Gennaio 2005 - Ordine dei giornalisti Lombardia

Transcript

Gennaio 2005 - Ordine dei giornalisti Lombardia
Anno XXXV
n. 1 Gennaio 2005
Direzione e redazione
Via A. da Recanate, 1
20124 Milano
Telefono: 02 67 71 37 1
Telefax: 02 66 71 61 94
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e-mail:[email protected]
Ordine
dei
giornalisti
della
Lombardia
Spedizione in a.p. (45%)
Comma 20 (lettera b)
dell’art. 2 della legge n. 662/96
Filiale di Milano
Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo
Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo
Promossa la gestione dell’Istituto
per gli anni dal 2000 al 2003, ma
Relazione “lo scenario è poco rassicurante:
della Corte per l’avvenire si studino soluzioni
dei Conti utili per conservare l’equilibrio”
Inpgi
1
“L’Inpgi, a decorrere dal 1° gennaio 1995, ha
dismesso la veste di ente di diritto pubblico per
assumere quella di persona giuridica privata,
nella specie della fondazione, in conformità alla
previsioni normative del decreto legislativo 30
giugno 1994, n. 509. Nella nuova configurazione giuridica l’Istituto gode di autonomia gestionale, organizzativa e contabile mentre, in ragione della sua natura, rimane pubblica l’attività
istituzionale dell’ente”, articolata, a partire dal
1° gennaio 1996, in due diverse forme di previdenza. Di queste l’una, la più risalente nel
tempo, ha per finalità la tutela previdenziale e
assistenziale obbligatoria, sostitutiva dell’AGO, nei riguardi dei giornalisti professionisti e
dei praticanti giornalisti (nonché, per recente
estensione normativa, dei pubblicisti), titolari di
rapporto di lavoro subordinato ed iscritti nell’Albo e nel Registro tenuti dall’Ordine”.
2
“La Corte ha tuttavia riscontrato uno scenario poco rassicurante nell’ultimo bilancio
tecnico nel quale si prevede una situazione
di criticità della gestione, in un periodo
medio-lungo, sia riguardo al rapporto tra
gettito contributivo e prestazioni che all’andamento del patrimonio.
Queste ultime proiezioni attuariali, ad avviso
della Corte, meritano pertanto una particolare attenzione da parte dell’Istituto, rendendo esse palese la necessità non solo di
proseguire l’assiduo monitoraggio degli
andamenti della gestione previdenziale e
assistenziale, ma altresì di intraprendere
lo studio di soluzioni utili per assicurare
anche in avvenire l’equilibrio della
gestione medesima ed evitare futuri depauperamenti del patrimonio”.
Roma, 3 dicembre 2004. Luci e ombre nella
relazione della Corte dei Conti sulla gestione
finanziaria dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di
previdenza dei giornalisti, nel quadriennio
2001-2003. La Corte promuove infatti la
gestione dell’Istituto - sia principale sia separata, cui fanno capo le due diverse forme di
previdenza obbligatoria in cui si articola l’attività dell’ente - ma individua anche «uno
scenario poco rassicurante» nell’ultimo bilancio tecnico, in cui si prevede «una situazione
di criticità» nel periodo medio-lungo e invita
perciò l’Inpgi a «proseguire l’assiduo monitoraggio degli andamenti della gestione previdenziale» e a «intraprendere lo studio di soluzioni utili per assicurare anche in avvenire
l’equilibrio della gestione».
Nella relazione, la Corte sottolinea innanzi
tutto che, nel quadriennio preso in esame, le
risultanze finali, economiche e patrimoniali,
della gestione principale sono tutte di segno
positivo. Sono continuamente aumentati
l’avanzo economico e il patrimonio netto, che
nel 2003 ammontano rispettivamente a 63
milioni 775mila euro (+34,8% rispetto al 2002)
segue a pagina 2
Riconosciuto il credito attraverso lo Sportello legale OgL
Articoli
non retribuiti
secondo
tariffario.
“Il Mattino”
condannato
a pagare
Giornalista non pagato secondo il tariffario, editore
condannato. La sentenza è stata pronunciata recentemente dal magistrato milanese al quale si è rivolta
la collega O.G. che ha chiamato in causa - con l’assistenza dell’avvocato Luisella Nicosia di Milano - Il
Mattino di Napoli per una serie di articoli commissionati (in larga parte pubblicati) e mai retribuiti
prima dell’avvio della contestazione legale.
L’editore del quotidiano partenopeo, in forza della
decisione del giudice, ha così dovuto provvedere al
pagamento delle somme dovute alla giornalista con
l’aggravio degli interessi legali maturati sulla somma
debitoria e delle spese procedurali.
IL SERVIZIO A PAGINA 33
L’assemblea degli iscritti giovedì 24 marzo 2005
TORTORA
“È ineludibile
una stretta
sulle pensioni”
pag 3
ANDRIOLO pag 3
“I bilanci dell’Inpgi
non vanno bene.
È il frutto
di otto anni
di scelte sbagliate”
SOMMARIO
NUOVE LEGGI SULLA STAMPA: GIORNALISTA STAI ZITTO!
Sindacato
Editoria
La cronaca del Congresso Fnsi
La pubblicità sui periodici fa vendere di più
Antitrust: concentrazione di pubblicità senza uguali nell’Ue
Quando il mercato non salva il pluralismo
Media
Intervista a Ben Jelloun
Inpgi
Equo canone per gli inquilini ex via Missaglia
Professione Fondo per la formazione continua
Normativa
Privacy e giornalismo: i cronisti fanno eccezione
Memoria
Fraccaroli, giornalista sulle strade del mondo
Arrigo Benedetti, lo stile e l’impegno
Protagonisti Don Verzé, l’avventura del San Raffaele
La libreria di Tabloid
pag. 5
pag. 6
pag. 8
pag. 10
pag. 12
pag. 14
pag. 16
pag. 17
pag. 24
pag. 28
pag. 30
pag. 35
pag. 36
Appello ai colleghi distratti
“Oro” a 19 colleghi
per i 50 anni di Albo
Quota 2005 (110 euro): possibile da subito aderire al Rid
e non pensarci più anche negli anni successivi
Milano, 2 dicembre 2004. Sono 19 i colleghi (12 professionisti e 7 pubblicisti) che nel 2005 compiono i 50 anni di iscrizione negli elenchi dell’Albo. Riceveranno la medaglia d’oro
dell’Ordine della Lombardia in occasione dell’assemblea
annuale degli iscritti che si terrà giovedì 24 marzo (h 15) al
Circolo della Stampa. Ed ecco i loro nomi:
PROFESSIONISTI
Adone Carapezzi, Giovanni Cesareo, Emilio Fede, Nicolino
Fudoli, Mario Lodi, Gualtiero Mantelli, Armando Mariotto, Enrico Morati, Gaetano Neri, Mario Pancera, Andreina Pinotti Araldi, Luigi Pizzinelli.
PUBBLICISTI
Giancarlo Armuzzi, Ermanno Comizio, Mario Conter, Antonio
Dorsa, Emilio Mariano, Alcide Paolini, Pasquale Scardillo.
Nel corso dell’assemblea verranno premiati anche i vincitori del
“Concorso Tesi di laurea sul giornalismo”. All’ordine del giorno
dell’assemblea degli iscritti all’Albo figura l’approvazione del
bilancio preventivo 2005 e del conto consuntivo 2004.
Visto il gradimento che
gli iscritti all’Ordine dei
giornalisti della Lombardia
hanno dimostrato
con la massiccia adesione
al servizio di pagamento
mediante addebito in via
continuativa sul conto
corrente bancario (Rid),
Esatri ha riaperto
(ovviamente a favore
di chi non ha ancora fatto
ricorso al servizio)
i canali di adesione per
il pagamento dell’avviso
della quota annuale
(110 euro) relativa all’anno
2005 e agli anni successivi.
ORDINE
1
2005
Per aderire al servizio Rid è sufficiente:
a) compilare il modello Rid ricevuto con l’avviso di pagamento del 2005 e trasmetterlo via
fax ad Esatri al numero 199160771071.
b) oppure compilare il modello Rid elettronico disponibile su Internet al sito www.taxtel.it
(selezionando nell’home page del sito la voce ADESIONI RID)
c) oppure comunicare via telefono i dati richiesti nel modulo Rid al n. 199 104 343 (dal
lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 17.00). Tale numero è disponibile per informazioni e
variazioni relative al Rid.
Esatri provvederà ad ogni scadenza, a partire dalla quota del 2005 e per gli anni successivi, salvo revoca, al pagamento in automatico con addebito dell’importo sul conto corrente
indicato.
Con il Rid è possibile pagare gli avvisi di pagamento, ma non le cartelle esattoriali.
Il termine ultimo di adesione al Rid verrà indicato sugli avvisi di pagamento relativi alla quota
annuale 2005.
1
Inpgi
Relazione
della Corte
dei Conti
segue dalla prima pagina
Promossa la gestione dell’Istituto per gli anni dal 2000 al 20
Per l’avvenire si studino soluzioni utili per conservare l’equi
ed a 1 miliardo 122 milioni 828mila euro (+5,8,
sempre rispetto al 2002).
L’ammontare della riserva di garanzia Ivs
(Indennità vecchiaia superstiti) è risultato in
ogni esercizio superiore a quello della riserva
legale minima prevista dalla legge 449/1997,
ed ha raggiunto nel 2003 una consistenza pari
a circa 7,4 annualità delle pensioni al 31
dicembre 1994.
Delle due principali aree della gestione economica, cioè quella previdenziale e assistenziale e quella patrimoniale, quest’ultima - rileva
ancora la Corte dei Conti - ha registrato risultati discontinui, in calo negli esercizi 2001 e
2002 (dovuto soprattutto dall’aumento dei
relativi oneri e tra questi, e in misura consistente, degli oneri di gestione del portafoglio
titoli, a causa degli andamenti sfavorevoli dei
mercati finanziari) rispetto a quelli raggiunti nel
2000 e nell’ultimo esercizio, nel quale il rendimento degli investimenti mobiliari è tornato a
valori positivi.
La gestione previdenziale e assistenziale ha
visto invece continuamente aumentare il saldo
positivo, che nell’ultimo esercizio (con un
ammontare di 63 milioni 615mila euro) ha
avuto tuttavia una forte riduzione (- 9 milioni
253mila euro) rispetto al 2002, per effetto di
un rallentamento della crescita delle entrate
complessive (+1% a fronte del +10,2% del
2002), dovuto principalmente ad una contrazione dell’incremento annuo dei contributi Ivs,
mentre è variata di poco, ma in senso opposto, la crescita annuale delle uscite complessive (+4,9% nel 2003 rispetto al +4,5% nel
2002).
Tuttavia la Corte ha riscontrato uno scenario
poco rassicurante nell’ultimo bilancio tecnico
nel quale si prevede una situazione di criticità
della gestione, in un periodo medio-lungo, sia
riguardo al rapporto tra gettito contributivo e
prestazioni che all’andamento del patrimonio.
Di qui la necessità, secondo la Corte, di
proseguire l’assiduo monitoraggio degli andamenti della gestione previdenziale e assistenziale, ma altresì di intraprendere lo studio di
soluzioni utili per assicurare anche in avvenire
l’equilibrio della gestione stessa ed evitare
future riduzioni del patrimonio.
Quanto alla gestione separata, il cui sistema
tecnico-finanziario si fonda sul sistema contributivo a capitalizzazione individuale, si
presenta nel quadriennio sostanzialmente
solida sul piano finanziario e patrimoniale.
Questa situazione ha trovato conferma,
secondo la Corte, nell’ultimo bilancio tecnico
le cui previsioni indicano che anche nell’arco
LA VICENDA DEL MANCATO RICORSO AL TAR CONTRO LO STATO DI CRISI
CONCESSO DAL MINISTERO DEL LAVORO AL GRUPPO RIFFESER
La legge n. 415/1981 è una minaccia
per la stabilità finanziaria dell’Inpgi
di Pierluigi Franz*
Roma, 12 novembre 2004. Sinceramente
avrei preferito non intervenire nel dibattito
in corso sulla vicenda della bocciatura da
parte del CdA Inpgi del ricorso al Tar contro
il decreto con cui il 7 settembre scorso il
ministro del Lavoro Maroni ha concesso lo
stato di crisi al gruppo Riffeser (QN- Il Giorno- Il Resto del Carlino- La Nazione).
Ma sono, purtroppo, costretto a farlo dopo il
fango, i veleni, le strumentalizzazioni a
ruota libera, le insinuazioni di bassa lega,
calunniose (si è addirittura parlato di una
mia tessera onoraria della Fieg, quasi come
se mi fossi venduto!!!) e del tutto fantasiose, che ho, purtroppo, letto in questi ultimi
tre giorni da parte di chi, pur essendo tenuto da giornalista a verificarne la reale fondatezza, ha aperto bocca e gli ha dato fiato
dimenticandosi di ammettere di essere
forse digiuno dell’argomento (evidentemente solo per farsi propaganda pre-elettorale
in vista del prossimo Congresso Fnsi di
Saint Vincent).
Sono davvero indignato di fronte a simili
mistificazioni e stravolgimento dei fatti! E
pensare che proprio per evitare equivoci e
malintesi sull’argomento avevo presentato
e fatto votare domenica scorsa al V Congresso dell’Associazione stampa romana
una serie di mozioni per sollecitare i nuovi
organismi dell’Asr e della Fnsi ad adoperarsi per l’urgente modifica in Parlamento della
legge sull’editoria!
Ricordo che la legge n. 416 del 1981- lo
dico da 10 anni - è una piovra che incombe
sul futuro del nostro Istituto di previdenza
ed è una mina vagante sulla stabilità finanziaria dell’Inpgi e si riflette automaticamente anche sul superbonus, sulla perequazione delle pensioni e sulle risultanze del
bilancio tecnico attuariale dei prossimi 40
anni, come evidenziato due mesi fa dal
professor Gismondi.
È una normativa che consente alle aziende
editoriali - anche quotate in Borsa come il
gruppo Riffeser - con bilanci in utile di
dichiararsi in ristrutturazione o in fase di
riorganizzazione, prepensionando e scaricando in mare un po’ di giornalisti anziani,
con scivoli, scivoloni e scivoletti che poi
paga l’Inpgi, cioè tutti noi. In passato ci sono
stati casi anche di 15 anni di contributi regalati ai colleghi, a nostre spese, con le aziende che si strofinavano le mani. Da ultimo la
cosiddetta “legge Giulietti”, cioè la 62 del
2001, ha ridotto lo scivolo massimo a 5 anni, ma ha mantenuto la possibilità di ricorrervi in caso di “deterioramento” e di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale,
anziché solo in caso di una vera crisi (ad
esempio, l’amministrazione controllata decretata dal tribunale).
Non c’è, quindi, forse da chiedersi se sia
corretto addossare ad un ente previdenziale “privatizzato” come l’Inpgi, che è anche
l’unico ente “privatizzato” sostitutivo dell’Inps, il costo di pesantissimi ammortizzatori
sociali (cassintegrazione e disoccupazione
2
con i relativi contributi previdenziali figurativi, prepensionamenti e tfr in caso di fallimento)?
E come si concilia che l’Inpgi, da un lato,
sia obbligato dalla legge sull’editoria - nello
stesso identico modo di quando era ancora
ente pubblico - ad addossarsi oneri pesantissimi e del tutto impropri come gli ammortizzatori sociali e, quindi, fungere da “cassiere pagatore” del ministro del Lavoro
Maroni, e, dall’altro, invece, in base alla
privatizzazione decretata 10 anni fa dal 1°
governo Berlusconi (decreto legislativo n.
509 del 1994), essere tenuto a garantire
ben 5 anni di riserva tecnica ai fini del
puntuale pagamento delle pensioni, pena il
commissariamento dell’ente?
Non è, forse, una contraddizione in termini
che rischia di mettere in pericolo la stessa
sopravvivenza dell’Inpgi, Fondazione privata? E come si può equiparare l’Inpgi alle
altre Casse “privatizzate” dei liberi professionisti (Cassa forense, Inarcassa, Notariato, Dottori commercialisti, Enpam, ecc.)
tenute anch’esse a rispettare i 5 anni di
riserva tecnica, ma senza avere l’obbligo di
pagare 1 solo euro per gli ammortizzatori
sociali?
A ciò si aggiunga che l’art. 31 dello Statuto
dei lavoratori, che assurdamente addossa
per intero all’Inpgi - unico ente previdenziale privatizzato - l’onere pesantissimo dei
contributi previdenziali a favore di circa 100
giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, governatori di Regioni e
sindaci di grandi città. Quanti sanno che
decine e decine di parlamentari di tutti i
partiti con trascorsi giornalistici prendono
una doppia pensione (una dall’Inpgi, l’altra,
sotto forma di vitalizio, dallo Stato) prosciugando le nostre risorse? Infatti la pensione
di questi circa 100 colleghi è in gran parte
pagata dall’intera categoria!! In più, ma a
parte, lo Stato (cioè “pantalone”) provvede
a pagare loro una seconda pensione sotto
forma di vitalizio per il mandato parlamentare o equiparati!!
Ho quindi predisposto un’articolata petizione che, come qualsiasi cittadino, presenterò
nei prossimi giorni alle Camere, ai sensi
dell’art. 50 della Costituzione, non appena
avrò completato le procedure burocratiche.
In questa petizione, che ho già anticipato
nel corso dell’ultimo CdA Inpgi di martedì
scorso, sollecito la modifica della legge 416
(indennità di disoccupazione e relativi
contributi previdenziali figurativi, indennità
di cassintegrazione e relativi contributi previdenziali figurativi, prepensionamento e
t.f.r. in caso di fallimento) e della legge 300
del 1970 nei punti:
per il prepensionamento non prevedono l’intervento e la presenza obbligatoria dell’Inp1 che
gi nel procedimento amministrativo davanti al ministero del Lavoro prima della firma del
decreto di concessione dello stato di crisi;
per il prepensionamento non definiscono con assoluta certezza il concetto di “crisi” o
2 che
di “deterioramento” aziendale. Oggi è assurdamente consentita la legge 416 in caso di
riorganizzazione o ristrutturazione aziendale senza alcun accertamento da parte del tribunale civile che accerti e ratifichi uno stato di insolvenza anche temporanea (vedi, ad esempio, il caso dell’amministrazione controllata);
per gli ammortizzatori sociali (indennità di disoccupazione e relativi contributi previdenziali figurativi, indennità di cassintegrazione e relativi contributi previdenziali figurativi,
3 che
prepensionamento e t.f.r. in caso di fallimento) non specificano che l’Inpgi è ormai da 10
anni una Fondazione privata, e non più ente pubblico;
per il prepensionamento non prevedono che lo Stato rimborsi all’Inpgi almeno una
4 che
parte dei pesantissimi oneri che mettono a serio repentaglio il suo futuro, in quanto il
decreto legislativo del governo Berlusconi n. 509 del 1994, come detto, impone a tutti gli
enti previdenziali privatizzati di garantire le 5 annualità di riserva tecnica;
5
che per l’indennità di cassa integrazione guadagni non consentono all’Inpgi di ottenere
dalle aziende editoriali lo stesso 0,90% pagato, invece, all’Inps da tutte le altre aziende
non editoriali. Oggi, al contrario, l’Inpgi non incassa neppure 1 euro per l’indennità di
cassa integrazione guadagni!! Ad esempio, tutti i colleghi cassintegrati (vedi L’Unità, Avvenimenti ecc.) sono stati pagati a totale carico della categoria.
venga modificato l’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori escludendo qualsiasi onere
6 che
per l’Inpgi nel pagamento dei contributi previdenziali a favore di giornalisti divenuti parlamentari.
E veniamo alla bocciatura del ricorso al
Tar del Lazio contro lo stato di crisi al
gruppo Riffeser.
Personalmente sarei stato favorevole solo
ad un ricorso in cui fosse eccepita esclusivamente l’illegittimità della legge 416 per
contrasto con gli articoli 3, 23 e 38 della
Costituzione o in alternativa del decreto
legislativo Berlusconi 509 del 1994 che,
come detto, impone all’Inpgi le 5 annualità
di riserva tecnica, pena il commissariamento dell’Istituto.
Il presidente Inpgi Gabriele Cescutti e il
segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi
volevano, invece, presentare un ricorso indirizzato esclusivamente nel merito del
decreto Riffeser senza neppure chiedere al
Tar del Lazio in via d’urgenza la sospensiva
del provvedimento. Una mossa che, in pratica, si sarebbe rivelata solo propagandistica
e priva di qualsiasi concreto risultato pratico e “politico”.
Infatti, presentando un simile ricorso, il
decreto del ministro Maroni sarebbe rimasto in piedi per anni e quindi l’Inpgi avrebbe
dovuto ugualmente pagare i colleghi del
gruppo Riffeser e non avrebbe ottenuto
alcuna modifica della legge 416, né del
decreto Berlusconi del 1994 che sono le
vere mine vaganti sul futuro dell’Inpgi, come
dico ormai da 10 anni (all’epoca, come
alcuni si ricorderanno, ero una voce che
gridava da solo nel deserto, mentre Cescutti e Serventi da sindacalisti plaudevano alla
bontà della legge 416 che doveva essere
mantenuta in piedi a tutti i costi anche dopo
la “privatizzazione” dell’ente).
A ciò aggiungasi che nel corso del suo
intervento il professor Mauro Masi, che
rappresenta la Presidenza del consiglio nel
Consiglio dell’Inpgi, si è detto favorevole a
modificare la legge 416 in modo che lo
stesso Istituto possa finalmente partecipare
alle trattative su futuri altri stati di crisi. Il
governo, quindi, si è detto finalmente disponibile a recepire quanto reclamava da tempo lo stesso presidente dell’Inpgi Cescutti
che sarà ascoltato il 16 novembre prossimo
davanti alla Commissione cultura della
Camera dei deputati che sta appunto esaminando il disegno di legge governativo n.
4163 di riforma della legge sull’editoria.
Il professor Masi ha però aggiunto che il
ricorso che intendeva presentare l’Inpgi era
del tutto infondato e pretestuoso nel merito,
essendo il decreto Maroni formalmente
inattaccabile e giuridicamente ineccepibile
allo stato della legislazione attuale. Lo stesso concetto è stato poi ribadito dall’avvocato Maurizio Bernasconi che rappresenta il
ministro del Lavoro nel CdA Inpgi, il quale
ha aggiunto che un eventuale ricorso al Tar
nel merito avrebbe addirittura esposto l’Inpgi ad una possibile condanna per lite temeraria.
Sembra quindi ovvio che se si fosse intrapresa ancora una volta la via giudiziaria
l’Inpgi non avrebbe ottenuto da quella politica neppure quel minimo che ci è stato offerto.
Ecco perché - come la collega Silvana
Mazzocchi - mi sono astenuto al momento
del voto. E me ne assumo tutte le responsabilità, essendo a 57 anni pienamente
cosciente di intendere e volere. Sfido chiunque a mettere ora in dubbio la mia onorabilità.
Ho a disposizione dei colleghi gli stenografici dei miei interventi all’Inpgi sia sulla
vicenda Riffeser, sia su altre vicende in
passato legate sempre alla legge 416
(Corriere dello Sport-Stadio, Il Secolo XIX,
Il Mattino, Ansa, La Stampa, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, ecc. ecc.) perché ritengo
assolutamente doverosa la trasparenza da
parte di ogni amministratore, soprattutto se
giornalista.
*Consigliere d’amministrazione
dell’Inpgi ed esponente di Inpgi.sicambia
ORDINE
1
2005
0 03 ma “lo scenario è poco rassicurante.
librio”
del quarantennio considerato le entrate e le
uscite complessive e la consistenza del patrimonio sono sufficienti a garantire l’equilibrio
della gestione.
L’andamento della gestione patrimoniale, che
consiste pressoché esclusivamente nell’investimento in titoli della liquidità, dipende in
sostanza da quello dei mercati finanziari. Di
qui l’opportunità di strategie di investimento
che consentano all’Inpgi di arrivare, nel medio
periodo, ad una equilibrata struttura del patrimonio sotto il profilo rischio-rendimento tenendo sempre presente l’esigenza di coniugare il
principio della redditività con quello della sicurezza degli investimenti.
Nell’ultimo esercizio esaminato - rileva infine
la Corte - il rendimento del portafoglio titoli,
pur essendo tornato a valori positivi, grazie
alla ripresa dei mercati mobiliari, non è risulta-
D
I
B
A
T
to sufficiente a coprire l’onere della rivalutazione dei montanti contributivi, onere che è
stato perciò coperto (nella parte residua),
come nei precedenti esercizi, mediante il gettito della contribuzione integrativa (anche se
con modalità contabili che il ministero dell’Economia ha giustamente ritenuto non esatte).
Poiché tale contribuzione (al netto delle spese
di gestione) costituisce una fonte essenziale
per la garanzia della capitalizzazione, la Corte
dei Conti ha pienamente condiviso l’invito a
contenere i costi generali di funzionamento,
rivolto all’Inpgi dall’amministrazione vigilante.
(ANSA)
---------------------------La delibera si può leggere in
http://www.corteconti.it/Ricerca-e-1/GliAtti-d/Controllo-/Documenti/Sezione-de/Anno2004/Documenti/Det80.DOC_cvt.htm
T
I
T
O
Perché tanti
prepensionamenti?
Ci dicono che i conti dell’Inpgi in futuro
potrebbero saltare. Ma si continua a prepensionare i giornalisti a 58 anni, anche contro
la loro volontà, con trattamenti estremamente penalizzanti
Dunque, secondo uno studio commissionato
da Gabriele Cescutti (presidente Inpgi) al
prof. Fulvio Gismondi dell’Università “La
Sapienza” di Roma, di cui si parla in un articolo de Il Mondo attualmente in edicola, in
prospettiva le pensioni dei giornalisti sarebbero a rischio perché la spesa pensionistica
supererà le entrate.
Ma l’Inpgi continua imperterrita ad accogliere i ricorrenti stati di crisi richiesti dalle aziende, facendo un favore solo agli editori e non
certo ai giornalisti, che nella maggior parte
dei casi vengono prepensionati contro la loro
volontà e senza la possibilità di opporvisi,
subendo penalizzazioni
economiche e professionali pesantissime.
Quello dei prepensionamenti in effetti è un problema che non riguarda
solo pochi di noi, ma
tutta la categoria, compresi i giovani.
Ormai l’uscita “normale”
(e ineluttabile) dalla nostra professione non è
più la pensione, ma il
prepensionamento. Le aziende vi ricorrono
sempre più spesso, dichiarando stati di crisi
il più delle volte strumentali.
Ma non tutti sanno che le norme Inpgi da
alcuni anni sono cambiate ed i prepensionamenti sono estremamente penalizzanti per i
giornalisti. In base al combinato disposto
della legge 416 e successive modificazioni e
del regolamento Inpgi:
1) Si è costretti al prepensionamento, perché
l’alternativa è la “cassa integrazione finalizzata al licenziamento”.
2) Si subisce un forte taglio della pensione
(per chi va in prepensionamento a 58 anni
ad esempio la decurtazione è del 29,17%).
Questa penalizzazione, che non esiste per
tutti gli altri lavoratori italiani, potrebbe avere
una logica solo nei confronti di chi va in
pensione anticipata volontariamente, ma non
certo per chi è costretto a farlo.
3) C’è un divieto quasi totale di cumulo
pensione-lavoro, mentre tutti gli altri lavoratori italiani ne sono esenti. La pensione in
molti casi si riduce così a circa la metà
dell’ultimo stipendio (ed a meno della metà
di quella che si sarebbe ottenuta lavorando
fino ai 65 anni).
E non è consentito neppure di integrare il
calo del reddito con altro lavoro, neppure
autonomo, mentre dovrebbe essere permesso almeno di raggiungere (fra pensione e
collaborazioni) il livello dello stipendio precedente. Il tenore di vita si abbassa in maniera
intollerabile. La morte civile per regolamento
Inpgi. Sono norme che vanno contro i principi costituzionali e la Carta dei diritti europea.
Senza contare che andando in prepensionamento ad esempio a 58 anni, si perdono inoltre 3 o 4 scatti biennali, 7 anni di anzianità
contributiva, aumenti contrattuali ed eventuali avanzamenti di carriera.
Se la pensione è la metà di quella che si
sarebbe ottenuta lavorando fino ai 65 anni, in 20 o
30 anni di vita successivi
al pensionamento si
perdono cifre astronomiche. Gli incentivi statali e
aziendali sono briciole
rispetto a quello che si
perde. E intanto l’Inpgi si
svena, le nostre pensioni
diventano a rischio e a
festeggiare sono solo gli
editori.
Occorrerebbe una forte azione per ottenere
la modifica di queste norme del tutto inique
e per frenare i prepensionamenti, che
dovrebbero scattare solo nei casi di fallimento o di chiusura di un’azienda editoriale e
non solo per periodici e reiterati alleggerimenti dei costi.
Ma su questo tema non mi pare ci sia ancora un’adeguata attenzione da parte dell’intera categoria. Ogni tanto poi rispunta la polemica su un ventilato proposito del governo di
ridurre l’autonomia dell’Inpgi.
Ma i vertici del nostro ente previdenziale non
sono stati sfiorati dal dubbio che il governo
voglia riportare in riga l’Inpgi, che ha inventato i disincentivi al prepensionamento ed ha
introdotto il divieto di cumulo, mentre gli altri
italiani sono esenti da questi bei “regalini”?
Non è “massacrando” i colleghi che si merita
l’indipendenza.
L’allarme
sulla salute
dell’Inpgi
Franco Ferorelli
[email protected]
In www-odg.mi.it
L’Inpgi
a rischio
default?
ORDINE
1
2005
Relazione attuariale (30 agosto 2004) del
prof. Fulvio Gismondi al presidente Gabriele Cescutti: “L’Inpgi evidenzia dal 1° gennaio 2017 uno squilibrio che non consente
di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento delle pensioni promesse agli iscritti
mediante le risorse derivanti dalla contribuzione corrente”.
La risposta dell’Istituto: “La riforma pensioni non ci riguarda. Il bonus contributivo può,
ma non deve, essere recepito”.
Dichiarazione del dg dell’Inpgi a “Il Sole - 24Ore”
TORTORA
“È ineludibile una
stretta sulle pensioni”
ROMA - Il pacchetto di correzioni per garantire, nel medio-lungo periodo, l’equilibrio nei
bilanci della Cassa di previdenza dei giornalisti (Inpgi) sarà pronto - secondo il direttore
Arsenio Tortora - in primavera. Ineludibile
una stretta sulle prestazioni, ora piuttosto
generose, visto che la rivalutazione annuale
è del 2,66% contro il 2% Inps (per le pensioni retributive). Il Consiglio di amministrazione
dell’Inpgi e poi l’assemblea dei delegati non
potranno prescindere dalle conclusioni del
bilancio tecnico attuariale al 31 dicembre
2003 affidato allo studio Pirola Gismondi &
Associati.
«La Gestione principale scrive il professor
Fulvio Gismondi - evidenzia dal 1 ° gennaio
2017 uno squilibrio che non consente di fronteggiare, nel lungo periodo, il pagamento
delle pensioni promesse agli iscritti mediante le risorse derivanti dalla contribuzione
corrente. La natura dello squilibrio è di tipo
strutturale: l’attuale modello contributi/presta-
zioni, sancito dal regolamento, stante l’attuale assetto demografico del Fondo, non
consente ipotesi di equilibrio tendenziale
della gestione in ripartizione».
Le conclusioni - spiega Tortora - sono in
linea con il precedente bilancio attuariale
che aveva individuato nel 2019 l’anno a
partire dal quale le entrate contributive non
sarebbero sufficienti a coprire le pensioni. Il
“peggioramento” è imputabile ai criteri severi alla base del bilancio attuariale elaborato
da Gismondi, che per la prima volta tiene
conto della variabile prepensionamenti. Per
altro, secondo Tortora, la situazione
dell’Inpgi non si discosta da quella di gran
parte delle Casse privatizzate, che senza
correttivi sono destinate al “rosso” nel giro
di qualche lustro.
Diverso, invece, il discorso per la gestione
separata, in cui l’equilibrio è assicurato dal
contributivo a capitalizzazione.
(da Il Sole - 24 Ore del 6 novembre 2004)
Presa di posizione del vicepresidente
ANDRIOLO
“I bilanci dell’Inpgi
non vanno bene.
È il frutto di otto anni
di scelte sbagliate”
Cescutti: “Il vicepresidente è in errore: la situazione attuale
dell’Inpgi è solida ed in crescita. Lo dimostrano proprio le cifre”
Roma, 25 novembre 2004. Maurizio Andriolo, vicepresidente vicario dell’Inpgi, ha rilasciato una dichiarazione polemica sulla situazione dell’Istituto: “Non è ancora iniziato il
Congresso e già il gruppazzo di potere, che
gestisce la Fnsi, ne ha fatta un’altra delle
sue. Ha fatto votare in maniera bulgara,
all’appena concluso Congresso dei pensionati, una mozione piena di dati falsi, una
turlupinatura.
La Federazione continua a strumentalizzare
la questione Riffeser e demonizza, secondo
i sistemi praghesi, chi non fa parte della sua
cordata. La questione, peraltro, serve a
nascondere fatti più gravi: il non saper fare
accordi sindacali, oppure sperperare la forza
sindacale per motivi politici o per accordi
sottobanco (vedi la questione di un noto
giornale sportivo) oppure fare “commercio”
degli incarichi in cambio di voti. La vera situazione dell’Inpgi viene nascosta, i bilanci
dell’Istituto non vanno affatto bene, come
dimostrano le proiezioni dell’ultimo e del
penultimo bilancio tecnico.
Non è solo l’applicazione della 416 ad essere determinante, ma piuttosto 8 anni di stasi
e di scelte sbagliate, mal gestite e di negazioni totali alle richieste di bisogno dei giornalisti pensionati e non. Un Istituto che è
stato semiparalizzato da vertici politici e
amministrativi.
Soltanto nell’ultimo anno, grazie all’apporto
dei rappresentanti di Inpgi.sicambia, si è
riusciti ad avere un primo confronto con il
Parlamento per ottenere le modifiche della
416. Solo grazie alla presenza di Inpgi.sicambia, di Stampa Democratica e di una
lodevole iniziativa dei colleghi Rho e Gariboldi, si è presa l’iniziativa di chiedere una
riforma dell’Inpgi 2, per esonerare dall’obbligatorietà dei versamenti i colleghi free-
lance con basso reddito. Di fronte a chi usa
l’Inpgi come cassaforte, per la famelicità
della sua parte politica, i giornalisti devono
rivendicare risposte chiare a quello che è
stato chiesto per salvare l’Ente: che fine ha
fatto il “cumulo”, che fine ha fatto l’ammodernamento dell’Istituto, che fine farà il
bonus”.
Ad Andriolo ha risposto Gabriele Cescutti,
presidente dell’Inpgi: “Le polemiche che
caratterizzano ogni confronto dialettico ai
congressi della Fnsi, fanno a volte commettere pesanti errori. Uno di questi è rappresentato dalla dichiarazione che il collega
Maurizio Andriolo ha diffuso, nella sua
qualità di delegato, a proposito dell’Inpgi di
cui egli è vicepresidente vicario. Contrariamente a quanto afferma il collega, ribadisco
che la situazione attuale dell’Inpgi è solida e
che la solidità è stata in crescita negli ultimi
anni.
Ciò che affermo è incontestabilmente dimostrato dai bilanci e dalle cifre che ho fornito
ieri al Congresso, che possono in qualsiasi
momento essere verificate. Non comprendo
poi a quali “vertici politici ed amministrativi”
si riferisca il collega allorché li accusa di
avere paralizzato l’Ente nella passata gestione. Certo, le difficoltà non sono mancate, ma
il consolidamento dell’Ente è stato sempre
costante: ed anche questo è dimostrato dai
bilanci, certificati dai Sindaci e dalla società
di revisione Price Waterhouse. Quanto alla
gestione attuale, non mi interessa rivendicare, né a me né a gruppi, il merito di eventuali successi.
I successi, se arriveranno, saranno di tutti
coloro che compongono il Consiglio di
amministrazione ed il Consiglio generale e
che in essi avranno collaborato a tutela della
categoria e del suo futuro previdenziale”.
3
STEFANO FOLLI CONTINUERÀ A COLLABORARE COME EDITORIALISTA
Torna a
ricoprire il
ruolo già
avuto dal '92
al '97, quando
gli succedette
Ferruccio
de Bortoli
Mieli ri-direttore del
“Corriere della Sera”
Milano, 19 dicembre 2004. Paolo Mieli è il
nuovo direttore del Corriere della Sera.
Dopo aver ricoperto l'incarico dal 1992 al
1997, succede ora a Stefano Folli, che ha
diretto il quotidiano di via Solferino per circa
un anno e mezzo.
RIUNITI GLI AZIONISTI - Nel pomeriggio il
Patto degli azionisti di via Rizzoli ha vagliato
le ipotesi di una successione a Stefano Folli,
trovando quindi un accordo sul nome di
Mieli. Il voto dei grandi soci è stato unanime,
lo ha riferito il presidente del sindacato degli
azionisti, Giampiero Pesenti, lasciando la
riunione. Nello studio di Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs Quotidiani, erano
presenti l'amministratore delegato di Rcs
Vittorio Colao, il presidente di Capitalia
Cesare Geronzi, il presidente onorario della
Fondiaria Sai Salvatore Ligresti, il presidente di Mediobanca Gabriele Galateri, l'amministratore delegato di Intesa Corrado Passera, il presidente della Mittel Giovanni Bazoli,
il presidente della Merloni Termosanitari
Francesco Merloni e il presidente dei gruppi
Pirelli e Telecom, Marco Tronchetti Provera.
La nomina è stata ratificata dal Cda di Rcs
Quotidiani all'unanimità.
IL CDA: “IMPEGNO UNANIME” - Il consiglio di Rcs Quotidiani “ha assicurato a Paolo
Mieli il proprio convinto e unanime impegno
ad assecondare l'opera di consolidamento e
sviluppo della leadership del Corriere, nel
rigoroso rispetto della tradizione di autorevolezza, indipendenza, professionalità e
nella continuità di linea del giornale”.
È quanto si legge nella nota con la quale
Rcs ha ratificato la nomina di Paolo Mieli alla
direzione del quotidiano. “La piena valorizzazione delle caratteristiche storiche e del
patrimonio di risorse del Corriere - si legge
ancora nella nota - saranno centrali per il
raggiungimento degli impegnativi traguardi
del piano industriale di gruppo approvato nei
giorni scorsi”. Il consiglio, formulando a Mieli
“un vivo ringraziamento per la disponibilità
dimostrata e un caloroso augurio di buon
lavoro”, ha rivolto a Stefano Folli, che continuerà a collaborare al Corriere della Sera
come editorialista, “un vivo ringraziamento
per l'opera svolta e per la disponibilità ad
assicurare anche in futuro al giornale il
Antonio Di Rosa
direttore della
“Gazzetta
dello Sport”
Milano, 26 novembre 2004. Il consiglio di
Rcs Quotidiani ha nominato direttore de La
Gazzetta dello Sport Antonio Di Rosa al
posto del dimissionario Pietro Calabrese. Lo
si legge in una nota di Rcs MediaGroup. L'incarico di Di Rosa, già direttore del quotidiano genovese Il Secolo XIX, prenderà avvio
da mercoledì 1 dicembre una volta espletate
le procedure sindacali. I vertici del gruppo
editoriale hanno espresso "il più sentito
ringraziamento" a Calabrese per aver
consentito al quotidiano sportivo di raggiungere "risultati di tutta eccellenza" e augurato
a Di Rosa di consolidare e sviluppare la linea
editoriale del giornale "nel rispetto dei valori
dello sport" e "nel potenziamento delle risorse interne".
La designazione di Di Rosa – che ha lavorato al Corriere della Sera dal 1988 al 1999
(con una carriera da vicecaporedattore a
vicedirettore) - segue a un giro di poltrone tra
i principali gruppi media italiani. Calabrese è
stato infatti designato alla direzione del settimanale Panorama del gruppo Mondadori,
dopo che il direttore del settimanale, Carlo
Rossella, è passato alla guida del Tg5, telegiornale di punta di Mediaset, al posto di
Enrico Mentana, non senza ripercussioni
polemiche tra gli schieramenti politici.
(ANSA)
4
do non sarà stato completato tutto l'iter che
il Corriere prevede per l’ingresso del nuovo
direttore”.
Mieli:
“La stampa
che si erge
a terza
non mi
convince”
Roma, 26 novembre 2004. “La stampa che si erge a
terza non mi convince. Il suo compito è di dichiarare la
propria parte partigiana e far vedere come la si tiene a
freno e sotto controllo”.
È quello che pensa Paolo Mieli del ruolo dei giornali
parlandone con Beppe Severgnini nel corso di “Severgnini alle 10”, la rubrica di Sky Tg24 dedicata a personaggi
di rilievo del mondo dell’informazione e della comunicazione. “Invece il terzismo - dice ancora Mieli - consiste
nell’avere grande attenzione alle ragioni dell’altra parte e
ai torti della propria parte politica”.
Affrontando il delicato tema della commistione fra informazione e politica, il direttore editoriale della Rcs è
perplesso sui colleghi che scelgono la politica “perché
gettano una luce sgradevole sul modo in cui hanno fatto i
giornalisti. Per fare politica - fa presente - ci deve essere
stata una stagione in cui sono stati fatti calcoli per spianarsi la strada”. Su questo fronte, per Mieli, anche Berlusconi, dopo tanti anni, non è esente da responsabilità: “Il
rapporto incestuoso con una delle miniere d’oro della politica, che è il mondo della comunicazione, falsa il dibattito
politico anche se meno di quanto le sinistre pensino”,
Infatti, ritiene che nella stampa ci sia stato “molto più
servilismo negli anni ‘60”.
