituto non vanno affatto bene, come dimostrano le proiezioni dell’ultimo e del penultimo bilancio tecnico. Non è solo l’applicazione della 416 ad essere determinante, ma piuttosto 8 anni di stasi e di scelte sbagliate, mal gestite e di negazioni totali alle richieste di bisogno dei giornalisti pensionati e non. Un Istituto che è stato semiparalizzato da vertici politici e amministrativi. Soltanto nell’ultimo anno, grazie all’apporto dei rappresentanti di Inpgi.sicambia, si è riusciti ad avere un primo confronto con il Parlamento per ottenere le modifiche della 416. Solo grazie alla presenza di Inpgi.sicambia, di Stampa Democratica e di una lodevole iniziativa dei colleghi Rho e Gariboldi, si è presa l’iniziativa di chiedere una riforma dell’Inpgi 2, per esonerare dall’obbligatorietà dei versamenti i colleghi free- lance con basso reddito. Di fronte a chi usa l’Inpgi come cassaforte, per la famelicità della sua parte politica, i giornalisti devono rivendicare risposte chiare a quello che è stato chiesto per salvare l’Ente: che fine ha fatto il “cumulo”, che fine ha fatto l’ammodernamento dell’Istituto, che fine farà il bonus”. Ad Andriolo ha risposto Gabriele Cescutti, presidente dell’Inpgi: “Le polemiche che caratterizzano ogni confronto dialettico ai congressi della Fnsi, fanno a volte commettere pesanti errori. Uno di questi è rappresentato dalla dichiarazione che il collega Maurizio Andriolo ha diffuso, nella sua qualità di delegato, a proposito dell’Inpgi di cui egli è vicepresidente vicario. Contrariamente a quanto afferma il collega, ribadisco che la situazione attuale dell’Inpgi è solida e che la solidità è stata in crescita negli ultimi anni. Ciò che affermo è incontestabilmente dimostrato dai bilanci e dalle cifre che ho fornito ieri al Congresso, che possono in qualsiasi momento essere verificate. Non comprendo poi a quali “vertici politici ed amministrativi” si riferisca il collega allorché li accusa di avere paralizzato l’Ente nella passata gestione. Certo, le difficoltà non sono mancate, ma il consolidamento dell’Ente è stato sempre costante: ed anche questo è dimostrato dai bilanci, certificati dai Sindaci e dalla società di revisione Price Waterhouse. Quanto alla gestione attuale, non mi interessa rivendicare, né a me né a gruppi, il merito di eventuali successi. I successi, se arriveranno, saranno di tutti coloro che compongono il Consiglio di amministrazione ed il Consiglio generale e che in essi avranno collaborato a tutela della categoria e del suo futuro previdenziale”. 3 STEFANO FOLLI CONTINUERÀ A COLLABORARE COME EDITORIALISTA Torna a ricoprire il ruolo già avuto dal '92 al '97, quando gli succedette Ferruccio de Bortoli Mieli ri-direttore del “Corriere della Sera” Milano, 19 dicembre 2004. Paolo Mieli è il nuovo direttore del Corriere della Sera. Dopo aver ricoperto l'incarico dal 1992 al 1997, succede ora a Stefano Folli, che ha diretto il quotidiano di via Solferino per circa un anno e mezzo. RIUNITI GLI AZIONISTI - Nel pomeriggio il Patto degli azionisti di via Rizzoli ha vagliato le ipotesi di una successione a Stefano Folli, trovando quindi un accordo sul nome di Mieli. Il voto dei grandi soci è stato unanime, lo ha riferito il presidente del sindacato degli azionisti, Giampiero Pesenti, lasciando la riunione. Nello studio di Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs Quotidiani, erano presenti l'amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao, il presidente di Capitalia Cesare Geronzi, il presidente onorario della Fondiaria Sai Salvatore Ligresti, il presidente di Mediobanca Gabriele Galateri, l'amministratore delegato di Intesa Corrado Passera, il presidente della Mittel Giovanni Bazoli, il presidente della Merloni Termosanitari Francesco Merloni e il presidente dei gruppi Pirelli e Telecom, Marco Tronchetti Provera. La nomina è stata ratificata dal Cda di Rcs Quotidiani all'unanimità. IL CDA: “IMPEGNO UNANIME” - Il consiglio di Rcs Quotidiani “ha assicurato a Paolo Mieli il proprio convinto e unanime impegno ad assecondare l'opera di consolidamento e sviluppo della leadership del Corriere, nel rigoroso rispetto della tradizione di autorevolezza, indipendenza, professionalità e nella continuità di linea del giornale”. È quanto si legge nella nota con la quale Rcs ha ratificato la nomina di Paolo Mieli alla direzione del quotidiano. “La piena valorizzazione delle caratteristiche storiche e del patrimonio di risorse del Corriere - si legge ancora nella nota - saranno centrali per il raggiungimento degli impegnativi traguardi del piano industriale di gruppo approvato nei giorni scorsi”. Il consiglio, formulando a Mieli “un vivo ringraziamento per la disponibilità dimostrata e un caloroso augurio di buon lavoro”, ha rivolto a Stefano Folli, che continuerà a collaborare al Corriere della Sera come editorialista, “un vivo ringraziamento per l'opera svolta e per la disponibilità ad assicurare anche in futuro al giornale il Antonio Di Rosa direttore della “Gazzetta dello Sport” Milano, 26 novembre 2004. Il consiglio di Rcs Quotidiani ha nominato direttore de La Gazzetta dello Sport Antonio Di Rosa al posto del dimissionario Pietro Calabrese. Lo si legge in una nota di Rcs MediaGroup. L'incarico di Di Rosa, già direttore del quotidiano genovese Il Secolo XIX, prenderà avvio da mercoledì 1 dicembre una volta espletate le procedure sindacali. I vertici del gruppo editoriale hanno espresso "il più sentito ringraziamento" a Calabrese per aver consentito al quotidiano sportivo di raggiungere "risultati di tutta eccellenza" e augurato a Di Rosa di consolidare e sviluppare la linea editoriale del giornale "nel rispetto dei valori dello sport" e "nel potenziamento delle risorse interne". La designazione di Di Rosa – che ha lavorato al Corriere della Sera dal 1988 al 1999 (con una carriera da vicecaporedattore a vicedirettore) - segue a un giro di poltrone tra i principali gruppi media italiani. Calabrese è stato infatti designato alla direzione del settimanale Panorama del gruppo Mondadori, dopo che il direttore del settimanale, Carlo Rossella, è passato alla guida del Tg5, telegiornale di punta di Mediaset, al posto di Enrico Mentana, non senza ripercussioni polemiche tra gli schieramenti politici. (ANSA) 4 do non sarà stato completato tutto l'iter che il Corriere prevede per l’ingresso del nuovo direttore”. Mieli: “La stampa che si erge a terza non mi convince” Roma, 26 novembre 2004. “La stampa che si erge a terza non mi convince. Il suo compito è di dichiarare la propria parte partigiana e far vedere come la si tiene a freno e sotto controllo”. È quello che pensa Paolo Mieli del ruolo dei giornali parlandone con Beppe Severgnini nel corso di “Severgnini alle 10”, la rubrica di Sky Tg24 dedicata a personaggi di rilievo del mondo dell’informazione e della comunicazione. “Invece il terzismo - dice ancora Mieli - consiste nell’avere grande attenzione alle ragioni dell’altra parte e ai torti della propria parte politica”. Affrontando il delicato tema della commistione fra informazione e politica, il direttore editoriale della Rcs è perplesso sui colleghi che scelgono la politica “perché gettano una luce sgradevole sul modo in cui hanno fatto i giornalisti. Per fare politica - fa presente - ci deve essere stata una stagione in cui sono stati fatti calcoli per spianarsi la strada”. Su questo fronte, per Mieli, anche Berlusconi, dopo tanti anni, non è esente da responsabilità: “Il rapporto incestuoso con una delle miniere d’oro della politica, che è il mondo della comunicazione, falsa il dibattito politico anche se meno di quanto le sinistre pensino”, Infatti, ritiene che nella stampa ci sia stato “molto più servilismo negli anni ‘60”. L’aver dato vita ad un genere giornalistico, il cosiddetto “mielismo” (la mescolanza con il faceto che cercasse di produrre notizie o qualcosa che interessasse i lettori per competere in modo più aggressivo con la tv) lo gratifica ma trova sia “ingeneroso” usarlo in modo caricaturale. L’ex direttore de La Stampa e Corriere della Sera, si definisce “un giornalista che ama la storia” e afferma di “non avere ambizioni” e neanche rimpianti per la mancata presidenza Rai, se non continuare a fare quello che fa e di “aver scoperto di sentirsi veramente qualcuno nel corso della seconda ora di lezione alla Statale di Milano - dove insegna - quando discute con i ragazzi”. (ITALPRESS) prezioso contributo della sua alta cultura e professionalità”. “L'HO SEMPRE PENSATO IN FONDO AL CUORE” - “Non mi sarei mai aspettato di ritornare ad essere il direttore del Corriere della Sera, anche se, essendo rimasto nella casa editrice, ho sempre pensato in fondo al cuore che in qualche momento ci sareb- be stato ancora bisogno di me”. Lo ha detto Paolo Mieli, nominato direttore del Corriere della sera, uscendo dalle riunioni del patto di sindacato di Rcs Mediagroup e del consiglio di amministrazione di Rcs Quotidiani. I due appuntamenti, ha continuato Mieli sono stati “non formali: si è parlato delle cose da fare”. “Non metterò piede in redazione - ha spiegato il direttore designato - fino a quan- Ferruccio De Bortoli direttore di “Il Sole 24 Ore” Roma, 15 dicembre 2004. “Grazie a Gentili e auguri a de Bortoli”, ha detto ieri il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, al termine della riunione del direttivo di viale dell'Astronomia, ufficializzando la nomina di Ferruccio de Bortoli a direttore de Il Sole 24 Ore. Entrerà in carica l’11 gennaio 2005. Ferruccio de Bortoli ritorna a Il Sole 24 Ore dopo diciassette anni. Per un breve periodo era stato caporedattore di questo quotidiano, per poi passare nell'87 al Corriere della Sera come caporedattore dell'economia e commentatore economico. Milanese, 51 anni, laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano, de Bortoli è giornalista professionista dal '73. La sua carriera inizia al Corriere dei Ragazzi, prosegue al Corriere d'Informazione dove lavora fino al '78. Nel '79 l'approdo al Corriere della Sera come cronista, per occuparsi in seguito di economia. Successivamente, è caporedattore al settimanale L'Europeo, a Il Sole 24 Ore e al Corriere. In via Solferino diventa vicedirettore nel dicembre del '93 e poco più di tre anni dopo, nel maggio '97, viene nominato direttore, succedendo a Paolo Mieli. Lascia il Corriere nel giugno del 2003 per assumere la carica di amministratore delegato di Rcs Libri. Nel suo editoriale d'esordio intitolato La coscienza di un Paese affermò: “L'impegno che assumo oggi nei confronti dei lettori è solo questo: vi informeremo correttamente, senza dipendere da nessuno e, soprattutto, senza nascondere nulla”. E in quello di commiato ricordò di avere perseguito il valore dell' “economia di mercato, quella vera”. Rcs MediaGroup ha ieri rivolto “un saluto riconoscente e sentito” a Ferruccio de Bortoli. “Nel suo percorso di giornalista, sviluppato in gran parte nell'ambito del Corriere della Sera e culminato nella direzione del quotidiano (8 maggio 1997, 14 giugno 2003) - spiega la nota del gruppo - de Bortoli ha contribuito allo sviluppo e al consolidamento della testata con una linea editoriale fondata sulla competenza, l'autorevolezza e la costante difesa dell'indipendenza dell'informazione. Allo stesso modo, nel suo più recente incarico di amministratore delegato di Rcs Libri, de Bortoli ha saputo assicurare continuità alla grande tradizione editoriale della società, con il suo prezioso e appassionato contributo di manager e uomo di cultura”. (da “Il Sole 24 Ore” del 15 dicembre 2004) COMUNICAZIONE AL CDR - Il Cdr del Corriere della Sera ha ricevuto dal presidente della Rcs Quotidiani Piergaetano Marchetti e dall'amministratore delegato Vittorio Colao la comunicazione ufficiale della proposta di nominare direttore del giornale Paolo Mieli. Stefano Folli resterà al Corriere come collaboratore editorialista. Secondo quanto riferisce il Cdr, Colao ha detto che “le motivazioni che hanno portato a proporre ai giornalisti una diversa direzione sono esclusivamente di carattere gestionale e organizzative, legate alle necessità di sviluppo del nuovo Corriere”. Lunedì il Cdr incontrerà Mieli per la sottoscrizione degli impegni in caso di nomina. Alle 16, Mieli parteciperà poi all'assemblea dei giornalisti per illustrare il suo programma. La votazione segreta per il parere preventivo obbligatorio dei giornalisti sulla proposta di nomina a direttore si svolgerà martedì 21 e mercoledì 22 dicembre. CHI È PAOLO MIELI - Paolo Mieli è stato fino ad oggi direttore editoriale di Rcs, carica che ricopre dal 23 aprile 1997, data in cui la direzione del “Corriere” passò a Ferruccio de Bortoli. Nato a Milano nel 1949, laureato in Storia Moderna all'Università La Sapienza di Roma, Mieli comincia la carriera giornalistica a 18 anni all'Espresso di Livio Zanetti. Nel 1985 viene chiamato da Eugenio Scalfari a La Repubblica e dopo un anno e mezzo da Agnelli a La Stampa, di cui diventa direttore nel 1990. Nel 1992 succede a Ugo Stille nella direzione del Corriere della Sera. Nel marzo 2003 viene chiamato alla presidenza della Rai dai presidenti delle due Camere del Parlamento. Mieli accetta con riserva, ponendo come condizioni la piena libertà di nomina dei direttori e il rientro di Biagi e Santoro. Cinque giorni dopo rinuncia all'incarico per “difficoltà tecnico-politiche”. Dall'11 settembre 2001 Mieli risponde ai lettori nella rubrica “Lettere al Corriere”, che fu per molti anni curata da Indro Montanelli. (da www.corriere.it) Lanfranco Vaccari direttore del “Secolo XIX” Genova, 12 ottobre 2004. Lanfranco Vaccari è il nuovo direttore del Secolo XIX di Genova. Sostituisce Antonio Di Rosa, che si è dimesso. Vaccari assumerà l’incarico il 23 ottobre e firmerà il giornale in edicola il 24. Vaccari, attuale direttore del quotidiano City, è stato direttore del settimanale L’Europeo, corrispondente da Tokyo del Sole 24 Ore, inviato-editorialista del settimanale Panorama, vicedirettore della Gazzetta dello Sport, inviato esteri del Corriere della Sera. Antonio Di Rosa - si legge in una nota della Sep, la società editrice del Secolo XIX presieduta da Carlo Perrone - ha diretto per cinque anni la testata “con perizia ed imparzialità raggiungendo importanti risultati, accrescendone il prestigio e confermando la leadership del quotidiano a Genova ed in tutta la Liguria”. (ANSA) ORDINE 1 2005 Ciampi ai giornalisti “Tenere la schiena dritta è vostro dovere morale” Roma, 13 dicembre 2004. La televisione pubblica deve fare servizio pubblico. È il monito del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lanciato durante la consegna dei premi Saint-Vincent di giornalismo al Quirinale. Il capo dello Stato ha fatto il punto dello stato dell'informazione in Italia, ha criticato l'eccesso di attenzione dei media per i contrasti spesso effimeri della scena politica interna, ha esortato i giornalisti a tenere "la schiena dritta", ma soprattutto ha invitato la Rai a non smarrire la sua funzione primaria. "La mia costante attenzione al mondo dell'informazione - ha detto Ciampi - mi spinge a osservare che qualunque sia l'assetto aziendale della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico, nei contenuti editoriali e culturali, nell'informazione, nello stile, in linea con le indicazioni dell'Unione Europea sui servizi pubblici radio televisivi". Poi il presidente ha criticato l'informazione italiana per il suo eccesso di provincialismo e per occuparsi troppo "di dinamiche, contrasti e divisioni interne che spesso svaniscono senza lasciare traccia". "Serve una maggiore apertura internazionale dei nostri media - ha aggiunto - bisogna guardare e raccontare di più quello che accade in Europa e lontano dall'Europa." Quindi Ciampi si è rivolto direttamente ai giornalisti: "La raccomandazione fondamentale che vi faccio è che teniate dritta la vostra spina dorsale, è questo ciò che ognuno di voi deve sentire come un imperativo e che LETTERA AL DIRETTORE DI “GENTE” deve guidare la vostra professione". Dopo aver ascoltato gli interventi del presidente della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi e dal presidente nazionale dell'Ordine del giornalisti Lorenzo Del Boca, Ciampi ha sottolineato come i due avessero "ripreso con forza e insistenza i temi della professionalità e della deontologia: sono temi - ha detto Ciampi che voi avvertite come fondamentali con responsabilità e impegno". «Non tornerò su questi temi che ho affrontato in passato - ha proseguito Ciampi - non certo perché siano superati: ma la raccomandazione che vi faccio è che è che teniate dritta la vostra spina dorsale, è questo ciò che ognuno di voi deve sentire come un imperativo e che deve guidare la vostra professione». Per capire la vicenda Ma il Csm non ha nulla da dire? Giustizia e libertà di informazione: il caso del mostro di Firenze. Il poliziotto della squadra antimostro, Michele Guttari, indaga e sotto accusa finiscono i cronisti che raccontano le sue imprese Sul diritto alla libera circolazione delle notizie, un intervento del presidente dell’Ordine professionale della Lombardia Giornalista, stai zitto! di Franco Abruzzo* *presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e docente di Diritto dell’informazione all’Università degli Studi di Milano Bicocca e all’Università Iulm di Milano. Caro direttore, giornali (è il caso di Gente) e redattori (è il caso ancora di un giornalista di Gente e di altri giornalisti di altre testate) continuano a subire perquisizioni, intercettazioni telefoniche e incriminazioni, nonostante nitide sentenze della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo di segno opposto alle decisioni di giudici italiani (di Firenze, Genova, Perugia). È diritto insopprimibile dei giornalisti quello di raccontare quel che accade, fatti e notizie su questioni di interesse generale. Questo principio, che è l’incipit dell’articolo 2 della legge professionale dei giornalisti italiani, è consacrato in una sentenza della Corte di Strasburgo. La libertà di scrivere è sacra e cammina di pari passo con l’osservanza della deontologia. Il rispetto del segreto professionale è una regola fondamentale perché sul rovescio garantisce il diritto dei cittadini all’informazione: “È diritto dei giornalisti quello di comunicare informazioni su questioni di interesse generale, purché ciò avvenga nel rispetto dell’etica giornalistica, che richiede che le informazioni siano espresse correttamente e sulla base di fatti precisi e fonti affidabili; costituisce, pertanto, un limite irragionevole alla libertà di stampa la condanna per ricettazione di giornalisti che, attenendosi alle norme deontologiche, abbiano pubblicato documenti di interesse generale pervenuti loro in conseguenza del reato di violazione di segreto professionale da altri commesso (nella specie, copia delle denunzie dei redditi di un importante manager francese)” (Corte europea diritti dell’Uomo, 21 gennaio 1999; Parti in causa Comm. europea dir. uomo c. Governo francese e altro; Riviste: Foro It., 2000, IV, 153). ORDINE 1 2005 La protezione delle fonti giornalistiche è uno dei pilastri della libertà di stampa. La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) con l’articolo 10 tutela espressamente le fonti dei giornalisti, stabilendo il diritto a “ricevere” notizie. Lo ha spiegato la Corte di Strasburgo con la sentenza che ha al centro il caso del giornalista inglese William Goodwin. L’ordinamento europeo peraltro impedisce ai giudici nazionali di ordinare perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni dei giornalisti nonché nelle “dimore” dei loro avvocati a caccia di prove sulle fonti confidenziali dei cronisti: “La libertà d’espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, e le garanzie da concedere alla stampa rivestono un’importanza particolare. La protezione delle fonti giornalistiche è uno dei pilastri della libertà di stampa. L’assenza di una tale protezione potrebbe dissuadere le fonti giornalistiche dall’aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni d’interesse generale. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” e il suo atteggiamento nel fornire informazioni precise e affidabili potrebbe risultare ridotto”. Questi sono i principi sanciti nella sentenza “Roemen” 25 febbraio 2003 (Procedimento n. 51772/99) della quarta sezione della Corte di Strasburgo. Le sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese. Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo: “I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo” (in Fisco, 2001, 4684). La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e le sentenze di Strasburgo rendono forte il lavoro del cronista. Le vicende Goodwin e Roemen sono episodi che assumono valore strategico. Quelle sentenze La settimana scorsa la Procura di Perugia, in seguito alle indagini della squadra antimostro (il Gides) di Michele Giuttari, ha iscritto nel registro degli indagati il giornalista freelance Mario Spezi, collaboratore di numerosi giornali (fra cui Gente) e televisioni. L’accusa: favoreggiamento. Il motivo: si è fattivamente adoperato per “demolire” le ipotesi accusatorie [di Giuttari, ndr] utilizzando i canali televisivi». Cioè: siccome Spezi critica la linea investigativa di Giuttari, viene indagato. Non è che l’ultima iniziativa in ordine di tempo del poliziotto-scrittore che, per spiegare i delitti del mostro di Firenze, lavora da anni, senza risultati, sulla cosiddetta pista delle sette esoteriche. Nelle scorse settimane è venuto fuori che nel registro degli indagati era finito anche il giornalista di Gente Gennaro De Stefano, “colpevole” di aver scritto due articoli non graditi a Giuttari: nel primo dava conto di un richiamo scritto dal Dipartimento della Pubblica sicurezza per invitare Giuttari ad astenersi da apparizioni tv, nel secondo raccontava dell’irritazione della Procura fiorentina nei confronti delle lunghe e inconcludenti indagini dei Gides. L’accusa per De Stefano: interruzione di pubblico servizio. Anche il famoso caso G8, che i lettori di Gente conoscono, nasceva incredibilmente dalle indagini di Giuttari. De Stefano (il cui telefono era stato messo sosto controllo in seguito all’accusa precedente) e il direttore di Gente, Umberto Brindani, erano stati addirittura accusati dì ricettazione, accusa poi rapidamente caduta e archiviata dalla Procura di Genova. Giornalisti indagati e messi sotto possono essere “usate”, quando i giudici nazionali mettono sotto inchiesta, sbagliando, i giornalisti, che si avvalgono del segreto professionale. I giornalisti devono rifiutarsi di rispondere ai giudici in tema di segreto professionale, invocando, con le norme nazionali (legge n. 69/1963 e dlgs n. 196/2003), la protezione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo nonché le sentenze Goodwin e Roemen della Corte di Strasburgo. Questa linea è l’unica possibile anche per evitare, come scrive il Tribunale penale di Treviso, di finire sulla graticola dell’incriminazione per violazione del segreto d’ufficio in concorso con pubblici ufficiali (per lo più ignoti), cioè con coloro che, - magistrati, cancellieri o ufficiali di polizia giudiziaria -, hanno “spifferato” le notizie ai cronisti. In effetti l’eventuale responsabilità, collegata alla fuga di notizie, grava solo sul pubblico ufficiale che diffonde la notizia coperta da vincoli di segretezza e non sul giornalista che la riceve e che, nell’ambito dell’esercizio del diritto-dovere di cronaca, la divulga. Va affermato il principio secondo il quale il giornalista, che riceva una notizia coperta da segreto, può pubblicarla senza incorrere nel reato previsto dall’articolo 326 del Cp. È palese la differenza con il reato di corruzione, che colpisce sia il corrotto sia il corruttore. L’articolo 326, invece, punisce solo chi (pubblico ufficiale) viola il segreto e non chi (giornalista) riceve l’informazione e la fa circolare. Ferma restando, ad ogni modo, la prerogativa del giornalista di non rivelare l’identità delle proprie fonti. Il giornalista, che svela le sue fonti, rischia il procedimento disciplinare al quale non può, comunque, sfuggire per l’evidente violazione deontologica. Una lettura ragionevole dell’articolo 326 del Cp evita l’incriminazione (assurda) del giornalista per concorso nel reato (con il pubblico ufficiale…loquace) e le perquisizioni, che sono un’arma ormai spuntata dopo la sentenza “Roemen” della Corte di Strasburgo. Ma i giudici italiani conoscono le sentenze di Strasburgo? accusa per il loro lavoro, ipotesi di reato infamanti e ingiustificate, un faro puntato sulla legittima attività dei cronisti, una situazione che crea disagio e preoccupazione. Su tutto questo, in difesa della libertà di stampa e del diritto dl cronaca, si sono già espresse con forza al massimo livello le istituzioni professionali e sindacali dei giornalisti italiani. La vicenda ha echi all’estero: anche con riferimento ad alcune di queste vicende, Reporter senza frontiere ha declassato l’Italia nella classifica della libertà di stampa nel mondo. Forse sarebbe il caso che cominciasse a occuparsene anche il Consiglio superiore della magistratura (si veda, in queste pagine, l’intervento di Franco Abruzzo). (da Gente n. 49 del 2 dicembre 2004) Finirà la storia dei giornalisti arrestati e condannati perché difendono il segreto professionale anche come cittadini europei? Il Codice di procedura penale, in base alla relativa legge-delega, °±deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale°±. Il Parlamento in sostanza deve calare nel Codice le sentenze Goodwin e Roemen nonché l’articolo 10 della Convenzione, abolendo il potere del Gip di interrogare il giornalista. Finirà la storia dei giornalisti arrestati e condannati perché difendono il segreto professionale anche come cittadini europei? L’articolo 200 del Cpp afferma il diritto del giornalista professionista al segreto sulle sue fonti fiduciarie, ma nel contempo autorizza il giudice a interrogarlo sulle sue fonti fiduciarie. Potere, questo, che fa a pugni con la Convenzione e con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Il Parlamento deve sancire una volta per tutte la regola in base alla quale il giornalista ha diritto al segreto professionale come gli altri professionisti. Punto e basta. Non una parola in più. Strasburgo ha spiegato perché è necessaria ed urgente questa svolta. Frattanto la Convenzione si applica e si applicano anche le sentenze di Strasburgo. I giornali e i giornalisti, che hanno il diritto di fare controinformazione, hanno il dovere di reagire in maniera ferma contro lo strapotere di alcuni Pm e giudici. Con la parola e con gli scritti. Deve vincere la nostra Costituzione, che vuole giornalisti e stampa liberi, “non soggetti ad autorizzazioni o censure”, guardiani (onesti e corretti) dei poteri (anche di quello giudiziario). Sono alle nostre spalle le parole di Benito Mussolini pronunciate il 10 ottobre 1928 davanti a 70 direttori di giornali italiani: “Il giornalismo italiano è libero perché nell’ambito delle leggi del Regime può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione. Io contesto nella maniera più assoluta che la stampa italiana sia il regno della noia e della uniformità”. Il duce mentiva ma sapeva di mentire, perché la stampa era stata imbavagliata e ubbidiva ai suoi voleri. Ma oggi è, purtroppo, tempo di imitatori occulti. (da Gente n. 49 del 2 dicembre 2004) 5 “ SERVENTI LONGHI: “Negli ultimi tre anni abbiamo fatto i conti con altrettanti anni di governo Berlusconi, con una poderosa riforma del sistema della comunicazione che non ha risolto il conflitto d’interessi, che minaccia la pluralità delle voci e mette a rischio il futuro della Rai” ” La cronaca del Congresso La prima giornata Arne Konig: (22 novembre 2004) “Lo sciopero è superato” Aosta, 22 novembre 2004. Con 309 delegati e un totale di quasi 600 accreditati, il Congresso della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) si apre oggi pomeriggio a Saint Vincent (Aosta) con numeri da record. Il sindacato unitario dei giornalisti italiani si ritroverà dal 22 al 26 novembre ai piedi del Monte Bianco per rinnovare gli organismi direttivi, che resteranno in carica nei prossimi quattro anni. Segretario uscente è Paolo Serventi Longhi, che viene indicato per una probabile riconferma. “Negli ultimi tre anni - spiega Serventi Longhi - abbiamo fatto i conti con altrettanti anni di governo Berlusconi, con una poderosa riforma del sistema della comunicazione che non ha risolto il conflitto d’interessi, che minaccia la pluralità delle voci e mette a rischio il futuro della Rai, del servizio pubblico radiotelevisivo italiano”. “Il sindacato dei giornalisti - aggiunge - è stato protagonista, insieme ai soggetti disponibili, di una battaglia politica e sociale, nel paese, senza alcuna sudditanza partitica o di schieramento, per affermare, ancora una volta, il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. Un diritto al quale corrisponde il diritto-dovere dei giornalisti di fare, con onestà e trasparenza, il proprio mestiere. Una battaglia contro quelle leggi, come la Gasparri, che mettono a rischio il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione”. Dopo il plebiscito ottenuto nel precedente Congresso di Montesilvano, Serventi Longhi punta alla riconferma della maggioranza uscente, che è composta dai gruppi di Autonomia e Solidarietà e di Giornalisti uniti. La minoranza, formata dai gruppi Punto e a capo, Quarto potere, Stampa democratica e Senza bavaglio, cercherà di ritagliarsi uno spazio all’interno dei vari organismi direttivi. Il maggiore contrasto tra le due parti della galassia Fnsi è nato nell’ultima legislatura sull’estensione dei diritti ai vari tipi di giornalismo. “Il sindacato ha operato e si pone l’obiettivo di continuare a farlo con sempre maggiore forza - aggiunge Serventi Longhi - per il riconoscimento del lavoro giornalistico nelle sue diverse forme, con strumenti di difesa di tutti i redditi e ruoli professionali. Il sindacato deve dare ai colleghi freelance, al precariato diffuso, nella Rai e fuori, ai disoccupati che non trovano più lavoro stabile, ai giovani inoccupati, risposte finalmente chiare. Il contratto, e quindi le nostre controparti, non possono sottrarsi dall’affrontare il nodo dei diversi giornalismi”. (ANSA) Professioni: iscrizioni in calo del 5 per cento Dalla relazione di Paolo Serventi Longhi balzano agli occhi anche i dati, molto negativi, sul tesseramento. Tra il 2001 e il 2003 il numero dei giornalisti professionisti iscritti alla Fnsi è passato da 15.614 a 14.828: un calo del 5 per cento. (fonte: www.quartopotere.org) “Professione in piena evoluzione tecnologica” Saint Vincent, 22 novembre 2004. La professione giornalistica è in questo momento in piena evoluzione tecnologica “ma purtroppo non mutano le difficoltà ed i pericoli: il 2004 sta per diventare uno degli anni più sanguinosi per il giornalismo. Più di 100 operatori dell’informazione hanno trovato la morte”. Con queste parole il presidente della Regione Valle d’ Aosta, Carlo Perrin, ha dato il benvenuto agli oltre 300 delegati che partecipano al 24° congresso della Federazione nazionale della stampa italiana, apertosi oggi a Saint Vincent. Perrin, facendo riferimento alla professionalità dei giornalisti, ha aggiunto: “È importante sapere che le notizie che ci arrivano sono il frutto di un racconto fatto da professionisti; e questo vale per l’inviato di guerra come per il cronista di quartiere”. (ANSA) 6 Saint Vincent, 22 novembre 2004. “La Efj è molto attenta alla situazione italiana dove, riguardo al pluralismo dell’informazione c’è un controllo maggiore rispetto al resto d’ Europa”. Lo ha detto Arne Konig, presidente della Federazione europea dei giornalisti, intervenendo all’apertura dei lavori del 24° Congresso della Fnsi. Si è poi augurato che il nuovo Parlamento europeo si occupi del Caso Italia”. Arne Konig ha poi lanciato un monito alla dirigenza dell’Fnsi: “bisogna - ha detto - sviluppare metodi di lotta nuovi e non tradizionali. Lo sciopero, ad esempio, è uno strumento superato”. (ANSA) Fassino: “La libertà d’informazione vitale per la democrazia” Roma, 22 novembre 2004. Un incoraggiamento e un invito a proseguire nell’impegno a difesa di un’informazione plurale, autonoma, libera. Lo fa il leader dei Ds Piero Fassino al segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi in occasione del’apertura oggi a Saint Vincent del 24° congresso del sindacato dei giornalisti. E sottolinea: “Il vostro impegno sarà il nostro impegno”. “Tutto il centrosinistra - scrive Fassino a Serventi - deve assumere la questione del pluralismo e della libertà d’informazione come una questione vitale per la democrazia italiana, facendo proprio l’appello del Presidente della Repubblica Ciampi”. Tra gli obiettivi prioritari per una alternativa di governo, prosegue, “ci deve essere una legislazione che abbia al centro il pluralismo informativo e che sia garanzia di difesa dell’autonomia professionale dei giornalisti da qualsiasi tentativo di condizionamento”. “Siamo con voi - conclude - nella difesa dei valori di civiltà e di democrazia che ogni giorno affermate con il vostro lavoro”. (ANSA) Biancheri: “L’editoria si trova in una situazione di preoccupante pericolo” Saint Vincent, 22 novembre 2004. L’ editoria si trova in una situazione di “preoccupante pericolo” a causa dei “provvedimenti legislativi negativi” di questi anni. Questo lo scenario disegnato dal presidente della Fieg (Federazione editori), Boris Biancheri, nel suo intervento al 24° congresso nazionale della Fnsi (il sindacato dei giornalisti italiani), che si è aperto oggi al Centro congressi di Saint Vincent. “Il divario fra la pubblicità raccolta dalle televisioni e dalla carta stampata tende ad aumentare in modo preoccupante”, ha spiegato Biancheri e ha rivolto un invito all’unità di azione col sindacato dei giornalisti per superare questo stato di cose: “È sincero convincimento e vivo desiderio della Fieg ha detto - che questo sforzo sia fatto insieme in modo che produca risultati positivi”. Una convergenza di obiettivi che non deve essere incrinata dal prossimo rinnovo contrattuale: “Il 2005 - ha ancora affermato Biancheri - non sarà un anno facile: va a scadenza il contratto nazionale sia per la parte normativa sia per quella economica. Credo sia necessario trovare subito alcuni importanti punti contrattuali sui quali è possibile e doveroso trovare accordi. Noi ci prepariamo a questo confronto con spirito positivo e costruttivo e sono certo di trovare corrispondenza”. “La posta in gioco è troppo importante - ha proseguito - per perdere tempo in manifestazioni di pura parata. Vi invito a venire presto sul terreno concreto dei fatti”. Biancheri ha comunque detto di non ritenere che sia “fatale” che la carta stampata soccomba nei confronti della tv: “La carta stampata - ha sostenuto - sopravvive se ha qualità, se è fedele a se stessa. La rincorsa nei confronti degli altri mezzi non è produttiva. Vi sono segni di ottimismo, anche se non sono sufficienti per prosperare”. (ANSA) La giornata del 23 novembre Cescutti e Leone: “Inpgi solido e Casagit in salute” Saint Vincent, 23 novembre 2004. I conti dell’Inpgi sono solidi e la Casagit gode di buona salute. Lo hanno detto rispettivamente Gabriele Cescutti, presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti e Andrea Leone, presidente della Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti. Per Gabriele Cescutti il bilancio 2004 farà registrare un avanzo di 67 milioni di euro, il 33% in più rispetto alla previsione di 45 milioni. “Il nuovo bilancio attuariale, però avverte Cescutti - ha confermato l’allarme per una inversione di tendenza nel 2017”. Il rischio è rappresentato dal “pesante onere dei prepensionamenti per stato di crisi, costati complessivamente dall’81 111 milioni di euro”. Per il presidente dell’Inpgi è quindi necessario “un intervento per il controllo della spesa”. Per potenziare la difesa dei diritti dei suoi oltre 24 mila iscritti l’Inpgi, d’ intesa con la Fnsi, ha proposto che il decreto governativo per i provvedimenti in materia di editoria consenta anche all’ente dei giornalisti di intervenire “a pieno titolo” nelle istruttorie sulle richieste di stato di crisi. Da quanto riferito da Cescutti, dati positivi per il bilancio giungono anche dall’attività ispettiva e legale (545 accertamenti dal ‘97 ad oggi) che ha consentito il recupero di 62 milioni di euro per contributi e 59 milioni di euro per sanzioni, ai quali si devono aggiungere 18 milioni di euro derivanti da cause vinte. Sempre in termini previdenziali, compito prioritario della Casagit, ha evidenziato Andrea Leone, “deve essere il mantenimento delle garanzie fino ad oggi riconosciute ai giornalisti, nonostante uno scenario che cambia, purtroppo in peggio, con poche certezze e con difficoltà crescenti in materia di contratti e di stipendi”. La percentuale dei soci contrattualizzati iscritti alla Cassa, subirà - secondo le previsioni - un’ inversione consistente, passando dall’attuale 62% al 40% “con le conseguenti difficoltà a mantenere gli attuali livelli di assistenza”. (ANSA) Del Boca: “Dobbiamo difendere la libertà” Saint Vincent, 23 novembre 2004. “Viviamo un periodo difficile, esercitiamo una professione che i poteri forti vorrebbero imbrigliare”. Lorenzo del Boca, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha dipinto con tinte fosche, intervenendo a Saint Vincent al congresso della Fnsi, lo stato dell’attività giornalistica in Italia. È stato, quello di Del Boca, un intervento lungo, appassionato e interrotto più volte dall’applauso degli oltre 300 delegati. “Preferiscono i portavoce, i giornalisti embedded che ascoltano solo una voce, quella amica. Il giornalismo è invece tutto il contrario, è mediazione culturale fra posizioni diverse”, ha sottolineato Del Boca. Il presidente dell’Ordine ha ricordato come quella del giornalista non sia una professione “al di fuori delle regole, che gode o pretende libertà assolute. La libertà però non viene per legge e dobbiamo conquistarla e difenderla ad ogni livello”. Lorenzo Del Boca non ha risparmiato critiche alla magistratura “così attenta a difendere la propria autonomia da dimenticare quella degli altri”. Per Del Boca “censura e autocensura sono problematiche planetarie contro le quali bisogna lavorare assieme agli editori e chiedere loro, che sono abbastanza distratti, che si occupino dei fatti loro... che sono, poi i fatti nostri”. Ha quindi chiesto “di affrontare seriamente i problemi che affliggono la stampa” e “di non considerarli problemi marginali”. Per quanto riguarda la pubblicità, Del Boca ha sostenuto che “aveva già abbandonato i giornali ben prima della legge Gasparri”. Ha quindi aggiunto: “Nella crisi della diffusione della stampa, però, abbiamo colpe anche noi giornalisti: iniziamo a dare più notizie, più approfondimenti, senza necessariamente inseguire in maniera frenetica altri mezzi di comunicazione. Dobbiamo renderci conto che non possiamo formarci un giudizio dalla casualità, fare cronaca come fiction o farci condizionare dai reality show”. “Riprendiamoci la professione” ha esortato. Chiudendo il suo intervento, ribadendo come la categoria abbia bisogno “che tutti coloro che hanno fiato in gola, tutti coloro a cui sta a cuore la professione, suonino la carica”, Del Boca ha avanzato ORDINE 1 2005 “ DEL BOCA: “ Viviamo in un periodo difficile, esercitiamo una professione che i poteri forti vorrebbero imbrigliare. Tutti coloro che hanno fiato in gola, tutti coloro ai quali sta a cuore la professione suonino la carica” ” della Fnsi (attraverso l’Ansa) una richiesta: “Il Congresso si prenda la responsabilità di scrivere alla famiglia di Maria Grazia Cutuli per ringraziarla della lezione di civiltà data a tutti rifiutando la pena di morte per l’assassino della figlia”. (ANSA) Gasparri difende la sua legge Saint Vincent, 23 novembre 2004. Quasi un’arena, il congresso della Federazione italiana della stampa in corso da due giorni a Saint Vincent, quella che ha accolto questa mattina il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, venuto a portare all’assise dei giornalisti il saluto del governo ed a difenderne l’operato nel settore, la legge che porta il suo nome in primis. Era stato il presidente della Fieg, Boris Biancheri, in apertura dei lavori, per primo, a definire la Gasparri “una grave minaccia” per l’informazione. Poi un gran numero di interventi hanno affrontato o almeno fatto cenno ai problemi che quell’intervento normativo ha aperto o aggravato. Infine, questa mattina, mentre già il ministro era seduto in prima fila, l’intervento della delegata e rappresentante del cdr del Tg1, Ansaldo, si è trasformato in un incidente con abbandono della sala da parte di Maurizio Gasparri, raggiunto dal segretario della Fnsi Serventi Longhi e convinto, con le scuse ufficiali, a rientrare. La Ansaldo, dopo aver denunciato “l’asservimento del Tg1 al presidente del consiglio”, parlando di “titoli e servizi cancellati”, giornalisti mobbizzati, aveva rimproverato il ministro che era in quel momento con il telefono all’orecchio (per una chiamata urgente da Roma, ha spiegato). Superato l’incidente, il ministro ha preso la parola per illustrare brevemente il suo operato al ministero delle Comunicazioni ed i provvedimenti del governo sulla materia. Dal codice sulle Tlc a quello, recentemente varato dal Consiglio dei ministri e che - ha detto - domani andrà all’esame della conferenza stato-regioni e poi delle commissioni parlamentari, sul riassetto radio e tv. Poi, la legge Gasparri, il provvedimento in discussione sulla diffamazione (“non sarà perfetto ma è un importante passo avanti”). Quindi il ministro ha, senza farvi riferimento, replicato alla delegata del Tg1, ricordando che “per decenni il servizio pubblico ha non solo cancellato titoli, ma anche presenze politiche” per sottolineare come chi lavora “in Rai dovrebbe gioire nel vedere l’azienda sempre più spesso vincere” nella gara degli ascolti, nell’informazione come con le fiction e l’intrattenimento. Un cenno al Tg5 che ha cambiato direttore: se con la nuova direzione il Tg5 tornerà a battere il Tg1, ha detto, “vorrà dire che la scelta è stata azzeccata”. Infine, ancora sulla Rai, dopo aver parlato della quotazione in borsa, Gasparri ha ricordato che “c’era chi proponeva un’asta per il canone. Io ero contrario. Pensate cosa sarebbe successo se avesse vinto Mediaset!”