L’aver dato vita ad un genere giornalistico, il cosiddetto
“mielismo” (la mescolanza con il faceto che cercasse di
produrre notizie o qualcosa che interessasse i lettori per
competere in modo più aggressivo con la tv) lo gratifica
ma trova sia “ingeneroso” usarlo in modo caricaturale. L’ex
direttore de La Stampa e Corriere della Sera, si definisce
“un giornalista che ama la storia” e afferma di “non avere
ambizioni” e neanche rimpianti per la mancata presidenza
Rai, se non continuare a fare quello che fa e di “aver
scoperto di sentirsi veramente qualcuno nel corso della
seconda ora di lezione alla Statale di Milano - dove insegna - quando discute con i ragazzi”.
(ITALPRESS)
prezioso contributo della sua alta cultura e
professionalità”.
“L'HO SEMPRE PENSATO IN FONDO AL
CUORE” - “Non mi sarei mai aspettato di
ritornare ad essere il direttore del Corriere
della Sera, anche se, essendo rimasto nella
casa editrice, ho sempre pensato in fondo
al cuore che in qualche momento ci sareb-
be stato ancora bisogno di me”. Lo ha detto
Paolo Mieli, nominato direttore del Corriere
della sera, uscendo dalle riunioni del patto
di sindacato di Rcs Mediagroup e del consiglio di amministrazione di Rcs Quotidiani. I
due appuntamenti, ha continuato Mieli sono
stati “non formali: si è parlato delle cose da
fare”. “Non metterò piede in redazione - ha
spiegato il direttore designato - fino a quan-
Ferruccio
De Bortoli
direttore
di “Il Sole 24 Ore”
Roma, 15 dicembre 2004. “Grazie a Gentili e auguri a de Bortoli”, ha detto ieri il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, al termine della riunione del direttivo di viale dell'Astronomia, ufficializzando la nomina di Ferruccio de Bortoli a direttore
de Il Sole 24 Ore. Entrerà in carica l’11 gennaio 2005.
Ferruccio de Bortoli ritorna a Il Sole 24 Ore dopo diciassette anni. Per un breve periodo
era stato caporedattore di questo quotidiano, per poi passare nell'87 al Corriere della Sera
come caporedattore dell'economia e commentatore economico. Milanese, 51 anni, laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano, de Bortoli è giornalista professionista dal '73.
La sua carriera inizia al Corriere dei Ragazzi, prosegue al Corriere d'Informazione dove
lavora fino al '78.
Nel '79 l'approdo al Corriere della Sera come cronista, per occuparsi in seguito di economia. Successivamente, è caporedattore al settimanale L'Europeo, a Il Sole 24 Ore e al
Corriere.
In via Solferino diventa vicedirettore nel dicembre del '93 e poco più di tre anni dopo, nel
maggio '97, viene nominato direttore, succedendo a Paolo Mieli. Lascia il Corriere nel
giugno del 2003 per assumere la carica di amministratore delegato di Rcs Libri. Nel suo
editoriale d'esordio intitolato La coscienza di un Paese affermò: “L'impegno che assumo
oggi nei confronti dei lettori è solo questo: vi informeremo correttamente, senza dipendere
da nessuno e, soprattutto, senza nascondere nulla”. E in quello di commiato ricordò di
avere perseguito il valore dell' “economia di mercato, quella vera”.
Rcs MediaGroup ha ieri rivolto “un saluto riconoscente e sentito” a Ferruccio de Bortoli.
“Nel suo percorso di giornalista, sviluppato in gran parte nell'ambito del Corriere della
Sera e culminato nella direzione del quotidiano (8 maggio 1997, 14 giugno 2003) - spiega
la nota del gruppo - de Bortoli ha contribuito allo sviluppo e al consolidamento della testata con una linea editoriale fondata sulla competenza, l'autorevolezza e la costante difesa
dell'indipendenza dell'informazione. Allo stesso modo, nel suo più recente incarico di
amministratore delegato di Rcs Libri, de Bortoli ha saputo assicurare continuità alla grande tradizione editoriale della società, con il suo prezioso e appassionato contributo di
manager e uomo di cultura”.
(da “Il Sole 24 Ore” del 15 dicembre 2004)
COMUNICAZIONE AL CDR - Il Cdr del
Corriere della Sera ha ricevuto dal presidente della Rcs Quotidiani Piergaetano Marchetti e dall'amministratore delegato Vittorio
Colao la comunicazione ufficiale della proposta di nominare direttore del giornale
Paolo Mieli. Stefano Folli resterà al Corriere
come collaboratore editorialista. Secondo
quanto riferisce il Cdr, Colao ha detto che “le
motivazioni che hanno portato a proporre ai
giornalisti una diversa direzione sono esclusivamente di carattere gestionale e organizzative, legate alle necessità di sviluppo del
nuovo Corriere”.
Lunedì il Cdr incontrerà Mieli per la sottoscrizione degli impegni in caso di nomina.
Alle 16, Mieli parteciperà poi all'assemblea
dei giornalisti per illustrare il suo programma. La votazione segreta per il parere
preventivo obbligatorio dei giornalisti sulla
proposta di nomina a direttore si svolgerà
martedì 21 e mercoledì 22 dicembre.
CHI È PAOLO MIELI - Paolo Mieli è stato
fino ad oggi direttore editoriale di Rcs, carica che ricopre dal 23 aprile 1997, data in cui
la direzione del “Corriere” passò a Ferruccio
de Bortoli. Nato a Milano nel 1949, laureato
in Storia Moderna all'Università La Sapienza di Roma, Mieli comincia la carriera giornalistica a 18 anni all'Espresso di Livio
Zanetti.
Nel 1985 viene chiamato da Eugenio Scalfari a La Repubblica e dopo un anno e
mezzo da Agnelli a La Stampa, di cui
diventa direttore nel 1990. Nel 1992 succede a Ugo Stille nella direzione del Corriere
della Sera. Nel marzo 2003 viene chiamato
alla presidenza della Rai dai presidenti
delle due Camere del Parlamento. Mieli
accetta con riserva, ponendo come condizioni la piena libertà di nomina dei direttori
e il rientro di Biagi e Santoro. Cinque giorni
dopo rinuncia all'incarico per “difficoltà
tecnico-politiche”. Dall'11 settembre 2001
Mieli risponde ai lettori nella rubrica “Lettere al Corriere”, che fu per molti anni curata
da Indro Montanelli.
(da www.corriere.it)
Lanfranco
Vaccari
direttore
del “Secolo XIX”
Genova, 12 ottobre 2004. Lanfranco
Vaccari è il nuovo direttore del Secolo XIX
di Genova.
Sostituisce Antonio Di Rosa, che si è
dimesso. Vaccari assumerà l’incarico il 23
ottobre e firmerà il giornale in edicola il 24.
Vaccari, attuale direttore del quotidiano
City, è stato direttore del settimanale L’Europeo, corrispondente da Tokyo del Sole
24 Ore, inviato-editorialista del settimanale
Panorama, vicedirettore della Gazzetta
dello Sport, inviato esteri del Corriere della
Sera. Antonio Di Rosa - si legge in una
nota della Sep, la società editrice del Secolo XIX presieduta da Carlo Perrone - ha
diretto per cinque anni la testata “con perizia ed imparzialità raggiungendo importanti risultati, accrescendone il prestigio e
confermando la leadership del quotidiano a
Genova ed in tutta la Liguria”.
(ANSA)
ORDINE
1
2005
Ciampi ai
giornalisti
“Tenere la schiena dritta
è vostro dovere morale”
Roma, 13 dicembre 2004. La televisione pubblica deve
fare servizio pubblico. È il monito del presidente della
Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lanciato durante la
consegna dei premi Saint-Vincent di giornalismo al
Quirinale.
Il capo dello Stato ha fatto il punto dello stato dell'informazione in Italia, ha criticato l'eccesso di attenzione dei
media per i contrasti spesso effimeri della scena politica
interna, ha esortato i giornalisti a tenere "la schiena dritta", ma soprattutto ha invitato la Rai a non smarrire la
sua funzione primaria.
"La mia costante attenzione al mondo dell'informazione
- ha detto Ciampi - mi spinge a osservare che qualunque sia l'assetto aziendale della televisione pubblica
italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare
sempre di più la sua attività di servizio pubblico, nei
contenuti editoriali e culturali, nell'informazione, nello
stile, in linea con le indicazioni dell'Unione Europea sui
servizi pubblici radio televisivi".
Poi il presidente ha criticato l'informazione italiana per il
suo eccesso di provincialismo e per occuparsi troppo "di
dinamiche, contrasti e divisioni interne che spesso svaniscono senza lasciare traccia".
"Serve una maggiore apertura internazionale dei nostri
media - ha aggiunto - bisogna guardare e raccontare di
più quello che accade in Europa e lontano dall'Europa."
Quindi Ciampi si è rivolto direttamente ai giornalisti: "La
raccomandazione fondamentale che vi faccio è che
teniate dritta la vostra spina dorsale, è questo ciò che
ognuno di voi deve sentire come un imperativo e che
LETTERA AL DIRETTORE DI “GENTE”
deve guidare la vostra professione".
Dopo aver ascoltato gli interventi del presidente della
Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi e dal
presidente nazionale dell'Ordine del giornalisti Lorenzo
Del Boca, Ciampi ha sottolineato come i due avessero
"ripreso con forza e insistenza i temi della professionalità e della deontologia: sono temi - ha detto Ciampi che voi avvertite come fondamentali con responsabilità
e impegno".
«Non tornerò su questi temi che ho affrontato in passato
- ha proseguito Ciampi - non certo perché siano superati: ma la raccomandazione che vi faccio è che è che
teniate dritta la vostra spina dorsale, è questo ciò che
ognuno di voi deve sentire come un imperativo e che
deve guidare la vostra professione».
Per capire la vicenda
Ma il Csm non ha nulla da dire?
Giustizia e libertà
di informazione:
il caso del mostro di Firenze.
Il poliziotto della squadra
antimostro, Michele Guttari,
indaga e sotto accusa
finiscono i cronisti che
raccontano le sue imprese
Sul diritto alla libera
circolazione
delle notizie,
un intervento
del presidente
dell’Ordine
professionale
della Lombardia
Giornalista,
stai zitto!
di Franco Abruzzo*
*presidente dell’Ordine dei giornalisti della
Lombardia e docente di Diritto dell’informazione all’Università degli Studi di Milano
Bicocca e all’Università Iulm di Milano.
Caro direttore, giornali (è il caso di Gente) e
redattori (è il caso ancora di un giornalista di
Gente e di altri giornalisti di altre testate)
continuano a subire perquisizioni, intercettazioni telefoniche e incriminazioni, nonostante
nitide sentenze della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo di segno opposto alle decisioni di giudici italiani (di Firenze, Genova,
Perugia).
È diritto insopprimibile dei giornalisti quello
di raccontare quel che accade, fatti e notizie su questioni di interesse generale.
Questo principio, che è l’incipit dell’articolo
2 della legge professionale dei giornalisti
italiani, è consacrato in una sentenza della
Corte di Strasburgo. La libertà di scrivere è
sacra e cammina di pari passo con l’osservanza della deontologia.
Il rispetto del segreto professionale è una
regola fondamentale perché sul rovescio
garantisce il diritto dei cittadini all’informazione: “È diritto dei giornalisti quello di
comunicare informazioni su questioni di
interesse generale, purché ciò avvenga
nel rispetto dell’etica giornalistica, che
richiede che le informazioni siano espresse correttamente e sulla base di fatti precisi e fonti affidabili; costituisce, pertanto, un
limite irragionevole alla libertà di stampa
la condanna per ricettazione di giornalisti
che, attenendosi alle norme deontologiche, abbiano pubblicato documenti di interesse generale pervenuti loro in conseguenza del reato di violazione di segreto
professionale da altri commesso (nella
specie, copia delle denunzie dei redditi di
un importante manager francese)” (Corte
europea diritti dell’Uomo, 21 gennaio
1999; Parti in causa Comm. europea dir.
uomo c. Governo francese e altro; Riviste:
Foro It., 2000, IV, 153).
ORDINE
1
2005
La protezione delle fonti giornalistiche è
uno dei pilastri della libertà di stampa.
La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) con l’articolo 10 tutela espressamente le fonti dei
giornalisti, stabilendo il diritto a “ricevere”
notizie. Lo ha spiegato la Corte di Strasburgo con la sentenza che ha al centro il caso
del giornalista inglese William Goodwin. L’ordinamento europeo peraltro impedisce ai
giudici nazionali di ordinare perquisizioni
negli uffici e nelle abitazioni dei giornalisti
nonché nelle “dimore” dei loro avvocati a
caccia di prove sulle fonti confidenziali dei
cronisti: “La libertà d’espressione costituisce
uno dei fondamenti essenziali di una società
democratica, e le garanzie da concedere
alla stampa rivestono un’importanza particolare. La protezione delle fonti giornalistiche è
uno dei pilastri della libertà di stampa. L’assenza di una tale protezione potrebbe
dissuadere le fonti giornalistiche dall’aiutare
la stampa a informare il pubblico su questioni d’interesse generale. Di conseguenza, la
stampa potrebbe essere meno in grado di
svolgere il suo ruolo indispensabile di “cane
da guardia” e il suo atteggiamento nel fornire informazioni precise e affidabili potrebbe
risultare ridotto”.
Questi sono i principi sanciti nella sentenza
“Roemen” 25 febbraio 2003 (Procedimento
n. 51772/99) della quarta sezione della Corte
di Strasburgo. Le sentenze formano quel
diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati
contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul
modello della giustizia inglese. Su questa
linea si muove il principio affermato il 27
febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti
dell’Uomo: “I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea
dei Diritti dell’Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della
Corte europea dei Diritti dell’Uomo” (in Fisco,
2001, 4684).
La Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e le sentenze di Strasburgo rendono
forte il lavoro del cronista. Le vicende
Goodwin e Roemen sono episodi che assumono valore strategico. Quelle sentenze
La settimana scorsa la
Procura di Perugia, in
seguito alle indagini della
squadra antimostro (il
Gides) di Michele Giuttari,
ha iscritto nel registro degli
indagati il giornalista freelance Mario Spezi, collaboratore di numerosi giornali
(fra cui Gente) e televisioni.
L’accusa: favoreggiamento.
Il motivo: si è fattivamente
adoperato per “demolire” le
ipotesi accusatorie [di Giuttari, ndr] utilizzando i canali
televisivi». Cioè: siccome
Spezi critica la linea investigativa di Giuttari, viene
indagato. Non è che l’ultima
iniziativa in ordine di tempo
del poliziotto-scrittore che,
per spiegare i delitti del
mostro di Firenze, lavora da
anni, senza risultati, sulla
cosiddetta pista delle sette
esoteriche. Nelle scorse
settimane è venuto fuori
che nel registro degli indagati era finito anche il giornalista di Gente Gennaro
De Stefano, “colpevole” di
aver scritto due articoli non
graditi a Giuttari: nel primo
dava conto di un richiamo
scritto dal Dipartimento
della Pubblica sicurezza
per invitare Giuttari ad astenersi da apparizioni tv, nel
secondo raccontava dell’irritazione della Procura
fiorentina nei confronti delle
lunghe e inconcludenti
indagini dei Gides. L’accusa
per De Stefano: interruzione di pubblico servizio.
Anche il famoso caso G8,
che i lettori di Gente conoscono, nasceva incredibilmente dalle indagini di
Giuttari. De Stefano (il cui
telefono era stato messo
sosto controllo in seguito
all’accusa precedente) e il
direttore di Gente, Umberto
Brindani, erano stati addirittura accusati dì ricettazione, accusa poi rapidamente caduta e archiviata dalla
Procura di Genova. Giornalisti indagati e messi sotto
possono essere “usate”, quando i giudici
nazionali mettono sotto inchiesta, sbagliando, i giornalisti, che si avvalgono del segreto
professionale. I giornalisti devono rifiutarsi di
rispondere ai giudici in tema di segreto
professionale, invocando, con le norme
nazionali (legge n. 69/1963 e dlgs n.
196/2003), la protezione dell’articolo 10 della
Convenzione europea dei diritti dell’Uomo
nonché le sentenze Goodwin e Roemen
della Corte di Strasburgo.
Questa linea è l’unica possibile anche per
evitare, come scrive il Tribunale penale di
Treviso, di finire sulla graticola dell’incriminazione per violazione del segreto d’ufficio in
concorso con pubblici ufficiali (per lo più
ignoti), cioè con coloro che, - magistrati,
cancellieri o ufficiali di polizia giudiziaria -,
hanno “spifferato” le notizie ai cronisti. In
effetti l’eventuale responsabilità, collegata
alla fuga di notizie, grava solo sul pubblico
ufficiale che diffonde la notizia coperta da
vincoli di segretezza e non sul giornalista
che la riceve e che, nell’ambito dell’esercizio
del diritto-dovere di cronaca, la divulga. Va
affermato il principio secondo il quale il giornalista, che riceva una notizia coperta da
segreto, può pubblicarla senza incorrere nel
reato previsto dall’articolo 326 del Cp. È
palese la differenza con il reato di corruzione, che colpisce sia il corrotto sia il corruttore. L’articolo 326, invece, punisce solo chi
(pubblico ufficiale) viola il segreto e non chi
(giornalista) riceve l’informazione e la fa
circolare.
Ferma restando, ad ogni modo, la prerogativa del giornalista di non rivelare l’identità
delle proprie fonti. Il giornalista, che svela le
sue fonti, rischia il procedimento disciplinare
al quale non può, comunque, sfuggire per
l’evidente violazione deontologica. Una lettura ragionevole dell’articolo 326 del Cp evita
l’incriminazione (assurda) del giornalista per
concorso nel reato (con il pubblico ufficiale…loquace) e le perquisizioni, che sono
un’arma ormai spuntata dopo la sentenza
“Roemen” della Corte di Strasburgo. Ma i
giudici italiani conoscono le sentenze di Strasburgo?
accusa per il loro lavoro,
ipotesi di reato infamanti e
ingiustificate, un faro puntato sulla legittima attività dei
cronisti, una situazione che
crea disagio e preoccupazione. Su tutto questo, in
difesa della libertà di stampa e del diritto dl cronaca,
si sono già espresse con
forza al massimo livello le
istituzioni professionali e
sindacali dei giornalisti
italiani. La vicenda ha echi
all’estero: anche con riferimento ad alcune di queste
vicende, Reporter senza
frontiere ha declassato l’Italia nella classifica della
libertà di stampa nel
mondo. Forse sarebbe il
caso che cominciasse a
occuparsene anche il
Consiglio superiore della
magistratura (si veda, in
queste pagine, l’intervento
di Franco Abruzzo).
(da Gente n. 49
del 2 dicembre 2004)
Finirà la storia dei giornalisti arrestati e
condannati perché difendono il segreto
professionale anche come cittadini europei?
Il Codice di procedura penale, in base alla relativa legge-delega, °±deve adeguarsi alle norme
delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al
processo penale°±. Il Parlamento in sostanza
deve calare nel Codice le sentenze Goodwin e
Roemen nonché l’articolo 10 della Convenzione, abolendo il potere del Gip di interrogare il
giornalista. Finirà la storia dei giornalisti arrestati e condannati perché difendono il segreto
professionale anche come cittadini europei?
L’articolo 200 del Cpp afferma il diritto del giornalista professionista al segreto sulle sue fonti
fiduciarie, ma nel contempo autorizza il giudice
a interrogarlo sulle sue fonti fiduciarie. Potere,
questo, che fa a pugni con la Convenzione e
con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Il Parlamento deve sancire una volta per
tutte la regola in base alla quale il giornalista
ha diritto al segreto professionale come gli altri
professionisti. Punto e basta. Non una parola in
più. Strasburgo ha spiegato perché è necessaria ed urgente questa svolta. Frattanto la
Convenzione si applica e si applicano anche le
sentenze di Strasburgo.
I giornali e i giornalisti, che hanno il diritto di
fare controinformazione, hanno il dovere di
reagire in maniera ferma contro lo strapotere
di alcuni Pm e giudici. Con la parola e con gli
scritti. Deve vincere la nostra Costituzione,
che vuole giornalisti e stampa liberi, “non
soggetti ad autorizzazioni o censure”, guardiani (onesti e corretti) dei poteri (anche di
quello giudiziario). Sono alle nostre spalle le
parole di Benito Mussolini pronunciate il 10
ottobre 1928 davanti a 70 direttori di giornali
italiani: “Il giornalismo italiano è libero perché
nell’ambito delle leggi del Regime può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione. Io contesto nella maniera
più assoluta che la stampa italiana sia il regno
della noia e della uniformità”. Il duce mentiva
ma sapeva di mentire, perché la stampa era
stata imbavagliata e ubbidiva ai suoi voleri. Ma
oggi è, purtroppo, tempo di imitatori occulti.
(da Gente n. 49 del 2 dicembre 2004)
5
“
SERVENTI LONGHI:
“Negli ultimi tre anni abbiamo
fatto i conti con altrettanti anni
di governo Berlusconi,
con una poderosa riforma del sistema
della comunicazione che non ha risolto
il conflitto d’interessi, che minaccia
la pluralità delle voci e mette a rischio
il futuro della Rai”
”
La cronaca del Congresso
La prima giornata
Arne Konig:
(22 novembre 2004) “Lo sciopero è superato”
Aosta, 22 novembre 2004. Con 309 delegati e un totale
di quasi 600 accreditati, il Congresso della Federazione
nazionale della stampa italiana (Fnsi) si apre oggi pomeriggio a Saint Vincent (Aosta) con numeri da record. Il
sindacato unitario dei giornalisti italiani si ritroverà dal 22
al 26 novembre ai piedi del Monte Bianco per rinnovare gli
organismi direttivi, che resteranno in carica nei prossimi
quattro anni.
Segretario uscente è Paolo Serventi Longhi, che viene
indicato per una probabile riconferma.
“Negli ultimi tre anni - spiega Serventi Longhi - abbiamo
fatto i conti con altrettanti anni di governo Berlusconi, con
una poderosa riforma del sistema della comunicazione che
non ha risolto il conflitto d’interessi, che minaccia la pluralità delle voci e mette a rischio il futuro della Rai, del servizio pubblico radiotelevisivo italiano”.
“Il sindacato dei giornalisti - aggiunge - è stato protagonista, insieme ai soggetti disponibili, di una battaglia politica
e sociale, nel paese, senza alcuna sudditanza partitica o
di schieramento, per affermare, ancora una volta, il diritto
dei cittadini ad essere correttamente informati. Un diritto al
quale corrisponde il diritto-dovere dei giornalisti di fare, con
onestà e trasparenza, il proprio mestiere. Una battaglia
contro quelle leggi, come la Gasparri, che mettono a
rischio il pluralismo e l’indipendenza dell’informazione”.
Dopo il plebiscito ottenuto nel precedente Congresso di
Montesilvano, Serventi Longhi punta alla riconferma della
maggioranza uscente, che è composta dai gruppi di Autonomia e Solidarietà e di Giornalisti uniti.
La minoranza, formata dai gruppi Punto e a capo, Quarto
potere, Stampa democratica e Senza bavaglio, cercherà di
ritagliarsi uno spazio all’interno dei vari organismi direttivi.
Il maggiore contrasto tra le due parti della galassia Fnsi è
nato nell’ultima legislatura sull’estensione dei diritti ai vari
tipi di giornalismo.
“Il sindacato ha operato e si pone l’obiettivo di continuare
a farlo con sempre maggiore forza - aggiunge Serventi
Longhi - per il riconoscimento del lavoro giornalistico nelle
sue diverse forme, con strumenti di difesa di tutti i redditi e
ruoli professionali. Il sindacato deve dare ai colleghi freelance, al precariato diffuso, nella Rai e fuori, ai disoccupati
che non trovano più lavoro stabile, ai giovani inoccupati,
risposte finalmente chiare. Il contratto, e quindi le nostre
controparti, non possono sottrarsi dall’affrontare il nodo
dei diversi giornalismi”.
(ANSA)
Professioni: iscrizioni
in calo del 5 per cento
Dalla relazione di Paolo Serventi Longhi balzano agli occhi
anche i dati, molto negativi, sul tesseramento. Tra il 2001 e il
2003 il numero dei giornalisti professionisti iscritti alla Fnsi è
passato da 15.614 a 14.828: un calo del 5 per cento.
(fonte: www.quartopotere.org)
“Professione in piena
evoluzione tecnologica”
Saint Vincent, 22 novembre 2004. La professione giornalistica è in questo momento in piena evoluzione tecnologica
“ma purtroppo non mutano le difficoltà ed i pericoli: il 2004
sta per diventare uno degli anni più sanguinosi per il giornalismo. Più di 100 operatori dell’informazione hanno trovato
la morte”.
Con queste parole il presidente della Regione Valle d’ Aosta,
Carlo Perrin, ha dato il benvenuto agli oltre 300 delegati che
partecipano al 24° congresso della Federazione nazionale
della stampa italiana, apertosi oggi a Saint Vincent.
Perrin, facendo riferimento alla professionalità dei giornalisti, ha aggiunto: “È importante sapere che le notizie che ci
arrivano sono il frutto di un racconto fatto da professionisti; e
questo vale per l’inviato di guerra come per il cronista di
quartiere”.
(ANSA)
6
Saint Vincent, 22 novembre 2004. “La Efj è molto attenta alla situazione italiana dove, riguardo al pluralismo
dell’informazione c’è un controllo maggiore rispetto al
resto d’ Europa”. Lo ha detto Arne Konig, presidente della
Federazione europea dei giornalisti, intervenendo all’apertura dei lavori del 24° Congresso della Fnsi. Si è poi
augurato che il nuovo Parlamento europeo si occupi del
Caso Italia”.
Arne Konig ha poi lanciato un monito alla dirigenza dell’Fnsi:
“bisogna - ha detto - sviluppare metodi di lotta nuovi e non
tradizionali. Lo sciopero, ad esempio, è uno strumento superato”.
(ANSA)
Fassino: “La libertà
d’informazione vitale
per la democrazia”
Roma, 22 novembre 2004. Un incoraggiamento e un invito
a proseguire nell’impegno a difesa di un’informazione plurale, autonoma, libera. Lo fa il leader dei Ds Piero Fassino al
segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi in occasione
del’apertura oggi a Saint Vincent del 24° congresso del
sindacato dei giornalisti. E sottolinea: “Il vostro impegno sarà
il nostro impegno”.
“Tutto il centrosinistra - scrive Fassino a Serventi - deve assumere la questione del pluralismo e della libertà d’informazione come una questione vitale per la democrazia italiana,
facendo proprio l’appello del Presidente della Repubblica
Ciampi”. Tra gli obiettivi prioritari per una alternativa di governo, prosegue, “ci deve essere una legislazione che abbia al
centro il pluralismo informativo e che sia garanzia di difesa
dell’autonomia professionale dei giornalisti da qualsiasi
tentativo di condizionamento”.
“Siamo con voi - conclude - nella difesa dei valori di civiltà
e di democrazia che ogni giorno affermate con il vostro
lavoro”.
(ANSA)
Biancheri: “L’editoria
si trova in una situazione
di preoccupante pericolo”
Saint Vincent, 22 novembre 2004. L’ editoria si trova in
una situazione di “preoccupante pericolo” a causa dei
“provvedimenti legislativi negativi” di questi anni. Questo
lo scenario disegnato dal presidente della Fieg (Federazione editori), Boris Biancheri, nel suo intervento al 24°
congresso nazionale della Fnsi (il sindacato dei giornalisti italiani), che si è aperto oggi al Centro congressi di
Saint Vincent.
“Il divario fra la pubblicità raccolta dalle televisioni e dalla
carta stampata tende ad aumentare in modo preoccupante”,
ha spiegato Biancheri e ha rivolto un invito all’unità di azione
col sindacato dei giornalisti per superare questo stato di
cose: “È sincero convincimento e vivo desiderio della Fieg ha detto - che questo sforzo sia fatto insieme in modo che
produca risultati positivi”.
Una convergenza di obiettivi che non deve essere incrinata dal prossimo rinnovo contrattuale: “Il 2005 - ha ancora
affermato Biancheri - non sarà un anno facile: va a scadenza il contratto nazionale sia per la parte normativa sia per
quella economica. Credo sia necessario trovare subito
alcuni importanti punti contrattuali sui quali è possibile e
doveroso trovare accordi. Noi ci prepariamo a questo
confronto con spirito positivo e costruttivo e sono certo di
trovare corrispondenza”.
“La posta in gioco è troppo importante - ha proseguito - per
perdere tempo in manifestazioni di pura parata. Vi invito a
venire presto sul terreno concreto dei fatti”.
Biancheri ha comunque detto di non ritenere che sia “fatale”
che la carta stampata soccomba nei confronti della tv: “La
carta stampata - ha sostenuto - sopravvive se ha qualità, se
è fedele a se stessa. La rincorsa nei confronti degli altri mezzi
non è produttiva. Vi sono segni di ottimismo, anche se non
sono sufficienti per prosperare”.
(ANSA)
La giornata
del 23 novembre
Cescutti e Leone: “Inpgi
solido e Casagit in salute”
Saint Vincent, 23 novembre 2004. I conti dell’Inpgi sono
solidi e la Casagit gode di buona salute. Lo hanno detto
rispettivamente Gabriele Cescutti, presidente dell’Istituto
di previdenza dei giornalisti e Andrea Leone, presidente
della Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti. Per Gabriele Cescutti il bilancio 2004 farà registrare
un avanzo di 67 milioni di euro, il 33% in più rispetto alla
previsione di 45 milioni. “Il nuovo bilancio attuariale, però avverte Cescutti - ha confermato l’allarme per una inversione di tendenza nel 2017”. Il rischio è rappresentato dal
“pesante onere dei prepensionamenti per stato di crisi,
costati complessivamente dall’81 111 milioni di euro”. Per
il presidente dell’Inpgi è quindi necessario “un intervento
per il controllo della spesa”. Per potenziare la difesa dei
diritti dei suoi oltre 24 mila iscritti l’Inpgi, d’ intesa con la
Fnsi, ha proposto che il decreto governativo per i provvedimenti in materia di editoria consenta anche all’ente dei
giornalisti di intervenire “a pieno titolo” nelle istruttorie sulle
richieste di stato di crisi. Da quanto riferito da Cescutti, dati
positivi per il bilancio giungono anche dall’attività ispettiva
e legale (545 accertamenti dal ‘97 ad oggi) che ha consentito il recupero di 62 milioni di euro per contributi e 59 milioni di euro per sanzioni, ai quali si devono aggiungere 18
milioni di euro derivanti da cause vinte.
Sempre in termini previdenziali, compito prioritario della
Casagit, ha evidenziato Andrea Leone, “deve essere il
mantenimento delle garanzie fino ad oggi riconosciute ai
giornalisti, nonostante uno scenario che cambia, purtroppo in peggio, con poche certezze e con difficoltà crescenti
in materia di contratti e di stipendi”. La percentuale dei soci
contrattualizzati iscritti alla Cassa, subirà - secondo le
previsioni - un’ inversione consistente, passando dall’attuale 62% al 40% “con le conseguenti difficoltà a mantenere gli attuali livelli di assistenza”.
(ANSA)
Del Boca: “Dobbiamo
difendere la libertà”
Saint Vincent, 23 novembre 2004. “Viviamo un periodo
difficile, esercitiamo una professione che i poteri forti
vorrebbero imbrigliare”. Lorenzo del Boca, presidente
nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha dipinto con tinte
fosche, intervenendo a Saint Vincent al congresso della
Fnsi, lo stato dell’attività giornalistica in Italia. È stato, quello di Del Boca, un intervento lungo, appassionato e interrotto più volte dall’applauso degli oltre 300 delegati. “Preferiscono i portavoce, i giornalisti embedded che ascoltano
solo una voce, quella amica. Il giornalismo è invece tutto il
contrario, è mediazione culturale fra posizioni diverse”, ha
sottolineato Del Boca. Il presidente dell’Ordine ha ricordato
come quella del giornalista non sia una professione “al di
fuori delle regole, che gode o pretende libertà assolute. La
libertà però non viene per legge e dobbiamo conquistarla e
difenderla ad ogni livello”.
Lorenzo Del Boca non ha risparmiato critiche alla magistratura “così attenta a difendere la propria autonomia da
dimenticare quella degli altri”. Per Del Boca “censura e
autocensura sono problematiche planetarie contro le quali
bisogna lavorare assieme agli editori e chiedere loro, che
sono abbastanza distratti, che si occupino dei fatti loro...
che sono, poi i fatti nostri”. Ha quindi chiesto “di affrontare
seriamente i problemi che affliggono la stampa” e “di non
considerarli problemi marginali”.
Per quanto riguarda la pubblicità, Del Boca ha sostenuto
che “aveva già abbandonato i giornali ben prima della legge
Gasparri”. Ha quindi aggiunto: “Nella crisi della diffusione
della stampa, però, abbiamo colpe anche noi giornalisti:
iniziamo a dare più notizie, più approfondimenti, senza
necessariamente inseguire in maniera frenetica altri mezzi
di comunicazione. Dobbiamo renderci conto che non
possiamo formarci un giudizio dalla casualità, fare cronaca
come fiction o farci condizionare dai reality show”. “Riprendiamoci la professione” ha esortato. Chiudendo il suo intervento, ribadendo come la categoria abbia bisogno “che tutti
coloro che hanno fiato in gola, tutti coloro a cui sta a cuore
la professione, suonino la carica”, Del Boca ha avanzato
ORDINE
1
2005
“
DEL BOCA:
“ Viviamo in un periodo difficile,
esercitiamo una professione
che i poteri forti vorrebbero
imbrigliare. Tutti coloro
che hanno fiato in gola, tutti
coloro ai quali sta a cuore
la professione
suonino la carica”
”
della Fnsi (attraverso l’Ansa)
una richiesta: “Il Congresso si prenda la responsabilità di
scrivere alla famiglia di Maria Grazia Cutuli per ringraziarla
della lezione di civiltà data a tutti rifiutando la pena di morte
per l’assassino della figlia”.
(ANSA)
Gasparri difende
la sua legge
Saint Vincent, 23 novembre 2004. Quasi un’arena, il
congresso della Federazione italiana della stampa in
corso da due giorni a Saint Vincent, quella che ha accolto
questa mattina il ministro delle Comunicazioni Maurizio
Gasparri, venuto a portare all’assise dei giornalisti il saluto del governo ed a difenderne l’operato nel settore, la
legge che porta il suo nome in primis. Era stato il presidente della Fieg, Boris Biancheri, in apertura dei lavori,
per primo, a definire la Gasparri “una grave minaccia” per
l’informazione.
Poi un gran numero di interventi hanno affrontato o almeno fatto cenno ai problemi che quell’intervento normativo
ha aperto o aggravato. Infine, questa mattina, mentre già
il ministro era seduto in prima fila, l’intervento della delegata e rappresentante del cdr del Tg1, Ansaldo, si è
trasformato in un incidente con abbandono della sala da
parte di Maurizio Gasparri, raggiunto dal segretario della
Fnsi Serventi Longhi e convinto, con le scuse ufficiali, a
rientrare.
La Ansaldo, dopo aver denunciato “l’asservimento del Tg1
al presidente del consiglio”, parlando di “titoli e servizi
cancellati”, giornalisti mobbizzati, aveva rimproverato il
ministro che era in quel momento con il telefono all’orecchio (per una chiamata urgente da Roma, ha spiegato).
Superato l’incidente, il ministro ha preso la parola per illustrare brevemente il suo operato al ministero delle Comunicazioni ed i provvedimenti del governo sulla materia.
Dal codice sulle Tlc a quello, recentemente varato dal
Consiglio dei ministri e che - ha detto - domani andrà all’esame della conferenza stato-regioni e poi delle commissioni parlamentari, sul riassetto radio e tv.
Poi, la legge Gasparri, il provvedimento in discussione
sulla diffamazione (“non sarà perfetto ma è un importante
passo avanti”). Quindi il ministro ha, senza farvi riferimento, replicato alla delegata del Tg1, ricordando che “per
decenni il servizio pubblico ha non solo cancellato titoli,
ma anche presenze politiche” per sottolineare come chi
lavora “in Rai dovrebbe gioire nel vedere l’azienda sempre
più spesso vincere” nella gara degli ascolti, nell’informazione come con le fiction e l’intrattenimento.
Un cenno al Tg5 che ha cambiato direttore: se con la
nuova direzione il Tg5 tornerà a battere il Tg1, ha detto,
“vorrà dire che la scelta è stata azzeccata”. Infine, ancora
sulla Rai, dopo aver parlato della quotazione in borsa,
Gasparri ha ricordato che “c’era chi proponeva un’asta per
il canone. Io ero contrario. Pensate cosa sarebbe successo se avesse vinto Mediaset!”.
Al ministro delle Comunicazioni ha subito replicato il segretario della Fnsi, tra l’altro, rivolgendogli un appello affinché
in Consiglio dei ministri ricordi al sottosegretario Bonaiuti
le promesse fatte per ridurre il costo della carta, promesse, ha detto Serventi, che non sembra il governo abbia
intenzione di mantenere.
Al ministro, Serventi ha chiesto anche di intervenire perché
per “i giornalisti che sono a Nassiria al rischio della vita
non si aggiunga anche quello di finire in galera”, un rischio
che è conseguenza della riforma del codice militare. “Io
credo che si debba garantire l’informazione a tutti i livelli,
quindi approfondirò questa questione con i colleghi parlamentari che l’hanno seguita”.
Il ministro Gasparri ha risposto così all’appello di Paolo
Serventi Longhi, segretario della Fnsi, che ha chiesto la
modifica del codice militare, recentemente approvato da
un ramo del Parlamento, che prevede il carcere per i corrispondenti di guerra che diffondono notizie ritenute riservate. “È ovvio - ha aggiunto Gasparri lasciando la sala del
congresso della Fnsi - che sugli scenari militari, soprattutto quando si contrasta il terrorismo internazionale, anche
l’informazione deve rispettare delle regole diverse da quelle che possiamo sentire adesso qui parlando ad un normale convegno, in una tranquilla città italiana”.
“Tuttavia credo - ha proseguito il ministro - che l’appello
meriti di essere raccolto per un approfondimento e quindi
sicuramente ne parlerò con i colleghi che seguono questa
normativa in Parlamento per contemperare le esigenze
della sicurezza con quelle della libertà dell’informazione
che anche nei contesti estremi di guerra deve essere una
garanzia anche di democrazia”.
(ANSA)
ORDINE
1
2005
La giornata
del 24 novembre
Serventi Longhi:
sul contratto sarà scontro
Saint Vincent, 24 novembre 2004. “Sarà uno scontro duro,
forse ancora più duro di quello di quattro anni fa, perché
abbiamo idee molto chiare su come deve avanzare il nostro
contratto. Spero che gli editori abbiano volontà costruttiva”. È
il messaggio che Paolo Serventi Longhi, segretario del Fnsi
(il sindacato unitario dei giornalisti), ha lanciato all’assemblea congressuale. Intervenendo per replicare a quanti si
sono susseguiti nei tre giorni di intenso dibattito, ha invocato
“una forte unità del sindacato per rispondere alle sfide, criticando e contrastando le leggi che non ci piacciono o che riteniamo lesive dell’autonomia e dell’indipendenza dei giornalisti”. Unità sindacale che, secondo Serventi Longhi, consentirà di avviare un nuovo dialogo ed un costruttivo confronto
con le istituzioni e di fare proposte avanzate per cambiare la
situazione di oggi. “Dobbiamo essere capaci - ha sottolineato
- di formulare proposte, per questo abbiamo bisogno di tutti i
settori delle realtà redazionali, della maggioranza e dell’opposizione, per una unità da costruire sul campo e sulle cose”.
E, ritornando al contratto, ha annunciato: “Presto ci incontreremo con la Fieg, intanto prepareremo la piattaforma rivendicativa che avrà il suo obiettivo nobile nella difesa dei diritti
dei comitati di redazione, dei direttori e nella possibilità di
costruire momenti in cui le redazioni e gli editori si incontrano per discutere e per realizzare le cose”. Serventi Longhi
ha, quindi, assicurato: “Tutti questi elementi faranno parte
delle nostre richieste. Andiamo a chiedere finalmente il
rispetto del lavoro autonomo, di chi collabora all’esterno delle
redazioni, per coloro che forse svolgono il lavoro maggiore
per costruire i prodotti editoriali”.
(ANSA)
Paolo Serventi Longhi
Pier Luigi Franz
Franco Siddi
Maria Grazia
Molinari
Le giornate
del 25/26 novembre
Paolo Serventi Longhi
confermato
segretario generale.
Franco Siddi
rieletto presidente
Saint Vincent, 25/26 novembre 2004. Paolo Serventi
Longhi è stato confermato segretario generale dal 24°
Congresso della Federazione italiana della stampa. Serventi
ha avuto 209 voti. La candidata del cartello delle opposizioni,
Maria Grazia Molinari, 63; 28 le schede bianche o nulle.
Franco Siddi è stato confermato presidente della Fnsi. Lo ha
eletto il Consiglio nazionale con 71 voti su 107 votanti. L’altro
candidato, Pier Luigi Franz, proposto dalle opposizioni, ha
ottenuto 19 voti.
“Questa vittoria è del sindacato unito. Dal Congresso di
Saint Vincent è uscito un sindacato dal quale più nessuno
pensa di andare via”. Così Paolo Serventi Longhi e Franco
Siddi hanno commentato la loro riconferma rispettivamente
a segretario nazionale e presidente della Fnsi (il sindacato
dei giornalisti) che ha concluso all’alba a Saint Vincent il
Congresso al quale hanno preso parte 309 delegati. “Non
riesco ad esprimere tutta la gioia che provo in questo
momento” ha detto Paolo Serventi Longhi alla fine della
votazione che lo ha rieletto per la terza volta segretario
generale della Fnsi. “È una vittoria importante che non è mia
ma del sindacato unito, perché gli uomini passano ma il
sindacato resta. Vorrei ringraziare tutti
gli amici delle varie componenti che mi
hanno sostenuto. Ringrazio l’opposizione e Maria Grazia Molinari perché non
ci sono candidati di bandiera, ma idee.
Adesso comincerà il lavoro per costruire la squadra e il Consiglio nazionale”.
Una vittoria che ha avuto il riconoscimento delle opposizioni che avevano
candidato Maria Grazia Molinari (63
voti): “Caro Serventi, sarai il nostro
segretario”, ha detto Maria Grazia Molinari che ha poi sottolineato: “La mia
non era una candidatura arrogante, dal
momento che tutti sapevamo che non
poteva competere con la tua. Volevamo
segnalare solo un’opposizione costruttiva”. “Questo congresso, che considero il più bello delle ultime edizioni, e
questa opposizione ti hanno rieletto
perché ti stimano”, ha aggiunto rivolgendosi a Paolo Serventi Longhi.
“Avremo ancora degli scontri, ma volevo dirti caro Paolo che dobbiamo e
vogliamo lavorare insieme”, ha concluso. “Voglio essere il segretario unitario
di tutto il sindacato dei giornalisti italiani - ha risposto Serventi Longhi - il mio
è un ruolo politico, non asettico. Sono
assolutamente determinato a portare a
termine questo impegno. Vedrete che
ce la faremo”. E l’unità sindacale è
stata sottolineata ancor più, se possibile, da Franco Siddi, al suo secondo
mandato da presidente della Fnsi, “il
giovanotto sardo leale”, così lo ha definito Paolo Serventi Longhi. “Abbiamo
dimostrato, senza ammucchiate, ma
con grande trasparenza e chiarezza ha precisato Siddi - la nostra capacità
di stare assieme pur nella diversità
delle idee e delle convinzioni tutte
comunque protese a ridare ai giornalisti garanzie di autonomia e indipendenza professionale”. Il primo impegno
della nuova dirigenza sarà il rinnovo del
contratto nazionale degli oltre 10 mila
giornalisti italiani che scade nel 2004 e
per il quale la giunta della Fnsi da subito inizierà ad elaborare la piattaforma rivendicativa.
(ANSA)
7
CONVEGNO FIEG A MILANO DAI TONI TRIONFALISTICI
E D I T O R I A
Ritorno sull’investimento:
fatturato aggiuntivo generato
Incremento annuo di vendite medie
in coincidenza con l’incremento di 100
GRP: stampa vs tv
La pubblicità
sui periodici?
Radio
Classe di età
2001
2004
14-17
81
84
+4
18-34
81
83
+2
TV
Periodici
Var. %
La pubblicità sui periodici
fa crescere le vendite % di casi
Studi / Anno
2001
2004
Frequenza
d’acquisto
del prodotto
Spesa
totale
del prodotto
Al crescere del budget
destinato ai periodici si moltiplica
l’efficienza della televisione
Var. %
Laurea
87
89
+2
Diploma media sup.
84
85
+1
Classi / anno
Numeri
trattanti
il prodotto
2001
2004
Var. %
Superficie
85
88
+3
Medio superiore
83
87
+4
Media
74
75
+1
Campagna TV
Campagna stampa
Quota Periodici Quota Periodici
0-4%
4-10%
Quota Periodici
10-61%
“Fa vendere di più (e dà una mano perfi
di Patrizia Pedrazzini
Qual è lo stato di salute del periodico italiano? E, soprattutto, come si configura il suo
rapporto con la pubblicità? In altre parole:
in un momento come l’attuale, caratterizzato da un deciso strapotere televisivo, quanto rende fare pubblicità su un settimanale o
su un mensile?
È stato per rispondere a queste domande
che, otto anni dopo l’ultima messa a fuoco
della situazione, e su iniziativa della Fieg,
la Federazione italiana editori giornali, gli
imprenditori della stampa periodica si sono
riuniti in un convegno, tenutosi nella sede
dell’Assolombarda lo scorso 1° dicembre.
Tema dell’incontro: “Periodici: l’informazione
che resta. Efficacia e innovazione di un
medium fondamentale”. Un titolo che già
prefigurava le conclusioni cui gli esperti
erano giunti: non solo questo particolare
settore della carta stampata gode buona –
anzi ottima – salute, ma un investimento
pubblicitario su un settimanale o su un
mensile rende, a conti fatti, più di uno spot
televisivo.
Intanto, l’Italia è uno dei Paesi con il
maggior numero di testate periodiche. Se
ne contano circa 4.500, per un totale di 1
miliardo e 500 milioni di copie diffuse ogni
anno. Non solo: le 241 testate maggiori (67
settimanali, 171 mensili, 3 con altra periodicità) vendono, da sole, circa 1 miliardo di
copie l’anno, oltre ad aggiudicarsi più del
70% della raccolta pubblicitaria totale dei
periodici. Quanto ai lettori, sono oltre 34
milioni, circa il 66% della popolazione: in
pratica, due italiani su tre leggono ogni
mese, o ogni settimana, un periodico. Un
settore florido ma statico? Niente affatto.
Negli ultimi dieci anni le copie diffuse sono
aumentate di circa 20 milioni. E non si può
neanche dire che l’irrompere di nuovi
media, o lo sviluppo tecnologico di quelli
“classici”, ne abbia intaccato il pubblico. Il
numero totale dei lettori è, infatti, cresciuto
di 700.000 unità negli ultimi tre anni. In
particolare, le testate hanno accresciuto la
loro penetrazione tra le fasce più giovani
(14-34 anni) e nei segmenti socio-economici e culturali più elevati, mentre, fra i ragazzi di età compresa fra i 14 e i 17 anni, l’aumento dei lettori è stato del 4% tra il 2001 e
il 2004.
Merito della qualità dell’offerta italiana, decisamente alta se non addirittura “eccellente,
soprattutto se confrontata – ha detto il presidente della Fieg, l’ambasciatore Boris Biancheri – con quanto viene stampato all’estero, in fatto di periodici, ma anche di quotidiani”. Merito della cura dedicata al design
Antonio Massa:
“No ai contratti
separati
per i giornalisti”
Superato il tabù del contratto unico, aveva detto ieri nella
sua relazione introduttiva al 24° Congresso dei giornalisti
in corso a Saint Vincent il segretario generale Paolo
Serventi Longhi riferendosi all’accordo Aeranti-Corallo, si
può guardare ad altri contratti differenziati. E aveva aggiunto che è ora “di avviare un serio confronto con l’altra associazione dei periodici specializzati Anes”.
8
e alla veste grafica, da sempre elementi
caratteristici del “made in Italy”. Ma anche e
soprattutto merito del forte rapporto, fatto di
autorevolezza e di credibilità, che le testate
hanno saputo instaurare con i lettori. “I
periodici – ha sottolineato il presidente di
Eurisko, Giuseppe Minoia – sono media
attivi, che accompagnano il lettore per più
giorni, e chi li acquista sa molto bene, a
differenza del pubblico della tv generalista,
quello che vuole”.
Di qui la validità del periodico quale strumento di comunicazione pubblicitaria nel
breve e nel medio termine. Anche se nessuno si è nascosto il problema del forte scompenso esistente fra gli investimenti pubblicitari che vanno alla televisione e quelli destinati ai giornali. “È indubbio che lo strapotere della televisione in questo Paese – ha
detto in un messaggio video inviato al
convegno il presidente di Confindustria, ed
ex presidente della stessa Fieg, Luca
Cordero di Montezemolo – costituisca un
elemento di difficoltà per la carta stampata.
È indubbio che il momento sia difficile. Ma
l’editoria italiana, forte di una qualità dell’offerta unica e irripetibile a livello mondiale,
sta reagendo, e bene”.
“È scandaloso – ha rimarcato il direttore di
Gente, Umberto Brindani – che in Italia due
terzi della pubblicità vadano alla tv, ma tutto
“Andiamoci piano – ha però avvertito Antonio Massa, eletto delegato della Lombardia nelle liste di Quarto potere e
componente del Cdr Domus, la casa editrice che pubblica
anche Quattroruote – assicuriamoci prima che certe associazioni serie lo siano.
L’Anes, ad esempio, associa di tutto: dai periodici del Sole24 Ore all’editore di Blek e Capitan Miki, dai fornitori di
carta e di coperture assicurative alle Poste svizzere interessate a vendere agli editori il servizio di spedizione, per i
quali l’Anes continua a implorare il governo affinché conceda agevolazioni”.
“Sono contrario all’ipotesi di un contratto differenziato con
l’Anes - ha sostenuto ancora Massa – e credo di interpretare il pensiero di tutti i colleghi che, lavorando in testate
specializzate, già hanno un contratto giornalistico.
L’Anes mira a ridurre i margini di autonomia professionale
e il potere dei direttori per ampliare quelli dei responsabili
della pubblicità.
Ma si tratta, almeno per quanto riguarda il gruppo dirigente dell’Anes, di editori dai bilanci floridi come, oltre ai citati,
imprese del calibro Vnu, Idg, Tecniche nuove, ai quali non
sarebbe ragionevole concedere sconti contrattuali come
desiderano”.
Si tenga conto, per di più, che alcuni editori Anes ambiscono a fornire servizi editoriali per terzi, a costi più bassi
rispetto agli editori Fieg che a quel punto preferirebbero
affidare in outsourcing pagine e pagine, considerando rami
ciò rientra nelle anomalie di questo Paese”.
E, in effetti, all’estero la situazione è differente. “In Italia – ha sottolineato Urbano
Cairo, presidente di Cairo Editore e dell’Editoriale Giorgio Mondadori – la televisione
pesa per il 55%, negli Stati Uniti per il 35%”.
Ma anche spostando il raffronto a un Paese
europeo, le cifre cambiano di poco: in
Germania, per esempio, gli investimenti
pubblicitari finiscono per il 58,8% alla carta
stampata e per il 28,8% alla tv.
Eppure, nonostante tutto, la stampa periodica italiana è considerata un medium più
efficace della televisione per raggiungere,
con maggiore efficienza e capacità persuasiva, i destinatari del messaggio pubblicitario. “Per noi - ha detto Michele Norsa, amministratore delegato della “Valentino” – che
investiamo per il 60% nei periodici, l’effetto
di una copertina è immisurabile”. “Saremmo
morti – gli ha fatto eco il presidente dell’Upa (Utenti pubblicità associati), Giulio
Malgara – se potessimo contare solo sulla
televisione: oltre le ventiquattr’ore al giorno
non potremmo andare”. “Come Benetton –
ha rincarato la dose Paolo Landi, direttore
Pubblicità del Gruppo di Treviso – destiniamo il 60% degli investimenti pubblicitari alla
stampa, il 40% alle affissioni e niente alla
tv. Troppo degradato come mercato, mentre
un’impresa deve lavorare affinché il
secchi i propri giornalisti specializzati in automobili piuttosto che in gastronomia, turismo e altro ancora.
“E non limitiamoci a immaginare l’Anes come una secondaria associazione di editori specializzati. Come oggi vi
aderisce il Sole-24 Ore – ha incalzato Massa – cosa
fermerà domani la Mondadori o il gruppo L’EspressoRepubblica dal chiedere di associarsi se lo considererà più
conveniente rispetto all’adesione alla Fieg?
Non credo fantascientifico immaginare pagine sui viaggi e
sul turismo fornite da un National Geografic aderente all’Anes, e che potrà magari obbligare i suoi giornalisti a lavorare per altri editori se la Fnsi cederà, a un quotidiano
come La Stampa aderente alla Fieg,”.
Riassume bene la controversa situazione in cui si trovano i
giornalisti specializzati delle testate Anes, l’appunto inviato
ai delegati al Congresso di Saint Vincent dal Cdr della Vnu
che afferma tra l’altro: “In queste realtà editoriali il direttore
responsabile è anche un dirigente aziendale: due figure
incompatibili.
Da una parte egli dovrebbe tutelare il corpo redazionale,
ma ciò è impossibile dovendo rispettare il budget da
presentare all’azionista ogni tre mesi […] hanno perso il
senso della professione giornalistica. Quindi è assolutamente necessario che il nuovo Cnlg preveda la scissione
netta e precisa dei due ruoli”.
ORDINE
1
2005
La situazione della stampa periodica, prevalentemente
concentrata in Lombardia, è preoccupante
Periodici a picco,
serve una vertenza
“Nuova Informazione” chiede a tutte le istituzioni e a
tutti i colleghi di varare una grande vertenza ad hoc
Milano, 3 dicembre 2004. Testate che chiudono, cessioni d’azienda, crisi occupazionale. La
situazione della stampa periodica, prevalentemente concentrata in Lombardia, è preoccupante.
Prima che diventi drammatica serve un’analisi dei dati e un rilancio dell’iniziativa sindacale.
“Nuova Informazione” si fa carico del disagio e chiede a tutte le istituzioni (Fnsi, Alg e Commissione sindacale) e a tutti i colleghi di varare una grande vertenza ad hoc.
VERSO UNA GRANDE VERTENZA NAZIONALE DEI PERIODICI.
La drammatica politica di ridimensionamenti, tagli, chiusura di testate, cessioni di rami d’azienda e di giornali attuata in questi ultimi mesi da gruppi grandi e piccoli della stampa periodica, da
Mondadori a Gruner & Jahre, da Edit a Rizzoli ed editori vicini, richiede una risposta adeguata
e complessiva del sindacato.
Bisogna mettere al centro di una iniziativa nazionale la stampa periodica, che in Lombardia (ma
non soltanto) occupa migliaia di colleghi e copre uno spettro informativo molto importante, al
centro fra l’altro di temi sindacali e deontologici fondamentali per la nostra categoria: dalla
questione rapporti pubblicità-informazione al lavoro precario dilagante, all’utilizzo multitestata,
molto praticato nel settore. È indispensabile un nuovo slancio di indagine e analisi della situazione e soprattutto di iniziativa dei Cdr nelle redazioni e di Fnsi e Alg sul piano complessivo.
“Nuova Informazione” prende l’iniziativa - ma aprendo la proposta a tutte le colleghe ed i colleghi di buona volontà sindacale, non solo lombardi - di avviare una vertenza nazionale periodici
con una serie di assemblee nelle case editrici grandi e meno grandi, alla presenza di dirigenti
nazionali e lombardi del sindacato. Nella prospettiva, entro il mese di gennaio, di una grande
iniziativa pubblica nazionale a Milano, invitati i dirigenti del sindacato ma anche tutti i colleghi dei
periodici (oltre ad esponenti qualificati del mondo dei lettori e consumatori dei giornali, ad altri
sindacati e ad interlocutori culturali), per mettere a fuoco con testimonianze dirette il momento
di crisi del settore, ma anche per avanzare concrete proposte di soluzioni sindacali.
Tutto questo anche in relazione alle questioni contrattuali aperte, che il prossimo rinnovo potrebbe efficacemente riproporre nella trattativa con gli editori.
(IL 16 DICEMBRE L’EDITORE RUSCONI - HACHETTE HA ANNUNCIATO LA CHIUSURA
DI 4 TESTATE: INCERTO IL DESTINO DI 33 GIORNALISTI)
no alla televisione)”
messaggio pubblicitario rimanga, garantendosi così un adeguato ritorno dell’investimento”. E ancora: “Basta anche con questa
sudditanza della stampa dal mezzo televisivo. Con l’avvento del digitale molte cose
cambieranno. Vedo un grande futuro per la
stampa. Quanto alla televisione, diventerà
come la lavatrice, niente più che un elettrodomestico”.
I segnali, del resto, già ci sono. Secondo
dati forniti dalla Fieg, sia negli Stati Uniti che
in Italia le campagne sui settimanali e sui
mensili determinano una pressione pubblicitaria (in termine tecnico Grp, Gross rating
point) superiore a quella televisiva. Se infatti al di là dell’Atlantico i primi 25 periodici
generano 258 Grp sul target commerciale
dei 18-49enni contro i 185 Grp dei primi 25
programmi televisivi, nel nostro Paese (e
nonostante il panorama televisivo sia più
concentrato) i primi 25 periodici producono
234 Grp sulla pure più ampia fascia dei 1554enni, contro i 210 Grp delle prime 25
testate tv.
Insomma, nessun complesso d’inferiorità.
Tanto più che i lettori (sono sempre dati
Fieg) riconoscono alla pubblicità veicolata
dai periodici maggiore credibilità rispetto a
quella degli altri mezzi di comunicazione, e
in particolare rispetto a quella televisiva (il
43% contro il 32% di credibilità generica).
Anes:
“Mercato
in crescita
per la stampa
specializzata”
ORDINE
1
2005
Mentre, in tema di effetto sugli acquisti, la
pubblicità sui periodici determina scelte tra
i prodotti in misura superiore del 58%
rispetto alla tv.
Fino all’estrema conseguenza per la
quale, come ha rilevato un’analisi condotta negli Stati Uniti nell’arco dei sette anni
compresi fra il 1994 e il 2000 su 186
marche, l’efficacia delle campagne pubblicitarie televisive aumenta con l’aumentare
degli investimenti nella stampa periodica.
Il motivo? Test di laboratorio condotti in
dodici anni in Europa e negli Usa hanno
accertato come l’esposizione a uno spot
tv e a un annuncio sulla stampa periodica
produca, in termini di ricordo, risultati
superiori del 20% rispetto all’esposizione
a due spot televisivi.
Per cui, come ha commentato al convegno
Gianpaolo Fabris, professore ordinario di
Sociologia dei consumi all’Università Iulm
di Milano, “in tema di periodici, non solo non
stiamo parlando del caro estinto, ma
nemmeno di chi abbia i capelli grigi, bensì
di qualcuno che sta vivendo una seconda
giovinezza”.
“Il periodico – ha sintetizzato l’ambasciatore Biancheri – porta con sé un valore
aggiunto unico: la parola scritta, portatrice
di una capacità di persuasione molto più
elevata dell’immagine televisiva”.
Roma, 22 novembre 2004. Mercato in moderata crescita per
l’editoria periodica specializzata. Lo sottolinea l’Anes, associazione che raccoglie 185 editori della stampa business to business, che precisa: “il 25% delle aziende prevede un aumento
tra l’1 e il 5%”.
Il primo semestre del 2004, fa notare l’Anes, si è chiuso su valori di fatturato stazionari. In particolare, emerge da interviste
effettuate agli editori soci dell’associazione, il 66% delle testate,
quale che sia il settore, dichiara un fatturato stazionario rispetto
all’analogo semestre dell’anno precedente. La parte rimanente
si suddivide in due gruppi: il 21% dichiara un miglioramento del
fatturato, mentre il 14% dichiara una diminuzione. Quanto alle
previsioni di chiusura dell’anno in corso, prosegue l’Anes, circa
due terzi delle testate prevede l’ultimo trimestre stabile; i rimanenti si lanciano in una previsione più ottimista.
In generale, sottolinea ancora l’associazione, “il panel degli
intervistati si divide in tre aree abbastanza simili dal punto di
vista della loro consistenza: il 28% delle aziende esprime una
valutazione positiva con una crescita del mercato, il 31% definisce il mercato sostanzialmente stabile e, infine, il 40% esprime
un sentimento di preoccupazione per l’andamento dell’anno e
quindi per le prospettive”. “Si tratta di numeri che suggeriscono
un trend sostanzialmente positivo per l’attività dei nostri associati”, ha commentato il presidente di Anes Giuseppe Nardella.
“La Pmi - ha aggiunto - si trova ad avere bisogno di informazioni a valore aggiunto sempre maggiore, che può essere garantito solo da una stampa tecnica specializzata”.
(ANSA)
Premio giornalistico
per la divulgazione scientifica
Il “Voltolino 2004”
va a Lara Ricci,
Francesca Cappelli
e Annalisa Manduca
Il “voltolino” è un uccello acquatico molto velofra i primi al mondo. Lo dirige il dottor Massice e intelligente ed è anche il soprannome
mo Di Martino, pronipote di Alfredo Gentili che
che un professore di un liceo di Pisa appioppò
per ricordare il bisnonno, ha istitutio il Premio
ad un suo allievo particolarmente dotato e
giornalistico “Voltolino” per la divulgazione
sempre in movimento alla ricerca di qualcosa,
scientifica. Viene assegnato ogni anno.
mai sazio di ciò che apprendeva a scuola,
Quest’anno, la giuria del “Voltolino”, composta
prima, in università, poi. “Al secolo”, come si
da Renato Dulbecco, Premio Nobel per la
diceva un tempo, Voltolino si chiamava Alfremedicina, da Carlo Rubbia, Premio Nobel per
do Gentili, nato a Ghezzano, in provincia di
la fisica, da Paola De Paoli, presidente dell’UPisa, nel 1879. Fin da bambino visse nel
nione italiana giornalisti scientifici, da Enrico
capoluogo toscano, dove si respirava ancora
Decleva, magnifico rettore dell’Università degli
un’aria post risorgimentale e goliardica (non
studi di Milano, da Silvio Garattini, direttore
per nulla il famoso battaglione universitario
dell’Istituto ricerche farmacologiche “Mario
toscano che partecipò alla prima guerra d’inNegri” di Milano, dopo avere vagliato 83 candidipendenza, nel 1848, era composto per metà
dature, ha assegnato la settima edizione del
da studenti pisani. Quell’atmosfera immortalapremio a Francesca Cappelli, giornalista
ta nelle prose e nelle
free-lance, per una serie di
poesie (famosi i Sonetti
servizi apparsi sul mensile
La giuria ha inoltre
Pisani) di Neri Tanfucio, al
Quark, a Annalisa Mandusecolo Renato Fucini.
deciso di assegnare ca, collaboratrice di NatioGentili ne fu contaminato
nal Geographic Channel, e
il “Premio speciale
e da bravo intellettuale di
a Lara Ricci, vicecaposerprovincia (a quanti di noi è
vizio
della pagina Tecnoloalla carriera”
accaduto!), si dette al giorgia & Scienze del Sole 24a
Giuseppe
Prunai
nalismo. Prima collaboraOre e di @lfa.
tore di un foglio locale, Le
La giuria ha inoltre deciso
e a Giorgio
logge di Banchi, poi redatdi assegnare il “Premio
Santocanale
tore de Il Telegrafo di Livorspeciale alla carriera” a
no, poi editore e direttore
Giuseppe Prunai, giornalidi un settimanale locale Il Mattaccino, infine
sta scientifico, già inviato speciale e vice capodirettore de Il corriere toscano e collaboratore
redattore del Gr1-Rai, attualmente presidente
de L’illustrazione italiana.
dei probiviri Ugis e docente di giornalismo
Nei primi anni del ‘900, quando l’industria
radiofonico in master di comunicazione scienitaliana era in pieno boom e quella farmaceutifica, e a Giorgio Santocanale, fondatore e
tica in piena espansione, Gentili scoprì la
direttore di importanti testate di divulgazione
propria vocazione imprenditoriale e fondò
scientifica, attualmente vice presidente dell’Ul’Istituto galenico per la produzione di farmaci.
gis impegnato nella formazione di nuove
Ben presto si rese conto che un’azienda
generazioni di giornalisti scientifici. Infine, la
farmaceutica per sfondare avrebbe dovuto
Targa del Presidente della Repubblica, è stata
allinearsi alle più celebrate industrie tedesche
assegnata a Tullio Regge, docente di Teoria
e americane. Il che voleva dire investire molto
quantistica della materia al Politecnico di Torinella ricerca. Il suo primo laboratorio di ricerca
no, scrittore di divulgazione scientifica.
venne alla luce negli anni ‘30. Fu poi distrutto
La consegna dei premi è stata occasione per
in un bombardamento (qualcuno ricorda di
un interessante dibattito, nella prestigiosa
aver visto Gentili frucare fra le macerie
quanto algida cornice del Museo della Sciencercando di recuperare il recuperabile) e ricoza e della tecnica di Milano, dal titolo “Dal
struito negli anni ‘50.
mondo ai mondi, inseguendo la vita”, coordiAdesso, il vecchio Istituto galenico ha assunto
nato da Alessandro Cecchi Paone, al quale
un altro nome, ha uno stabilimento che si
hanno partecipato l’astrofisica Margherita
estende su 27.000 mq e un centro di ricerche
Hack e il fisico dell’atmosfera Franco Prodi.
Il Premio “La Torretta”
a Maffei, Padovan e Morra
Sesto San Giovanni, 29
novembre 2004. Il Teatro
Elena ha ospitato la cerimonia della consegna dei riconoscimenti del Premio nazionale “La Torretta” per lo
sport, giunto quest’anno alla
31ª edizione.
L’obiettivo del premio, ideato
e organizzato da Quinto Vecchioni direttore de Il Corriere
di Sesto e presieduto da
Bruno Pizzul, non è solo offrire un riconoscimento ai
campioni dello sport, ma
anche evidenziare il troppo
spesso oscuro lavoro di
quegli atleti che si sono dedicati con entusiasmo ai cosiddetti sport minori, nobilitandone il ruolo e favorendone la
diffusione. Il “Torretta” premia inoltre coloro (giornalisti,
società sportive, scrittori, dirigenti, sponsor, manager,
campioni di ieri, protagonisti
di grandi imprese e di iniziative di solidarietà) che con il
loro impegno contribuiscono
a esaltare lo sport e a elevarne i contenuti.Fra i colleghi
giornalisti, sono stati premiati
Fabrizio Maffei, direttore di
Rai Sport, Giancarlo Pado-
van, direttore di Tuttosport, e
Antonio Morra, caporedattore del Corriere della Sera.
Un riconoscimento particolare è andato al periodico
cattolico Città Nostra per i
suoi 50 anni di presenza a
Sesto San Giovanni.
Il Consiglio del Gruppo lombardo giornalisti sportivi, presieduto da David Messina,
ha voluto assegnare a Quinto Vecchioni, instancabile
patron del “Torretta” e direttore-editore de Il Corriere di
Sesto, il premio “Pubblicista
dell’Anno”.
Aurora Marsotto
premiata a Vignaledanza
In un eccezionale contesto di
spettacolo, che ha visto ospiti
la Compagnia Teatro Nuovo
e la Compagnia Jazz Ballet,
sono stati consegnati i Premi
Vignaledenza ad Aurora Marsotto, ad Adriana Cava e ad
Antonio Aquila, con le seguenti motivazioni.
Alla signora Marsotto “in riconoscimento dei suoi meriti di
critico di danza e in particolare di autrice di testi per
bambini, Tino il Cioccolatino
e Da grande farò la ballerina,
che sono allettanti veicoli per
avvicinare i bambini all’arte
della danza”.
Ad Antonio Aquila, “in riconoscimento dei suoi meriti di
ballerino di étoile apprezzato
dalla stampa internazionale.
La sua figura è punto di riferimento per la Campagna di
Danza Teatro Nuovo ed
espressione rappresentativa
della stretta collaborazione
tra Cuba e Italia”.
Ad Adriana Cava “in riconoscimento del suo talento di
coreografa e della sua capacità di mediare le arti del
palcoscenico, prosa danza
musical, per realizzare
spettacoli di altissimo livello
culturale e allo stesso tempo di più facile ed estesa
fruibilità da parte del pubblico.
Una menzione particolare
merita la sua più recente
creazione Metropolis.”
9
E D I T O R I A
Anche Rcs
e Gruppo Espresso
contro Rai e Fininvest
Roma, 26 novembre 2004. Non solo la Fieg in quanto federazione ma anche singoli gruppi editoriali come Gruppo
Espresso ed Rcs, hanno chiesto all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni di poter intervenire nell’indagine sulle
posizioni dominanti nei confronti di Rai, Rti e Publitalia. I
grandi editori di carta stampata hanno deciso di procedere
anche singolarmente perché mossi dal timore delle ripercussioni che si avranno sul già debole mercato pubblicitario a
danno della carta stampata.
(ANSA)
Tv: rischi anticompetitivi
con Fininvest
in Telecom Italia-Tf1
Roma, 26 novembre 2004.
L’Antitrust rileva come un problema di natura strutturale per
la concorrenza è “rappresentato dall’esistenza di una fitta
rete di partecipazioni e di legami di tipo non azionario tra
alcuni dei maggiori operatori
televisivi”.
In particolare Fininvest è risultata detenere partecipazioni
indirette in due gruppi neoentranti, Telecom Italia e Tf1Hcsc (l’emittente Sportitalia di
cui sono azionisti Tarak Ben
Ammar e i francesi di Tf1,
ndr). Analizzando gli effetti
“della partecipazione di Fininvest in Telecom Italia” l’Antitrust fa rilevare come “la recente letteratura economica
ha ampiamente dimostrato
come gli ‘investimenti passivi’
in imprese rivali possano determinare significativi effetti
anti concorrenziali. Ciò in virtù
della presenza delle due imprese, l’investitore e la società
oggetto dell’investimento, sugli stessi mercati rilevanti ovvero su mercati collegati e di
un conseguente effetto di
coordinamento tra le due società. In altre parole - sottolinea l’Antitrust - l’investimento
di Fininvest in Telecom Italia
attenua, anche in prospettiva,
la pressione competitiva nella
raccolta pubblicitaria televisiva, rappresentata dal secondo gruppo sulle condotte del
primo”.“In particolare, l’investimento di minoranza in un’impresa che opera su uno o più
mercati in cui è attivo l’investitore ha l’effetto - per l’autorità
Antitrust - di diminuire la concorrenza tra le due parti sui
mercati rilevanti, facilitando un
esito di coordinamento e di
condizionamento delle condotte delle due società”. (AGI)
Fieg all’Agcom:
ascoltateci su procedura
Rai-Mediaset
Roma, 26 novembre 2004.
La Federazione italiana editori
giornali (Fieg) ha richiesto di
intervenire nel procedimento
che l’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni ha avviato per accertare la sussistenza di posizioni dominanti nei
mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni (sic). È quanto annuncia una nota della Fieg che
sottolinea come “nel procedimento, avviato con la delibera
dell’Autorità dello scorso mese di ottobre nei confronti di
Rai spa, Rti spa e Publitalia
‘80 spa, è prevista infatti anche la partecipazione di associazioni o comitati rappresentativi di soggetti ai quali possa
derivare un pregiudizio diretto,
immediato e attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria
o dai provvedimenti conseguenti”.“La Federazione - pro-
segue il comunicato - il cui fine
statutario è la tutela degli interessi degli editori di giornali
quotidiani e periodici, ha avanzato la richiesta in quanto dai
provvedimenti adottati a conclusione del procedimento si
avranno sicure ripercussioni
sulle modalità di distribuzione
delle risorse pubblicitarie, fonti
essenziali di finanziamento di
tutti i mezzi di informazione e,
in particolare, di quelli stampati rappresentati dalla Fieg. La
decisione di intervenire nel
procedimento - osserva la
Fieg - risulta avvalorata dalle
conclusioni, rese note oggi,
dell’indagine conoscitiva sulla
pubblicità televisiva svolta
dall’Autorità Antitrust secondo
la quale fattori di natura strutturale hanno impedito il realizzarsi di un sistema veramente
concorrenziale sul mercato
pubblicitario complessivo.
Antitrust: concentrazione pubblicità senza
Posizione dominante Fininvest con il 65%
Roma, 26 novembre 2004. Il mercato della raccolta televisiva in Italia “è contraddistinto da un livello di concentrazione
che non ha riscontro negli altri Paesi europei, e che è determinato dalla posizione dominante del gruppo Fininvest, in
virtù di una percentuale di raccolta pari al 65%, e dalla quota
di Rai che detiene, con il 29%, la quasi totalità della parte
residuale del mercato”. È quanto scrive l’Antitrust nelle
conclusioni dell’indagine conoscitiva sulla raccolta pubblicitaria televisiva.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua
adunanza del 16 novembre 2004, ha deliberato la chiusura
dell’indagine conoscitiva, avviata il 29 maggio 2003 ai sensi
dell’articolo 12 della legge 287/90, riguardante il settore televisivo e, in particolare, il mercato della raccolta pubblicitaria
su mezzo televisivo.
L’indagine ha evidenziato come il settore nazionale della
raccolta pubblicitaria, ed il mercato della raccolta televisiva in
particolare, sia caratterizzato da un’elevata concentrazione,
nonché da elevate barriere all’ingresso, a causa soprattutto
di alcuni fattori di natura strutturale che ostacolano il corretto
funzionamento del mercato.
Mentre i mercati della raccolta pubblicitaria su quotidiani,
periodici e radio presentano una struttura piuttosto competitiva, quello della raccolta televisiva - la cui caratteristica principale è di essere composto da gruppi televisivi che forniscono
contenuti ai telespettatori e offrono contemporaneamente
inserzioni ai clienti pubblicitari – è contraddistinto da un livello di concentrazione che non ha riscontro negli altri Paesi
europei, e che è determinato dalla posizione dominante del
gruppo Fininvest, in virtù di una percentuale di raccolta pari
al 65%, e dalla quota di Rai che detiene, con il 29%, la quasi
totalità della parte residuale del mercato.
I fattori che limitano la concorrenza
L’indagine ha evidenziato come a determinare questo assetto sia stata una serie di fattori di natura strutturale che ha
ostacolato il corretto funzionamento del gioco della concor-
LETTERE IN
REDAZIONE
renza nel settore televisivo, ed in particolare nella raccolta
pubblicitaria. Questi fattori, in ampia misura specifici del
contesto italiano rispetto a quello degli altri Paesi, sono:
• la disponibilità, in un contesto di scarsità della risorsa
frequenziale, di tre reti in capo a ciascuno dei due principali gruppi televisivi, che ha consentito a Fininvest e Rai di
attuare strategie che hanno limitato l’entrata e la crescita di
nuovi concorrenti;
• la disciplina che regola le condotte della società cui è affidato
il servizio pubblico radiotelevisivo, che, da un lato, ha favorito
la creazione di un duopolio simmetrico nel versante dell’offerta di contenuti televisivi; dall’altro, ha rafforzato gli incentivi
dei due operatori incumbents ad attuare politiche commerciali accomodanti nella raccolta pubblicitaria televisiva;
• l’asimmetrica allocazione delle risorse frequenziali, dovuta
alla mancanza di un processo centralizzato di assegnazione delle frequenze radiotelevisive che, congiuntamente
all’integrazione a monte degli operatori televisivi nel mercato della trasmissione del segnale, ha determinato una significativa differenziazione delle reti televisive nazionali, in
termini di copertura effettiva, a vantaggio dei due operatori
storici;
• una scarsa penetrazione delle piattaforme trasmissive alternative a quella terrestre, che ha limitato le possibilità di
accesso al mercato della raccolta pubblicitaria televisiva da
parte di nuovi soggetti;
• l’assetto proprietario della società di rilevazione degli ascolti televisivi, su cui Fininvest e Rai esercitano un’influenza
determinante;
• la fitta rete di partecipazioni azionarie e di legami di tipo
non azionario attraverso cui Fininvest riesce ad esercitare
una propria influenza sulle decisioni di alcuni importanti
operatori, ed in particolare delle società neo-entranti Telecom Italia e Tf1-Hcsc.
Alla luce di queste problematiche concorrenziali, l’Autorità
ritiene opportuno suggerire alcuni interventi in grado di favorire un efficace confronto competitivo nel mercato nazionale
della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo.
In primo luogo, secondo l’Antitrust andrebbe ripensata l’attuale normativa in materia di servizio pubblico radiotelevisivo, immaginando per la Rai una soluzione simile a quella
adottata in Gran Bretagna, con due società distinte: la
prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata
esclusivamente attraverso il canone; la seconda, a carattere commerciale, che sostiene le proprie attività attraverso
la raccolta pubblicitaria e che compete con gli altri soggetti
sulla base dei medesimi obblighi di affollamento; per
quest’ultima sarebbe auspicabile sia il collocamento delle
azioni sul mercato borsistico sia la definizione di regole di
corporate governance che garantiscano un effettivo controllo dell’operato del management. Tale intervento sarebbe da
effettuare auspicabilmente in tempi brevi, prima del collocamento in Borsa di una quota di minoranza del capitale
azionario della società Rai, attualmente previsto nella
primavera 2005.
In secondo luogo, risultano necessari interventi di attuazione
del Piano digitale e di riallocazione, attraverso meccanismi di
mercato, dello spettro frequenziale destinato ai servizi radiotelevisivi, per evitare che le attuali posizioni detenute nelle
reti analogiche (ovvero la disponibilità in capo a Fininvest e
Rai di un numero di impianti e frequenze tale da rendere
possibile la diffusione di tre reti nazionali, peraltro caratterizzate dalla più ampia copertura effettiva della popolazione)
non si trasferiscano al futuro mercato digitale terrestre.
Separazione verticale
degli operatori di rete
Al riguardo, ed al fine di stimolare la competizione nel mercato digitale terrestre, a giudizio dell’Antitrust andrebbero
Angelo Tondini e la causa Vitale-Actual
“Rifiuterò ogni altra perizia in futuro”
Vi prego di pubblicare, a norma di legge, questa mia replica all’articolo “Battaglia a colpi di
perizie...” pubblicato su Tabloid, Nov. 2004 a pag. 33.
Nell’articolo si fa riferimento a una mia perizia per il processo Vitale-Actual che riguarda lo
smarrimento di 7 diapositive originali, da me valutate 450 euro l’una, come perito d’ufficio
nominato dal giudice.
Mi si contestano cifre e metodo, su chiara ispirazione del perito di una parte. La mia competenza professionale (50 anni di fotografia e giornalismo) ne esce danneggiata e mi riservo di
tutelarmi in sede legale. Ma vorrei precisare che:
1. Sono sempre stato al di sopra delle parti, adottando una serie articolata di criteri valutativi validi.
2. Il fotografo Vitale ha venduto le sue foto, a circa 25 euro l’una. Mancandone poi 7 alla riconsegna non può pretendere 1.500 euro a diapositiva, cioè 60 volte il prezzo di vendita! In
più, se il sig. Vitale ha ceduto le sue diapositive a una tariffa così bassa, evidentemente
non le considerava così straordinarie. Quando si consegnano foto eccezionali (e quelle
non lo erano, secondo me) si specifica nella bolla e si definisce anche la cifra in caso di
smarrimento. Cosa che non è stata fatta.
3. L’Ordine dei giornalisti pubblica un tariffario annuale, con prezzi indicativi per il mercato
della foto, ma non per gli smarrimenti.
10
Per la Rai una soluzione simile
a quella adottata in Gran Bretagna
con due società distinte
4. Il tariffario più attendibile (quello del Gadef) stabilisce addirittura il valore di una diapositiva
in 5 volte il prezzo di vendita, o da concordare tra le parti.
5. Riguardo al mio onorario (1.400 euro, approvato dal giudice, spese incluse) tengo a precisare che va diviso tra le due parti e che non sono mai stato pagato, dopo più di un anno,
eccetto un piccolo anticipo. La cifra rientra nella media e comprende 4 udienze in tribunale,
una riunione con le parti, la lettura di centinaia di pagine di atti e la stesura della perizia
stessa. Comunque l’esperienza è stata talmente negativa che rifiuterò ogni altra perizia in
futuro.
6. Di solito un perito dovrebbe avere una certa esperienza nel suo settore, maturata dopo
molti anni di professione. Il perito del sig. Vitale non mi sembra avere questi requisiti. La
sua testimonianza era ovviamente di parte, ma con toni e valutazioni decisamente al di là
del credibile.
7. Pubblicare un articolo come quello in questione a sentenza non ancora pronunciata mi
sembra un atto non proprio corretto, sia da parte di chi lo ha scritto, ma anche di Tabloid
che l’ha ospitato.
Distinti saluti.
Angelo Tondini giornalista professionista
ORDINE
1
2005
Lioy (Upa):
duopolio è equilibrio
di mercato
Roma, 26 novembre 2004.
“La concentrazione è presente in tutti i campi, dunque
quella pubblicitaria in campo
televisivo non è molto diversa
da quella di altri comparti economici”. È il commento del direttore generale di Upa (Utenti
pubblicità associati), Felice
Lioy, sulle conclusioni dell’indagine dell’Antitrust sul mercato della raccolta pubblicitaria. Per Lioy, “il cosiddetto duopolio non è altro che un equilibrio di mercato. Non esiste
nessuna distorsione, nessuna
anomalia sul mercato televisivo italiano”. Piuttosto, sottolinea in una nota, “è il mercato
che si è sviluppato con due
gruppi televisivi principali e altri gruppi minori, qualcuno anche interessante, come i ‘nuovi’ che si stanno affermando,
Sky e La7. Tanto che i prezzi
della pubblicità televisiva in
Italia sono minori rispetto a
quelli degli altri Paesi europei.
Dimostrazione lampante che
non c’è alcuna distorsione di
mercato”. Anzi, secondo il direttore generale di Upa, “se
noi guardiamo bene, anche in
altri settori media, i grandi
gruppi editoriali non sono più
di 2-3. L’attacco alla televisione, piuttosto - conclude Lioy è motivato dal fatto che si continuano a contestare quote di
mercato che il piccolo schermo si è presa in quanto mezzo più efficace di tanti altri dal
punto di vista pubblicitario.
Tutto qui. Ciò non toglie che altri mezzi stampa, come i cartacei ad esempio, restino efficacissimi per reclamizzare
prodotti finanziari, servizi di
leasing, turismo. Più efficaci
della stessa tv. E nessuno si
scandalizza se vengono preferiti”.
(ANSA)
FA DISCUTERE LA PROPOSTA
DI UN LOGO UNIVERSALE,
COME QUELLO DELLA CROCE ROSSA,
PER RICONOSCERE
I GIORNALISTI IN ZONA DI GUERRA
Il lasciapassare alato
della parola
uguali in Ue.
(alla Rai il 29%)
anche favorite, così come accade all’estero, misure di separazione verticale degli operatori di rete, mediante la separazione proprietaria delle società Rai Way e Elettronica industriale, attualmente facenti capo rispettivamente ai gruppi Rai
e Fininvest.
Neutralità tecnologica
Andrebbe poi stimolata una competizione tra piattaforme per
la trasmissione del segnale televisivo digitale, attraverso politiche di incentivazione alla diffusione tra le famiglie italiane di
apparecchiature di decodifica. Tali interventi dovrebbero
salvaguardare il principio della neutralità tecnologica, e quindi non possono limitarsi ad alcuni mezzi trasmissivi, ma
devono estendersi con identiche modalità a tutte le piattaforme televisive digitali: digitale terrestre, satellite, cavo e tecnologie x-Dsl.