. Al ministro delle Comunicazioni ha subito replicato il segretario della Fnsi, tra l’altro, rivolgendogli un appello affinché in Consiglio dei ministri ricordi al sottosegretario Bonaiuti le promesse fatte per ridurre il costo della carta, promesse, ha detto Serventi, che non sembra il governo abbia intenzione di mantenere. Al ministro, Serventi ha chiesto anche di intervenire perché per “i giornalisti che sono a Nassiria al rischio della vita non si aggiunga anche quello di finire in galera”, un rischio che è conseguenza della riforma del codice militare. “Io credo che si debba garantire l’informazione a tutti i livelli, quindi approfondirò questa questione con i colleghi parlamentari che l’hanno seguita”. Il ministro Gasparri ha risposto così all’appello di Paolo Serventi Longhi, segretario della Fnsi, che ha chiesto la modifica del codice militare, recentemente approvato da un ramo del Parlamento, che prevede il carcere per i corrispondenti di guerra che diffondono notizie ritenute riservate. “È ovvio - ha aggiunto Gasparri lasciando la sala del congresso della Fnsi - che sugli scenari militari, soprattutto quando si contrasta il terrorismo internazionale, anche l’informazione deve rispettare delle regole diverse da quelle che possiamo sentire adesso qui parlando ad un normale convegno, in una tranquilla città italiana”. “Tuttavia credo - ha proseguito il ministro - che l’appello meriti di essere raccolto per un approfondimento e quindi sicuramente ne parlerò con i colleghi che seguono questa normativa in Parlamento per contemperare le esigenze della sicurezza con quelle della libertà dell’informazione che anche nei contesti estremi di guerra deve essere una garanzia anche di democrazia”. (ANSA) ORDINE 1 2005 La giornata del 24 novembre Serventi Longhi: sul contratto sarà scontro Saint Vincent, 24 novembre 2004. “Sarà uno scontro duro, forse ancora più duro di quello di quattro anni fa, perché abbiamo idee molto chiare su come deve avanzare il nostro contratto. Spero che gli editori abbiano volontà costruttiva”. È il messaggio che Paolo Serventi Longhi, segretario del Fnsi (il sindacato unitario dei giornalisti), ha lanciato all’assemblea congressuale. Intervenendo per replicare a quanti si sono susseguiti nei tre giorni di intenso dibattito, ha invocato “una forte unità del sindacato per rispondere alle sfide, criticando e contrastando le leggi che non ci piacciono o che riteniamo lesive dell’autonomia e dell’indipendenza dei giornalisti”. Unità sindacale che, secondo Serventi Longhi, consentirà di avviare un nuovo dialogo ed un costruttivo confronto con le istituzioni e di fare proposte avanzate per cambiare la situazione di oggi. “Dobbiamo essere capaci - ha sottolineato - di formulare proposte, per questo abbiamo bisogno di tutti i settori delle realtà redazionali, della maggioranza e dell’opposizione, per una unità da costruire sul campo e sulle cose”. E, ritornando al contratto, ha annunciato: “Presto ci incontreremo con la Fieg, intanto prepareremo la piattaforma rivendicativa che avrà il suo obiettivo nobile nella difesa dei diritti dei comitati di redazione, dei direttori e nella possibilità di costruire momenti in cui le redazioni e gli editori si incontrano per discutere e per realizzare le cose”. Serventi Longhi ha, quindi, assicurato: “Tutti questi elementi faranno parte delle nostre richieste. Andiamo a chiedere finalmente il rispetto del lavoro autonomo, di chi collabora all’esterno delle redazioni, per coloro che forse svolgono il lavoro maggiore per costruire i prodotti editoriali”. (ANSA) Paolo Serventi Longhi Pier Luigi Franz Franco Siddi Maria Grazia Molinari Le giornate del 25/26 novembre Paolo Serventi Longhi confermato segretario generale. Franco Siddi rieletto presidente Saint Vincent, 25/26 novembre 2004. Paolo Serventi Longhi è stato confermato segretario generale dal 24° Congresso della Federazione italiana della stampa. Serventi ha avuto 209 voti. La candidata del cartello delle opposizioni, Maria Grazia Molinari, 63; 28 le schede bianche o nulle. Franco Siddi è stato confermato presidente della Fnsi. Lo ha eletto il Consiglio nazionale con 71 voti su 107 votanti. L’altro candidato, Pier Luigi Franz, proposto dalle opposizioni, ha ottenuto 19 voti. “Questa vittoria è del sindacato unito. Dal Congresso di Saint Vincent è uscito un sindacato dal quale più nessuno pensa di andare via”. Così Paolo Serventi Longhi e Franco Siddi hanno commentato la loro riconferma rispettivamente a segretario nazionale e presidente della Fnsi (il sindacato dei giornalisti) che ha concluso all’alba a Saint Vincent il Congresso al quale hanno preso parte 309 delegati. “Non riesco ad esprimere tutta la gioia che provo in questo momento” ha detto Paolo Serventi Longhi alla fine della votazione che lo ha rieletto per la terza volta segretario generale della Fnsi. “È una vittoria importante che non è mia ma del sindacato unito, perché gli uomini passano ma il sindacato resta. Vorrei ringraziare tutti gli amici delle varie componenti che mi hanno sostenuto. Ringrazio l’opposizione e Maria Grazia Molinari perché non ci sono candidati di bandiera, ma idee. Adesso comincerà il lavoro per costruire la squadra e il Consiglio nazionale”. Una vittoria che ha avuto il riconoscimento delle opposizioni che avevano candidato Maria Grazia Molinari (63 voti): “Caro Serventi, sarai il nostro segretario”, ha detto Maria Grazia Molinari che ha poi sottolineato: “La mia non era una candidatura arrogante, dal momento che tutti sapevamo che non poteva competere con la tua. Volevamo segnalare solo un’opposizione costruttiva”. “Questo congresso, che considero il più bello delle ultime edizioni, e questa opposizione ti hanno rieletto perché ti stimano”, ha aggiunto rivolgendosi a Paolo Serventi Longhi. “Avremo ancora degli scontri, ma volevo dirti caro Paolo che dobbiamo e vogliamo lavorare insieme”, ha concluso. “Voglio essere il segretario unitario di tutto il sindacato dei giornalisti italiani - ha risposto Serventi Longhi - il mio è un ruolo politico, non asettico. Sono assolutamente determinato a portare a termine questo impegno. Vedrete che ce la faremo”. E l’unità sindacale è stata sottolineata ancor più, se possibile, da Franco Siddi, al suo secondo mandato da presidente della Fnsi, “il giovanotto sardo leale”, così lo ha definito Paolo Serventi Longhi. “Abbiamo dimostrato, senza ammucchiate, ma con grande trasparenza e chiarezza ha precisato Siddi - la nostra capacità di stare assieme pur nella diversità delle idee e delle convinzioni tutte comunque protese a ridare ai giornalisti garanzie di autonomia e indipendenza professionale”. Il primo impegno della nuova dirigenza sarà il rinnovo del contratto nazionale degli oltre 10 mila giornalisti italiani che scade nel 2004 e per il quale la giunta della Fnsi da subito inizierà ad elaborare la piattaforma rivendicativa. (ANSA) 7 CONVEGNO FIEG A MILANO DAI TONI TRIONFALISTICI E D I T O R I A Ritorno sull’investimento: fatturato aggiuntivo generato Incremento annuo di vendite medie in coincidenza con l’incremento di 100 GRP: stampa vs tv La pubblicità sui periodici? Radio Classe di età 2001 2004 14-17 81 84 +4 18-34 81 83 +2 TV Periodici Var. % La pubblicità sui periodici fa crescere le vendite % di casi Studi / Anno 2001 2004 Frequenza d’acquisto del prodotto Spesa totale del prodotto Al crescere del budget destinato ai periodici si moltiplica l’efficienza della televisione Var. % Laurea 87 89 +2 Diploma media sup. 84 85 +1 Classi / anno Numeri trattanti il prodotto 2001 2004 Var. % Superficie 85 88 +3 Medio superiore 83 87 +4 Media 74 75 +1 Campagna TV Campagna stampa Quota Periodici Quota Periodici 0-4% 4-10% Quota Periodici 10-61% “Fa vendere di più (e dà una mano perfi di Patrizia Pedrazzini Qual è lo stato di salute del periodico italiano? E, soprattutto, come si configura il suo rapporto con la pubblicità? In altre parole: in un momento come l’attuale, caratterizzato da un deciso strapotere televisivo, quanto rende fare pubblicità su un settimanale o su un mensile? È stato per rispondere a queste domande che, otto anni dopo l’ultima messa a fuoco della situazione, e su iniziativa della Fieg, la Federazione italiana editori giornali, gli imprenditori della stampa periodica si sono riuniti in un convegno, tenutosi nella sede dell’Assolombarda lo scorso 1° dicembre. Tema dell’incontro: “Periodici: l’informazione che resta. Efficacia e innovazione di un medium fondamentale”. Un titolo che già prefigurava le conclusioni cui gli esperti erano giunti: non solo questo particolare settore della carta stampata gode buona – anzi ottima – salute, ma un investimento pubblicitario su un settimanale o su un mensile rende, a conti fatti, più di uno spot televisivo. Intanto, l’Italia è uno dei Paesi con il maggior numero di testate periodiche. Se ne contano circa 4.500, per un totale di 1 miliardo e 500 milioni di copie diffuse ogni anno. Non solo: le 241 testate maggiori (67 settimanali, 171 mensili, 3 con altra periodicità) vendono, da sole, circa 1 miliardo di copie l’anno, oltre ad aggiudicarsi più del 70% della raccolta pubblicitaria totale dei periodici. Quanto ai lettori, sono oltre 34 milioni, circa il 66% della popolazione: in pratica, due italiani su tre leggono ogni mese, o ogni settimana, un periodico. Un settore florido ma statico? Niente affatto. Negli ultimi dieci anni le copie diffuse sono aumentate di circa 20 milioni. E non si può neanche dire che l’irrompere di nuovi media, o lo sviluppo tecnologico di quelli “classici”, ne abbia intaccato il pubblico. Il numero totale dei lettori è, infatti, cresciuto di 700.000 unità negli ultimi tre anni. In particolare, le testate hanno accresciuto la loro penetrazione tra le fasce più giovani (14-34 anni) e nei segmenti socio-economici e culturali più elevati, mentre, fra i ragazzi di età compresa fra i 14 e i 17 anni, l’aumento dei lettori è stato del 4% tra il 2001 e il 2004. Merito della qualità dell’offerta italiana, decisamente alta se non addirittura “eccellente, soprattutto se confrontata – ha detto il presidente della Fieg, l’ambasciatore Boris Biancheri – con quanto viene stampato all’estero, in fatto di periodici, ma anche di quotidiani”. Merito della cura dedicata al design Antonio Massa: “No ai contratti separati per i giornalisti” Superato il tabù del contratto unico, aveva detto ieri nella sua relazione introduttiva al 24° Congresso dei giornalisti in corso a Saint Vincent il segretario generale Paolo Serventi Longhi riferendosi all’accordo Aeranti-Corallo, si può guardare ad altri contratti differenziati. E aveva aggiunto che è ora “di avviare un serio confronto con l’altra associazione dei periodici specializzati Anes”. 8 e alla veste grafica, da sempre elementi caratteristici del “made in Italy”. Ma anche e soprattutto merito del forte rapporto, fatto di autorevolezza e di credibilità, che le testate hanno saputo instaurare con i lettori. “I periodici – ha sottolineato il presidente di Eurisko, Giuseppe Minoia – sono media attivi, che accompagnano il lettore per più giorni, e chi li acquista sa molto bene, a differenza del pubblico della tv generalista, quello che vuole”. Di qui la validità del periodico quale strumento di comunicazione pubblicitaria nel breve e nel medio termine. Anche se nessuno si è nascosto il problema del forte scompenso esistente fra gli investimenti pubblicitari che vanno alla televisione e quelli destinati ai giornali. “È indubbio che lo strapotere della televisione in questo Paese – ha detto in un messaggio video inviato al convegno il presidente di Confindustria, ed ex presidente della stessa Fieg, Luca Cordero di Montezemolo – costituisca un elemento di difficoltà per la carta stampata. È indubbio che il momento sia difficile. Ma l’editoria italiana, forte di una qualità dell’offerta unica e irripetibile a livello mondiale, sta reagendo, e bene”. “È scandaloso – ha rimarcato il direttore di Gente, Umberto Brindani – che in Italia due terzi della pubblicità vadano alla tv, ma tutto “Andiamoci piano – ha però avvertito Antonio Massa, eletto delegato della Lombardia nelle liste di Quarto potere e componente del Cdr Domus, la casa editrice che pubblica anche Quattroruote – assicuriamoci prima che certe associazioni serie lo siano. L’Anes, ad esempio, associa di tutto: dai periodici del Sole24 Ore all’editore di Blek e Capitan Miki, dai fornitori di carta e di coperture assicurative alle Poste svizzere interessate a vendere agli editori il servizio di spedizione, per i quali l’Anes continua a implorare il governo affinché conceda agevolazioni”. “Sono contrario all’ipotesi di un contratto differenziato con l’Anes - ha sostenuto ancora Massa – e credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi che, lavorando in testate specializzate, già hanno un contratto giornalistico. L’Anes mira a ridurre i margini di autonomia professionale e il potere dei direttori per ampliare quelli dei responsabili della pubblicità. Ma si tratta, almeno per quanto riguarda il gruppo dirigente dell’Anes, di editori dai bilanci floridi come, oltre ai citati, imprese del calibro Vnu, Idg, Tecniche nuove, ai quali non sarebbe ragionevole concedere sconti contrattuali come desiderano”. Si tenga conto, per di più, che alcuni editori Anes ambiscono a fornire servizi editoriali per terzi, a costi più bassi rispetto agli editori Fieg che a quel punto preferirebbero affidare in outsourcing pagine e pagine, considerando rami ciò rientra nelle anomalie di questo Paese”. E, in effetti, all’estero la situazione è differente. “In Italia – ha sottolineato Urbano Cairo, presidente di Cairo Editore e dell’Editoriale Giorgio Mondadori – la televisione pesa per il 55%, negli Stati Uniti per il 35%”. Ma anche spostando il raffronto a un Paese europeo, le cifre cambiano di poco: in Germania, per esempio, gli investimenti pubblicitari finiscono per il 58,8% alla carta stampata e per il 28,8% alla tv. Eppure, nonostante tutto, la stampa periodica italiana è considerata un medium più efficace della televisione per raggiungere, con maggiore efficienza e capacità persuasiva, i destinatari del messaggio pubblicitario. “Per noi - ha detto Michele Norsa, amministratore delegato della “Valentino” – che investiamo per il 60% nei periodici, l’effetto di una copertina è immisurabile”. “Saremmo morti – gli ha fatto eco il presidente dell’Upa (Utenti pubblicità associati), Giulio Malgara – se potessimo contare solo sulla televisione: oltre le ventiquattr’ore al giorno non potremmo andare”. “Come Benetton – ha rincarato la dose Paolo Landi, direttore Pubblicità del Gruppo di Treviso – destiniamo il 60% degli investimenti pubblicitari alla stampa, il 40% alle affissioni e niente alla tv. Troppo degradato come mercato, mentre un’impresa deve lavorare affinché il secchi i propri giornalisti specializzati in automobili piuttosto che in gastronomia, turismo e altro ancora. “E non limitiamoci a immaginare l’Anes come una secondaria associazione di editori specializzati. Come oggi vi aderisce il Sole-24 Ore – ha incalzato Massa – cosa fermerà domani la Mondadori o il gruppo L’EspressoRepubblica dal chiedere di associarsi se lo considererà più conveniente rispetto all’adesione alla Fieg? Non credo fantascientifico immaginare pagine sui viaggi e sul turismo fornite da un National Geografic aderente all’Anes, e che potrà magari obbligare i suoi giornalisti a lavorare per altri editori se la Fnsi cederà, a un quotidiano come La Stampa aderente alla Fieg,”. Riassume bene la controversa situazione in cui si trovano i giornalisti specializzati delle testate Anes, l’appunto inviato ai delegati al Congresso di Saint Vincent dal Cdr della Vnu che afferma tra l’altro: “In queste realtà editoriali il direttore responsabile è anche un dirigente aziendale: due figure incompatibili. Da una parte egli dovrebbe tutelare il corpo redazionale, ma ciò è impossibile dovendo rispettare il budget da presentare all’azionista ogni tre mesi […] hanno perso il senso della professione giornalistica. Quindi è assolutamente necessario che il nuovo Cnlg preveda la scissione netta e precisa dei due ruoli”. ORDINE 1 2005 La situazione della stampa periodica, prevalentemente concentrata in Lombardia, è preoccupante Periodici a picco, serve una vertenza “Nuova Informazione” chiede a tutte le istituzioni e a tutti i colleghi di varare una grande vertenza ad hoc Milano, 3 dicembre 2004. Testate che chiudono, cessioni d’azienda, crisi occupazionale. La situazione della stampa periodica, prevalentemente concentrata in Lombardia, è preoccupante. Prima che diventi drammatica serve un’analisi dei dati e un rilancio dell’iniziativa sindacale. “Nuova Informazione” si fa carico del disagio e chiede a tutte le istituzioni (Fnsi, Alg e Commissione sindacale) e a tutti i colleghi di varare una grande vertenza ad hoc. VERSO UNA GRANDE VERTENZA NAZIONALE DEI PERIODICI. La drammatica politica di ridimensionamenti, tagli, chiusura di testate, cessioni di rami d’azienda e di giornali attuata in questi ultimi mesi da gruppi grandi e piccoli della stampa periodica, da Mondadori a Gruner & Jahre, da Edit a Rizzoli ed editori vicini, richiede una risposta adeguata e complessiva del sindacato. Bisogna mettere al centro di una iniziativa nazionale la stampa periodica, che in Lombardia (ma non soltanto) occupa migliaia di colleghi e copre uno spettro informativo molto importante, al centro fra l’altro di temi sindacali e deontologici fondamentali per la nostra categoria: dalla questione rapporti pubblicità-informazione al lavoro precario dilagante, all’utilizzo multitestata, molto praticato nel settore. È indispensabile un nuovo slancio di indagine e analisi della situazione e soprattutto di iniziativa dei Cdr nelle redazioni e di Fnsi e Alg sul piano complessivo. “Nuova Informazione” prende l’iniziativa - ma aprendo la proposta a tutte le colleghe ed i colleghi di buona volontà sindacale, non solo lombardi - di avviare una vertenza nazionale periodici con una serie di assemblee nelle case editrici grandi e meno grandi, alla presenza di dirigenti nazionali e lombardi del sindacato. Nella prospettiva, entro il mese di gennaio, di una grande iniziativa pubblica nazionale a Milano, invitati i dirigenti del sindacato ma anche tutti i colleghi dei periodici (oltre ad esponenti qualificati del mondo dei lettori e consumatori dei giornali, ad altri sindacati e ad interlocutori culturali), per mettere a fuoco con testimonianze dirette il momento di crisi del settore, ma anche per avanzare concrete proposte di soluzioni sindacali. Tutto questo anche in relazione alle questioni contrattuali aperte, che il prossimo rinnovo potrebbe efficacemente riproporre nella trattativa con gli editori. (IL 16 DICEMBRE L’EDITORE RUSCONI - HACHETTE HA ANNUNCIATO LA CHIUSURA DI 4 TESTATE: INCERTO IL DESTINO DI 33 GIORNALISTI) no alla televisione)” messaggio pubblicitario rimanga, garantendosi così un adeguato ritorno dell’investimento”. E ancora: “Basta anche con questa sudditanza della stampa dal mezzo televisivo. Con l’avvento del digitale molte cose cambieranno. Vedo un grande futuro per la stampa. Quanto alla televisione, diventerà come la lavatrice, niente più che un elettrodomestico”. I segnali, del resto, già ci sono. Secondo dati forniti dalla Fieg, sia negli Stati Uniti che in Italia le campagne sui settimanali e sui mensili determinano una pressione pubblicitaria (in termine tecnico Grp, Gross rating point) superiore a quella televisiva. Se infatti al di là dell’Atlantico i primi 25 periodici generano 258 Grp sul target commerciale dei 18-49enni contro i 185 Grp dei primi 25 programmi televisivi, nel nostro Paese (e nonostante il panorama televisivo sia più concentrato) i primi 25 periodici producono 234 Grp sulla pure più ampia fascia dei 1554enni, contro i 210 Grp delle prime 25 testate tv. Insomma, nessun complesso d’inferiorità. Tanto più che i lettori (sono sempre dati Fieg) riconoscono alla pubblicità veicolata dai periodici maggiore credibilità rispetto a quella degli altri mezzi di comunicazione, e in particolare rispetto a quella televisiva (il 43% contro il 32% di credibilità generica). Anes: “Mercato in crescita per la stampa specializzata” ORDINE 1 2005 Mentre, in tema di effetto sugli acquisti, la pubblicità sui periodici determina scelte tra i prodotti in misura superiore del 58% rispetto alla tv. Fino all’estrema conseguenza per la quale, come ha rilevato un’analisi condotta negli Stati Uniti nell’arco dei sette anni compresi fra il 1994 e il 2000 su 186 marche, l’efficacia delle campagne pubblicitarie televisive aumenta con l’aumentare degli investimenti nella stampa periodica. Il motivo? Test di laboratorio condotti in dodici anni in Europa e negli Usa hanno accertato come l’esposizione a uno spot tv e a un annuncio sulla stampa periodica produca, in termini di ricordo, risultati superiori del 20% rispetto all’esposizione a due spot televisivi. Per cui, come ha commentato al convegno Gianpaolo Fabris, professore ordinario di Sociologia dei consumi all’Università Iulm di Milano, “in tema di periodici, non solo non stiamo parlando del caro estinto, ma nemmeno di chi abbia i capelli grigi, bensì di qualcuno che sta vivendo una seconda giovinezza”. “Il periodico – ha sintetizzato l’ambasciatore Biancheri – porta con sé un valore aggiunto unico: la parola scritta, portatrice di una capacità di persuasione molto più elevata dell’immagine televisiva”. Roma, 22 novembre 2004. Mercato in moderata crescita per l’editoria periodica specializzata. Lo sottolinea l’Anes, associazione che raccoglie 185 editori della stampa business to business, che precisa: “il 25% delle aziende prevede un aumento tra l’1 e il 5%”. Il primo semestre del 2004, fa notare l’Anes, si è chiuso su valori di fatturato stazionari. In particolare, emerge da interviste effettuate agli editori soci dell’associazione, il 66% delle testate, quale che sia il settore, dichiara un fatturato stazionario rispetto all’analogo semestre dell’anno precedente. La parte rimanente si suddivide in due gruppi: il 21% dichiara un miglioramento del fatturato, mentre il 14% dichiara una diminuzione. Quanto alle previsioni di chiusura dell’anno in corso, prosegue l’Anes, circa due terzi delle testate prevede l’ultimo trimestre stabile; i rimanenti si lanciano in una previsione più ottimista. In generale, sottolinea ancora l’associazione, “il panel degli intervistati si divide in tre aree abbastanza simili dal punto di vista della loro consistenza: il 28% delle aziende esprime una valutazione positiva con una crescita del mercato, il 31% definisce il mercato sostanzialmente stabile e, infine, il 40% esprime un sentimento di preoccupazione per l’andamento dell’anno e quindi per le prospettive”. “Si tratta di numeri che suggeriscono un trend sostanzialmente positivo per l’attività dei nostri associati”, ha commentato il presidente di Anes Giuseppe Nardella. “La Pmi - ha aggiunto - si trova ad avere bisogno di informazioni a valore aggiunto sempre maggiore, che può essere garantito solo da una stampa tecnica specializzata”. (ANSA) Premio giornalistico per la divulgazione scientifica Il “Voltolino 2004” va a Lara Ricci, Francesca Cappelli e Annalisa Manduca Il “voltolino” è un uccello acquatico molto velofra i primi al mondo. Lo dirige il dottor Massice e intelligente ed è anche il soprannome mo Di Martino, pronipote di Alfredo Gentili che che un professore di un liceo di Pisa appioppò per ricordare il bisnonno, ha istitutio il Premio ad un suo allievo particolarmente dotato e giornalistico “Voltolino” per la divulgazione sempre in movimento alla ricerca di qualcosa, scientifica. Viene assegnato ogni anno. mai sazio di ciò che apprendeva a scuola, Quest’anno, la giuria del “Voltolino”, composta prima, in università, poi. “Al secolo”, come si da Renato Dulbecco, Premio Nobel per la diceva un tempo, Voltolino si chiamava Alfremedicina, da Carlo Rubbia, Premio Nobel per do Gentili, nato a Ghezzano, in provincia di la fisica, da Paola De Paoli, presidente dell’UPisa, nel 1879. Fin da bambino visse nel nione italiana giornalisti scientifici, da Enrico capoluogo toscano, dove si respirava ancora Decleva, magnifico rettore dell’Università degli un’aria post risorgimentale e goliardica (non studi di Milano, da Silvio Garattini, direttore per nulla il famoso battaglione universitario dell’Istituto ricerche farmacologiche “Mario toscano che partecipò alla prima guerra d’inNegri” di Milano, dopo avere vagliato 83 candidipendenza, nel 1848, era composto per metà dature, ha assegnato la settima edizione del da studenti pisani. Quell’atmosfera immortalapremio a Francesca Cappelli, giornalista ta nelle prose e nelle free-lance, per una serie di poesie (famosi i Sonetti servizi apparsi sul mensile La giuria ha inoltre Pisani) di Neri Tanfucio, al Quark, a Annalisa Mandusecolo Renato Fucini. deciso di assegnare ca, collaboratrice di NatioGentili ne fu contaminato nal Geographic Channel, e il “Premio speciale e da bravo intellettuale di a Lara Ricci, vicecaposerprovincia (a quanti di noi è vizio della pagina Tecnoloalla carriera” accaduto!), si dette al giorgia & Scienze del Sole 24a Giuseppe Prunai nalismo. Prima collaboraOre e di @lfa. tore di un foglio locale, Le La giuria ha inoltre deciso e a Giorgio logge di Banchi, poi redatdi assegnare il “Premio Santocanale tore de Il Telegrafo di Livorspeciale alla carriera” a no, poi editore e direttore Giuseppe Prunai, giornalidi un settimanale locale Il Mattaccino, infine sta scientifico, già inviato speciale e vice capodirettore de Il corriere toscano e collaboratore redattore del Gr1-Rai, attualmente presidente de L’illustrazione italiana. dei probiviri Ugis e docente di giornalismo Nei primi anni del ‘900, quando l’industria radiofonico in master di comunicazione scienitaliana era in pieno boom e quella farmaceutifica, e a Giorgio Santocanale, fondatore e tica in piena espansione, Gentili scoprì la direttore di importanti testate di divulgazione propria vocazione imprenditoriale e fondò scientifica, attualmente vice presidente dell’Ul’Istituto galenico per la produzione di farmaci. gis impegnato nella formazione di nuove Ben presto si rese conto che un’azienda generazioni di giornalisti scientifici. Infine, la farmaceutica per sfondare avrebbe dovuto Targa del Presidente della Repubblica, è stata allinearsi alle più celebrate industrie tedesche assegnata a Tullio Regge, docente di Teoria e americane. Il che voleva dire investire molto quantistica della materia al Politecnico di Torinella ricerca. Il suo primo laboratorio di ricerca no, scrittore di divulgazione scientifica. venne alla luce negli anni ‘30. Fu poi distrutto La consegna dei premi è stata occasione per in un bombardamento (qualcuno ricorda di un interessante dibattito, nella prestigiosa aver visto Gentili frucare fra le macerie quanto algida cornice del Museo della Sciencercando di recuperare il recuperabile) e ricoza e della tecnica di Milano, dal titolo “Dal struito negli anni ‘50. mondo ai mondi, inseguendo la vita”, coordiAdesso, il vecchio Istituto galenico ha assunto nato da Alessandro Cecchi Paone, al quale un altro nome, ha uno stabilimento che si hanno partecipato l’astrofisica Margherita estende su 27.000 mq e un centro di ricerche Hack e il fisico dell’atmosfera Franco Prodi. Il Premio “La Torretta” a Maffei, Padovan e Morra Sesto San Giovanni, 29 novembre 2004. Il Teatro Elena ha ospitato la cerimonia della consegna dei riconoscimenti del Premio nazionale “La Torretta” per lo sport, giunto quest’anno alla 31ª edizione. L’obiettivo del premio, ideato e organizzato da Quinto Vecchioni direttore de Il Corriere di Sesto e presieduto da Bruno Pizzul, non è solo offrire un riconoscimento ai campioni dello sport, ma anche evidenziare il troppo spesso oscuro lavoro di quegli atleti che si sono dedicati con entusiasmo ai cosiddetti sport minori, nobilitandone il ruolo e favorendone la diffusione. Il “Torretta” premia inoltre coloro (giornalisti, società sportive, scrittori, dirigenti, sponsor, manager, campioni di ieri, protagonisti di grandi imprese e di iniziative di solidarietà) che con il loro impegno contribuiscono a esaltare lo sport e a elevarne i contenuti.Fra i colleghi giornalisti, sono stati premiati Fabrizio Maffei, direttore di Rai Sport, Giancarlo Pado- van, direttore di Tuttosport, e Antonio Morra, caporedattore del Corriere della Sera. Un riconoscimento particolare è andato al periodico cattolico Città Nostra per i suoi 50 anni di presenza a Sesto San Giovanni. Il Consiglio del Gruppo lombardo giornalisti sportivi, presieduto da David Messina, ha voluto assegnare a Quinto Vecchioni, instancabile patron del “Torretta” e direttore-editore de Il Corriere di Sesto, il premio “Pubblicista dell’Anno”. Aurora Marsotto premiata a Vignaledanza In un eccezionale contesto di spettacolo, che ha visto ospiti la Compagnia Teatro Nuovo e la Compagnia Jazz Ballet, sono stati consegnati i Premi Vignaledenza ad Aurora Marsotto, ad Adriana Cava e ad Antonio Aquila, con le seguenti motivazioni. Alla signora Marsotto “in riconoscimento dei suoi meriti di critico di danza e in particolare di autrice di testi per bambini, Tino il Cioccolatino e Da grande farò la ballerina, che sono allettanti veicoli per avvicinare i bambini all’arte della danza”. Ad Antonio Aquila, “in riconoscimento dei suoi meriti di ballerino di étoile apprezzato dalla stampa internazionale. La sua figura è punto di riferimento per la Campagna di Danza Teatro Nuovo ed espressione rappresentativa della stretta collaborazione tra Cuba e Italia”. Ad Adriana Cava “in riconoscimento del suo talento di coreografa e della sua capacità di mediare le arti del palcoscenico, prosa danza musical, per realizzare spettacoli di altissimo livello culturale e allo stesso tempo di più facile ed estesa fruibilità da parte del pubblico. Una menzione particolare merita la sua più recente creazione Metropolis.” 9 E D I T O R I A Anche Rcs e Gruppo Espresso contro Rai e Fininvest Roma, 26 novembre 2004. Non solo la Fieg in quanto federazione ma anche singoli gruppi editoriali come Gruppo Espresso ed Rcs, hanno chiesto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di poter intervenire nell’indagine sulle posizioni dominanti nei confronti di Rai, Rti e Publitalia. I grandi editori di carta stampata hanno deciso di procedere anche singolarmente perché mossi dal timore delle ripercussioni che si avranno sul già debole mercato pubblicitario a danno della carta stampata. (ANSA) Tv: rischi anticompetitivi con Fininvest in Telecom Italia-Tf1 Roma, 26 novembre 2004. L’Antitrust rileva come un problema di natura strutturale per la concorrenza è “rappresentato dall’esistenza di una fitta rete di partecipazioni e di legami di tipo non azionario tra alcuni dei maggiori operatori televisivi”. In particolare Fininvest è risultata detenere partecipazioni indirette in due gruppi neoentranti, Telecom Italia e Tf1Hcsc (l’emittente Sportitalia di cui sono azionisti Tarak Ben Ammar e i francesi di Tf1, ndr). Analizzando gli effetti “della partecipazione di Fininvest in Telecom Italia” l’Antitrust fa rilevare come “la recente letteratura economica ha ampiamente dimostrato come gli ‘investimenti passivi’ in imprese rivali possano determinare significativi effetti anti concorrenziali. Ciò in virtù della presenza delle due imprese, l’investitore e la società oggetto dell’investimento, sugli stessi mercati rilevanti ovvero su mercati collegati e di un conseguente effetto di coordinamento tra le due società. In altre parole - sottolinea l’Antitrust - l’investimento di Fininvest in Telecom Italia attenua, anche in prospettiva, la pressione competitiva nella raccolta pubblicitaria televisiva, rappresentata dal secondo gruppo sulle condotte del primo”.“In particolare, l’investimento di minoranza in un’impresa che opera su uno o più mercati in cui è attivo l’investitore ha l’effetto - per l’autorità Antitrust - di diminuire la concorrenza tra le due parti sui mercati rilevanti, facilitando un esito di coordinamento e di condizionamento delle condotte delle due società”. (AGI) Fieg all’Agcom: ascoltateci su procedura Rai-Mediaset Roma, 26 novembre 2004. La Federazione italiana editori giornali (Fieg) ha richiesto di intervenire nel procedimento che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha avviato per accertare la sussistenza di posizioni dominanti nei mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni (sic). È quanto annuncia una nota della Fieg che sottolinea come “nel procedimento, avviato con la delibera dell’Autorità dello scorso mese di ottobre nei confronti di Rai spa, Rti spa e Publitalia ‘80 spa, è prevista infatti anche la partecipazione di associazioni o comitati rappresentativi di soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio diretto, immediato e attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria o dai provvedimenti conseguenti”.“La Federazione - pro- segue il comunicato - il cui fine statutario è la tutela degli interessi degli editori di giornali quotidiani e periodici, ha avanzato la richiesta in quanto dai provvedimenti adottati a conclusione del procedimento si avranno sicure ripercussioni sulle modalità di distribuzione delle risorse pubblicitarie, fonti essenziali di finanziamento di tutti i mezzi di informazione e, in particolare, di quelli stampati rappresentati dalla Fieg. La decisione di intervenire nel procedimento - osserva la Fieg - risulta avvalorata dalle conclusioni, rese note oggi, dell’indagine conoscitiva sulla pubblicità televisiva svolta dall’Autorità Antitrust secondo la quale fattori di natura strutturale hanno impedito il realizzarsi di un sistema veramente concorrenziale sul mercato pubblicitario complessivo. Antitrust: concentrazione pubblicità senza Posizione dominante Fininvest con il 65% Roma, 26 novembre 2004. Il mercato della raccolta televisiva in Italia “è contraddistinto da un livello di concentrazione che non ha riscontro negli altri Paesi europei, e che è determinato dalla posizione dominante del gruppo Fininvest, in virtù di una percentuale di raccolta pari al 65%, e dalla quota di Rai che detiene, con il 29%, la quasi totalità della parte residuale del mercato”. È quanto scrive l’Antitrust nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva sulla raccolta pubblicitaria televisiva. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua adunanza del 16 novembre 2004, ha deliberato la chiusura dell’indagine conoscitiva, avviata il 29 maggio 2003 ai sensi dell’articolo 12 della legge 287/90, riguardante il settore televisivo e, in particolare, il mercato della raccolta pubblicitaria su mezzo televisivo. L’indagine ha evidenziato come il settore nazionale della raccolta pubblicitaria, ed il mercato della raccolta televisiva in particolare, sia caratterizzato da un’elevata concentrazione, nonché da elevate barriere all’ingresso, a causa soprattutto di alcuni fattori di natura strutturale che ostacolano il corretto funzionamento del mercato. Mentre i mercati della raccolta pubblicitaria su quotidiani, periodici e radio presentano una struttura piuttosto competitiva, quello della raccolta televisiva - la cui caratteristica principale è di essere composto da gruppi televisivi che forniscono contenuti ai telespettatori e offrono contemporaneamente inserzioni ai clienti pubblicitari – è contraddistinto da un livello di concentrazione che non ha riscontro negli altri Paesi europei, e che è determinato dalla posizione dominante del gruppo Fininvest, in virtù di una percentuale di raccolta pari al 65%, e dalla quota di Rai che detiene, con il 29%, la quasi totalità della parte residuale del mercato. I fattori che limitano la concorrenza L’indagine ha evidenziato come a determinare questo assetto sia stata una serie di fattori di natura strutturale che ha ostacolato il corretto funzionamento del gioco della concor- LETTERE IN REDAZIONE renza nel settore televisivo, ed in particolare nella raccolta pubblicitaria. Questi fattori, in ampia misura specifici del contesto italiano rispetto a quello degli altri Paesi, sono: • la disponibilità, in un contesto di scarsità della risorsa frequenziale, di tre reti in capo a ciascuno dei due principali gruppi televisivi, che ha consentito a Fininvest e Rai di attuare strategie che hanno limitato l’entrata e la crescita di nuovi concorrenti; • la disciplina che regola le condotte della società cui è affidato il servizio pubblico radiotelevisivo, che, da un lato, ha favorito la creazione di un duopolio simmetrico nel versante dell’offerta di contenuti televisivi; dall’altro, ha rafforzato gli incentivi dei due operatori incumbents ad attuare politiche commerciali accomodanti nella raccolta pubblicitaria televisiva; • l’asimmetrica allocazione delle risorse frequenziali, dovuta alla mancanza di un processo centralizzato di assegnazione delle frequenze radiotelevisive che, congiuntamente all’integrazione a monte degli operatori televisivi nel mercato della trasmissione del segnale, ha determinato una significativa differenziazione delle reti televisive nazionali, in termini di copertura effettiva, a vantaggio dei due operatori storici; • una scarsa penetrazione delle piattaforme trasmissive alternative a quella terrestre, che ha limitato le possibilità di accesso al mercato della raccolta pubblicitaria televisiva da parte di nuovi soggetti; • l’assetto proprietario della società di rilevazione degli ascolti televisivi, su cui Fininvest e Rai esercitano un’influenza determinante; • la fitta rete di partecipazioni azionarie e di legami di tipo non azionario attraverso cui Fininvest riesce ad esercitare una propria influenza sulle decisioni di alcuni importanti operatori, ed in particolare delle società neo-entranti Telecom Italia e Tf1-Hcsc. Alla luce di queste problematiche concorrenziali, l’Autorità ritiene opportuno suggerire alcuni interventi in grado di favorire un efficace confronto competitivo nel mercato nazionale della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo. In primo luogo, secondo l’Antitrust andrebbe ripensata l’attuale normativa in materia di servizio pubblico radiotelevisivo, immaginando per la Rai una soluzione simile a quella adottata in Gran Bretagna, con due società distinte: la prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata esclusivamente attraverso il canone; la seconda, a carattere commerciale, che sostiene le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria e che compete con gli altri soggetti sulla base dei medesimi obblighi di affollamento; per quest’ultima sarebbe auspicabile sia il collocamento delle azioni sul mercato borsistico sia la definizione di regole di corporate governance che garantiscano un effettivo controllo dell’operato del management. Tale intervento sarebbe da effettuare auspicabilmente in tempi brevi, prima del collocamento in Borsa di una quota di minoranza del capitale azionario della società Rai, attualmente previsto nella primavera 2005. In secondo luogo, risultano necessari interventi di attuazione del Piano digitale e di riallocazione, attraverso meccanismi di mercato, dello spettro frequenziale destinato ai servizi radiotelevisivi, per evitare che le attuali posizioni detenute nelle reti analogiche (ovvero la disponibilità in capo a Fininvest e Rai di un numero di impianti e frequenze tale da rendere possibile la diffusione di tre reti nazionali, peraltro caratterizzate dalla più ampia copertura effettiva della popolazione) non si trasferiscano al futuro mercato digitale terrestre. Separazione verticale degli operatori di rete Al riguardo, ed al fine di stimolare la competizione nel mercato digitale terrestre, a giudizio dell’Antitrust andrebbero Angelo Tondini e la causa Vitale-Actual “Rifiuterò ogni altra perizia in futuro” Vi prego di pubblicare, a norma di legge, questa mia replica all’articolo “Battaglia a colpi di perizie...” pubblicato su Tabloid, Nov. 2004 a pag. 33. Nell’articolo si fa riferimento a una mia perizia per il processo Vitale-Actual che riguarda lo smarrimento di 7 diapositive originali, da me valutate 450 euro l’una, come perito d’ufficio nominato dal giudice. Mi si contestano cifre e metodo, su chiara ispirazione del perito di una parte. La mia competenza professionale (50 anni di fotografia e giornalismo) ne esce danneggiata e mi riservo di tutelarmi in sede legale. Ma vorrei precisare che: 1. Sono sempre stato al di sopra delle parti, adottando una serie articolata di criteri valutativi validi. 2. Il fotografo Vitale ha venduto le sue foto, a circa 25 euro l’una. Mancandone poi 7 alla riconsegna non può pretendere 1.500 euro a diapositiva, cioè 60 volte il prezzo di vendita! In più, se il sig. Vitale ha ceduto le sue diapositive a una tariffa così bassa, evidentemente non le considerava così straordinarie. Quando si consegnano foto eccezionali (e quelle non lo erano, secondo me) si specifica nella bolla e si definisce anche la cifra in caso di smarrimento. Cosa che non è stata fatta. 3. L’Ordine dei giornalisti pubblica un tariffario annuale, con prezzi indicativi per il mercato della foto, ma non per gli smarrimenti. 10 Per la Rai una soluzione simile a quella adottata in Gran Bretagna con due società distinte 4. Il tariffario più attendibile (quello del Gadef) stabilisce addirittura il valore di una diapositiva in 5 volte il prezzo di vendita, o da concordare tra le parti. 5. Riguardo al mio onorario (1.400 euro, approvato dal giudice, spese incluse) tengo a precisare che va diviso tra le due parti e che non sono mai stato pagato, dopo più di un anno, eccetto un piccolo anticipo. La cifra rientra nella media e comprende 4 udienze in tribunale, una riunione con le parti, la lettura di centinaia di pagine di atti e la stesura della perizia stessa. Comunque l’esperienza è stata talmente negativa che rifiuterò ogni altra perizia in futuro. 6. Di solito un perito dovrebbe avere una certa esperienza nel suo settore, maturata dopo molti anni di professione. Il perito del sig. Vitale non mi sembra avere questi requisiti. La sua testimonianza era ovviamente di parte, ma con toni e valutazioni decisamente al di là del credibile. 7. Pubblicare un articolo come quello in questione a sentenza non ancora pronunciata mi sembra un atto non proprio corretto, sia da parte di chi lo ha scritto, ma anche di Tabloid che l’ha ospitato. Distinti saluti. Angelo Tondini giornalista professionista ORDINE 1 2005 Lioy (Upa): duopolio è equilibrio di mercato Roma, 26 novembre 2004. “La concentrazione è presente in tutti i campi, dunque quella pubblicitaria in campo televisivo non è molto diversa da quella di altri comparti economici”. È il commento del direttore generale di Upa (Utenti pubblicità associati), Felice Lioy, sulle conclusioni dell’indagine dell’Antitrust sul mercato della raccolta pubblicitaria. Per Lioy, “il cosiddetto duopolio non è altro che un equilibrio di mercato. Non esiste nessuna distorsione, nessuna anomalia sul mercato televisivo italiano”. Piuttosto, sottolinea in una nota, “è il mercato che si è sviluppato con due gruppi televisivi principali e altri gruppi minori, qualcuno anche interessante, come i ‘nuovi’ che si stanno affermando, Sky e La7. Tanto che i prezzi della pubblicità televisiva in Italia sono minori rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Dimostrazione lampante che non c’è alcuna distorsione di mercato”. Anzi, secondo il direttore generale di Upa, “se noi guardiamo bene, anche in altri settori media, i grandi gruppi editoriali non sono più di 2-3. L’attacco alla televisione, piuttosto - conclude Lioy è motivato dal fatto che si continuano a contestare quote di mercato che il piccolo schermo si è presa in quanto mezzo più efficace di tanti altri dal punto di vista pubblicitario. Tutto qui. Ciò non toglie che altri mezzi stampa, come i cartacei ad esempio, restino efficacissimi per reclamizzare prodotti finanziari, servizi di leasing, turismo. Più efficaci della stessa tv. E nessuno si scandalizza se vengono preferiti”. (ANSA) FA DISCUTERE LA PROPOSTA DI UN LOGO UNIVERSALE, COME QUELLO DELLA CROCE ROSSA, PER RICONOSCERE I GIORNALISTI IN ZONA DI GUERRA Il lasciapassare alato della parola uguali in Ue. (alla Rai il 29%) anche favorite, così come accade all’estero, misure di separazione verticale degli operatori di rete, mediante la separazione proprietaria delle società Rai Way e Elettronica industriale, attualmente facenti capo rispettivamente ai gruppi Rai e Fininvest. Neutralità tecnologica Andrebbe poi stimolata una competizione tra piattaforme per la trasmissione del segnale televisivo digitale, attraverso politiche di incentivazione alla diffusione tra le famiglie italiane di apparecchiature di decodifica. Tali interventi dovrebbero salvaguardare il principio della neutralità tecnologica, e quindi non possono limitarsi ad alcuni mezzi trasmissivi, ma devono estendersi con identiche modalità a tutte le piattaforme televisive digitali: digitale terrestre, satellite, cavo e tecnologie x-Dsl. La rilevazione degli ascolti Quanto, infine, alla rilevazione degli ascolti, è auspicabile la ridefinizione dell’assetto proprietario della società che attualmente svolge tale servizio, prevedendo un soggetto privato indipendente che abbia quale funzione-obiettivo la massimizzazione dei profitti derivanti dalla vendita dei dati sugli ascolti televisivi; ciò assicurerebbe, tra l’altro, l’esistenza di una struttura di incentivi che consenta di cogliere al meglio le opportunità connesse all’evoluzione tecnologica delle modalità di fruizione del prodotto televisivo. Dal canto suo, l’Autorità ritiene opportuno monitorare, in una fase di transizione tecnologica e di eliminazione dei precedenti limiti normativi alle concentrazioni orizzontali e diagonali, le condotte degli operatori televisivi, in particolare in materia di predisposizione delle offerte di prodotti pubblicitari, di accesso alle reti digitali ed ai contenuti televisivi, di acquisizione di frequenze ai fini della costituzione di nuovi multiplex nazionali, nonché, infine, di partecipazioni e di legami non azionari tra gli operatori televisivi. Milano, 1 dicembre 2004. Che siano passati trent’anni si vede solo dai capelli bianchi di Umberto Brunetti, fondatore e direttore di Prima Comunicazione, l’unico periodico italiano dedicato al mondo del giornalismo, della televisione, della pubblicità, dei new media, della pubblicità. Trent’anni che Prima Comunicazione ha voluto celebrare con un volume di 546 pagine che racconta del cambiamento del mondo dell’informazione e traccia il profilo dei protagonisti di un trentennio in cui l’editoria ha cambiato fisionomia seguendo l’evoluzione tecnologica e sociale di un Paese che i giornalisti hanno il difficile compito di raccontare. Ma Prima Comunicazione in questi trent’anni è riuscito nell’ancora più difficile compito di raccontare i giornalisti e il loro “piccolo” mondo e adesso il suo direttore, Umberto Brunetti, coltiva l’ambizione di andare oltre. Lo ha spiegato ai suoi amici, ospiti dell’incontro per la celebrazione del trentennale, ieri nella Sala Besana di Palazzo Belgioioso a Milano. “Ero convinto che in questi trent’anni avessimo fatto un lavoro straordinario. Ma in questi giorni riflettendo sui nostri primi trent’anni mi sono reso conto che non volevo venire qui per raccontare quanto siamo stati bravi ma per illustrarvi cosa faremo nei ORDINE 1 2005 IN ZONA DI GUERRA di Filippo Senatore I giornalisti nell’esercizio della professione sono soggetti a sempre maggiori abusi, minacce, attacchi, rapimenti e uccisioni con impunità per i colpevoli in violazione delle norme fondamentali delle leggi sia nazionali sia internazionali. Tali numerosi atti di violenza e intimidazione stanno mettendo alla prova giornalisti e altri operatori dell’informazione in molte parti del mondo. È urgente e primario rinforzare la protezione e la sicurezza di questi ultimi e l’Associazione lancia una nuova campagna mondiale di difesa dei diritti dei giornalisti con i seguenti obiettivi: - immediata azione di riduzione dei rischi che affrontano gli operatori dell’informazione nelle aree dei conflitti bellici ed altri eventi di violenza; - appello ai governi di rispetto delle leggi per porre fine alle impunità dei responsabili delle violazioni; - indagini trasparenti ed efficaci sugli omicidi e le sparizioni dei giornalisti; - dialogo tra i giornalisti e le organizzazioni dei media, le autorità dei governi, le organizzazioni internazionali, militari e di sicurezza al fine di ridurre i rischi per i giornalisti. Con questi intenti l’Associazione Press Emblem Campaign suggerisce le misure per porre rimedio alla carneficina degli ultimi anni soprattutto in zone di guerra. Per tutti Se n’è discusso al meeting di Ginevra del 20 e 21 settembre scorso Promotori i membri della Press Emblem Campaign “Prima comunicazione” 30 anni dedicati al mondo della comunicazione prossimi trent’anni”, ha esordito Brunetti davanti a una platea importante che condensava il “gotha” del mondo dell’informazione. “Quello che vogliamo fare adesso - ha chiarito Brunetti - è occuparci dell’evoluzione del sistema della stampa, della tv e di un altro protagonista del mondo della comunicazione, quell’industria che fa sempre di più a meno della stampa preferendo comunicare autonomamente con i propri clienti”. “La fiducia nei confronti dei media è ormai pari alla fiducia ricordiamo gli omicidi di Veronica Guerin, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Raffaele Ciriello ed Enzo Baldoni. Mentre in Iraq è incerta la sorte dei giornalisti francesi Christin Chesnot e Georges Malbrunot. L’idea è di dare un simbolo ufficiale e un logo (un disco di colore arancione) simile a quello della Croce Rossa per identificare coloro i quali si trovano in zona di guerra. Ma molte associazioni sono di parere opposto. Il simbolo potrebbe peggiorare la situazione e rendere più vulnerabili i reporter. Lo ribadiscono Reporters sans Frontière e Rodney Pinter, direttore dell’Insi (New safety institute). Aidan White presidente della Federazione internazionale dei giornalisti denuncia che negli ultimi dodici anni 1.200 giornalisti sono stati colpiti e la quasi totalità (95%) non ha ricevuto il giusto risarcimento. I responsabili sono rimasti impuniti. Il miglior deterrente contro le violenze gratuite degli eserciti regolari e dei terroristi è la punizione dei colpevoli. Il dibattito è aperto per trovare soluzioni per salvaguardare la libertà di parola e l’integrità della persona che informa il pubblico anche in situazioni estreme e drammatiche. È in gioco la libertà di informazione dove le testimonianze sono scarse e con voce flebile. Durante le guerre passate gli stati maggiori hanno fornito versioni ufficiali non sempre veritiere. I grandi cronisti di guerra come Luigi Barzini senior, Sandro Sandri ed Indro Montanelli hanno fatto rinascere il mestiere di Erodoto. che la gente ha nelle istituzioni. C’è una tendenza a bypassare i giornalisti - ha osservato Toni Muzi Falcone, già presidente della Ferpi e compagno d’avventura della lunga storia di Prima Comunicazione - perché la fonte diretta è considerata più autorevole della fonte mediata”. Ed è proprio all’arguzia di Brunetti, capace di anticipare i tempi, che si deve attribuire il successo di Prima Comunicazione come ammette il presidente di Cairo Communications, Urbano Cairo. “Mi è capitato qualche giorno fa di sfogliare un numero di Prima Comunicazione del 1996 e sembrava vecchio di 100 anni. Il merito di Brunetti è quello di riuscire a fare con risorse limitate una testata che si evolve in maniera strepitosa”. Gli auguri ad “Alessandra (la Ravetta è condirettore di Prima Comunicazione e moglie di Umberto Brunetti, ndr) e Umberto” arrivano anche da Lucia Annunziata. Prima Comunicazione è il vero archivio del nostro mestiere afferma la Annunziata - e non è facile muoversi in un ‘piccolo’ club in cui non puoi pestare i piedi a nessuno, tra il servilismo e il rancore di chi si ha il compito di raccontare. Brunetti, invece, ha abituato questo mestiere a misurarsi con il prodotto di se stesso”. (ITALPRESS) 11 SISTEMA MULTIMEDIALE (WWW.LAVOCE.INFO - E D I T O R I A Il pluralismo è un malato grave nel nostro Paese. Ma non gode di buona salute in molte altre realtà, nonostante negli ultimi dieci anni i mezzi attraverso cui raggiungere il pubblico si siano moltiplicati, con lo sviluppo della televisione commerciale, il prossimo avvento di quella digitale e il fenomeno di Internet. A fronte di queste maggiori possibilità, i fenomeni di concentrazione sono tutt’oggi molto diffusi, e non rappresentano solamente il retaggio di un passato oramai chiuso, ma appaiono semmai come il risultato delle nuove modalità di concorrenza nei settori della comunicazione Quando il mercato non salva il pluralismo di Michele Polo Concentrazione in televisione Quando guardiamo al tema del pluralismo nel settore dei media, ci occupiamo prevalentemente di mercati nei quali operano imprese e gruppi di comunicazione privati, dalle cui scelte e dalle cui dinamiche competitive occorre partire per rispondere alla domanda se il mercato sia in grado di sfruttare le nuove opportunità tecnologiche (digitale, Internet) garantendo un accesso bilanciato e non discriminatorio a tutte le opinioni politiche. In questa prospettiva solitamente si distingue tra pluralismo esterno, che considera se nell’offerta complessiva di un particolare mercato dei media (giornali, o televisione o radio, eccetera) tutte le opinioni politiche trovano spazio, e pluralismo interno, che invece guarda a come le diverse opinioni politiche sono rappresentate nell’offerta di un singolo operatore. Se osserviamo il mercato dei media in una prospettiva di pluralismo esterno, due fenomeni appaiono frenare il raggiungimento di questo obiettivo. La perdurante concentrazione in segmenti come la televisione commerciale finanziata con pubblicità è sostenuta dalla forte concorrenza per i programmi più richiesti, che determina una forte lievitazione dei costi strettamente correlata ai futuri ricavi dai proventi pubblicitari. In questa corsa al rialzo c’è posto per pochi vincitori, come i dati sulla concentrazione televisiva testimoniano in tutti i paesi europei e parzialmente, dopo vent’anni di erosione da parte delle pay-tv, negli stessi Stati Uniti, dove i principali network raccolgono ancora circa la metà della audience nel prime time. E nei giornali Ma la concentrazione non è un fenomeno unicamente televisivo, interessa marcatamente anche la carta stampata. Se andiamo al di là dei dati nazionali sulle vendite di quotidiani per studiarne la distribuzione geografica, troviamo una forte segmentazione nella quale in ogni mercato locale, quello in cui ciascuno di noi lettori abita, uno o due giornali raccolgono la maggior parte dei lettori. E questo riguarda non solo, e ovviamente, i giornali locali, ma gli stessi quotidiani di opinione, che, con 12 pochissime eccezioni, vantano un forte radicamento regionale. Fenomeno che non è solo nostrano, come testimonia l’evoluzione dei mercati locali della stampa negli Stati Uniti e la sempre più frequente sopravvivenza di un solo quotidiano locale. Le dimensioni relativamente limitate dei mercati provinciali e regionali spiegano quindi perché solamente pochi quotidiani possano sopravvivere in ciascuna area coprendo i significativi costi di struttura e di personale necessari per una edizione locale. Il pluralismo interno In mercati fortemente concentrati, per loro natura impossibilitati a sostenere una offerta di media ampia e diversificata (pluralismo esterno), rimane la strada del pluralismo interno. Vorremmo fosse affidato in primo luogo agli incentivi di un operatore o gruppo di comunicazione a coprire più segmenti di mercato (opinioni politiche) con la propria offerta, analogamente a come si coprono molte discipline sportive, vari temi di intrattenimento, molti generi di film. L’ostacolo maggiore in questa prospettiva si ritrova nel forte ruolo che i media esercitano come strumento di lobbying, che li trasforma in un mezzo ideale in quel terreno scivoloso di contrattazione politica tanto prezioso soprattutto per i gruppi economici fortemente regolati. Analoghe distorsioni possono poi nascere dalla stessa identificazione politica dei gruppi di comunicazione, dove a fronte dei fin troppo ovvi esempi nostrani, non possiamo che registrare con preoccupazione un fenomeno, relativamente nuovo per il mercato americano, quale la spregiudicata propaganda di parte di un grande network come Fox. La conclusione cui giungiamo, guardando alle possibilità che il mercato trasformi le nuove e grandi opportunità tecnologiche di comunicazione in una offerta ampia e diversificata di contenuti e informazioni politiche, è quindi venata di una forte preoccupazione. Oggi disponiamo di mezzi sempre più ricchi, sempre più persuasivi ma, apparentemente, sempre più concentrati. E il cittadino difficilmente trova i mezzi per formarsi una opinione informata e libera da distorsioni e condizionamenti. Di fronte a questo nuovo fallimento del mercato, si richiedono quindi adeguate politiche pubbliche per il pluralismo. Una regolamentazione per il pluralismo di Michele Polo Le dinamiche di mercato difficilmente possano portare a una offerta diversificata e ampia di posizioni politiche tra operatori dell’informazione o all’interno di ciascuno di essi, come abbiamo illustrato nell’intervento a fianco. Da questo fallimento del mercato nel garantire il pluralismo deriva l’esigenza di appropriate politiche pubbliche. L’antitrust non basta È bene sottolineare subito che le politiche antitrust, per quanto utili a mantenere la concorrenza e i mercati aperti ai nuovi entranti, non possono da sole supplire alle esigenze di pluralismo, e ubbidiscono a obiettivi di efficienza economica che non sempre coincidono con quelli di un libero accesso di tutte le opinioni ai mezzi di comunicazione. Si rende quindi necessario il disegno di appropriate politiche regolatorie per il pluralismo. Abbiamo argomentato come in molti mercati dei media esiste una tendenza alla concentrazione, dovuta a dinamiche in parte diverse, che ben difficilmente le politiche pubbliche possono evitare. Esiste tuttavia uno spazio su cui intervenire per evitare che la concentrazione risulti anche maggiore di quanto le dinamiche concorrenziali giustifichino, sottoponendo a un attento controllo la creazione di gruppi multimediali su uno stesso o su più mercati. In primo luogo la concentrazione, in una prospettiva di pluralismo, dovrebbe essere valutata mercato per mercato, con riferimento alla distribuzione degli ascoltatori e dei lettori, in modo da verificare se qualcuno tra i media presenta problemi di insufficiente pluralismo esterno. Siamo quindi ben lontani da quel singolare coacervo di mercati e di fatturati, il sistema integrato di comunicazione, creato dalla legge Gasparri per annacquare ogni posizione dominante. L’impostazione che riteniamo meno intrusiva sulle dinamiche di mercato dovrebbe limitare la concentrazione sul singolo mercato dei media (pur sacrificando in questo eventuali sinergie), qualora questa si realizzi attraverso la proprietà di più mezzi (molti canali televisivi, o numerosi giornali o stazioni radio) attivi sul mercato stesso. Se tuttavia con un singolo mezzo, un operatore fosse in grado di raccogliere un ampio pubblico grazie alla bontà dei suoi contenuti, non riteniamo che le politiche pubbliche dovrebbero intervenire con dei vincoli alle quote di mercato. Al contempo, tali sinergie dovrebbero essere invece consentite tra diversi segmenti dei media, laddove l’operatore multimediale non raggiunga posizioni dominanti in nessuno dei singoli mercati. In una parola, gruppi multimediali risultano desiderabili se attivi su più mercati, ma dovrebbero essere contrastati se dominanti in un singolo mercato gendolo a cedere licenze nel caso di superamento dei limiti consentiti. Analogamente, vincoli alla partecipazione su più mercati (giornali, televisioni, radio) dovrebbero intervenire laddove l’operatore raggiunga una posizione dominante in qualcuno di essi, imponendo anche in questo caso la cessione di licenze. Più difficile intervenire in caso di forte dominanza realizzata da gruppi editoriali attivi solo nella carta stampata con numerose testate, per le quali evidentemente non esistono licenze da ottenere. Solamente in caso di fusioni e acquisizione, ma non di creazione ex-novo di testate, ci sarebbe spazio per intervenire. Quando questi interventi volti a garantire il pluralismo esterno risultano poco efficaci, vanno associate misure per il pluralismo interno. Il pericolo maggiore per il pluralismo interno nei contenuti dei singoli operatori, ritengo derivi dalle motivazioni lobbistiche dei gruppi proprietari, che inducono a privilegiare la rappresentazione di posizioni politiche specifiche. Questa componente risulta enfatizzata quando la proprietà dei gruppi di comunicazione veda coinvolti investitori attivi in altre industrie regolate (public utilities, banche, trasporti, eccetera). Occorre quindi fissare dei limiti alla partecipazione azionaria di queste categorie di soggetti al settore dei media. Le motivazioni lobbistiche o partigiane espresse dalla proprietà dei media sono tuttavia in parte ineliminabili. Occorre quindi pensare, in particolare nelle fasi (campagne elettorali) nelle quali distorsioni informative eserciterebbero effetti di lungo periodo, a una regolazione diretta degli spazi, del diritto di replica, dell’accesso, secondo criteri di par condicio. Questa regolamentazione è stata sino a oggi applicata all’informazione televisiva. La situazione di forte concentrazione nei mercati locali della carta stampata pone tuttavia l’esigenza di iniziare a discutere di quello che sinora è considerato un tabù, il diritto di accesso sui giornali. Infine, il mantenimento di un canale pubblico televisivo (ben diverso dalla attuale Rai) sottoposto a un controllo diretto da parte di una autorità di vigilanza indipendente dovrebbe offrire un ulteriore, parziale, tassello, a garanzia di una informazione più articolata e pluralista. Gli strumenti da utilizzare Gli strumenti che in questa prospettiva appaiono più utili risultano le limitazioni al numero di licenze in capo a uno stesso operatore, applicabili in quei mercati (televisione e radio) nei quali una autorizzazione è necessaria per l’uso dello spettro elettromagnetico. Utilizzando questo strumento è possibile quindi limitare la crescita di un operatore che disponga di un portafoglio con più licenze per canali televisivi, laddove la sua quota cumulata di audience superi determinate soglie (in Germania è attualmente posta al 30 per cento), costrinORDINE 1 2005 - 8 NOVEMBRE 2004) Regole, monitoraggi e sanzioni La concentrazione nascosta di Antonio Nizzoli Nel dibattito politico italiano, il tema del pluralismo nei mass media ha un ruolo centrale. L’Osservatorio di Pavia svolge monitoraggi in Italia da più di dieci anni e più di cinquanta sono state le missioni elettorali all’estero. (1) Forse proprio perché ha il polso delle variegate situazioni, ha maturato la convinzione che su questo aspetto del funzionamento del processo democratico sia necessaria una riflessione attenta e pacata, poco legata alla contingenza e alle pressioni dei vari attori. La par condicio in Italia e all’estero È bene sgombrare subito il campo dall’idea che la regolamentazione della comunicazione politica sia una peculiarità italiana. Un memorandum di intenti di trentadue pagine, che stabiliva minuziosamente tutti i particolari del confronto, ha regolato i tre recenti dibattiti presidenziali Bush–Kerry. Sempre negli Usa, i tempi di presenza dei canditati sono rigidamente contingentati. Per esempio, durante la campagna per eleggere il governatore della California, secondo le leggi federali sulla par condicio i film di Arnold Schwarzenegger costituivano spazio televisivo e quindi mandarli in onda non rispettava la parità di accesso. Qualora fossero stati trasmessi film come Terminator o Atto Forza, i rivali di Schwarzenegger avrebbero potuto chiedere e ottenere analoghi spazi televisivi gratis. Libertà certo, ma ben regolamentata. In Italia, la legge 28/2000, detta della par condicio, “promuove e disciplina, al fine di garantire la parità di trattamento e l’imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, l’accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica”. I principi di tale legge sono relativamente chiari e sinteticamente così riassumibili: - durante le campagne elettorali la comunicazione politica viene compressa in spazi rigidamente regolamentati e vietata in qualsiasi altro genere televisivo, fatta eccezione per le notizie dei telegiornali (le news); - sono vietati gli spot e permessi spazi autogestiti (i messaggi autogestiti), anche questi rigidamenti normati; - gli spazi concessi ai soggetti partecipanti alla competizione sono un mix tra rappresentanza esistente e candidature ex-novo; - infine sono date indicazione di massima sull’uso corretto del mezzo televisivo (“I registi ed i conduttori sono altresì tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma, così da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori”). I monitoraggi La Commissione parlamentare di vigilanza e l’Autorità delle comunicazioni (Agcom), previa consultazione tra loro, e ciascuna nell’ambito della propria competenza, regolano il riparto degli spazi tra i soggetti politici e stilano il regolamento dei messaggi autogestiti. Quest’attività ha il fine di rendere operativi i principi “astratti” sanciti dalla legge 28/2000 e di calarli nel contesto delle diverse campagne elettorali. Contestualmente vengono svolti due monitoraggi (2) che controllano la conformità di quanto trasmesso con le disposizioni regolamentari. Un monitoraggio è a cura dell’Agcom e disponibile continuativamente sul sito www.agcom.it, l’altro è a cura dell’Osservatorio di Pavia per conto della ORDINE 1 2005 Rai. In questo modo gli organi di controllo, le emittenti e i cittadini hanno a disposizione gli strumenti per controllare, valutare e sanzionare la correttezza della campagna elettorale per quanto riguarda il pluralismo politico. Punti di forza e limiti Nelle recenti campagne elettorali la parte relativa alle disposizioni su “Messaggi autogestiti, ripartizione dei tempi dei soggetti nei programmi dedicati alla campagna elettorale e la loro assenza al di fuori di tali programmi” è stata per lo più rispettata. Punti critici invece, perché di difficile interpretazione, sono risultati: - gli spazi dei soggetti politici nei telegiornali; - gli spazi dei soggetti politici dedicati alla cronaca al di fuori dei telegiornali; - il comportamento corretto e imparziale nella gestione dei programmi da parte dei conduttori. Il trade off tra libertà di informazione e regole del pluralismo è forse il punto più delicato della normativa sulle campagne elettorali, poiché va a incidere sul dirittodovere del giornalista di informare e scegliere le notizie. Come distribuire i tempi tra i partiti in modo equo rispettando l’esigenza del pubblico di essere informato su ciò che accade? Gli esponenti del governo candidati come devono essere conteggiati? Se un ministro inaugura una strada in campagna elettorale, questo tempo è da attribuire alla competizione elettorale o al diritto-dovere del governo di informare sulla propria attività? Questa distinzione appare più agevole nelle campagne elettorali per le elezioni politiche, durante le quali l’attività governativa si limita all’ordinaria amministrazione. Più difficile è distinguere tra informazione sull’attività governativa e propaganda per i candidati nel caso di elezioni (europee, regionali) che avvengono mentre il governo in carica è pienamente operativo. Problematico risulta poi valutare la qualità della comunicazione soprattutto in relazione al comportamento corretto e imparziale nella gestione dei programmi da parte dei conduttori. I casi di aperta violazione di questa regola sono rari e quasi sempre riconducibili a pochi conduttori: la delicatezza del tema è evidente perché la partigianeria di un giornalista può essere valutata come comportamento coraggioso e “libero” dalla parte in sintonia con la sua posizione politica. Va tuttavia ricordato che in questi casi, oltre alla prudenza nell’intervenire, occorre che le sanzioni siano tempestive, cosa che non sempre avviene. L’attuale legge italiana, sicuramente perfettibile, costituisce una buona base per il conseguimento del pluralismo. Lasciare non regolamentato questo campo, come in modo ricorrente viene sostenuto, significa rischiare gravi squilibri soprattutto in situazioni in cui le risorse delle emittenti sono molto concentrate e il controllo indiretto sul trasmesso è quasi inevitabile. (1) Si veda il sito www.osservatorio.it (2) I monitoraggi, che coprono tutto il trasmesso 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, tra l’altro evidenziano: - la presenza di un soggetto politico e la sua anagrafica (nome, cognome, sesso, partito, carica istituzionale eccetera) - la durata dell’intervento in secondi - l’anagrafica della presenza (giorno, ora, minuto, rete e programma) - il tema dell’intervento. di Marco Gambaro Nel dibattito sul pluralismo, il tema della concentrazione nel mercato dei quotidiani è spesso sostanzialmente sottovalutato. Si dà per scontato, almeno in Italia, che il pluralismo esista perché è alto il numero di testate presenti sul piano nazionale. La dimensione locale Una valutazione della concentrazione del mercato dovrebbe tuttavia tenere conto del fatto che i quotidiani competono prevalentemente su scala locale e che negli specifici mercati il grado di concentrazione può essere molto elevato. Negli Stati Uniti, ad esempio, negli ultimi vent’anni vi è stato un continuo processo di concentrazione che ha portato la quasi totalità delle aree urbane ad avere un’unica testata oppure più testate dello stesso proprietario (in precedenza in circa i due terzi dei mercati operavano più testate ed editori concorrenti). Se si escludono l’unico quotidiano nazionale, Usa Today, e poche grandi città con più quotidiani in concorrenza tra loro (taluni prestigiosi, ma sempre locali), il mercato statunitense è configurato come un insieme di monopoli locali sostanzialmente autonomi dove operano 1.457 testate che vendono circa cinquantacinque milioni di copie giornaliere. Nel nostro paese la situazione non è così polarizzata e i singoli mercati non sono così separati, ma la dimensione locale della concorrenza è comunque molto importante. In Italia si pubblicano novantuno testate e le prime due, Corriere della Sera e Repubblica, hanno quote di mercato di poco superiori al 10 per cento della diffusione giornaliera, mentre i gruppi cui fanno capo totalizzano assieme poco più del 40 per cento della diffusione complessiva. (1) Misurare la concentrazione Questi dati a livello nazionale non rappresentano tuttavia l’indicatore più corretto per una valutazione della concentrazione, poiché anche le maggiori testate hanno una diffusione molto disomogenea sul territorio. La Stampa (2) ad esempio vende nelle sue prime tre province di diffusione (Torino, Cuneo e Alessandria) il 50 per cento delle copie totali e nelle prime dieci province il 75 per cento delle copie, mentre in ciascuna delle province restanti vende mediamente lo 0,3 per cento della sua diffusione. Il Corriere della Sera vende nelle sue prime tre province (Milano, Roma e Varese) il 45 per cento delle copie e nelle prime dieci il 60 per cento mentre nel resto d’Italia realizza mediamente lo 0,44 per cento delle sue vendite in ogni provincia. Anche la Repubblica, che pure ha una diffusione più omogenea, vende il 54 per cento nelle prime dieci province. Per meglio valutare la concentrazione sui mercati rilevanti si è quindi proceduto a identificare, per ciascun quotidiano, l’insieme delle province nelle quali viene realizzata la maggior parte delle vendite, definibile come mercato di riferimento. Due sono le misure utilizzate, in modo da cogliere sia le realtà di giornali con una distribuzione molto concentrata in poche province (in questo caso sono state considerate le aree che cumulativamente rappresentano il 90 per cento delle vendite della testata), sia quelle di quotidiani con una diffusione relativamente più estesa (prendendo in questo caso tutte le province con una diffusione almeno pari allo 0,5 per cento delle vendite totali del quotidiano, senza necessariamente raggiungere in questo caso il 90 per cento delle vendite). (3) Per ogni testata, sull’insieme di province che costituiscono il suo mercato di riferimento, sono stati calcolati diversi indici di concentrazione. (4) In questo modo è possibile verificare se nella sua area territoriale di diffusione, il quotidiano fronteggia un numero elevato di concorrenti o ha una posizione dominante. I risultati così ottenuti confermano una forte concentrazione nei mercati di riferimento. Delle cinquantaquattro testate di cui sono disponibili i dati Ads (Accertamenti diffusione stampa) delle vendite provinciali, ventiquattro operano in mercati con un indice di Herfindahl-Hirschmann superiore a 0,15 considerato normalmente la soglia di attenzione delle autorità antitrust. Ventisei quotidiani nel loro mercato di riferimento hanno una quota di mercato superiore al 30 per cento e ben quarantadue testate contribuiscono all’indice HH del loro mercato per più del 50 per cento. Ad esempio, un quotidiano come Il Messaggero ha una quota del mercato nazionale inferiore al 5 per cento, ma nelle province del suo mercato specifico ha una quota del 23 per cento, l’indice di HH del suo mercato è 0,1068 cui contribuisce per circa il 50 per cento. Oppure Il Gazzettino di Venezia ha una quota del 33 per cento del suo mercato specifico che a sua volta ha un indice di HH di 0,1529 cui Il Gazzettino contribuisce per il 73 per cento. Distinguendo per tipologie di quotidiani e calcolando per ciascuno di essi i valori medi della categoria, quelli nazionali operano in un mercato di riferimento relativamente ampio e poco concentrato, mentre le testate multiregionali, regionali e provinciali, con diffusione e mercati di riferimento via via più ristretti, evidenziano una forte concentrazione dei lettori. Questo dato conferma indirettamente il fatto che nei mercati locali (corrispondenti ai mercati di riferimento per queste testate) quasi sempre un numero molto limitato di quotidiani si contende il pubblico. Dall’analisi emerge quindi come la concentrazione effettiva nei mercati dei quotidiani sia superiore a quanto comunemente si crede per effetto della forte polarizzazione geografica della diffusione, anche per i quotidiani tradizionalmente considerati nazionali. (1) La Federazione degli editori indica otto testate nazionali che complessivamente hanno venduto nel 2002 il 36 per cento delle copie giornaliere: Avvenire, Corriere della Sera, Foglio, Il Giornale, Il Giorno, La Repubblica, La Stampa, Libero. (2) Questi dati e le altre elaborazioni di questo articolo derivano da uno studio da me svolto presso l’Università Statale di Milano e si riferiscono a dati 2000; la situazione relativa alla diffusione non è tuttavia sostanzialmente cambiata. (3) Si tratta di confini piuttosto ampi se si considera che l’Autorità per le comunicazioni norvegese considera come mercato di riferimento di un quotidiano quelle province dove vende oltre il 10 per cento della sua diffusione. (4) Si è calcolata nel mercato di riferimento la quota di mercato della testata, il rapporto tra quota della prima e della seconda testata (quota di mercato relativa), l’indice di Herfindahl-Hirschmann (somma delle quote di mercato al quadrato), utilizzato solitamente nelle valutazioni antitrust, e il contributo della prima testata al valore complessivo di questo indicatore. 13 INTERVISTA A TAHAR BEN JELLOUN M E D I A Abbiamo rivolto alcune domande sull’informazione a Tahar Ben Jelloun, lo scrittore marocchino che vive a Parigi, in Italia per presentare il suo libro L’ultimo amico (Bompiani). Tahar Ben Jelloun collabora anche per Le Monde e La Repubblica. Nato nel 1944 a Fés, laureato in filosofia a Rabat, con un dottorato in psichiatria sociale, nel 1965 durante una manifestazione fu arrestato e nel 1966 inviato in un campo di correzione disciplinare; liberato nel 1968, divenne professore di filosofia in un liceo a Tètouan, poi a Casablanca, ma nel 1971, quando il ministero dell’Interno decise di “arabizzare” l’insegnamento della filosofia, si trasferì a Parigi con una borsa si studio e iniziò la carriera di scrittore. Ha vinto il premio Goncourt nel 1987 per La Notte Sacra. Nel 2000 ha vinto il premio Grinzane Cavour per L’albergo dei poveri. È noto in Italia per i libri Il razzismo spiegato a mia figlia del 1998, che ha avuto più di 40 edizioni e per il quale ha avuto da Kofi Annan il Global Tolerance Award, e L’Islam spiegato ai nostri figli, per cui ha vinto il Grinzane Cavour nel 2004. “La velocità ha ucciso l’informazione” di Paola Pastacaldi Uno scrittore, dunque, impegnato o, come ha dichiarato alla rivista Lire qualche anno fa: “Mi sento un uomo impegnato, moralmente. Gli scrittori dovrebbero mettere più spesso il loro piede nella società civile”. Quale è oggi il dovere dei giornalisti, secondo lei? “I giornalisti dovrebbero andare sul posto e scrivere. Scrivere tutto ed essere concreti. Lasciar perdere la concorrenza, la competitività. Non fare scoop, perché così si perde la propria anima. Oggi l’impatto delle immagini è troppo forte, esiste solo la tv e anche i direttori dei giornali guardano la televisione per decidere cosa scrivere. L’opinione è un punto di vista, ma importante è, invece, dare informazioni”. E l’Islam come è trattato nei media? “Il problema dell’Islam è trattato nei media in modo sovente troppo rapido. La gente ha il Terremoto a “Le Monde”: si dimette il direttore Edwy Plenel. Per Colombani “è un trauma” 14 vizio di andare in fretta e preferisce le cose più facili e i media fanno lo stesso. Non dovrebbero seguire la logica della gente. Manca una reale conoscenza di questa cultura. In Francia è più familiare per la colonizzazione che abbiamo avuto. In Italia non è così. Penso che bisognerebbe dare la parola agli specialisti che parlano in modo scientifico e serio e non ai fanatici che portano, infine, la gente al disgusto. Questo accade soprattutto in televisione, dove ci si avvale di leader fanatici e che fanno spettacolo”. Cosa suggerirebbe di fare ai giornalisti, lei che spesso scrive per i giornali? “Bisognerebbe fare dei reportage, delle vere inchieste nei paesi islamici, per esempio in Egitto, e sarebbe bene che il giornalista restasse nel Paese per molto tempo, un mese almeno. La velocità ha ucciso l’informazione. Per fare un esempio concreto, non sappiamo niente sulla Cecenia, Putin ha deciso che non esista e ha preso accordi con gli americani e gli europei, perché gli lascino carta bianca”. Parigi, 29 novembre 2004. Terremoto a Le Monde dopo l’annuncio la settimana scorsa della prossima apertura del capitale: Edwy Plenel, 52 anni, uno dei volti più popolari e discussi del giornale, abbandona la carica di direttore della redazione in un momento molto delicato. Jean-Marie Colombani, direttore editoriale e patron del quotidiano, ha definito “un trauma” la decisione di Plenel, giunta in un momento difficile per Le Monde, alla ricerca di partner finanziari e di un “nuovo rilancio”. In molti, negli ultimi due decenni, hanno identificato buona parte delle battaglie e delle prese di posizione di Le Monde con il volto di Plenel, i suoi baffi neri e gli occhi maliziosi. Spesso è stato discusso per le sue impostazioni politiche e le sue frequentazioni del potere, ma celebre rimane la sua capacità di tenere in pugno la redazione - lo avevano soprannominato ‘Imperator’ - e alcune sue intuizioni. Ex trotzkista negli anni Settanta, entrò a Le Monde nel 1980. Nelle redazioni politica e giudiziaria ha fatto sentire tutto il suo peso, rivelando casi come quello degli ‘irlandesi di Vincennes’, una montatura operata dai servizi, ma incappando anche in vicoli ciechi come il falso scoop del riciclaggio di denaro del partito socialista a Panama. Plenel era il più noto giornalista nell’indice di coloro che il presidente François Mitterrand aveva dato ordine di spiare alla cellula dell’Eliseo (il processo alle intercettazioni abusive si svolge in questi giorni). Negli ultimi anni di direzione della redazione aveva voluto dare un’impronta diversa al prestigioso foglio, proponendo più temi di società e meno politica. Fu contestato da buona parte dei conservatori della redazione quando impose in apertura di prima pagina un titolo su ‘Le Loft’, il Grande fratello della tv francese. “Si tratta della conclusione di una vecchia riflessione” ha detto oggi, con una e-mail interna ai redattori, il direttore uscente, aggiungendo che “dopo 10 anni dedicati all’organizzazione editoriale vorrei tornare alle gioie semplici del giornalismo e della scrittura”. Non si sa ancora chi lo sostituirà, ma Colombani starebbe pensando - secondo il concorrente Le Figaro - a una promozione del vicedirettore Alain Frachon. (ANSA) Lo scrittore marocchino in una foto di Basso Cannarsa. E lei guarda mai la televisione? “Sì, guardo le televisioni dei paesi arabi, perché trasmettono cose che non si vedono in quelle occidentali”. Faccia un esempio di cattivo giornalismo. “Israele gode di una protezione sistematica dei media, dovunque, nel mondo. Tempo fa un ufficiale israeliano ha ucciso alcune persone. Perché l’abbiamo saputo? Solo perché un soldato israeliano lo ha denunciato, perché gli israeliani hanno voluto che se ne parlasse. Altrimenti non lo avremmo saputo. L’informazione che concerne palestinesi e israeliani non è libera. Tutti i media in Occidente sono colpevolizzati dagli israeliani, in modo che non dicano la verità. La gente non si sente libera di parlare di ciò che accade in Israele, il solo conflitto al mondo, con la Cecenia, dove i media non possono raccontare tutto. C’è una confusione tra l’essere israeliano e l’essere ebreo. Io denuncio la politica di Israele, non gli ebrei che sono come tutti gli altri. Quando prendo posizione mi dicono che sono contro gli ebrei. In Francia c’è stato il caso di un giornalista francese, Alain Mènargue, specialista del mondo arabo, vicepresidente di Radio France International per il Medio Oriente, che è stato corrispondente anche in Libano nel 1991. Ménargue ha scritto un libro sul muro intitolato Le Mur de Sharon. Nel corso di una intervista a Radio Courtoise è stato interrogato sulla costruzione del muro e ha detto che era choccato dal muro e che è stato un atto di razzismo. Tutti hanno protestato, per farlo dimettere ed è stato dimesso. La misura della serietà dei media a mio avviso è la questione del conflitto palestinese”. Parliamo di televisione. Perché la tv domina il nostro modo di comunicare e persino di essere? Una ricerca dell’Associazione europea degli editori online: gli europei al lavoro si informano via Internet “La televisione è un vampiro che succhia tutte le energie. La tv è una parte della vita dell’umanità in tutto il mondo. Ci vorrebbe una autorità che decidesse di chiudere tutte le trasmissioni, ma non si può fare, perché sarebbe una dittatura”. Perché tutti vogliono andare in televisione? “La gente preferisce la dittatura delle immagini a quella degli uomini. Anch’io fatico a staccarmi dalla tv quando la guardo, anche se un programma è assurdo, continuo a guardare”. Che servizi suggerirebbe oggi sull’Islam? “L’architettura araba, la civilizzazione araba nel mondo, la famiglia, i giovani, la cultura”. Nell’ultimo suo libro lei parla di una amicizia che si spezza ma solo per amore, per non far soffrire l’altro. Un libro forte, secco alle volte persino brutale sulla libertà e sui diritti. “Ho voluto parlare dell’ambivalenza dei sentimenti umani, dell’amicizia e della rottura, quando non si hanno gli stessi punti di riferimento, si crede ma non si è vissuta la stessa cosa”. Lei che giornali legge? “Tutti i giorni leggo Le Monde, anche se alle volte non mi piace. Su Internet leggo la Repubblica e Liberation. Ascolto la radio, perché non mi fido della televisione. Leggo anche qualche volta il New York Times, il Time australiano, il Telegraph”. Che ne pensa della tv italiana? “Vorrei sapere dove le trovano ogni giorno queste donne con i grandi seni, molto truccate, con le gonne corte e sempre sorridenti. In fondo intercambiabili. E tutti quei presentatori che si tingono i capelli o se li rifanno, come Berlusconi. A mio parere danno una immagine commestibile ma in realtà indigesta”. Parigi, 1 ottobre 2004. Internet è il mezzo migliore per raggiungere i consumatori mentre sono al lavoro. È questo il risultato di una ricerca realizzata dall’Associazione degli editori on line europei sul consumo dei media nei luoghi di lavoro. Lo studio è stato condotto in cinque paesi – Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna – e pone a confronto il consumo di diversi mezzi sul luogo di lavoro: internet, televisione, radio, giornali e periodici. LA RICERCA Lo studio ha confermato che le ore centrali della giornata sono il periodo di massima fruizione del web. Per un quarto dei partecipanti alla ricerca (il 26%), la rete è infatti la sola fonte di informazione consultata durante la giornata. Queste risultanze rafforzano la tendenza sempre più accentuata a vedere nella rete Internet il mezzo ideale per contattare in quella fascia oraria un pubblico istruito e affluente. TARGET «Questa ricerca allarga la nostra comprensione dell’audience che si collega dal luogo di lavoro e sulle differenze nelle modalità d’uso della rete da parte di gruppi demografici di cruciale importanza» ha dichiarato Julien Jacob, presidente dell’Associazione europea degli editori on line. «Stiamo imparando come la gente abbia integrato il web nella sua vita quotidiana - ha aggiunto Jacob - e questo ci aiuta a chiarire l’importanza del mezzo per gli inserzionisti pubblicitari che possono così raggiungere anche i target più complessi». Del resto gli utenti da luogo di lavoro sono un target attraente per gli investitori pubblicitari, proprio perché Internet è profondamente integrato nella loro vita quotidiana. La pubblicità on line raggiunge infatti nei luoghi di lavoro una base clienti potenziale di alto livello. (www.corriere.it) ORDINE 1 2005 Citigroup conferma il proprio impegno a sostegno del giornalismo economico-finanziario di alto livello I giornalisti avranno tempo fino al 17 gennaio 2005 per presentare due articoli pubblicati nel corso dell’anno 2004 Gli articoli verranno poi sottoposti alla giuria in forma anonima (sia di testata sia di autore), in modo da garantire un giudizio imparziale basato esclusivamente sui contenuti dell’articolo Al vincitore viene offerta la possibilità di partecipare a una iniziativa di formazione unica nel suo genere: un seminario di giornalismo presso la Columbia University di New York Qui incontreranno i rappresentanti delle più prestigiose istituzioni finanziarie mondiali nonché economisti di fama internazionale Prende il via la quarta edizione del Premio “Citigroup Journalistic Excellence Award” Milano, 23 novembre 2004. La necessità di una maggiore consapevolezza nelle scelte di investimento da parte dei risparmiatori e investitori italiani è largamente condivisa dalle istituzioni e dagli operatori di mercato. La stampa economico-finanziaria rappresenta indubbiamente un punto di riferimento per indirizzare e informare sulle scelte relative a prodotti e mercati e può svolgere un ruolo di grande importanza per contribuire ad un ulteriore sviluppo della cultura finanziaria nel nostro Paese. Poter contare su giornalisti economico-finanziari con una formazione molto solida e approfondita e con una capacità di sostenere una posizione insieme propositiva e critica rappresenta dunque un vantaggio cruciale non solo per la professione giornalistica ma per l’intero sistema. Citigroup conferma il suo impegno di lunga data per promuovere il giornalismo economicofinanziario di alto livello premiando i migliori professionisti in questo campo in tutto il mondo, dando oggi il via alla quarta edizione italiana del Premio Citigroup Journalistic Excellence Award, ideato a livello internazionale nel 1982. Con questa iniziativa Citigroup intende riconoscere il ruolo che il giornalismo di eccellenza può ricoprire all’interno del sistema economico-finanziario, contribuendo a creare un pubblico meglio informato e a sostenere il buon funzionamento del sistema nel suo complesso. La giuria dell’edizione 2005, come nelle precedenti edizioni, è composta da rappresentanti istituzionali particolarmente autorevoli quali: Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e docente di Diritto dell’informazione presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università Iulm di Milano; Massimo Capuano, Amministratore delegato di Borsa italiana Spa; Stefano Micossi, Direttore genera- Ansa.it, il portale dell’informazione cambia volto ORDINE 1 2005 le di Assonime; Carlo Secchi, professore ordinario di Politica economica europea e direttore dell’Istituto di Studi latino-americani (Isla) presso l’Università Bocconi; Luigi Spaventa, professore di Economia politica dell’Università di Roma; Terri Thompson, direttrice del Knight Bagehot Fellowship in Economics and Business Journalism alla te School of Journalism di New York, culla del prestigioso Premio Pulitzer. Il seminario rappresenta un’iniziativa di formazione unica nel suo genere, che non trova corrispondenti nel nostro Paese. Nell’edizione precedente sono stati affrontati temi di stretta attualità e di particolare rilevanza per l’industria finanziaria internazionale: le banche nel sistema Per ulteriori informazioni: Citigroup (www.citigroup.com) Sarah Marder tel. 02 86474359 fax. 02 86474462 [email protected] Sarah Marder, Director of Corporate Affairs Citigroup – Italy. Columbia University; Giacomo Vaciago, Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La Giuria non include nessun rappresentante di Citigroup. Al giornalista selezionato viene infatti offerta l’opportunità di prendere parte, insieme agli altri vincitori provenienti da tutto il mondo, all’International Journalists Seminar, un programma specializzato di due settimane al livello di master presso la Columbia Gradua- Roma, 11 ottobre 2004. Ansa.it, il portale del gruppo Ansa, cambia volto ribadendo la tradizionale attendibilità delle sue notizie, migliorando la navigazione, facilitando l’accesso e accrescendo il volume istantaneo delle informazioni in presa diretta da tutto il mondo. I milioni di navigatori che consultano Ansa.it hanno ora a disposizione un portale che compete, in qualità, accessibilità e velocità di consultazione con i migliori portali giornalistici dei paesi tecnologicamente ed editorialmente più avanzati. Home page con circa 50 aggiornamenti quotidiani in tempo reale, oltre 30 per ciascun canale business, un rullo con 60 top news, 250 notizie generaliste suddivise per categorie tematiche, 150 news regionali, 11 mini home page tematiche, rubriche, speciali, foto, appuntamenti, approfondimenti. Ed ancora nuovi servizi per gli utenti ed un moderno motore di ricerca. Al via anche il servizio “News Alert” che consente di avere un’anticipazione delle principali notizie dell’Ansa direttamente sul Pc, con foto, titoli e link diretti alle relative e specifiche pagine del portale. Dall’home page di Ansa.it, che è stata rivoluzionata per renderla più facilmente fruibile, è possibile accedere, attraverso la barra di navigazione, ad altre 11 mini home page all’interno delle quali si trovano le notizie relative alle diverse aree tematiche: Italia, Mondo, Sport, Calcio, Economia e Finanza, ecc. Scegliendone una, il navigatore può restarvi collegato per essere sempre informato sul tema che più lo interessa. La barra di navigazione è il cruscotto dell’utente e quindi facilita intuitivamente la consultazione. È da qui che si giunge anche ai canali Meteo e Finanza e a quelli Tlc, Salute e Pmi, ai siti in inglese e alle informazioni su tutti i servizi realizzati dall’Ansa per i telefoni cellulari. Nell’home page di Ansa.it c’è anche il rullo con le ultime notizie aggiornate in tempo reale. Se il navigatore è interessato a un preciso argomento può invece utilizzare il nuovo motore di ricerca, che permette di arrivare direttamente nella pagina che ospita la notizia, la foto e il video cercati. L’home page di Ansa.it è anche una vetrina per tutti i prodotti multimediali: le videonews (“ansalive” e “30secondi”) e le photonews. (ANSA) finanziario globale, l’analisi dei bilanci e il conflitto di interessi. Inoltre durante il seminario i partecipanti avranno la possibilità di incontrare alcuni grandi nomi del mondo dei media, dell’economia e della finanza. Nell’edizione passata ad esempio i partecipanti hanno incontrato William Donaldson, Stanley Fischer, Rik Kirkland, William Mc Donough, Robert Rubin, Jeffrey Sachs e John Williamson, con l’opportunità di realizzare alcune corrispondenze dirette per la Unione giornalisti pensionati: Ino Iselli è il nuovo presidente Sky Italia: superata quota 3 mln di abbonati propria testata. I giornalisti avranno tempo fino al 17 gennaio 2005 per presentare due articoli pubblicati nel corso del 2004. Gli articoli verranno poi sottoposti alla giuria in forma anonima (sia di testata sia di autore), in modo da garantire un giudizio imparziale basato esclusivamente sui contenuti dell’articolo. Per scegliere il miglior articolo pubblicato nel 2004 tra quelli che prenderanno parte alla selezione, i giurati si baseranno su criteri specifici quali l’originalità e la presenza di contenuti di novità, la capacità di analisi e approfondimento delle tematiche trattate, l’utilizzo di ricerche e/o interviste nonché la capacità di stimolare il dibattito. Nessuna limitazione invece per quel che riguarda le tematiche, sulle quali viene lasciata completa libertà all’interno del campo economicofinanziario. Presente in Italia fin dal 1962, Citigroup gode oggi di una presenza consolidata in tutte le aree di business in cui è attiva sul mercato italiano: Corporate and Investment Banking, Consumer Banking, Carte di credito, Credito al consumo, Private Banking e Asset Management. Citigroup in Italia, dove conta su uno staff complessivo di circa 1200 persone, opera tramite i seguenti marchi: Citibank, CitiFinancial, Citigroup, Citigroup Asset Management e Citigroup Private Bank.Citigroup (NYSE: C), la principale società globale di servizi finanziari con circa 200 milioni di clienti in oltre 100 paesi, fornisce a consumatori, società, governi ed enti una vasta gamma di prodotti e servizi finanziari, incluse attività bancarie e creditizie rivolte ai consumatori, attività bancarie aziendali e di investimento, assicurazioni, negoziazione titoli e gestione patrimoniale. I principali marchi che operano sotto l’ombrello Citigroup sono Citibank, CitiFinancial, Primerica, Smith Barney, Banamex, and Travelers. Saint Vincent, 22 novembre 2004. Giuseppe (Ino) Iselli, 65 anni, è il nuovo presidente dell’Unione nazionale giornalisti pensionati (Ungp). È stato eletto a Saint Vincent, al termine del 3° Congresso dell’Ungp, con 47 voti su 57 delegati. Iselli, delegato della Lombardia, sostituisce Orlando Scarlata che ha guidato l’Ungp per due mandati. Vicepresidenti sono stati eletti Massimo Signoretti (Lazio-Molise) e Antonio De Vito (Piemonte). I delegati hanno successivamente eletto il nuovo esecutivo dell’Unpgi che risulta così composto: Giorgio Fait (Trentino Alto-Adige), Sergio Battaglioli (Lombardia), Letizia Gonzales (Lombardia), Romano Bartoloni (Lazio-Molise), Enrico Mania (Lazio-Molise), Sergio Fantini (Emilia-Romagna), Giuseppe Peruzzi (Toscana), Francesco Brozzu (Sardegna) e Maurizio Mendia (Campania).Infine, sono stati eletti i sette componenti del collegio dei sindaci: Giovanni Carisi (Veneto), Roberto Tafani (Liguria), Domenico Marcozzi (Abruzzo), Giacinto Borelli (Lazio-Molise), Franco Chieco (Puglia), Enzo De Virgilio (Calabria) e Mario Petrina (Sicilia). Il Congresso dell’Ungp si è chiuso con l’elezione di un gruppo dirigente largamente unitario che vede la partecipazione di colleghi che fanno riferimento a differenti componenti sindacali. ROMA, 26 novembre 2004. A meno di diciotto mesi dalla fusione tra Telepiù e Stream, in anticipo rispetto alle previsioni, Sky Italia ha raggiunto l’obiettivo dei tre milioni di abbonati. “L’aver raggiunto il nostro primo obiettivo di tre milioni di abbonati rappresenta un grande successo - ha affermato l’amministratore delegato di Sky Italia, Tom Mockridge. È la dimostrazione del fatto che in Italia, come nel resto d’Europa e nel mondo, ci sia una forte richiesta di intrattenimento televisivo di qualità”. Al cliente numero 3.000.000 è stata consegnata ieri sera la parabola da tre testimonial d’eccezione della piattaforma digitale: l’ex calciatore Gianluca Vialli, la conduttrice Ilaria D’Amico e un pupazzo con le fattezze di Bart Simpson. 15 di Pino Nicotri E adesso? Sono due anni che al Consiglio d’amministrazione dell’Inpgi è stato fatto notare, con iniziative autonome dal presidente dell’Ordine di Milano Franco Abruzzo, dal sottoscritto come presidente del Comitato inquilini Inpgi dell’ex via Missaglia, e da petizioni degli stessi inquilini, un particolare non trascurabile. Vale a dire, che i 104 appartamenti di proprietà dell’Istituto in quella zona – oggi chiamata Quartiere Le Terrazze – avevano un ben preciso vincolo: 12 anni di contratti di affitto a equo canone invece degli appena quattro concessi. E sono due anni che a Roma preferiscono far finta di nulla. Non sentono, non vedono e non parlano. Non sentono i discorsi fatti anche da me in varie sedi. Non vedono i documenti inviati da Abruzzo e da me. Non aprono bocca per dire come riparare la situazione. Oppure ripetono lo stesso ritornello: “L’equo canone è stato abolito per legge nel ’94. Perciò siamo passati legittimamente agli affitti a libero mercato”. Ancora: “La Vince la tesi di Franco Abruzzo, sconfitta clamorosa dell’Istituto (che ora deve restituire il di più percepito per 8 anni) “Equo canone per 12 anni nei 104 appartamenti Inpgi dell’ex via Missaglia”. F.to Comune di Milano La lettera del Comune di Milano Mentre con Roma continuava l’inconcludente tira e molla, è successo infatti un imprevisto: il diavolo ci ha messo lo zampino. Anzi, lo zampone! Sotto forma di lettera inviata dal competente ufficio comunale che chiarisce senza più possibilità di equivoci e traccheggiamenti che anche per i rimanenti otto anni gli affitti dovevano attenersi “ad un canone pari all’equo canone o a un canone comunque concordato con l’Amministrazione comunale”. Nulla di tutto ciò è invece successo. Anzi, dal ’94 in poi il canone è diventato tale da rendere impossibile che nei rinnovi del 2002 gli inquilini potessero accedere a quello che si chiama “canone concordato” o anche “secondo canale”. “Il livello del vostro canone è più alto della soglia massima fissata dalla legge per poter usufruire delle agevolazioni previste dal canone concordato”, ci ha tenuto infatti a precisare da Roma l’Inpgi con una apposita missiva. La lettera che taglia finalmente quello che per Roma era un nodo gordiano eterno è datata 27.1.2004. Esiste cioè già da quasi un anno. Chiarisce in modo insuperabile quella che era la precisa volontà del Comune e la condizione VINCOLANTE posta ai costruttori del quartiere Le Terrazze, come anche ad altri. La lettera l’ha firmata il “Direttore di Settore//dr Emilio Cazzani”. Il settore in questione è quello urbanistico. Per l’esattezza la lettera porta l’intestazione della “Direzione Centrale Pianificazione Urbana e Attauazione P.R.//Settore Urbanistica//Servizio Piani e Programmi di Recupero”. Il numero di protocollo generale è “PG 174878/2004”.. E i destinatari sono due. Il primo è la “Spettabile A.I.T.E.R.