La rilevazione degli ascolti
Quanto, infine, alla rilevazione degli ascolti, è auspicabile la
ridefinizione dell’assetto proprietario della società che attualmente svolge tale servizio, prevedendo un soggetto privato
indipendente che abbia quale funzione-obiettivo la massimizzazione dei profitti derivanti dalla vendita dei dati sugli
ascolti televisivi; ciò assicurerebbe, tra l’altro, l’esistenza di
una struttura di incentivi che consenta di cogliere al meglio
le opportunità connesse all’evoluzione tecnologica delle
modalità di fruizione del prodotto televisivo.
Dal canto suo, l’Autorità ritiene opportuno monitorare, in una
fase di transizione tecnologica e di eliminazione dei precedenti limiti normativi alle concentrazioni orizzontali e diagonali, le condotte degli operatori televisivi, in particolare in
materia di predisposizione delle offerte di prodotti pubblicitari, di accesso alle reti digitali ed ai contenuti televisivi, di
acquisizione di frequenze ai fini della costituzione di nuovi
multiplex nazionali, nonché, infine, di partecipazioni e di legami non azionari tra gli operatori televisivi.
Milano, 1 dicembre 2004. Che siano passati trent’anni si
vede solo dai capelli bianchi di Umberto Brunetti, fondatore e direttore di Prima Comunicazione, l’unico periodico
italiano dedicato al mondo del giornalismo, della televisione, della pubblicità, dei new media, della pubblicità.
Trent’anni che Prima Comunicazione ha voluto celebrare
con un volume di 546 pagine che racconta del cambiamento del mondo dell’informazione e traccia il profilo dei
protagonisti di un trentennio in cui l’editoria ha cambiato
fisionomia seguendo l’evoluzione tecnologica e sociale di
un Paese che i giornalisti hanno il difficile compito di
raccontare.
Ma Prima Comunicazione in questi trent’anni è riuscito
nell’ancora più difficile compito di raccontare i giornalisti e
il loro “piccolo” mondo e adesso il suo direttore, Umberto
Brunetti, coltiva l’ambizione di andare oltre. Lo ha spiegato
ai suoi amici, ospiti dell’incontro per la celebrazione del
trentennale, ieri nella Sala Besana di Palazzo Belgioioso a
Milano. “Ero convinto che in questi trent’anni avessimo
fatto un lavoro straordinario.
Ma in questi giorni riflettendo sui nostri primi trent’anni mi
sono reso conto che non volevo venire qui per raccontare
quanto siamo stati bravi ma per illustrarvi cosa faremo nei
ORDINE
1
2005
IN ZONA
DI GUERRA
di Filippo Senatore
I giornalisti nell’esercizio della professione
sono soggetti a sempre maggiori abusi,
minacce, attacchi, rapimenti e uccisioni con
impunità per i colpevoli in violazione delle
norme fondamentali delle leggi sia nazionali
sia internazionali.
Tali numerosi atti di violenza e intimidazione
stanno mettendo alla prova giornalisti e altri
operatori dell’informazione in molte parti del
mondo. È urgente e primario rinforzare la
protezione e la sicurezza di questi ultimi e
l’Associazione lancia una nuova campagna
mondiale di difesa dei diritti dei giornalisti
con i seguenti obiettivi:
- immediata azione di riduzione dei rischi
che affrontano gli operatori dell’informazione nelle aree dei conflitti bellici ed altri eventi di violenza;
- appello ai governi di rispetto delle leggi per
porre fine alle impunità dei responsabili delle
violazioni;
- indagini trasparenti ed efficaci sugli omicidi
e le sparizioni dei giornalisti;
- dialogo tra i giornalisti e le organizzazioni
dei media, le autorità dei governi, le organizzazioni internazionali, militari e di sicurezza al fine di ridurre i rischi per i giornalisti.
Con questi intenti l’Associazione Press
Emblem Campaign suggerisce le misure
per porre rimedio alla carneficina degli ultimi anni soprattutto in zone di guerra. Per tutti
Se n’è discusso
al meeting
di Ginevra
del 20 e 21
settembre scorso
Promotori
i membri
della
Press Emblem
Campaign
“Prima comunicazione”
30 anni dedicati
al mondo
della comunicazione
prossimi trent’anni”, ha esordito Brunetti davanti a una
platea importante che condensava il “gotha” del mondo
dell’informazione.
“Quello che vogliamo fare adesso - ha chiarito Brunetti - è
occuparci dell’evoluzione del sistema della stampa, della
tv e di un altro protagonista del mondo della comunicazione, quell’industria che fa sempre di più a meno della stampa preferendo comunicare autonomamente con i propri
clienti”.
“La fiducia nei confronti dei media è ormai pari alla fiducia
ricordiamo gli omicidi di Veronica Guerin,
Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Raffaele
Ciriello ed Enzo Baldoni. Mentre in Iraq è
incerta la sorte dei giornalisti francesi Christin Chesnot e Georges Malbrunot.
L’idea è di dare un simbolo ufficiale e un logo
(un disco di colore arancione) simile a quello
della Croce Rossa per identificare coloro i
quali si trovano in zona di guerra. Ma molte
associazioni sono di parere opposto. Il simbolo potrebbe peggiorare la situazione e rendere più vulnerabili i reporter. Lo ribadiscono
Reporters sans Frontière e Rodney Pinter,
direttore dell’Insi (New safety institute).
Aidan White presidente della Federazione
internazionale dei giornalisti denuncia che
negli ultimi dodici anni 1.200 giornalisti sono
stati colpiti e la quasi totalità (95%) non ha
ricevuto il giusto risarcimento. I responsabili
sono rimasti impuniti. Il miglior deterrente
contro le violenze gratuite degli eserciti regolari e dei terroristi è la punizione dei colpevoli.
Il dibattito è aperto per trovare soluzioni per
salvaguardare la libertà di parola e l’integrità
della persona che informa il pubblico anche
in situazioni estreme e drammatiche. È in
gioco la libertà di informazione dove le testimonianze sono scarse e con voce flebile.
Durante le guerre passate gli stati maggiori
hanno fornito versioni ufficiali non sempre
veritiere.
I grandi cronisti di guerra come Luigi Barzini
senior, Sandro Sandri ed Indro Montanelli
hanno fatto rinascere il mestiere di Erodoto.
che la gente ha nelle istituzioni. C’è una tendenza a bypassare i giornalisti - ha osservato Toni Muzi Falcone, già
presidente della Ferpi e compagno d’avventura della lunga
storia di Prima Comunicazione - perché la fonte diretta è
considerata più autorevole della fonte mediata”.
Ed è proprio all’arguzia di Brunetti, capace di anticipare i
tempi, che si deve attribuire il successo di Prima Comunicazione come ammette il presidente di Cairo Communications, Urbano Cairo. “Mi è capitato qualche giorno fa di
sfogliare un numero di Prima Comunicazione del 1996 e
sembrava vecchio di 100 anni. Il merito di Brunetti è quello
di riuscire a fare con risorse limitate una testata che si evolve in maniera strepitosa”.
Gli auguri ad “Alessandra (la Ravetta è condirettore di
Prima Comunicazione e moglie di Umberto Brunetti, ndr)
e Umberto” arrivano anche da Lucia Annunziata. Prima
Comunicazione è il vero archivio del nostro mestiere afferma la Annunziata - e non è facile muoversi in un
‘piccolo’ club in cui non puoi pestare i piedi a nessuno, tra
il servilismo e il rancore di chi si ha il compito di raccontare. Brunetti, invece, ha abituato questo mestiere a misurarsi con il prodotto di se stesso”.
(ITALPRESS)
11
SISTEMA MULTIMEDIALE (WWW.LAVOCE.INFO -
E
D
I
T
O
R
I
A
Il pluralismo è un malato grave nel nostro Paese. Ma non gode di
buona salute in molte altre realtà, nonostante negli ultimi dieci anni i
mezzi attraverso cui raggiungere il pubblico si siano moltiplicati, con lo
sviluppo della televisione commerciale, il prossimo avvento di quella
digitale e il fenomeno di Internet.
A fronte di queste maggiori possibilità, i fenomeni di concentrazione
sono tutt’oggi molto diffusi, e non rappresentano solamente il retaggio
di un passato oramai chiuso, ma appaiono semmai come il risultato
delle nuove modalità di concorrenza nei settori della comunicazione
Quando
il mercato
non salva
il pluralismo
di Michele Polo
Concentrazione
in televisione
Quando guardiamo al tema del pluralismo
nel settore dei media, ci occupiamo prevalentemente di mercati nei quali operano
imprese e gruppi di comunicazione privati,
dalle cui scelte e dalle cui dinamiche competitive occorre partire per rispondere alla
domanda se il mercato sia in grado di sfruttare le nuove opportunità tecnologiche (digitale, Internet) garantendo un accesso bilanciato e non discriminatorio a tutte le opinioni
politiche.
In questa prospettiva solitamente si distingue tra pluralismo esterno, che considera se
nell’offerta complessiva di un particolare
mercato dei media (giornali, o televisione o
radio, eccetera) tutte le opinioni politiche
trovano spazio, e pluralismo interno, che
invece guarda a come le diverse opinioni
politiche sono rappresentate nell’offerta di un
singolo operatore.
Se osserviamo il mercato dei media in una
prospettiva di pluralismo esterno, due fenomeni appaiono frenare il raggiungimento di
questo obiettivo. La perdurante concentrazione in segmenti come la televisione
commerciale finanziata con pubblicità è
sostenuta dalla forte concorrenza per i
programmi più richiesti, che determina una
forte lievitazione dei costi strettamente correlata ai futuri ricavi dai proventi pubblicitari. In
questa corsa al rialzo c’è posto per pochi
vincitori, come i dati sulla concentrazione
televisiva testimoniano in tutti i paesi europei
e parzialmente, dopo vent’anni di erosione
da parte delle pay-tv, negli stessi Stati Uniti,
dove i principali network raccolgono ancora
circa la metà della audience nel prime time.
E nei giornali
Ma la concentrazione non è un fenomeno
unicamente televisivo, interessa marcatamente anche la carta stampata.
Se andiamo al di là dei dati nazionali sulle
vendite di quotidiani per studiarne la distribuzione geografica, troviamo una forte
segmentazione nella quale in ogni mercato
locale, quello in cui ciascuno di noi lettori
abita, uno o due giornali raccolgono la
maggior parte dei lettori. E questo riguarda
non solo, e ovviamente, i giornali locali, ma
gli stessi quotidiani di opinione, che, con
12
pochissime eccezioni, vantano un forte radicamento regionale. Fenomeno che non è
solo nostrano, come testimonia l’evoluzione
dei mercati locali della stampa negli Stati
Uniti e la sempre più frequente sopravvivenza di un solo quotidiano locale. Le dimensioni relativamente limitate dei mercati provinciali e regionali spiegano quindi perché solamente pochi quotidiani possano sopravvivere in ciascuna area coprendo i significativi
costi di struttura e di personale necessari per
una edizione locale.
Il pluralismo interno
In mercati fortemente concentrati, per loro
natura impossibilitati a sostenere una offerta
di media ampia e diversificata (pluralismo
esterno), rimane la strada del pluralismo
interno.
Vorremmo fosse affidato in primo luogo agli
incentivi di un operatore o gruppo di comunicazione a coprire più segmenti di mercato
(opinioni politiche) con la propria offerta,
analogamente a come si coprono molte
discipline sportive, vari temi di intrattenimento, molti generi di film. L’ostacolo maggiore in
questa prospettiva si ritrova nel forte ruolo
che i media esercitano come strumento di
lobbying, che li trasforma in un mezzo ideale
in quel terreno scivoloso di contrattazione
politica tanto prezioso soprattutto per i gruppi economici fortemente regolati.
Analoghe distorsioni possono poi nascere
dalla stessa identificazione politica dei gruppi di comunicazione, dove a fronte dei fin
troppo ovvi esempi nostrani, non possiamo
che registrare con preoccupazione un fenomeno, relativamente nuovo per il mercato
americano, quale la spregiudicata propaganda di parte di un grande network come Fox.
La conclusione cui giungiamo, guardando
alle possibilità che il mercato trasformi le
nuove e grandi opportunità tecnologiche di
comunicazione in una offerta ampia e diversificata di contenuti e informazioni politiche,
è quindi venata di una forte preoccupazione.
Oggi disponiamo di mezzi sempre più ricchi,
sempre più persuasivi ma, apparentemente,
sempre più concentrati. E il cittadino difficilmente trova i mezzi per formarsi una opinione informata e libera da distorsioni e condizionamenti.
Di fronte a questo nuovo fallimento del
mercato, si richiedono quindi adeguate politiche pubbliche per il pluralismo.
Una regolamentazione
per il pluralismo
di Michele Polo
Le dinamiche di mercato difficilmente
possano portare a una offerta diversificata e ampia di posizioni politiche tra
operatori dell’informazione o all’interno
di ciascuno di essi, come abbiamo illustrato nell’intervento a fianco. Da
questo fallimento del mercato nel garantire il pluralismo deriva l’esigenza di
appropriate politiche pubbliche.
L’antitrust non basta
È bene sottolineare subito che le politiche
antitrust, per quanto utili a mantenere la
concorrenza e i mercati aperti ai nuovi
entranti, non possono da sole supplire alle
esigenze di pluralismo, e ubbidiscono a
obiettivi di efficienza economica che non
sempre coincidono con quelli di un libero
accesso di tutte le opinioni ai mezzi di
comunicazione.
Si rende quindi necessario il disegno di
appropriate politiche regolatorie per il
pluralismo.
Abbiamo argomentato come in molti mercati dei media esiste una tendenza alla
concentrazione, dovuta a dinamiche in
parte diverse, che ben difficilmente le politiche pubbliche possono evitare. Esiste tuttavia uno spazio su cui intervenire per evitare
che la concentrazione risulti anche maggiore di quanto le dinamiche concorrenziali
giustifichino, sottoponendo a un attento
controllo la creazione di gruppi multimediali
su uno stesso o su più mercati.
In primo luogo la concentrazione, in una
prospettiva di pluralismo, dovrebbe essere
valutata mercato per mercato, con riferimento alla distribuzione degli ascoltatori e
dei lettori, in modo da verificare se qualcuno tra i media presenta problemi di insufficiente pluralismo esterno.
Siamo quindi ben lontani da quel singolare
coacervo di mercati e di fatturati, il sistema
integrato di comunicazione, creato dalla
legge Gasparri per annacquare ogni posizione dominante.
L’impostazione che riteniamo meno intrusiva sulle dinamiche di mercato dovrebbe
limitare la concentrazione sul singolo
mercato dei media (pur sacrificando in
questo eventuali sinergie), qualora questa
si realizzi attraverso la proprietà di più
mezzi (molti canali televisivi, o numerosi
giornali o stazioni radio) attivi sul mercato
stesso. Se tuttavia con un singolo mezzo,
un operatore fosse in grado di raccogliere
un ampio pubblico grazie alla bontà dei
suoi contenuti, non riteniamo che le politiche pubbliche dovrebbero intervenire con
dei vincoli alle quote di mercato.
Al contempo, tali sinergie dovrebbero essere invece consentite tra diversi segmenti
dei media, laddove l’operatore multimediale non raggiunga posizioni dominanti in
nessuno dei singoli mercati. In una parola,
gruppi multimediali risultano desiderabili se
attivi su più mercati, ma dovrebbero essere contrastati se dominanti in un singolo
mercato
gendolo a cedere licenze nel caso di superamento dei limiti consentiti. Analogamente, vincoli alla partecipazione su più mercati (giornali, televisioni, radio) dovrebbero
intervenire laddove l’operatore raggiunga
una posizione dominante in qualcuno di
essi, imponendo anche in questo caso la
cessione di licenze.
Più difficile intervenire in caso di forte
dominanza realizzata da gruppi editoriali
attivi solo nella carta stampata con numerose testate, per le quali evidentemente
non esistono licenze da ottenere. Solamente in caso di fusioni e acquisizione, ma non
di creazione ex-novo di testate, ci sarebbe
spazio per intervenire. Quando questi interventi volti a garantire il pluralismo esterno
risultano poco efficaci, vanno associate
misure per il pluralismo interno.
Il pericolo maggiore per il pluralismo interno nei contenuti dei singoli operatori, ritengo derivi dalle motivazioni lobbistiche dei
gruppi proprietari, che inducono a privilegiare la rappresentazione di posizioni politiche specifiche. Questa componente risulta enfatizzata quando la proprietà dei gruppi di comunicazione veda coinvolti investitori attivi in altre industrie regolate (public
utilities, banche, trasporti, eccetera). Occorre quindi fissare dei limiti alla partecipazione azionaria di queste categorie di soggetti al settore dei media.
Le motivazioni lobbistiche o partigiane
espresse dalla proprietà dei media sono
tuttavia in parte ineliminabili. Occorre quindi pensare, in particolare nelle fasi (campagne elettorali) nelle quali distorsioni informative eserciterebbero effetti di lungo
periodo, a una regolazione diretta degli
spazi, del diritto di replica, dell’accesso,
secondo criteri di par condicio. Questa
regolamentazione è stata sino a oggi applicata all’informazione televisiva. La situazione di forte concentrazione nei mercati locali della carta stampata pone tuttavia l’esigenza di iniziare a discutere di quello che
sinora è considerato un tabù, il diritto di
accesso sui giornali. Infine, il mantenimento di un canale pubblico televisivo (ben
diverso dalla attuale Rai) sottoposto a un
controllo diretto da parte di una autorità di
vigilanza indipendente dovrebbe offrire un
ulteriore, parziale, tassello, a garanzia di
una informazione più articolata e pluralista.
Gli strumenti da utilizzare
Gli strumenti che in questa prospettiva
appaiono più utili risultano le limitazioni al
numero di licenze in capo a uno stesso
operatore, applicabili in quei mercati (televisione e radio) nei quali una autorizzazione è necessaria per l’uso dello spettro elettromagnetico. Utilizzando questo strumento è possibile quindi limitare la crescita di
un operatore che disponga di un portafoglio con più licenze per canali televisivi,
laddove la sua quota cumulata di audience
superi determinate soglie (in Germania è
attualmente posta al 30 per cento), costrinORDINE
1
2005
- 8 NOVEMBRE 2004)
Regole, monitoraggi
e sanzioni
La concentrazione
nascosta
di Antonio Nizzoli
Nel dibattito politico italiano, il tema del
pluralismo nei mass media ha un ruolo
centrale. L’Osservatorio di Pavia svolge
monitoraggi in Italia da più di dieci anni
e più di cinquanta sono state le missioni elettorali all’estero. (1)
Forse proprio perché ha il polso delle
variegate situazioni, ha maturato la
convinzione che su questo aspetto del
funzionamento del processo democratico sia necessaria una riflessione attenta e pacata, poco legata alla contingenza e alle pressioni dei vari attori.
La par condicio
in Italia e all’estero
È bene sgombrare subito il campo dall’idea
che la regolamentazione della comunicazione politica sia una peculiarità italiana.
Un memorandum di intenti di trentadue
pagine, che stabiliva minuziosamente tutti
i particolari del confronto, ha regolato i tre
recenti dibattiti presidenziali Bush–Kerry.
Sempre negli Usa, i tempi di presenza dei
canditati sono rigidamente contingentati.
Per esempio, durante la campagna per
eleggere il governatore della California,
secondo le leggi federali sulla par condicio
i film di Arnold Schwarzenegger costituivano spazio televisivo e quindi mandarli in
onda non rispettava la parità di accesso.
Qualora fossero stati trasmessi film come
Terminator o Atto Forza, i rivali di Schwarzenegger avrebbero potuto chiedere e
ottenere analoghi spazi televisivi gratis.
Libertà certo, ma ben regolamentata.
In Italia, la legge 28/2000, detta della par
condicio, “promuove e disciplina, al fine di
garantire la parità di trattamento e l’imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, l’accesso ai mezzi di informazione per la
comunicazione politica”.
I principi di tale legge sono relativamente
chiari e sinteticamente così riassumibili:
- durante le campagne elettorali la comunicazione politica viene compressa in spazi
rigidamente regolamentati e vietata in
qualsiasi altro genere televisivo, fatta
eccezione per le notizie dei telegiornali
(le news);
- sono vietati gli spot e permessi spazi
autogestiti (i messaggi autogestiti), anche
questi rigidamenti normati;
- gli spazi concessi ai soggetti partecipanti
alla competizione sono un mix tra rappresentanza esistente e candidature ex-novo;
- infine sono date indicazione di massima
sull’uso corretto del mezzo televisivo (“I
registi ed i conduttori sono altresì tenuti
ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma, così
da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli
elettori”).
I monitoraggi
La Commissione parlamentare di vigilanza
e l’Autorità delle comunicazioni (Agcom),
previa consultazione tra loro, e ciascuna
nell’ambito della propria competenza,
regolano il riparto degli spazi tra i soggetti
politici e stilano il regolamento dei messaggi autogestiti. Quest’attività ha il fine di
rendere operativi i principi “astratti” sanciti
dalla legge 28/2000 e di calarli nel contesto delle diverse campagne elettorali.
Contestualmente vengono svolti due monitoraggi (2) che controllano la conformità di
quanto trasmesso con le disposizioni regolamentari. Un monitoraggio è a cura
dell’Agcom e disponibile continuativamente sul sito www.agcom.it, l’altro è a cura
dell’Osservatorio di Pavia per conto della
ORDINE
1
2005
Rai. In questo modo gli organi di controllo,
le emittenti e i cittadini hanno a disposizione gli strumenti per controllare, valutare e
sanzionare la correttezza della campagna
elettorale per quanto riguarda il pluralismo
politico.
Punti di forza e limiti
Nelle recenti campagne elettorali la parte
relativa alle disposizioni su “Messaggi
autogestiti, ripartizione dei tempi dei
soggetti nei programmi dedicati alla
campagna elettorale e la loro assenza al
di fuori di tali programmi” è stata per lo più
rispettata.
Punti critici invece, perché di difficile interpretazione, sono risultati:
- gli spazi dei soggetti politici nei telegiornali;
- gli spazi dei soggetti politici dedicati alla
cronaca al di fuori dei telegiornali;
- il comportamento corretto e imparziale
nella gestione dei programmi da parte dei
conduttori.
Il trade off tra libertà di informazione e
regole del pluralismo è forse il punto più
delicato della normativa sulle campagne
elettorali, poiché va a incidere sul dirittodovere del giornalista di informare e
scegliere le notizie. Come distribuire i
tempi tra i partiti in modo equo rispettando
l’esigenza del pubblico di essere informato
su ciò che accade? Gli esponenti del
governo candidati come devono essere
conteggiati? Se un ministro inaugura una
strada in campagna elettorale, questo
tempo è da attribuire alla competizione
elettorale o al diritto-dovere del governo di
informare sulla propria attività? Questa
distinzione appare più agevole nelle
campagne elettorali per le elezioni politiche, durante le quali l’attività governativa
si limita all’ordinaria amministrazione. Più
difficile è distinguere tra informazione
sull’attività governativa e propaganda per i
candidati nel caso di elezioni (europee,
regionali) che avvengono mentre il governo in carica è pienamente operativo.
Problematico risulta poi valutare la qualità
della comunicazione soprattutto in relazione al comportamento corretto e imparziale
nella gestione dei programmi da parte dei
conduttori.
I casi di aperta violazione di questa regola
sono rari e quasi sempre riconducibili a
pochi conduttori: la delicatezza del tema è
evidente perché la partigianeria di un giornalista può essere valutata come comportamento coraggioso e “libero” dalla parte
in sintonia con la sua posizione politica. Va
tuttavia ricordato che in questi casi, oltre
alla prudenza nell’intervenire, occorre che
le sanzioni siano tempestive, cosa che non
sempre avviene.
L’attuale legge italiana, sicuramente perfettibile, costituisce una buona base per il
conseguimento del pluralismo. Lasciare
non regolamentato questo campo, come in
modo ricorrente viene sostenuto, significa
rischiare gravi squilibri soprattutto in situazioni in cui le risorse delle emittenti sono
molto concentrate e il controllo indiretto sul
trasmesso è quasi inevitabile.
(1) Si veda il sito www.osservatorio.it
(2) I monitoraggi, che coprono tutto il
trasmesso 24 ore su 24 per 365 giorni
l’anno, tra l’altro evidenziano:
- la presenza di un soggetto politico e la
sua anagrafica (nome, cognome, sesso,
partito, carica istituzionale eccetera)
- la durata dell’intervento in secondi
- l’anagrafica della presenza (giorno, ora,
minuto, rete e programma)
- il tema dell’intervento.
di Marco Gambaro
Nel dibattito sul pluralismo, il tema
della concentrazione nel mercato dei
quotidiani è spesso sostanzialmente
sottovalutato. Si dà per scontato, almeno in Italia, che il pluralismo esista
perché è alto il numero di testate
presenti sul piano nazionale.
La dimensione locale
Una valutazione della concentrazione del
mercato dovrebbe tuttavia tenere conto del
fatto che i quotidiani competono prevalentemente su scala locale e che negli specifici mercati il grado di concentrazione può
essere molto elevato.
Negli Stati Uniti, ad esempio, negli ultimi
vent’anni vi è stato un continuo processo
di concentrazione che ha portato la quasi
totalità delle aree urbane ad avere un’unica testata oppure più testate dello stesso
proprietario (in precedenza in circa i due
terzi dei mercati operavano più testate ed
editori concorrenti). Se si escludono l’unico
quotidiano nazionale, Usa Today, e poche
grandi città con più quotidiani in concorrenza tra loro (taluni prestigiosi, ma sempre
locali), il mercato statunitense è configurato come un insieme di monopoli locali
sostanzialmente autonomi dove operano
1.457 testate che vendono circa cinquantacinque milioni di copie giornaliere.
Nel nostro paese la situazione non è così
polarizzata e i singoli mercati non sono
così separati, ma la dimensione locale
della concorrenza è comunque molto
importante. In Italia si pubblicano novantuno testate e le prime due, Corriere della
Sera e Repubblica, hanno quote di mercato di poco superiori al 10 per cento della
diffusione giornaliera, mentre i gruppi cui
fanno capo totalizzano assieme poco più
del 40 per cento della diffusione complessiva. (1)
Misurare
la concentrazione
Questi dati a livello nazionale non rappresentano tuttavia l’indicatore più corretto
per una valutazione della concentrazione,
poiché anche le maggiori testate hanno
una diffusione molto disomogenea sul
territorio. La Stampa (2) ad esempio
vende nelle sue prime tre province di
diffusione (Torino, Cuneo e Alessandria) il
50 per cento delle copie totali e nelle
prime dieci province il 75 per cento delle
copie, mentre in ciascuna delle province
restanti vende mediamente lo 0,3 per
cento della sua diffusione. Il Corriere della
Sera vende nelle sue prime tre province
(Milano, Roma e Varese) il 45 per cento
delle copie e nelle prime dieci il 60 per
cento mentre nel resto d’Italia realizza
mediamente lo 0,44 per cento delle sue
vendite in ogni provincia. Anche la Repubblica, che pure ha una diffusione più
omogenea, vende il 54 per cento nelle
prime dieci province.
Per meglio valutare la concentrazione sui
mercati rilevanti si è quindi proceduto a
identificare, per ciascun quotidiano, l’insieme delle province nelle quali viene
realizzata la maggior parte delle vendite,
definibile come mercato di riferimento.
Due sono le misure utilizzate, in modo da
cogliere sia le realtà di giornali con una
distribuzione molto concentrata in poche
province (in questo caso sono state considerate le aree che cumulativamente
rappresentano il 90 per cento delle vendite della testata), sia quelle di quotidiani
con una diffusione relativamente più estesa (prendendo in questo caso tutte le
province con una diffusione almeno pari
allo 0,5 per cento delle vendite totali del
quotidiano, senza necessariamente raggiungere in questo caso il 90 per cento
delle vendite). (3)
Per ogni testata, sull’insieme di province
che costituiscono il suo mercato di riferimento, sono stati calcolati diversi indici di
concentrazione. (4) In questo modo è
possibile verificare se nella sua area territoriale di diffusione, il quotidiano fronteggia un numero elevato di concorrenti o ha
una posizione dominante. I risultati così
ottenuti confermano una forte concentrazione nei mercati di riferimento. Delle
cinquantaquattro testate di cui sono disponibili i dati Ads (Accertamenti diffusione
stampa) delle vendite provinciali, ventiquattro operano in mercati con un indice
di Herfindahl-Hirschmann superiore a 0,15
considerato normalmente la soglia di
attenzione delle autorità antitrust. Ventisei
quotidiani nel loro mercato di riferimento
hanno una quota di mercato superiore al
30 per cento e ben quarantadue testate
contribuiscono all’indice HH del loro
mercato per più del 50 per cento.
Ad esempio, un quotidiano come Il
Messaggero ha una quota del mercato
nazionale inferiore al 5 per cento, ma nelle
province del suo mercato specifico ha una
quota del 23 per cento, l’indice di HH del
suo mercato è 0,1068 cui contribuisce per
circa il 50 per cento. Oppure Il Gazzettino
di Venezia ha una quota del 33 per cento
del suo mercato specifico che a sua volta
ha un indice di HH di 0,1529 cui Il Gazzettino contribuisce per il 73 per cento.
Distinguendo per tipologie di quotidiani e
calcolando per ciascuno di essi i valori
medi della categoria, quelli nazionali
operano in un mercato di riferimento relativamente ampio e poco concentrato,
mentre le testate multiregionali, regionali e
provinciali, con diffusione e mercati di riferimento via via più ristretti, evidenziano
una forte concentrazione dei lettori.
Questo dato conferma indirettamente il
fatto che nei mercati locali (corrispondenti
ai mercati di riferimento per queste testate) quasi sempre un numero molto limitato
di quotidiani si contende il pubblico. Dall’analisi emerge quindi come la concentrazione effettiva nei mercati dei quotidiani sia
superiore a quanto comunemente si crede
per effetto della forte polarizzazione
geografica della diffusione, anche per i
quotidiani tradizionalmente considerati
nazionali.
(1) La Federazione degli editori indica otto
testate nazionali che complessivamente
hanno venduto nel 2002 il 36 per cento
delle copie giornaliere: Avvenire, Corriere
della Sera, Foglio, Il Giornale, Il Giorno, La
Repubblica, La Stampa, Libero.
(2) Questi dati e le altre elaborazioni di
questo articolo derivano da uno studio da
me svolto presso l’Università Statale di
Milano e si riferiscono a dati 2000; la situazione relativa alla diffusione non è tuttavia
sostanzialmente cambiata.
(3) Si tratta di confini piuttosto ampi se si
considera che l’Autorità per le comunicazioni norvegese considera come mercato
di riferimento di un quotidiano quelle
province dove vende oltre il 10 per cento
della sua diffusione.
(4) Si è calcolata nel mercato di riferimento
la quota di mercato della testata, il rapporto tra quota della prima e della seconda
testata (quota di mercato relativa), l’indice
di Herfindahl-Hirschmann (somma delle
quote di mercato al quadrato), utilizzato
solitamente nelle valutazioni antitrust, e il
contributo della prima testata al valore
complessivo di questo indicatore.
13
INTERVISTA A TAHAR BEN JELLOUN
M
E
D
I
A
Abbiamo rivolto alcune domande sull’informazione a Tahar Ben Jelloun, lo
scrittore marocchino che vive a Parigi, in Italia per presentare il suo libro
L’ultimo amico (Bompiani). Tahar Ben Jelloun collabora anche per Le Monde
e La Repubblica.
Nato nel 1944 a Fés, laureato in filosofia a Rabat, con un dottorato in
psichiatria sociale, nel 1965 durante una manifestazione fu arrestato e nel
1966 inviato in un campo di correzione disciplinare; liberato nel 1968, divenne professore di filosofia in un liceo a Tètouan, poi a Casablanca, ma nel
1971, quando il ministero dell’Interno decise di “arabizzare” l’insegnamento
della filosofia, si trasferì a Parigi con una borsa si studio e iniziò la carriera di
scrittore. Ha vinto il premio Goncourt nel 1987 per La Notte Sacra. Nel 2000
ha vinto il premio Grinzane Cavour per L’albergo dei poveri.
È noto in Italia per i libri Il razzismo spiegato a mia figlia del 1998, che ha
avuto più di 40 edizioni e per il quale ha avuto da Kofi Annan il Global Tolerance Award, e L’Islam spiegato ai nostri figli, per cui ha vinto il Grinzane
Cavour nel 2004.
“La velocità
ha ucciso
l’informazione”
di Paola Pastacaldi
Uno scrittore, dunque, impegnato o, come
ha dichiarato alla rivista Lire qualche anno
fa: “Mi sento un uomo impegnato, moralmente. Gli scrittori dovrebbero mettere più spesso il loro piede nella società civile”.
Quale è oggi il dovere dei giornalisti,
secondo lei?
“I giornalisti dovrebbero andare sul posto e
scrivere. Scrivere tutto ed essere concreti.
Lasciar perdere la concorrenza, la competitività. Non fare scoop, perché così si perde la
propria anima.
Oggi l’impatto delle immagini è troppo forte,
esiste solo la tv e anche i direttori dei giornali guardano la televisione per decidere cosa
scrivere. L’opinione è un punto di vista, ma
importante è, invece, dare informazioni”.
E l’Islam come è trattato nei media?
“Il problema dell’Islam è trattato nei media in
modo sovente troppo rapido. La gente ha il
Terremoto a
“Le Monde”:
si dimette
il direttore
Edwy Plenel.
Per Colombani
“è un trauma”
14
vizio di andare in fretta e preferisce le cose
più facili e i media fanno lo stesso. Non
dovrebbero seguire la logica della gente.
Manca una reale conoscenza di questa
cultura. In Francia è più familiare per la colonizzazione che abbiamo avuto. In Italia non
è così. Penso che bisognerebbe dare la
parola agli specialisti che parlano in modo
scientifico e serio e non ai fanatici che portano, infine, la gente al disgusto. Questo accade soprattutto in televisione, dove ci si avvale di leader fanatici e che fanno spettacolo”.
Cosa suggerirebbe di fare ai giornalisti,
lei che spesso scrive per i giornali?
“Bisognerebbe fare dei reportage, delle vere
inchieste nei paesi islamici, per esempio in
Egitto, e sarebbe bene che il giornalista
restasse nel Paese per molto tempo, un
mese almeno. La velocità ha ucciso l’informazione. Per fare un esempio concreto, non
sappiamo niente sulla Cecenia, Putin ha
deciso che non esista e ha preso accordi con
gli americani e gli europei, perché gli lascino
carta bianca”.
Parigi, 29 novembre 2004. Terremoto a Le Monde dopo
l’annuncio la settimana scorsa della prossima apertura del
capitale: Edwy Plenel, 52 anni, uno dei volti più popolari e
discussi del giornale, abbandona la carica di direttore della
redazione in un momento molto delicato. Jean-Marie Colombani, direttore editoriale e patron del quotidiano, ha definito
“un trauma” la decisione di Plenel, giunta in un momento difficile per Le Monde, alla ricerca di partner finanziari e di un
“nuovo rilancio”. In molti, negli ultimi due decenni, hanno
identificato buona parte delle battaglie e delle prese di posizione di Le Monde con il volto di Plenel, i suoi baffi neri e gli
occhi maliziosi. Spesso è stato discusso per le sue impostazioni politiche e le sue frequentazioni del potere, ma celebre
rimane la sua capacità di tenere in pugno la redazione - lo
avevano soprannominato ‘Imperator’ - e alcune sue intuizioni. Ex trotzkista negli anni Settanta, entrò a Le Monde nel
1980. Nelle redazioni politica e giudiziaria ha fatto sentire
tutto il suo peso, rivelando casi come quello degli ‘irlandesi di
Vincennes’, una montatura operata dai servizi, ma incappando anche in vicoli ciechi come il falso scoop del riciclaggio di
denaro del partito socialista a Panama. Plenel era il più noto
giornalista nell’indice di coloro che il presidente François
Mitterrand aveva dato ordine di spiare alla cellula dell’Eliseo
(il processo alle intercettazioni abusive si svolge in questi
giorni). Negli ultimi anni di direzione della redazione aveva
voluto dare un’impronta diversa al prestigioso foglio, proponendo più temi di società e meno politica. Fu contestato da
buona parte dei conservatori della redazione quando impose
in apertura di prima pagina un titolo su ‘Le Loft’, il Grande
fratello della tv francese. “Si tratta della conclusione di una
vecchia riflessione” ha detto oggi, con una e-mail interna ai
redattori, il direttore uscente, aggiungendo che “dopo 10 anni
dedicati all’organizzazione editoriale vorrei tornare alle gioie
semplici del giornalismo e della scrittura”. Non si sa ancora
chi lo sostituirà, ma Colombani starebbe pensando - secondo il concorrente Le Figaro - a una promozione del vicedirettore Alain Frachon.
(ANSA)
Lo scrittore marocchino
in una foto
di Basso
Cannarsa.
E lei guarda mai la televisione?
“Sì, guardo le televisioni dei paesi arabi,
perché trasmettono cose che non si vedono
in quelle occidentali”.
Faccia un esempio di cattivo giornalismo.
“Israele gode di una protezione sistematica
dei media, dovunque, nel mondo. Tempo fa
un ufficiale israeliano ha ucciso alcune
persone. Perché l’abbiamo saputo? Solo
perché un soldato israeliano lo ha denunciato, perché gli israeliani hanno voluto che se
ne parlasse. Altrimenti non lo avremmo
saputo.
L’informazione che concerne palestinesi e
israeliani non è libera. Tutti i media in Occidente sono colpevolizzati dagli israeliani, in
modo che non dicano la verità. La gente non
si sente libera di parlare di ciò che accade in
Israele, il solo conflitto al mondo, con la
Cecenia, dove i media non possono raccontare tutto. C’è una confusione tra l’essere
israeliano e l’essere ebreo. Io denuncio la
politica di Israele, non gli ebrei che sono
come tutti gli altri. Quando prendo posizione
mi dicono che sono contro gli ebrei. In Francia c’è stato il caso di un giornalista francese, Alain Mènargue, specialista del mondo
arabo, vicepresidente di Radio France International per il Medio Oriente, che è stato
corrispondente anche in Libano nel 1991.
Ménargue ha scritto un libro sul muro intitolato Le Mur de Sharon. Nel corso di una
intervista a Radio Courtoise è stato interrogato sulla costruzione del muro e ha detto
che era choccato dal muro e che è stato un
atto di razzismo. Tutti hanno protestato, per
farlo dimettere ed è stato dimesso. La misura della serietà dei media a mio avviso è la
questione del conflitto palestinese”.
Parliamo di televisione. Perché la tv domina il nostro modo di comunicare e persino di essere?
Una ricerca
dell’Associazione europea
degli editori
online:
gli europei
al lavoro
si informano
via Internet
“La televisione è un vampiro che succhia
tutte le energie. La tv è una parte della vita
dell’umanità in tutto il mondo. Ci vorrebbe
una autorità che decidesse di chiudere tutte
le trasmissioni, ma non si può fare, perché
sarebbe una dittatura”.
Perché tutti vogliono andare in televisione?
“La gente preferisce la dittatura delle immagini a quella degli uomini. Anch’io fatico a
staccarmi dalla tv quando la guardo, anche
se un programma è assurdo, continuo a
guardare”.
Che servizi suggerirebbe oggi sull’Islam?
“L’architettura araba, la civilizzazione araba
nel mondo, la famiglia, i giovani, la cultura”.
Nell’ultimo suo libro lei parla di una
amicizia che si spezza ma solo per
amore, per non far soffrire l’altro. Un libro
forte, secco alle volte persino brutale
sulla libertà e sui diritti.
“Ho voluto parlare dell’ambivalenza dei sentimenti umani, dell’amicizia e della rottura,
quando non si hanno gli stessi punti di riferimento, si crede ma non si è vissuta la stessa cosa”.
Lei che giornali legge?
“Tutti i giorni leggo Le Monde, anche se alle
volte non mi piace. Su Internet leggo la
Repubblica e Liberation. Ascolto la radio,
perché non mi fido della televisione. Leggo
anche qualche volta il New York Times, il
Time australiano, il Telegraph”.
Che ne pensa della tv italiana?
“Vorrei sapere dove le trovano ogni giorno
queste donne con i grandi seni, molto truccate, con le gonne corte e sempre sorridenti. In fondo intercambiabili. E tutti quei presentatori che si tingono i capelli o se li rifanno, come Berlusconi. A mio parere danno
una immagine commestibile ma in realtà
indigesta”.
Parigi, 1 ottobre 2004. Internet è il mezzo migliore per
raggiungere i consumatori mentre sono al lavoro.
È questo il risultato di una ricerca realizzata dall’Associazione degli editori on line europei sul consumo dei media
nei luoghi di lavoro. Lo studio è stato condotto in cinque
paesi – Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna –
e pone a confronto il consumo di diversi mezzi sul luogo di
lavoro: internet, televisione, radio, giornali e periodici.
LA RICERCA
Lo studio ha confermato che le ore centrali della giornata
sono il periodo di massima fruizione del web.
Per un quarto dei partecipanti alla ricerca (il 26%), la rete
è infatti la sola fonte di informazione consultata durante la
giornata. Queste risultanze rafforzano la tendenza sempre
più accentuata a vedere nella rete Internet il mezzo ideale
per contattare in quella fascia oraria un pubblico istruito e
affluente.
TARGET
«Questa ricerca allarga la nostra comprensione dell’audience che si collega dal luogo di lavoro e sulle differenze
nelle modalità d’uso della rete da parte di gruppi demografici di cruciale importanza» ha dichiarato Julien Jacob,
presidente dell’Associazione europea degli editori on line.
«Stiamo imparando come la gente abbia integrato il web
nella sua vita quotidiana - ha aggiunto Jacob - e questo ci
aiuta a chiarire l’importanza del mezzo per gli inserzionisti
pubblicitari che possono così raggiungere anche i target
più complessi».
Del resto gli utenti da luogo di lavoro sono un target
attraente per gli investitori pubblicitari, proprio perché Internet è profondamente integrato nella loro vita quotidiana.
La pubblicità on line raggiunge infatti nei luoghi di lavoro
una base clienti potenziale di alto livello.
(www.corriere.it)
ORDINE
1
2005
Citigroup conferma il proprio impegno a sostegno del giornalismo economico-finanziario di alto livello
I giornalisti
avranno tempo fino
al 17 gennaio 2005
per presentare
due articoli pubblicati
nel corso
dell’anno 2004
Gli articoli verranno poi
sottoposti alla giuria in forma
anonima (sia di testata sia di
autore), in modo da garantire
un giudizio imparziale basato
esclusivamente
sui contenuti dell’articolo
Al vincitore viene offerta
la possibilità di partecipare
a una iniziativa di formazione
unica nel suo genere:
un seminario di giornalismo
presso la Columbia
University di New York
Qui incontreranno
i rappresentanti
delle più prestigiose
istituzioni finanziarie
mondiali nonché
economisti di fama
internazionale
Prende il via la quarta edizione del Premio
“Citigroup Journalistic Excellence Award”
Milano, 23 novembre 2004. La necessità di
una maggiore consapevolezza nelle scelte
di investimento da parte dei risparmiatori e
investitori italiani è largamente condivisa
dalle istituzioni e dagli operatori di mercato.
La stampa economico-finanziaria rappresenta indubbiamente un punto di riferimento per
indirizzare e informare sulle scelte relative a
prodotti e mercati e può svolgere un ruolo di
grande importanza per contribuire ad un
ulteriore sviluppo della cultura finanziaria nel
nostro Paese. Poter contare su giornalisti
economico-finanziari con una formazione
molto solida e approfondita e con una capacità di sostenere una posizione insieme
propositiva e critica rappresenta dunque un
vantaggio cruciale non solo per la professione giornalistica ma per l’intero sistema. Citigroup conferma il suo impegno di lunga data
per promuovere il giornalismo economicofinanziario di alto livello premiando i migliori
professionisti in questo campo in tutto il
mondo, dando oggi il via alla quarta edizione
italiana del Premio Citigroup Journalistic
Excellence Award, ideato a livello internazionale nel 1982. Con questa iniziativa Citigroup
intende riconoscere il ruolo che il giornalismo
di eccellenza può ricoprire all’interno del
sistema economico-finanziario, contribuendo
a creare un pubblico meglio informato e a
sostenere il buon funzionamento del sistema
nel suo complesso.
La giuria dell’edizione 2005, come nelle
precedenti edizioni, è composta da rappresentanti istituzionali particolarmente autorevoli quali: Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e
docente di Diritto dell’informazione presso
l’Università degli Studi di Milano Bicocca e
l’Università Iulm di Milano; Massimo Capuano, Amministratore delegato di Borsa italiana Spa; Stefano Micossi, Direttore genera-
Ansa.it,
il portale
dell’informazione
cambia
volto
ORDINE
1
2005
le di Assonime; Carlo Secchi, professore
ordinario di Politica economica europea e
direttore dell’Istituto di Studi latino-americani
(Isla) presso l’Università Bocconi; Luigi
Spaventa, professore di Economia politica
dell’Università di Roma; Terri Thompson,
direttrice del Knight Bagehot Fellowship in
Economics and Business Journalism alla
te School of Journalism di New York, culla
del prestigioso Premio Pulitzer. Il seminario
rappresenta un’iniziativa di formazione unica
nel suo genere, che non trova corrispondenti nel nostro Paese. Nell’edizione precedente
sono stati affrontati temi di stretta attualità e
di particolare rilevanza per l’industria finanziaria internazionale: le banche nel sistema
Per ulteriori informazioni:
Citigroup (www.citigroup.com)
Sarah Marder
tel. 02 86474359
fax. 02 86474462
[email protected]
Sarah Marder,
Director of Corporate Affairs
Citigroup – Italy.
Columbia University; Giacomo Vaciago,
Direttore dell’Istituto di Economia e Finanza
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La
Giuria non include nessun rappresentante di
Citigroup.
Al giornalista selezionato viene infatti offerta
l’opportunità di prendere parte, insieme agli
altri vincitori provenienti da tutto il mondo,
all’International Journalists Seminar, un
programma specializzato di due settimane al
livello di master presso la Columbia Gradua-
Roma, 11 ottobre 2004. Ansa.it, il portale del gruppo Ansa,
cambia volto ribadendo la tradizionale attendibilità delle sue
notizie, migliorando la navigazione, facilitando l’accesso e
accrescendo il volume istantaneo delle informazioni in presa
diretta da tutto il mondo. I milioni di navigatori che consultano
Ansa.it hanno ora a disposizione un portale che compete, in
qualità, accessibilità e velocità di consultazione con i migliori
portali giornalistici dei paesi tecnologicamente ed editorialmente più avanzati. Home page con circa 50 aggiornamenti
quotidiani in tempo reale, oltre 30 per ciascun canale business, un rullo con 60 top news, 250 notizie generaliste suddivise per categorie tematiche, 150 news regionali, 11 mini
home page tematiche, rubriche, speciali, foto, appuntamenti,
approfondimenti. Ed ancora nuovi servizi per gli utenti ed un
moderno motore di ricerca. Al via anche il servizio “News
Alert” che consente di avere un’anticipazione delle principali
notizie dell’Ansa direttamente sul Pc, con foto, titoli e link
diretti alle relative e specifiche pagine del portale. Dall’home
page di Ansa.it, che è stata rivoluzionata per renderla più
facilmente fruibile, è possibile accedere, attraverso la barra
di navigazione, ad altre 11 mini home page all’interno delle
quali si trovano le notizie relative alle diverse aree tematiche:
Italia, Mondo, Sport, Calcio, Economia e Finanza, ecc.
Scegliendone una, il navigatore può restarvi collegato per
essere sempre informato sul tema che più lo interessa. La
barra di navigazione è il cruscotto dell’utente e quindi facilita
intuitivamente la consultazione. È da qui che si giunge anche
ai canali Meteo e Finanza e a quelli Tlc, Salute e Pmi, ai siti
in inglese e alle informazioni su tutti i servizi realizzati
dall’Ansa per i telefoni cellulari. Nell’home page di Ansa.it c’è
anche il rullo con le ultime notizie aggiornate in tempo reale.
Se il navigatore è interessato a un preciso argomento può
invece utilizzare il nuovo motore di ricerca, che permette di
arrivare direttamente nella pagina che ospita la notizia, la
foto e il video cercati. L’home page di Ansa.it è anche una
vetrina per tutti i prodotti multimediali: le videonews (“ansalive” e “30secondi”) e le photonews.
(ANSA)
finanziario globale, l’analisi dei bilanci e il
conflitto di interessi. Inoltre durante il seminario i partecipanti avranno la possibilità di
incontrare alcuni grandi nomi del mondo dei
media, dell’economia e della finanza.
Nell’edizione passata ad esempio i partecipanti hanno incontrato William Donaldson,
Stanley Fischer, Rik Kirkland, William Mc
Donough, Robert Rubin, Jeffrey Sachs e
John Williamson, con l’opportunità di realizzare alcune corrispondenze dirette per la
Unione
giornalisti
pensionati:
Ino Iselli
è il nuovo
presidente
Sky Italia:
superata
quota 3 mln
di abbonati
propria testata. I giornalisti avranno tempo
fino al 17 gennaio 2005 per presentare due
articoli pubblicati nel corso del 2004. Gli articoli verranno poi sottoposti alla giuria in
forma anonima (sia di testata sia di autore),
in modo da garantire un giudizio imparziale
basato esclusivamente sui contenuti dell’articolo. Per scegliere il miglior articolo pubblicato nel 2004 tra quelli che prenderanno
parte alla selezione, i giurati si baseranno su
criteri specifici quali l’originalità e la presenza di contenuti di novità, la capacità di analisi e approfondimento delle tematiche trattate, l’utilizzo di ricerche e/o interviste nonché
la capacità di stimolare il dibattito. Nessuna
limitazione invece per quel che riguarda le
tematiche, sulle quali viene lasciata completa libertà all’interno del campo economicofinanziario.
Presente in Italia fin dal 1962, Citigroup gode
oggi di una presenza consolidata in tutte le
aree di business in cui è attiva sul mercato
italiano: Corporate and Investment Banking,
Consumer Banking, Carte di credito, Credito
al consumo, Private Banking e Asset Management. Citigroup in Italia, dove conta su uno
staff complessivo di circa 1200 persone,
opera tramite i seguenti marchi: Citibank,
CitiFinancial, Citigroup, Citigroup Asset
Management e Citigroup Private Bank.Citigroup (NYSE: C), la principale società globale di servizi finanziari con circa 200 milioni di
clienti in oltre 100 paesi, fornisce a consumatori, società, governi ed enti una vasta
gamma di prodotti e servizi finanziari, incluse attività bancarie e creditizie rivolte ai
consumatori, attività bancarie aziendali e di
investimento, assicurazioni, negoziazione
titoli e gestione patrimoniale. I principali
marchi che operano sotto l’ombrello Citigroup sono Citibank, CitiFinancial, Primerica, Smith Barney, Banamex, and Travelers.
Saint Vincent, 22 novembre 2004. Giuseppe (Ino) Iselli, 65
anni, è il nuovo presidente dell’Unione nazionale giornalisti
pensionati (Ungp). È stato eletto a Saint Vincent, al termine del
3° Congresso dell’Ungp, con 47 voti su 57 delegati.
Iselli, delegato della Lombardia, sostituisce Orlando Scarlata
che ha guidato l’Ungp per due mandati. Vicepresidenti sono
stati eletti Massimo Signoretti (Lazio-Molise) e Antonio De Vito
(Piemonte). I delegati hanno successivamente eletto il nuovo
esecutivo dell’Unpgi che risulta così composto: Giorgio Fait
(Trentino Alto-Adige), Sergio Battaglioli (Lombardia), Letizia
Gonzales (Lombardia), Romano Bartoloni (Lazio-Molise), Enrico Mania (Lazio-Molise), Sergio Fantini (Emilia-Romagna),
Giuseppe Peruzzi (Toscana), Francesco Brozzu (Sardegna) e
Maurizio Mendia (Campania).Infine, sono stati eletti i sette
componenti del collegio dei sindaci: Giovanni Carisi (Veneto),
Roberto Tafani (Liguria), Domenico Marcozzi (Abruzzo),
Giacinto Borelli (Lazio-Molise), Franco Chieco (Puglia), Enzo
De Virgilio (Calabria) e Mario Petrina (Sicilia). Il Congresso
dell’Ungp si è chiuso con l’elezione di un gruppo dirigente
largamente unitario che vede la partecipazione di colleghi che
fanno riferimento a differenti componenti sindacali.
ROMA, 26 novembre 2004. A meno di diciotto mesi dalla
fusione tra Telepiù e Stream, in anticipo rispetto alle previsioni,
Sky Italia ha raggiunto l’obiettivo dei tre milioni di abbonati.
“L’aver raggiunto il nostro primo obiettivo di tre milioni di
abbonati rappresenta un grande successo - ha affermato
l’amministratore delegato di Sky Italia, Tom Mockridge. È la
dimostrazione del fatto che in Italia, come nel resto d’Europa
e nel mondo, ci sia una forte richiesta di intrattenimento televisivo di qualità”. Al cliente numero 3.000.000 è stata consegnata ieri sera la parabola da tre testimonial d’eccezione
della piattaforma digitale: l’ex calciatore Gianluca Vialli, la
conduttrice Ilaria D’Amico e un pupazzo con le fattezze di
Bart Simpson.
15
di Pino Nicotri
E adesso? Sono due anni che al Consiglio d’amministrazione dell’Inpgi è stato fatto
notare, con iniziative autonome dal presidente dell’Ordine di Milano Franco Abruzzo, dal sottoscritto come presidente del Comitato inquilini Inpgi dell’ex via Missaglia,
e da petizioni degli stessi inquilini, un particolare non trascurabile. Vale a dire, che i
104 appartamenti di proprietà dell’Istituto in quella zona – oggi chiamata Quartiere
Le Terrazze – avevano un ben preciso vincolo: 12 anni di contratti di affitto a equo
canone invece degli appena quattro concessi.
E sono due anni che a Roma preferiscono far finta di nulla. Non sentono, non vedono e non parlano. Non sentono i discorsi fatti anche da me in varie sedi. Non vedono i documenti inviati da Abruzzo e da me. Non aprono bocca per dire come riparare la situazione.
Oppure ripetono lo stesso ritornello: “L’equo canone è stato abolito per legge nel
’94. Perciò siamo passati legittimamente agli affitti a libero mercato”. Ancora: “La
Vince la tesi
di Franco Abruzzo,
sconfitta clamorosa
dell’Istituto
(che ora deve restituire
il di più percepito
per 8 anni)
“Equo canone per 12 anni
nei 104 appartamenti Inpgi
dell’ex via Missaglia”.
F.to Comune di Milano
La lettera del Comune di Milano
Mentre con Roma continuava l’inconcludente tira e molla, è successo infatti un imprevisto: il diavolo ci ha messo lo zampino. Anzi,
lo zampone! Sotto forma di lettera inviata dal
competente ufficio comunale che chiarisce
senza più possibilità di equivoci e traccheggiamenti che anche per i rimanenti otto anni
gli affitti dovevano attenersi “ad un canone
pari all’equo canone o a un canone comunque concordato con l’Amministrazione
comunale”. Nulla di tutto ciò è invece successo. Anzi, dal ’94 in poi il canone è diventato
tale da rendere impossibile che nei rinnovi
del 2002 gli inquilini potessero accedere a
quello che si chiama “canone concordato” o
anche “secondo canale”. “Il livello del vostro
canone è più alto della soglia massima fissata dalla legge per poter usufruire delle
agevolazioni previste dal canone concordato”, ci ha tenuto infatti a precisare da Roma
l’Inpgi con una apposita missiva.
La lettera che taglia finalmente quello che per
Roma era un nodo gordiano eterno è datata
27.1.2004. Esiste cioè già da quasi un anno.
Chiarisce in modo insuperabile quella che era
la precisa volontà del Comune e la condizione VINCOLANTE posta ai costruttori del quartiere Le Terrazze, come anche ad altri. La
lettera l’ha firmata il “Direttore di Settore//dr
Emilio Cazzani”. Il settore in questione è quello urbanistico. Per l’esattezza la lettera porta
l’intestazione della “Direzione Centrale Pianificazione Urbana e Attauazione P.R.//Settore
Urbanistica//Servizio Piani e Programmi di
Recupero”. Il numero di protocollo generale è
“PG 174878/2004”.. E i destinatari sono due.
Il primo è la “Spettabile A.I.T.E.R.//Associazione Inquilini/Via Tomaselli 1 e via Rosselli1//20142 Milano”. Il secondo è, per conoscenza, la “Spettabile Immobiliare Lombarda//Via Manin n. 37//20121 Milano”.
Chiarisco che l’ Immobiliare Lombarda SpA
è una società immobiliare coinvolta nella
gestione e nello sviluppo del patrimonio
immobiliare del gruppo Ligresti. Nel 1999 la
società è stata costituita in seguito allo scorporo del ramo di azienda immobiliare della
Premafin Finanziaria. In seguito si è avuta
la fusione per incorporazione della Immobiliare Lombarda srl e la contestuale modifica
nella attuale denominazione sociale. La
società vanta un patrimonio di 252 immobili,
situati nell'area di Milano, e da terreni per un
totale di 1.4 milioni di metri quadri.
Come mai il direttore di settore Emilio
Cazzani, cioè il Comune, ha spedito la sua
missiva proprio a quei due indirizzi? Lo spiego subito.
Gli inquilini di via Tomaselli e via Rosselli all’attacco
Mentre invecchiavo con l’inconcludente tira e
molla con Roma, si sono mossi a mia insaputa gli inquilini di due palazzi di proprietà della
Immobiliare Lombarda, uno in via Tomaselli 1
e l’altro in via Rosselli 1, formando una associazione che, dalle iniziali anche del nome
delle due vie, prende il nome A.I.T.E.R. Poi si
sono mossi anche gli inquilini di due palazzi
di proprietà dell’Enasarco, uno in via Fratelli
Fraschini 22 e l’altro in via Bugatti 13, che
hanno partorito una seconda associazione.
Anch’essa prende il nome dalle iniziali delle
sue vie: A.I.F.B. Infine, le due associazioni
sono confluite in una nuova, Aiter Le Terrazze, aperta a tutti gli altri inquilini del resto del
quartiere. Aperta cioè anche a noi affittuari dei
due palazzi Inpgi, uno in via Nicola Romeo 14
e l’altro in via fratelli Fraschini 7. L’Inpgi di
Roma e la vecchia gestione fiduciaria di Milano ci hanno tenuto a combattere per anni il
comitato dei suoi inquilini e in particolare il
sottoscritto? Si sono divertiti a tentare di sfrattarmi e a minacciarmi pubblicamente di
denuncia per diffamazione e addebito di perizia (costosa)? Bene, ora se la vedano con l’Aiter Le Terrazze e i suoi avvocati, anziché con
un “terrorista psicologico” come me.
In attesa di aprire un sito Internet, è stato
aperto un indirizzo di posta elettronica: [email protected]
A quanto pare, gli inquilini dei due palazzi
dell’Immobiliare Lombarda e dei due dell’Enasarco, l’equo canone non l’hanno mai
visto. Neppure nei primi quattro anni accordati invece dall’Inpgi. Secondo i calcoli
dell’avvocato Alessio Straniero e del dottor
Paolo Piscone, inquilini associati all’Aiter, la
Lombarda e l’Enasarco avrebbero prelevato
dalle tasche dei loro 197 affittuari quattro
milioni di euro più del dovuto, pari a otto
miliardi di lire. Non c’è che dire: un bel gruzzolo. Se non una vera e propria stangata.
Ma c’è un dato particolarmente scandaloso.
La proprietà dell’Immobiliare Lombarda è
una creatura dello stesso Salvatore Ligresti
al quale il Comune di Milano concesse a suo
tempo l’edificabilità dell’intero quartiere Le
Terrazze, compresi i palazzi che ha poi
venduto all’Enasarco e all’Inpgi, solo a patto
che gli affittuari futuri godessero di 12 anni di
equo canone. Il che significa che mentre
l’Inpgi può, in ipotesi, al momento dell’acquisto dei due immobili, essere stata tenuta
all’oscuro di quel vincolo, il costruttore e la
sua Lombarda non potevano invece ignorarlo. C’è di che farsi cadere le braccia a terra.
Anche gli inquilini Sunia in azione
Gli affittuari della Lombarda e dell’Enasarco
le braccia le hanno invece usate per dissotterrare l’ascia di guerra. Con Straniero e Piscone
hanno dato vita a una cooperativa che ha
posto i rispettivi proprietari immobiliari davanti
a un ben preciso aut aut: o ci restituite i quattro milioni di euro o ci vendete gli immobili e
scalandoci dal prezzo quei quattro milioni di
euro. Una coppia di inquilini si è rivolta direttamente al magistrato perché la cifra di loro
competenza l’hanno già defalcata da tempo
16
Corte dei Conti ci obbliga a mettere a reddito gli immobili nel modo migliore”. Infine:
“I sindacati nazionali inquilini hanno firmato con noi un ben preciso accordo”. Insomma, come dire: “E voi che cavolo volete?”.
A parte le chiacchiere da azzeccagarbugli, chiunque capisce che abolire l’equo
canone è cosa diversa dal proibirlo. Tant’è vero che ancora oggi, 10 anni dopo la
sua abolizione, la stessa Inpgi ha ancora qualche appartamento concesso a equo
canone. Pochi, meno delle dita di una mano, ma ci sono. Questa è la prova regina,
lampante, che la spiegazione “romana” non regge, è campata per aria. L’equo canone era stato sì abolito, nel ’94, ma NON vietato: se proprietario e affittuario erano
d’accordo, il costo mensile poteva continuare a essere calcolato con i parametri
dell’equo canone. Tutti avrebbero continuato a vivere felici e contenti. E l’Inpgi si
eviterebbe la montagna di grane che da qualche giorno ha ripreso a muoversi
minacciando di precipitarle addosso.
dal pagamento dell’affitto. Ciliegina sulla torta,
giunge la notizia che il sindacato nazionale
degli inquilini Sunia ha affidato ai suoi legali
una causa per la revisione dei canoni di 30
affittuari. Ma come? Non mi avevano scritto
da Roma che proprio i sindacati avevano
“firmato” e che quindi ci togliessimo dai piedi
perché non potevamo pretendere più nulla?
Come mai il Sunia per quei 30 invece “pretende”? Eccome, se pretende! Conclusione: si
profila all’orizzonte la possibilità di un centi-
naio di cause giudiziarie contro l’Inpgi da
parte degli affittuari di via Romeo e via
Fraschini. La sera del 29 novembre si è infatti
svolta un’assemblea, nei locali del Punto Religioso di via Bugatti, con una rappresentanza
dell’Aiter Le Terrazze, compresi Straniero e
Piscone. Ed è stata presa la decisione di affidare a Straniero la rappresentanza legale
anche degli interessi degli inquilini Inpgi. Vale
a dire, il recupero dell’eventuale canone pagato in eccesso. Oppure, ma questo lo si dovrà
stabilire dopo un dibattito più approfondito, di
mettere in piedi un’altra cooperativa che chieda all’Inpgi di venderle i due palazzi. In modo
che chi volesse eventualmente comprare l’appartamento nel quale abita (ne hanno fatto
richiesta un paio di anni fa una trentina di affittuari) lo possa fare, mentre chi vuole restare
in affitto possa continuare a restarci. In affitto
della cooperativa anziché dell’Inpgi. Insomma,
l’uovo di Colombo che potrebbe finalmente
accontentare tutti.
Salta la teleconferenza Milano/Roma
All’assemblea avrebbe dovuto partecipare il
fiduciario milanese dell’Inpgi, Carlo Gariboldi, già da me presentato, assieme al suo vice
Guido Besana, poco dopo la loro nomina, ad
una apposita e affollata assemblea di inquilini. Gariboldi è stato impedito da impegni
imprevisti. Ma si è dato da fare fissando per
giovedì 2 dicembre una riunione nella sede
milanese dell’Inpgi, in via Sandri, con l’avvocato Straniero, il dottor Piscone e tutti gli
inquilini dell’Istituto desiderosi di parteciparvi. L’intenzione di Gariboldi era di collegarsi
in teleconferenza, nell’apposita sala della
sede in via Sandri, con i vertici romani dell’Istituto. Vale a dire, con il presidente Gabriele
Cescutti e il direttore generale Arsenio Tortora. E cominciare a discutere per capire cosa
si può fare senza essere costretti a litigare,
cioè senza dover ricorrere in massa al magistrato. Ma l’incontro è saltato per indisponibilità di non si è ben capito chi a Roma. Dalla
faccia e dal tono di Gariboldi quando in
seguito gli ho parlato, mi pare si possa
sospettare che a Roma devono averlo trattato con un senso di fastidio: “Ancora questa
storia!”. Vedremo.
Solo un ripiego l’equo canone per 12 anni
Questa invereconda storia di ordinaria follia
e malcostume vale però la pena raccontarla dall’inizio. Anche perché – stando a un
articolo a pagina 44 de Il Giornale di lunedì
8 ottobre dell’anno in corso, a firma di Alessandra Pasotti - pare non riguardi “solo”
l’intero quartiere Le Terrazze, ma anche
altre zone di Milano.
Per esempio, quelle di via Adriano e di via
Quarenghi. La non bella faccenda riguarda
in modo scandaloso soprattutto l’immobiliarista Ligresti - vale a dire un coeditore
addirittura del Corriere della Sera! Ma
riguarda anche l’Istituto previdenziale dei
giornalisti. È quindi davvero incredibile il
silenzio stampa che vige su questa vicenda, sulle spalle di centinaia e centinaia di
affittuari. Cioè di famiglie.
Dunque. Per evitare le solite accuse del
cavolo, mi limito a riportare passi del citato
articolo de Il Giornale: “Occorre fare un salto
nel tempo e ritornare agli anni Ottanta, quando Milano era ancora da bere e attorno agli
appalti di edilizia residenziale ruotavano interessi da capogiro. In quegli anni e più precisamente tra l’84 e l’85 il Comune stipula
alcune convenzioni urbanistiche. In partico-
lare sono tre le zone interessate: via dei
Missaglia, via Quarenghi e via Adriano. Il
Comune concede a diverse immobiliari di
costruire su quei terreni centinaia di case e
palazzi in cambio di alcune contropartite di
interesse pubblico per fronteggiare il problema casa. Tra queste c’è l’obbligo di offrire gli
alloggi ad equo canone per un periodo non
inferiore ai 12 anni”.
L’avvocato Straniero chiarisce meglio un
punto decisamente interessante: “La soluzione dei 12 anni di equo canone è stata però
solo un ripiego. Che ha favorito i costruttori,
nel nostro caso Ligresti. Il Comune preferiva
infatti che una quota dei palazzi costruiti
fossero destinati all’edilizia popolare,
passando quindi sotto la diretta proprietà del
Comune come contropartita delle concessioni edilizie. Ligresti, per restare il padrone di
tutti i palazzi da lui costruiti, ha fatto una
controproposta: caro Comune, invece di
cederti una parte degli immobili fissiamo un
lungo periodo di canone di favore per gli affittuari di tutti i palazzi. Ci si è alla fine accordati sul periodo di 12 anni di equo canone”.
Periodo che, come ben sappiamo, è andato
a farsi benedire.
L’azione di Franco Abruzzo in difesa degli inquilini
Il 13 giugno 2003 il presidente dell'Ordine
Franco Abruzzo ha trasmesso, tramite raccomandata per corriere Bedienne, all'intero
vertice dell'Inpgi, ai due ministri e ai due
magistrati amministrativi aventi compito di
vigilanza, l'intero testo della "Concessione
per opere edilizie" rilasciata da Comune al
gruppo Ligresti, per l'esattezza alla Premafin
Finanziaria Spa, il 19 dicembre 1988. Nel
testo si legge con chiarezza la clausola sui
12 anni di equo canone. In più Abruzzo ha
inviato a tutti i destinatari sopra citati una
serie di allegati i quali dimostrano che gli
organi competenti hanno a suo tempo
approvato quanto deciso dal Comune. In
totale, il fascicolo spedito da Abruzzo consta
di 55 fogli, scritti su entrambe le facciate. Che
fine hanno fatto?
C’è qualcuno che vuole ancora sostenere che
tutta la vicenda è stata inventata o ingrandita
da me? Magari su mandato di Abruzzo, come
qualche imbecille ha l’ardire di mormorare? O
non si tratta piuttosto di una vicenda abbastanza oscura, se non losca, che vale la pena
di chiarire anche giornalisticamente?
Le pagine della cronaca milanese dei vari
quotidiani aspettano impazienti che i cronisti
facciano – finalmente – la loro parte. Ora
hanno tutti gli estremi per impugnare la
penna.
ORDINE
1
2005
P R O F E S S I O N E
Lettera dell’8 marzo 2004 di Franco Abruzzo al ministro del Lavoro, alla Fieg,
alla Fnsi, all’Alg, all’Ordine nazionale e all’Inpgi con la richiesta dell’istituzione e
dell’attivazione del “Fondo nazionale paritetico interprofessionale per la formazione
continua” di cui all’articolo 118 della legge n. 388/2000 per finanziare: a. le Scuole di
giornalismo, riconosciute dall’Ordine nazionale dei giornalisti, oggi in attività con
l’utilizzazione degli stanziamenti del Fse (Fondo sociale europeo) in esaurimento
entro il 2006; b. la nota a verbale di cui all’articolo 4 del vigente Cnlg (corsi di aggiornamento professionale di contenuto tecnologico); c. l’articolo 45 (aggiornamento
culturale e professionale) del vigente Cnog.
Maroni ha già risposto: l’iniziativa spetta a Fnsi e Fieg!
È evidente che l’articolo 118 della legge n. 388/2000
va piegato alla formazione continua
delle figure professionali previste dal Cnlg
e dalla legge professionale:
redattori professionisti, redattori pubblicisti,
praticanti in formazione presso le redazioni
e praticanti in formazione presso
le Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog
Fondo nazionale paritetico
interprofessionale per la formazione
continua: i soldi ci sono, ma il sindacato
non appare interessato. Perché?
Come presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
– ente pubblico che, di concerto con la Regione Lombardia,
ha “creato” nel 1977 la prima Scuola italiana di giornalismo
(“Istituto ‘Carlo De Martino’ per la Formazione al Giornalismo”)-, chiedo l’istituzione e l’attivazione di un “Fondo
nazionale paritetico interprofessionale per la Formazione continua dei giornalisti professionisti; dei giornalisti
pubblicisti contrattualizzati e dei praticanti giornalisti
iscritti nelle Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog
e finanziati oggigiorno in base al Fse”. Ciò in base all’articolo 118 della legge 19.12.2000 n° 388.
Il comma 1 dell’articolo 118 precisa che “al fine di promuovere, in coerenza con la programmazione regionale e con le
funzioni di indirizzo attribuite in materia al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, lo sviluppo della formazione
professionale continua, in un’ottica di competitività delle
imprese e di garanzia di occupabilità dei lavoratori possono
essere istituiti, per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato, nelle
forme di cui al comma 6, fondi paritetici interprofessionali
nazionali per la formazione continua”. Il comma 6 dice:
“Ciascun fondo è istituito, sulla base di accordi interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro
e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano
nazionale, alternativamente:
a) come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi
dell’articolo 36 del codice civile;
b) come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi
degli articoli 1 e 9 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, concessa
con decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali”.
“L’attivazione dei fondi – recita il comma 2 - è subordinata al
rilascio di autorizzazione da parte del ministero del Lavoro e
delle politiche sociali, previa verifica della conformità alle
finalità di cui al comma 1 dei criteri di gestione, degli organi
e delle strutture di funzionamento dei fondi medesimi e della
professionalità dei gestori”.
Le imprese editrici di testate giornalistiche, di Tg e radiogiornali, di agenzie di stampa e di giornali telematici hanno,
comunque, l’obbligo (comma 5 dell’articolo 118) di versare
all’Inps il contributo integrativo di cui al quarto comma dell’articolo 25 della citata legge n. 845 del 1978. Tra gli 8 Fondi già
istituiti, 6 si riferiscono a lavoratori e dirigenti dei settori industriale, artigiano, cooperativo, commerciale, turistico, creditizio, assicurativo e logistico. Gli altri due Fondi riguardano il
terziario e i dirigenti del terziario (FON.DIR).
A questo punto si tratta di verificare in quale ambito possano
essere inserite le imprese a cui facciano capo attività di natura giornalistica e se le stesse imprese abbiano già provveduto ad aderire ad un qualsiasi Fondo già esistente. Qualora
ciò non fosse avvenuto, la legge 388/2000 ammette la possibilità di istituire altri specifici Fondi.
È evidente che l’articolo 118 della legge n. 388/2000 va
piegato alla formazione continua delle figure professionali
previste dal Cnlg e dall’Ordine nazionale dei giornalisti:
redattori professionisti, redattori pubblicisti, praticanti in
formazione presso le redazioni e praticanti in formazione
presso le Scuole di giornalismo riconosciute dal Cnog. Il
contratto afferma che “forme integrative di formazione
professionale del praticante potranno essere attuate in
sede dalle aziende o utilizzando qualificate strutture formative esterne private e pubbliche”. Il punto 4 dell’allegato 0
del Cnlg recita per quanto riguarda i praticanti giornalisti in
formazione: “Il contratto di formazione e lavoro deve prevedere almeno 144 ore di formazione da effettuarsi in luogo
della prestazione lavorativa. A tal fine gli Ordini regionali e
le associazioni regionali della stampa, d’intesa con l’Ordine
nazionale, predisporranno corsi di formazione teorici integrativi della pratica formazione aziendale finalizzati anche
all’uso dei sistemi redazionali. I corsi di formazione potranno svolgersi presso le strutture universitarie a tal fine ritenute più idonee”.
Ma nel Cnlg c’è di più: la nota a verbale di cui all’articolo 4
prevede corsi di aggiornamento professionale di contenuto
tecnologico, mentre l’articolo 45 ipotizza l’aggiornamento
culturale e professionale dei giornalisti. L’articolo 45 in particolare delinea quella formazione continua dei giornalisti
materia organicamente trattata dall’articolo 118 della legge
n. 388/2000. Dice l’articolo 45 del Cnlg: “Le parti, allo scopo
di soddisfare l’esigenza di un costante aggiornamento culturale-professionale dei redattori, attraverso una regolamentazione concordata a livello aziendale, convengono quanto
segue:
- le aziende, in relazione alle specifiche esigenze ed alle
disponibilità, d’intesa con le direzioni e i comitati o fiduciari
di redazione, avvieranno a tale scopo iniziative determinandone programma, durata, modalità di svolgimento e di
partecipazione;
- ciascuna azienda favorirà la partecipazione di singoli giornalisti a corsi di aggiornamento, seminari, iniziative culturali-professionali attinenti le loro specifiche competenze
previo parere del direttore sulla base di idonea documentazione; è rinviata alla sede aziendale la regolamentazione
degli aspetti relativi ai periodi di permesso retribuito e di
concorso alle spese;
- le Federazioni contraenti promuovono e organizzano,
annualmente e congiuntamente - in collaborazione con gli
organismi professionali - corsi nazionali o di aggiornamento culturale-professionale, stabilendone di volta in volta
programmi, durata, modalità di partecipazione dei giornalisti e concorso delle aziende agli eventuali oneri. Le Federazioni medesime valuteranno periodicamente i risultati
delle esperienze realizzate a livello aziendale in materia di
aggiornamento professionale”.
Va anche detto che le Scuole di giornalismo, riconosciute dal
Cnog, e finanziate con le risorse del Fse, hanno un potenziale fosco avvenire, perché quelle risorse non saranno più
disponibili (nelle quantità precedenti) a partire dal 1° gennaio
2007. C’è un interesse generale, quindi, da tutelare perché
l’azione formativa di nuovi giornalisti sia assicurata nel futuro
a costi altamente competitivi e contenuti per le famiglie dei
giovani, che per concorso (e, quindi, per merito) frequentano
le Scuole (a numero programmato). L’accesso alla professione giornalistica non può essere affidata alle storture speculative del mercato. La sopravvivenza delle Scuole passa
attraverso l’istituzione del Fondo di cui all’articolo 118 della
legge n. 388/2000. Grava sul ministero del Lavoro e delle
politiche sociali la responsabilità di collocare le risorse disponibili dell’istituendo Fondo nell’Inpgi, l’Istituto che, in base
all’articolo 76 della legge n. 388/2000, “gestisce in regime di
sostitutività le forme di previdenza obbligatoria nei confronti
dei giornalisti professionisti e praticanti e che provvede, altresì, ad analoga gestione anche in favore dei giornalisti pubblicisti… titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura
giornalistica”.
Tutto ciò premesso, chiedo, richiamando le motivazioni già
illustrate, l’istituzione e l’attivazione del “Fondo nazionale
paritetico interprofessionale per la formazione continua” di
cui all’articolo 118 della legge n. 388/2000 per finanziare:
a. le Scuole di giornalismo, riconosciute dall’Ordine nazionale dei giornalisti, oggi in attività con l’utilizzazione degli
stanziamenti del Fse (Fondo sociale europeo) in esaurimento entro il 2006;
b. la nota a verbale di cui all’articolo 4 del vigente Cnlg (corsi
di aggiornamento professionale di contenuto tecnologico);
c. l’articolo 45 (aggiornamento culturale e professionale) del
vigente Cnog.
Il presidente dell’OgL-estensore
prof. Francesco Abruzzo
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OG
Questo il testo della lettera:
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17
P R O F E S S
di Riccardo Sabbatini
Il giudice amministrativo è
la Consob (la sanzione amministrativa va da ventimila
a tre milioni di euro).
Per i giornalisti si prevede
che la diffusione delle notizie vada valutata “tenendo
conto delle norme di autoregolamentazione proprie
di detta categoria”. Innanzitutto le norme deontolo-
Una lacuna
che danneggia
i giornalisti
finanziari
giche della categoria fino
ad un certo punto sono autoregolamentari, ma la loro
violazione comporta sanzioni (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12
mesi, radiazione dall’Albo
professionale) stabilite per
legge.
Soprattutto non sono chiarite le specifiche, e distinte,
Direttive Ue
I O N E sul market
abuse:
sì della
Camera al
recepimento.
responsabilità (editore, autore dell’articolo, fonte)
La legge
coinvolte nella pubblicazione di una notizia.
Il fatto che il recepimento
ora ritorna
della direttiva non contenga una norma di salvaguaral Senato
dia su chi non è consapevole di diffondere falsità,
aggrava questa confusione
di ruoli.
Aggiotaggio punito anche in sede amministrativa,
ma il legislatore italiano (tradendo l’Ue) omette
di precisare che la sanzione scatta soltanto se
chi diffonde le informazioni “sapeva o avrebbe
dovuto sapere che le informazioni erano false”
L’aggiotaggio (o manipolazione di mercato) nell’attuale normativa italiana (art.
2637 del Codice civile) è il reato che
commette “chiunque diffonde notizie
false, ovvero pone in essere operazioni
simulate o altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quotati e
non quotati” La pena, sulla carta è molto
severa (reclusione da 1 a 5 anni) ma
pochissimi finora sono stati condannati e
ancora meno sono stati i giornalisti coinvolti in procedimenti giudiziari
La nuova direttiva europea sui reati finanziari (market abuse) include nella definizione di manipolazione di mercato “la
diffusione di notizie false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari… se la persona che le ha diffuse
sapeva o avrebbe dovuto sapere che le
informazioni erano false o fuorvianti.
Con riferimento ai giornalisti… tale
diffusione di informazioni va valutata
tenendo conto delle norme deontologiche proprie di detta professione a
meno che dette persone traggano, direttamente o indirettamente, vantaggi o
benefici dalla diffusione delle informazioni in questione”. La direttiva, fatto salvo il
diritto dei singoli parlamenti a reprimere
queste fattispecie con norme penali
richiede tuttavia che siano comunque in
vigore sanzioni amministrative comminate da autorità di vigilanza indipendenti
(allo scopo, tra l’altro, di far sì che il
network europeo dei regulator possa
reprimere fenomeni cross-border)
L’emendamento del governo alla legge
comunitaria con il quale viene recepita in
Italia la market abuse (emendamento 8.50
all’atto C.5179/A) prevede due distinte
fattispecie di aggiotaggio. Il primo è un
Possibili ricadute
sull’attività
dei giornalisti
finanziari
Concrete
fattispecie
a) l’oggetto degli iter sanzionatori della
Consob (l’autorità indipendente incaricata di
comminare le multe) è potenzialmente assai
ampio poiché, in mancanza del requisito
dell’impatto sui prezzi di Borsa, riguarda
indistintamente tutte le notizie false e fuorvianti concernenti strumenti finanziari quotati che appaiono sui mass media (Internet
compreso).
Pericolo: il rischio di sanzioni arbitrarie
Primo caso
Il giornalista pubblica la notizia di una fusione bancaria citando come fonte l’amministratore delegato di un istituto di credito. La notizia si rivela falsa.
Di chi è la colpa? Secondo me è unicamente
dell’amministratore poiché il giornalista ha
fatto nient’altro che il suo dovere professionale (citando una fonte affidabile a sostegno
della notizia).
b) il range della sanzione amministrativa è
assai ampio (da 20mila a 3 milioni di euro) e,
in mancanza dello stesso requisito di impatto sul mercato, non si capisce in che modo
dovrebbe essere graduata. Pericolo: il rischio
di sanzioni sproporzionate
c) per i giornalisti si prevede che la diffusione delle notizie vada valutata “tenendo conto
delle norme di autoregolamentazione proprie
di detta categoria”. Innanzitutto le norme
deontologiche della categoria fino ad un
certo punto sono autoregolamentari, ma la
loro violazione comporta sanzioni (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12
mesi, radiazione dall’albo professionale)
stabilite per legge. Soprattutto non sono chiarite le specifiche, e distinte, responsabilità
(editore, autore dell’articolo, fonte) coinvolte
nella pubblicazione di una notizia. Il fatto che
il recepimento della direttiva non contenga
una norma di salvaguardia su chi non è
consapevole di diffondere falsità, aggrava
questa confusione di ruoli.
Pericolo: il rischio di sanzioni ingiuste
Secondo caso
Nei giorni scorsi praticamente tutti i giornali
economici hanno diffuso la notizia (senza
citare la fonte) che Bolloré aveva incrementato la sua quota in Mediobanca, avendo
ricevuto il via libera da Bankitalia.
Dopo qualche giorno si è appreso, per bocca
dello stesso Bolloré, che la notizia era falsa.
Casi del genere sono molto comuni nei giornali. Quell’informazione non aveva avuto
impatto sul mercato, potrebbe però far scattare l’iter sanzionatorio della Consob. Come
verrebbero ripartite le responsabilità?
Se il giornalista mantiene il riserbo sulla sua
fonte (come gli è consentito nel nostro ordinamento) potrebbe (lui o il suo editore, o
entrambi) essere sanzionato.
Se fa il nome della sua fonte – tenuto conto
che la notizia era falsa ritengo che anch’esso sarebbe un atteggiamento lecito secondo
le nostre regole professionali – la responsabilità passerebbe a quest’ultima sempre che
fosse possibile dimostrare che proprio quella
è la vera fonte della notizia.
18
Roma, 2 dicembre 2004. Sì della Camera all’articolo 8 della
legge comunitaria 2004 che prevede il recepimento nell’ordinamento italiano della direttiva Ue sul ‘market abuse’: un
primo intervento in risposta ai crack che hanno colpito il
mercato finanziario italiano ed i risparmiatori.
La norma inasprisce le sanzioni, sia penali sia amministrative, per gli abusi di mercato e prevede il rafforzamento della
Consob; essa potrà avvalersi della Guardia di finanza e le
sarà permessa l’assunzione in servizio di 150 nuovi dipendenti. La Consob potrà, poi, accedere alla Centrale rischi
della Banca d’Italia.