//Associazione Inquilini/Via Tomaselli 1 e via Rosselli1//20142 Milano”. Il secondo è, per conoscenza, la “Spettabile Immobiliare Lombarda//Via Manin n. 37//20121 Milano”. Chiarisco che l’ Immobiliare Lombarda SpA è una società immobiliare coinvolta nella gestione e nello sviluppo del patrimonio immobiliare del gruppo Ligresti. Nel 1999 la società è stata costituita in seguito allo scorporo del ramo di azienda immobiliare della Premafin Finanziaria. In seguito si è avuta la fusione per incorporazione della Immobiliare Lombarda srl e la contestuale modifica nella attuale denominazione sociale. La società vanta un patrimonio di 252 immobili, situati nell'area di Milano, e da terreni per un totale di 1.4 milioni di metri quadri. Come mai il direttore di settore Emilio Cazzani, cioè il Comune, ha spedito la sua missiva proprio a quei due indirizzi? Lo spiego subito. Gli inquilini di via Tomaselli e via Rosselli all’attacco Mentre invecchiavo con l’inconcludente tira e molla con Roma, si sono mossi a mia insaputa gli inquilini di due palazzi di proprietà della Immobiliare Lombarda, uno in via Tomaselli 1 e l’altro in via Rosselli 1, formando una associazione che, dalle iniziali anche del nome delle due vie, prende il nome A.I.T.E.R. Poi si sono mossi anche gli inquilini di due palazzi di proprietà dell’Enasarco, uno in via Fratelli Fraschini 22 e l’altro in via Bugatti 13, che hanno partorito una seconda associazione. Anch’essa prende il nome dalle iniziali delle sue vie: A.I.F.B. Infine, le due associazioni sono confluite in una nuova, Aiter Le Terrazze, aperta a tutti gli altri inquilini del resto del quartiere. Aperta cioè anche a noi affittuari dei due palazzi Inpgi, uno in via Nicola Romeo 14 e l’altro in via fratelli Fraschini 7. L’Inpgi di Roma e la vecchia gestione fiduciaria di Milano ci hanno tenuto a combattere per anni il comitato dei suoi inquilini e in particolare il sottoscritto? Si sono divertiti a tentare di sfrattarmi e a minacciarmi pubblicamente di denuncia per diffamazione e addebito di perizia (costosa)? Bene, ora se la vedano con l’Aiter Le Terrazze e i suoi avvocati, anziché con un “terrorista psicologico” come me. In attesa di aprire un sito Internet, è stato aperto un indirizzo di posta elettronica: [email protected] A quanto pare, gli inquilini dei due palazzi dell’Immobiliare Lombarda e dei due dell’Enasarco, l’equo canone non l’hanno mai visto. Neppure nei primi quattro anni accordati invece dall’Inpgi. Secondo i calcoli dell’avvocato Alessio Straniero e del dottor Paolo Piscone, inquilini associati all’Aiter, la Lombarda e l’Enasarco avrebbero prelevato dalle tasche dei loro 197 affittuari quattro milioni di euro più del dovuto, pari a otto miliardi di lire. Non c’è che dire: un bel gruzzolo. Se non una vera e propria stangata. Ma c’è un dato particolarmente scandaloso. La proprietà dell’Immobiliare Lombarda è una creatura dello stesso Salvatore Ligresti al quale il Comune di Milano concesse a suo tempo l’edificabilità dell’intero quartiere Le Terrazze, compresi i palazzi che ha poi venduto all’Enasarco e all’Inpgi, solo a patto che gli affittuari futuri godessero di 12 anni di equo canone. Il che significa che mentre l’Inpgi può, in ipotesi, al momento dell’acquisto dei due immobili, essere stata tenuta all’oscuro di quel vincolo, il costruttore e la sua Lombarda non potevano invece ignorarlo. C’è di che farsi cadere le braccia a terra. Anche gli inquilini Sunia in azione Gli affittuari della Lombarda e dell’Enasarco le braccia le hanno invece usate per dissotterrare l’ascia di guerra. Con Straniero e Piscone hanno dato vita a una cooperativa che ha posto i rispettivi proprietari immobiliari davanti a un ben preciso aut aut: o ci restituite i quattro milioni di euro o ci vendete gli immobili e scalandoci dal prezzo quei quattro milioni di euro. Una coppia di inquilini si è rivolta direttamente al magistrato perché la cifra di loro competenza l’hanno già defalcata da tempo 16 Corte dei Conti ci obbliga a mettere a reddito gli immobili nel modo migliore”. Infine: “I sindacati nazionali inquilini hanno firmato con noi un ben preciso accordo”. Insomma, come dire: “E voi che cavolo volete?”. A parte le chiacchiere da azzeccagarbugli, chiunque capisce che abolire l’equo canone è cosa diversa dal proibirlo. Tant’è vero che ancora oggi, 10 anni dopo la sua abolizione, la stessa Inpgi ha ancora qualche appartamento concesso a equo canone. Pochi, meno delle dita di una mano, ma ci sono. Questa è la prova regina, lampante, che la spiegazione “romana” non regge, è campata per aria. L’equo canone era stato sì abolito, nel ’94, ma NON vietato: se proprietario e affittuario erano d’accordo, il costo mensile poteva continuare a essere calcolato con i parametri dell’equo canone. Tutti avrebbero continuato a vivere felici e contenti. E l’Inpgi si eviterebbe la montagna di grane che da qualche giorno ha ripreso a muoversi minacciando di precipitarle addosso. dal pagamento dell’affitto. Ciliegina sulla torta, giunge la notizia che il sindacato nazionale degli inquilini Sunia ha affidato ai suoi legali una causa per la revisione dei canoni di 30 affittuari. Ma come? Non mi avevano scritto da Roma che proprio i sindacati avevano “firmato” e che quindi ci togliessimo dai piedi perché non potevamo pretendere più nulla? Come mai il Sunia per quei 30 invece “pretende”? Eccome, se pretende! Conclusione: si profila all’orizzonte la possibilità di un centi- naio di cause giudiziarie contro l’Inpgi da parte degli affittuari di via Romeo e via Fraschini. La sera del 29 novembre si è infatti svolta un’assemblea, nei locali del Punto Religioso di via Bugatti, con una rappresentanza dell’Aiter Le Terrazze, compresi Straniero e Piscone. Ed è stata presa la decisione di affidare a Straniero la rappresentanza legale anche degli interessi degli inquilini Inpgi. Vale a dire, il recupero dell’eventuale canone pagato in eccesso. Oppure, ma questo lo si dovrà stabilire dopo un dibattito più approfondito, di mettere in piedi un’altra cooperativa che chieda all’Inpgi di venderle i due palazzi. In modo che chi volesse eventualmente comprare l’appartamento nel quale abita (ne hanno fatto richiesta un paio di anni fa una trentina di affittuari) lo possa fare, mentre chi vuole restare in affitto possa continuare a restarci. In affitto della cooperativa anziché dell’Inpgi. Insomma, l’uovo di Colombo che potrebbe finalmente accontentare tutti. Salta la teleconferenza Milano/Roma All’assemblea avrebbe dovuto partecipare il fiduciario milanese dell’Inpgi, Carlo Gariboldi, già da me presentato, assieme al suo vice Guido Besana, poco dopo la loro nomina, ad una apposita e affollata assemblea di inquilini. Gariboldi è stato impedito da impegni imprevisti. Ma si è dato da fare fissando per giovedì 2 dicembre una riunione nella sede milanese dell’Inpgi, in via Sandri, con l’avvocato Straniero, il dottor Piscone e tutti gli inquilini dell’Istituto desiderosi di parteciparvi. L’intenzione di Gariboldi era di collegarsi in teleconferenza, nell’apposita sala della sede in via Sandri, con i vertici romani dell’Istituto. Vale a dire, con il presidente Gabriele Cescutti e il direttore generale Arsenio Tortora. E cominciare a discutere per capire cosa si può fare senza essere costretti a litigare, cioè senza dover ricorrere in massa al magistrato. Ma l’incontro è saltato per indisponibilità di non si è ben capito chi a Roma. Dalla faccia e dal tono di Gariboldi quando in seguito gli ho parlato, mi pare si possa sospettare che a Roma devono averlo trattato con un senso di fastidio: “Ancora questa storia!”. Vedremo. Solo un ripiego l’equo canone per 12 anni Questa invereconda storia di ordinaria follia e malcostume vale però la pena raccontarla dall’inizio. Anche perché – stando a un articolo a pagina 44 de Il Giornale di lunedì 8 ottobre dell’anno in corso, a firma di Alessandra Pasotti - pare non riguardi “solo” l’intero quartiere Le Terrazze, ma anche altre zone di Milano. Per esempio, quelle di via Adriano e di via Quarenghi. La non bella faccenda riguarda in modo scandaloso soprattutto l’immobiliarista Ligresti - vale a dire un coeditore addirittura del Corriere della Sera! Ma riguarda anche l’Istituto previdenziale dei giornalisti. È quindi davvero incredibile il silenzio stampa che vige su questa vicenda, sulle spalle di centinaia e centinaia di affittuari. Cioè di famiglie. Dunque. Per evitare le solite accuse del cavolo, mi limito a riportare passi del citato articolo de Il Giornale: “Occorre fare un salto nel tempo e ritornare agli anni Ottanta, quando Milano era ancora da bere e attorno agli appalti di edilizia residenziale ruotavano interessi da capogiro. In quegli anni e più precisamente tra l’84 e l’85 il Comune stipula alcune convenzioni urbanistiche. In partico- lare sono tre le zone interessate: via dei Missaglia, via Quarenghi e via Adriano. Il Comune concede a diverse immobiliari di costruire su quei terreni centinaia di case e palazzi in cambio di alcune contropartite di interesse pubblico per fronteggiare il problema casa. Tra queste c’è l’obbligo di offrire gli alloggi ad equo canone per un periodo non inferiore ai 12 anni”. L’avvocato Straniero chiarisce meglio un punto decisamente interessante: “La soluzione dei 12 anni di equo canone è stata però solo un ripiego. Che ha favorito i costruttori, nel nostro caso Ligresti. Il Comune preferiva infatti che una quota dei palazzi costruiti fossero destinati all’edilizia popolare, passando quindi sotto la diretta proprietà del Comune come contropartita delle concessioni edilizie. Ligresti, per restare il padrone di tutti i palazzi da lui costruiti, ha fatto una controproposta: caro Comune, invece di cederti una parte degli immobili fissiamo un lungo periodo di canone di favore per gli affittuari di tutti i palazzi. Ci si è alla fine accordati sul periodo di 12 anni di equo canone”. Periodo che, come ben sappiamo, è andato a farsi benedire. L’azione di Franco Abruzzo in difesa degli inquilini Il 13 giugno 2003 il presidente dell'Ordine Franco Abruzzo ha trasmesso, tramite raccomandata per corriere Bedienne, all'intero vertice dell'Inpgi, ai due ministri e ai due magistrati amministrativi aventi compito di vigilanza, l'intero testo della "Concessione per opere edilizie" rilasciata da Comune al gruppo Ligresti, per l'esattezza alla Premafin Finanziaria Spa, il 19 dicembre 1988. Nel testo si legge con chiarezza la clausola sui 12 anni di equo canone. In più Abruzzo ha inviato a tutti i destinatari sopra citati una serie di allegati i quali dimostrano che gli organi competenti hanno a suo tempo approvato quanto deciso dal Comune. In totale, il fascicolo spedito da Abruzzo consta di 55 fogli, scritti su entrambe le facciate. Che fine hanno fatto? C’è qualcuno che vuole ancora sostenere che tutta la vicenda è stata inventata o ingrandita da me? Magari su mandato di Abruzzo, come qualche imbecille ha l’ardire di mormorare? O non si tratta piuttosto di una vicenda abbastanza oscura, se non losca, che vale la pena di chiarire anche giornalisticamente? Le pagine della cronaca milanese dei vari quotidiani aspettano impazienti che i cronisti facciano – finalmente – la loro parte. Ora hanno tutti gli estremi per impugnare la penna. ORDINE 1 2005 P R O F E S S I O N E Lettera dell’8 marzo 2004 di Franco Abruzzo al ministro del Lavoro, alla Fieg, alla Fnsi, all’Alg, all’Ordine nazionale e all’Inpgi con la richiesta dell’istituzione e dell’attivazione del “Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la formazione continua” di cui all’articolo 118 della legge n. 388/2000 per finanziare: a. le Scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine nazionale dei giornalisti, oggi in attività con l’utilizzazione degli stanziamenti del Fse (Fondo sociale europeo) in esaurimento entro il 2006; b. la nota a verbale di cui all’articolo 4 del vigente Cnlg (corsi di aggiornamento professionale di contenuto tecnologico); c. l’articolo 45 (aggiornamento culturale e professionale) del vigente Cnog. Maroni ha già risposto: l’iniziativa spetta a Fnsi e Fieg! È evidente che l’articolo 118 della legge n. 388/2000 va piegato alla formazione continua delle figure professionali previste dal Cnlg e dalla legge professionale: redattori professionisti, redattori pubblicisti, praticanti in formazione presso le redazioni e praticanti in formazione presso le Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la formazione continua: i soldi ci sono, ma il sindacato non appare interessato. Perché? Come presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia – ente pubblico che, di concerto con la Regione Lombardia, ha “creato” nel 1977 la prima Scuola italiana di giornalismo (“Istituto ‘Carlo De Martino’ per la Formazione al Giornalismo”)-, chiedo l’istituzione e l’attivazione di un “Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la Formazione continua dei giornalisti professionisti; dei giornalisti pubblicisti contrattualizzati e dei praticanti giornalisti iscritti nelle Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog e finanziati oggigiorno in base al Fse”. Ciò in base all’articolo 118 della legge 19.12.2000 n° 388. Il comma 1 dell’articolo 118 precisa che “al fine di promuovere, in coerenza con la programmazione regionale e con le funzioni di indirizzo attribuite in materia al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, lo sviluppo della formazione professionale continua, in un’ottica di competitività delle imprese e di garanzia di occupabilità dei lavoratori possono essere istituiti, per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato, nelle forme di cui al comma 6, fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua”. Il comma 6 dice: “Ciascun fondo è istituito, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, alternativamente: a) come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell’articolo 36 del codice civile; b) come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi degli articoli 1 e 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, concessa con decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali”. “L’attivazione dei fondi – recita il comma 2 - è subordinata al rilascio di autorizzazione da parte del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della conformità alle finalità di cui al comma 1 dei criteri di gestione, degli organi e delle strutture di funzionamento dei fondi medesimi e della professionalità dei gestori”. Le imprese editrici di testate giornalistiche, di Tg e radiogiornali, di agenzie di stampa e di giornali telematici hanno, comunque, l’obbligo (comma 5 dell’articolo 118) di versare all’Inps il contributo integrativo di cui al quarto comma dell’articolo 25 della citata legge n. 845 del 1978. Tra gli 8 Fondi già istituiti, 6 si riferiscono a lavoratori e dirigenti dei settori industriale, artigiano, cooperativo, commerciale, turistico, creditizio, assicurativo e logistico. Gli altri due Fondi riguardano il terziario e i dirigenti del terziario (FON.DIR). A questo punto si tratta di verificare in quale ambito possano essere inserite le imprese a cui facciano capo attività di natura giornalistica e se le stesse imprese abbiano già provveduto ad aderire ad un qualsiasi Fondo già esistente. Qualora ciò non fosse avvenuto, la legge 388/2000 ammette la possibilità di istituire altri specifici Fondi. È evidente che l’articolo 118 della legge n. 388/2000 va piegato alla formazione continua delle figure professionali previste dal Cnlg e dall’Ordine nazionale dei giornalisti: redattori professionisti, redattori pubblicisti, praticanti in formazione presso le redazioni e praticanti in formazione presso le Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog. Il contratto afferma che “forme integrative di formazione professionale del praticante potranno essere attuate in sede dalle aziende o utilizzando qualificate strutture formative esterne private e pubbliche”. Il punto 4 dell’allegato 0 del Cnlg recita per quanto riguarda i praticanti giornalisti in formazione: “Il contratto di formazione e lavoro deve prevedere almeno 144 ore di formazione da effettuarsi in luogo della prestazione lavorativa. A tal fine gli Ordini regionali e le associazioni regionali della stampa, d’intesa con l’Ordine nazionale, predisporranno corsi di formazione teorici integrativi della pratica formazione aziendale finalizzati anche all’uso dei sistemi redazionali. I corsi di formazione potranno svolgersi presso le strutture universitarie a tal fine ritenute più idonee”. Ma nel Cnlg c’è di più: la nota a verbale di cui all’articolo 4 prevede corsi di aggiornamento professionale di contenuto tecnologico, mentre l’articolo 45 ipotizza l’aggiornamento culturale e professionale dei giornalisti. L’articolo 45 in particolare delinea quella formazione continua dei giornalisti materia organicamente trattata dall’articolo 118 della legge n. 388/2000. Dice l’articolo 45 del Cnlg: “Le parti, allo scopo di soddisfare l’esigenza di un costante aggiornamento culturale-professionale dei redattori, attraverso una regolamentazione concordata a livello aziendale, convengono quanto segue: - le aziende, in relazione alle specifiche esigenze ed alle disponibilità, d’intesa con le direzioni e i comitati o fiduciari di redazione, avvieranno a tale scopo iniziative determinandone programma, durata, modalità di svolgimento e di partecipazione; - ciascuna azienda favorirà la partecipazione di singoli giornalisti a corsi di aggiornamento, seminari, iniziative culturali-professionali attinenti le loro specifiche competenze previo parere del direttore sulla base di idonea documentazione; è rinviata alla sede aziendale la regolamentazione degli aspetti relativi ai periodi di permesso retribuito e di concorso alle spese; - le Federazioni contraenti promuovono e organizzano, annualmente e congiuntamente - in collaborazione con gli organismi professionali - corsi nazionali o di aggiornamento culturale-professionale, stabilendone di volta in volta programmi, durata, modalità di partecipazione dei giornalisti e concorso delle aziende agli eventuali oneri. Le Federazioni medesime valuteranno periodicamente i risultati delle esperienze realizzate a livello aziendale in materia di aggiornamento professionale”. Va anche detto che le Scuole di giornalismo, riconosciute dal Cnog, e finanziate con le risorse del Fse, hanno un potenziale fosco avvenire, perché quelle risorse non saranno più disponibili (nelle quantità precedenti) a partire dal 1° gennaio 2007. C’è un interesse generale, quindi, da tutelare perché l’azione formativa di nuovi giornalisti sia assicurata nel futuro a costi altamente competitivi e contenuti per le famiglie dei giovani, che per concorso (e, quindi, per merito) frequentano le Scuole (a numero programmato). L’accesso alla professione giornalistica non può essere affidata alle storture speculative del mercato. La sopravvivenza delle Scuole passa attraverso l’istituzione del Fondo di cui all’articolo 118 della legge n. 388/2000. Grava sul ministero del Lavoro e delle politiche sociali la responsabilità di collocare le risorse disponibili dell’istituendo Fondo nell’Inpgi, l’Istituto che, in base all’articolo 76 della legge n. 388/2000, “gestisce in regime di sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e che provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti… titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica”. Tutto ciò premesso, chiedo, richiamando le motivazioni già illustrate, l’istituzione e l’attivazione del “Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la formazione continua” di cui all’articolo 118 della legge n. 388/2000 per finanziare: a. le Scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine nazionale dei giornalisti, oggi in attività con l’utilizzazione degli stanziamenti del Fse (Fondo sociale europeo) in esaurimento entro il 2006; b. la nota a verbale di cui all’articolo 4 del vigente Cnlg (corsi di aggiornamento professionale di contenuto tecnologico); c. l’articolo 45 (aggiornamento culturale e professionale) del vigente Cnog. Il presidente dell’OgL-estensore prof. Francesco Abruzzo www.ecostampa.it RASSEGNA STAM PA in AncheHTML to forma stra vo per la net Intra ORDINE 1 2005 L’ECO della STAMPA è tra i più importanti operatori europei nell’industria del MEDIA MONITORING. Essere un partner affidabile per chi - in qualsiasi struttura pubblica o privata - operi nell’area della comunicazione o del marketing è, ormai da 100 anni, la nostra mission. Anche grazie ai servizi di ECOSTAMPA Media Monitor SpA (media monitoring, software, web press release, media analysis, directories…) ogni giorno migliaia di nostri Clienti accrescono l’efficacia delle loro Direzioni Marketing e Comunicazione, disponendo di maggiori risorse interne da dedicare alle attività con più alto valore aggiunto. Se desiderate saperne di più …o fare una prova, contattateci! Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] ® L’informazione ritagliata su misura. Nominativo .............................................................................. Azienda .............................................................................. Indirizzo .............................................................................. Cap/Città .............................................................................. Telefono/Fax .............................................................................. E-mail .............................................................................. OG Questo il testo della lettera: ECOSTAMPA MEDIA MONITOR SpA 17 P R O F E S S di Riccardo Sabbatini Il giudice amministrativo è la Consob (la sanzione amministrativa va da ventimila a tre milioni di euro). Per i giornalisti si prevede che la diffusione delle notizie vada valutata “tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta categoria”. Innanzitutto le norme deontolo- Una lacuna che danneggia i giornalisti finanziari giche della categoria fino ad un certo punto sono autoregolamentari, ma la loro violazione comporta sanzioni (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12 mesi, radiazione dall’Albo professionale) stabilite per legge. Soprattutto non sono chiarite le specifiche, e distinte, Direttive Ue I O N E sul market abuse: sì della Camera al recepimento. responsabilità (editore, autore dell’articolo, fonte) La legge coinvolte nella pubblicazione di una notizia. Il fatto che il recepimento ora ritorna della direttiva non contenga una norma di salvaguaral Senato dia su chi non è consapevole di diffondere falsità, aggrava questa confusione di ruoli. Aggiotaggio punito anche in sede amministrativa, ma il legislatore italiano (tradendo l’Ue) omette di precisare che la sanzione scatta soltanto se chi diffonde le informazioni “sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false” L’aggiotaggio (o manipolazione di mercato) nell’attuale normativa italiana (art. 2637 del Codice civile) è il reato che commette “chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quotati e non quotati” La pena, sulla carta è molto severa (reclusione da 1 a 5 anni) ma pochissimi finora sono stati condannati e ancora meno sono stati i giornalisti coinvolti in procedimenti giudiziari La nuova direttiva europea sui reati finanziari (market abuse) include nella definizione di manipolazione di mercato “la diffusione di notizie false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari… se la persona che le ha diffuse sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false o fuorvianti. Con riferimento ai giornalisti… tale diffusione di informazioni va valutata tenendo conto delle norme deontologiche proprie di detta professione a meno che dette persone traggano, direttamente o indirettamente, vantaggi o benefici dalla diffusione delle informazioni in questione”. La direttiva, fatto salvo il diritto dei singoli parlamenti a reprimere queste fattispecie con norme penali richiede tuttavia che siano comunque in vigore sanzioni amministrative comminate da autorità di vigilanza indipendenti (allo scopo, tra l’altro, di far sì che il network europeo dei regulator possa reprimere fenomeni cross-border) L’emendamento del governo alla legge comunitaria con il quale viene recepita in Italia la market abuse (emendamento 8.50 all’atto C.5179/A) prevede due distinte fattispecie di aggiotaggio. Il primo è un Possibili ricadute sull’attività dei giornalisti finanziari Concrete fattispecie a) l’oggetto degli iter sanzionatori della Consob (l’autorità indipendente incaricata di comminare le multe) è potenzialmente assai ampio poiché, in mancanza del requisito dell’impatto sui prezzi di Borsa, riguarda indistintamente tutte le notizie false e fuorvianti concernenti strumenti finanziari quotati che appaiono sui mass media (Internet compreso). Pericolo: il rischio di sanzioni arbitrarie Primo caso Il giornalista pubblica la notizia di una fusione bancaria citando come fonte l’amministratore delegato di un istituto di credito. La notizia si rivela falsa. Di chi è la colpa? Secondo me è unicamente dell’amministratore poiché il giornalista ha fatto nient’altro che il suo dovere professionale (citando una fonte affidabile a sostegno della notizia). b) il range della sanzione amministrativa è assai ampio (da 20mila a 3 milioni di euro) e, in mancanza dello stesso requisito di impatto sul mercato, non si capisce in che modo dovrebbe essere graduata. Pericolo: il rischio di sanzioni sproporzionate c) per i giornalisti si prevede che la diffusione delle notizie vada valutata “tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta categoria”. Innanzitutto le norme deontologiche della categoria fino ad un certo punto sono autoregolamentari, ma la loro violazione comporta sanzioni (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12 mesi, radiazione dall’albo professionale) stabilite per legge. Soprattutto non sono chiarite le specifiche, e distinte, responsabilità (editore, autore dell’articolo, fonte) coinvolte nella pubblicazione di una notizia. Il fatto che il recepimento della direttiva non contenga una norma di salvaguardia su chi non è consapevole di diffondere falsità, aggrava questa confusione di ruoli. Pericolo: il rischio di sanzioni ingiuste Secondo caso Nei giorni scorsi praticamente tutti i giornali economici hanno diffuso la notizia (senza citare la fonte) che Bolloré aveva incrementato la sua quota in Mediobanca, avendo ricevuto il via libera da Bankitalia. Dopo qualche giorno si è appreso, per bocca dello stesso Bolloré, che la notizia era falsa. Casi del genere sono molto comuni nei giornali. Quell’informazione non aveva avuto impatto sul mercato, potrebbe però far scattare l’iter sanzionatorio della Consob. Come verrebbero ripartite le responsabilità? Se il giornalista mantiene il riserbo sulla sua fonte (come gli è consentito nel nostro ordinamento) potrebbe (lui o il suo editore, o entrambi) essere sanzionato. Se fa il nome della sua fonte – tenuto conto che la notizia era falsa ritengo che anch’esso sarebbe un atteggiamento lecito secondo le nostre regole professionali – la responsabilità passerebbe a quest’ultima sempre che fosse possibile dimostrare che proprio quella è la vera fonte della notizia. 18 Roma, 2 dicembre 2004. Sì della Camera all’articolo 8 della legge comunitaria 2004 che prevede il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva Ue sul ‘market abuse’: un primo intervento in risposta ai crack che hanno colpito il mercato finanziario italiano ed i risparmiatori. La norma inasprisce le sanzioni, sia penali sia amministrative, per gli abusi di mercato e prevede il rafforzamento della Consob; essa potrà avvalersi della Guardia di finanza e le sarà permessa l’assunzione in servizio di 150 nuovi dipendenti. La Consob potrà, poi, accedere alla Centrale rischi della Banca d’Italia. In particolare, chi abusa di informazioni privilegiate verrà punito con la reclusione da uno a sei anni ed una multa da ventimila e 3 milioni di euro che potrà essere aumentata dal giudice fino al triplo o fino a dieci volte il profitto ingiustamente conseguito se si tratta di casi così rilevanti da far apparire inadeguata la pena anche se applicata al massimo. Chi commetterà il reato di “manipolazione del mercato” diffondendo notizie false o ponendo in essere “operazioni simulate” volte a provocare “una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari”, verrà punito con la reclusione da uno a sei anni e con una multa fino a 5 milioni di euro, che anche in questo caso potrà essere triplicata nella sua entità dal giudice. La legge comunitaria 2004 torna all’esame del Senato per l’approvazione definitiva. (ANSA) reato penale che colpisce con la pena da 1 a 6 anni e la multa da ventimila a 5 milioni di euro chiunque “diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari”. Come si vede la formulazione è identica a quella dell’attuale norma, compreso il riferimento alla “sensibile alterazione del prezzo” che invece è assente nella disciplina comunitaria. Lo stesso emendamento introduce poi una nuova sanzione amministrativa relativa ai casi di manipolazione di mercato - è quella che concretamente ci interessa di più - così definita: “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato è punito con la sanzione amministrativa da ventimila a tre milioni di euro chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso Internet e ogni altro mezzo, diffonde informazioni voci o notizie false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. Per i giornalisti… la diffusione delle informazioni va valutata tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta professione, salvo che tali soggetti traggano, direttamente o indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle informazioni”. L’aggravante che fa scattare il reato penale, in aggiunta alla sanzione, è - si evince dal testo – il fatto che le notizie false hanno un impatto sui titoli di Borsa. Come si vede il legislatore italiano riprende per intero la formulazione presente nella direttiva Ue omettendo però di precisare, come faceva quello europeo, che la sanzione scatta soltanto se, chi diffonde l’informazione, “sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false”. Conclusione Come si vede la questione è assai complessa e necessita di un immediato confronto tra i colleghi. In prima approssimazione mi pare che il testo di recepimento della direttiva comunitaria dovrebbe quantomeno contenere la stessa clausola di salvaguardia contenuta nella legge europea. In ogni caso nelle norme di autoregolamentazione che l’Ordine sta redigendo in applicazione della market abuse (riguardano la corretta presentazione delle raccomandazioni finanziari e la piena trasparenza su possibili conflitti d’interesse, sono disponibili sul sito internet www.odg.it) andrebbe indicata con precisione la ripartizione delle responsabilità in caso di sanzioni amministrative riguardanti manipolazione di mercato. Precisando che i giornalisti responsabili di una condotta scorretta sono puniti solo con le sanzioni previste nel loro ordinamento professionale. A meno che, come precisa la direttiva Ue, non traggono un profitto personale dalla manipolazione. La sanzione amministrativa della Consob dovrebbe, invece, essere comminata unicamente alle fonti delle notizie false. ORDINE 1 2005 Riforma della Giustizia (bloccata da Ciampi) I rapporti con la stampa saranno tenuti “personalmente” dal Procuratore della Repubblica “Tutte le informazioni sulle attività dell’ufficio dovranno essere attribuite impersonalmente allo stesso”. I magistrati, “in contrasto con questa disposizione”, saranno perseguiti disciplinarmente. Abruzzo: “Avremo un’informazione giudiziaria centralizzata e reticente?” Milano, 3 dicembre 2004. I giornalisti, come i magistrati, sotto tiro. Per quanto riguarda i giornalisti, il Parlamento è sul punto di approvare alcune norme sul codice militare, sulla diffamazione e sui reati finanziarti (market abuse), che mettono a rischio il diritto dei cittadini all’informazione e il lavoro dei cronisti. L’ultima tegola, però, è rappresentata dalla riforma della Giustizia: questa legge, approvata dalla Camera il 1° dicembre, è stata rinviata dal Presidente Ciampi al Parlamento per un riesame. Suscista perplessità un passaggio, che riguarda i rapporti stampa-magistrati delle Procure della Repubblica. Il governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 2 (commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8), uno o più decreti legislativi. Nell’attuazione della delega il governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi:... “prevedere che il Procuratore della Repubblica tenga personalmente, o tramite magistrato appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione e che tutte le informazioni sulle attività dell’ufficio vengano attribuite impersonalmente allo stesso; prevedere che il Procuratore della Repubblica segnali obbligatoriamente al consiglio giudiziario, ai fini di quanto previsto al comma 3, lettera r), numero 3), i comportamenti dei magistrati del proprio ufficio che siano in contrasto con la disposizione di cui sopra”. Franco Abruzzo, presidente dell’Ogl, ha dichiarato: “Questa riforma della Giustizia, per quanto riguarda i giornalisti, è in netto e radicale contrasto con l’articolo 21 (II comma) della Costituzione. La Costituzione disegna una professione giornalistica libera, non soggetta ad autorizzazioni e censure. Il ruolo “monopolista” assegnato dalla nuova legge ai Procuratori della Repubblica contrasta con questi principi. La visione del legislatore è quella del generale Cadorna, quando l’Italia era impegnata nella prima guerra mondiale: i giornali erano obbligati a pubblicare soltanto i bollettini del Comando supremo; potevano, però, scrivere articoli di colore sulla guerra. I giornali saranno costretti a pubblicare soltanto quel che dice il Procuratore capo della Repubblica novello Cadorna? Che accadrà se i giornali pubblicheranno notizie giudiziarie fuori dal canale ufficiale? Si apriranno inchieste a caccia del magistrato troppo loquace? Avremo un’informazione giudiziaria centralizzata e reticente? “Tutte le informazioni sulle attività dell’ufficio del Pm – continua Abruzzo - dovranno essere attribuite impersonalmente allo stesso Ufficio. Che significa? I giornali dovranno censurare i nomi dei magistrati, che si occupano delle singole inchieste? E se ciò non dovesse accadere?” La vicenda di www. merateonline.it L A D ella lunga e sofferta battaglia giudiziaria per la vicenda “scanner” conclusasi in primo grado con l’assoluzione piena e la restituzione degli apparecchi sequestrati il 1o agosto 2002 dagli uomini del capitano Domenico Di Stravola, il giornale e i tre giornalisti inquisiti hanno beneficiato della stima e dell’amicizia di tante persone. A partire, curioso a dirsi, da molti sindaci del meratese che già avevano manifestato in proprio, o addirittura a nome dell’intero Consiglio comunale, la solidarietà all’indomani dell’operazione militare messa in piedi dal capitano Di Stravola, con l’impiego del comandante del Norm Vincenzo Pistininzi, del comandante della stazione di Merate Edonio Pecoraro, e di altri cinque “armati” tra cui tre esponenti di punta del Nucleo operativo, i cosiddetti investigatori che, giornalisti a parte, di solito danno la caccia a rapinatori e spacciatori. Ai sindaci, a qualche collega – molti dei quali, però, hanno preferito fingere di non usare gli scanner anziché coerentemente dichiarare di farlo ogni giorno – e, naturalmente ai nostri avvocati Maria Grazia Corti e Antonio Di Pietro, va il ringraziamento più profondo. a c’è un’altra persona alla quale Merateonline deve eterna riconoscenza. È Francesco “Franco” Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Franco, cosentino, 65 anni, una vita intera dedicata alla professione si è messo in moto subito, nel momento stesso in cui i colleghi rimasti in redazione Brambilla, De Salvo e Alfano erano in sostanziale stato di fermo presso il comando di compagnia dei carabinieri di Merate - lo hanno informato dell’incredibile vicenda. Il presidente ha faticato a credere che un mezzo esercito avesse perquisito la redazione di un giornale alla caccia di radioline. Poi, ha alzato la cornetta per diffondere alle agenzie i sentimenti del suo stupore e della sua indignazione. E da quel giorno non è trascorsa settimana senza che ci facesse una telefonata per chiedere notizie o solo per rassicurarci sull’esito del giudizio. Franco Abruzzo ha chiesto di essere ascoltato N M LA RICERCA DELL’ UNIVERSITÀ DELLA CALIFORNIA Lo stress fa invecchiare prima: 10 anni in più La ricerca condotta su 58 donne di cui 38 mamme di bambini malati. Tracce del tempo più marcate sulle cellule stressate Milano, 30 novembre 2004. Lo si sospettava da tempo, ma soltanto ora la scienza è riuscito a dimostrarlo: lo stress fa invecchiare prima del tempo. In particolare le donne stressate sono in media più vecchie di 10 anni rispetto alla loro età anagrafica: sulle loro cellule sono molto più marcati i segni del tempo rispetto a coetanee meno stressate. La notizia, giunta sulle pagine della rivista dell’Accademia americana delle scienze Pnas, è merito delle ricerche dell’equipe di Elissa Epel, dell’Università della California, a San Francisco. IL CAMPIONE - Gli esperti hanno studiato lo stato di salute del Dna di cellule immunitarie di 58 donne tra i 20 e i 50 anni, che lamentavano differenti livelli di stress psicologico nella loro vita quotidiana. Di tutto il campione, inoltre, 39 donne erano mamme di bimbi con malattie croniche quindi, ha spiegato la Epel, plausibilmente più stressate. I ricercatori hanno sottoposto l’intero campione a questionari di autovalutazione dello stress (per misurare la percezione soggettiva dello stress) e hanno poi misurato oggettivamente lo stress considerando gli anni che ciascuna donna aveva speso fino a quel momento ad accudire i propri bimbi malati. Così gli scienziati hanno visto che la percezione individuale dello stress e il livello di stress cronico per le mamme dei bimbi malati, sono entrambi correlati all’invecchiamento cellulare. SEGNI DEL TEMPO - In ambedue i casi nelle donne più colpite da stress le cellule esaminate apparivano in media dieci anni più vecchie dell’età anagrafica, ha riferito la Epel. Infatti le cellule mostravano tutti i segni tipici dell’invecchiamento: avevano le estremità dei loro cromosomi, i telomeri, più corte e mancava un’adeguata quantità dell’enzima protettivo dei telomeri stessi, la telomerasi. Inoltre queste cellule manifestavano un forte stress ossidativo, anche questo un tratto tipico del peso degli anni. (fonte: www.corriere.it). IL LESSICO DEL “MAL D’UFFICIO” Mobbing: da to mob: aggredire. Persecuzione protratta nel tempo sul luogo di lavoro. Modalità: dispetti sistematici a una singola persona che si ripresentano ogni settimana per almeno sei mesi. Tipologie: verticale, ovvero persecuzione da parte dei ORDINE 1 2005 superiori. Orizzontale, ovvero dispetti dei parigrado. Scopo: intralcio dal basso. Bossing: aggressione sistematica da parte dello staff dirigenziale per eliminare dipendenti non graditi. Effetti: destabilizzazione professionale del lavoratore, crollo dell’autostima, crisi nei rapporti interpersonali. Obiettivo: esclusione dal mercato del lavoro. “…Indubbiamente cattivo è colui che, abusando del proprio ruolo di potere e prestigio, commette ingiustizie e violenza a danno dei suoi simili; infi- Franco Abruzzo presidente di parola TO SI nitamente più cattivo è colui che, pur sapendo dell’ingiustizia subita da un suo simile, tacendo, acconsente a che l’ingiustizia venga commessa.” (Einstein, in A. Einstein S. Freud – Perché la guerra – Ed. Boringhieri, 1981) come testimone per confermare, forte di una carriera di 45 anni, l’uso quotidiano dello scanner per captare trasmissioni in chiaro, in tutte o quasi le redazioni italiane. Il giudice ha ritenuto di non doverlo ascoltare in aula, ma ha acquisito agli atti la sua testimonianza. Che sicuramente ha avuto un peso nel verdetto finale, data l’eccezionale autorevolezza della fonte. l presidente dei giornalisti lombardi ha avuto parole di elogio per la dottoressa Maria Cristina Sarli, appena conosciuto il dispositivo della sentenza. E ora attende il testo completo perché esso farà giurisprudenza. In altre parole questo verdetto costituisce l’unico autentico precedente in materia ed ora, semmai qualche altro giornalista dovesse finire sotto processo per le medesime ipotesi di reato, ad esso farà riferimento il giudice dell’udienza preliminare per decidere l’archiviazione o il rinvio al giudizio. Nel nostro caso il dottor De Vincenzi decise per la seconda ipotesi. In futuro, quasi certamente, qualunque Gup deciderà per la prima. Se tutta questa brutta storia non è rimasta confinata entro il perimetro provinciale – anche se Internet è uno strumento di straordinaria potenza che si dispiega ben oltre il limite angusto del territorio – lo dobbiamo al lavoro incessante del professore Francesco Abruzzo. asciamo alla scheda che pubblichiamo sotto, illustrare meglio la figura del nostro presidente. Per noi, in questi due anni, Franco è diventato soprattutto un amico. Sarà assieme a tutta la redazione – e ad altri colleghi – a festeggiare nei prossimi giorni l’assoluzione con formula piena. Qui ci basta dirgli pubblicamente: grazie Franco. Un amico, prima che presidente, di tutti i giornalisti. Un garante dell’autonomia e dell’indipendenza di chi vuole svolgere sul serio questa professione; senza piegarsi a compromessi o a convenienze. Grazie, il Tuo aiuto è stato determinante in questa lunga battaglia giudiziaria. Claudio Brambilla e tutti i giornalisti, imputati e non, della redazione di Merateonline I L Giorgio Mulè nuovo direttore di “Economy” Roma, 25 novembre 2004. Giorgio Mulè è il nuovo direttore di Economy. Lo comunica la Arnoldo Mondadori Editore. Mulè, trentasei anni, è nato a Caltanissetta e ha iniziato la sua carriera di giornalista nel 1989 come cronista di nera e giudiziaria al Giornale di Sicilia. Dal 1992 al 1998 ha lavorato a Il Giornale, dove è stato una delle firme di punta del quotidiano. Dal 1998 è a Panorama, prima come inviato, poi come caporedattore. Nel dicembre 2000 diventa vicedirettore con delega al settore attualità, per poi assumere nel gennaio dello scorso anno la carica di vicedirettore esecutivo. (ANSA) Tribunale di Messina: l’addetto stampa della Provincia è giornalista e va retribuito come tale Messina, 9 novembre 2004. Il Contratto collettivo di lavoro giornalistico si applica anche ai giornalisti addetti agli uffici stampa degli enti locali. Lo ha confermato il giudice del lavoro del Tribunale di Messina, Fabio Conti, che, con la sua sentenza chiarificatrice, ha definitivamente chiuso la vertenza aperta nel 1998 da Gino Mauro, capo dell’Ufficio stampa della Provincia di Messina, contro la stessa amministrazione provinciale peloritana. Poiché la disciplina regionale costituisce una “lex specialis” rispetto alla normativa generale, ai giornalisti in servizio negli uffici stampa spetta la piena applicazione del contratto di lavoro giornalistico. Per loro, analogamente a quanto avviene nel campo del lavoro subordinato alle dipendenze dei privati, la mansione prevale sull’inquadramento formale. Secondo il magistrato, chi opera all’interno di un ufficio stampa non si limita infatti alla mera trasmissione di notizie, ma si occupa con autonoma prestazione stabilmente inserita in una vera e propria organizzazione editoriale, dell’elaborazione, dell’analisi e della valutazione di materiale giornalistico. (da www.fnsi.it) 19(23) di Sabrina Peron, avvocato in Milano PRIVACY E GIORNALISMO I cronisti fanno eccezione 1) La nuova normativa sulla privacy Con particolare riguardo all’esercizio della professione giornalistica il testo originario della L. 675/1996 poneva anche a carico giornalisti l’obbligo di chiedere il consenso del titolare tutte le volte in cui la pubblicazione ineriva i c.d. «dati sensibili». La disciplina originaria relativa al trattamento giornalistico dei dati sensibili (in particolari quelli relativi a determinati provvedimenti a carattere giudiziario), creò diversi dubbi interpretativi, tant’è che con il successivo art. 12 del D.Lgs. n. 171/1998, modificò il testo originario, escludendo la necessità del consenso dell’interessato quando il trattamento avvenga «nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità» (art. 22, L. 675/1996). Con riguardo, invece al Codice Privacy il nuovo testo, per quanto riguarda la professione giornalistica, corrisponde sostanzialmente alla disciplina previgente, essendo semplicemente mutata la collocazione e la numerazione delle singole disposizioni, oggi inserite in un apposito titolo dedicato a «giornalismo ed espressione letteraria e artistica». Attualmente, dunque, la normativa in mate- ria di privacy prevede, per l’attività giornalistica, «regole semplificate in ordine all’informativa ed all’acquisizione del consenso, nonché altre prescrizioni volte a contemperare alcuni diritti della persona (in particolare il diritto alla riservatezza) con il diritto di cronaca e con la libertà di espressione. Ciò in riferimento alla trattazione di dati sia “comuni”, sia “sensibili” od attinenti a provvedimenti giudiziari» (così, Garante, 19.12.2001, Finegil Editoriale S.p.A., in www.garanteprivacy.it.). A quest’ultimo riguardo, il Garante ha rimarcato che la scelta di non introdurre regole rigide si è basata su due ordini di considerazioni: da una parte, «la molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca e dei soggetti che ne sono coinvolti, non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e poi diffusi nel riferire sui singoli fatti», dall’altra, una «codificazione minuziosa di regole in questo ambito risulterebbe inopportuna in un contesto nel quale sono assai differenziate le situazioni nelle quali occorre valutare nozioni generali dai confini non sempre immutati nel tempo (essenzialità dell’informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l’autonomia e la responsabilità del giornalista» (così Garante, Alcuni chiarimenti in risposta ai quesiti posti dall’Ordine nazionale dei giornalisti, in Ordine Tabloid, n. 7/8, 2004). Passando all’esame dei singoli articoli del Codice Privacy contenuti nel titolo che disciplina l’attività giornalistica, anzitutto vediamo che l’art. 136 (Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero), delimita l’applicazione delle disposizioni contenute nel titolo al trattamento: a) effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità; b) effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti; c) temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell’espressione artistica. Il successivo art. 137 (Disposizioni applicabili), al comma 2 statuisce la non necessarietà del consenso dell’interessato, quando il trattamento dei dati si svolga nell’ambito dell’esercizio della professione giornalistica; la medesima disposizione al comma successivo, precisa che in caso di diffusione o di comunicazione di dati per finalità giornalistiche, restano fermi i limiti del diritto di cronaca con particolare riferimento a quello dell’essenzialità dell’informazione, riguardo a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. L’art. 138 (Segreto professionale), fa in ogni caso salve le «norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia». L’art. 139 (Codice di deontologia relativo ad attività giornalistiche), infine, rinvia espressamente al codice deontologico per il trattamento dei dati connessi alla professione giornalistica (codice che contempla «misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale») e dispone che in caso di violazione delle disposizioni contenute nel codice il Garante ha il potere di vietare il trattamento dei dati ai sensi del successivo art. 143, comma 1, lett. c). Tale ultima norma prevede che il Garante «esaurita l’istruttoria preliminare, se il reclamo non è manifestamente infondato e sussistono i presupposti per adottare un provvedimento», può disporre il blocco del trattamento quanto questo risulti «illecito o non corretto» oppure quando, in «considerazione della natura dei dati o, comunque, delle modalità del trattamento o degli effetti che esso può determinare, vi è il concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante per uno o più interessati». L’applicazione della normativa in materia di riservatezza dei dati Occorre anzitutto premettere che il diritto alla riservatezza consiste nella tutela di situazioni e di vicende personali e familiari dalla curiosità e dalla conoscenza pubblica: si tratta dunque di situazioni che «solo quegli che le ha vissute può decidere di pubblicizzare e che ha diritto di difendere da ogni ingerenza, sia pure condotta con mezzi leciti e non implicante danno all’onore o alla reputazione o al decoro, che non trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla divulgazione» (così, Cass. civ., 23.03.2003, n. 4366). Ciò posto qualora la divulgazione di tali vicende trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla loro conoscenza, al giornalista è fatto comunque obbligo di applicare i principi etici della sua professione, raccogliendo le informazioni «senza violenza o inganno e in un quadro di trasparenza» (così, Garante, 22.07.1998, in M. Paissan, Privacy e giornalismo, Roma, 2003, p. 79), nonché tutelando la dignità della persona e rispettando la verità dei fatti senza travalicare i limiti dell’essenzialità dell’informazione riguardo a notizie di interesse pubblico, ferma restando la possibilità di trattare i «dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico» (art. 137, ult. comma, Codice Privacy - cfr. al riguardo Trib. Roma, 24.01.2002, in Dir. inf., 2002, p. 504). Sul punto la Cassazione ha giustamente rimarcato che l’attività giornalistica legittima di per sé al trattamento dei dati anche personali, ma pur sempre nei limiti posti dalle finalità della legge stessa (cfr. Cass. civ., 30.06. 