In particolare, chi abusa di informazioni privilegiate verrà
punito con la reclusione da uno a sei anni ed una multa da
ventimila e 3 milioni di euro che potrà essere aumentata dal
giudice fino al triplo o fino a dieci volte il profitto ingiustamente conseguito se si tratta di casi così rilevanti da far apparire
inadeguata la pena anche se applicata al massimo.
Chi commetterà il reato di “manipolazione del mercato”
diffondendo notizie false o ponendo in essere “operazioni
simulate” volte a provocare “una sensibile alterazione del
prezzo di strumenti finanziari”, verrà punito con la reclusione
da uno a sei anni e con una multa fino a 5 milioni di euro,
che anche in questo caso potrà essere triplicata nella sua
entità dal giudice. La legge comunitaria 2004 torna all’esame
del Senato per l’approvazione definitiva.
(ANSA)
reato penale che colpisce con la pena da
1 a 6 anni e la multa da ventimila a 5
milioni di euro chiunque “diffonde notizie false o pone in essere operazioni
simulate o altri artifici concretamente
idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari”.
Come si vede la formulazione è identica a
quella dell’attuale norma, compreso il riferimento alla “sensibile alterazione del
prezzo” che invece è assente nella disciplina comunitaria.
Lo stesso emendamento introduce poi
una nuova sanzione amministrativa relativa ai casi di manipolazione di mercato - è
quella che concretamente ci interessa di
più - così definita: “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato è punito
con la sanzione amministrativa da ventimila a tre milioni di euro chiunque, tramite
mezzi di informazione, compreso Internet
e ogni altro mezzo, diffonde informazioni
voci o notizie false o fuorvianti in merito
agli strumenti finanziari.
Per i giornalisti… la diffusione delle informazioni va valutata tenendo conto delle
norme di autoregolamentazione proprie di
detta professione, salvo che tali soggetti
traggano, direttamente o indirettamente,
un vantaggio o un profitto dalla diffusione
delle informazioni”.
L’aggravante che fa scattare il reato penale, in aggiunta alla sanzione, è - si evince
dal testo – il fatto che le notizie false
hanno un impatto sui titoli di Borsa. Come
si vede il legislatore italiano riprende per
intero la formulazione presente nella direttiva Ue omettendo però di precisare, come
faceva quello europeo, che la sanzione
scatta soltanto se, chi diffonde l’informazione, “sapeva o avrebbe dovuto sapere
che le informazioni erano false”.
Conclusione
Come si vede la questione è assai complessa e necessita di un immediato confronto tra
i colleghi. In prima approssimazione mi pare
che il testo di recepimento della direttiva
comunitaria dovrebbe quantomeno contenere la stessa clausola di salvaguardia contenuta nella legge europea. In ogni caso nelle
norme di autoregolamentazione che l’Ordine
sta redigendo in applicazione della market
abuse (riguardano la corretta presentazione
delle raccomandazioni finanziari e la piena
trasparenza su possibili conflitti d’interesse,
sono disponibili sul sito internet www.odg.it)
andrebbe indicata con precisione la ripartizione delle responsabilità in caso di sanzioni
amministrative riguardanti manipolazione di
mercato. Precisando che i giornalisti
responsabili di una condotta scorretta
sono puniti solo con le sanzioni previste
nel loro ordinamento professionale. A
meno che, come precisa la direttiva Ue, non
traggono un profitto personale dalla manipolazione. La sanzione amministrativa della
Consob dovrebbe, invece, essere comminata unicamente alle fonti delle notizie false.
ORDINE
1
2005
Riforma della Giustizia (bloccata da Ciampi)
I rapporti con la stampa
saranno tenuti “personalmente”
dal Procuratore della Repubblica
“Tutte le informazioni sulle attività
dell’ufficio dovranno essere attribuite
impersonalmente allo stesso”.
I magistrati, “in contrasto con questa
disposizione”, saranno perseguiti
disciplinarmente.
Abruzzo:
“Avremo un’informazione giudiziaria
centralizzata e reticente?”
Milano, 3 dicembre 2004. I giornalisti,
come i magistrati, sotto tiro. Per quanto
riguarda i giornalisti, il Parlamento è sul
punto di approvare alcune norme sul codice militare, sulla diffamazione e sui reati
finanziarti (market abuse), che mettono a
rischio il diritto dei cittadini all’informazione
e il lavoro dei cronisti. L’ultima tegola, però,
è rappresentata dalla riforma della Giustizia: questa legge, approvata dalla Camera
il 1° dicembre, è stata rinviata dal Presidente Ciampi al Parlamento per un riesame.
Suscista perplessità un passaggio, che
riguarda i rapporti stampa-magistrati delle
Procure della Repubblica. Il governo è
delegato ad adottare, entro un anno dalla
data di entrata in vigore della legge, con
l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 2 (commi 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7 e 8), uno o più decreti legislativi. Nell’attuazione della delega il governo si atterrà
ai seguenti princìpi e criteri direttivi:...
“prevedere che il Procuratore della
Repubblica tenga personalmente, o
tramite magistrato appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione e che tutte le informazioni sulle
attività dell’ufficio vengano attribuite
impersonalmente allo stesso; prevedere che il Procuratore della Repubblica
segnali obbligatoriamente al consiglio
giudiziario, ai fini di quanto previsto al
comma 3, lettera r), numero 3), i comportamenti dei magistrati del proprio ufficio
che siano in contrasto con la disposizione di cui sopra”.
Franco Abruzzo, presidente dell’Ogl, ha
dichiarato: “Questa riforma della Giustizia,
per quanto riguarda i giornalisti, è in netto
e radicale contrasto con l’articolo 21 (II
comma) della Costituzione. La Costituzione disegna una professione giornalistica
libera, non soggetta ad autorizzazioni e
censure.
Il ruolo “monopolista” assegnato dalla
nuova legge ai Procuratori della Repubblica contrasta con questi principi. La visione
del legislatore è quella del generale Cadorna, quando l’Italia era impegnata nella
prima guerra mondiale: i giornali erano
obbligati a pubblicare soltanto i bollettini
del Comando supremo; potevano, però,
scrivere articoli di colore sulla guerra. I giornali saranno costretti a pubblicare soltanto
quel che dice il Procuratore capo della
Repubblica novello Cadorna? Che accadrà
se i giornali pubblicheranno notizie giudiziarie fuori dal canale ufficiale? Si apriranno inchieste a caccia del magistrato troppo
loquace? Avremo un’informazione giudiziaria centralizzata e reticente?
“Tutte le informazioni sulle attività dell’ufficio del Pm – continua Abruzzo - dovranno
essere attribuite impersonalmente allo
stesso Ufficio. Che significa? I giornali
dovranno censurare i nomi dei magistrati,
che si occupano delle singole inchieste? E
se ciò non dovesse accadere?”
La vicenda di www. merateonline.it
L
A
D
ella lunga e sofferta battaglia giudiziaria per la vicenda “scanner” conclusasi in primo grado con l’assoluzione piena e la restituzione degli apparecchi sequestrati il 1o agosto 2002 dagli uomini del capitano Domenico Di Stravola, il
giornale e i tre giornalisti inquisiti hanno
beneficiato della stima e dell’amicizia di
tante persone. A partire, curioso a dirsi, da
molti sindaci del meratese che già avevano
manifestato in proprio, o addirittura a nome
dell’intero Consiglio comunale, la solidarietà all’indomani dell’operazione militare
messa in piedi dal capitano Di Stravola,
con l’impiego del comandante del Norm
Vincenzo Pistininzi, del comandante della
stazione di Merate Edonio Pecoraro, e di
altri cinque “armati” tra cui tre esponenti di
punta del Nucleo operativo, i cosiddetti
investigatori che, giornalisti a parte, di solito danno la caccia a rapinatori e spacciatori. Ai sindaci, a qualche collega – molti dei
quali, però, hanno preferito fingere di non
usare gli scanner anziché coerentemente
dichiarare di farlo ogni giorno – e, naturalmente ai nostri avvocati Maria Grazia Corti
e Antonio Di Pietro, va il ringraziamento più
profondo.
a c’è un’altra persona alla quale
Merateonline deve eterna riconoscenza. È Francesco “Franco” Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti
della Lombardia. Franco, cosentino, 65
anni, una vita intera dedicata alla professione si è messo in moto subito, nel momento
stesso in cui i colleghi rimasti in redazione Brambilla, De Salvo e Alfano erano in sostanziale stato di fermo presso il comando
di compagnia dei carabinieri di Merate - lo
hanno informato dell’incredibile vicenda. Il
presidente ha faticato a credere che un
mezzo esercito avesse perquisito la redazione di un giornale alla caccia di radioline.
Poi, ha alzato la cornetta per diffondere alle
agenzie i sentimenti del suo stupore e della
sua indignazione. E da quel giorno non è
trascorsa settimana senza che ci facesse
una telefonata per chiedere notizie o solo
per rassicurarci sull’esito del giudizio. Franco Abruzzo ha chiesto di essere ascoltato
N
M
LA RICERCA DELL’ UNIVERSITÀ DELLA CALIFORNIA
Lo stress fa invecchiare
prima: 10 anni in più
La ricerca condotta su 58 donne di cui 38 mamme di bambini malati.
Tracce del tempo più marcate sulle cellule stressate
Milano, 30 novembre 2004. Lo si sospettava da tempo, ma
soltanto ora la scienza è riuscito a dimostrarlo: lo stress fa
invecchiare prima del tempo. In particolare le donne stressate sono in media più vecchie di 10 anni rispetto alla loro età
anagrafica: sulle loro cellule sono molto più marcati i segni
del tempo rispetto a coetanee meno stressate. La notizia,
giunta sulle pagine della rivista dell’Accademia americana
delle scienze Pnas, è merito delle ricerche dell’equipe di Elissa Epel, dell’Università della California, a San Francisco.
IL CAMPIONE - Gli esperti hanno studiato lo stato di salute
del Dna di cellule immunitarie di 58 donne tra i 20 e i 50 anni,
che lamentavano differenti livelli di stress psicologico nella
loro vita quotidiana. Di tutto il campione, inoltre, 39 donne
erano mamme di bimbi con malattie croniche quindi, ha spiegato la Epel, plausibilmente più stressate. I ricercatori hanno
sottoposto l’intero campione a questionari di autovalutazione
dello stress (per misurare la percezione soggettiva dello
stress) e hanno poi misurato oggettivamente lo stress considerando gli anni che ciascuna donna aveva speso fino a quel
momento ad accudire i propri bimbi malati. Così gli scienziati hanno visto che la percezione individuale dello stress e il
livello di stress cronico per le mamme dei bimbi malati, sono
entrambi correlati all’invecchiamento cellulare.
SEGNI DEL TEMPO - In ambedue i casi nelle donne più colpite da stress le cellule esaminate apparivano in media dieci
anni più vecchie dell’età anagrafica, ha riferito la Epel. Infatti le
cellule mostravano tutti i segni tipici dell’invecchiamento:
avevano le estremità dei loro cromosomi, i telomeri, più corte
e mancava un’adeguata quantità dell’enzima protettivo dei
telomeri stessi, la telomerasi. Inoltre queste cellule manifestavano un forte stress ossidativo, anche questo un tratto tipico
del peso degli anni. (fonte: www.corriere.it).
IL LESSICO DEL “MAL D’UFFICIO”
Mobbing: da to mob: aggredire. Persecuzione protratta nel tempo sul luogo di
lavoro.
Modalità: dispetti sistematici a una singola persona
che si ripresentano ogni settimana per almeno sei mesi.
Tipologie: verticale, ovvero
persecuzione da parte dei
ORDINE
1
2005
superiori. Orizzontale, ovvero dispetti dei parigrado.
Scopo: intralcio dal basso.
Bossing: aggressione sistematica da parte dello
staff dirigenziale per eliminare dipendenti non graditi.
Effetti: destabilizzazione
professionale del lavoratore,
crollo dell’autostima, crisi
nei rapporti interpersonali.
Obiettivo: esclusione dal
mercato del lavoro.
“…Indubbiamente cattivo
è colui che, abusando del
proprio ruolo di potere e
prestigio, commette ingiustizie e violenza a
danno dei suoi simili; infi-
Franco
Abruzzo
presidente
di parola
TO
SI
nitamente più cattivo è
colui che, pur sapendo
dell’ingiustizia subita da
un suo simile, tacendo,
acconsente a che l’ingiustizia venga commessa.”
(Einstein, in A. Einstein S.
Freud – Perché la guerra –
Ed. Boringhieri, 1981)
come testimone per confermare, forte di
una carriera di 45 anni, l’uso quotidiano
dello scanner per captare trasmissioni in
chiaro, in tutte o quasi le redazioni italiane.
Il giudice ha ritenuto di non doverlo ascoltare in aula, ma ha acquisito agli atti la sua
testimonianza. Che sicuramente ha avuto
un peso nel verdetto finale, data l’eccezionale autorevolezza della fonte.
l presidente dei giornalisti lombardi ha
avuto parole di elogio per la dottoressa
Maria Cristina Sarli, appena conosciuto il
dispositivo della sentenza. E ora attende il
testo completo perché esso farà giurisprudenza. In altre parole questo verdetto costituisce l’unico autentico precedente in materia ed ora, semmai qualche altro giornalista dovesse finire sotto processo per le
medesime ipotesi di reato, ad esso farà
riferimento il giudice dell’udienza preliminare per decidere l’archiviazione o il rinvio al
giudizio. Nel nostro caso il dottor De
Vincenzi decise per la seconda ipotesi. In
futuro, quasi certamente, qualunque Gup
deciderà per la prima. Se tutta questa brutta storia non è rimasta confinata entro il
perimetro provinciale – anche se Internet è
uno strumento di straordinaria potenza che
si dispiega ben oltre il limite angusto del
territorio – lo dobbiamo al lavoro incessante del professore Francesco Abruzzo.
asciamo alla scheda che pubblichiamo sotto, illustrare meglio la figura del
nostro presidente. Per noi, in questi
due anni, Franco è diventato soprattutto un
amico. Sarà assieme a tutta la redazione –
e ad altri colleghi – a festeggiare nei prossimi giorni l’assoluzione con formula piena.
Qui ci basta dirgli pubblicamente: grazie
Franco. Un amico, prima che presidente, di
tutti i giornalisti. Un garante dell’autonomia
e dell’indipendenza di chi vuole svolgere
sul serio questa professione; senza piegarsi a compromessi o a convenienze. Grazie,
il Tuo aiuto è stato determinante in questa
lunga battaglia giudiziaria.
Claudio Brambilla
e tutti i giornalisti,
imputati e non,
della redazione di Merateonline
I
L
Giorgio Mulè nuovo
direttore di “Economy”
Roma, 25 novembre 2004. Giorgio Mulè è il nuovo direttore
di Economy. Lo comunica la Arnoldo Mondadori Editore.
Mulè, trentasei anni, è nato a Caltanissetta e ha iniziato la
sua carriera di giornalista nel 1989 come cronista di nera e
giudiziaria al Giornale di Sicilia. Dal 1992 al 1998 ha lavorato
a Il Giornale, dove è stato una delle firme di punta del quotidiano. Dal 1998 è a Panorama, prima come inviato, poi come
caporedattore. Nel dicembre 2000 diventa vicedirettore con
delega al settore attualità, per poi assumere nel gennaio
dello scorso anno la carica di vicedirettore esecutivo.
(ANSA)
Tribunale di Messina:
l’addetto stampa
della Provincia è giornalista
e va retribuito come tale
Messina, 9 novembre 2004. Il Contratto collettivo di lavoro
giornalistico si applica anche ai giornalisti addetti agli uffici
stampa degli enti locali. Lo ha confermato il giudice del lavoro del Tribunale di Messina, Fabio Conti, che, con la sua
sentenza chiarificatrice, ha definitivamente chiuso la vertenza aperta nel 1998 da Gino Mauro, capo dell’Ufficio stampa
della Provincia di Messina, contro la stessa amministrazione
provinciale peloritana.
Poiché la disciplina regionale costituisce una “lex specialis”
rispetto alla normativa generale, ai giornalisti in servizio negli
uffici stampa spetta la piena applicazione del contratto di
lavoro giornalistico. Per loro, analogamente a quanto avviene
nel campo del lavoro subordinato alle dipendenze dei privati,
la mansione prevale sull’inquadramento formale.
Secondo il magistrato, chi opera all’interno di un ufficio stampa non si limita infatti alla mera trasmissione di notizie, ma si
occupa con autonoma prestazione stabilmente inserita in
una vera e propria organizzazione editoriale, dell’elaborazione, dell’analisi e della valutazione di materiale giornalistico.
(da www.fnsi.it)
19(23)
di Sabrina Peron, avvocato in Milano
PRIVACY
E
GIORNALISMO
I cronisti
fanno
eccezione
1) La nuova normativa
sulla privacy
Con particolare riguardo all’esercizio della
professione giornalistica il testo originario
della L. 675/1996 poneva anche a carico
giornalisti l’obbligo di chiedere il consenso
del titolare tutte le volte in cui la pubblicazione ineriva i c.d. «dati sensibili». La disciplina
originaria relativa al trattamento giornalistico
dei dati sensibili (in particolari quelli relativi a
determinati provvedimenti a carattere giudiziario), creò diversi dubbi interpretativi, tant’è
che con il successivo art. 12 del D.Lgs. n.
171/1998, modificò il testo originario, escludendo la necessità del consenso dell’interessato quando il trattamento avvenga «nell’esercizio della professione di giornalista e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità» (art. 22, L. 675/1996). Con riguardo,
invece al Codice Privacy il nuovo testo, per
quanto riguarda la professione giornalistica,
corrisponde sostanzialmente alla disciplina
previgente, essendo semplicemente mutata
la collocazione e la numerazione delle singole disposizioni, oggi inserite in un apposito
titolo dedicato a «giornalismo ed espressione letteraria e artistica».
Attualmente, dunque, la normativa in mate-
ria di privacy prevede, per l’attività giornalistica, «regole semplificate in ordine all’informativa ed all’acquisizione del consenso, nonché
altre prescrizioni volte a contemperare alcuni
diritti della persona (in particolare il diritto alla
riservatezza) con il diritto di cronaca e con la
libertà di espressione. Ciò in riferimento alla
trattazione di dati sia “comuni”, sia “sensibili”
od attinenti a provvedimenti giudiziari» (così,
Garante, 19.12.2001, Finegil Editoriale
S.p.A., in www.garanteprivacy.it.).
A quest’ultimo riguardo, il Garante ha rimarcato che la scelta di non introdurre regole
rigide si è basata su due ordini di considerazioni: da una parte, «la molteplicità e la
varietà delle vicende di cronaca e dei
soggetti che ne sono coinvolti, non consentono di stabilire a priori e in maniera categorica quali dati possono essere raccolti e poi
diffusi nel riferire sui singoli fatti», dall’altra,
una «codificazione minuziosa di regole in
questo ambito risulterebbe inopportuna in un
contesto nel quale sono assai differenziate
le situazioni nelle quali occorre valutare
nozioni generali dai confini non sempre
immutati nel tempo (essenzialità dell’informazione, interesse pubblico, ecc.) e valorizzare al contempo l’autonomia e la responsabilità del giornalista» (così Garante, Alcuni
chiarimenti in risposta ai quesiti posti dall’Ordine nazionale dei giornalisti, in Ordine
Tabloid, n. 7/8, 2004).
Passando all’esame dei singoli articoli del
Codice Privacy contenuti nel titolo che disciplina l’attività giornalistica, anzitutto vediamo
che l’art. 136 (Finalità giornalistiche e altre
manifestazioni del pensiero), delimita l’applicazione delle disposizioni contenute nel titolo al trattamento: a) effettuato nell’esercizio
della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità; b)
effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei
pubblicisti o nel registro dei praticanti; c)
temporaneo finalizzato esclusivamente alla
pubblicazione o diffusione occasionale di
articoli, saggi e altre manifestazioni del
pensiero anche nell’espressione artistica.
Il successivo art. 137 (Disposizioni applicabili), al comma 2 statuisce la non necessarietà
del consenso dell’interessato, quando il trattamento dei dati si svolga nell’ambito dell’esercizio della professione giornalistica; la
medesima disposizione al comma successivo, precisa che in caso di diffusione o di
comunicazione di dati per finalità giornalistiche, restano fermi i limiti del diritto di cronaca
con particolare riferimento a quello dell’essenzialità dell’informazione, riguardo a fatti di
interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
L’art. 138 (Segreto professionale), fa in ogni
caso salve le «norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia».
L’art. 139 (Codice di deontologia relativo ad
attività giornalistiche), infine, rinvia espressamente al codice deontologico per il trattamento dei dati connessi alla professione giornalistica (codice che contempla «misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate
alla natura dei dati, in particolare per quanto
riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale») e dispone che in caso
di violazione delle disposizioni contenute nel
codice il Garante ha il potere di vietare il trattamento dei dati ai sensi del successivo art. 143,
comma 1, lett. c). Tale ultima norma prevede
che il Garante «esaurita l’istruttoria preliminare, se il reclamo non è manifestamente infondato e sussistono i presupposti per adottare
un provvedimento», può disporre il blocco del
trattamento quanto questo risulti «illecito o non
corretto» oppure quando, in «considerazione
della natura dei dati o, comunque, delle modalità del trattamento o degli effetti che esso può
determinare, vi è il concreto rischio del verificarsi di un pregiudizio rilevante per uno o più
interessati».
L’applicazione della normativa in materia di riservatezza dei dati
Occorre anzitutto premettere che il diritto alla riservatezza
consiste nella tutela di situazioni e di vicende personali e
familiari dalla curiosità e dalla conoscenza pubblica: si tratta
dunque di situazioni che «solo quegli che le ha vissute può
decidere di pubblicizzare e che ha diritto di difendere da ogni
ingerenza, sia pure condotta con mezzi leciti e non implicante danno all’onore o alla reputazione o al decoro, che non
trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla divulgazione»
(così, Cass. civ., 23.03.2003, n. 4366).
Ciò posto qualora la divulgazione di tali vicende trovi giustificazione nell’interesse pubblico alla loro conoscenza, al giornalista è fatto comunque obbligo di applicare i principi etici
della sua professione, raccogliendo le informazioni «senza
violenza o inganno e in un quadro di trasparenza» (così,
Garante, 22.07.1998, in M. Paissan, Privacy e giornalismo,
Roma, 2003, p. 79), nonché tutelando la dignità della persona e rispettando la verità dei fatti senza travalicare i limiti
dell’essenzialità dell’informazione riguardo a notizie di interesse pubblico, ferma restando la possibilità di trattare i «dati
relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico» (art. 137,
ult. comma, Codice Privacy - cfr. al riguardo Trib. Roma,
24.01.2002, in Dir. inf., 2002, p. 504). Sul punto la Cassazione ha giustamente rimarcato che l’attività giornalistica legittima di per sé al trattamento dei dati anche personali, ma pur
sempre nei limiti posti dalle finalità della legge stessa (cfr.
Cass. civ., 30.06. 2001, 8889, in Foro it., 2001, I, c. 2448). La
medesima sentenza ha altresì statuito che l’attività giornalistica non può «sovrapporre la nozione di notizia a quella di
dato personale», conseguentemente, in una fattispecie
inerente la legittimità, o meno, della pubblicazione di notizie
circa l’attività di una persona, che si avvaleva impropriamente di un nome altrui, la Suprema Corte ha ammesso la facoltà
in capo all’effettivo titolare del nome di far valere nei confronti della stampa il diritto all’uso esclusivo del nome stesso.
Esaminiamo di seguito come è stata interpretata la nozione di
«essenzialità dell’informazione», premettendo sin da ora che
la corretta applicazione di tale principio impone ai giornalisti di
20 (24)
«effettuare comunque un attento vaglio sulle notizie acquisite
e sulla liceità della loro raccolta, evitando di diffondere le informazioni che attengano a comportamenti strettamente personali» (Garante, 11.04.2002, in M. Paissan, cit., p. 160).
Anzitutto, l’essenzialità dell’informazione va valutata in relazione all’intero contesto descrittivo per verificare la pertinenza di esso alla notizia relativa al dato sensibile. Su queste
premesse, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la pubblicazione di specifiche informazioni riguardanti determinate
persone le quali appaiono idonee a pervenire ad una loro
identificazione, ma nulla aggiungono alla cronaca dei fatti,
travalicano il limite dell’essenzialità della notizia con conseguente lesione dell’altrui riservatezza. (cfr. Trib. Milano,
21.03.2002, in Aida, 2004. In questo senso anche Garante,
14.02.2002, in M. Paissan, cit., p. 123, in una fattispecie in
cui il quotidiano interessato avrebbe potuto ugualmente
documentare i fatti accaduti «omettendo i riferimenti idonei
ad identificare in modo diretto la persona offesa dal reato
anche alla luce dello specifico contenuto ingiurioso idoneo
ad ingenerare un convincimento sulla possibile esistenza di
una grave malattia e su un contagio). In tal senso si è espresso anche il Garante, giudicando in contrasto con il principio
di essenzialità dell’informazione la pubblicazione di alcune
targhe di automobili parcheggiate irregolarmente (poiché in
questo caso, la finalità di informare il pubblico poteva ugualmente perseguirsi limitandosi ad indicare il tipo di autovetture, così Garante, 11.03.2002, in M. Paissan, cit. p. 75, anzi
continua il Garante osservando che questo genere di diffusione delle informazioni determina ingiustificate ingerenze
nella sfera privata degli interessati, rendendo possibile l’identificazione delle persone interessate e dei loro movimenti),
nonché la pubblicazione, con grande dovizia di particolari, di
notizie atte ad identificare una persona malata, «i suoi
congiunti e altre persone non interessate ai fatti», tale
comportamento, continua il Garante, è tanto più grave quanto la pubblicazione della notizia, pur di indubbio interesse
generale, non rendeva «necessario alcun riferimento allo
specifico soggetto di cui si ipotizzava la malattia» (Garante,
07.02.2002, in Dir. inf., 2002, p. 513).
Sempre il Tribunale di Milano, ha ritenuto che «la menzione,
in una pagina di un quotidiano interamente dedicata ad
un’indagine giudiziaria, dell’indirizzo privato di una persona,
ove questa sia estranea a detta indagine e, in ogni caso, la
diffusione del dato non risulti giustificata, nel contesto specifico, da alcuna finalità informativa essenziale, oltrepassa i
limiti entro cui è ammessa la comunicazione e diffusione di
dati personali nell’esercizio della professione giornalistica»
(così Trib. Milano, 13.04.2000, in Foro it., 2000, I, c. 3004).
In questo senso si è pronunciato anche il Garante, secondo
cui l’informazione relativa «all’indirizzo del reclamante realizza un’interferenza nella sfera privata che non era giustificata
ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, non risultando
essenziale rispetto al fatto di interesse pubblico», ad avviso
del Garante «l’ulteriore diffusione dei dati relativi al nome,
all’immagine e alla professione del sig. ... può ritenersi giustificata solo quando la loro conoscenza possa risultare
essenziale in ragione dell’eventuale, ulteriore, sviluppo dei
fatti e de loro accertamento giudiziario» (così, Garante,
11.07.2002, in M. Paissan, p.174 e Garante, 12.10.1998, ivi,
p. 72). Più in generale sulla nozione di essenzialità della notizia nell’ambito del diritto di cronaca si segnala la pronunzia
della Cass., 28.08.1998, n. 8574, in Danno e resp., 1998, p.
987, secondo la quale «è configurabile un illecito civile,
come tale fonte di responsabilità, in relazione di un articolo
giornalistico che, pur riferendo notizie in sé esatte, sia però
redatto in maniera tale da ingenerare confusione nel lettore
perché, dolosamente o colposamente, le notizie essenziali
alla correttezza e completezza dell’informazione, pur contenute nel testo, non sono in esso adeguatamente valorizzate, ma, al contrario, vi sono inserite in modo da risultare
“assorbite” da altri contrastanti e più suggestivi elementi di
informazione».
Ugualmente altre Corti di merito hanno evidenziato come
nell’ambito di un articolo di cronaca avente ad oggetto dei
controlli automobilistici effettuati dalle forze dell’ordine non
sussisteva «alcun valido motivo “giornalistico” (in ragione di
essenzialità della notizia rispetto al pubblico interesse) per
portare a conoscenza della collettività il ritratto di un qualunque cittadino che effettua un test relativo al suo possibile
stato di ebbrezza» (così, Trib. Biella, 29.03.2003, in Guida
dir., 2003, fasc. 15, p. 73, il quale ha altresì evidenziato come
il semplice accorgimento di offuscare i connotati del volto del
ORDINE
1
2005
Il Garante della privacy su indagini e diritto di cronaca
Cautela
nell’informare
sulle prime
fasi
di indagine,
anche
per non
identificare
eventuali
minori
coinvolti
I nomi degli indagati e degli arrestati possono essere resi noti, ma
il giornalista deve valutare con cautela i giudizi sulle persone indagate nei primi passi delle indagini e la stessa necessità di divulgare subito le generalità complete di chi si trova interessato da
una indagine ancora in fase iniziale. La diffusione dei nomi delle
persone indagate o arrestate potrebbe mettere a rischio la stessa
riservatezza di minori coinvolti nell’indagine. Questi principi sono
stati riaffermati dal Garante in occasione di un caso recente, di
cui hanno dato notizia alcuni giornali locali del Veneto, relativo
all’arresto di un uomo sospettato di aver compiuto atti osceni in
pubblico nei confronti di una minore e accusato poi, dopo una
perquisizione, di detenere materiale pedo-pornografico.
Il Garante richiama, ancora una volta, l’attenzione di giornalisti e
forze di polizia sulla necessità di adottare ogni cautela nella diffusione di nomi e di foto di protagonisti in casi per i quali i reati sono
ancora in via di accertamento preliminare e che, per giunta, vedono coinvolti minori in fatti delicati che attengono al pudore e alla
vita sessuale. L’Autorità ha sottolineato come la diffusione dei
nomi delle persone indagate o sottoposte a giudizio, pur legittima
in alcuni casi se sussistono i presupposti del diritto di cronaca e
non ci sono motivi di segretezza, deve essere valutata anche in
ragione delle garanzie riconosciute all’indagato e all’imputato,
anche allo scopo di evitare che la stessa divulgazione di nomi e
dettagli possa determinare danni ai minori vittime del reato,
rendendoli indirettamente identificabili.
Particolare attenzione deve essere prestata nella divulgazione di
informazioni da parte delle forze di polizia, chiamate a selezionare i dati da rendere pubblici, in particolare riguardo a dati personali non indispensabili, come ad esempio il luogo di residenza dei
minori, l’indirizzo dove sarebbe avvenuta la presunta violenza, la
foto dell’interessato. (NEWSLETTER 8-14 NOVEMBRE 2004)
2) Il codice
deontologico
L’adozione del Codice deontologico dei giornalisti venne perfezionata dopo una fase di
confronto, talvolta polemico, tra il Garante e
gli organi rappresentativi della categoria
professionale, il dibattito sul Codice, durato
mesi, coinvolse anche l’opinione pubblica
investita della polemica innescata da alcune
parti del mondo giornalistico che paventavano il verificarsi di censure e limitazioni alla
libertà di espressione. La prima versione del
Codice licenziata dal Consiglio nazionale
dell’Ordine dei giornalisti nel dicembre 1997
venne respinta dal Garante. Nella primavera
successiva dopo la modifica della legge
675/1996 con riguardo all’attività giornalistica, venne approntata una seconda versione
del testo approvata dal Garante, salvo piccole osservazioni. La versione definitiva venne
infine pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del
3 agosto 1998 ed il codice entrò in vigore il
15° giorno successivo alla suddetta pubblicazione.
Con riguardo al valore normativo Codice
deontologico, al momento della vigenza della
L. 675/1996 veniva qualificato quale fonte
secondaria dell’ordinamento, attualmente,
invece, quale Allegato A del Codice Privacy
si ritiene che il Codice deontologico abbia
«sostanzialmente il rango di una norma
primaria» (così F. Abruzzo, Relazione al
C.S.M. su cronaca, giustizia e privacy, in
www.odg.mi.it).
Venendo più in dettaglio al contenuto del
Codice, vediamo che anzitutto viene stabilito che la «divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando
l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del
fatto o della relativa descrizione dei modi
particolari in cui è avvenuto.
Nonché della qualificazione dei protagonisti» (art. 6). Inoltre, il giornalista, nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, è tenuto al
rispetto dei diritti della persona, senza
operare discriminazioni di razza, religione,
opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali (art. 9). Mentre nella
raccolta di dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose,
filosofiche, opinioni politiche, adesioni a
partiti sindacati, associazioni o organizzazioni di carattere religioso nonché atte a
rilevare le condizioni di salute e la sfera
sessuale, il giornalista è tenuto a garantire
Una massima di grande rilievo per i cronisti
Tribunale
di Mantova:
vietato
pubblicare
dati delicati
su chi
è vittima
di una rapina.
Società
editrice
condannata
La diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica costituisce trattamento ai sensi della l. 675/96 ed è
subordinata al consenso da parte dell’interessato. Il consenso non è però necessario quando il trattamento è effettuato
nell’esercizio della suddetta professione e per l’esclusivo
perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di
deontologia di cui all’art. 25, norma che ribadisce la non
necessità del consenso purché il trattamento dei dati sia
contenuto nei limiti del diritto di cronaca ed in particolare
dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse
pubblico. Nel caso di specie, si è ritenuto che la divulgazione
a mezzo stampa delle generalità del soggetto rapinato, della
sua età e della città di residenza, avuto riguardo al tipo di
attività esercitata (agente di commercio di preziosi), pure
effettuata nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca,
abbia ecceduto i limiti di quest’ultimo nel senso che la diffusione dei dati in questione (obiettivamente idonea a mettere
in pericolo l’incolumità dell’attore) non era giustificata da alcuna finalità informativa essenziale (Tribunale di Mantova, Sez.
II – Giudice unico Dott. Mauro Bernardi – Sentenza del 13
maggio 2004).
Il Tribunale di Mantova ha condannato la società editrice del
giornale a pagare alla vittima della rapina, a titolo di risarcimento dei danni patiti, la somma di euro 9.000,00 oltre agli
interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo. Il Tribunale, inoltre, ha condannato la società editrice a
rifondere all’attore (il rapinato, ndr) le spese di lite liquidandole in complessivi euro 2.818,38 di cui 211,64 euro per spese,
996,74 euro per diritti ed 1.610,00 euro per onorari, oltre al
rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad Iva
e Cpa come per legge.
il diritto all’informazione su fatti di interesse
pubblico, nel rispetto dell’essenzialità
dell’informazione, evitando riferimenti a
congiunti o ad altri soggetti non interessati
ai fatti (art. 5).
Ai sensi dell’art. 8, i giornalisti non devono
pubblicare notizie o immagini fotografiche
di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi
della dignità della persona, né possono
soffermarsi su dettagli di violenza, fatta
salva la rilevanza sociale della notizia o
dell’immagine. Il richiamo al rispetto della
dignità e della riservatezza è particolarmente pregnante nel caso di persone malate, in
relazione alle quali vige il divieto di pubblicare dati analitici di interesse strettamente
clinico. Contro l’uso scorretto di tecniche
invasive, il codice deontologico, tutela non
solo il domicilio e gli altri luoghi di privata
dimora, ma anche i luoghi di cura, di detenzione o di riabilitazione (art. 3).
In ogni caso il giornalista che raccoglie le
notizie è tenuto a rendere note la «propria
identità, la propria professione e le finalità
della raccolta, salvo che ciò comporti rischi
per la sua incolumità o renda altrimenti
impossibile l’esercizio della funzione informativa» (art. 2), inoltre, egli deve evitare artifici e pressioni indebite e una volta fatta pale-
se la sua attività, non è tenuto a fornire altri
elementi dell’informativa dettagliata cui sono
invece tenuti tutti gli altri soggetti che trattino
dati personali (art. 2).
Le imprese editoriali sono inoltre tenute a
rendere noti al pubblico, mediante annunci
(da effettuarsi due volte all’anno) l’esistenza
di banche dati di uso redazionale, nonché il
luogo dove ai soggetti interessati è possibile
accedere per esercitare i diritti di cui all’art. 7
Codice Privacy. Al riguardo si ricorda che
sensi dell’art. 7 Codice Privacy, l’interessato
ha diritto ad ottenere la conferma dell’esistenza o meno dei dati personali che lo
riguardano. Egli inoltre ha diritto ad ottenere
l’indicazione: a) dell’origine dei dati personali; b) delle finalità e delle modalità del trattamento; c) della logica applicata nel caso di
trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi
del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali
possono essere comunicati o che possono
venirne a conoscenza
Infine l’editore deve indicare tra i dati della
gerenza il responsabile del trattamento, al
quale le persone interessate possono rivolgersi per esercitare i loro diritti.
personali nelle decisioni del Garante e dell’autorità giudiziaria
soggetto interessato «avrebbe senz’altro contemperato in
modo proporzionato le esigenze sottese dagli interessi in
gioco, consentendo la legittima diffusione della notizia senza
ledere illecitamente il diritto alla riservatezza»).
In definitiva, dalle prime pronunzie emesse dalle Corti di
merito, parrebbe che il requisito dell’essenzialità della notizia
debba aggiungersi agli altri parametri di valutazione di liceità
dell’informazione diffusa tramite mass-media (ossia, verità,
continenza ed interesse pubblico). In questo senso è esplicito il Giudice ambrosiano per il quale il «legittimo esercizio
del diritto di cronaca (...) non è riscontrato quando, pur ricorrendo i presupposti di verità, continenza ed interesse pubblico, è travalicato il limite della essenzialità della notizia» (così
Trib. Milano, sez. civ., 20.09.2002, n. 10963, inedita: in questa
fattispecie, ad avviso del Tribunale la pubblicazione di dati
identificativi non essenziali (ossia, indicazione del nome di
battesimo seguito dall’iniziale del cognome di un minore, l’indirizzo completo, l’indicazione della scuola, della classe e
della sezione, il nome di battesimo del padre e la sua regione di origine, la professione dei genitori) non era strettamente funzionale con la notizia da riferire che avrebbe mantenuto la sua pregnanza anche se tali dati fossero stati omessi).
Con riguardo al rapporto esistente tra «interesse pubblico»
ed «essenzialità» dell’informazione, ad avviso del Garante la
diffusione di un dato può ritenersi necessaria solo quando
«la sua conoscenza da parte del pubblico trova giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi si
sono svolti e nella particolarità dei soggetti che in essi sono
coinvolti» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
Qualora, invece, non vi sia tale necessità o vi siano specifiche limitazioni di legge alla divulgazioni di informazioni
connesse a determinati fatti di cronaca, il giornalista può
comunque riferirli prelidigendo soluzioni che tutelino la riservatezza degli interessati (ad esempio utilizzando delle iniziali
o nomi di fantasia) e tenendo comunque presente che la
«semplice omissione delle generalità delle persone non basta
di per sé ad escludere l’identificazione delle medesime» (così,
Garante, Alcuni chiarimenti, cit.), poiché la stessa può avveniORDINE
1
2005
re dalla combinazione di più informazioni concernenti la
persona, quali l’età, la professione, il luogo di lavoro, l’indirizzo dell’abitazione ecc. (ad esempio, in un caso sottoposto
all’esame del Garante lo stesso ha osservato come malgrado
la mancata individuazione nominativa del soggetto coinvolto,
lo stesso appariva comunque riconoscibile - sia all’interno
della cerchia familiare e amicale che rispetto ad altri soggetti
rientranti nelle ordinarie frequentazioni della vita sociale – a
causa delle numerosissime e dettagliate informazioni riferite,
alcune delle quali erano peraltro sovrabbondanti e non indispensabili per rappresentare compiutamente la vicenda – cfr.
Garante, 10.03.2004, in www.garanteprivacy.it.).
invece collegate ai protagonisti dei fatti narrati, ad esempio,
solo in ragione di precedenti relazioni sentimentali e convivenze avute con le stesse, ovvero in virtù di mere circostanze di fatto» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
Un particolare rigore nel valutare l’essenzialità dell’informazione viene inoltre richiesto con riferimento ai nomi delle vittime di un reato: in questo caso al giornalista viene richiesto
di valutare il «tipo di conseguenze subite dalla vittima, il
decorso del tempo, la volontà eventualmente espressa dalla
stessa nonché i possibili rischi per la vittima medesima»
(così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.). Ciò significa conferire
una maggiore prevalenza al diritto alla riservatezza della vittima tutte le volte in cui: a) l’episodio di cui l’interessato è stato
vittima ha provocato conseguenze di carattere permanente
sulla sua salute fisica e/o psicologica; b) vengono riesumati
episodi di cronaca verificatisi ad una certa distanza di tempo
(ciò al fine di evitare che la sofferenza patita dall’interessato
si aggiunga a quella di essere nuovamente sottoposta alla
pubblica attenzione); c) la vittima ha manifestato la sua
contrarietà a che siano resi pubblici i propri dati personali; d)
vi sia la possibilità che la diffusione della notizia possa
comportare rischi per la vittima in relazione alla possibile
ripetizione del reato nei suoi confronti (cfr. Garante, Alcuni
chiarimenti, cit.).
Quanto alle persone note o che esercitano funzioni pubbliche, anche la loro sfera privata deve essere rispettata, se le
notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla
loro vita pubblica (difatti, la notorietà di un personaggio non
comporta un affievolimento della tutela della privacy, riconosciuta anche ai suoi familiari – cfr. Garante, 28.05.2001, in
Foro it., 2003, III, c. 718) e, salva l’essenzialità dell’informazione, non vanno fornite notizie o pubblicate immagini di
soggetti coinvolti in fatti di cronaca, lesive della dignità della
persona.