2001, 8889, in Foro it., 2001, I, c. 2448). La medesima sentenza ha altresì statuito che l’attività giornalistica non può «sovrapporre la nozione di notizia a quella di dato personale», conseguentemente, in una fattispecie inerente la legittimità, o meno, della pubblicazione di notizie circa l’attività di una persona, che si avvaleva impropriamente di un nome altrui, la Suprema Corte ha ammesso la facoltà in capo all’effettivo titolare del nome di far valere nei confronti della stampa il diritto all’uso esclusivo del nome stesso. Esaminiamo di seguito come è stata interpretata la nozione di «essenzialità dell’informazione», premettendo sin da ora che la corretta applicazione di tale principio impone ai giornalisti di 20 (24) «effettuare comunque un attento vaglio sulle notizie acquisite e sulla liceità della loro raccolta, evitando di diffondere le informazioni che attengano a comportamenti strettamente personali» (Garante, 11.04.2002, in M. Paissan, cit., p. 160). Anzitutto, l’essenzialità dell’informazione va valutata in relazione all’intero contesto descrittivo per verificare la pertinenza di esso alla notizia relativa al dato sensibile. Su queste premesse, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la pubblicazione di specifiche informazioni riguardanti determinate persone le quali appaiono idonee a pervenire ad una loro identificazione, ma nulla aggiungono alla cronaca dei fatti, travalicano il limite dell’essenzialità della notizia con conseguente lesione dell’altrui riservatezza. (cfr. Trib. Milano, 21.03.2002, in Aida, 2004. In questo senso anche Garante, 14.02.2002, in M. Paissan, cit., p. 123, in una fattispecie in cui il quotidiano interessato avrebbe potuto ugualmente documentare i fatti accaduti «omettendo i riferimenti idonei ad identificare in modo diretto la persona offesa dal reato anche alla luce dello specifico contenuto ingiurioso idoneo ad ingenerare un convincimento sulla possibile esistenza di una grave malattia e su un contagio). In tal senso si è espresso anche il Garante, giudicando in contrasto con il principio di essenzialità dell’informazione la pubblicazione di alcune targhe di automobili parcheggiate irregolarmente (poiché in questo caso, la finalità di informare il pubblico poteva ugualmente perseguirsi limitandosi ad indicare il tipo di autovetture, così Garante, 11.03.2002, in M. Paissan, cit. p. 75, anzi continua il Garante osservando che questo genere di diffusione delle informazioni determina ingiustificate ingerenze nella sfera privata degli interessati, rendendo possibile l’identificazione delle persone interessate e dei loro movimenti), nonché la pubblicazione, con grande dovizia di particolari, di notizie atte ad identificare una persona malata, «i suoi congiunti e altre persone non interessate ai fatti», tale comportamento, continua il Garante, è tanto più grave quanto la pubblicazione della notizia, pur di indubbio interesse generale, non rendeva «necessario alcun riferimento allo specifico soggetto di cui si ipotizzava la malattia» (Garante, 07.02.2002, in Dir. inf., 2002, p. 513). Sempre il Tribunale di Milano, ha ritenuto che «la menzione, in una pagina di un quotidiano interamente dedicata ad un’indagine giudiziaria, dell’indirizzo privato di una persona, ove questa sia estranea a detta indagine e, in ogni caso, la diffusione del dato non risulti giustificata, nel contesto specifico, da alcuna finalità informativa essenziale, oltrepassa i limiti entro cui è ammessa la comunicazione e diffusione di dati personali nell’esercizio della professione giornalistica» (così Trib. Milano, 13.04.2000, in Foro it., 2000, I, c. 3004). In questo senso si è pronunciato anche il Garante, secondo cui l’informazione relativa «all’indirizzo del reclamante realizza un’interferenza nella sfera privata che non era giustificata ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, non risultando essenziale rispetto al fatto di interesse pubblico», ad avviso del Garante «l’ulteriore diffusione dei dati relativi al nome, all’immagine e alla professione del sig. ... può ritenersi giustificata solo quando la loro conoscenza possa risultare essenziale in ragione dell’eventuale, ulteriore, sviluppo dei fatti e de loro accertamento giudiziario» (così, Garante, 11.07.2002, in M. Paissan, p.174 e Garante, 12.10.1998, ivi, p. 72). Più in generale sulla nozione di essenzialità della notizia nell’ambito del diritto di cronaca si segnala la pronunzia della Cass., 28.08.1998, n. 8574, in Danno e resp., 1998, p. 987, secondo la quale «è configurabile un illecito civile, come tale fonte di responsabilità, in relazione di un articolo giornalistico che, pur riferendo notizie in sé esatte, sia però redatto in maniera tale da ingenerare confusione nel lettore perché, dolosamente o colposamente, le notizie essenziali alla correttezza e completezza dell’informazione, pur contenute nel testo, non sono in esso adeguatamente valorizzate, ma, al contrario, vi sono inserite in modo da risultare “assorbite” da altri contrastanti e più suggestivi elementi di informazione». Ugualmente altre Corti di merito hanno evidenziato come nell’ambito di un articolo di cronaca avente ad oggetto dei controlli automobilistici effettuati dalle forze dell’ordine non sussisteva «alcun valido motivo “giornalistico” (in ragione di essenzialità della notizia rispetto al pubblico interesse) per portare a conoscenza della collettività il ritratto di un qualunque cittadino che effettua un test relativo al suo possibile stato di ebbrezza» (così, Trib. Biella, 29.03.2003, in Guida dir., 2003, fasc. 15, p. 73, il quale ha altresì evidenziato come il semplice accorgimento di offuscare i connotati del volto del ORDINE 1 2005 Il Garante della privacy su indagini e diritto di cronaca Cautela nell’informare sulle prime fasi di indagine, anche per non identificare eventuali minori coinvolti I nomi degli indagati e degli arrestati possono essere resi noti, ma il giornalista deve valutare con cautela i giudizi sulle persone indagate nei primi passi delle indagini e la stessa necessità di divulgare subito le generalità complete di chi si trova interessato da una indagine ancora in fase iniziale. La diffusione dei nomi delle persone indagate o arrestate potrebbe mettere a rischio la stessa riservatezza di minori coinvolti nell’indagine. Questi principi sono stati riaffermati dal Garante in occasione di un caso recente, di cui hanno dato notizia alcuni giornali locali del Veneto, relativo all’arresto di un uomo sospettato di aver compiuto atti osceni in pubblico nei confronti di una minore e accusato poi, dopo una perquisizione, di detenere materiale pedo-pornografico. Il Garante richiama, ancora una volta, l’attenzione di giornalisti e forze di polizia sulla necessità di adottare ogni cautela nella diffusione di nomi e di foto di protagonisti in casi per i quali i reati sono ancora in via di accertamento preliminare e che, per giunta, vedono coinvolti minori in fatti delicati che attengono al pudore e alla vita sessuale. L’Autorità ha sottolineato come la diffusione dei nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio, pur legittima in alcuni casi se sussistono i presupposti del diritto di cronaca e non ci sono motivi di segretezza, deve essere valutata anche in ragione delle garanzie riconosciute all’indagato e all’imputato, anche allo scopo di evitare che la stessa divulgazione di nomi e dettagli possa determinare danni ai minori vittime del reato, rendendoli indirettamente identificabili. Particolare attenzione deve essere prestata nella divulgazione di informazioni da parte delle forze di polizia, chiamate a selezionare i dati da rendere pubblici, in particolare riguardo a dati personali non indispensabili, come ad esempio il luogo di residenza dei minori, l’indirizzo dove sarebbe avvenuta la presunta violenza, la foto dell’interessato. (NEWSLETTER 8-14 NOVEMBRE 2004) 2) Il codice deontologico L’adozione del Codice deontologico dei giornalisti venne perfezionata dopo una fase di confronto, talvolta polemico, tra il Garante e gli organi rappresentativi della categoria professionale, il dibattito sul Codice, durato mesi, coinvolse anche l’opinione pubblica investita della polemica innescata da alcune parti del mondo giornalistico che paventavano il verificarsi di censure e limitazioni alla libertà di espressione. La prima versione del Codice licenziata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti nel dicembre 1997 venne respinta dal Garante. Nella primavera successiva dopo la modifica della legge 675/1996 con riguardo all’attività giornalistica, venne approntata una seconda versione del testo approvata dal Garante, salvo piccole osservazioni. La versione definitiva venne infine pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1998 ed il codice entrò in vigore il 15° giorno successivo alla suddetta pubblicazione. Con riguardo al valore normativo Codice deontologico, al momento della vigenza della L. 675/1996 veniva qualificato quale fonte secondaria dell’ordinamento, attualmente, invece, quale Allegato A del Codice Privacy si ritiene che il Codice deontologico abbia «sostanzialmente il rango di una norma primaria» (così F. Abruzzo, Relazione al C.S.M. su cronaca, giustizia e privacy, in www.odg.mi.it). Venendo più in dettaglio al contenuto del Codice, vediamo che anzitutto viene stabilito che la «divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto. Nonché della qualificazione dei protagonisti» (art. 6). Inoltre, il giornalista, nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, è tenuto al rispetto dei diritti della persona, senza operare discriminazioni di razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali (art. 9). Mentre nella raccolta di dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche, opinioni politiche, adesioni a partiti sindacati, associazioni o organizzazioni di carattere religioso nonché atte a rilevare le condizioni di salute e la sfera sessuale, il giornalista è tenuto a garantire Una massima di grande rilievo per i cronisti Tribunale di Mantova: vietato pubblicare dati delicati su chi è vittima di una rapina. Società editrice condannata La diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica costituisce trattamento ai sensi della l. 675/96 ed è subordinata al consenso da parte dell’interessato. Il consenso non è però necessario quando il trattamento è effettuato nell’esercizio della suddetta professione e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di deontologia di cui all’art. 25, norma che ribadisce la non necessità del consenso purché il trattamento dei dati sia contenuto nei limiti del diritto di cronaca ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Nel caso di specie, si è ritenuto che la divulgazione a mezzo stampa delle generalità del soggetto rapinato, della sua età e della città di residenza, avuto riguardo al tipo di attività esercitata (agente di commercio di preziosi), pure effettuata nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca, abbia ecceduto i limiti di quest’ultimo nel senso che la diffusione dei dati in questione (obiettivamente idonea a mettere in pericolo l’incolumità dell’attore) non era giustificata da alcuna finalità informativa essenziale (Tribunale di Mantova, Sez. II – Giudice unico Dott. Mauro Bernardi – Sentenza del 13 maggio 2004). Il Tribunale di Mantova ha condannato la società editrice del giornale a pagare alla vittima della rapina, a titolo di risarcimento dei danni patiti, la somma di euro 9.000,00 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo. Il Tribunale, inoltre, ha condannato la società editrice a rifondere all’attore (il rapinato, ndr) le spese di lite liquidandole in complessivi euro 2.818,38 di cui 211,64 euro per spese, 996,74 euro per diritti ed 1.610,00 euro per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad Iva e Cpa come per legge. il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti (art. 5). Ai sensi dell’art. 8, i giornalisti non devono pubblicare notizie o immagini fotografiche di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona, né possono soffermarsi su dettagli di violenza, fatta salva la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine. Il richiamo al rispetto della dignità e della riservatezza è particolarmente pregnante nel caso di persone malate, in relazione alle quali vige il divieto di pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico. Contro l’uso scorretto di tecniche invasive, il codice deontologico, tutela non solo il domicilio e gli altri luoghi di privata dimora, ma anche i luoghi di cura, di detenzione o di riabilitazione (art. 3). In ogni caso il giornalista che raccoglie le notizie è tenuto a rendere note la «propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa» (art. 2), inoltre, egli deve evitare artifici e pressioni indebite e una volta fatta pale- se la sua attività, non è tenuto a fornire altri elementi dell’informativa dettagliata cui sono invece tenuti tutti gli altri soggetti che trattino dati personali (art. 2). Le imprese editoriali sono inoltre tenute a rendere noti al pubblico, mediante annunci (da effettuarsi due volte all’anno) l’esistenza di banche dati di uso redazionale, nonché il luogo dove ai soggetti interessati è possibile accedere per esercitare i diritti di cui all’art. 7 Codice Privacy. Al riguardo si ricorda che sensi dell’art. 7 Codice Privacy, l’interessato ha diritto ad ottenere la conferma dell’esistenza o meno dei dati personali che lo riguardano. Egli inoltre ha diritto ad ottenere l’indicazione: a) dell’origine dei dati personali; b) delle finalità e delle modalità del trattamento; c) della logica applicata nel caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza Infine l’editore deve indicare tra i dati della gerenza il responsabile del trattamento, al quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i loro diritti. personali nelle decisioni del Garante e dell’autorità giudiziaria soggetto interessato «avrebbe senz’altro contemperato in modo proporzionato le esigenze sottese dagli interessi in gioco, consentendo la legittima diffusione della notizia senza ledere illecitamente il diritto alla riservatezza»). In definitiva, dalle prime pronunzie emesse dalle Corti di merito, parrebbe che il requisito dell’essenzialità della notizia debba aggiungersi agli altri parametri di valutazione di liceità dell’informazione diffusa tramite mass-media (ossia, verità, continenza ed interesse pubblico). In questo senso è esplicito il Giudice ambrosiano per il quale il «legittimo esercizio del diritto di cronaca (...) non è riscontrato quando, pur ricorrendo i presupposti di verità, continenza ed interesse pubblico, è travalicato il limite della essenzialità della notizia» (così Trib. Milano, sez. civ., 20.09.2002, n. 10963, inedita: in questa fattispecie, ad avviso del Tribunale la pubblicazione di dati identificativi non essenziali (ossia, indicazione del nome di battesimo seguito dall’iniziale del cognome di un minore, l’indirizzo completo, l’indicazione della scuola, della classe e della sezione, il nome di battesimo del padre e la sua regione di origine, la professione dei genitori) non era strettamente funzionale con la notizia da riferire che avrebbe mantenuto la sua pregnanza anche se tali dati fossero stati omessi). Con riguardo al rapporto esistente tra «interesse pubblico» ed «essenzialità» dell’informazione, ad avviso del Garante la diffusione di un dato può ritenersi necessaria solo quando «la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono coinvolti» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Qualora, invece, non vi sia tale necessità o vi siano specifiche limitazioni di legge alla divulgazioni di informazioni connesse a determinati fatti di cronaca, il giornalista può comunque riferirli prelidigendo soluzioni che tutelino la riservatezza degli interessati (ad esempio utilizzando delle iniziali o nomi di fantasia) e tenendo comunque presente che la «semplice omissione delle generalità delle persone non basta di per sé ad escludere l’identificazione delle medesime» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.), poiché la stessa può avveniORDINE 1 2005 re dalla combinazione di più informazioni concernenti la persona, quali l’età, la professione, il luogo di lavoro, l’indirizzo dell’abitazione ecc. (ad esempio, in un caso sottoposto all’esame del Garante lo stesso ha osservato come malgrado la mancata individuazione nominativa del soggetto coinvolto, lo stesso appariva comunque riconoscibile - sia all’interno della cerchia familiare e amicale che rispetto ad altri soggetti rientranti nelle ordinarie frequentazioni della vita sociale – a causa delle numerosissime e dettagliate informazioni riferite, alcune delle quali erano peraltro sovrabbondanti e non indispensabili per rappresentare compiutamente la vicenda – cfr. Garante, 10.03.2004, in www.garanteprivacy.it.). invece collegate ai protagonisti dei fatti narrati, ad esempio, solo in ragione di precedenti relazioni sentimentali e convivenze avute con le stesse, ovvero in virtù di mere circostanze di fatto» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Un particolare rigore nel valutare l’essenzialità dell’informazione viene inoltre richiesto con riferimento ai nomi delle vittime di un reato: in questo caso al giornalista viene richiesto di valutare il «tipo di conseguenze subite dalla vittima, il decorso del tempo, la volontà eventualmente espressa dalla stessa nonché i possibili rischi per la vittima medesima» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Ciò significa conferire una maggiore prevalenza al diritto alla riservatezza della vittima tutte le volte in cui: a) l’episodio di cui l’interessato è stato vittima ha provocato conseguenze di carattere permanente sulla sua salute fisica e/o psicologica; b) vengono riesumati episodi di cronaca verificatisi ad una certa distanza di tempo (ciò al fine di evitare che la sofferenza patita dall’interessato si aggiunga a quella di essere nuovamente sottoposta alla pubblica attenzione); c) la vittima ha manifestato la sua contrarietà a che siano resi pubblici i propri dati personali; d) vi sia la possibilità che la diffusione della notizia possa comportare rischi per la vittima in relazione alla possibile ripetizione del reato nei suoi confronti (cfr. Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Quanto alle persone note o che esercitano funzioni pubbliche, anche la loro sfera privata deve essere rispettata, se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica (difatti, la notorietà di un personaggio non comporta un affievolimento della tutela della privacy, riconosciuta anche ai suoi familiari – cfr. Garante, 28.05.2001, in Foro it., 2003, III, c. 718) e, salva l’essenzialità dell’informazione, non vanno fornite notizie o pubblicate immagini di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, lesive della dignità della persona. Parimenti, salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non può riprendere né produrre immagini di persone in stato di detenzione senza il loro consenso; in ogni caso tali persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi. Tale ultimo divieto è stato recentemente ribadito dal Garante il quale, in relazione a sei diversi servizi di cronaca apparsi in diverse testate giornalistiche nei quali si riproducevano immagini di persone arrestate in manette, sul presupposto che la dignità delle persone è tutelata dalla legge sulla riservatezza dei dati personali, anche in relazione «ai trattamenti di dati personali per scopi di prevenzione, accertamento o repressioni di reati», ha stabilito che la pubblicazione e la diffusione di dette immagini è «consentita solo se ricorrono comprovati fini di giustizia e di polizia o rilevanti motivi di interesse pubblico» mentre «in tutti gli altri casi la loro diffusione è vietata» (così, Garante, 19.03.2003, in Guida dir., 2003, fasc. 17, p. 108). Con riguardo invece ai nomi di familiari e conoscenti di persone interessate da vicende giudiziarie, il giornalista potrà rendere noti solo i «dati relativi a persone che risultano direttamente coinvolte in tali vicende, astenendosi invece dal diffondere i nomi ed altre informazioni che riguardino persone che non risultano coinvolte nelle indagini e che appaiono Anche le foto segnaletiche esposte nel corso di una conferenza stampa tenuta dalla forze dell’ordine, o comunque lecitamente acquisite, possono essere diffuse solo per il perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (ossia per l’accertamento, la prevenzione e la repressione di reati) ed in ogni caso rispettando la 21 (25) Esposto di Franco Abruzzo al Csm in difesa de PER SAPERNE DI PIU’ ABRUZZO F., Relazione al C.S.M. su cronaca, giustizia e privacy, in www.odg.mi.it BUSIA G., Diritto di cronaca, interesse pubblico e privacy: nuovi equilibri sul codice dei giornalisti, in Guida al dir., 1998, fasc. 31, p.110 CORRIAS-LUCENTE G., Dato o notizia? La tutela della riservatezza e il diritto di cronaca, in Dir. inf., 1999, p. 103, GAGLIARDI G., Attività giornalistica, violazione della dignità della persona e “blocco” del trattamento dei dati personali, in Dir. inf., 2002, p. 513, GARANTE per la protezione dei dati personali, Alcuni chiarimenti in risposta ai quesiti posti dall’Ordine nazionale dei giornalisti, in Ordine Tabloid, n. 7/8, 2004 GIANCOTTI E., Diritto di cronaca e tutela della privacy: i primi provvedimenti del garante, in Danno e resp., 1998, p. 626 GRANIERI G., Sulla c.d. tutela giurisdizionale dei diritti di fronte alle autorità amministrative indipendenti. Il caso del Garante dei dati personali, in Foro it., 2000, I, c. 649 GRANIERI M., Brevi note (para)giurisdizionali sulla giurisprudenza «Olcese», in Foro it., 2001, I, c. 2448, NICODEMO S., Il codice di “deontologia giornalistica”: una fonte atipica?, in Dir. inf., 2000, p. 85 ss. PAISSAN M, Privacy e giornalismo, Roma, 2003 PALMIERI A – PARDOLESI R., Protezione dei dati personali e diritto di cronaca: verso un nuovo ordine?, in Foro it., 2000, I, c. 649 PALMIERI A – PARDOLESI R., Protezione dei dati personali in Cassazione: eugenetica dei diritti della personalità?, in Foro it., 2001, I, c. 2448 PERON S., Rassegna di giurisprudenza in materia di privacy (anche alla luce del codice della privacy che entrerà in vigore il 1º gennaio 2004), in Resp. civ., 2003, p. 999. PERRINO A.M., Diritto alla protezione dei dati personali ed essenzialità della notizia: tra codice deontologico e codice della privacy, in Foro it., 2003, III, c. 718 RIVIEZZO C., In tema di trattamento illecito di dati personali ed attività giornalistica, in Giur. merito, 2001, p. 126 VOTANO G., Un sorriso per la stampa: quando il privato diventa politico, in Dir. inf., 2002, p. 504 tiva a m r o N vacy i r p a l l su lismo a n r o i g e dignità della persona (Cfr. Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). In ogni caso, con particolare riguardo a fattispecie inerenti la cronaca giudiziaria, anche quando la vicenda riveste un particolare interesse pubblico, gli operatori dell’informazione sono comunque tenuti ad alcune cautele riguardanti il rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti nella vicenda, ad esempio evidenziando «correttamente lo stato iniziale dell’inchiesta e la posizione processuale del soggetto indagato riguardo ad essa. Ciò al fine di evitare che detta posizione possa essere confusa, agli occhi dell’opinione pubblica, con quella di un soggetto già imputato o addirittura condannato» (così, Garante, 19.02.2002, in Foro it., 2003, III, c. 718). Altresì al giornalista è fatto obbligo di «valutare se sia opportuno rendere note le generalità di chi si trova interessato da un’indagine ancora in una fase assolutamente iniziale e modulare il giudizio sull’entità dell’addebito» (Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Si noti comunque, che la diffusione di una notizia relativa ad una sentenza di condanna o all’avvenuta presentazione di una richiesta di rinvio a giudizio è liberamente pubblicabile (fermo restando il rispetto dei presupposti della verità e della continenza); non così, invece, nel caso di atti coperti da segreto istruttorio (cfr. Garante, 21.10.1998, in M. Paissan, cit., p. 140; Garante, 30.10.2001 e Garante, 21.11.2001, ivi, p. 146 ss.; Garante, 14.10.1997, Garante, 18.11.1998, Garante, 25.10.2001, ivi, p. 131 ss). A quest’ultimo riguardo il Garante si è pronunciato soprattutto con riferimento alla pubblicazione di informazioni desunte da intercettazioni telefoniche, in relazione alle quali è stato rimarcato che «l’eventuale segreto professionale sulla fonte della notizia non fa venir meno il dovere del giornalista di acquisire lecitamente i documenti relativi alle trascrizioni delle intercettazioni e di utilizzarli tenendo conto del principio della pertinenza rispetto alle finalità perseguite» (così, Garante, 16.10.1997, in M. Paissan, cit., p. 156). Quanto alla pubblicazione di notizie attinenti allo stato di salute e/o alle abitudini sessuali di una determinata persona, anzitutto il principio dell’essenzialità dell’informazione deve essere tenuto presente anche alla luce della necessità di tutelare la dignità della persona in specie per quanto riguarda informazioni relative a malattie particolarmente gravi (cfr. Trib. Pescara, 5.10.2000, in Giur. merito, 2001, p. 126 e Garante, 14.02.2002, in M. Paissan, cit., p. 123): in questi casi vanno raccolte e trattate le sole informazioni di carattere personale la cui utilizzazione sia realmente giustificata dagli scopi perseguiti, selezionando i dati effettivamente pertinenti ed escludendo i dati, le informazioni e le notizie il cui impiego ecceda quanto necessario per perseguire gli scopi informativi (cfr. Garante, 13.04.1999, in M. Paissan, cit., p. 166, secondo cui questa attenzione deve essere più accurata quando si trattano informazioni per e le quali l’ordinamento prevede un particolare regime di tutela, quali appunto quelle relative all’infezione da Hiv, la cui «ingiustificata circolazione può arrecare grave pregiudizio per la vita privata e la dignità personale degli interessati ed essere fonte di discriminazioni». Si noti, tuttavia, che per dati attinenti la «vita sessuale» devono intendersi quei «dati che consentano di ricostruire particolari abitudini o patologie che attengono alla sfera intima dei comportamenti sessuali dell’individuo; ne esorbita, pertanto, la ricostruzione giornalistica di un episodio di violenza sessuale ai danni della denunciante» (così, Proc. Rep. Roma, 10.10.1998, in Dir. inf., 1999, p. 88). Sempre sull’argomento la Suprema Corte ha osservato come l’idoneità psichica di un soggetto, sebbene possa rappresentare legittimo tema di discussione nell’ambito di una controversia giudiziaria, «non può essere assunto come oggetto di dibattito sulla stampa d’informazione per l’esigen- 22 (26) za fondamentale di tutelare la riservatezza di dati ed informazioni, attinenti alla salute ed alla sfera sessuale dei singoli, che rientrano nell’ambito della tutela prevista per i dati sensibili» (così, Cass. Pen., 18.02.2002, Guttieres, in Ced Cass., rv. 221684: in questa fattispecie la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito secondo cui il giornalista aveva travalicato i limiti del diritto di critica nel riferire - criticandolo un caso giudiziario di affidamento del figlio alla madre, affermando che, secondo gli psichiatri interpellati nel corso del giudizio, la donna era «una border-line che ha fatto i soldi con la perversione sessuale, una instabile e narcisista», altresì la Corte ha ricordato che l’esercizio del diritto critica per assumere rilievo scriminante nei confronti di un’offesa «deve essere esercitato nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, sicché restano ugualmente punibili le espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti»). In ogni caso, il giornalista che raccoglie dati personali presso una struttura sanitaria deve non solo informare le persone interessate nei modi previsti dall’art. 2 del Codice deontologico, ma deve altresì «prescegliere opportune modalità che, in considerazione del particolare contesto sanitario, permettano ai malati interessati di comprendere appieno le finalità della raccolta delle informazioni e la loro destinazione ad un’ampia diffusione che può renderli riconoscibili» (così, Garante, 20.06.2001, in M. Paissan, cit., p. 118, inoltre cautele analoghe vanno adottate anche se l’inchiesta giornalistica viene realizzata con la collaborazione della struttura sanitaria, che oltre ad autorizzare l’ingresso dei giornalisti nella struttura medesima, si adoperi per informare gli interessati e per raccogliere il loro consenso: «anche in questo caso, il consenso scritto e informato non può essere considerato come un adempimento meramente formale, dovendo essere basato su un’idonea informativa, tenendo conto delle condizioni psicofisiche degli interessati e della loro concreta capacità di esprimere una manifestazione di volontà realmente consapevole degli effetti derivanti dalla diffusione dei dati e elle immagini che li riguardano»). Per quanto concerne l’accesso alle informazioni detenute dalla Pubbliche amministrazioni, va detto che il Codice privacy non ha restrittivamente inciso sulla normativa posta a salvaguardia della trasparenza amministrativa e, pertanto, il giornalista potrà chiedere di acquisire le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, quali, in via esemplificativa: l’ammontare dei dati reddituali dei contribuenti; le situazioni patrimoniali di coloro che ricoprono determinate cariche pubbliche o di rilievo pubblico; le classi stipendiali, le indennità e gli altri emolumenti di carattere generale corrisposti da concessionari pubblici; pubblicazioni matrimoniali affisse all’albo comunale; i dati contenuti negli albi professionali e nelle deliberazioni degli enti locali; la situazione patrimoniale delle società e, più in generale, i dati pubblici presso le camere di commercio (cfr. Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Una volta raccolto il dato presso la Pubblica amministrazione, rimane poi affidata alla responsabilità del giornalista la sua lecita utilizzazione e quindi la sua «diffusione secondo i parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Da ultimo, va evidenziato come il Codice Privacy dedichi il titolo XII (artt. 136-139) al trattamento dei dati effettuato nell’esercizio della professione di giornalista o da pubblicisti per finalità anche temporanee di pubblicazione o diffusione occasionale di articoli ed altre manifestazione di pensiero. Sul punto si segnala che «anche il fotografo che realizza riproduzioni e ingrandimenti da originali fotografici viola la legge sulla privacy se al momento di effettuare gli scatti non dichiara la propria identità e l’effettivo utilizzo delle immagini» (così Garante, 08.05.2000, in M. Paissan, cit., p. 236.) Sabrina Peron Il “Testo unico di trattare i dati Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (= notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal Codice di deontologia della privacy del 1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993. Questo il testo dell’esposto di Franco Abruzzo al Csm (nonché al Garante della privacy e alla Corte d’Appello di Milano): Oggetto: diritto di cronaca, articolo 21 della Costituzione, Dlgs n. 196/2003 (articoli 136, 137, 138 e 139) e Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. Richiesta al Csm di intervento sul presidente del Tribunale di Vigevano affinché si adegui alle disposizioni del Testo unico sulla privacy. 1. Premessa Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero. Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy), pubblicato il 3 agosto 1998 nella Gazzetta Ufficiale, è diventato “efficace” quindici giorni dopo. Oggi è l’Allegato A del Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139). “Il Codice - ha già scritto il professor Stefano Rodotà, presidente dell’Ufficio del Garante - è una norma dell’ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che esercitino funzioni informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai diversi organi pubblici ed ovviamente anche dall’Ordine per quanto riguarda le sanzioni disciplinari applicabili ai soli iscritti”. ORDINE 1 2005 del diritto di cronaca (giudiziaria) contro le interpretazioni sbagliate del Tribunale di Vigevano I giudici delle violazioni sono soltanto i Consigli dell’Ordine dei Giornalisti Privacy e delitto di Manfredonia: “Occorre informare, ma con sobrietà” Il Garante (composto da Stefano Rodotà, Giuseppe Santaniello, Gaetano Rasi, Mauro Paissan) interviene sul caso della ragazza uccisa a Manfredonia e invita quanti operano nel mondo dell’informazione al rispetto dei diritti e della dignità delle vittime di questo tipo di reati. I giornalisti devono valutare, con la massima attenzione e responsabilità, la effettiva necessità di riferire dettagli e particolari non essenziali ai fini di una corretta informazione sulla vicenda. Anche tenendo presenti le disposizioni penali che tutelano la riservatezza delle vittime di violenza sessuale. È doveroso evitare la spettacolarizzazione di fatti di cronaca gravissimi, specie nel caso risultino eventualmente coinvolti altri minori. La sobrietà nelle cronache non ostacola il giusto dovere di informare su fatti che colpiscono l’opinione pubblica. (Comunicato del Garante 17 novembre 2004) della privacy” dà piena libertà ai giornalisti giudiziari (secondo le regole deontologiche) L’articolo 13 del Codice precisa che le norme si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti “e a chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica”. Tutti coloro che si avvalgono del diritto di manifestazione del pensiero (articolo 21 della Costituzione e articolo 10 della legge n. 848/1955 sulla “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”), quindi anche i non-giornalisti, sono tenuti a rispettare le “regole” del Codice. Non a caso, quindi, il Codice deontologico è “relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (e non della “professione giornalistica” come ha chiesto in un primo tempo il Consiglio nazionale dell’Ordine). Le sanzioni disciplinari (avvertimento, censura, sospensione e radiazione dall’Albo), previste dalla legge sulla professione giornalistica n. 69/1963, “si applicano solo ai soggetti iscritti all’albo dei giornalisti, negli elenchi o nel Registro (dei praticanti)”. Le violazioni in sostanza sono sanzionate, per quanto riguarda i giornalisti, soltanto in via disciplinare. L’articolo 12 del Codice tratta la “Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali” (Al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24 della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 686, commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all’articolo 5: i giornalisti possono raccontare quello che risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di ogni persona: sentenze di condanna, ordini di carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti definitivi che riguardano l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca vince in maniera ampia. Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (= notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal Codice di deontologia della privacy del 1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993. Il trattamento dei dati – dice ancora l’articolo 137 - è effettuato anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’articolo 136 (trattamenti effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) “restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”. Il Testo unico sulla privacy, comunque, non annulla la legge n. 633/1941 sul diritto d’autore. L’articolo 97 di questa legge afferma: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto di tale norma si suole articolare l’ampiezza del diritto di cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Nel concetto di pubblicazione lecita è compresa anche la fotografia di persone che godano di notorietà o che ricoprano uffici pubblici. Il giudice può autorizzare la pubblicazione della foto di un minore sequestrato o scomparso: in questi casi prevale “la necessità di giustizia o di polizia”. ORDINE 1 2005 2. Pubblicità delle sentenze e comportamenti dei giudici del Tribunale di Vigevano 3. La risposta del presidente del Tribunale di Vigevano: Giornalisti di Vigevano hanno segnalato a quest’Ufficio quanto segue. Il 24 settembre 2004 un cronista del giornale locale, come d’abitudine, ha seguito l’udienza del Gup. Ha potuto normalmente visionare tutte le sentenze emesse (sei), mentre in un caso gli è stato opposto un netto rifiuto. L’imputato aveva formulato un’istanza - di cui il cronista ha potuto prendere rapidamente visione - in cui negava il consenso al trattamento dei suoi dati personali «ai sensi dell’articolo 52 del Dlgs n. 196/2003». Sotto l’istanza, tre righe in tutto, c’era il visto del Gup. È il caso di osservare che: a) l’articolo 52, su richiesta dell’interessato “per motivi legittimi”, consente alla cancelleria di “apporre un’annotazione volta a precludere” l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi «in caso di riproduzione della sentenza, o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica». Nell’istanza, invece, non era indicata alcuna motivazione da parte dell’interessato; b) nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell’articolo 52 la cancelleria o segreteria appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione: «In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di.....». c) secondo il settimo comma dello stesso articolo, “Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”. Ciò che è accaduto è di rilevante gravità soprattutto sotto il profilo della violazione sostanziale degli articoli 3 e 21(I e II comma) della Costituzione; 2 (primo comma) della legge professionale dei giornalisti n. 69/1963; 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (secondo le interpretazioni delle sentenze Goodwin e Roemen della Corte di Strasburgo); 137 del Dlgs n. 196/2003 (ai trattamenti giornalistici, infatti, non si applicano le disposizioni del Testo unico relative alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari). I cittadini di Vigevano hanno il diritto di ricevere le notizie giudiziarie (art. 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo). Ai giornalisti non può essere impedito di esercitare, senza censure (e nel rigoroso rispetto delle regole deontologjche della professione), il loro ruolo costituzionale (art. 21, II comma, della C.) di mediatori intellettuali tra i fatti e il pubblico. “Esiste un interesse generale alla informazione - indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione - e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee” (Corte costituzionale, sentenza 15 giugno 1972 n. 105). “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e questo diritto comprenda la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità” afferma l’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (recepita nella legge 4 agosto 1955 n. 848). L’articolo 10 della Convenzione, mutuato dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato ampliato successivamente dall’articolo 19 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici (legge dello Stato italiano 25 ottobre 1977 n. 881) il quale stabilisce: “....Ogni individuo ha il diritto della libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta”. È di importanza strategica per una società democratica il nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale (tra le tante la sentenza n. 112/1993) sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. “L’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza preliminare dott. Paolo Fabrizi deve intendersi legittima e corretta”. Il dott. Domenico Attimonelli, in data 4 novembre 2004 (prot. n. 822), ha così risposto alle osservazioni esposte nella lettera 1 novembre 2004 (relative al punto 2 di questo documento): “In riferimento alla Vostra lettera di cui in oggetto si rappresenta quanto segue: • Ai sensi di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 30/6/2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) per “trattamento dei dati personali “ deve intendersi, anche, la consultazione dei medesimi; • Ai sensi ed agli effetti di cui all’articolo 23 del decreto legislativo n. 196/2003 il trattamento dei dati personali (e,quindi, anche la consultazione) “ è ammesso solo con il consenso dell’interessato “; • Per Sua espressa ammissione tale consenso è stato negato, per iscritto, dall’imputato che ha fatto riferimento all’espressa previsione legislativa di tutela della sua propria dignità; • Peraltro, ai sensi di cui agli articoli 18, comma 2 e 22, primo e terzo comma, il “trattamento dei dati personali” da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali attenendosi a modalità “ nel trattamento di dati sensibili e giudiziari “ idonee a prevenire violazioni di diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato. In ragione di quanto sopra l’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza preliminare dott. Paolo Fabrizi deve intendersi legittima e corretta anche, soprattutto, sotto il profilo di salvaguardia dei diritti che la vigente normativa riconosce ai soggetti i cui dati personali, sensibili e giudiziari possono essere oggetto di trattamento”. 4. L’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza preliminare non deve, invece, intendersi legittima e corretta: gli errori del presidente del Tribunale di Vigevano, che ignora l’articolo 21 (II comma) della Costituzione, l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003 e il Codice di deontologia sulla privacy. Il commento alla lettera del dott. Attimonelli è breve quanto secco: l’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza preliminare non deve, invece, intendersi legittima e corretta. Il presidente Attimonelli ha dimostrato di non conoscere l’articolo 21 (II comma) della Costituzione, l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003 e il Codice di deontologia sulla privacy. I giornalisti non devono chiedere autorizzazioni per trattare i dati inseriti nelle sentenze. Sugli stessi grava soltanto l’obbligo di salvaguardare la dignità dei cittadini ammalati o protagonisti di vicende sessuali, la dignità dei minori o dei soggetti deboli. In questi casi la riservatezza, valore costituzionale, vince sul diritto di cronaca. Tutto ciò premesso, si chiede all’on.le Csm di richiamare il dott. Domenico Attimonelli al rispetto dell’articolo 21 (II comma) della Costituzione, dell’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003 e del Codice di deontologia sulla privacy (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1998). Il presidente dell’OgL-estensore prof. Francesco Abruzzo 23 (27) M E M O R I A Arnaldo Fraccaroli di Patrizia Pedrazzini “Io non c’ero. Ma mi hanno detto che i funerali di Arnaldo Fraccaroli sono stati un’apoteosi. A grappoli vennero per scortarne la bara, spontaneamente, fino al Cimitero, uomini e donne di tutti i ceti e condizioni. Dalle portinerie, dalle botteghe di barbiere, dai tassì, dai conventi, dalle scuole, dagli ospedali, dagli ospizi, dai negozi, dagli uffici uscì e si compose in corteo quel ‘pubblico’ che noialtri giornalisti non conosciamo, ma per il quale scriviamo: quello che ci legge in tram o dietro il banco, quello che si appassiona all’avvenimento e aspetta l’articolo e lo discute. Se l’occasione si prestasse al motto di spirito, diremmo che Fraccaroli è stato, anche da morto, lo scrittore più ‘seguito’ di questi ultimi tempi. Certo, per queste cose ci vuole Milano, unica fra tutte le città d’Italia in cui un uomo possa guadagnarsi la popolarità senza sentirla condita di livore, gelosia e invidia”. Così scriveva, nell’ormai lontano 1956, Indro Montanelli, in un appassionato ricordo del grande giornalista – e collega al Corriere della Sera, cui aveva dato mezzo secolo di lavoro – morto pochi giorni prima, il 16 giugno, a Milano, al termine di una lunga malattia. Personaggio poliedrico da studiare “a rate” Grande giornalista, Fraccaroli. Ma non solo. Anche, come scriveva il poeta dialettale veronese Fragiocondo, “combattente, corrispondente di guerra, inviato speciale, viaggiatore, romanziere, commediografo, umorista, filosofo, conferenziere, artista, poeta: bisognerebbe studiarlo ‘a rate’ per impossessarsene compiutamente”. Era nato il 26 aprile 1882 a Villa Bartolomea, paese della Bassa Veronese adagiato sotto l’argine dell’Adige, vicino a Legnago. Terra di nebbie, e di facili malinconie. Ma anche terra nella quale discende, giù dal Monte Baldo, Giornalismo e teatro. Le due grandi passioni di Arnaldo Fraccaroli nacquero insieme, e insieme crebbero nel corso degli anni. Con la recensione di uno spettacolo al Teatro Comunale di Lonigo il futuro inviato del Corriere esordì, a soli 12 anni, sulle colonne de L’Arena. Con l’allora critico teatrale del quotidiano veronese, Renato Simoni, il ragazzino della Bassa strinse (sono parole sue) “un’amicizia profonda, una di quelle amicizie salde e piene che danno gioia alla vita”. D’altra parte, non era ancora adolescente che, nei lunghi pomeriggi d’inverno, amava improvvisare, in casa, spettacoli di burattini per i compagni di scuola (ma di lì a poco, ricorda Gustavo Adolfo Carlotto, si sarebbe “allargato” predisponendo, nel ripostiglio a fianco della cucina, “un palcoscenico elevato” e “un certo numero di sedie: primi posti; ed i secondi posti in piedi; i primi a 15 centesimi, i secondi a 10”). La sua prima commedia si chiamava Folletto e gli venne pubblicata, a Lonigo, nel 1899. Cinque anni più tardi, la prima rappresenta- Il precoce amore per il teatro zione di El sistema più belo, in dialetto. In tutto ne scrisse 28, fra le quali Ostrega, che sbrego!, in veneto; La dolce vita, la prima ad andare in scena, il 4 dicembre 1912, a Milano, al Teatro Manzoni, con la Compagnia Talli-Melato-Giovannini; la rivista Straccinaria (1924), scritta con Renato Simoni; Peccato biondo, che esordì, sempre nel capoluogo lombardo, il 16 novembre 1928 al Teatro Filodrammatici con la Compagnia Falconi-Merlini. Fino alle ultime: la nota Siamo tutti milanesi che, portata sulla scena del Teatro Olimpia (era in Largo Cairoli) il 20 settembre del ‘52 dalla Compagnia Besozzi, tenne cartellone per 282 repliche (ma in tutt’Italia venne rappresentata quasi 600 volte in tre anni); e, ancora in milanese, Questa gabbia di matti, del 1953. Una passione che si estese anche alla lirica, in virtù soprattutto dell’amicizia con Giacomo Puccini, del quale Fraccaroli scrisse tre biografie (l’ultima pubblicata postuma): il creatore di Turandot voleva essere intervistato solo da lui. “Fraka”: un giornalista sulle strade del mondo oltre Verona, lungo le anse verdi del fiume, quell’aria fresca e frizzante che dicono trasmetta quella nota di allegria, quel pizzico di dolce follia che pervade le genti di qui. Che dipinge un enigmatico sorriso, compiaciuto e canzonatorio, persino sul volto di Cangrande della Scala, unica statua equestre (è in Castelvecchio, a Verona) a rappresentare un condottiero sorridente. E che qui fa sempre, prima o poi, tornare chi da questa terra si sia, nell’avventura della vita, allontanato. Arnaldo Fraccaroli, “Fraka” per i lettori, “caro uomo elegante, di finezza aristocratica – sono sempre parole di Fragiocondo –, che quando ritorna alla sua città, si leva il cappello, e fa un profondo inchino alla grazia di Madonna Verona”, l’aria del Monte Baldo deve averla respirata profondamente. venne l’invito a farsi conoscere di persona. “Così, un giorno di vacanza, intrapresi arditamente in bicicletta l’avventuroso viaggio da Lonigo a Verona: chilometri trenta. Cominciavo in tal modo la mia carriera di viaggiatore per gli itinerari del mondo”. Lo accolse “un bel giovinottone alto, florido, gagliardo”, che lo squadrò con occhi sorpresi e disse: “Avevo capito che si trattava di un giovinotto, ma mi trovo addirittura dinanzi a un ragazzetto!”. Fu l’inizio della grande, solida, profonda amicizia che per tutta la vita legherà Arnaldo Fraccaroli a Renato Simoni, allora redattore e critico teatrale a L’Arena (quindi critico drammatico del Corriere). Sarà lui, nel 1909, a segnalarlo al direttore del quotidiano milanese Luigi Albertini. Nel maggiore giornale italiano Fraccaroli entrò il 16 maggio, per non allontanarsene più. La sua prosa semplice, pungente e spiritosa, non tardò ad aprirsi un varco nelle austere stanze di via Solferino: piacque al direttore, piacque soprattutto ai lettori. L’esordio a dodici anni corrispondente dell’Arena Giornalista schietto, arguto e colorito, scrisse uno sterminato numero di articoli, che furono da lui stesso ripubblicati in decine e decine di volumi, tutti intrisi di quel personalissimo umorismo, di quella sorta di inconfondibile “leggerezza” per cui, scriveva il giornalista veronese Giuseppe Silvestri, “bastavano, e bastano, poche righe perché si dica senza paura di sbagliare: ecco Fraccaroli; questa è roba di Fraccaroli¸ questo è il ‘fare’ di Fraccaroli”. Al giornalismo si era avvicinato che aveva solo 12 anni. Dopo la grande rotta dell’Adige, seguita, nel 1886, da un’epidemia di colera che aveva reso ancora più sottili le già misere risorse di casa (il padre, Antonio, faceva l’oste, e viveva vendendo pane, dolci, vino e grappini agli uomini che si svegliavano presto per andare all’alzaia, a trascinare contro corrente sul fiume chiatte e barconi), la famiglia si era trasferita a Lonigo, nel Vicentino. E fu da qui che il giovanissimo Arnaldo si nominò, e improvvisò, corrispondente per L’Arena. “Articolini”, come ricorderà lui stesso, che il giornale regolarmente gli pubblicava. Finché, dalla redazione, gli Inviato di guerra e instancabile viaggiatore Da semplice cronista a inviato speciale, corrispondente di guerra, testimone e narratore. Da Milano all’Italia, all’Europa, all’Africa, all’Asia (i soli luoghi che non toccò furono l’Australia e i Poli). Dal deserto cirenaico al fronte austroserbo, dalla Galizia alla Macedonia, dal Carso all’Altipiano dei Sette Comuni, dall’Isonzo al Piave. Dalla Muraglia cinese alla pampa argentina, alle miniere d’oro del Transwaal. Ed è solo una breve, ridottissima carrellata. Fu il primo giornalista a sbarcare a Trieste libera, il 3 novembre 1918, dal cacciatorpediniere “Audace”. Fu uno dei primi giornalisti europei a visitare, nel ’27, Hollywood. Scriveva il critico teatrale del Corriere Eligio Possenti: “Usi, costumi, persone e personaggi si affollano nelle pagine di viaggiatore instancabile, di giornalista intento a uno scopo solo: quello di dare al lettore l’illusione di essere partecipe del suo gironzolare, di viaggiare con lui, di apprendere con lui, di godere con lui gli spettacoli della vita Il figlio: un maestro di belle maniere che Aldo Fraccaroli, il figlio di Arnaldo, ha oggi 85 anni. Giornalista lui stesso (è stato, tra l’altro, per dieci anni a capo dell’Ufficio stampa del Touring Club Italiano), capitano di fregata e appassionato storico di marina militare (è uno dei maggiori esperti a livello mondiale), ha nella sua abitazione, a Lugano, un archivio di 80.000 fotografie di navi da guerra, 25.000 delle quali scattate da lui. In più occasioni ha avuto modo di ricordare la figura del padre, attraverso articoli ricchi di aneddoti. Ne proponiamo alcuni stralci. Anche in casa, mio padre era sempre in perfetto ordine, ben rasato e vestito di tutto punto, anzi con quell’eleganza cui teneva. Detestava infatti la sciatteria. Tranne che nei suoi ultimissimi giorni, non lo vidi mai 24 (28) con la barba lunga né con le pantofole, se non tra la sua camera e la stanza da bagno. Da mezz’ora dopo essersi levato sino al momento di spogliarsi per andare a letto, era un esempio di decoro e di dignità, in grado di accogliere un re – o un presidente di repubblica – entro le mura domestiche. In special modo, a tavola era un modello di compitezza, sì che, a osservarlo, si sarebbe divenuti maestri di belle maniere. Ma a sua volta esigeva correttezza negli altri. Non tollerava invitati che lasciassero in fondo al piatto anche soltanto un piccolo avanzo: “Sta poco bene? Si sente male?”, domandava con interesse che appena celava il tono ironico. “Oppure non le piace?”. Di fronte a quest’incalzare di domande, l’ospite doveva sottostare alle rigide regole di casa Fraccaroli. Se nella conversazione era un amabile compagno, nelle discussioni non tollerava di venir contraddetto, né gli passava per la mente che l’avversario potesse avere anche un briciolo di ragione; e voleva stravincere. Allorché l’altro, schiacciato e intimidito dalla foga di Fraccaroli, ammetteva di aver torto, pur di chiudere quella discussione, a Fraccaroli non andava a genio di troncare in quel modo e proseguiva inesorabile: “Allora perché ha insistito tanto?”. Il ricordo della madre Era molto religioso e accomunava nella fede in Dio il ricordo della sua mamma. Quando veniva pubblicato un suo libro – fatto che era frequente – ne dedicava la prima copia alla mamma, mancata nel 1911, e poneva il volume, con la pagina aperta sulla dedica, rivolto nel senso che, dal ritratto incorniciato sul mobile, la mamma potesse leggerla. Nell’uscire da casa, percorreva qualche passo verso il cortile per ripetere il saluto che scambiava con la sua mamma, alla finestra, quando ella era ancora in vita. In ciò, oltre che devoto, era abitudinario al massimo. […] La sua mamma era stata seppellita nel cimitero di Musocco, molto fuori mano, specialmente allora, ma egli non ne volle traslata la salma – sebbene poco dopo ne avesse la possibilità finanziaria – al cimitero Monumentale, vicino a casa, finché non fu trascorso il prescritto periodo di dieci anni. Gli sarebbe sembrata una forma di ORDINE 1 2005 Le date fondamentali della sua vita 1882 1887 1895 1899 1900 1901-02 1904 1905 1906 1907 1908 1909 1911 1911-12 1913 1914 1915-18 1918 1920 1923 1924 1925-26 1926-27 1928-29 1930-31 1931-32 1933-34 1934 1935-36 1936-37 1937 1938 1939 1940-45 1950-56 1952 1956 1957 E Villa Bartolomea gli dedica la Biblioteca 26 aprile: nasce a Villa Bartolomea (Verona) da Antonio e Angela Zancopè La famiglia si trasferisce a Lonigo Fonda e redige il giornaletto umoristico “La Freccia” Viene pubblicata a Lonigo la sua prima commedia, “Folletto” A Vicenza fonda e dirige il giornale “Bobò” Lavora nella redazione del giornale “La Provincia di Vicenza” A Lonigo viene rappresentata la sua commedia “El sistema più belo”, in dialetto A Padova è redattore a “La Provincia di Padova”, dove incomincia a firmarsi “Fraka” È redattore capo a “La Provincia di Padova” A Padova viene rappresentata “Ostrega, che sbrego!”, in veneto A Venezia è segretario del teatro “La Fenice” 16 maggio: entra al “Corriere della Sera” e si trasferisce con la madre a Milano Muore la madre Inviato dal “Corriere” alla guerra di Libia Sul “Corriere” tiene la rubrica “Sottovoce zio Matteo” Corrispondente di guerra in Galizia, sul fronte austro-russo e in Turchia Corrispondente dai fronti della Grande Guerra Viene decorato con medaglia di bronzo nella riconquista di Sacile (si era volontariamente prestato da bersaglio a una mitragliatrice austriaca, affinché una nostra bombarda la potesse individuare e distruggere) In Ungheria segue la rivoluzione di Bela Kun Partecipa alla gara automobilistica “Coppa delle Alpi” Da Bruxelles all’Italia segue il funerale di Giacomo Puccini, di cui fu il biografo Dirige la rivista “Fantasie d’Italia” Lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti Lungo viaggio in India Lungo viaggio in Sudamerica Lungo viaggio nell’Africa centrale e meridionale Lungo viaggio in Cina Va in scena Milano “L’osteria della gloria”, commedia con il giovane Gino Cervi Viaggio nel Siam e in Indonesia Lungo viaggio in Giappone Esce il libro “Venti novelle matte ma non tanto”, il primo di una serie fortunata Acquista a Verona la villa palladiana che chiama “Le Toresèle” Viaggio nell’Africa settentrionale e occidentale Si dedica a biografie romanzate dei “Patriarchi della musica italiana” – Rossini, Bellini, Donizetti – e a quella di Maria Malibran Tiene sulla “Domenica del Corriere” la rubrica “Confidenze” con i lettori La Compagnia Besozzi mette in scena a Milano “Siamo tutti milanesi” 16 giugno: muore a Milano Viene pubblicata postuma la biografia “Giacomo Puccini si confida e racconta” (La cronologia è tratta dal volume “Omaggio ad Arnaldo Fraccaroli”, a cura di Arnaldo Bellini, Comune di Villa Bartolomea, novembre 2004) nelle più remote regioni della Terra”. “Aveva lettori fedeli – ricorda un altro giornalista originario di Villa Bartolomea, Arnaldo Bellini – . Una volta, intrattenendosi con un umile lavoratore dei campi, apprese che questi custodiva con cura, in un cassetto, i ritagli dei suoi articoli di viaggi. Si commosse fin quasi alle lacrime. Sapeva che un giornalista esiste soltanto se ha dietro di sé un pubblico che lo segua e lo ammiri”. E ancora Indro Montanelli: “Ma quando si fu in tassì, il conducente lo riconobbe e, volgendoglisi con un largo sorriso, lo interpellò chiamandolo affettuosamente per nome in milanese: Sciùr Fraccaroli!. Avreste dovuto vedere il povero Arnaldo, via via che il buon uomo gli poneva domande e gli chiedeva spiegazioni su questo o quell’episodio della sua lunga carriera di cronista. Tutta la cordialità di cui con me era stato tanto avaro gli traboccò nelle risposte a quel ‘lettore’ in cui egli ravvisava il proprio padrone. Ancora un po’ e lo portava in casa per tenerselo a pranzo”. Non a caso i giornalisti lombardi lo designarono presidente del loro Circolo della Stampa, quando nel 1952 la carica rimase vacante per la morte di Renato Simoni. Il rispetto della verità a costo di qualsiasi sacrificio “Giornalista nato, giornalista d’elezione – ricordava Giuseppe Silvestri – aborriva dalla musoneria, ma sentiva la serietà e la responsabilità della sua missione, di fronte al pubblico innanzi tutto, che andava sempre informato con scrupolosa esattezza e precisione, Una lapide e la nuova Biblioteca civica. Così Villa Bartolomea, il comune di quasi 5.500 abitanti della Bassa Veronese nel quale Arnaldo Fraccaroli nacque, ha voluto, il 13 novembre scorso, onorare la memoria del celebre concittadino. La lapide è stata posta dove un tempo sorgeva la sua casa natale, in frazione Fondovilla, oggi inglobata nel paese. La Biblioteca, fiore all’occhiello della piccola comunità, porta il suo nome. È stata inaugurata nell’edificio in stile neoclassico costruito alla fine del XIX secolo che si affaccia su corso A. Fraccaroli. La celebrazione, patrocinata dal Corriere della Sera e dalla “Fondazione Corriere della Sera” ha visto in prima fila le massime autorità politiche della zona. Dall’intera giunta di Villa Bartolomea, capitanata dal sindaco Loris Romano, ai primi cittadini dei vicini Comuni di Belfiore, Terrazzo, Angiari, Castagnaro, al presidente della Provincia Elio Mosele. Ad assessori e consiglieri comunali, provinciali e regionali. Ma l’intera cittadinanza ha partecipato, in un clima piacevole e sereno, alla commemorazione dell’illustre inviato speciale, che di qui, come si legge sulla lapide, “iniziò il lungo viaggio nel mondo”. Nel Teatro Sociale del comune, dopo l’inaugurazione di una mostra di fotografie, libri e documenti sulla vita e sulla carriera di Arnaldo Fraccaroli, la giornata si è conclusa con una tavola rotonda. All’incontro, condotto dal giornalista Arnaldo Bellini, hanno partecipato l’inviato del Corriere della Sera Marzio Breda, il bibliotecario della Biblioteca civica di Verona Claudio Gallo, il giornalista, e docente di Storia delle terze pagine italiane all’Università di Verona, con assoluto rispetto della verità, a costo di qualsiasi sacrificio”. Guerra di Libia, 1911. “Il comando militare – racconta il figlio Aldo Fraccaroli – aveva ordinato che i giornalisti non potessero ‘andare al seguito della truppa’ per una certa operazione. ‘Bene! – osservò Fraka – non andremo al seguito ma la precederemo’, e con tre animosi colleghi si avviò sul cammello nel deserto, arrivando all’oasi prima dei soldati. Per poco i quattro evitarono la corte marziale”. Giuseppe Sandrini e Aldo Fraccaroli, il figlio di Arnaldo, giunto per l’occasione da Lugano, dove vive. Se Breda si è soffermato su Fraccaroli giornalista, sull’impatto del suo carattere gioviale e del suo stile fresco con il clima austero che dominava al Corriere nei primi anni del Novecento, su quello che significava, in termini di tempo e di disagi, fare l’inviato allora, Gallo ha affrontato la figura di Fraccaroli commediografo. “Fu uno dei più popolari – ha detto – ma incontrò soltanto in parte il favore della critica, che gli rimproverava la mancanza di drammaticità”. Sandrini ne ha quindi riproposto l’immagine di “macchiaiolo vagabondo”, in giro per il pianeta sempre con la macchina fotografica, in tempi nei quali la gente niente o quasi conosceva dell’Estremo Oriente o di New York e il “viaggio” di un inviato durava anche otto-nove mesi. Infine, intervistato da Bellini, il figlio Aldo ha ricordato Fraccaroli padre. Nelle sue virtù e nei suoi difetti. Autoritario in casa, di poche parole per quanto riguardava il lavoro, esigente con tutti, generoso con gli umili. “Vero che non dava del tu a nessuno?”. “Lo faceva solo con i colleghi della sua età, come Simoni. Per il resto, non dava del tu a nessuno, e non voleva che gli altri lo facessero con lui. Preferiva tenere le distanze. Diceva: Se dico sei un cretino, finisce lì. Se dico lei è un cretino, finisce con un duello”. Nel suo rapporto con la fede: “Un giorno i miei amici Gesuiti mi dissero: Suo padre è un bigotto. Cercheremo di farne un buon cristiano”. Nel suo rapporto con i lettori: “Diceva: Scrivere difficile è molto facile. È scrivere facile che è molto difficile”. Quel “commesso viaggiatore” delle curiosità altrui La regola: lavorare come se non si dovesse mai morire Instancabile lavoratore (il giornalista del Corriere, poi direttore de L’Arena Giovanni Cenzato lo riteneva ottimo interprete della massima di Don Bosco “Lavorare come se non si dovesse mai morire, e vivere come se si dovesse morire l’indomani”), Arnaldo Fraccaroli fu, nel privato, anche uomo di profonda religiosità e grande generosità. Molto legato alla madre Angela (vedi riquadro nel ricordo del figlio Aldo), che volle con sé a Milano quando vi si trasferì, e partito dalla più autentica ristrettezza economica, raggiunse la “ricchezza – ricordava Cenzato – attraverso il suo solo lavoro, ricchezza che egli espresse in una casa ben ornata di cose belle, di preziosi oggetti, di amicizie intelligenti” E ancora: “Lasciò morendo notevoli legati: 30 milioni all’arcivescovo di Verona per i poveri, 10 milioni ai mutilatini di Don Gnocchi, 5 milioni agli operai del Corriere, 5 milioni all’allora arcivescovo di Milano monsignor Montini, che gli confortò di persona il grande trapasso”. Aveva, oltre alla casa milanese di via Legnano, una villa a Baveno, sul lago Maggiore. Ma il suo rifugio preferito, il luogo nel quale amava tornare, era la villa alle “Toresèle” sulle alture che circondano Verona. “Quella casa – scriveva Gino Beltramini, professore e direttore del periodico Vita veronese – divenne quasi un eremo e la vita vi trascorse semplice ed operosa, più che mai protesa a quei ‘ripensamenti’ che la tumultuosa e febbrile attività degli anni decorsi aveva attutiti e dispersi”. Di lassù, alto, distinto, i capelli bianchi, questo “commesso viaggiatore della curiosità altrui”, com’egli stesso amava definirsi, poteva verso sera, al primo calar delle ombre, perdersi con lo sguardo nel lento scorrere dell’Adige, sui rossi tetti della città, lontano, fino al campanile di San Zeno e alle torri di Castelvecchio. Tornare con la mente ai ricordi. E respirare l’aria, fresca e frizzante, del Monte Baldo. Così scrisse, di lui, il critico teatrale de L’Arena Bruno De Cesco: “Nel suo studio, fra i libri dalle coste preziose, fra i rari pezzi d’arte esotici, vegliavano il bronzeo capo incoronato del Cristo e il dolce volto di mamma Angela; nella saletta accanto stava la maschera di Cangrande dedicatagli dai volontari di guerra veronesi. E chi lo conosceva da vicino, chi lo conosceva nell’intimo, sapeva che in quei tre simboli di bronzo viveva tutta la sua anima”. …aveva sempre ragione pigrizia, ed egli quand’era a Milano andava quasi ogni giorno al camposanto e si confidava con lei. Era però superstizioso e non metteva il cappello sul letto, non infilava la manica sinistra prima della destra (un giorno mi rimproverò perché m’aveva veduto fare l’opposto) e, nel coricarsi, badava che le pantofole fossero rivolte verso fuori e non già per comodità, bensì per scaramanzia. Possedeva una straordinaria resistenza fisica e una tenace capacità di lavorare. Svolgeva per primo il compito più difficile – articolo o altro che fosse – per esserne fuori al più presto. Stava ore e ore alla scrivania e stendeva i suoi articoli valendosi di abbreviazioni per seguire più rapidamente il corso del pensiero (della stenografia, che ORDINE 1 2005 pur conosceva, si valeva soltanto per intestare, in alto a sinistra di ogni articolo o della prima cartella di un libro, l’invocazione “Evviva sempre la mamma benedetta!”, seguita dalla data) e la scrittura era piccola e nitidissima, “tipografica” la definiva egli stesso, tanto che bastava una cartella per contenere un intero articolo. […] “Commendatore sarà lei!” Non apparteneva a gruppi letterari, cenacoli o camarille, e anzi guardava con diffidenza e scarsa stima coloro che ne facevano parte. Considerava quei gruppi come associazioni di mutuo soccorso, distanti da lui, che era emerso per i suoi soli meriti. […] Con l’andar degli anni aveva smesso di usar parolacce contro i guidatori indisci- plinati. Quasi si giustificò, spiegandomi che la persona educata deve adoperare parole pulite oppur tacere del tutto. (da Omaggio ad Arnaldo Fraccaroli, a cura di Arnaldo Bellini, Comune di Villa Bartolomea, novembre 2004) Ma se voleva essere scostante ci riusciva benissimo. Rammento che, verso il 1937, ricevette la visita di un giovane giornalista venuto per intervistarlo. Il giovanotto s’era fatto precedere da una lettera e da una telefonata e si presentò educatamente a mio padre dicendo: “Sono onorato di fare la sua conoscenza, commendatore”. A quel giovane, o che non gli fosse riuscito simpatico o che mio padre avesse la luna per traverso, replicò seccamente: “Commendatore sarà lei!”. Costernazione del giornalista, che tentò con “dottor Fraccaroli”, ma si ebbe un’altra replica: “Non sono dottore”. “Allora come devo chiamarla?”. “Mi chiami signor Fraccaroli”. Il giovane giornalista tentò di avviare il discorso: “Che cosa pensa, signor Fraccaroli, dell’umorismo di oggi?” (devo precisare che mio padre, collaboratore fisso del settimanale umoristico Guerin Meschino, era lettore assiduo del Bertoldo, che però guardava di nascosto). Al che mio padre si rivolse verso di me: “Aldo, c’è un umorismo oggi? Quale umorismo?”. […] Quel giovane giornalista se ne andò alcuni minuti più tardi. (Gazzetta di Parma, 6.9.1984) 25 (29) IL GIORNALISTA LUCCHESE È CONSIDERATO IL PADRE DEL SETTIMANALE M E M O R I A Redattore di Omnibus, condirettore, nel 1939, del primo Oggi, nel 1945 inventò L’Europeo e dieci anni più tardi L’Espresso. Per continuare le battaglie civili promosse dal suo amico Pannunzio, nel 1969 riesumò Il Mondo e qualche anno più tardi, dopo avere aderito al partito comunista, diresse Paese Sera. Il giornalismo impegnato ebbe in lui la massima espressione. Era convinto della necessità di dovere stimolare la borghesia italiana affinché non indulgesse nei suoi vizi tradizionali e ne contestò alcuni atteggiamenti. Arrigo Benedetti di Enzo Magrì Furono i disagi causati dalla crisi degli alloggi e la ricerca d’un letto dove riposare in esclusiva che nel 1945 offrirono ad Arrigo Benedetti l’opportunità d’inventare L’Europeo. Trasferitosi da Roma a Milano, dov’era stato assunto dal Corriere Lombardo come critico teatrale, il lucchese, accompagnato dalla giovane moglie Rina, era stato costretto nei primi tempi a dormire in letti di fortuna. Dapprima in casa di Edgardo Sogno, il suo direttore, il quale, rientrando poco dopo l’alba, sloggiava la coppia per riposarsi lui. Abbandonata la casa dell’ex comandante partigiano, i due finirono in una pensione di viale Monterosa, ma anche lì su un letto in condominio con un ingegnere dell’Isotta Fraschini. Il professionista rincasava un po’ più tardi del direttore del Lombardo ma ciò impediva lo stesso ai due giovani di poltrire un qualche minuto come essere umani prima di finire lui al giornale e lei in uno dei tavolini del Motta di piazzale Baracca per ammazzare il tempo. Poiché un intervento presso il prefetto Riccardo Lombardi per trovargli una casa tardava a dare i suoi frutti, il giovane critico si decise a cercare da solo un talamo per sé e la moglie. Per trovare una soluzione si affidò a Gianni Mazzocchi. “Vieni subito alla “Domus, qui in corso Sempione” gli rispose l’editore “una soluzione la troveremo”. Quando il giornalista finì di esporre all’amico la sua situazione di dormiente in piedi e gli esternò la richiesta d’un letto a due piazze tutto per sé e la compagna, l’altro tirò fuori due chiavi da un cassetto della scrivania. Pinzandole con pollice ed indice, alzò a mezz’aria la mano destra e disse: “Queste sono le chiavi d’un appartamento ammobiliato di tre camere in via Dezza. Il quartierino è tutto tuo. Tu devi solo adempiere alla promessa che mi hai fatto due anni addietro”. Poco dopo il 25 luglio del 1943, nell’euforia seguita alla caduta del fascismo, Benedetti aveva accondisceso alla proposta di Mazzocchi d’inventargli un settimanale. Ma poi non se n’era fatto niente. Avendo ora visto negli occhi del suo ospite, un cenno di assenso, il padrone di casa si alzò, lo sospinse per un braccio guidandolo fino ad una stanza vicina. Davanti ad un grande tavolo stavano seduti Emilio Radius, Raul Radice, Camilla Cederna e Tommaso Besozzi. La sua vera vocazione era quella del letterato “Ecco la tua redazione” disse Mazzocchi trionfante. Questi non si affidava al giornalista né per simpatia né per uno spirito lucrativo teso a recuperare il corrispettivo dell’affitto dell’appartamento. Egli conosceva le qualità del suo ospite nel campo giornalistico e in particolare di quello dell’ebdomadario. Anche se la vocazione vera di quel giovanotto era quella del letterato. Trentacinque anni, lucchese, Benedetti aveva studiato si può dire da scrittore. Figlio d’un bancario che aveva abbandonato il posto sicuro in un istituto di credito per fare il viaggiatore di 26 (30) Lo stile e l’impegno commercio, aveva vissuto l’adolescenza come una sorta di seminarista laico. Patito di narrativa, leggeva e prendeva appunti. Amico di Mario Pannunzio, che abitava a Lucca nell’appartamento vicino al suo, faceva con il sodale quotidiane passeggiate per la via Fillungo che si concludevano al caffè Caselli, un tempo frequentato da Giovanni Pascoli e tra la fine dei Venti e gli inizi dei Trenta bazzicato da Mario Tobino, Guglielmo Petroni e Mino Maccari. Diversi per caratteri (Benedetti chiuso, spesso cupo; l’altro estroverso, brillante, donnaiolo), i due erano uniti dalla passione per la cultura e da un solo obiettivo: emigrare a Roma. Pannunzio voleva frequentare un corso per regista; Benedetti, desiderava fare lo scrittore. Poco inclini verso il fascismo, anche se ancora non avversi, un giorno erano stati risolutamente redarguiti dal segretario federale di Lucca il quale li aveva convocati nel suo ufficio, e, dopo averli “processati” per le loro assenze alle adunate, li aveva licenziati fulminandoli con tonanti minacce. Una promozione sul campo firmata Leo Longanesi Non sono certamente quelle intimidazioni a convincere Pannunzio a lasciare Lucca nel 1932 e a raggiungere Roma dove s’iscrive al Centro sperimentale di cinematografia. Cinque anni più tardi, nel 1937, è seguito da Benedetti che ha abbracciato decisamente la carriera di scrittore a Lucca ma s’è deciso a continuarla nella capitale dove ritiene d’avere più chance di successo. Abbandonata la facoltà di Lettere di Pisa, egli ha cominciato a scrivere e anche con un certo successo. Nel 1933 ha pubblicato il suo primo libro, Tempo di guerra, un volume sul conflitto del 1915-1918. Ha inviato articoli e racconti a Leo Longanesi, che a quell’epoca è uno dei giornalisti più popolari fra i giovani italiani che si dedicano alle Lettere, e dal quale ha avuto esortazioni e incoraggiamenti a scrivere. Quando, dunque, nel 1937 si riunisce a Roma il sodalizio con Mario Pannunzio, i due frequentano il Caffè Aragno, luogo di ritrovo di Vincenzo Cardarelli, Antonio Baldini, Bruno Barilli, Mino Maccari e dell’immancabile Leo Longanesi. A quel tempo quest’ultimo sta preparando Omnibus e una sera invita i due amici ad accompagnarlo in via del Sudario dove c’è la redazione del settimanale. Non si sa bene se per vera necessità oppure per saggiare il valore dei giovanotti, Leo chiede loro di “passare” degli articoli. Le correzioni eseguite dai ragazzi si rivelano inappuntabili e Longanesi li promuove redattori sul campo. L’assunzione nella prestigiosa rivista dà a Benedetti quel minimo di garanzia economica che gli permette di sposare Rina, una lontana cugina, con la quale si stabilisce a Roma dove nel 1938 pubblica La foglia del capitano. Ma il senso di sicurezza scaturito dal lavoro stabile, svapora presto perché nel gennaio del 1939, il fascismo chiude Omnibus. Due anni vicino ad un genio del giornalismo come Longanesi fanno maturare professionalmente il lucchese il quale fonda con Pannunzio il settimanale Tutto e, chiuso questo, va a dirigere, sempre con il suo vecchio amico lucchese, Oggi edito da Rizzoli. Il giornale aveva ricevuto l’approvazione di Mussolini a patto che avesse due giovani direttori e delle firme non legate alla generazione prefascista. Ma i giovani redattori che sono chiamati a collaborare con la rivista - Giansiro Ferrata, Alessandro Bonsanti, Tommaso Landolfi, Giovan Battista Angioletti, Giame Pintor, Mario Alicata, Franco Fortini e Luigi Salvatorelli- manifesteranno una pericolosa tendenza a pensare con la propria testa, al di fuori dall’ortodossia fascista. Oggi finisce nel mirino della censura del duce. Il primo gennaio del 1941, il settimanale è chiuso per disfattismo. In quel numero i due giovanotti avevano pubblicato un articolo del generale Gino Ducci il quale sottolineava un fatto oggettivo ed evidente: l’inferiorità della forza navale tedesca negli oceani rispetto a quella americana. Ciano dirà che la rivista era “un organo di individui molto ambigui che stavano di fronte al regime con molte e poco celate riserve”. Missiroli, che lavora per il fascismo come ghostwraiter al Messaggero, ma che odia il dittatore, consola i due ex direttori con queste parole: “Amici miei, vi hanno soppresso non tanto per quello che avete pubblicato ma soprattutto per quello che non avete pubblicato”. Benedetti si conforta dando alle stampe la sua seconda opera, I misteri della città e l’anno successivo, nel 1942, Donne fantastiche. E siccome con la narrativa si può tirare avanti solo a stento, egli continua nel 1942-1943 a fare il giornalista scrivendo per conto di Gianni Mazzocchi. La guerra giunta ormai in Italia, lo vede belligerante attivo quale fiancheggiatore delle formazioni partigiane che operano nell’Appennino emiliano dove si è rifugiato assieme alla moglie che gli ha dato un figlio, Alberto, e che è stato battezzato da due prigionieri alleati, un francese e un russo, ai quali egli ha dato rifugio nella sua casa di Gazzano. Scoperto dai nazifascisti è arrestato e rinchiuso nella cella in cui è trattenuto Alcide Cervi, padre dei sette fratelli fucilati il 28 dicembre del 1943. Un distruttivo quanto provvidenziale bombardamento, demolisce il carcere di Reggio Emilia. Guadagnata la libertà, il lucchese si rifugia in Garfagnana da dove, sopraggiunti gli alleati, si trasferisce prima a Lucca e quindi a Roma. Qui, per un breve periodo lavora inizialmente con il suo amico Pannunzio al Risorgimento Liberale e poi al Nuovo Mondo insieme con Nicola Adelfi e Giorgio Bassani. Ma in tempo di emergenze le Lettere non danno pane Le Lettere non danno pane in tempo di pace, figurarsi in periodo d’emergenza. Benedetti racconta che durante quell’inverno romano, per trovare un po’ di calore, lui e altri intellettuali si concedevano ai party che ogni sabato davano nella loro casa Maria e Goffredo Bellonci dove i caloriferi in funzione scioglievano le irrigidite membra degli ospiti e lo stomaco cessava momentaneamente di brontolare e di reclamare cibo, occasionalmente confortato d’un qualche pasticcino ingollato con stile e impassibilità inglesi. Dopo aver fatto stampare Paura all’Alba, un ORDINE 1 2005 Come si scrive sui giornali L’ordine di servizio emanato da Arrigo Benedetti il 26 ottobre 1976 quando era direttore di Paese sera Certe norme stabilite per la stesura degli originali sono spesso dimenticate. Ne ricordiamo alcune. - Dovranno essere composti in corpo 8 jonic tutti i testi della prima pagina, della quarta, dei supplementi, delle pagine speciali; la nota politica, il capocronaca, i servizi degli inviati speciali, le corrispondenze di maggiore rilievo. Tutto il resto del giornale sarà composto in c.7 jonic. Il c.10 jonic chiaro e l’8 permanent, potranno essere usati soltanto per note a doppia giustezza. Il corsivo è abolito in ogni caso. - Nei titoli si dovranno evitare le virgolette e i punti interrogativi e esclamativi. Dopo i due punti, segue la maiuscola. In una pagina si può fare solo un titolo con i due punti. - Le virgolette non devono essere usate per alludere a un significato diverso da quello proprio della parola; si useranno, invece, per le frasi tratte da lingue straniere per i titoli di giornali, libri, riviste, raccolte, per i termini tecnici di qualsiasi lingua. Le parole straniere tra virgolette vanno sempre in tondo. Le parole straniere entrate nell’uso come brain, trust, dossier, establishment, sport, film, reporter, derby, flirt, nurse etc, vanno sempre tra virgolette, queste vanno poste all’inizio della citazione, all’inizio di ogni capoverso successivo e alla fine della citazione. - Nel discorso diretto dopo i due punti e le virgolette segue la maiuscola. - Le sigle vanno tutte in maiuscolo (es. PCI e non Pci) e senza punti intermedi (es. ANSA e non A.N.S.A.). - Nell’enumerare in un testo più argomenti non si scriva 1) 2) 3) ma 1.2.3. seguiti dalla maiuscola e concludendo il testo dei singoli paragrafi con punto e virgola. - Po’ per poco si scrive con l’apostrofo e non con l’accento. - Si scrive se stesso e non sé stesso. - Si scrive della “ Stampa”, sul “Trovatore”, della Spezia e non de “La Stampa” su “Il Trovatore”, de La Spezia. - Le maiuscole vanno usate in modo parsimonioso (nome e cognome, città, nazioni). Sono sempre da evitare quelle reverenziali sia per gli enti che per i loro titolari. Uniche eccezioni la parola Repubblica, quando ci riferiamo alla repubblica italiana, Papa e Presidente quando non sono seguiti da nome del papa o del presidente della Repubblica. - Ogni servizio deve curare l’unificazione di alcuni termini (per es. laborismo e non laburismo; Mao Tse-Tung e non Mao Tse Tung; Teng Hsiao-Ping e non Teng Hsiao Ping). - Le congiunzioni ed e ad possono essere usate solo se collegano parole che cominciano rispettivamente per e e per a. - Non si usano verbi inventati, come evidenziare, presenziare, potenziare, disattendere; o superflui come effettuare per fare, iniziare per cominciare; i francesismi come “a mio avviso”; le frasi fatte come madre snaturata, folle omicida, agghiacciante episodio, in preda ai fumi dell’alcool, i nodi da affrontare, nell’occhio del ciclone, l’apposita commissione, e gli aggettivi che servono a caricare d’infamia chi non ne ha bisogno, come criminale fascista, l’infame dittatore. libro sulla lotta partigiana, nell’autunno Benedetti si trasferisce a Milano. Nei mesi successivi al crollo della dittatura, non soltanto Gianni Mazzocchi ma anche Angelo Rizzoli gli avrebbero voluto affidare la direzione di un settimanale. Tuttavia, un po’ a causa della confusa situazione del paese, un po’ perché desideroso di dedicarsi esclusivamente alla narrativa, egli aveva rifiutato le due proposte anche se Mazzocchi era riuscito a strappargli un certo assenso per il futuro. Ora, e siamo nell’estate del 1945, mentre è impegnato con il suo nuovo ruolo di critico teatrale del Corriere Lombardo di Edgardo Sogno, Benedetti è costretto, se vuole continuare a dormire come un cristiano in quel magnifico appartamento di via Dezza, a studiare un settimanale per Mazzocchi. I primi problemi gli vengono dal logo. Qualcuno gli ha suggerito Omnibus. Ma il titolo potrebbe generare equivoci circa una continuità con il settimanale longanesiano. E poi non sarebbe leale nei confronti del vecchio maestro che è ancora su piazza. Oggi che, si può dire, gli apparteneva di diritto essendone stato uno dei due direttori, è già stato utilizzato dall’editore Angelo Rizzoli il quale ne ha dato la direzione ad un giovane giornalista, Edilio Rusconi. Cederna ed alcune sue colleghe si distribuirono in diversi bar cittadini per fingere di leggerlo e farlo vedere il più possibile. Al Donini di San Babila, ancora devastata dalle bombe, un cameriere volle vederlo meglio e dopo averlo sfogliato con attenzione pregò gentilmente se poteva tenersi la copia. Compiaciute, la giornalista e le altre gliela cedettero. Poco dopo scoprirono che l’inserviente aveva necessità di carta per avvolgere un paio di scarponi e che il giornale, per il formato e per la resistenza, rispondeva alla bisogna. Da una moltitudine di titoli alla fine spunta L’Europeo Una moltitudine di titoli gli si affolla nella mente. Egli non sa ancora quale scegliere, quale adottare. Il Pwb (Psicological War Branch), l’organismo alleato incaricato di concedere l’autorizzazione per la diffusione dei nuovi giornali, preme per ottenere il logo da inserire nel permesso da rilasciare. Mazzocchi, convinto che l’Italia avrebbe avuto un avvenire solo in un’Europa unita, avrebbe voluto un titolo che si riferisse al vecchio continente. Benedetti, senza essere contrario all’idea del suo editore, non riusciva ancora a quagliare il concetto. Un giorno, l’amministratrice della “Domus” Franca Matricardi telefona dall’ufficio alleato a Benedetti per sollecitarne il nome della testata. “Prenda ancora tempo” gli suggerisce il direttore dalla redazione. “Non si può più” replica l’altra. “Qui vogliono il titolo. E faccia presto.” Il giornalista ripassa velocemente i loghi che s’era appuntato nei giorni precedenti. Ma non gliene garba nessuno. Era autunno. Anche se l’orologio segnava le dieci del mattino, Milano offriva il suo cielo grigio e nella redazione c’era la luce accesa. Quell’atmosfera suggerì al neo direttore “l’idea d’una civiltà che supera gli impedimenti frapposti dalla natura e rivelano il carattere strettamente civico di questa società”. Gli venne in mente l’Europa “in quel momento simile a tante città come Milano, ognuna capace di un’intensa operosità, concentrate tutte nello sforzo di riprendersi dopo la generale catastrofe, tese verso il benessere, verso quella felicità che l’uomo procura a se stesso con le proprie attività”. Suggerì alla Matricardi: “Dica che si chiama l’Europeo. Quando il titolo fu comunicato a Mazzocchi, questi replicò:” Ed io non l’ho detto e ridetto?” Con una copia del primo numero del giornale, la mattina del 4 novembre 1945 Camilla ORDINE 1 2005 Con preghiera di fare più giornalismo e meno ideologia. Un racconto settimanale fluido e quasi impersonale Richiesto alle edicole dai lettori, per fini più nobili di quelli per i quali lo aveva impiegato il cameriere, L’Europeo raggiunse un discreto successo. Nei primi mesi Benedetti andò avanti a tentoni. Scriverà: “Miravo, senza avvedermene completamente, a uno stile asciutto oggettivo”. E più avanti: “M’illudevo che la soggettività potesse essere eliminata dal giornalismo. Il giornale ideale per me era una sorta di specchio che riflettesse la realtà nella sua interezza”. Ricorderà che, compilando L’Europeo, gli sembrava di comporre un racconto settimanale, di montarlo con le fotografie, i titoli, i testi. Un’altra sua “fisima” era quella dello stile che voleva “fluido, quasi impersonale, una specie di trapianto anglosassone in Italia”. Evoca: “La realtà era davanti a noi, dovevamo affrontarla utilizzando tutte le risorse stilistiche a disposizione, gli insegnamenti dovevamo andare a cercarli non solo nel giornalismo di Londra o di New York ma nella letteratura europea”. L’Europeo ottiene un discreto successo anche perché i quotidiani sono ancora ingessati: molti sono diretti e organizzati da ex fascisti risparmiati dall’epurazione. Ma anche perché la gran parte sono sostenuti dallo Stato attraverso sovvenzioni e provvidenze come per esempio i sensibili sconti sul prezzo della carta. Ancora velinari, molti periodici, nel pubblicare eventi che implicano responsabilità da parte di organi dello Stato, si attengono alla versione governativa, quella ufficiale, fornita dalle agenzia di stampa. Da antologia resta il caso della morte di Salvatore Giuliano, il bandito che scorazza da ben sei anni in Sicilia. Ubbidendo alla versione del Viminale diramata dall’agenzia Ansa, i quotidiani avevano riferito ai loro lettori che il fuorilegge era stato ucciso in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. La dichiarazione era stata avallata dall’intervista d’un capitano dei carabinieri che aggiungeva “particolari” sul conflitto e che rendevano l’informazione assolutamente veritiera. Bastò un’incursione in Sicilia del giornalista Tommaso Besozzi, inviato dall’Europeo, per smascherare la mistificazione: il bandito non era stato ucciso in uno scontro a fuoco ma era stato assassinato dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, nell’appartamento d’un caseggiato di Castelvetrano e quindi deposto nel cortile dello stesso casamento, dove era stato trovato la mattina del 5 luglio 1951. Nonostante l’impegno giornalistico, L’Europeo, che Gianni Mazzocchi alla fine degli anni Quaranta ha venduto ad Angelo Rizzo- li, non soddisfa le attese del nuovo editore che Edilio Rusconi con Oggi ha abituato alle alte tirature che riesce a mantenere ospitando in copertina re e regnanti. Nel 1953 Benedetti riceve il benservito. Superati gli anni Quaranta, il giornalismo impegnato non rende in termini di tiratura. Resta confinato nei giornali di partito che non hanno problemi di bilancio perché in ogni caso questo o è ripianato dai contributi statali oppure dalle elargizioni delle forze politiche ed economiche che di quei fogli si servono. Collocati fuori dalla logica assistenziale, i settimanali restano legati in maggior misura alla vendita delle copie e, in piccola parte, alla pubblicità che è ancora piuttosto limitata. Un po’ perché sono parecchi i direttori che temono d’annoiare il lettore con i problemi che l’amara realtà del dopoguerra propone in abbondanza e quotidianamente, un po’ perché si scopre che il disimpegno paga in termini di tiratura, il nostro l’ebdomadario si avvia verso la strada dell’evasione. Scrive Benedetti: “Diventa coloritura eccessiva, mondanità, passatempo, uno strumento per non affrontare i problemi, per convincersi e convincere che la realtà sia diversa da quella che è”. Inviato della Stampa pensando al giornale ideale Questa è la ragione per la quale, il giornalista non ha alcun rimpianto nell’abbandonare il settore per sperimentarsi nel giornalismo quotidiano dove riveste il ruolo d’inviato speciale per Stampa di De Benedetti. Lavorando per il giornale di Torino, il lucchese non aveva rinunciato ad un eventuale ritorno al settimanale. Riesaminando il periodo che aveva trascorso nel mondo delle riviste egli giudica positivamente l’esperienza ed individua i temi del giornale ideale che un giorno forse avrebbe fatto; le grandi inchieste, le indagini di costume che avevano reso celebre l’Europeo dei primi anni, il dietro le quinte di certe mondanità milanesi e romane, la precarietà e lo squallore che si nascondevano dietro a quella che era chiamata la dolce vita. Poiché aborriva le metropoli, avrebbe voluto tornarsene in Toscana. Ma era vivo in lui il desiderio “di fermare una realtà non quietamente al tavolino, nella pace dello studio” ma lavorando in equipe “utilizzando parole altrui, facendole sue in una specie d’eterogenea composizione”. In questa inquietudine fecero breccia, durante un dopocena in casa di Eugenio Scalfari, le parole di Franco Libonati, esponente del partito radicale. “Bisogna fare un giornale”. Per i requisiti politici, il finanziatore ideale di quel foglio fu individuato in Adriano Olivetti, il quale si dichiarò disposto a patrocinare l’iniziativa ma rivelò che le sue disponibilità avrebbero potuto sopportare solo la metà dell’oneroso impegno. Per l’altra parte bisognava trovare un socio. Questi fu riconosciuto (siamo nel 1954) in Enrico Mattei. Ma bastò poco a Benedetti e a Scalfari per capire che se nel primo avevano trovato un amico disposto a finanziarli, nell’altro avrebbero avuto un alleato sì, ma troppo coinvolto in grossi giuochi che avrebbero potuto limitasegue 27 (31) Arrigo Benedetti Roma 1956. Arrigo Benedetti al suo tavolo di lavoro nella redazione dell’Espresso. Da sinistra: Enzo Forcella, Luigi Pintor, Enrico Mattei, Angelo Gallotti; Eugenio Scalfari, Domenico Bartoli. re l’autonomia del giornale. Il progetto fu ridimensionato e nel 1955 nacque l’Espresso (che assorbì il settimanale Cronache con la sua redazione) sostenuto oltre che da Olivetti, da Carlo Caracciolo, Roberto Tumminelli, Riccardo Musatti e Geno Pampaloni. L’intento di Benedetti era di “fare un giornale che interessasse quella classe politica generale che è poi la classe dirigente e che nello stesso tempo non è conformista”; “elaborare uno stile oggettivo e nell’insieme ricco di motivi morali”; “condensare l’offensiva nei settori della politica, dell’economia e dei problemi sociali”. Voleva fare in sostanza un giornale che fosse indispensabile alla classe dirigente italiana affinché questa non indulgesse nei suoi vizi tradizionali, nelle sue abitudini comode, per stimolarla, per contraddirla e per farla magari soffrire. dello stesso Benedetti, quella di Borsanti e il figlio di Ugo La Malfa. Mario Pannunzio con il Mondo aveva individuato i presupposti d’un’azione rinnovatrice della politica italiana. Assumendone la direzione nel 1969, in un momento di massima crisi della nostra società, Benedetti crede opportuno di mettere sotto gli occhi del paese la realtà nella sua concretezza: la mancata riforma dello Stato da parte del centrosinistra, la difesa della legge Fortuna-Baslini, la necessità dell’abolizione del Concordato, la lotta contro l’ipotesi d’una repubblica conciliare con Dc e Pci. Nel frattempo (e siamo nel 1972), il giornale passa di mano: Gianni Mazzocchi lo vende alla Rizzoli che decide di trasferirne la redazione a Roma. Benedetti si rifiuta di traslocare nella capitale e con il primo numero del 1973 lascia la direzione. “Questa volta” assicura “mi ritiro sul serio” e prende a scrivere per la terza pagina del Corriere della Sera. Il 30 agosto 1974 è colpito da un terribile lutto: il figlio Alberto di 31 anni muore durante una immersione subacquea nel mare della Sardegna. Il 15 settembre il giornalista manda al Corriere un elzeviro sulla circostanza dal titolo “Cos’è un figlio”. Il pezzo è accompagnato da un biglietto diretto a Barbiellini Amidei. “Caro Gaspare, ti mando codesto elzeviro. È molto personale sebbene cerchi di dire agli altri cos’è un figlio quindi giudica tu se può andare nella prossima settimana. È un po’ lungo, però ogni parola esprime qualcosa di Alberto e di me. Grazie di tutto. Affettuosamente. Arrigo”. L’articolo è accolto in redazione con il timore che il recentissimo lutto abbia potuto aver logorato nel suo autore il freno del pudore così sempre vigile lui. Ma la lettura dissolve preoccupazione e disagio. Come scrisse più tardi Cassola (quando il pezzo divenne un romanzo pubblicato postumo), Benedetti “tenne per sé lo strazio offrendo agli altri una meditazione sulla sua vita”. L’Espresso fa irruzione nel conformismo generale Nel conformismo generale di quegli anni, il lucchese avvertiva “una certa mollezza nel giornalismo italiano, un certo inclinare verso la complicità” mentre si sentiva nell’uomo politico “una tracotanza nuova, quasi che, cosciente della propria supremazia, fosse disposto ad esercitarla quando necessario su quel giullare del suo amico giornalista”. Sembra uno spaccato della società di oggi. È con queste premesse che vede la luce l’Espresso. Il settimanale rispetta il programma che gli ha imposto il suo direttore. Ne fanno fede le inchieste sulle aeree fabbricabili, sulla mafia in Sicilia, sulla crisi della famiglia italiana, sulla legge Merlin, sulle sofisticazioni alimentari, sulla Curia vaticana, sulla paralisi dei partiti di centro legati a interessi particolari, sulla necessità d’un legame tra cattolici e socialisti. Qualcuna di queste indagini porta Benedetti in tribunale. In qualche processo egli è condannato ma ne esce vincitore dal punto di vista morale. Nel 1963, non si è mai saputo bene per quale ragione (forse per stanchezza), il giornalista lascia l’Espresso e si dedica alla sua antica passione: la narrativa. L’anno successivo esce Il passo dei Longobardi. Seguono L’Esplosione (1966) e Il ballo angelico (1967). Nell’ottobre del 1969 non è la nostalgia per il giornalismo attivo a strappare Benedetti alla sua passione letteraria (nel 1970 pubblica Gli occhi) bensì l’impegno a continuare la battaglia civile del suo fraterno amico Mario Pannunzio, che è morto nel 1966. Egli risuscita Il Mondo, che in segno di rispetto verso l’indimenticato sodale, riprende dal numero ottocentonovantre. Il giornale, stampato a Firenze, ha quale editore Gianni Mazzocchi. C’è, naturalmente, una certa qual differenza tra l’Europeo, L’Espresso, e il Mondo: i primi due erano settimanali d’attualità, mentre il Mondo, è una rivista politico letteraria. Benedetti vi mette lo stesso impegno organizzativo che aveva esplicato nel fare le due riviste prestigiose. Scrive: “Tutte le volte che ho fatto un giornale ho chiuso gli occhi come quando si affronta un rischio. In questi casi bisogna abbandonarsi”. Il settimanale ha una redazione che riunisce più generazioni di giornalisti ed ospita figli d’illustri collaboratori. Con Carlo Cassola, Ennio Flaiano, Manlio Cancogni e Mario Tobino, lavorano il figlio di Giorgio Granata, la figlia 28 (32) Con l’iscrizione al Pci sconcerta l’establishment Il lutto non spegne in lui la voglia di scrivere. Nell’anno 1974 manda alle stampe Rosso al vento. L’anno successivo sconcerta l’establishment della sinistra moderata annunciando la sua iscrizione al partito comunista. A chi gli fa rilevare una certa contraddizione tra il suo liberalismo e il comunismo replica: “Un liberale italiano che deve cambiare partito approda facilmente al partito comunista che in fondo ha la stessa matrice culturale”. Nasce sul rapido Milano-Roma l’avventura di Paese Sera Benedetti non finisce ancora di sorprendere. Nel mese di novembre del 1975, viaggiando sul rapido Milano-Roma s’imbatte in due esponenti del partito comunista. Sono Gerardo Chiaromonte e Gianni Cervetti. Dopo aver chiacchierato di giornali, i due uomini politici gli chiedono: “Benedetti, lei farebbe il direttore di Paese Sera? Il giornalista risponde senza indugio:”Sì”. Raccontando questa vicenda dirà più tardi:” Temo che mi abbiano dato una fregatura”. L’anno prima il giornalista aveva subìto un’operazione al rene. La moglie gli ricordò quanto fosse faticosa la vita nel quotidiano specialmente per uno come lui, ormai sessantacinquenne, che era reduce da un’intervento molto delicato. Ma l’uomo, che appariva rinvigorito, rispose: “Alla mia età o si è morti o si è vivi”. Nella redazione del quotidiano comunista romano, Benedetti ritrovò la verve e la creatività degli anni del dopoguerra. Lo si poteva vedere spesso con le forbici in mano intento a “scorciare” lunghi pezzi di agenzia o “articolesse”, sospinto anche dalla sfida che gli aveva lanciato il suo antico discepolo Eugenio Scalfari che il 14 gennaio 1976 aveva mandato in edicola Repubblica. Un segno del totale impegno che egli mette nel confezionare Paese Sera è la compilazione d’un decalogo diretto ai suoi redattori e che il lettore di quest’articolo potrà trovare contornato a parte. Purtroppo il fervore che lo coinvolge nel defaticante lavoro che richiede la direzione d’un quotidiano non è sostenuto da una salute adeguata. Ricoverato in ospedale, egli si spegne il 26 ottobre 1976 a sessantasei anni. Usciranno postumi ancora due suoi libri: Cos’è un figlio (1977) e Diario di campagna.