Parimenti, salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o
comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non può
riprendere né produrre immagini di persone in stato di detenzione senza il loro consenso; in ogni caso tali persone non
possono essere presentate con ferri o manette ai polsi salvo
che ciò sia necessario per segnalare abusi. Tale ultimo divieto è stato recentemente ribadito dal Garante il quale, in relazione a sei diversi servizi di cronaca apparsi in diverse testate giornalistiche nei quali si riproducevano immagini di persone arrestate in manette, sul presupposto che la dignità delle
persone è tutelata dalla legge sulla riservatezza dei dati
personali, anche in relazione «ai trattamenti di dati personali
per scopi di prevenzione, accertamento o repressioni di
reati», ha stabilito che la pubblicazione e la diffusione di dette
immagini è «consentita solo se ricorrono comprovati fini di
giustizia e di polizia o rilevanti motivi di interesse pubblico»
mentre «in tutti gli altri casi la loro diffusione è vietata» (così,
Garante, 19.03.2003, in Guida dir., 2003, fasc. 17, p. 108).
Con riguardo invece ai nomi di familiari e conoscenti di persone interessate da vicende giudiziarie, il giornalista potrà
rendere noti solo i «dati relativi a persone che risultano direttamente coinvolte in tali vicende, astenendosi invece dal
diffondere i nomi ed altre informazioni che riguardino persone che non risultano coinvolte nelle indagini e che appaiono
Anche le foto segnaletiche esposte nel corso di una conferenza stampa tenuta dalla forze dell’ordine, o comunque lecitamente acquisite, possono essere diffuse solo per il perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (ossia per l’accertamento, la prevenzione e la repressione di reati) ed in ogni caso rispettando la
21 (25)
Esposto di Franco Abruzzo al Csm in difesa de
PER SAPERNE DI PIU’
ABRUZZO F., Relazione al C.S.M. su cronaca, giustizia e privacy, in www.odg.mi.it
BUSIA G., Diritto di cronaca, interesse pubblico e privacy: nuovi equilibri sul codice dei giornalisti, in Guida al dir., 1998, fasc. 31, p.110
CORRIAS-LUCENTE G., Dato o notizia? La tutela della riservatezza e il diritto di cronaca, in
Dir. inf., 1999, p. 103,
GAGLIARDI G., Attività giornalistica, violazione della dignità della persona e “blocco” del trattamento dei dati personali, in Dir. inf., 2002, p. 513,
GARANTE per la protezione dei dati personali, Alcuni chiarimenti in risposta ai
quesiti posti dall’Ordine nazionale dei giornalisti, in Ordine Tabloid, n. 7/8, 2004
GIANCOTTI E., Diritto di cronaca e tutela della privacy: i primi provvedimenti del
garante, in Danno e resp., 1998, p. 626
GRANIERI G., Sulla c.d. tutela giurisdizionale dei diritti di fronte alle autorità
amministrative indipendenti. Il caso del Garante dei dati personali, in Foro it.,
2000, I, c. 649
GRANIERI M., Brevi note (para)giurisdizionali sulla giurisprudenza «Olcese»,
in Foro it., 2001, I, c. 2448,
NICODEMO S., Il codice di “deontologia giornalistica”: una fonte atipica?, in
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PAISSAN M, Privacy e giornalismo, Roma, 2003
PALMIERI A – PARDOLESI R., Protezione dei dati personali e diritto di cronaca: verso un
nuovo ordine?, in Foro it., 2000, I, c. 649
PALMIERI A – PARDOLESI R., Protezione dei dati personali in Cassazione: eugenetica dei
diritti della personalità?, in Foro it., 2001, I, c. 2448
PERON S., Rassegna di giurisprudenza in materia di privacy (anche alla luce del codice
della privacy che entrerà in vigore il 1º gennaio 2004), in Resp. civ., 2003, p. 999.
PERRINO A.M., Diritto alla protezione dei dati personali ed essenzialità della notizia: tra
codice deontologico e codice della privacy, in Foro it., 2003, III, c. 718
RIVIEZZO C., In tema di trattamento illecito di dati personali ed attività giornalistica, in Giur.
merito, 2001, p. 126
VOTANO G., Un sorriso per la stampa: quando il privato diventa politico, in Dir. inf., 2002,
p. 504
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dignità della persona (Cfr. Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
In ogni caso, con particolare riguardo a fattispecie inerenti la
cronaca giudiziaria, anche quando la vicenda riveste un
particolare interesse pubblico, gli operatori dell’informazione
sono comunque tenuti ad alcune cautele riguardanti il rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti nella vicenda, ad esempio
evidenziando «correttamente lo stato iniziale dell’inchiesta e
la posizione processuale del soggetto indagato riguardo ad
essa. Ciò al fine di evitare che detta posizione possa essere
confusa, agli occhi dell’opinione pubblica, con quella di un
soggetto già imputato o addirittura condannato» (così,
Garante, 19.02.2002, in Foro it., 2003, III, c. 718).
Altresì al giornalista è fatto obbligo di «valutare se sia opportuno rendere note le generalità di chi si trova interessato da
un’indagine ancora in una fase assolutamente iniziale e
modulare il giudizio sull’entità dell’addebito» (Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
Si noti comunque, che la diffusione di una notizia relativa ad
una sentenza di condanna o all’avvenuta presentazione di
una richiesta di rinvio a giudizio è liberamente pubblicabile
(fermo restando il rispetto dei presupposti della verità e della
continenza); non così, invece, nel caso di atti coperti da
segreto istruttorio (cfr. Garante, 21.10.1998, in M. Paissan,
cit., p. 140; Garante, 30.10.2001 e Garante, 21.11.2001, ivi,
p. 146 ss.; Garante, 14.10.1997, Garante, 18.11.1998,
Garante, 25.10.2001, ivi, p. 131 ss). A quest’ultimo riguardo il
Garante si è pronunciato soprattutto con riferimento alla
pubblicazione di informazioni desunte da intercettazioni
telefoniche, in relazione alle quali è stato rimarcato che
«l’eventuale segreto professionale sulla fonte della notizia
non fa venir meno il dovere del giornalista di acquisire lecitamente i documenti relativi alle trascrizioni delle intercettazioni e di utilizzarli tenendo conto del principio della pertinenza
rispetto alle finalità perseguite» (così, Garante, 16.10.1997,
in M. Paissan, cit., p. 156).
Quanto alla pubblicazione di notizie attinenti allo stato di salute e/o alle abitudini sessuali di una determinata persona,
anzitutto il principio dell’essenzialità dell’informazione deve
essere tenuto presente anche alla luce della necessità di
tutelare la dignità della persona in specie per quanto riguarda informazioni relative a malattie particolarmente gravi (cfr.
Trib. Pescara, 5.10.2000, in Giur. merito, 2001, p. 126 e
Garante, 14.02.2002, in M. Paissan, cit., p. 123): in questi
casi vanno raccolte e trattate le sole informazioni di carattere
personale la cui utilizzazione sia realmente giustificata dagli
scopi perseguiti, selezionando i dati effettivamente pertinenti
ed escludendo i dati, le informazioni e le notizie il cui impiego ecceda quanto necessario per perseguire gli scopi informativi (cfr. Garante, 13.04.1999, in M. Paissan, cit., p. 166,
secondo cui questa attenzione deve essere più accurata
quando si trattano informazioni per e le quali l’ordinamento
prevede un particolare regime di tutela, quali appunto quelle
relative all’infezione da Hiv, la cui «ingiustificata circolazione
può arrecare grave pregiudizio per la vita privata e la dignità
personale degli interessati ed essere fonte di discriminazioni».
Si noti, tuttavia, che per dati attinenti la «vita sessuale» devono intendersi quei «dati che consentano di ricostruire particolari abitudini o patologie che attengono alla sfera intima
dei comportamenti sessuali dell’individuo; ne esorbita,
pertanto, la ricostruzione giornalistica di un episodio di
violenza sessuale ai danni della denunciante» (così, Proc.
Rep. Roma, 10.10.1998, in Dir. inf., 1999, p. 88).
Sempre sull’argomento la Suprema Corte ha osservato
come l’idoneità psichica di un soggetto, sebbene possa
rappresentare legittimo tema di discussione nell’ambito di
una controversia giudiziaria, «non può essere assunto come
oggetto di dibattito sulla stampa d’informazione per l’esigen-
22 (26)
za fondamentale di tutelare la riservatezza di dati ed informazioni, attinenti alla salute ed alla sfera sessuale dei singoli, che rientrano nell’ambito della tutela prevista per i dati
sensibili» (così, Cass. Pen., 18.02.2002, Guttieres, in Ced
Cass., rv. 221684: in questa fattispecie la Corte ha ritenuto
corretta la decisione di merito secondo cui il giornalista aveva
travalicato i limiti del diritto di critica nel riferire - criticandolo un caso giudiziario di affidamento del figlio alla madre, affermando che, secondo gli psichiatri interpellati nel corso del
giudizio, la donna era «una border-line che ha fatto i soldi
con la perversione sessuale, una instabile e narcisista»,
altresì la Corte ha ricordato che l’esercizio del diritto critica
per assumere rilievo scriminante nei confronti di un’offesa
«deve essere esercitato nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, sicché restano ugualmente punibili le espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti»).
In ogni caso, il giornalista che raccoglie dati personali presso
una struttura sanitaria deve non solo informare le persone
interessate nei modi previsti dall’art. 2 del Codice deontologico, ma deve altresì «prescegliere opportune modalità che, in
considerazione del particolare contesto sanitario, permettano ai malati interessati di comprendere appieno le finalità
della raccolta delle informazioni e la loro destinazione ad
un’ampia diffusione che può renderli riconoscibili» (così,
Garante, 20.06.2001, in M. Paissan, cit., p. 118, inoltre cautele analoghe vanno adottate anche se l’inchiesta giornalistica
viene realizzata con la collaborazione della struttura sanitaria, che oltre ad autorizzare l’ingresso dei giornalisti nella
struttura medesima, si adoperi per informare gli interessati e
per raccogliere il loro consenso: «anche in questo caso, il
consenso scritto e informato non può essere considerato
come un adempimento meramente formale, dovendo essere
basato su un’idonea informativa, tenendo conto delle condizioni psicofisiche degli interessati e della loro concreta capacità di esprimere una manifestazione di volontà realmente
consapevole degli effetti derivanti dalla diffusione dei dati e
elle immagini che li riguardano»).
Per quanto concerne l’accesso alle informazioni detenute
dalla Pubbliche amministrazioni, va detto che il Codice
privacy non ha restrittivamente inciso sulla normativa posta
a salvaguardia della trasparenza amministrativa e, pertanto,
il giornalista potrà chiedere di acquisire le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, quali, in via esemplificativa: l’ammontare dei dati reddituali dei contribuenti; le
situazioni patrimoniali di coloro che ricoprono determinate
cariche pubbliche o di rilievo pubblico; le classi stipendiali, le
indennità e gli altri emolumenti di carattere generale corrisposti da concessionari pubblici; pubblicazioni matrimoniali
affisse all’albo comunale; i dati contenuti negli albi professionali e nelle deliberazioni degli enti locali; la situazione
patrimoniale delle società e, più in generale, i dati pubblici
presso le camere di commercio (cfr. Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
Una volta raccolto il dato presso la Pubblica amministrazione, rimane poi affidata alla responsabilità del giornalista la
sua lecita utilizzazione e quindi la sua «diffusione secondo i
parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non
eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo» (così, Garante, Alcuni chiarimenti, cit.).
Da ultimo, va evidenziato come il Codice Privacy dedichi il
titolo XII (artt. 136-139) al trattamento dei dati effettuato
nell’esercizio della professione di giornalista o da pubblicisti
per finalità anche temporanee di pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli ed altre manifestazione di pensiero.
Sul punto si segnala che «anche il fotografo che realizza
riproduzioni e ingrandimenti da originali fotografici viola la
legge sulla privacy se al momento di effettuare gli scatti non
dichiara la propria identità e l’effettivo utilizzo delle immagini»
(così Garante, 08.05.2000, in M. Paissan, cit., p. 236.)
Sabrina Peron
Il “Testo unico
di trattare i dati
Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai
trattamenti (effettuati nell’esercizio della
professione di giornalista e per l’esclusivo
perseguimento delle relative finalità) non si
applicano le disposizioni del Testo unico del
2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante
prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al
trasferimento dei dati all’estero, contenute nel
Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo
137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II
comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti
dovranno, comunque, trattare i dati (= notizie)
con correttezza, secondo i vincoli posti dal
Codice di deontologia della privacy del 1998,
dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963
(sull’ordinamento della professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993.
Questo il testo dell’esposto
di Franco Abruzzo al Csm
(nonché al Garante della privacy
e alla Corte d’Appello di Milano):
Oggetto: diritto di cronaca, articolo 21 della Costituzione,
Dlgs n. 196/2003 (articoli 136, 137, 138 e 139) e Codice di
deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. Richiesta al Csm di intervento sul presidente del Tribunale di Vigevano affinché si
adegui alle disposizioni del Testo unico sulla privacy.
1. Premessa
Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del
2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista
dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27
per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero.
Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati
personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio
noto come Codice deontologico sulla privacy), pubblicato il 3
agosto 1998 nella Gazzetta Ufficiale, è diventato “efficace”
quindici giorni dopo. Oggi è l’Allegato A del Dlgs n. 196/2003
o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139).
“Il Codice - ha già scritto il professor Stefano Rodotà, presidente dell’Ufficio del Garante - è una norma dell’ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che
esercitino funzioni informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai diversi
organi pubblici ed ovviamente anche dall’Ordine per quanto
riguarda le sanzioni disciplinari applicabili ai soli iscritti”.
ORDINE
1
2005
del diritto di cronaca (giudiziaria) contro le interpretazioni sbagliate del Tribunale di Vigevano
I giudici
delle violazioni
sono soltanto
i Consigli
dell’Ordine
dei Giornalisti
Privacy
e delitto di
Manfredonia:
“Occorre
informare,
ma con
sobrietà”
Il Garante (composto da Stefano Rodotà, Giuseppe
Santaniello, Gaetano Rasi, Mauro Paissan) interviene sul
caso della ragazza uccisa a Manfredonia e invita quanti
operano nel mondo dell’informazione al rispetto dei diritti
e della dignità delle vittime di questo tipo di reati. I giornalisti devono valutare, con la massima attenzione e responsabilità, la effettiva necessità di riferire dettagli e particolari non essenziali ai fini di una corretta informazione sulla
vicenda. Anche tenendo presenti le disposizioni penali
che tutelano la riservatezza delle vittime di violenza
sessuale.
È doveroso evitare la spettacolarizzazione di fatti di cronaca gravissimi, specie nel caso risultino eventualmente
coinvolti altri minori. La sobrietà nelle cronache non ostacola il giusto dovere di informare su fatti che colpiscono
l’opinione pubblica.
(Comunicato del Garante 17 novembre 2004)
della privacy” dà piena libertà ai giornalisti
giudiziari (secondo le regole deontologiche)
L’articolo 13 del Codice precisa che le norme si applicano ai
giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti “e a chiunque
altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica”.
Tutti coloro che si avvalgono del diritto di manifestazione del
pensiero (articolo 21 della Costituzione e articolo 10 della
legge n. 848/1955 sulla “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”),
quindi anche i non-giornalisti, sono tenuti a rispettare le
“regole” del Codice. Non a caso, quindi, il Codice deontologico è “relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio
dell’attività giornalistica” (e non della “professione giornalistica” come ha chiesto in un primo tempo il Consiglio nazionale dell’Ordine). Le sanzioni disciplinari (avvertimento, censura, sospensione e radiazione dall’Albo), previste dalla legge
sulla professione giornalistica n. 69/1963, “si applicano solo
ai soggetti iscritti all’albo dei giornalisti, negli elenchi o nel
Registro (dei praticanti)”. Le violazioni in sostanza sono
sanzionate, per quanto riguarda i giornalisti, soltanto in via
disciplinare.
L’articolo 12 del Codice tratta la “Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali” (Al trattamento dei dati relativi
a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24 della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 686,
commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i
principi di cui all’articolo 5: i giornalisti possono raccontare
quello che risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di
ogni persona: sentenze di condanna, ordini di carcerazione,
misure di sicurezza, provvedimenti definitivi che riguardano
l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza
speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato
o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca vince in
maniera ampia.
Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti
(effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per
l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a)
all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle
garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al
trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della
Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il disco
verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II
comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (= notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal
Codice di deontologia della privacy del 1998, dagli articoli 2
e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione giornalistica) e dalla Carta dei doveri del 1993.
Il trattamento dei dati – dice ancora l’articolo 137 - è effettuato anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso
di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui
all’articolo 136 (trattamenti effettuati nell’esercizio della
professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento
delle relative finalità) “restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati
o attraverso loro comportamenti in pubblico”.
Il Testo unico sulla privacy, comunque, non annulla la legge
n. 633/1941 sul diritto d’autore. L’articolo 97 di questa legge
afferma: “Non occorre il consenso della persona ritratta
quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla
notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di
giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o
quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto
di tale norma si suole articolare l’ampiezza del diritto di
cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti,
avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in
pubblico. Nel concetto di pubblicazione lecita è compresa
anche la fotografia di persone che godano di notorietà o che
ricoprano uffici pubblici. Il giudice può autorizzare la pubblicazione della foto di un minore sequestrato o scomparso: in
questi casi prevale “la necessità di giustizia o di polizia”.
ORDINE
1
2005
2. Pubblicità delle sentenze
e comportamenti dei giudici
del Tribunale di Vigevano
3. La risposta
del presidente
del Tribunale di Vigevano:
Giornalisti di Vigevano hanno segnalato a quest’Ufficio quanto segue. Il 24 settembre 2004 un cronista del giornale locale, come d’abitudine, ha seguito l’udienza del Gup. Ha potuto
normalmente visionare tutte le sentenze emesse (sei),
mentre in un caso gli è stato opposto un netto rifiuto. L’imputato aveva formulato un’istanza - di cui il cronista ha potuto
prendere rapidamente visione - in cui negava il consenso al
trattamento dei suoi dati personali «ai sensi dell’articolo 52
del Dlgs n. 196/2003». Sotto l’istanza, tre righe in tutto, c’era
il visto del Gup. È il caso di osservare che:
a) l’articolo 52, su richiesta dell’interessato “per motivi legittimi”, consente alla cancelleria di “apporre un’annotazione
volta a precludere” l’indicazione delle generalità e di altri dati
identificativi «in caso di riproduzione della sentenza, o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione
giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante
reti di comunicazione elettronica». Nell’istanza, invece, non
era indicata alcuna motivazione da parte dell’interessato;
b) nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell’articolo 52 la cancelleria o segreteria appone e sottoscrive anche con timbro la
seguente annotazione: «In caso di diffusione omettere le
generalità e gli altri dati identificativi di.....».
c) secondo il settimo comma dello stesso articolo, “Fuori dei
casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in
ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di
altri provvedimenti giurisdizionali”.
Ciò che è accaduto è di rilevante gravità soprattutto sotto il
profilo della violazione sostanziale degli articoli 3 e 21(I e II
comma) della Costituzione; 2 (primo comma) della legge
professionale dei giornalisti n. 69/1963; 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (secondo le interpretazioni
delle sentenze Goodwin e Roemen della Corte di Strasburgo); 137 del Dlgs n. 196/2003 (ai trattamenti giornalistici,
infatti, non si applicano le disposizioni del Testo unico relative alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari).
I cittadini di Vigevano hanno il diritto di ricevere le notizie
giudiziarie (art. 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo). Ai
giornalisti non può essere impedito di esercitare, senza
censure (e nel rigoroso rispetto delle regole deontologjche della professione), il loro ruolo costituzionale (art. 21, II
comma, della C.) di mediatori intellettuali tra i fatti e il pubblico. “Esiste un interesse generale alla informazione - indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione - e questo
interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità
di fonti di informazione, libero accesso alle medesime,
assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei,
alla circolazione delle notizie e delle idee” (Corte costituzionale, sentenza 15 giugno 1972 n. 105).
“Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e questo
diritto comprenda la libertà di opinione e la libertà di ricevere o
di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere
interferenza di pubbliche autorità” afferma l’articolo 10 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (recepita nella legge 4 agosto 1955
n. 848). L’articolo 10 della Convenzione, mutuato dall’articolo
19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato
ampliato successivamente dall’articolo 19 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici (legge dello
Stato italiano 25 ottobre 1977 n. 881) il quale stabilisce:
“....Ogni individuo ha il diritto della libertà di espressione; tale
diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere
informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere,
oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica
o attraverso qualsiasi altro mezzo a sua scelta”.
È di importanza strategica per una società democratica il
nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione
(“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale
(tra le tante la sentenza n. 112/1993) sulla base dell’articolo
21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
“L’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza
preliminare dott. Paolo Fabrizi deve intendersi legittima
e corretta”.
Il dott. Domenico Attimonelli, in data 4 novembre 2004 (prot. n.
822), ha così risposto alle osservazioni esposte nella lettera 1
novembre 2004 (relative al punto 2 di questo documento):
“In riferimento alla Vostra lettera di cui in oggetto si rappresenta quanto segue:
• Ai sensi di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 30/6/2003
n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali)
per “trattamento dei dati personali “ deve intendersi, anche,
la consultazione dei medesimi;
• Ai sensi ed agli effetti di cui all’articolo 23 del decreto legislativo n. 196/2003 il trattamento dei dati personali (e,quindi, anche la consultazione) “ è ammesso solo con il consenso dell’interessato “;
• Per Sua espressa ammissione tale consenso è stato negato, per iscritto, dall’imputato che ha fatto riferimento all’espressa previsione legislativa di tutela della sua propria
dignità;
• Peraltro, ai sensi di cui agli articoli 18, comma 2 e 22, primo
e terzo comma, il “trattamento dei dati personali” da parte
di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento
delle funzioni istituzionali attenendosi a modalità “ nel trattamento di dati sensibili e giudiziari “ idonee a prevenire
violazioni di diritti, delle libertà fondamentali e della dignità
dell’interessato.
In ragione di quanto sopra l’attività istituzionale svolta dal
Giudice dell’Udienza preliminare dott. Paolo Fabrizi deve
intendersi legittima e corretta anche, soprattutto, sotto il profilo di salvaguardia dei diritti che la vigente normativa riconosce ai soggetti i cui dati personali, sensibili e giudiziari possono essere oggetto di trattamento”.
4. L’attività istituzionale
svolta dal Giudice
dell’Udienza preliminare
non deve, invece,
intendersi legittima
e corretta:
gli errori del presidente del Tribunale di Vigevano, che
ignora l’articolo 21 (II comma) della Costituzione, l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003 e il Codice di deontologia
sulla privacy.
Il commento alla lettera del dott. Attimonelli è breve quanto
secco: l’attività istituzionale svolta dal Giudice dell’Udienza
preliminare non deve, invece, intendersi legittima e
corretta. Il presidente Attimonelli ha dimostrato di non conoscere l’articolo 21 (II comma) della Costituzione, l’articolo
137 del Dlgs n. 196/2003 e il Codice di deontologia sulla
privacy. I giornalisti non devono chiedere autorizzazioni per
trattare i dati inseriti nelle sentenze. Sugli stessi grava soltanto l’obbligo di salvaguardare la dignità dei cittadini ammalati
o protagonisti di vicende sessuali, la dignità dei minori o dei
soggetti deboli. In questi casi la riservatezza, valore costituzionale, vince sul diritto di cronaca.
Tutto ciò premesso, si chiede all’on.le Csm di richiamare
il dott. Domenico Attimonelli al rispetto dell’articolo 21
(II comma) della Costituzione, dell’articolo 137 del Dlgs
n. 196/2003 e del Codice di deontologia sulla privacy
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1998).
Il presidente dell’OgL-estensore
prof. Francesco Abruzzo
23 (27)
M E M O R I A
Arnaldo
Fraccaroli
di Patrizia Pedrazzini
“Io non c’ero. Ma mi hanno detto che i funerali di Arnaldo Fraccaroli sono stati un’apoteosi. A grappoli vennero per scortarne la
bara, spontaneamente, fino al Cimitero,
uomini e donne di tutti i ceti e condizioni.
Dalle portinerie, dalle botteghe di barbiere,
dai tassì, dai conventi, dalle scuole, dagli
ospedali, dagli ospizi, dai negozi, dagli uffici
uscì e si compose in corteo quel ‘pubblico’
che noialtri giornalisti non conosciamo, ma
per il quale scriviamo: quello che ci legge in
tram o dietro il banco, quello che si appassiona all’avvenimento e aspetta l’articolo e lo
discute. Se l’occasione si prestasse al motto
di spirito, diremmo che Fraccaroli è stato,
anche da morto, lo scrittore più ‘seguito’ di
questi ultimi tempi. Certo, per queste cose ci
vuole Milano, unica fra tutte le città d’Italia in
cui un uomo possa guadagnarsi la popolarità senza sentirla condita di livore, gelosia e
invidia”.
Così scriveva, nell’ormai lontano 1956, Indro
Montanelli, in un appassionato ricordo del
grande giornalista – e collega al Corriere
della Sera, cui aveva dato mezzo secolo di
lavoro – morto pochi giorni prima, il 16
giugno, a Milano, al termine di una lunga
malattia.
Personaggio poliedrico
da studiare “a rate”
Grande giornalista, Fraccaroli. Ma non solo.
Anche, come scriveva il poeta dialettale
veronese Fragiocondo, “combattente, corrispondente di guerra, inviato speciale, viaggiatore, romanziere, commediografo, umorista, filosofo, conferenziere, artista, poeta:
bisognerebbe studiarlo ‘a rate’ per impossessarsene compiutamente”.
Era nato il 26 aprile 1882 a Villa Bartolomea,
paese della Bassa Veronese adagiato sotto
l’argine dell’Adige, vicino a Legnago. Terra di
nebbie, e di facili malinconie. Ma anche terra
nella quale discende, giù dal Monte Baldo,
Giornalismo e teatro. Le due grandi passioni di
Arnaldo Fraccaroli nacquero insieme, e insieme crebbero nel corso degli anni. Con la
recensione di uno spettacolo al Teatro Comunale di Lonigo il futuro inviato del Corriere
esordì, a soli 12 anni, sulle colonne de L’Arena. Con l’allora critico teatrale del quotidiano
veronese, Renato Simoni, il ragazzino della
Bassa strinse (sono parole sue) “un’amicizia
profonda, una di quelle amicizie salde e piene
che danno gioia alla vita”.
D’altra parte, non era ancora adolescente che,
nei lunghi pomeriggi d’inverno, amava improvvisare, in casa, spettacoli di burattini per i
compagni di scuola (ma di lì a poco, ricorda
Gustavo Adolfo Carlotto, si sarebbe “allargato”
predisponendo, nel ripostiglio a fianco della
cucina, “un palcoscenico elevato” e “un certo
numero di sedie: primi posti; ed i secondi posti
in piedi; i primi a 15 centesimi, i secondi a 10”).
La sua prima commedia si chiamava Folletto
e gli venne pubblicata, a Lonigo, nel 1899.
Cinque anni più tardi, la prima rappresenta-
Il precoce
amore
per il teatro
zione di El sistema più belo, in dialetto. In tutto
ne scrisse 28, fra le quali Ostrega, che sbrego!, in veneto; La dolce vita, la prima ad
andare in scena, il 4 dicembre 1912, a Milano, al Teatro Manzoni, con la Compagnia
Talli-Melato-Giovannini; la rivista Straccinaria
(1924), scritta con Renato Simoni; Peccato
biondo, che esordì, sempre nel capoluogo
lombardo, il 16 novembre 1928 al Teatro Filodrammatici con la Compagnia Falconi-Merlini. Fino alle ultime: la nota Siamo tutti milanesi che, portata sulla scena del Teatro Olimpia
(era in Largo Cairoli) il 20 settembre del ‘52
dalla Compagnia Besozzi, tenne cartellone
per 282 repliche (ma in tutt’Italia venne
rappresentata quasi 600 volte in tre anni); e,
ancora in milanese, Questa gabbia di matti,
del 1953.
Una passione che si estese anche alla lirica,
in virtù soprattutto dell’amicizia con Giacomo
Puccini, del quale Fraccaroli scrisse tre biografie (l’ultima pubblicata postuma): il creatore di
Turandot voleva essere intervistato solo da lui.
“Fraka”: un giornalista
sulle strade del mondo
oltre Verona, lungo le anse verdi del fiume,
quell’aria fresca e frizzante che dicono
trasmetta quella nota di allegria, quel pizzico
di dolce follia che pervade le genti di qui. Che
dipinge un enigmatico sorriso, compiaciuto e
canzonatorio, persino sul volto di Cangrande
della Scala, unica statua equestre (è in
Castelvecchio, a Verona) a rappresentare un
condottiero sorridente. E che qui fa sempre,
prima o poi, tornare chi da questa terra si sia,
nell’avventura della vita, allontanato. Arnaldo
Fraccaroli, “Fraka” per i lettori, “caro uomo
elegante, di finezza aristocratica – sono
sempre parole di Fragiocondo –, che quando ritorna alla sua città, si leva il cappello, e
fa un profondo inchino alla grazia di Madonna Verona”, l’aria del Monte Baldo deve averla respirata profondamente.
venne l’invito a farsi conoscere di persona.
“Così, un giorno di vacanza, intrapresi arditamente in bicicletta l’avventuroso viaggio da
Lonigo a Verona: chilometri trenta. Cominciavo in tal modo la mia carriera di viaggiatore per gli itinerari del mondo”. Lo accolse
“un bel giovinottone alto, florido, gagliardo”,
che lo squadrò con occhi sorpresi e disse:
“Avevo capito che si trattava di un giovinotto,
ma mi trovo addirittura dinanzi a un ragazzetto!”. Fu l’inizio della grande, solida, profonda amicizia che per tutta la vita legherà
Arnaldo Fraccaroli a Renato Simoni, allora
redattore e critico teatrale a L’Arena (quindi
critico drammatico del Corriere). Sarà lui, nel
1909, a segnalarlo al direttore del quotidiano milanese Luigi Albertini. Nel maggiore
giornale italiano Fraccaroli entrò il 16
maggio, per non allontanarsene più. La sua
prosa semplice, pungente e spiritosa, non
tardò ad aprirsi un varco nelle austere stanze di via Solferino: piacque al direttore, piacque soprattutto ai lettori.
L’esordio a dodici anni
corrispondente dell’Arena
Giornalista schietto, arguto e colorito, scrisse uno sterminato numero di articoli, che
furono da lui stesso ripubblicati in decine e
decine di volumi, tutti intrisi di quel personalissimo umorismo, di quella sorta di inconfondibile “leggerezza” per cui, scriveva il giornalista veronese Giuseppe Silvestri, “bastavano, e bastano, poche righe perché si dica
senza paura di sbagliare: ecco Fraccaroli;
questa è roba di Fraccaroli¸ questo è il ‘fare’
di Fraccaroli”.
Al giornalismo si era avvicinato che aveva
solo 12 anni. Dopo la grande rotta dell’Adige, seguita, nel 1886, da un’epidemia di
colera che aveva reso ancora più sottili le già
misere risorse di casa (il padre, Antonio,
faceva l’oste, e viveva vendendo pane, dolci,
vino e grappini agli uomini che si svegliavano presto per andare all’alzaia, a trascinare
contro corrente sul fiume chiatte e barconi),
la famiglia si era trasferita a Lonigo, nel
Vicentino. E fu da qui che il giovanissimo
Arnaldo si nominò, e improvvisò, corrispondente per L’Arena. “Articolini”, come ricorderà lui stesso, che il giornale regolarmente
gli pubblicava. Finché, dalla redazione, gli
Inviato di guerra
e instancabile viaggiatore
Da semplice cronista a inviato speciale, corrispondente di guerra, testimone e narratore. Da
Milano all’Italia, all’Europa, all’Africa, all’Asia (i
soli luoghi che non toccò furono l’Australia e i
Poli). Dal deserto cirenaico al fronte austroserbo, dalla Galizia alla Macedonia, dal Carso
all’Altipiano dei Sette Comuni, dall’Isonzo al
Piave. Dalla Muraglia cinese alla pampa
argentina, alle miniere d’oro del Transwaal. Ed
è solo una breve, ridottissima carrellata. Fu il
primo giornalista a sbarcare a Trieste libera, il
3 novembre 1918, dal cacciatorpediniere
“Audace”. Fu uno dei primi giornalisti europei
a visitare, nel ’27, Hollywood. Scriveva il critico
teatrale del Corriere Eligio Possenti: “Usi,
costumi, persone e personaggi si affollano
nelle pagine di viaggiatore instancabile, di giornalista intento a uno scopo solo: quello di dare
al lettore l’illusione di essere partecipe del suo
gironzolare, di viaggiare con lui, di apprendere
con lui, di godere con lui gli spettacoli della vita
Il figlio: un maestro di belle maniere che
Aldo Fraccaroli, il figlio di Arnaldo, ha oggi
85 anni. Giornalista lui stesso (è stato, tra
l’altro, per dieci anni a capo dell’Ufficio
stampa del Touring Club Italiano), capitano
di fregata e appassionato storico di marina
militare (è uno dei maggiori esperti a livello
mondiale), ha nella sua abitazione, a Lugano, un archivio di 80.000 fotografie di navi
da guerra, 25.000 delle quali scattate da
lui. In più occasioni ha avuto modo di ricordare la figura del padre, attraverso articoli
ricchi di aneddoti. Ne proponiamo alcuni
stralci.
Anche in casa, mio padre era sempre in
perfetto ordine, ben rasato e vestito di tutto
punto, anzi con quell’eleganza cui teneva.
Detestava infatti la sciatteria. Tranne che
nei suoi ultimissimi giorni, non lo vidi mai
24 (28)
con la barba lunga né con le pantofole, se
non tra la sua camera e la stanza da
bagno. Da mezz’ora dopo essersi levato
sino al momento di spogliarsi per andare a
letto, era un esempio di decoro e di dignità,
in grado di accogliere un re – o un presidente di repubblica – entro le mura domestiche. In special modo, a tavola era un
modello di compitezza, sì che, a osservarlo, si sarebbe divenuti maestri di belle
maniere. Ma a sua volta esigeva correttezza negli altri. Non tollerava invitati che
lasciassero in fondo al piatto anche soltanto un piccolo avanzo: “Sta poco bene? Si
sente male?”, domandava con interesse
che appena celava il tono ironico. “Oppure
non le piace?”. Di fronte a quest’incalzare
di domande, l’ospite doveva sottostare alle
rigide regole di casa Fraccaroli.
Se nella conversazione era un amabile
compagno, nelle discussioni non tollerava
di venir contraddetto, né gli passava per la
mente che l’avversario potesse avere
anche un briciolo di ragione; e voleva stravincere. Allorché l’altro, schiacciato e intimidito dalla foga di Fraccaroli, ammetteva
di aver torto, pur di chiudere quella discussione, a Fraccaroli non andava a genio di
troncare in quel modo e proseguiva inesorabile: “Allora perché ha insistito tanto?”.
Il ricordo della madre
Era molto religioso e accomunava nella
fede in Dio il ricordo della sua mamma.
Quando veniva pubblicato un suo libro –
fatto che era frequente – ne dedicava la
prima copia alla mamma, mancata nel
1911, e poneva il volume, con la pagina
aperta sulla dedica, rivolto nel senso che,
dal ritratto incorniciato sul mobile, la
mamma potesse leggerla. Nell’uscire da
casa, percorreva qualche passo verso il
cortile per ripetere il saluto che scambiava
con la sua mamma, alla finestra, quando
ella era ancora in vita. In ciò, oltre che
devoto, era abitudinario al massimo. […]
La sua mamma era stata seppellita nel
cimitero di Musocco, molto fuori mano,
specialmente allora, ma egli non ne volle
traslata la salma – sebbene poco dopo ne
avesse la possibilità finanziaria – al cimitero Monumentale, vicino a casa, finché non
fu trascorso il prescritto periodo di dieci
anni. Gli sarebbe sembrata una forma di
ORDINE
1
2005
Le date fondamentali della sua vita
1882
1887
1895
1899
1900
1901-02
1904
1905
1906
1907
1908
1909
1911
1911-12
1913
1914
1915-18
1918
1920
1923
1924
1925-26
1926-27
1928-29
1930-31
1931-32
1933-34
1934
1935-36
1936-37
1937
1938
1939
1940-45
1950-56
1952
1956
1957
E Villa Bartolomea gli dedica la Biblioteca
26 aprile: nasce a Villa Bartolomea (Verona) da Antonio e Angela Zancopè
La famiglia si trasferisce a Lonigo
Fonda e redige il giornaletto umoristico “La Freccia”
Viene pubblicata a Lonigo la sua prima commedia, “Folletto”
A Vicenza fonda e dirige il giornale “Bobò”
Lavora nella redazione del giornale “La Provincia di Vicenza”
A Lonigo viene rappresentata la sua commedia “El sistema più belo”, in dialetto
A Padova è redattore a “La Provincia di Padova”, dove incomincia a firmarsi “Fraka”
È redattore capo a “La Provincia di Padova”
A Padova viene rappresentata “Ostrega, che sbrego!”, in veneto
A Venezia è segretario del teatro “La Fenice”
16 maggio: entra al “Corriere della Sera” e si trasferisce con la madre a Milano
Muore la madre
Inviato dal “Corriere” alla guerra di Libia
Sul “Corriere” tiene la rubrica “Sottovoce zio Matteo”
Corrispondente di guerra in Galizia, sul fronte austro-russo e in Turchia
Corrispondente dai fronti della Grande Guerra
Viene decorato con medaglia di bronzo nella riconquista di Sacile (si era volontariamente prestato da bersaglio a una mitragliatrice austriaca, affinché una nostra
bombarda la potesse individuare e distruggere)
In Ungheria segue la rivoluzione di Bela Kun
Partecipa alla gara automobilistica “Coppa delle Alpi”
Da Bruxelles all’Italia segue il funerale di Giacomo Puccini, di cui fu il biografo
Dirige la rivista “Fantasie d’Italia”
Lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti
Lungo viaggio in India
Lungo viaggio in Sudamerica
Lungo viaggio nell’Africa centrale e meridionale
Lungo viaggio in Cina
Va in scena Milano “L’osteria della gloria”, commedia con il giovane Gino Cervi
Viaggio nel Siam e in Indonesia
Lungo viaggio in Giappone
Esce il libro “Venti novelle matte ma non tanto”, il primo di una serie fortunata
Acquista a Verona la villa palladiana che chiama “Le Toresèle”
Viaggio nell’Africa settentrionale e occidentale
Si dedica a biografie romanzate dei “Patriarchi della musica italiana” – Rossini,
Bellini, Donizetti – e a quella di Maria Malibran
Tiene sulla “Domenica del Corriere” la rubrica “Confidenze” con i lettori
La Compagnia Besozzi mette in scena a Milano “Siamo tutti milanesi”
16 giugno: muore a Milano
Viene pubblicata postuma la biografia “Giacomo Puccini si confida e racconta”
(La cronologia è tratta dal volume “Omaggio ad Arnaldo Fraccaroli”, a cura di Arnaldo Bellini,
Comune di Villa Bartolomea, novembre 2004)
nelle più remote regioni della Terra”.
“Aveva lettori fedeli – ricorda un altro giornalista originario di Villa Bartolomea, Arnaldo
Bellini – . Una volta, intrattenendosi con un
umile lavoratore dei campi, apprese che
questi custodiva con cura, in un cassetto, i
ritagli dei suoi articoli di viaggi. Si commosse
fin quasi alle lacrime. Sapeva che un giornalista esiste soltanto se ha dietro di sé un
pubblico che lo segua e lo ammiri”. E ancora
Indro Montanelli: “Ma quando si fu in tassì, il
conducente lo riconobbe e, volgendoglisi con
un largo sorriso, lo interpellò chiamandolo
affettuosamente per nome in milanese: Sciùr
Fraccaroli!. Avreste dovuto vedere il povero
Arnaldo, via via che il buon uomo gli poneva
domande e gli chiedeva spiegazioni su
questo o quell’episodio della sua lunga
carriera di cronista. Tutta la cordialità di cui
con me era stato tanto avaro gli traboccò
nelle risposte a quel ‘lettore’ in cui egli ravvisava il proprio padrone. Ancora un po’ e lo
portava in casa per tenerselo a pranzo”.
Non a caso i giornalisti lombardi lo designarono presidente del loro Circolo della Stampa, quando nel 1952 la carica rimase vacante per la morte di Renato Simoni.
Il rispetto della verità a costo
di qualsiasi sacrificio
“Giornalista nato, giornalista d’elezione –
ricordava Giuseppe Silvestri – aborriva dalla
musoneria, ma sentiva la serietà e la responsabilità della sua missione, di fronte al pubblico innanzi tutto, che andava sempre informato con scrupolosa esattezza e precisione,
Una lapide e la nuova Biblioteca civica.
Così Villa Bartolomea, il comune di
quasi 5.500 abitanti della Bassa Veronese nel quale Arnaldo Fraccaroli
nacque, ha voluto, il 13 novembre scorso, onorare la memoria del celebre
concittadino. La lapide è stata posta
dove un tempo sorgeva la sua casa
natale, in frazione Fondovilla, oggi
inglobata nel paese. La Biblioteca, fiore
all’occhiello della piccola comunità,
porta il suo nome. È stata inaugurata
nell’edificio in stile neoclassico costruito alla fine del XIX secolo che si affaccia su corso A. Fraccaroli.
La celebrazione, patrocinata dal Corriere della Sera e dalla “Fondazione
Corriere della Sera” ha visto in prima fila
le massime autorità politiche della zona.
Dall’intera giunta di Villa Bartolomea,
capitanata dal sindaco Loris Romano, ai
primi cittadini dei vicini Comuni di Belfiore, Terrazzo, Angiari, Castagnaro, al
presidente della Provincia Elio Mosele.
Ad assessori e consiglieri comunali,
provinciali e regionali. Ma l’intera cittadinanza ha partecipato, in un clima piacevole e sereno, alla commemorazione
dell’illustre inviato speciale, che di qui,
come si legge sulla lapide, “iniziò il
lungo viaggio nel mondo”.