(1977). L’editore Gianni Mazzocchi con Alberto Moravia e Arrigo Benedetti, allora direttore dell’Europeo ORDINE 1 2005 RICONOSCIUTO IL CREDITO ATTRAVERSO LO SPORTELLO LEGALE DELL’ORDINE DI MILANO Articoli non retribuiti secondo Tariffario: “Il Mattino” condannato a pagare di Annamaria Delle Torri Giornalista non pagato secondo il Tariffario del Cnog, editore condannato. La sentenza è stata pronunciata recentemente dal magistrato milanese al quale si è rivolta la collega O.G. che ha chiamato in causa con l’assistenza dell’avvocato Luisella Nicosia di Milano - Il Mattino di Napoli per una serie di articoli commissionati (in larga parte pubblicati) e mai retribuiti prima dell’avvio della contestazione legale. L’editore del quotidiano partenopeo, in forza della decisione del giudice, ha così dovuto provvedere al pagamento delle somme dovute alla giornalista con l’aggravio degli interessi legali maturati sulla somma debitoria e delle spese procedurali. Ma vediamo come sono andate le cose. Dopo aver lavorato per Il Mattino di Napoli (edito dalla Società-Edizioni Meridionali SpA), mai essendo stato fissato nel quantum il compenso da riconoscerle per ogni singolo servizio pubblicato, la giornalista O.G. decideva, rivolgendosi al servizio di patrocinio legale fornito gratuitamente ai propri iscritti dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, di agire giudizialmente con un ricorso per decreto ingiuntivo, a fondamento del quale produceva copia degli articoli scritti, la propria notula e il parere di congruità rilasciato dal presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Nel caso di specie, si trattava di 10 servizi (8 dei quali regolarmente pubblicati e 2 commissionati dall’editore, puntualmente consegnati nei tempi pattuiti e non pubblicati per successive diverse scelte editoriali del quotidiano al quale erano stati diretti). A titolo di prova la ricorrente allegava, come s’è detto, le copie dei giornali contenenti gli articoli pubblicati, le copie degli articoli consegnati e non pubblicati e copia di corrispondenza, intercorsa con l’editore, dalla quale emergeva la richiesta del lavoro eseguito (per quanto riguardava il non pubblicato). Sulla base del parere di congruità rilasciatole dall’Ordine, O.G. aveva ottenuto dal giudice di pace di Milano l’emissione di un decreto ingiuntivo per la somma di euro 2.520,31, oltre all’attribuzione degli interessi legali e delle spese. All’ingiunzione, la società editrice, accampando un preteso accordo intervenuto anteriormente alla commissione dei servizi, aveva proposto opposizione, contestando la legittimità del decreto ingiuntivo, chiedendone la conseguente revoca per avere la società, all’atto del ricevimento della lettera di contestazione del legale, pagato una minima e parzialissima somma che pretestuosamente aveva indicato come quella globalmente concordata, non solo invocando nel caso di specie la non applicabilità delle tariffe professionali per il preteso accordo tra le parti (in realtà mai stabilito) ma anche contestando l’ordine di realizzazione dei due servizi successivamente non pubblicati. In sostanza, la ricorrente, ritualmente costituitasi, assumendo di aver già dato la prova della corretta esecuzione delle prestazioni e quindi di aver già ampiamente assolto il proprio onere probatorio, contestava la sussistenza di qualsivoglia preteso accordo sul quantum, attribuendo alla controparte l’onere di provare il contrario. A questo punto, il giudice concedeva la provvisoria esecuzione del decreto e, pur avendo ripetutamente invitato le parti a una conciliazione, doveva dare atto del fallimento di ogni composizione bonaria, per la stessa mancata comparizione del legale rappresentante della società editrice. All’esito della fase istruttoria, emergeva la totale infondatezza dell’eccezione della società opponente, essendo ampiamente risultato come le parti, prima della commissione dei servizi, avessero solo concordato gli argomenti più interessanti per la pubblicazione, senza in alcun modo mai definire l’entità del compenso da riconoscere per la prestazione della giornalista. A conclusione del giudizio, il giudice di pace di Milano confermava il decreto ingiuntivo opposto, dichiarando infondata l’opposizione della società editrice e, conseguentemente, respingendola “non essendo intercorso tra le parti alcun accordo sull’importo da corrispondere alla sig.ra O.G. per l’attività professionale svolta e pertanto facendo fede le tariffe professionali, liquidate dal competente Ordine professionale, in base al quale l’opposta ha inviato la propria nota e, in mancanza di pagamento, ha richiesto il decreto ingiuntivo per cui è causa” (sent. n. 5399/04 del 04.05.2004 GdP Milano). La sentenza del giudice di pace, se ancora ve ne fosse stato bisogno, conferma, dunque, la validità che possono avere oggi per un professionista, che svolge attività giornalistica in modo autonomo, le tariffe professionali approvate annualmente dall’Ordine nazionale dei giornalisti e alle quali l’Ordine stesso invita sempre a riportarsi per concordare il giusto ed equo compenso. E questo nonostante i dubbi sollevati in alcune circostanze (posto che non sempre risulta di facile applicazione, all’atto pratico, il ricorso a tali parametri tariffari) sulla liceità delle cifre fornite dall’Ordine professionale che potrebbero essere disattese - secondo talune errate ipotesi - avendo esse solo valore indicativo di massima. Non è così, purché, però, ricorrano le condizioni di legge. Il nostro ordinamento, infatti, risulta chiaro in proposito. Precisa che al di là delle volontà delle parti, fanno fede le tariffe approvate dagli Ordini professionali competenti (art. 2225 c.c.) e che il compenso va stabilito dal giudice tenendo conto, appunto, di quelle indicazioni. Ma, attenzione, esiste un’unica possibilità di derogare da questa regola: ed è quando le parti (l’editore o il giornalista) riescano a dimostrare di aver concluso un accordo diretto e di avere determinato un certo compenso per ogni prestazione (ancorché inferiore alle tariffe dell’Ordine). Partendo da queste premesse, è bene sgombrare il campo da ogni altra pericolosa e diversa interpretazione. L’argomento risulta di particolare interesse proprio per i giornalisti, per i quali, in molti casi, non risultano essere stati conclusi accordi diretti (editore-collaboratore), sul quantum da corrispondere a titolo di compenso per la prestazione professionale richiesta e concessa. Ricorrendo questa ipotesi, il professionista - come nel caso descritto - può ottenere, dal competente Ordine, parere di congruità sulla propria nota di compenso, stilata tenendo conto delle tariffe in vigore; e può successivamente agire in giudizio per il riconoscimento giudiziale di quanto dovutogli, in via preferenziale richiedendo al giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo, dando in tal modo luogo a un procedimento sommario più veloce. Va però precisato che la parte ingiunta ha sempre facoltà di proporre opposizione, nei quaranta giorni successivi alla notifica, al fine di instaurare un giudizio ordinario di cognizione, nell’ambito del quale il giudice ha modo di accertare, nel merito, l’effettiva fondatezza del credito azionato e la validità delle eventuali eccezioni e contestazioni sollevate a propria difesa dalla società debitrice. Si tratta di “episodi” molto frequenti e di procedure alquanto diffuse nella pratica giudiziaria riferita a vertenze come quella citata. E le pronunce del giudice sono ugualmente numerose e tali da dare corpo a una copiosa giurisprudenza. DAL SETTIMANALE INTERNAZIONALE 556 DEL 10 SETTEMBRE 2004 Le gaffes dei giornali. Quando un titolo o una didascalia stroncano una carriera David Randall È difficile mettere in imbarazzo un giornalista, ma la settimana scorsa uno dei redattori del mio giornale c'è riuscito. E alcuni di noi; di solito considerati totalmente insensibili da mogli e compagne, non hanno più smesso di arrossire. Tutto è successo, come sempre, nel modo più improbabile. Il nostro corrispondente da Berlino ci ha inviato un articolo sui lavori di restauro dello stadio olimpico della città, costruito nel 1936, e ha citato il fatto che proprio lì Jesse Owens conquistò quattro medaglie d'oro. L'ho passato ai grafici, e l'articolo è stato impaginato e rivisto dai correttori. Tutto come al solito. Poi, a tarda notte, un redattore alla ricerca di qualcosa da fare ha deciso di "migliorare" il pezzo, e così sul giornale è uscito che “la velocista Jesse Owens conquistò quattro medaglie d'oro”: la maggior parte dei nostri lettori avrà pensato che secondo noi Jesse Owens era una donna. Inutile dire che non è così. Ma questo ha portato alcuni dei miei colleghi a discutere sugli errori commessi dai giornali e, siccome ci sono ben poche cose che consolano quanto le gaffe degli altri, ho pensato di rallegrare un po' questi giorni di fine estate scegliendo qualche altro esempio. ORDINE 1 2005 Didascalie impazzite. Alcuni degli errori più spettacolari riguardano le fotografie. L'anno scorso il Newbury Weekly News, un giornale locale del sud dell'Inghilterra, ha dovuto ritirare dalle edicole tutte le copie perché un articolo su un prete accusato di usare pornografia infantile era accompagnato dalla foto di un altro religioso assolutamente irreprensibile. Immagini poco familiari possono facilmente creare equivoci, come provano le scuse pubblicate una volta negli Stati Uniti dal Pasack Valley Communíty Life: "Nel numero della scorsa settimana, sotto una foto apparivano i nomi di alcuni piatti insoliti serviti a una festa della Westwood Library. La studentessa Mai Thai Finn era al centro della fotografia e per errore il suo nome è stato elencato tra le specialità del menù". A questo proposito, il mio giornale ha commesso la sua gaffe peggiore una volta che voleva inserire in un articolo una foto di Gandhi. Purtroppo, l'immagine pubblicata non era quella del grande leader ma dell'attore Ben Kingsley che l'ha impersonato in un film. Per citare un errore di quelli che ti lasciano col cuore in gola e ti fanno dire "grazie al cielo non l'ho commesso io", bisogna però pensare allo scozzese Southern Reporter. A provocare questo particolare incidente fu la sconsiderata abitudine dell'im- paginatore di scrivere alcune battute scherzose al posto delle didascalie, presumendo che un collega della redazione le avrebbe sostituite prima che la pagina andasse in stampa. In quel caso non accadde. La foto ritraeva un gruppo di persone che partecipavano a una cerimonia tradizionale scozzese e sotto c'era scritto: "Chi sono questi coglioni? Che diavolo sta succedendo in questa fotografia? Per la sua sanità mentale la gente dovrebbe uscire più spesso". Fine di una carriera. Poi ci sono le idiozie di quelli che scrivono i titoli. Alcune derivano dal fatto che l'autore non si rende conto di tutte le implicazioni delle parole che usa: "L'evaso con una gamba sola è ancora in fuga" -The Australian; "L'uomo affogato nel Tamigi aveva bevuto" - Reading Chronicle; e "Scomparsa la donna più magra dell'anno" - DailyMail. Altre tradiscono un'abilità quasi sovrumana nell'affermare l'ovvio: “Festa interrotta dopo l'assassinio di una donna”- Mooresville Tribune, North Carolina; e “Alcuni adolescenti assumono un'aria di sfida”- The Washington Post. Ma in generale gli errori di redazione sono molto meno comuni di quelli dei giornalisti, la maggior parte dei quali non arrivano mai ai lettori perché i revisori li vedono prima. A volte è impossibile individuarli, come capitò in un caso anche al New York Times, che pubblicò una frase con ben cinque errori: un esempio di pessimo giornalismo. Esilarante rettifica. In questo campo, la mia gaffe preferita è la rettifica pubblicata a Newcastle, nel nord dell'Inghilterra, a proposito di un articolo su una donna morta a causa di una malattia rara. Diceva: "Vorremmo precisare che non andò dal suo medico perché aveva una macchia sulla gamba e lui non le prescrisse un antidolorifico. Non tornò dal dottore per una seconda visita né fu ricoverata in ospedale il 26 ottobre. Non fu portata di corsa in sala operatoria e la sua morte non fu dovuta a un collasso degli organi. Inoltre, suo padre ha 45 anni, non 52 come abbiamo affermato, sua madre 46, non 50, e sua sorella 26 e non 27". Per concludere, vorrei citare la più esilarante rettifica nella storia del giornalismo. È stata pubblicata dal Boston Globe: "Nella nostra recensione della settimana scorsa, alcune affermazioni fatte da Gatto Silvestro sono state erroneamente attribuite a Duffy Duck" ------------------David Randall è senior editor e columnist del settimanale Independent on Sunday di Londra. Ha scritto The universal journalist, che sarà pubblicato in Italia da Laterza. 29 (33) “IL GIORNALE ERA DON ANDREA E DON SPADA ERA L’ECO” M E M O R I A Don Andrea Spada in una foto dell’archivio dell’Ordine di Milano. Don Andrea svolse il suo ministero di cappellano su una nave ospedale e sui sommergibili dove era imbarcato negli anni '40 . Qui è a colloquio con una crocerossina. Celebrando i funerali di monsignor Andrea Spada, sacerdote, giornalista, direttore de L’ Eco di Bergamo per 51 anni (morto l’1 dicembre scorso), il vescovo mons. Roberto Amadei ha detto: “la sua vivace e penetrante intelligenza, la ricchezza del suo cuore, la chiarezza della sua arte nello scrivere, sono sempre state a servizio della speranza del Signore: aiutare gli abitanti di questa amata terra a conoscersi nelle diverse ricchezze e povertà, a dialogare costruttivamente, a tentare di non subire gli eventi ma a gestirli per il bene del comune cammino; a mantenere mente e cuore aperti al di là dei limitati confini provinciali; interpretando con speranza la convulsa storia del secolo scorso. Con speranza, perché nella cronaca quotidiana non vi leggeva esclusivamente il negativo, ma vi scorgeva e tentava di far scoprire a tutti i molti semi di bene”. Don Andrea Giornalismo come missione Spada di Sergio Borsi Ho citato in apertura un passo dell’omelia del vescovo di Bergamo perché Andrea Spada è stato anzitutto un sacerdote al quale è stato affidato il compito di evangelizzare con lo scritto, attraverso uno strumento di straordinaria efficacia, quale appunto è il giornale quotidiano. E per questa missione ha profuso tutte le sue energie, difendendo coraggiosamente L’Eco di fronte a quanti non hanno capito la sua ragione d’essere, proteggendolo di fronte ai molti nemici nel corso di mezzo secolo di direzione, aiutandolo a vivere quando mancavano i soldi per stamparlo, facendolo crescere con assoluta determinazione in mezzo alla gente e affermandolo per autorevolezza. Io penso che il grande merito di monsignor Spada non vada ricercato solo nei suoi 51 anni di direzione (1938-1989). Senza andare troppo lontano da Bergamo, cioè a Brescia, abbiamo il direttore, laico e non sacerdote, del quotidiano provinciale che sta segnando significativi primati. Ciò che ritengo rilevante è l’interpretazione del giornalismo, della professione come missione. “Fin dall’inizio della sua missione – cito sempre il vescovo Amadei – ha chiesto ai suoi collaboratori di coltivare un cuore capace di lasciarsi illuminare dalla gioia di ognuno”. Certo sono valori che si possono trovare solo nelle realtà locali, dove la conoscenza è quasi personale, il contatto umano è quotidiano, il volgere della vita è seguito passo dopo passo e pertanto è più facile cogliere tutte le tensioni e i sussulti della comunità. Don Spada è stato interprete magistrale di tutto questo e ha insegnato ai suoi successori a essere attenti osservatori della vita della gente, collocandosi allo stesso livello per vedere più da vicino. “Il monumento vero sarà il suo giornale se riuscirà a custodire e sviluppare l’anima che gli ha dato”, conclude l’omelia del Vescovo. Uno “scalvino” non poteva mai rassegnarsi e cedere È diventato in pochi mesi giornalista professionista e direttore. Correva l’anno 1938. Il Novecento è stato un secolo terribile con due guerre, grandi crisi, distruzioni, migliaia di morti, genocidi, carestie. Solo sul finire abbiamo registrato i primi consistenti segni di crescita. In un secolo così complesso e carico di contraddizioni è facile immaginare quanto difficile fosse dirigere un giornale. Ma il progetto di Spada è sempre stato quello: servire, evangelizzare, comunicare, aiutare a crescere. Ad un certo punto, credo a metà degli anni ’60, il Papa di quel tempo, Paolo VI, chiese a tutti i quotidiani cattolici di sospendere le loro pubblicazioni e far convergere i loro sforzi per la nascita e l’affermazione di un solo grande quotidiano cattolico a diffusione nazionale. Così, uno dopo l’altro, chiusero l’Italia, l’Avvenire d’Italia, il Quotidiano, il Cittadino e forse altri ancora. L’unico che continuò le sue pubblicazioni fu L’Eco di Bergamo. Non per disobbedienza, ma per la convinzione radicata che fosse assai più efficace sul territorio la presenza di giornali a diffusione provinciale, ben strutturati, economicamente autosufficienti. Certo era un’impresa difficile, ma non impossibile. Don Spada è nato a Schilpario, in valle di Scalve. Tempra montanara, ma non solo: abituata a soffrire, a rinunciare, ad accontentarsi di poco per vivere. In quel piccolo paese ci si arriva 30 (34) percorrendo la “via mala”, tanto per intenderci. Immaginate se uno “scalvino” avrebbe mai potuto rassegnarsi e cedere, dichiararsi sconfitto e ritirarsi. Mai e poi mai. Così, stringendo i denti e talvolta asciugandosi le lacrime, don Andrea è andato avanti per consegnare il giornale, più forte che mai, nelle mani dei suoi successori. Un pizzico di umanità, una certa sensibilità Giustamente Vittorio Feltri, che dell’Eco è stato redattore, ha scritto: “Il giornale si è rinnovato, ha cambiato veste, ma sotto sotto è rimasto la creatura del nostro vecchio maestro, prete fino al midollo e direttore ruvido e severo. Difficile mutare un foglio impastato con la vita stessa di un uomo importante; non a tutti piaceva ma tutti lo stimavano”. Le autorità civili di Bergamo hanno detto “ha fatto la storia di questa città”; monsignor Capovilla, segretario di Papa Roncalli, ha svelato che “era il consigliere di Giovanni XXIII”; i giornalisti e i collaboratori hanno raccontato centinaia di episodi curiosi e di aneddoti utili a rafforzare nei contorni la figura di questo direttore, dal carattere difficile, un esigente cesellatore di notizie e di commenti. “Non amava gli aggettivi – ricorda Franco Cattaneo che gli fu a fianco per alcuni anni – e nei titoli non voleva i verbi. Dai cronisti esigeva la capacità di farsi leggere e comprendere. Di andare subito al cuore della notizia. Chiedeva qualcosa di più rispetto agli standard: un pizzico di umanità, una certa sensibilità nel presentare le notizie. Pretendeva che i suoi giornalisti non fossero neutrali rispetto al mondo che li circondava e che dovevano raccontare”. “Esempio di giornalismo equilibrato, sobrio, attento interprete degli interessi dei lettori” ha scritto Ciampi nel messaggio di cordoglio. Ma lui, don Spada, cosa pensava del ruolo di un giornale, sempre difficile e complesso? Ecco cosa scrisse nell’estate del 1977: “Occorre vincere la tendenza che è tipica dei politici verso la loro stampa, cioè fare il giornale per i gerarchi e per gli iscritti. Il quotidiano fatto per il Papa, per i vescovi, per i preti, le monache, i cattolici impegnati che non ne hanno bisogno. Un quotidiano non deve pestar l’acqua nel proprio mortaio, ma inventare strumenti di penetrazione, ad extra. Una presenza cristiana. Ma per essere presenza vera ed efficace deve essere intelligente e discreta”. Quanti articoli ha scritto nella sua lunga attività professionale? Chi lo ha conosciuto e frequentato dice “almeno ottomila”. Molti dei suoi editoriali mantengono la loro attualità. La loro freschezza, il loro significato, da antologia. Una simbiosi perfetta, impossibile da separare Una direzione durata più di mezzo secolo è naturalmente stracolma di episodi, di comportamenti, di giudizi. Inutile tentare di ricordarli, neppure in ordine sparso. Si sa che un’azienda editoriale, sul modello di quelle che noi conosciamo, non riuscirebbe mai a garantire una direzione duratura nel tempo. Per monsignor Spada bisogna dire che la proprietà del giornale è sempre stata della curia vescovile di Bergamo e questo ha di molto facilitato il lungo, infinito cammino del nostro direttore. Anche se i vescovi che si sono succeduti alla guida della diocesi bergamasca avrebbero potuto decidere il cambio. Ma questo non fu possibile perché il giornale era don Andrea e don Spada era l’Eco. Una simbiosi perfetta, impossibile da separare. Anche rispetto ad altri sacerdoti-giornalisti nominati direttori di quotidiani. Franco Abruzzo al direttore e ai redattori dell’Eco di Bergamo: “Con don Andrea Spada, perdiamo il nostro decano e un simbolo alto della nostra professione. Voi, il Maestro e la Guida” Milano, 1 dicembre 2004. Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, appresa la notizia della scomparsa di don Andrea Spada, ha indirizzato un messaggio al direttore e ai redattori dell’Eco di Bergamo: “Con don Andrea Spada, perdiamo il nostro decano e un simbolo alto della nostra professione. Don Andrea, medaglia d’oro dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, ha agito sul fronte della professione per 67 anni, la sua direzione di 51 anni resterà un record insuperabile. L’Eco di Bergamo con lui è diventato un grande quotidiano, che ha saputo (e sa coniugare) l’attenzione per la propria provincia (la terra di Papa Giovanni XXIII), per la Lombardia, per l’Italia. So che il dolore è grande tra voi, colleghi dell’Eco. Avete perso il Maestro e la Guida. Un Uomo di straordinaria professionalità e di straordinaria moralità, Un esempio per noi tutti di dedizione al lavoro, vissuto come missione al servizio dei lettori. Oggi l’Albo è più povero”. ORDINE 1 2005 I P R O TA G O N I S T I “Pelle per pelle. Tutto quanto l’uomo possiede, è pronto a darlo per salvarsi la vita”. Con queste parole, nella Bibbia (Giobbe 2,4), Satana si rivolge a Dio. Oggetto della “contesa”, Giobbe, l’uomo di fede, che il demonio ha già, con il permesso del Signore, messo a durissima prova, privandolo prima di tutti gli averi e poi dei dieci, splendidi figli. “Consentimi di triturargli carne e ossa e sentirai che odore acre, con gemito di imprecazioni e bestemmie ne uscirà”. Ancora una volta, Dio acconsente. Ma la risposta di Giobbe è sempre la stessa: “Dio ha dato, Dio ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”. Il diavolo esce di scena. E Giobbe, l’uomo retto e timorato di Dio, sarà ricompensato: vivrà fino a centoquarant’anni, riceverà il doppio degli averi che gli erano stati tolti, avrà dieci, splendidi figli. Don Luigi Verzé di Patrizia Pedrazzini Pelle per pelle è il titolo dell’ultimo libro di don Luigi Verzé, il sacerdote che, nel 1971, diede corpo, fra Milano e Segrate, al primo nucleo del progetto al quale avrebbe dedicato tutta la vita: l’ospedale San Raffaele. Scritto con Giorgio Gandola, giornalista de il Giornale, di agile e piacevole lettura, racconta la storia di un uomo e del suo sogno. Ma si configura anche come uno spaccato di gran parte del nostro Novecento, dal primo dopoguerra ai tempi odierni. L’avventura di quello che, oggi, è uno dei primi dieci istituti del mondo prende avvio dalla nascita del suo fondatore, il 14 marzo 1920, a Illasi, paese della campagna veronese ai piedi della Lessinia. Famiglia ricca, quella del piccolo Luigi Verzé, di latifondisti, “cattolica, praticante, ma - anche per via delle beghe fondiarie - poco incline al bigottismo”. Quarto di sei figli, il bambino ha otto anni quando, giocando a nascondino con i fratelli, “si ritrova solo sulla scala che scende alla grande cantina. E lì, nel silenzio, avverte una voce che dice: Che importa all’uomo conquistare tutto il mondo se poi perde l’anima?”. È l’inizio. Nel ‘48, un anno dopo la laurea in Lettere classiche e filosofia, e nonostante l’aspra opposizione del padre, è ordinato sacerdote. Da questo momento il lettore viene condotto per mano attraverso una galleria di personaggi che hanno segnato, a vario titolo, la storia del secolo scorso. Don Giovanni Calabria, oggi santo, fondatore a Verona della “Congregazione dei poveri servi della Divina Provvidenza”, che un giorno, il 12 ottobre 1950, chiama don Verzé e così gli dice: “Và. È il Signore che ti manda. A Milano nascerà una grande opera che farà parlare di sé l’intera Europa”. Il cardinale Ildefonso Schuster, oggi beato, che cinquantadue anni fa, in una Milano disseminata di macerie, gli regala il crocifisso che san Carlo Borromeo pregava ogni minuto nei giorni della peste di manzoniana memoria: “Mettilo sul tuo tavolo Don Luigi Verzé con Giorgio Gandola, Pelle per pelle. L’avventura del San Raffaele raccontata dal suo fondatore, Mondadori, pagine 162, euro 16,00 L’avventura del San Raffaele raccontata dal suo fondatore quando avrai fatto l’ospedale”. L’arcivescovo Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, il quale da un lato lo sostiene e dall’altro lo frena, aprendogli “gli occhi su un certo atteggiamento ecclesiastico”, e che con queste parole, alla fine del 1961, tenta di dissuaderlo: “A Milano, chiunque metta in piedi una pompa di benzina cava i soldi facilmente. Sono cose buone, ma sono laiche. Come laica è l’opera che lei sta realizzando. Torni a Verona a fare il buon prete”. Fidel Castro, che don Verzé incontra nel marzo del ‘92, offrendogli in dono spaghetti, pomodori, vino Recioto e olio del suo monte Tabor, nel Veronese, perché “adorava il cibo italiano”. “Finché una mattina, nella posta, don Luigi non trova una busta proveniente da Cuba. Dentro c’è una foto, soltanto una foto: mostra il dittatore nella cattedrale dell’Avana. Lui che non era mai entrato in una chiesa, e che quest’accusa se l’era vista agitare davanti al volto da don Luigi, sta guardando il crocifisso. E sorride”. Muhammar Gheddafi, che - è il 1997 - lo riceve in una tenda nel deserto libico e che gli appare “come un profeta”. E poi padre Agostino Gemelli e Bettino Craxi, Francesco Saverio Borrelli e madre Teresa di Calcutta, don Luigi Giussani e Silvio Berlusconi, Enrico Mattei e Palmiro Togliatti. In un continuo oscillare fra sacro e profano, fra misticismo e pragmatismo, fra diplomazia a spregiudicatezza. Sempre all’inseguimento di quel sogno, il San Raffaele (che, una volta realizzato, diverrà un modello da esportare nel mondo: in Brasile, Cile, Polonia, Cina, India, Israele, Uganda, Nicaragua, Mozambico). Sempre inseguito da quel sospetto: ma dove li va a prendere i soldi? “Don Verzé, si ricordi che non sono i soldi i fare le idee, ma le idee a fare i soldi”, gli aveva detto - era la metà degli anni Cinquanta - l’allora ragioniere capo del Bilancio al Comune di Milano, Giuseppe Paris. Oggi, questo sacerdote che non senza malignità molti definiscono “prete manager” (“Perché no? Dio è il più grande manager che conosciamo. Ha fabbricato il mondo e noi stessi”), così dice: “Quanto ai soldi, io so- no inetto a chiedere. Ma coltivo le idee e la loro capacità di calamitare le risorse necessarie”. Oggi don Luigi Verzé ha 84 anni, alle spalle due infarti e una vita piena di avventure, non sempre dall’esito positivo, come quando, alla fine del ‘98, la decisa opposizione dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi lo costringe a vendere il San Raffaele di Roma. Una vita comunque ricca, che il libro dipinge nel suo alternarsi di successi e di persecuzioni, di riconoscimenti e di condanne, di critiche e di consensi. Ma, sempre, di coraggio e di fede. È il 16 giugno del 1961 quando, per la prima volta, va a vedere, alla periferia est della città, oltre via Palmanova e il Parco Lambro, quell’immensa marcita-risaia di proprietà del conte Leonardo Bonzi sulla quale sarebbero sorti uno dei più moderni ospedali e uno dei centri di ricerca più avanzati del mondo: “Il silenzio era immenso, solenne e desolato. C’erano acquitrini a perdita d’occhio, qualche cascinale, stalle, concimaie, filari di pioppi. Pensai a quella risaia piena di rane come alla metafora di un’umanità abbandonata, in attesa di Dio che guarisce, Refa-El in aramaico”. “Pelle per pelle: la vita di Dio contro la mia vita e la mia vita contro la tua: è l’eroismo che io chiedo ai medici e agli infermieri. Ed è l’alto valore della dignità umana nella sofferenza. Un impegno che si è trasformato in imperativo un giorno, al capezzale di un ragazzo malato di Aids. Qui finalmente - mi disse - posso morire vivo”. Un’autobiografia, dunque, ma non solo. C’è un capitolo, nel libro, il quattordicesimo, riservato a quello che ha tutte le caratteristiche di un testamento spirituale. “Della mia vita poco mi importa. Del raccontarla in un libro ancora meno. Ma questo voglio che resti, perché in queste quattro pagine c’è l’essenza del mio pensiero. E c’è la strada indicata dal mio cammino”. Si chiama “Dieci pensieri per il prossimo Papa”, perché “se io, Verzé, fossi stato papa al posto di Wojtyla, avrei fatto le stessissime cose che lui ha fatto”, ma adesso “va guardata in faccia la nuova terra, dove Wojtyla ci ha traghettati”. L’INTERVISTA “Non potrò dirmi soddisfatto finché esisterà un solo uomo malato sulla terra. Non è un’utopia, è il contenuto della mia vita e il viatico che lascio ai Sigilli, quelli che dopo di me continueranno il San Raffaele”. Sono trascorsi esattamente 33 anni da quando - era il 31 ottobre 1971 - il primo paziente fece il suo ingresso al San Raffaele. Oggi questo ospedale è uno dei primi dieci istituti del mondo. Ma don Luigi Verzé non ha ancora imparato a fermarsi, perché, come dice nel libro, “quando vedo una cosa da fare, ritengo che debba essere fatta subito. E finché non arrivo a quaranta Sigilli, io da questa vita non mi muovo”. I “Sigilli” sono i suoi collaboratori più stretti, quelli che hanno il compito di gestire l’Opera nei quattro continenti. “Pelle per pelle”: nella Bibbia sono parole di Satana. Non è singolare, don Verzé, che proprio una frase del demonio dia il titolo a un libro che parla della vita di un sacerdote e della realizzazione di un sogno, il San Raffaele, che, per quanto laico, è comunque ispirato al comando di Gesù: “Guarite gli infermi”? “La citazione del libro di Giobbe che ho voluto come titolo del libro non è una semplice provocazione letteraria. È la constatazione che non c’è nessun prezzo per la salute di un uomo: la mia vita per la tua. Tutto deve essere fatto per fare di un uomo malato un uomo sano. Occorre la capacità il volere, il ORDINE 1 2005 “La salute dell’uomo non ha prezzo” sacrificio del fare, la certezza di combattere per una causa giusta. Questa è la sfida della medicina sacerdozio che chiedo ogni giorno a me stesso prima di tutto, e ai miei collaboratori”. Nel libro, lei sostiene che il nuovo pontefice sarà chiamato ad affrontare problemi quali, fra gli altri, il celibato del clero, il conferimento dei sacramenti ai divorziati, l’uso di anticoncezionali, la procreazione assistita. “Non voglio nessuna rivoluzione. Sono un uomo della Chiesa che ama la Chiesa. Amo questo pontefice che considero l’icona vivente di Cristo, anche per la sofferenza che sta portando quotidianamente. Nel mio libro spero, mi auguro, che la Chiesa cammini sempre più affianco all’uomo. Non fredda magistra vitae, ma madre e sorella. Affrontare i temi citati vuol dire riaffermare il primato di Cristo fatto uomo che viene prima di ogni regola. Facciamo cultura sull’incarnazione. Solo così gli uomini possono capire precetti e regole che altrimenti saranno sempre più lontani”. Poche pagine prima, però, così definisce il cardinale di Milano Carlo Maria Martini: “È un uomo più prudenziale che coraggioso. Non è freddo, ma è statuario, dottrinario, scolastico. Non ha iniziative se non d’ordine. Dio lo aiuti”. Eppure, nel ‘99, il cardinal Martini non solo si era fatto sostenitore, al Sinodo dei vescovi d’Europa, di innovazioni analoghe, ma si era spinto a proporre la necessità di un nuovo Concilio Vaticano. Le sembra il comportamento prudenziale di un uomo d’ordine? “La frase si riferisce a un appunto del mio diario dopo il primo incontro con il cardinal Martini, poco dopo il suo insediamento nella diocesi di Milano. In seguito, ho avuto modo di constatare che Martini, oltre a fine uomo colto, era anche padre attento e vero uomo di Dio. Con lui ho sviluppato una grande amicizia che continua ancor oggi, pur nella lontananza”. Lei sostiene che “siamo circondati da manovali della politica” e che quest’ultima “dovrebbe recuperare l’insegnamento di Aristotele”. In che senso? “Purtroppo prevale la politica del fare, nel senso della politica del soddisfacimento di interessi particolari. Manca un disegno politico più ampio che curi gli interessi della polis. Non si vedono strategie, ma tattiche dettate dall’opportunità del momento. In questo mi pare si debba ricreare una nuova classe di politici con una nuova cultura dell’uomo. La nostra università Vita-Salute San Raffaele è impegnata su questo obiettivo”. Lei ha dimostrato di possedere uno spirito imprenditoriale tipico del milanese. Ma la sua nascita e la sua formazione sono venete. Quali caratteri della sua terra di origine le sono rimasti nel cuore? “Da mio padre credo di aver preso due caratteri fondamentali: la praticità del grande proprietario terriero abituato a gestire terreni, prodotti, collaboratori, e il senso della giustizia. E, ancora più forte, la percezione dell’ingiustizia: mio padre infatti era anche giudice di pace, a lui si rivolgevano per le piccole dispute relative ai terreni, alle eredità. Ancora oggi combatto con ogni mezzo ogni prevaricazione, ogni violenza, soprattutto se fatta a uno più debole”. 31 (35) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D Alessandro Rovinetti I democratici di sinistra e la comunicazione politica di Franz Foti Quando si vince una tornata elettorale, qualsiasi aspetto della campagna preparatoria, anche quello più marginale, s’ingigantisce per diventare comprimario della vittoria. Ma in questo volume, curato da Alessandro Rovinetti, diventa complicato scorgere motivi enfatici o autocelebrazioni. Come è stata costruita la vittoria di Sergio Cofferati alla carica di primo cittadino di Bologna? Tutto era stato preordinato accuratamente per risalire la china della sconfitta elettorale del ‘99, anno in cui un personaggio non molto conosciuto come Guazzaloca riesce a conquistare il Comune di Bologna. Personaggio che in questo lavoro non appare quasi mai, come se si volesse rimuovere un quadriennio di sofferenza, cancellare un periodo definito non a caso “gli anni grigi di Bologna”. Forse nell’opera di ricostruzione del percorso elettorale c’è molto di più. Si ritrova un partito, quello dei Ds, alla ricerca della sua anima. Quella che molti avevano smarrito e che nemmeno la città riusciva a rintracciare. E il segreto della ripresa di consenso da parte dei democra- tici di sinistra risiede proprio in questo caparbio quanto umile cammino di ricomposizione dell’anima. Trovando energia ed emozioni, accompagnandole con la precisione dei contenuti, della rifinitura di ogni particolare, senza mai dimenticare il valore primario della condivisione e del consenso attraverso cui qualsiasi forma partito deve misurarsi. Il risultato elettorale positivo dei Ds a Bologna misura appunto questa vicinanza emotiva con l’elettorato, l’aderenza dei contenuti ai bisogni reali dei cittadini bolognesi. Di questi momenti ne ho voluto parlare direttamente con Alessandro Rovinetti. Mi ha ripetutamente marcato la netta differenza con le campagne politiche del passato: “non abbiamo mai inteso voler convincere i cittadini. Ci siamo sempre attestati sulla rispondenza reale del messaggio, sulla coerenza delle proposte, sul bisogno di costruire insieme con tutte le componenti sociali i passaggi fondamentali della svolta”. Questa coerenza di progetto politico, unitamente alla “riappropriazione” dell’anima del partito, si riscontra in molti tratti del volume. Non a caso il primo atto della campagna Mauro Castelli Primi in Economia di Pilade del Buono «...Così nel 1992 incontrai il presentatore da Pierino, una trattoria di Pavia, e lì ci accordammo in men che non si dica. La cifra richiesta era onesta e ci trovammo contenti in due. Sta di fatto che quel legame sulla parola dura tuttora, a cachet però ben diversi, e risulta fra i più lunghi della storia degli spot televisivi...». È il racconto di un tormentone, anzi, del supertormentone per eccellenza, il racconto di un successo mediatico che da dodici anni ci fa sorridere, irradiato dalla scatola magica: lo troviamo a pagina 347 di Primi in Economia da poco in libreria (edizioni il Sole-24 Ore, pagine 433, 24 euro), a completamento del bel trittico di Mauro Castelli, modenese di Milano ex un mucchio di cose fra le quali la tolda di comando della caporedazione e della segreteria del Sole-24 Ore (dalla quale soleva tiranneggiare, traendone godimento, i colleghi), per non dire dei trascorsi giornalistici giovanili, sport e agenzia soprattutto. Protagonisti e interpreti del capitolo sono il presentatore 32 (36) Gerry Scotti e l’omonimo, celeberrimo e silente “dooottor Scotti” evocato - senza mai, appunto, che proferisca verbo - dal puntuale (e atteso) drindrin a chiusura di spot, in ode ai prodotti di una azienda quanto mai innovativa. Nel quale capitolo Ferdinando (scomparso lo scorso 22 febbraio) e Dario Scotti, presidente e amministratore delegato dell’impresa pavese, la Riso Scotti che fissa la sua ragione sociale all’esaltazione delle straordinarie facoltà del riso, documentano a Castelli la storia della società. Si parlerà di un’avventura iniziata nel lontano 1860, di mulini, di biciclette e di un mucchio di cose ancora (si sa come vanno le cose se chi ci sta di fronte indulge alle confidenze). Primi in Economia – Incontri ravvicinati con 41 imprenditori a prova di crisi, approda dopo Questa Italia siamo noi del 2000 e Numeri uno del 2002, ragion per cui dovremo attendere il 2006 per sapere se Castelli avrà optato per il poker. La formula, pur raffinata tomo dopo tomo, trova ispirazione da una idea elementare: scarpinare pazientemente per l’Italia – ora che l’autore finalmente può disporre del suo tempo –, e indagare, in- Gigi Padovani Nutella, un mito italiano di Michele Giordano Alessandro Rovinetti, I democratici di sinistra e la comunicazione politica, Editrice Moderna, euro 25,00 In pochissimi casi, da contarsi sulle dita di una mano, un prodotto commerciale assume nell’immaginario collettivo un ruolo che esula da ciò che è il prodotto stesso. Uno di quei casi, insomma, in cui il nome di quel prodotto noi giornalisti usiamo scriverlo con l’iniziale minuscola. Si potrebbe giungere ad affermare che citare quel prodotto non significa neppure più pubblicizzarlo, tanto è radicato nel linguaggio comune, quotidiano di ciascuno dei noi. Un confine, questo, da non perdere di vista, assai importante nella deontologia del giornalista. Il che, ovviamente, non significa che alle spalle di un marchio di questo genere non graviti una florida attività economica, anzi, tutt’altro: la cocacola, ad esempio, venduta ad ogni latitudine del globo, non è ormai radicata nel Dna di ogni americano (e magari anche europeo)? Il termine cocacola non lo si usa anche per esprimere certi modi di essere o di gestire il pianeta tipicamente americani? Stesso discorso, in piccolo (ma neppure tanto) per la nutella (e la scriviamo volutamente con la minuscola). A riprova di ciò (non ci sono libri sui pelati pinco pallino…) ecco un volume che della nutella (sottotitolo ‘un mito italiano’) è una sorta di summa. Lo ha scritto, per Rizzoli, Gigi Padovani, caposervizio de La Stampa in occasione della celebrazione del quarantesimo compleanno della dolce crema al cioccolato. E chi meglio di lui poteva farlo, essendo già autore di Gnam, storia sociale della nutella (Castelvecchi editore, Roma)? Per la cronaca, Padovani non ha scritto solo di nutella: è autore di seriosissimi volumi come La liberazione di Torino (Sperling & Kupfer) o L’Europa a due velocità (Stampatori editore). Del resto la nutella fornisce a Padovani il pretesto per tracciare uno spaccato dell’Italia dal 1964, anno di ‘fondazione’ della cremina, fino ai nostri giorni. Particolarmente interessante il quarto capitolo (1984-2004) che sottolinea come la nutella sia entrata nel mito anche attraverso il cinema: da Bianca (‘84) di Nanni Moretti, dove il protagonista Michele Apicella ne utilizza un barattolo formato totem, glorificandone il ruolo di alimento antinevrosi. E non va dimenticato che la nutella, che il semiologo Omar Calabrese ha definito “blob buono”, è assurta a opera dagare e continuare a indagare sul miracolo del capitalismo italiano, il capitalismo nazionale di successo sia chiaro, chiamando a raccolta un significativo drappello di imprenditori di fascia media, medio-alta ed alta, purché espressivi di una concreta realtà (e, va da sé, di un fatturato all’altezza). Detta così può sembrare una impresa da quattro soldi: bussare, farsi ricevere, mettere in azione il registratore, trascrivere e dare alle stampe. Ma da quattro soldi non è (se non si è padroni della materia) quando ci si imbatte in chi del riserbo ha fatto un baluardo, se non la regola prioritaria del comportamento, visto che non tutti han voglia sempre e comunque di parlare, sia pure delle proprie sacrosante vittorie. Ogni regola per fortuna ha la sua brava eccezione, e Castelli – che fra l’altro il registratore non l’usa proprio presenta un biglietto da visita quanto mai accattivante. Così Emilio Lavazza, Maurizio Cimbali, Lene Thun de Grabmayr e Miro Radici, al pari di altri che hanno la fama di essere avari di parole, non si sono rifiutati di offrire il loro saporito contributo. Questa volta, come il sommario del titolo indica, sono in 41 a rispondere all’appello (in verità il numero è superiore, concorrendo più voci a tracciare l’identikit di una certa griffe), e nessuno si è fatto pregare o ha posto vincoli. Un esempio?, vedere alla voce Matarrese. Le pagine dedicate alla famiglia Matarrese, «una grande famiglia, per questo chiacchie- rata e soprattutto invidiata», diventano una miniera di informazioni. La voce narrante è quella del cavaliere del lavoro Michele, figlio del cavaliere del lavoro Salvatore. Parla a nome della tribù: del fratello presidente del Bari calcio («nessuno in Italia ha mai retto per tanto tempo in questo ruolo»), del fratello deputato («cinque legislature filate e impegni da primo della classe in Lega, Uefa e Fifa»), del fratello vescovo («un diavolaccio da ragazzino, con il quale mi azzuffavo spesso» al quale viene affidata, ironia della sorte, la parte del diavolo in un melodramma per bambini), del cognato giudice-senatore («un magistrato integro prestato alla politica») nonché del consigliere regionale «enfant prodige della terza generazione» (senza escludere, ben s’intende, altri pezzi d’argenteria a completare il mosaico). E quando si arriva all’infinita, tormentata vicenda di Punta Perotti iniziata nel 1987, una storia – per amor di sintesi – di tribunali, di confische, di assoluzioni e di pronunce della quale l’ultimo atto non è – a oggi - andato in onda, Matarrese non si sottrae certo al confronto, trasformandosi anzi in un fiume in piena. Se il sogno recondito di ognuno è saper cementare l’hobby al lavoro, quanto a dire il dilettevole all’utile, matrimonio ahinoi riservato a pochi eletti, Primi in Economia di questi eletti fa raccolta. Privilegio (fra gli altri) accordato a un Mario Moretti Polegato, che approda alla Borsa con Geox, la “scarpa che respira” (dove geo indi- ca provocatoriamente la terra e x la tecnologia) per intuizione in occasione di una trasferta nel Nevada intesa a promuovere i vini di famiglia, e ad un Ezio Foppa Pedretti – capostipite protagonista di un prodigio della grande provincia –, che dall’età di «sei o sette anni si appartava in soffitta per inventarsi dei sorprendenti carrettini, con tanto di ruote ricavate dai tutoli delle pannocchie di granoturco. E che il nonno paterno Paolo, un falegname vecchio stile che costruiva di tutto un po’, dai carri agricoli ai mobili della casa e alle casse d’imballo, conservava come reliquie». Ecco dunque nascere la Foppapedretti Spa, un gran bel marchio che avrebbe alimentato l’”albero delle idee”: alzi la mano chi non ne ha sentito parlare, chi non ha in casa qualche oggetto, qualche manufatto studiato e perfezionato in provincia di Bergamo (dove, pur lavorando il legno, non si respirano polveri, prodigio della tecnica applicata alla ricerca, o viceversa). E anche i Foppa Pedretti sino ad oggi non avevano rincorso i giornalisti... Un diversivo, però, questa volta Castelli se l’è concesso. Un tocco, per così dire di internazionalità, quando, a fianco del profilo di emigranti che all’estero han fatto fortuna e in Italia son voluti comunque tornare spinti dall’affetto (e magari dalla rivincita), mette sotto cornice il gustoso ritratto del conte tedesco (di bell’aspetto) Anton Wolfgang von FaberCastell. Che con l’Italia, a guardare bene, c’entra relativamente, salvo per un piccolo politica per l’elezione a sindaco di Sergio Cofferati prevedeva un corso di comunicazione interno al partito. Rovinetti ha poi definito con molta chiarezza le tre fasi fondamentali della comunicazione politica: attrarre l’attenzione degli interlocutori, fornire elementi di riflessione, favorire la capacità di distinguere posizioni, proposte e contenuti. Naturalmente non poteva mancare un reale raffronto con le modalità di svolgimento delle campagne di comunicazione politica negli Stati Uniti d’America. Lo fa Cristian Vaccari, dello Iulm di Milano, che mette in campo molti concetti del marketing politico americano: come trattare il proprio prodotto politico, quello dei concorrenti e le attitudini del mercato. C’è persino la definizione minuziosa del piano della comunicazione politica, dove si stabilisce che al primo posto s’insedia il pubblico cui ci si rivolge. d’arte quando un gruppo di artisti emiliani e vagamente “warholiani” (Brocadello, Tetti, Baccilieri, Luccarini e Mantovi) allestì nel 1991 una mostra ferrarese dal titolo “Mistiche nutelle”. Esperienza bissata cinque anni dopo a Parigi con la mostra “Génération nutella”, ad opera di un nutrito (l’aggettivo non è casuale) gruppo di artisti francesi e nel 1999 grazie ad Eugenio Comencini (una sorta di moltiplicazione dei barattoli). Infine, nel 2003, l’artista napoletana Roxy in the Box (al secolo Rosaria Bosso) presentò al Lingotto di Torino un’opera dal titolo Femmenella (abbinando i sensuali femminielli alla altrettanto sensuale crema al cacao). Nutella viene utilizzata anche in scritti umoristici (Comix), in fantasiose cover musicali (canzoni di Dalla o Battisti ‘adattate’ alla nutella) e persino l’inno di Mameli è uscito in una versione ‘nutellizzata’ (“nutella d’Italia, l’Italia s’è desta”). Potremmo andare avanti per pagine e pagine, ricordando quanto nutella sia stata utilizzata nei più svariati campi dello scibile. Pur mantenendo, ovviamente, la cremina e, citando un brano della canzoncina di Renato Zero e Ivan Graziani (“La nutella di tua sorella”), ci sembra doveroso concludere in semplicità, estrapolando due basilari righe di quel brano: “Mangia, mangia la nutella, che non cambia è sempre quella”. Gigi Padovani, Nutella: un mito italiano, Rizzoli, Milano 2004, euro 15,00 non trascurabile particolare rappresentato dal dna del cognome. Perché Faber-Castell è simbolo universalmente conosciuto e apprezzato da tutti coloro che in vita loro hanno disegnato e disegnano, o scarabocchiato qualcosa con una matita di classe. Ossia, parte non irrilevante del genere umano. Aggiungendo solo, per la cronaca, che l’impero del nobiluomo esprime il 13 per cento del mercato mondiale di matite e pastelli. Nelle pagine di Primi in Economia, per quanto i tempi che viviamo cedano ben poco all’ottimismo, non troviamo storie di fallimenti, di azzardi, di default, di menefreghismo, di disastri incombenti e di bond assassini, niente di tutto questo. Ma di notti insonni, di impegno e fatica, di sforzi personali e sforzi condivisi dalla famiglia, di affermazioni di prima generazione o salti di qualità nell’avvicendarsi generazionale, di imprenditori laureati o in possesso della licenza elementare, anni luce lontani dal capitalismo che identifica nel profitto l’unica, ossessionante ragione di vita. Attori e interpreti dinamici della vera globalizzazione che hanno saputo superare ostacoli, rigidità e vincoli, in competizione qualitativa con le nazioni emergenti gratificate dal basso tributo al costo del lavoro. Quali sono a tutto diritto, a completare la galleria di Castelli, i Pina Amarelli Mengano, Patrizio Bertelli, Gianfranco Bigatti e Alberto Schiavi, Renato e Piero Bisazza, Lorenzo e Claudia Buccellati, ORDINE 1 2005 L A Claudio Stroppa Ai confini tra la vita e la morte di Margherita Santagostino Il problema dell’eutanasia o “dolce morte” in un Paese come l’Italia, è un problema molto difficile da affrontare non solo per la morale cattolica, ma parimenti per gli stessi laici, con diversi punti di vista. Da qui l’idea di riunirsi nel settembre 2002 per un convegno-seminario presso l’Abbazia di Vallombrosa tra studiosi di diverse discipline: sociologi, psicologi, oncologi, bioetici, giuristi, filosofi, teologi e anche politici e monaci di vari ordini religiosi, editori e giornalisti, nonché semplici persone interessate alla problematica. Ne è nato questo volume con 17 interventi che ora si offre al dibattito. Claudio Stroppa è un sociologo dell’Università di Pavia, già noto per i suoi libri (ormai circa 40), distribuiti nell’arco di un’attività trentennale, prima nell’Università di Bologna (facoltà di Scienze politiche), poi nell’Università di Pavia (facoltà di Scienze politiche) e di Parma (prima nella facoltà di Lettere e filosofia, attualmente in quella di Architettura). Tenendo conto del luogo dell’incontro di studio, si è optato per un titolo del volume che includesse sia in senso lato il Sergio Casella, Wanda Ferragamo Miletti, Luigi e Paolo Ferraro, Luigi Frati, Riccardo, Edoardo e Alessandro Garrone, Graziano Giacobazzi, Ferdinando e Gianni Giordano, Linda Gilli, Gian Franco Giovanardi, Vero Greco e Deanna Rossi, Tony Grimaldi, Paolo Gualandi, Ernesto Illy, Silvano Lattanzi, Tito Lombardini, Filippo Marazzi, Orazio Mascheroni, Lidia Matticchio Bastianich, Giuseppe Nicoletti, Claudio Sabatini, Ettore Sansavini, Vittorio Tabacchi, Edoardo Pio Tusacciu, Lorenzo ed Edoardo Vallarino Gancia, Apollinare Veronesi, Franco Ziliani, Giordano e Manlio Zucchi. Leggere per credere. «Ebbene, sottolinea Mario Deaglio (che del Sole-24 Ore è stato autorevole direttore) nella prefazione –, il primo messaggio che scaturisce dalle pagine di questo libro è che gli imprenditori di questo tipo non sono dei marziani, esistono davvero, in carne e ossa; che sono proprio tanti; che assommano vicende diversissime di vita e di successi. Con la loro straordinarietà positiva, ma anche con il loro realismo, queste storie fanno da contrappunto al carattere un po’ grigio dell’esistenza di tutti i giorni; mostrano un’alternativa, forse “l’alternativa” non solo al modo di produrre ma anche alla monotonia dell’esistenza tipica di molta parte della società moderna». Mauro Castelli, Primi in Economia, edizioni il Sole-24 Ore, pagine 433, euro 24 ORDINE 1 2005 termine “eutanasia”, che le problematiche più pregnanti di fede ed etica. Ciò ha portato i contributi, cattolici e laici, ad avviare un dibattito, che avrà un seguito sia in sede universitaria (Milano, Pavia, nella stessa Abbazia di Vallombrosa, e anche nel Sud Italia, tenendo anche conto della provenienza dei vari studiosi) che attraverso la stampa e altri media. Tra i saggi da proporre all’attenzione, sono la relazione base di Claudio Stroppa che già nello stesso titolo “Una comunicazione difficile: alcune riflessioni sul tema dell’eutanasia” inquadra il problema sia dal punto di vista storico che con una serie di osservazione sociologiche (ad esempio citando la famosa opera di Emile Durkheim, Il suicidio). Altri saggi degni di rilevanza sono quelli di Bruno Andreoni, oncologo dell’istituto Europeo di oncologia, che traccia il cammino di questo importante Ente operativo nel settore; di Patrizia Borsellino, giurista dell’Università dell’Insubria, che esamina la normativa italiana ed europea in merito al termine “eutanasia”; di Demetrio Neri, bioetico dell’Università di Messina che analizza lo “stato del dibatti- L I B R E R I A to”, soffermandosi sulle relazioni tra diritto ed etica medica; di Pietro Adamo, filosofo della scienza dell’università degli Studi di Milano che in tono “brillante” sottolinea l’importanza del diritto dei singoli individui nella gestione del proprio corpo; di Marcello Cesa Bianchi, psicologo dell’Università degli Studi di Milano che espone nel suo saggio La continuità del processo creativo nell’affrontare la morte; del teologo dell’ordine dei Frati minori, padre Maurizio Faggioni, che ribalta le tesi di Pietro Adamo parlando di “dolore e morte come scandalo del credente”, al “provocante” saggio di Carmelo Carabetta, sociologo dei processi culturali dell’Università di Messina sull’endocannibalismo” (il rituale di molte popolazioni dell’Africa e dell’Asia che si alimentano dei propri morti per perpetrarne la forza). Interessante è invece il saggio di Clotilde Bellani, che espone una personale ricerca, basata su solo due casi, per cui è alla sua abilità narrativa che ne esce un quadro psicosociologico dei rapporti tra medico e paziente “ammalato”. Il volume merita di essere letto, anche per approfondire una tematica, che spesso si allontana dalla propria mente, in un rifiuto psicologico di paura. Claudio Stroppa (a cura di), Ai confini tra la vita e la morte. Fede ed etica nella vita quotidiana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004 Paolo Granzotto Montanelli di Antonio Duva Ogni biografia, notava Jorge L. Borges, sottintende un paradosso: solo così, infatti, si può definire, secondo l’autore di Evaristo Carriego, l’intento di uno scrittore che vuole risvegliare nel lettore “ricordi che appartennero esclusivamente a un terzo”. Il paradosso, fatalmente, si accentua se biografo e biografato hanno il destino di vivere in tempi diversi. Il saggio che Paolo Granzotto ha appena dedicato a Indro Montanelli offre, sotto più di un profilo, la conferma di questa affermazione. Si tratta infatti di un volume nel quale è agevole cogliere la diversità fra due parti. La prima, che segue Montanelli dal tempo della nascita, avvenuta nel 1909 a Fucecchio, sino a quello del pieno successo professionale, consolidatosi al Corriere della Sera negli anni sessanta, è un’agile e diligente ricostruzione della vita di questo straordinario giornalista.L’autore, figlio d’arte – suo padre era Gianni, altro illustre esponente della carta stampata nel secondo Novecento, che divenne anche uno dei primi “volti” famosi della neo- nata Tv – aveva conosciuto Montanelli sin da ragazzo. Questo gli ha consentito di attingere – oltre che alle numerose fonti disponibili, a cominciare dalla stessa autobiografia di Montanelli raccolta da Tiziana Abate e pubblicata nel 2002 – a un vasto patrimonio di ricordi: al, per così dire, “Indro narrato da Indro”, ascoltato nella casa di piazza Navona, che Montanelli abitò per anni a Roma o durante i frequenti incontri conviviali. Granzotto infatti ha avuto la fortuna di essere a lungo un abituale compagno di desco del suo biografato: dal “Buco”, la trattoria toscana di via del Piè di Marmo, utilizzata durante i soggiorni romani, alla “Bice” o a “Elio”, fra i locali milanesi preferiti da Montanelli. Quelle lunghe conversazioni a ruota libera, ricche di aneddoti e di giudizi fulminanti, si rivelano utilissime per dare vivacità a un ritratto a tutto tondo del “personaggio” Montanelli e per gettare più luce su qualche episodio controverso della sua vita. Così è il caso del famoso incontro dell’allora giovane inviato del Corriere con Adolf Hitler, nella Polonia appena invasa dai tedeschi, o della sua D I TA B L O I D venti donne, divise a gruppi di cinque in funzione dell’ambito nel quale il loro atteggiamento “scandaloso” si è espresso (amore, disobbedienza, sapere, potere), vengono radiografate in ragione di un unico comun denominatore: la loro capacità – spiega l’autrice – di “voler pensare con la propria testa, voler decidere di sé, affermando le proprie idee, i propri sentimenti, il proprio desiderio di indipendenza”. Ne vengono fuori ritratti spesso inediti, scevri dei luoghi comuni che frequentemente hanno caratterizzato personaggi come Messalina (che morì a soli 23 anni e si rivelò, tutto sommato una ragazzina piuttosto ingenua), come Artemisia Gentileschi (pittrice-donna in anticipo con i tempi, un anticipo che non le fu mai perdonato), come la marchesa Athénais de Montespan, amante favorita del re Sole, che, dopo i fasti della corte, finisce, a 51 anni, a rimpiangere il passato dietro i muri di un convento, come Luisa Sanfelice, giustiziata dai Borboni colpevole di giacobinismo, ma in realtà trascinata nell’avventura politica dall’amore per un fascinoso rivoluzionario. E ancora Alphonsine Plessis, cui si ispirò Dumas per La signora delle Camelie (e Verdi per la Traviata); Margherita di Valois, la Margot regina del sangue, moglie di due re, tutt’altro che “cupa” come l’ha dipinta la letteratura e il cinema; Cristina di Svezia, che per noi tutti ha il volto di Greta Garbo nel film di Rouben Mamoulian, e con la quale la grande attrice svedese ebbe molti tratti in comune, e non solo individuabili nella sua bisessualità. Non potevano mancare George Sand, Elsabetta di Baviera, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, patriota e protofemminista del diciannovesimo secolo, Elena Cornaro (prima donna laureata d’Italia, nel 1678, sulla cui figura Carrano aveva già scritto un libro: Illuminata, edito da Mondadori); Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein, personaggio mostruoso frutto delle personali nevrosi della scrittrice; la scultrice Camille Claudel, segregata in un manicomio dove finirà i propri giorni. Non a caso l’ultima figura di cui Carrano traccia la biografia è quella di Wallis Simpson, che dai bordelli di Hong Kong passò senza soluzione di continuità alle nozze con il futuro re di Inghilterra Edoardo VIII il quale, per poterla sposare, abdicò, il 10 dicembre del 1936. Lì si è fermata l’autrice, come il Cristo di Levi a Eboli: forse perché, dopo di lei, oltre lei, le “scandalose”, almeno nel senso “rivoluzionario” del termine, hanno cominciato a latitare. Con accelerazione progressiva. Sarebbe interessante analizzare perché. Ma questa è tutta un’altra storia. Patrizia Carrano, Le scandalose, Rizzoli 2004, pagine 203, euro 15,00 sua clamorosa rottura con Silvio Berlusconi, quando l’antico editore de Il Giornale si dette alla politica; è anche quella durante la quale, rivelando una vitalità straordinaria per un uomo che aveva superato gli ottant’anni, Montanelli finì per sorprendere anche i suoi più antichi estimatori. Il giudizio che Granzotto formula di alcune scelte dell’ultimo Montanelli risulta talvolta poco argomentato e, in generale, appare piuttosto riduttivo. In queste pagine traspare, una sottovalutazione di una dote del grande giornalista che, paradossalmente, proprio Granzotto aveva posto in luce nella prima parte del libro e che, senza dubbio, ha contribuito a fare di Montanelli una figura unica del giornalismo e della cultura del suo tempo: quella dell’essere Indro un tenacissimo “bastian contrario”. Granzotto cerca invece di cucire addosso a Montanelli l’abito del portavoce “dell’Italia moderata e per- bene”. Senza dubbio, egli fu anche questo: ma si tratta di un abito che, tagliato troppo su misura, rischia di risultare stretto per vestire un personaggio tanto fuori dagli stereotipi. Sarebbe stato forse preferibile scegliere, come filo conduttore dominante di una vita così lunga e intensa, un altro aspetto del carattere di Montanelli: quello dell’uomo che non tollerò mai schermi fra la parola e la verità (la “sua” verità, naturalmente). In questo egli fu molto aiutato da una dote particolare: la maestria di “sciogliere” anche i periodi più complessi di ogni suo scritto ricorrendo a un “olio”, come lo definiva Gaetano Afeltra, che produceva l’effetto quasi magico di saldare un legame indissolubile con il lettore. Ma non si trattava di pura abilità stilistica; in realtà l’ineguagliabile capacità di Montanelli di attirare l’interesse e, spesso, di affascinare chi lo leggeva, rappresentò per lui anche lo scudo efficace – durante le molte e tumultuose vicende degli anni del tramonto non meno che di quelli giovanili – per difendere la sua indipendenza e la sua libertà: quella libertà di praticare, come proclamò fino all’ultimo, “il mestiere di spettatore e non di attore”. Di essere, in fondo, “soltanto un giornalista”. Dove l’avverbio “soltanto”, con umiltà orgogliosa, sottintende: “prima di tutto” un giornalista. Paolo Granzotto, Montanelli, il Mulino Bologna 2004 pagine 222, euro 12,50 Patrizia Carrano Le scandalose di Michele Giordano Ci sono oggi donne “scandalose”? L’aggettivo, in versione ventunesimo secolo, assume innanzi tutto un tono un po’ demodé. E poi, ammesso che il termine “scandalose” possa ancora essere utilizzato in un’ accezione positiva e, soprattutto se riferito alle donne, privo di contorni moralisteggianti, è comunque lontano anni luce dal significato che gli ha attribuito Patrizia Carrano, scrittrice, nonché giornalista di Anna, in questo intrigante volume. Ci hanno provato i colleghi di Oggi (14 aprile 2004, articolo di Laura Ogna) a paragonare i personaggi di cui Carrano traccia, nel libro, sintetiche ma significative schede biografiche, a quelli odierni, ma i risultati, a detta della stessa Carrano che si è spiritosamente prestata al gioco, sono piuttosto risibili. Abbinare, infatti, Valeria Marini e Isadora Duncan, Alba Parietti a Cristina Belgiojoso Trivulzio, Gianna Nannini a Greta Garbo e Lilli Gruber addirittura a Elisabetta I d’Inghilterra, se può essere un divertissement per lettori in relax estivo sulle spiagge, è un’operazione, quanto meno, storicamente priva di senso. Ben altra cosa infatti è il libro di Carrano dove evasione, nel 1944, dal carcere di San Vittore: vicende delle quali Granzotto fornisce un’interessante ricostruzione. Poi il timbro del volume cambia. Le pagine che trattano la vita di Montanelli durante gli “anni di piombo” e sino alla sua scomparsa – avvenuta nel luglio 2001 a 92 anni – sono più mosse e partecipate. Si sente l’intensità del legame, emotivo e affettivo fra Granzotto e quello che intanto era diventato il suo direttore, il Montanelli della stagione coraggiosa e “controcorrente” di quando Il Giornale aveva sede in piazza Cavour, in una Milano incupita dalla paura e, in molti ambienti, diffidente o apertamente ostile verso la nuova testata. È significativo che, per rievocare quel clima, Granzotto ricorra con efficacia alle parole stesse di Montanelli:“ Chi bussava alla nostra porta aveva già i requisiti per varcarla. Perché in quel momento per candidarsi ci voleva un certo coraggio non solo perché si lasciavano carriere e stipendi sicuri per un azzardo, ma soprattutto perché affiancarsi a noi voleva dire attirarsi l’etichetta di fascista”. E, non a caso, fra le pagine più incisive e drammatiche del saggio vi sono quelle dedicate – con una testimonianza di prima mano – all’attentato brigatista di cui Montanelli fu vittima nel giugno del 1976. Dove invece il saggio di Granzotto convince meno è nella sua parte finale: quella dedicata “all’autunno del patriarca”. È la stagione della 33 (37) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D Mimmo Franzinelli Storia di un giudice italiano di Antonio Duva Nel dicembre del 1990 alla Villa comunale di Milano si svolse una cerimonia in occasione del passaggio di Adolfo Beria di Argentine dalla magistratura giudicante a quella onoraria. Incontri di questo tipo, che riguardino l’accademia o le alte cariche dello Stato, sono frequenti: si sono fatti in passato e continueranno, pur nel mutare delle forme, a tenersi in futuro. Eppure quella solenne adunata, in un grigio Sant’ Ambrogio di tanti anni fa, ebbe qualcosa di insolito. Soprattutto colpì, chi ebbe la ventura di assistervi, la diversità e lo spessore degli oratori che in quella circostanza presero la parola: politici di primo piano (il leader del Psi, Bettino Craxi;Virginio Rognoni, nella veste di ministro del- l’Interno e Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato); rappresentanti delle istituzioni locali (il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Giampiero Borghini e il sindaco di Milano, Paolo Pillitteri); grandi giornalisti, infine, come Indro Montanelli e Ugo Stille, all’epoca direttori delle due più importanti testate cittadine. Come mai questa formidabile concentrazione di personalità per salutare l’andata in pensione di un anziano magistrato? La risposta a questo interrogativo la fornisce ora, con uno scrupolo documentario che non va a detrimento della vivacità narrativa, il volume Storia di un giudice italiano che reca come sottotitolo: “Vita di Adolfo Beria di Argentine”. Questo saggio, che Mimmo Franzinelli – indagatore acuto delle fasi più tormentate del nostro Novecento – ha realiz- zato con Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Micheletti di Brescia, traccia appunto un ritratto del grande giurista, del quale è posta bene in luce la straordinaria poliedricità di interessi alimentata da un carattere volitivo, coraggioso e amante dell’innovazione. Le radici di Beria si riassumono in due parole: Piemonte e magistratura. Nasce a Torino nel 1920 da una nobile famiglia che già conta una illustre tradizione nella magistratura, a cominciare da Luigi,il nonno paterno, che fu anche senatore del Regno. Sin da giovane Beria non ha dubbi: poco più che ventenne e non ancora laureato, incontrando Giovanni Conso, il futuro presidente della Corte Costituzionale, gli dice: “Appartengo a una famiglia di magistrati, anch’io penso di fare il giudice”. E infatti così fece, raggiungendo traguardi Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas Teoria e pratiche della comunicazione di Franz Foti Ma gli ingegneri hanno bisogno della comunicazione? Sì! Rispondono Lorenzo Cantoni e Nicoletta Di Blas, autori di questo interessante lavoro sulla funzione della comunicazione. Si riesce a gestire al meglio la varietà di situazioni professionali senza l’ausilio della comunicazione? No! La comunicazione permette di inserire elementi d’arricchimento e di completamento in modo da configurare in molti ambiti tecnici e scientifici una nuova dimensione professionale. E Paolo Paolini, docente del Politecnico di Milano, nell’introdurre il volume, procede ad una serie di esemplificazioni legate alla funzione della comunicazione: presentare una tesi di laurea in trenta minuti; convincere i propri studenti a seguire percorsi di ricerca innovativi; proporre un progetto in non più di dieci pagine; presentare in dieci minuti una proposta al cliente anche se frutto di mesi di lavoro; impostare la didattica di un corso di natura tecnica; estrarre da un colloquio di poche ore le caratteristiche applicative da realizzare in un progetto; organizzare efficacemente il flusso d’informazioni e idee in un gruppo di lavoro eterogeneo; convincere il committente della bontà delle proprie scelte tecniche; spiegare in un’intervista dal vivo di pochi minuti un progetto complesso. E se le cose stanno effettivamente co- 34 (38) sì, come mai la comunicazione non ha ancora avuto l’attenzione che merita? La risposta è semplice: frutto del dilettantismo italiano! A Como il corso di laurea in ingegneria contiene un primo embrione d’integrazione della comunicazione nel contesto della multidisciplinarietà scientifica. L’esperimento è risultato talmente interessante al punto che si prevede nel breve periodo di avviare un corso di laurea apposito. Sarebbe riduttivo però considerare le tematiche del volume orientate esclusivamente nell’ambito degli studi d’ingegneria. Il modo con cui si sviluppano le varie parti permette a chiunque di poter trarre motivi d’apprendimento e di riflessione sui temi della comunicazione. D’altronde sarebbe impensabile chiudere la comunicazione nel recinto della monotematicità. La comunicazione non solo è trasversale, ma contiene aspetti di semiotica, linguistica, psicologia, sociologia, storia, economia, pedagogia e retorica. Cantoni e Di Blas cominciano dall’approfondimento degli elementi di base della comunicazione, i classici: mittente, destinatario, contesto, messaggio, canale, codice. Anche in questa parte si coglie l’originalità degli intrecci: il codice viene analizzato secondo tre punti di vista insoliti, sintassi, semantica e pragmatica. Non poteva mancare l’analisi del testo sotto il profilo dei requisiti. Così come diventa un obbligo affrontare il prestigiosi: membro del Consiglio superiore della magistratura; autorevolissimo capo di gabinetto, dal 1973 al 1975, del ministro della Giustizia, Mario Zagari; più tardi presidente del Tribunale per i minorenni a Milano e Procuratore generale della Repubblica nella stessa città. Ma prima, da giovane, aveva vissuto una stagione drammatica che impresse un segno indelebile nella sua esistenza. Il racconto dei quasi due anni del Beria partigiano, militante della Organizzazione Franchi – una vicenda quasi sconosciuta, ora ricostruita da Franzinelli e Poggio con ricchezza di dettagli e testimonianze – rappresenta uno dei capitoli più appassionanti del libro. La guerra, l’impegno antifascista, la lotta clandestina condotta nella sua forma più pericolosa (Beria si infiltrò, con mansioni giornalistiche di facciata, nei ranghi nemici) sono esperienze che forgiarono la sua personalità attorno a un’idea guida: la difesa della libertà e la lotta contro la tirannide rappresentano un imperativo morale al quale, in ogni circostanza, non ci si può sottrarre. Sta qui forse la chiave interpretativa più appropriata di una vita spesa al servizio della giustizia avendo costantemente come bussola la Costituzione repubblicana e i suoi valori fondanti. In una postfazione al volume Vladimiro Zagrebelsky, che con lui ebbe intensi rapporti soprattutto come giudice presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorda che se Beria è stato innanzitutto un magistrato è stato però: “un magistrato moderno, immerso nella realtà italiana contemporanea… che guardava alla giustizia di un Paese moderno, come voleva che fosse l’Italia”. E non fu solo un magistrato: “Organizzatore culturale, uomo pratico dunque – continua Zagrebelsky – andava oltre l’interesse per la pura speculazione. Le idee gli interessavano in quanto motore per cambiare la realtà. E dunque stava e andava nei luoghi da cui pensava che la realtà potesse essere modificata”. Insomma un instancabile tessitore di dialogo con mondi diversi da quello della magistratura: quello della politica non meno di quelli degli studi e delle istituzioni. Appunto: “ un uomo al tempo stesso di istituzioni e di movimento”, lo definisce Giuseppe De Rita, che per 40 anni ebbe con lui un profondo legame di lavoro e amicizia. Questo atteggiamento costò talvolta a Beria, come il saggio mette in rilievo, difficoltà e incomprensioni; ma non fu mai per lui un freno nell’impegno a operare per cambiare cultura e organizzazione della giustizia: per mutare, innovandolo, un mondo che, come sempre Zagrebelsky ricorda, “aveva bisogno di tutto, fuorché della stasi e della conservazione”. Questa mai spenta passione di Beria la vediamo concretarsi in particolare nella straordinaria attività intellettuale e organizzativa che, per quasi mezzo secolo, egli dedicò alla sua creazione prediletta: il Centro nazionale di difesa e di prevenzione sociale, un organismo per molti versi unico i cui eccellenti risultati gli procurarono notorietà e prestigio internazionali sino a quel premio “Giustizia nel mondo” che il re di Spagna conferì a Beria – ormai anziano e infermo, ma non domo – nel 1997. Ci sono altri due aspetti di Beria che hanno risalto nel saggio di Franzinelli. Il primo riguarda la sua fer- Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas, Davide Bolchini Comunicazione, qualità, usabilità di Franz Foti complesso mondo della comunicazione televisiva. Vengono riassunti i tre grandi eventi su cui si muove la medialità: competizione, incoronazione, conquista. Tra i tanti aspetti della comunicazione, gli autori analizzano le tre teorie dei media: il potere, la dipendenza, gli effetti cumulativi. È presente anche una serie di raccomandazioni da seguire nel corso della comunicazione parlando in pubblico: chiarirsi bene l’obiettivo, sapere con esattezza a chi ci si rivolge, avere presente il contesto in cui si parla, calcolare bene i tempi della comunicazione, capire le aspettative del pubblico. Infine, acquisire autorevolezza tenendo presente le tre massime della comunicazione: dare le informazioni richieste, dire tutto ciò che è provato e provabile, essere brevi e ordinati evitando qualsiasi ambiguità. Insomma, un libro utile e completo per tutti coloro che vogliono affinare le capacità comunicative. Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas, Teoria e pratiche della comunicazione, Apogeo, euro 19,00 Attenti! È il sito che fa per lei? Siamo quasi di fronte al paradosso. La velocità nell’era della comunicazione non è più un imperativo. Sino a poco tempo fa il mandato era “realizzare un sito web in tre mesi”. Ora la domanda cha le comunità dei siti si pongono è: “il sito è facilmente usabile?”. In sostanza, il successo di un sito si misura proprio dalla sua usabilità, dalla possibilità di utilizzare tutte le sue applicazioni con semplicità, attraverso le diverse modalità d’interazione. A quest’interrogativo rispondono in maniera quasi didattica gli autori di questo volume Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas e David Bolchini. Ma a rispondere all’interrogativo ci si mette anche uno dei guru di Silicon Valley, Jakob Nielsen. E traccia con molto senso della prospettiva i presupposti su cui dovrebbe articolarsi la progettazione dei siti. Anzitutto, sostiene Nielsen, un sito deve assumere come asse prioritario la semplicità dell’uso per rendere la vita delle persone meno complessa e difficile di quanto non lo sia già. Non basta! Deve essere facile da usare dall’utente medio e non solo dagli specialisti. Infine, deve porsi nell’ottica dell’inclusione sociale. Vale a dire che nell’uso della tecnologia deve trovare posto la maggior parte della popolazione. L’usabilità di un sito comincia dunque a porsi dal punto di vista sociale ed estetico. Un sito è “carino” se migliora la qualità della vita delle persone. Non è solo questo. Deve rispondere anche ad un criterio mercantile, offrendo all’azienda opportunità di successo ampliando i margini di sopravvivenza attraverso la sua usabilità semplice. In questo senso si dispone come strumento “necessario”. Il lavoro dei quattro autori parte dal presupposto che sia giunta l’ora dell’evangelizzazione dei manager affinché seguano precise linee guida. Bisogna orientare su come comprare un prodotto, come adoperarlo, alimentarlo e correggerlo. Il volume offre anche un insieme di strumenti concettuali e le indicazioni operative in tema di comunicazione in generale e di comunicazione tramite un sito. Non mancano i dettagli e le indicazioni operative rivolte ai progettisti: chiarezza dei bisogni e degli obiettivi per poter innestare progettazione e realizzazione del sito. In questo modo si aderisce con maggiore facilità ai canoni della semplicità e dell’usabilità. E qui si affaccia la teoria del “modello del bar” con le sue quattro dimensioni, simili a quelle di un sito. Due dimensioni reali e due personali. Un sito può essere visto come un insieme di contenuti, messaggi. Deve permettere d’interagire, discutere, votare, giocare, scambiare, ordinare, comprare, vendere. Un sito è anche una comunità di persone che lo gestiscono, lo aggiornano e lo mantengono e che interagiscono con i visitatori. Poi c’è la comunità dei visitatori. L’insieme delle persone che vi accedono e ne fruiscono. Proprio come in un bar dove si accede per mangiare e bere. Ma anche per chiacchierare, scambiare opinioni, stare insieme. Attenzione però alla qualità comunicativa. Non bisogna mai allontanarsi dai cinque requisiti indispensabili a garantire la qualità delle pubblicazioni: accuratezza, autorevolezza, obiettività, aggiornamento e ambito. Quest’ultimo inteso come chiarezza dell’obiettivo della comunicazione. Si tratta di un testo che si rivolge alle comunità accademiche e professionali, ai committenti ed ai clienti. Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di Blas, Davide Bolchini, Comunicazione, qualità, usabilità, Apogeo, euro 13,00 ORDINE 1 2005 L A mezza durante gli “anni di piombo”, quando l’offensiva del terrorismo si accanì, con particolare durezza, proprio contro i magistrati riformisti e garantisti. Questo ambiente, del quale Beria era un esponente di primo piano, pagò un tributo di sangue altissimo: molti dei suoi colleghi più stimati e amici più cari caddero colpiti dalle Brigate Rosse. Il libro dà bene conto del dolore che questa tragedia procurò a Beria (del resto a lungo – lui stesso – nel mirino dei terroristi), ma sottolinea anche un altro aspetto importante: che per quanto egli fosse pienamente consapevole del pericolo gravissimo al quale era esposto, seppe conservare un’assoluta lucidità di giudizio, adempiendo con tranquilla fermezza ai suoi doveri. Illuminante la testimonianza, che il volume raccoglie, del cardinale Carlo M. Martini: “Beria mi fece comprendere che il terrorismo andava affrontato con coraggio e serenità. Era una grande lezione per quei tempi”. Da ultimo va ricordato il suo interesse per il giornalismo. Questa attività che, ai tempi della lotta partigiana, gli era servita da “tra- vestimento” per compiere missioni ad alto rischio, divenne negli anni una delle sue preferite, quasi una passione che fu apprezzata da molti, a cominciare da Montanelli. Proprio i contatti con il mondo dell’informazione lo spinsero, probabilmente, a dedicare attenzione ai temi della libertà di stampa e della deontologia professionale. Con il consueto rigore prese, fra l’altro, netta posizione contro le spinte che miravano ad ampliare il ricorso a sanzioni comportanti l’interdizione professionale. “Se al giornalista si toglie la penna” è il titolo di un suo intervento del 1986, sul Corriere della Sera: una lucida analisi dei rapporti fra giustizia e stampa, un vero grido d’allarme contro i rischi di piegare le norme a meri strumenti di intimidazione e repressione. Parole che, nel clima attuale, suonano cariche di saggezza e di bruciante attualità. Mimmo Franzinelli con Pier Paolo Poggio, Storia di un giudice italiano, Rizzoli Milano 2004, pagine 376, euro 19,00 L I B R E R I A Gianni Rizzoni La agende culturali 2005 Scheiwiller di Federica Mazza Nel panorama editoriale della casa editrice Libri Scheiwiller, un posto di rilievo è occupato dalla collana delle agende culturali, nata nel 1990 con l’Agenda letteraria. Chi pensa si tratti di una delle tante agende che ogni anno ci vengono proposte per annotare commissioni e appuntamenti, sbaglia. Infatti, sfogliando le agende Scheiwiller ci si accorge di aver tra le mani veri e propri preziosi libricini che, pagina dopo pagina, settimana dopo settimana, arricchiscono la routine degli impegni quotidiani con preziose pillole di cultura. Immagini, frasi, citazioni, note biografiche e richiami ad opere e protagonisti del passato. Non solo: grazie alla preziosa appendice, le Agende culturali diventano uno strumen- to indispensabile per i professionisti del settore. In queste pagine si trovano recapiti di case editrici, giornali, fondazioni, istituzioni pubbliche e private e biblioteche specializzate nella materia dell’agenda, nonché premi, festival e ricorrenze varie. Le Agende culturali sono, da quattordici anni, un successo editoriale e si ripropongono puntualmente come una costante per addetti ai lavori, collezionisti e appassionati del genere. Basta pensare ai risultati raggiunti dall’agenda letteraria: 220.000 copie pubblicate ogni anno, per oltre 3 milioni di copie dal 1990, che corrispondono a 2.500 pagine, più di 4.500 date e citazioni di scrittori di tutto il mondo e 2.200 illustrazioni stampate in elegante bicromia. Nel corso degli anni, a quella letteraria si sono aggiunte altre agende specializzate dedicate al mondo dell’arte, del- Ettore Mo Treni Stenio Solinas Percorsi d’acqua di Vito Soavi di Luciana Baldrighi Percorsi d’acqua di Stenio Solinas è uno dei libri più strani e intriganti che ci sia capitato di leggere in questi anni. Definirlo un reportage di viaggio sarebbe riduttivo, nonostante i suoi capitoli si snodino lungo le coordinate classiche del genere, luoghi, memorie, storia, rivisitazione. Considerarlo un’opera narrativa anche, pur se l’impasto fra verità e finzione, fra io narrante e protagonisti veri e immaginari, fra descrizione e trasfigurazione fa sì che il lettore dimentichi la realtà di cui il volume è intessuto per immergersi nel piacere puro e semplice del racconto. Forse la definizione più giusta è allora quella di romanzo di formazione, ovvero una sorta di apprendistato al viaggio, alla scrittura, alla vita di chi giunto alla maturità si china a racccogliere e a riassemblare ciò che è stato: esperienze e letture, incontri e scopertte, illusioni e dolori. Percorsi d’acqua comincia sulla scia che si lascia dietro di sé il nuotatore, questo eroe in incognito di un’epoca senza eroismi, e finisce fra i paesaggi lacustri e le risacche del Mekong, il Vietnam di ieri e quello di oggi, delitto e castigo per una generazione che coltivò l’utopia di una «guerra di liberazione». Apologia del nuotatore si intitola infatti il capitolo introduttivo e raramente il panorama culturale italiano, che scarseggia di «scrittori baORDINE 1 2005 gnati» ci aveva dato un profilo così originale del rapporto fra l’uomo e l’acqua, del nuotare inteso come un’etica ed un’estetica. Chi ha letto L’ombra del massaggiatore nero di Charles Sprawson, uscito una decina d’anni fa da Adelphi, vedrà come Solinas non sfiguri al paragone, ma anzi, per certi versi, vada ancora più a fondo rispetto a quella che era una vera e propria summa dell’attività natatoria in quanto disciplina interiore. «Bracciata dopo bracciata cerchiamo di avvicinarci al perché delle cose, e pazienza se un’onda o una corrente ci allontanano. Caparbi ricominciamo, pessimisti ma attivi. il nuoto è una metafora della vita. E ancora: «Di presidenti e premier podisti, golfisti, ciclisti, velisti, alpinisti c’è l’imbarazzo della scelta, i nuotatori brillano per la loro assenza. Disciplina individuale e autosufficiente, votata all’isolamento e alla solitudine, democrazia e totalitarismo sono due categorie che non la definiscono. Il nuoto è aristocratico». Scandito in quattro sezioni, Percorsi d’acqua è una navigazione di idee e di sentimenti fra lagune, arcipelaghi, isole e vele. Ci sono le lagune ritrovate (il Delta del Po e la laguna veneta) e quelle perdute (le paludi irachene fra il Tigri e l’Eufrate); le isole Porquerolles, i Tropici di Francia che affascinarono Georges Simenon, Key West che stregò Ernest Hemingay, Yeu che impri- gionò il maresciallo Pétain; le vele che solcano gli arcipelaghi della Maddalena e di Glénan. Il fascino particolare del libro consiste proprio in questo impasto di storia e di memoria. Il racconto che Solinas fa di un viaggio in Iraq, subito dopo la fine della guerra, alla ricerca delle «marshes», seimila chilometri quadrati di un habitat fatto di caccia e di pesca, rimasto intatto per millenni e poi prosciugato a forza da Saddam Hussein subito dopo l’invasione del Kuwait, è da questo punto di vista esemplare. L’autore va in quei luoghi seguendo la suggestione di travel-writers come Wilfred Thesiger e Gavin Young, che li percorsero e vi vissero fra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, ma non si limita a un pedissequo pellegrinaggio culturale: subito il pretesto letterario è abbandonato in nome dell’attualità, della visione di un Iraq devastato, dell’incontro con un’umanità fiera e dolente, dello scempio ecologico e umano che vede scorrere davanti ai suoi occhi. Stenio Solinas, Percorsi d’acqua, Ponte alle Grazie 2004, pagine 211, euro 13,50 L’ottobre scorso, in concomitanza con l’uscita di Treni, nove viaggi ai confini del mondo e della storia di Ettore Mo, Trenitalia ha presentato la versione plus del suo Intercity, uno straordinario concentrato di comfort e sicurezza per chi viaggia a lunga percorrenza lungo la nostra penisola; più spazio, tavolini di servizio con prese per accendere il pc o ricaricare il cellulare, addirittura toilettes differenziate per uomini e per donne!La concomitanza è solo una coincidenza casuale, ma evidenzia la realtà del mondo contemporaneo, dove i livelli fra progresso ed arretratezza sono sempre molto distanti.Mo ci riferisce sul percorso di migliaia di chilometri che ha effettuato quest’anno in treno, in Mauritania, su un convoglio di duecento vagoni che trasportano minerali di ferro da Zouèrate a Nouadhibou, in Africa Orientale, da Addis Abeba a Gibuti, insieme ai pendolari che masticano erba allucinogena, in Birmania, in pellegrinaggio al ponte sul fiume Kway, tra Cile e Bolivia, a quota 4000 metri, con il fantasma di Che Guevara, e così via, sempre viaggiando esclusivamente su vetture, ma così passa il convento, che nei casi più fortunati gli hanno offerto il comfort di una panca di legno. Dopo nove viaggi in ferrovia, sempre alla ricerca di affascinanti avventure captate con l’occhio di un ricercatore-esploratore delle realtà contemporanee del nostro pianeta, Mo continua a narrare storie affascinanti raccolte nei suoi viaggi più recenti.Racconta la corrida fra il condor e il toro sulle Ande D I TA B L O I D la musica, della scienza, del cinema e della moda. Recentemente sono nate anche le Agende letterarie monografiche dedicate a Pirandello, Petraraca e Dante Alighieri. Per il 2005 è stata pubblicata la terza edizione dedicata al poeta fiorentino. Dalle illustrazioni di Gustave Doré delle precedenti edizioni si passa agli affreschi e alle tavole di uno dei più celebri artisti dell’Ottocento, l’austriaco Joseph Anton Koch. Ma il cammino della storica casa editrice milanese è ancora ricco di novità. È uscita infatti anche l’Agenda del design: un omaggio a un settore trainante dell’economia italiana, all’avanguardia nel mondo. Nelle sue pagine sono ricordati, con oltre 220 illustrazioni, i più noti creativi, da Castiglioni a Magistretti, da Munari a Capucci; ma anche istituzioni come la Triennale di Milano, premi come il Compasso d’Oro; la rivista Domus; aziende come Driade, De Padova; scuole come la Domus Academy... In appendicie tutte le informazioni sul mondo del design: scuole, università, musei, manifestazioni e aziende. Agende dunque per tutti gli interessi. Non resta che sce- gliere quella più vicina ai propri gusti e aggiungere una voce alla lista dei “buoni propositi” per l’anno venturo: tenersi sempre aggiornati, imparando ogni giorno qualcosa di nuovo. Agenda letteraria, dell’arte, della scienza, della musica 2005, a cura di Gianni Rizzoni 160 pagine, formato 10x17, 130 illustrazioni in bicromia, copertina in similpelle con incisioni in oro, Libri Scheiwiller, euro 12,00 peruviane, la visita nelle viscere delle miniere dove si “venera” il diavolo, in Bolivia a Potosì, le chiese galleggianti sul Don, e tanto altro.E conclude con due nuovi aspetti di intendere la detenzione: la drammatica vicenda di un equipaggio prigioniero sulla propria nave, ferma nel porto di Venezia dal 2001, per il fallimento dell’armatore, e l’opportunità offerta a ladri ed assassini di un carcere dell’Ohio di occupare il tempo di detenzione nell’addestramento di cani destinati a ciechi ed invalidi in genere.Viaggi tra un passato impossibile da dimenticare ed un futuro in cui le angosce si mescolano alle speranze, scrive l’Autore a conclusione della sua nota introduttiva.Si ravvisano però almeno altri due messaggi. Il primo, pessimista, formulato da un Vecchio e Credente di Verchnyi Ujman (Siberia), che prevedendo come la Terza guerra mondiale, tra cristiani e musulmani, sia inevitabilmente alle porte, ci invita ad andare a vivere nella sua città affermando: quì starete al sicuro !! Il secondo, ottimista, nasce da una considerazione personale: durante la seconda guerra mondiale, chi scrive, per raggiungere la sua famiglia sfollata, ha spesso viaggiato sul tetto di un treno merci stracolmo di compagni di ventura come lui pendolari, sul tratto di ferrovia Milano-Piacenza. Ora può sfrecciare su quei binari a bordo dell’Intercity plus. Questo lasso di tempo ci fa sperare che il riequilibrio fra fame e benessere, fra ignoranza e sapienza non è così incolmabile. Ettore Mo, Treni, nove viaggi ai confini del mondo e della storia, Rizzoli, Milano ottobre 2004, pagine 229, euro 15,00 Agenda del design 2005, a cura di Gianni Rizzoni: prima edizione, 160 pagine, formato 10x12, 220 illustrazioni in bicromia, copertina in similpelle verde con incisioni in argento, Libri Scheiwiller, euro 12,00 Agenda Dante Alighieri 2005, a cura di Gianni Rizzoni: terza edizione, 150 pagine, formato 15x21, stampa in bicromia, 95 illustrazioni in bicromia e 8 a quattro colori, copertina blu con incisioni in oro, Libri Scheiwiller, euro 15,00 Ordine/Tabloid ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Mensile / Spedizione in a. p. (45%)Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96 Filiale di Milano Anno XXXV - Numero 1 Gennaio 2005 Direttore responsabile FRANCO ABRUZZO Collegio dei revisori dei conti Giacinto Sarubbi (presidente), Ezio Chiodini e Marco Ventimiglia Direttore dell’OgL Elisabetta Graziani Segretaria. di redazione Teresa Risé Direzione, redazione, amministrazione Via A. da Recanate, 1 20124 Milano Realizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coordinamento Franco Malaguti, Marco Micci) Tel. 02 67 71 371 Fax 02 66 71 61 94 Stampa Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 20063 Cernusco sul Naviglio (Mi) Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo presidente; Cosma Damiano Nigro vicepresidente; Sergio D’Asnasch consigliere segretario; Alberto Comuzzi consigliere tesoriere. Consiglieri: Michele D’Elia, Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi, Brunello Tanzi Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) Comunicazione e Pubblicità Comunicazioni giornalistiche Advercoop Via G.C.Venini, 46 20127 Milano Tel. 02/ 261.49.005 Fax 02/ 289.34.08 La tiratura di questo numero è di 24.225 copie Chiuso in redazione il 20 dicembre 2004 35 (39)