Nel Teatro Sociale del comune, dopo
l’inaugurazione di una mostra di fotografie, libri e documenti sulla vita e sulla
carriera di Arnaldo Fraccaroli, la giornata si è conclusa con una tavola rotonda.
All’incontro, condotto dal giornalista
Arnaldo Bellini, hanno partecipato l’inviato del Corriere della Sera Marzio
Breda, il bibliotecario della Biblioteca
civica di Verona Claudio Gallo, il giornalista, e docente di Storia delle terze
pagine italiane all’Università di Verona,
con assoluto rispetto della verità, a costo di
qualsiasi sacrificio”. Guerra di Libia, 1911. “Il
comando militare – racconta il figlio Aldo
Fraccaroli – aveva ordinato che i giornalisti
non potessero ‘andare al seguito della truppa’ per una certa operazione. ‘Bene! –
osservò Fraka – non andremo al seguito ma
la precederemo’, e con tre animosi colleghi
si avviò sul cammello nel deserto, arrivando
all’oasi prima dei soldati. Per poco i quattro
evitarono la corte marziale”.
Giuseppe Sandrini e Aldo Fraccaroli, il
figlio di Arnaldo, giunto per l’occasione
da Lugano, dove vive.
Se Breda si è soffermato su Fraccaroli
giornalista, sull’impatto del suo carattere gioviale e del suo stile fresco con il
clima austero che dominava al Corriere
nei primi anni del Novecento, su quello
che significava, in termini di tempo e di
disagi, fare l’inviato allora, Gallo ha
affrontato la figura di Fraccaroli commediografo. “Fu uno dei più popolari – ha
detto – ma incontrò soltanto in parte il
favore della critica, che gli rimproverava
la mancanza di drammaticità”. Sandrini
ne ha quindi riproposto l’immagine di
“macchiaiolo vagabondo”, in giro per il
pianeta sempre con la macchina fotografica, in tempi nei quali la gente niente o quasi conosceva dell’Estremo
Oriente o di New York e il “viaggio” di un
inviato durava anche otto-nove mesi.
Infine, intervistato da Bellini, il figlio Aldo
ha ricordato Fraccaroli padre. Nelle sue
virtù e nei suoi difetti.
Autoritario in casa, di poche parole per
quanto riguardava il lavoro, esigente con
tutti, generoso con gli umili. “Vero che
non dava del tu a nessuno?”. “Lo faceva
solo con i colleghi della sua età, come
Simoni. Per il resto, non dava del tu a
nessuno, e non voleva che gli altri lo
facessero con lui.
Preferiva tenere le distanze. Diceva: Se
dico sei un cretino, finisce lì. Se dico lei
è un cretino, finisce con un duello”. Nel
suo rapporto con la fede: “Un giorno i
miei amici Gesuiti mi dissero: Suo padre
è un bigotto. Cercheremo di farne un
buon cristiano”.
Nel suo rapporto con i lettori: “Diceva:
Scrivere difficile è molto facile. È scrivere facile che è molto difficile”.
Quel “commesso viaggiatore”
delle curiosità altrui
La regola: lavorare come se
non si dovesse mai morire
Instancabile lavoratore (il giornalista del
Corriere, poi direttore de L’Arena Giovanni
Cenzato lo riteneva ottimo interprete della
massima di Don Bosco “Lavorare come se
non si dovesse mai morire, e vivere come se
si dovesse morire l’indomani”), Arnaldo Fraccaroli fu, nel privato, anche uomo di profonda
religiosità e grande generosità. Molto legato
alla madre Angela (vedi riquadro nel ricordo del figlio Aldo), che volle con sé a Milano quando vi si trasferì, e partito dalla più
autentica ristrettezza economica, raggiunse
la “ricchezza – ricordava Cenzato – attraverso
il suo solo lavoro, ricchezza che egli espresse
in una casa ben ornata di cose belle, di
preziosi oggetti, di amicizie intelligenti” E
ancora: “Lasciò morendo notevoli legati: 30
milioni all’arcivescovo di Verona per i poveri,
10 milioni ai mutilatini di Don Gnocchi, 5 milioni agli operai del Corriere, 5 milioni all’allora
arcivescovo di Milano monsignor Montini, che
gli confortò di persona il grande trapasso”.
Aveva, oltre alla casa milanese di via Legnano, una villa a Baveno, sul lago Maggiore. Ma
il suo rifugio preferito, il luogo nel quale
amava tornare, era la villa alle “Toresèle”
sulle alture che circondano Verona. “Quella
casa – scriveva Gino Beltramini, professore
e direttore del periodico Vita veronese –
divenne quasi un eremo e la vita vi trascorse
semplice ed operosa, più che mai protesa a
quei ‘ripensamenti’ che la tumultuosa e
febbrile attività degli anni decorsi aveva attutiti e dispersi”.
Di lassù, alto, distinto, i capelli bianchi,
questo “commesso viaggiatore della curiosità altrui”, com’egli stesso amava definirsi,
poteva verso sera, al primo calar delle
ombre, perdersi con lo sguardo nel lento
scorrere dell’Adige, sui rossi tetti della città,
lontano, fino al campanile di San Zeno e alle
torri di Castelvecchio. Tornare con la mente
ai ricordi. E respirare l’aria, fresca e frizzante, del Monte Baldo.
Così scrisse, di lui, il critico teatrale de L’Arena Bruno De Cesco: “Nel suo studio, fra i libri
dalle coste preziose, fra i rari pezzi d’arte
esotici, vegliavano il bronzeo capo incoronato del Cristo e il dolce volto di mamma Angela; nella saletta accanto stava la maschera di
Cangrande dedicatagli dai volontari di guerra veronesi. E chi lo conosceva da vicino, chi
lo conosceva nell’intimo, sapeva che in quei
tre simboli di bronzo viveva tutta la sua
anima”.
…aveva sempre ragione
pigrizia, ed egli quand’era a Milano andava
quasi ogni giorno al camposanto e si confidava con lei. Era però superstizioso e non
metteva il cappello sul letto, non infilava la
manica sinistra prima della destra (un giorno mi rimproverò perché m’aveva veduto
fare l’opposto) e, nel coricarsi, badava che
le pantofole fossero rivolte verso fuori e
non già per comodità, bensì per scaramanzia.
Possedeva una straordinaria resistenza
fisica e una tenace capacità di lavorare.
Svolgeva per primo il compito più difficile –
articolo o altro che fosse – per esserne
fuori al più presto. Stava ore e ore alla scrivania e stendeva i suoi articoli valendosi di
abbreviazioni per seguire più rapidamente
il corso del pensiero (della stenografia, che
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1
2005
pur conosceva, si valeva soltanto per intestare, in alto a sinistra di ogni articolo o
della prima cartella di un libro, l’invocazione “Evviva sempre la mamma benedetta!”,
seguita dalla data) e la scrittura era piccola e nitidissima, “tipografica” la definiva egli
stesso, tanto che bastava una cartella per
contenere un intero articolo. […]
“Commendatore sarà lei!”
Non apparteneva a gruppi letterari, cenacoli o camarille, e anzi guardava con diffidenza e scarsa stima coloro che ne facevano parte. Considerava quei gruppi come
associazioni di mutuo soccorso, distanti da
lui, che era emerso per i suoi soli meriti.
[…] Con l’andar degli anni aveva smesso
di usar parolacce contro i guidatori indisci-
plinati. Quasi si giustificò, spiegandomi che
la persona educata deve adoperare parole
pulite oppur tacere del tutto. (da Omaggio
ad Arnaldo Fraccaroli, a cura di Arnaldo
Bellini, Comune di Villa Bartolomea, novembre 2004)
Ma se voleva essere scostante ci riusciva
benissimo. Rammento che, verso il 1937,
ricevette la visita di un giovane giornalista
venuto per intervistarlo. Il giovanotto s’era
fatto precedere da una lettera e da una
telefonata e si presentò educatamente a
mio padre dicendo: “Sono onorato di fare
la sua conoscenza, commendatore”. A
quel giovane, o che non gli fosse riuscito
simpatico o che mio padre avesse la luna
per traverso, replicò seccamente: “Commendatore sarà lei!”. Costernazione del
giornalista, che tentò con “dottor Fraccaroli”, ma si ebbe un’altra replica: “Non sono
dottore”. “Allora come devo chiamarla?”.
“Mi chiami signor Fraccaroli”.
Il giovane giornalista tentò di avviare il
discorso: “Che cosa pensa, signor Fraccaroli, dell’umorismo di oggi?” (devo precisare che mio padre, collaboratore fisso del
settimanale umoristico Guerin Meschino,
era lettore assiduo del Bertoldo, che però
guardava di nascosto). Al che mio padre si
rivolse verso di me: “Aldo, c’è un umorismo
oggi? Quale umorismo?”. […] Quel giovane giornalista se ne andò alcuni minuti più
tardi.
(Gazzetta di Parma, 6.9.1984)
25 (29)
IL GIORNALISTA LUCCHESE È CONSIDERATO IL PADRE DEL SETTIMANALE
M E M O R I A
Redattore di Omnibus, condirettore, nel
1939, del primo Oggi, nel 1945 inventò L’Europeo e dieci anni più tardi L’Espresso. Per
continuare le battaglie civili promosse dal
suo amico Pannunzio, nel 1969 riesumò Il
Mondo e qualche anno più tardi, dopo avere
aderito al partito comunista, diresse Paese
Sera. Il giornalismo impegnato ebbe in lui la
massima espressione.
Era convinto della necessità di dovere stimolare la borghesia italiana affinché non indulgesse nei suoi vizi tradizionali e ne contestò
alcuni atteggiamenti.
Arrigo
Benedetti
di Enzo Magrì
Furono i disagi causati dalla crisi degli alloggi e la ricerca d’un letto dove riposare in
esclusiva che nel 1945 offrirono ad Arrigo
Benedetti l’opportunità d’inventare L’Europeo. Trasferitosi da Roma a Milano, dov’era
stato assunto dal Corriere Lombardo come
critico teatrale, il lucchese, accompagnato
dalla giovane moglie Rina, era stato costretto nei primi tempi a dormire in letti di fortuna.
Dapprima in casa di Edgardo Sogno, il suo
direttore, il quale, rientrando poco dopo l’alba, sloggiava la coppia per riposarsi lui.
Abbandonata la casa dell’ex comandante
partigiano, i due finirono in una pensione di
viale Monterosa, ma anche lì su un letto in
condominio con un ingegnere dell’Isotta
Fraschini. Il professionista rincasava un po’
più tardi del direttore del Lombardo ma ciò
impediva lo stesso ai due giovani di poltrire
un qualche minuto come essere umani
prima di finire lui al giornale e lei in uno dei
tavolini del Motta di piazzale Baracca per
ammazzare il tempo.
Poiché un intervento presso il prefetto
Riccardo Lombardi per trovargli una casa
tardava a dare i suoi frutti, il giovane critico
si decise a cercare da solo un talamo per
sé e la moglie. Per trovare una soluzione si
affidò a Gianni Mazzocchi. “Vieni subito alla
“Domus, qui in corso Sempione” gli rispose
l’editore “una soluzione la troveremo”.
Quando il giornalista finì di esporre all’amico la sua situazione di dormiente in piedi e
gli esternò la richiesta d’un letto a due piazze tutto per sé e la compagna, l’altro tirò
fuori due chiavi da un cassetto della scrivania. Pinzandole con pollice ed indice,
alzò a mezz’aria la mano destra e disse:
“Queste sono le chiavi d’un appartamento
ammobiliato di tre camere in via Dezza. Il
quartierino è tutto tuo. Tu devi solo adempiere alla promessa che mi hai fatto due
anni addietro”.
Poco dopo il 25 luglio del 1943, nell’euforia
seguita alla caduta del fascismo, Benedetti
aveva accondisceso alla proposta di Mazzocchi d’inventargli un settimanale. Ma poi
non se n’era fatto niente. Avendo ora visto
negli occhi del suo ospite, un cenno di
assenso, il padrone di casa si alzò, lo sospinse per un braccio guidandolo fino ad una
stanza vicina. Davanti ad un grande tavolo
stavano seduti Emilio Radius, Raul Radice,
Camilla Cederna e Tommaso Besozzi.
La sua vera vocazione
era quella del letterato
“Ecco la tua redazione” disse Mazzocchi
trionfante.
Questi non si affidava al giornalista né per
simpatia né per uno spirito lucrativo teso a
recuperare il corrispettivo dell’affitto dell’appartamento. Egli conosceva le qualità del
suo ospite nel campo giornalistico e in particolare di quello dell’ebdomadario. Anche se
la vocazione vera di quel giovanotto era
quella del letterato. Trentacinque anni,
lucchese, Benedetti aveva studiato si può
dire da scrittore. Figlio d’un bancario che
aveva abbandonato il posto sicuro in un istituto di credito per fare il viaggiatore di
26 (30)
Lo stile
e l’impegno
commercio, aveva vissuto l’adolescenza
come una sorta di seminarista laico. Patito
di narrativa, leggeva e prendeva appunti.
Amico di Mario Pannunzio, che abitava a
Lucca nell’appartamento vicino al suo, faceva con il sodale quotidiane passeggiate per
la via Fillungo che si concludevano al caffè
Caselli, un tempo frequentato da Giovanni
Pascoli e tra la fine dei Venti e gli inizi dei
Trenta bazzicato da Mario Tobino, Guglielmo Petroni e Mino Maccari. Diversi per
caratteri (Benedetti chiuso, spesso cupo;
l’altro estroverso, brillante, donnaiolo), i due
erano uniti dalla passione per la cultura e
da un solo obiettivo: emigrare a Roma.
Pannunzio voleva frequentare un corso per
regista; Benedetti, desiderava fare lo scrittore. Poco inclini verso il fascismo, anche se
ancora non avversi, un giorno erano stati
risolutamente redarguiti dal segretario federale di Lucca il quale li aveva convocati nel
suo ufficio, e, dopo averli “processati” per le
loro assenze alle adunate, li aveva licenziati fulminandoli con tonanti minacce.
Una promozione sul campo
firmata Leo Longanesi
Non sono certamente quelle intimidazioni a
convincere Pannunzio a lasciare Lucca nel
1932 e a raggiungere Roma dove s’iscrive al
Centro sperimentale di cinematografia.
Cinque anni più tardi, nel 1937, è seguito da
Benedetti che ha abbracciato decisamente
la carriera di scrittore a Lucca ma s’è deciso
a continuarla nella capitale dove ritiene
d’avere più chance di successo. Abbandonata la facoltà di Lettere di Pisa, egli ha cominciato a scrivere e anche con un certo
successo. Nel 1933 ha pubblicato il suo
primo libro, Tempo di guerra, un volume sul
conflitto del 1915-1918. Ha inviato articoli e
racconti a Leo Longanesi, che a quell’epoca
è uno dei giornalisti più popolari fra i giovani
italiani che si dedicano alle Lettere, e dal
quale ha avuto esortazioni e incoraggiamenti a scrivere.
Quando, dunque, nel 1937 si riunisce a
Roma il sodalizio con Mario Pannunzio, i due
frequentano il Caffè Aragno, luogo di ritrovo
di Vincenzo Cardarelli, Antonio Baldini,
Bruno Barilli, Mino Maccari e dell’immancabile Leo Longanesi. A quel tempo quest’ultimo sta preparando Omnibus e una sera invita i due amici ad accompagnarlo in via del
Sudario dove c’è la redazione del settimanale. Non si sa bene se per vera necessità
oppure per saggiare il valore dei giovanotti,
Leo chiede loro di “passare” degli articoli. Le
correzioni eseguite dai ragazzi si rivelano
inappuntabili e Longanesi li promuove redattori sul campo.
L’assunzione nella prestigiosa rivista dà a
Benedetti quel minimo di garanzia economica che gli permette di sposare Rina, una
lontana cugina, con la quale si stabilisce a
Roma dove nel 1938 pubblica La foglia del
capitano. Ma il senso di sicurezza scaturito
dal lavoro stabile, svapora presto perché nel
gennaio del 1939, il fascismo chiude Omnibus. Due anni vicino ad un genio del giornalismo come Longanesi fanno maturare
professionalmente il lucchese il quale fonda
con Pannunzio il settimanale Tutto e, chiuso
questo, va a dirigere, sempre con il suo
vecchio amico lucchese, Oggi edito da
Rizzoli. Il giornale aveva ricevuto l’approvazione di Mussolini a patto che avesse due
giovani direttori e delle firme non legate alla
generazione prefascista. Ma i giovani redattori che sono chiamati a collaborare con la
rivista - Giansiro Ferrata, Alessandro Bonsanti, Tommaso Landolfi, Giovan Battista
Angioletti, Giame Pintor, Mario Alicata, Franco Fortini e Luigi Salvatorelli- manifesteranno una pericolosa tendenza a pensare con
la propria testa, al di fuori dall’ortodossia
fascista.
Oggi finisce nel mirino della censura del
duce. Il primo gennaio del 1941, il settimanale è chiuso per disfattismo. In quel numero
i due giovanotti avevano pubblicato un articolo del generale Gino Ducci il quale sottolineava un fatto oggettivo ed evidente: l’inferiorità della forza navale tedesca negli oceani rispetto a quella americana. Ciano dirà
che la rivista era “un organo di individui molto
ambigui che stavano di fronte al regime con
molte e poco celate riserve”. Missiroli, che
lavora per il fascismo come ghostwraiter al
Messaggero, ma che odia il dittatore, consola i due ex direttori con queste parole: “Amici
miei, vi hanno soppresso non tanto per quello che avete pubblicato ma soprattutto per
quello che non avete pubblicato”. Benedetti
si conforta dando alle stampe la sua seconda opera, I misteri della città e l’anno successivo, nel 1942, Donne fantastiche. E siccome
con la narrativa si può tirare avanti solo a
stento, egli continua nel 1942-1943 a fare il
giornalista scrivendo per conto di Gianni
Mazzocchi.
La guerra giunta ormai in Italia, lo vede belligerante attivo quale fiancheggiatore delle
formazioni partigiane che operano nell’Appennino emiliano dove si è rifugiato assieme
alla moglie che gli ha dato un figlio, Alberto,
e che è stato battezzato da due prigionieri
alleati, un francese e un russo, ai quali egli
ha dato rifugio nella sua casa di Gazzano.
Scoperto dai nazifascisti è arrestato e
rinchiuso nella cella in cui è trattenuto Alcide
Cervi, padre dei sette fratelli fucilati il 28
dicembre del 1943. Un distruttivo quanto
provvidenziale bombardamento, demolisce il
carcere di Reggio Emilia. Guadagnata la
libertà, il lucchese si rifugia in Garfagnana
da dove, sopraggiunti gli alleati, si trasferisce
prima a Lucca e quindi a Roma. Qui, per un
breve periodo lavora inizialmente con il suo
amico Pannunzio al Risorgimento Liberale e
poi al Nuovo Mondo insieme con Nicola
Adelfi e Giorgio Bassani.
Ma in tempo di emergenze
le Lettere non danno pane
Le Lettere non danno pane in tempo di pace,
figurarsi in periodo d’emergenza. Benedetti
racconta che durante quell’inverno romano,
per trovare un po’ di calore, lui e altri intellettuali si concedevano ai party che ogni sabato davano nella loro casa Maria e Goffredo
Bellonci dove i caloriferi in funzione scioglievano le irrigidite membra degli ospiti e lo
stomaco cessava momentaneamente di
brontolare e di reclamare cibo, occasionalmente confortato d’un qualche pasticcino
ingollato con stile e impassibilità inglesi.
Dopo aver fatto stampare Paura all’Alba, un
ORDINE
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2005
Come si scrive sui giornali
L’ordine di servizio emanato da Arrigo Benedetti il 26 ottobre 1976
quando era direttore di Paese sera
Certe norme stabilite per la stesura degli originali sono spesso dimenticate. Ne ricordiamo alcune.
- Dovranno essere composti in corpo 8 jonic tutti i testi della
prima pagina, della quarta, dei supplementi, delle pagine
speciali; la nota politica, il capocronaca, i servizi degli inviati speciali, le corrispondenze di maggiore rilievo. Tutto il
resto del giornale sarà composto in c.7 jonic. Il c.10 jonic
chiaro e l’8 permanent, potranno essere usati soltanto per
note a doppia giustezza. Il corsivo è abolito in ogni caso.
- Nei titoli si dovranno evitare le virgolette e i punti interrogativi e esclamativi. Dopo i due punti, segue la maiuscola. In
una pagina si può fare solo un titolo con i due punti.
- Le virgolette non devono essere usate per alludere a un
significato diverso da quello proprio della parola; si useranno, invece, per le frasi tratte da lingue straniere per i titoli di
giornali, libri, riviste, raccolte, per i termini tecnici di qualsiasi lingua. Le parole straniere tra virgolette vanno sempre in
tondo. Le parole straniere entrate nell’uso come brain, trust,
dossier, establishment, sport, film, reporter, derby, flirt,
nurse etc, vanno sempre tra virgolette, queste vanno poste
all’inizio della citazione, all’inizio di ogni capoverso successivo e alla fine della citazione.
- Nel discorso diretto dopo i due punti e le virgolette segue la
maiuscola.
- Le sigle vanno tutte in maiuscolo (es. PCI e non Pci) e
senza punti intermedi (es. ANSA e non A.N.S.A.).
- Nell’enumerare in un testo più argomenti non si scriva 1) 2) 3)
ma 1.2.3. seguiti dalla maiuscola e concludendo il testo dei
singoli paragrafi con punto e virgola.
- Po’ per poco si scrive con l’apostrofo e non con l’accento.
- Si scrive se stesso e non sé stesso.
- Si scrive della “ Stampa”, sul “Trovatore”, della Spezia e non
de “La Stampa” su “Il Trovatore”, de La Spezia.
- Le maiuscole vanno usate in modo parsimonioso (nome e
cognome, città, nazioni). Sono sempre da evitare quelle
reverenziali sia per gli enti che per i loro titolari. Uniche
eccezioni la parola Repubblica, quando ci riferiamo alla
repubblica italiana, Papa e Presidente quando non sono
seguiti da nome del papa o del presidente della Repubblica.
- Ogni servizio deve curare l’unificazione di alcuni termini
(per es. laborismo e non laburismo; Mao Tse-Tung e non
Mao Tse Tung; Teng Hsiao-Ping e non Teng Hsiao Ping).
- Le congiunzioni ed e ad possono essere usate solo se
collegano parole che cominciano rispettivamente per e e
per a.
- Non si usano verbi inventati, come evidenziare, presenziare, potenziare, disattendere; o superflui come effettuare per
fare, iniziare per cominciare; i francesismi come “a mio avviso”; le frasi fatte come madre snaturata, folle omicida,
agghiacciante episodio, in preda ai fumi dell’alcool, i nodi
da affrontare, nell’occhio del ciclone, l’apposita commissione, e gli aggettivi che servono a caricare d’infamia chi non
ne ha bisogno, come criminale fascista, l’infame dittatore.
libro sulla lotta partigiana, nell’autunno Benedetti si trasferisce a Milano. Nei mesi successivi al crollo della dittatura, non soltanto
Gianni Mazzocchi ma anche Angelo Rizzoli
gli avrebbero voluto affidare la direzione di
un settimanale. Tuttavia, un po’ a causa della
confusa situazione del paese, un po’ perché
desideroso di dedicarsi esclusivamente alla
narrativa, egli aveva rifiutato le due proposte
anche se Mazzocchi era riuscito a strappargli un certo assenso per il futuro.
Ora, e siamo nell’estate del 1945, mentre è
impegnato con il suo nuovo ruolo di critico
teatrale del Corriere Lombardo di Edgardo
Sogno, Benedetti è costretto, se vuole continuare a dormire come un cristiano in quel
magnifico appartamento di via Dezza, a
studiare un settimanale per Mazzocchi. I
primi problemi gli vengono dal logo. Qualcuno gli ha suggerito Omnibus. Ma il titolo
potrebbe generare equivoci circa una continuità con il settimanale longanesiano. E poi
non sarebbe leale nei confronti del vecchio
maestro che è ancora su piazza. Oggi che,
si può dire, gli apparteneva di diritto essendone stato uno dei due direttori, è già stato
utilizzato dall’editore Angelo Rizzoli il quale
ne ha dato la direzione ad un giovane giornalista, Edilio Rusconi.
Cederna ed alcune sue colleghe si distribuirono in diversi bar cittadini per fingere di
leggerlo e farlo vedere il più possibile. Al
Donini di San Babila, ancora devastata dalle
bombe, un cameriere volle vederlo meglio e
dopo averlo sfogliato con attenzione pregò
gentilmente se poteva tenersi la copia.
Compiaciute, la giornalista e le altre gliela
cedettero. Poco dopo scoprirono che l’inserviente aveva necessità di carta per avvolgere un paio di scarponi e che il giornale, per il
formato e per la resistenza, rispondeva alla
bisogna.
Da una moltitudine di titoli
alla fine spunta L’Europeo
Una moltitudine di titoli gli si affolla nella
mente. Egli non sa ancora quale scegliere,
quale adottare. Il Pwb (Psicological War
Branch), l’organismo alleato incaricato di
concedere l’autorizzazione per la diffusione
dei nuovi giornali, preme per ottenere il logo
da inserire nel permesso da rilasciare.
Mazzocchi, convinto che l’Italia avrebbe
avuto un avvenire solo in un’Europa unita,
avrebbe voluto un titolo che si riferisse al
vecchio continente. Benedetti, senza essere
contrario all’idea del suo editore, non riusciva ancora a quagliare il concetto. Un giorno,
l’amministratrice della “Domus” Franca Matricardi telefona dall’ufficio alleato a Benedetti
per sollecitarne il nome della testata. “Prenda ancora tempo” gli suggerisce il direttore
dalla redazione. “Non si può più” replica l’altra. “Qui vogliono il titolo. E faccia presto.” Il
giornalista ripassa velocemente i loghi che
s’era appuntato nei giorni precedenti. Ma
non gliene garba nessuno.
Era autunno. Anche se l’orologio segnava le
dieci del mattino, Milano offriva il suo cielo
grigio e nella redazione c’era la luce accesa.
Quell’atmosfera suggerì al neo direttore
“l’idea d’una civiltà che supera gli impedimenti frapposti dalla natura e rivelano il
carattere strettamente civico di questa
società”. Gli venne in mente l’Europa “in quel
momento simile a tante città come Milano,
ognuna capace di un’intensa operosità,
concentrate tutte nello sforzo di riprendersi
dopo la generale catastrofe, tese verso il
benessere, verso quella felicità che l’uomo
procura a se stesso con le proprie attività”.
Suggerì alla Matricardi: “Dica che si chiama
l’Europeo. Quando il titolo fu comunicato a
Mazzocchi, questi replicò:” Ed io non l’ho
detto e ridetto?”
Con una copia del primo numero del giornale, la mattina del 4 novembre 1945 Camilla
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2005
Con preghiera di fare più giornalismo e meno ideologia.
Un racconto settimanale
fluido e quasi impersonale
Richiesto alle edicole dai lettori, per fini più
nobili di quelli per i quali lo aveva impiegato il
cameriere, L’Europeo raggiunse un discreto
successo. Nei primi mesi Benedetti andò
avanti a tentoni. Scriverà: “Miravo, senza
avvedermene completamente, a uno stile
asciutto oggettivo”. E più avanti: “M’illudevo
che la soggettività potesse essere eliminata
dal giornalismo. Il giornale ideale per me era
una sorta di specchio che riflettesse la realtà
nella sua interezza”. Ricorderà che, compilando L’Europeo, gli sembrava di comporre
un racconto settimanale, di montarlo con le
fotografie, i titoli, i testi. Un’altra sua “fisima”
era quella dello stile che voleva “fluido, quasi
impersonale, una specie di trapianto anglosassone in Italia”. Evoca: “La realtà era
davanti a noi, dovevamo affrontarla utilizzando tutte le risorse stilistiche a disposizione,
gli insegnamenti dovevamo andare a cercarli non solo nel giornalismo di Londra o di
New York ma nella letteratura europea”.
L’Europeo ottiene un discreto successo
anche perché i quotidiani sono ancora ingessati: molti sono diretti e organizzati da ex
fascisti risparmiati dall’epurazione. Ma anche
perché la gran parte sono sostenuti dallo
Stato attraverso sovvenzioni e provvidenze
come per esempio i sensibili sconti sul prezzo della carta. Ancora velinari, molti periodici, nel pubblicare eventi che implicano
responsabilità da parte di organi dello Stato,
si attengono alla versione governativa, quella ufficiale, fornita dalle agenzia di stampa.
Da antologia resta il caso della morte di
Salvatore Giuliano, il bandito che scorazza
da ben sei anni in Sicilia.
Ubbidendo alla versione del Viminale diramata dall’agenzia Ansa, i quotidiani avevano
riferito ai loro lettori che il fuorilegge era stato
ucciso in un conflitto a fuoco con le forze
dell’ordine. La dichiarazione era stata avallata dall’intervista d’un capitano dei carabinieri
che aggiungeva “particolari” sul conflitto e
che rendevano l’informazione assolutamente veritiera. Bastò un’incursione in Sicilia del
giornalista Tommaso Besozzi, inviato
dall’Europeo, per smascherare la mistificazione: il bandito non era stato ucciso in uno
scontro a fuoco ma era stato assassinato dal
suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, nell’appartamento d’un caseggiato di Castelvetrano e quindi deposto nel cortile dello stesso
casamento, dove era stato trovato la mattina
del 5 luglio 1951.
Nonostante l’impegno giornalistico, L’Europeo, che Gianni Mazzocchi alla fine degli
anni Quaranta ha venduto ad Angelo Rizzo-
li, non soddisfa le attese del nuovo editore
che Edilio Rusconi con Oggi ha abituato alle
alte tirature che riesce a mantenere ospitando in copertina re e regnanti. Nel 1953 Benedetti riceve il benservito.
Superati gli anni Quaranta, il giornalismo
impegnato non rende in termini di tiratura.
Resta confinato nei giornali di partito che
non hanno problemi di bilancio perché in
ogni caso questo o è ripianato dai contributi
statali oppure dalle elargizioni delle forze
politiche ed economiche che di quei fogli si
servono. Collocati fuori dalla logica assistenziale, i settimanali restano legati in maggior
misura alla vendita delle copie e, in piccola
parte, alla pubblicità che è ancora piuttosto
limitata. Un po’ perché sono parecchi i direttori che temono d’annoiare il lettore con i
problemi che l’amara realtà del dopoguerra
propone in abbondanza e quotidianamente,
un po’ perché si scopre che il disimpegno
paga in termini di tiratura, il nostro l’ebdomadario si avvia verso la strada dell’evasione.
Scrive Benedetti: “Diventa coloritura eccessiva, mondanità, passatempo, uno strumento
per non affrontare i problemi, per convincersi
e convincere che la realtà sia diversa da
quella che è”.
Inviato della Stampa
pensando al giornale ideale
Questa è la ragione per la quale, il giornalista non ha alcun rimpianto nell’abbandonare
il settore per sperimentarsi nel giornalismo
quotidiano dove riveste il ruolo d’inviato
speciale per Stampa di De Benedetti. Lavorando per il giornale di Torino, il lucchese non
aveva rinunciato ad un eventuale ritorno al
settimanale. Riesaminando il periodo che
aveva trascorso nel mondo delle riviste egli
giudica positivamente l’esperienza ed individua i temi del giornale ideale che un giorno
forse avrebbe fatto; le grandi inchieste, le
indagini di costume che avevano reso celebre l’Europeo dei primi anni, il dietro le quinte di certe mondanità milanesi e romane, la
precarietà e lo squallore che si nascondevano dietro a quella che era chiamata la dolce
vita. Poiché aborriva le metropoli, avrebbe
voluto tornarsene in Toscana. Ma era vivo in
lui il desiderio “di fermare una realtà non
quietamente al tavolino, nella pace dello
studio” ma lavorando in equipe “utilizzando
parole altrui, facendole sue in una specie
d’eterogenea composizione”.
In questa inquietudine fecero breccia, durante un dopocena in casa di Eugenio Scalfari,
le parole di Franco Libonati, esponente del
partito radicale. “Bisogna fare un giornale”.
Per i requisiti politici, il finanziatore ideale di
quel foglio fu individuato in Adriano Olivetti, il
quale si dichiarò disposto a patrocinare l’iniziativa ma rivelò che le sue disponibilità
avrebbero potuto sopportare solo la metà
dell’oneroso impegno. Per l’altra parte bisognava trovare un socio. Questi fu riconosciuto (siamo nel 1954) in Enrico Mattei. Ma
bastò poco a Benedetti e a Scalfari per capire che se nel primo avevano trovato un
amico disposto a finanziarli, nell’altro avrebbero avuto un alleato sì, ma troppo coinvolto
in grossi giuochi che avrebbero potuto limitasegue
27 (31)
Arrigo Benedetti
Roma 1956. Arrigo Benedetti al suo tavolo di lavoro nella
redazione dell’Espresso.
Da sinistra: Enzo Forcella, Luigi Pintor, Enrico Mattei,
Angelo Gallotti; Eugenio Scalfari, Domenico Bartoli.
re l’autonomia del giornale. Il progetto fu ridimensionato e nel 1955 nacque l’Espresso
(che assorbì il settimanale Cronache con la
sua redazione) sostenuto oltre che da Olivetti, da Carlo Caracciolo, Roberto Tumminelli,
Riccardo Musatti e Geno Pampaloni.
L’intento di Benedetti era di “fare un giornale
che interessasse quella classe politica generale che è poi la classe dirigente e che nello
stesso tempo non è conformista”; “elaborare
uno stile oggettivo e nell’insieme ricco di motivi morali”; “condensare l’offensiva nei settori
della politica, dell’economia e dei problemi
sociali”. Voleva fare in sostanza un giornale
che fosse indispensabile alla classe dirigente
italiana affinché questa non indulgesse nei
suoi vizi tradizionali, nelle sue abitudini comode, per stimolarla, per contraddirla e per farla
magari soffrire.
dello stesso Benedetti, quella di Borsanti e il
figlio di Ugo La Malfa.
Mario Pannunzio con il Mondo aveva individuato i presupposti d’un’azione rinnovatrice
della politica italiana. Assumendone la direzione nel 1969, in un momento di massima
crisi della nostra società, Benedetti crede
opportuno di mettere sotto gli occhi del paese
la realtà nella sua concretezza: la mancata
riforma dello Stato da parte del centrosinistra,
la difesa della legge Fortuna-Baslini, la
necessità dell’abolizione del Concordato, la
lotta contro l’ipotesi d’una repubblica conciliare con Dc e Pci. Nel frattempo (e siamo nel
1972), il giornale passa di mano: Gianni
Mazzocchi lo vende alla Rizzoli che decide di
trasferirne la redazione a Roma. Benedetti si
rifiuta di traslocare nella capitale e con il
primo numero del 1973 lascia la direzione.
“Questa volta” assicura “mi ritiro sul serio” e
prende a scrivere per la terza pagina del
Corriere della Sera.
Il 30 agosto 1974 è colpito da un terribile
lutto: il figlio Alberto di 31 anni muore durante
una immersione subacquea nel mare della
Sardegna. Il 15 settembre il giornalista
manda al Corriere un elzeviro sulla circostanza dal titolo “Cos’è un figlio”. Il pezzo è
accompagnato da un biglietto diretto a
Barbiellini Amidei. “Caro Gaspare, ti mando
codesto elzeviro. È molto personale sebbene
cerchi di dire agli altri cos’è un figlio quindi
giudica tu se può andare nella prossima settimana. È un po’ lungo, però ogni parola esprime qualcosa di Alberto e di me. Grazie di
tutto. Affettuosamente. Arrigo”. L’articolo è
accolto in redazione con il timore che il recentissimo lutto abbia potuto aver logorato nel
suo autore il freno del pudore così sempre
vigile lui. Ma la lettura dissolve preoccupazione e disagio. Come scrisse più tardi Cassola
(quando il pezzo divenne un romanzo pubblicato postumo), Benedetti “tenne per sé lo
strazio offrendo agli altri una meditazione
sulla sua vita”.
L’Espresso fa irruzione
nel conformismo generale
Nel conformismo generale di quegli anni, il
lucchese avvertiva “una certa mollezza nel
giornalismo italiano, un certo inclinare verso
la complicità” mentre si sentiva nell’uomo
politico “una tracotanza nuova, quasi che,
cosciente della propria supremazia, fosse
disposto ad esercitarla quando necessario su
quel giullare del suo amico giornalista”.
Sembra uno spaccato della società di oggi.
È con queste premesse che vede la luce
l’Espresso. Il settimanale rispetta il programma che gli ha imposto il suo direttore. Ne
fanno fede le inchieste sulle aeree fabbricabili, sulla mafia in Sicilia, sulla crisi della famiglia italiana, sulla legge Merlin, sulle sofisticazioni alimentari, sulla Curia vaticana, sulla
paralisi dei partiti di centro legati a interessi
particolari, sulla necessità d’un legame tra
cattolici e socialisti. Qualcuna di queste indagini porta Benedetti in tribunale. In qualche
processo egli è condannato ma ne esce
vincitore dal punto di vista morale.
Nel 1963, non si è mai saputo bene per
quale ragione (forse per stanchezza), il giornalista lascia l’Espresso e si dedica alla sua
antica passione: la narrativa. L’anno successivo esce Il passo dei Longobardi. Seguono
L’Esplosione (1966) e Il ballo angelico
(1967). Nell’ottobre del 1969 non è la nostalgia per il giornalismo attivo a strappare
Benedetti alla sua passione letteraria (nel
1970 pubblica Gli occhi) bensì l’impegno a
continuare la battaglia civile del suo fraterno
amico Mario Pannunzio, che è morto nel
1966. Egli risuscita Il Mondo, che in segno di
rispetto verso l’indimenticato sodale, riprende dal numero ottocentonovantre. Il giornale,
stampato a Firenze, ha quale editore Gianni
Mazzocchi. C’è, naturalmente, una certa
qual differenza tra l’Europeo, L’Espresso, e il
Mondo: i primi due erano settimanali d’attualità, mentre il Mondo, è una rivista politico
letteraria. Benedetti vi mette lo stesso impegno organizzativo che aveva esplicato nel
fare le due riviste prestigiose. Scrive: “Tutte
le volte che ho fatto un giornale ho chiuso gli
occhi come quando si affronta un rischio. In
questi casi bisogna abbandonarsi”. Il settimanale ha una redazione che riunisce più
generazioni di giornalisti ed ospita figli d’illustri collaboratori. Con Carlo Cassola, Ennio
Flaiano, Manlio Cancogni e Mario Tobino,
lavorano il figlio di Giorgio Granata, la figlia
28 (32)
Con l’iscrizione al Pci
sconcerta l’establishment
Il lutto non spegne in lui la voglia di scrivere.
Nell’anno 1974 manda alle stampe Rosso al
vento. L’anno successivo sconcerta l’establishment della sinistra moderata annunciando
la sua iscrizione al partito comunista. A chi gli
fa rilevare una certa contraddizione tra il suo
liberalismo e il comunismo replica: “Un liberale italiano che deve cambiare partito approda
facilmente al partito comunista che in fondo
ha la stessa matrice culturale”.
Nasce sul rapido Milano-Roma
l’avventura di Paese Sera
Benedetti non finisce ancora di sorprendere.
Nel mese di novembre del 1975, viaggiando
sul rapido Milano-Roma s’imbatte in due
esponenti del partito comunista.
Sono Gerardo Chiaromonte e Gianni Cervetti. Dopo aver chiacchierato di giornali, i due
uomini politici gli chiedono: “Benedetti, lei
farebbe il direttore di Paese Sera? Il giornalista risponde senza indugio:”Sì”. Raccontando questa vicenda dirà più tardi:” Temo che
mi abbiano dato una fregatura”.
L’anno prima il giornalista aveva subìto un’operazione al rene. La moglie gli ricordò
quanto fosse faticosa la vita nel quotidiano
specialmente per uno come lui, ormai
sessantacinquenne, che era reduce da
un’intervento molto delicato.
Ma l’uomo, che appariva rinvigorito, rispose:
“Alla mia età o si è morti o si è vivi”.
Nella redazione del quotidiano comunista
romano, Benedetti ritrovò la verve e la creatività degli anni del dopoguerra.
Lo si poteva vedere spesso con le forbici in
mano intento a “scorciare” lunghi pezzi di
agenzia o “articolesse”, sospinto anche
dalla sfida che gli aveva lanciato il suo antico discepolo Eugenio Scalfari che il 14
gennaio 1976 aveva mandato in edicola
Repubblica.
Un segno del totale impegno che egli mette
nel confezionare Paese Sera è la compilazione d’un decalogo diretto ai suoi redattori
e che il lettore di quest’articolo potrà trovare
contornato a parte.
Purtroppo il fervore che lo coinvolge nel
defaticante lavoro che richiede la direzione
d’un quotidiano non è sostenuto da una
salute adeguata.
Ricoverato in ospedale, egli si spegne il 26
ottobre 1976 a sessantasei anni. Usciranno
postumi ancora due suoi libri: Cos’è un figlio
(1977) e Diario di campagna.(1977).
L’editore
Gianni
Mazzocchi
con Alberto
Moravia e
Arrigo
Benedetti,
allora direttore
dell’Europeo
ORDINE
1
2005
RICONOSCIUTO IL CREDITO ATTRAVERSO LO SPORTELLO LEGALE DELL’ORDINE DI MILANO
Articoli non retribuiti secondo Tariffario:
“Il Mattino” condannato a pagare
di Annamaria Delle Torri
Giornalista non pagato secondo il Tariffario
del Cnog, editore condannato. La sentenza
è stata pronunciata recentemente dal magistrato milanese al quale si è rivolta la
collega O.G. che ha chiamato in causa con l’assistenza dell’avvocato Luisella
Nicosia di Milano - Il Mattino di Napoli per
una serie di articoli commissionati (in larga
parte pubblicati) e mai retribuiti prima
dell’avvio della contestazione legale. L’editore del quotidiano partenopeo, in forza
della decisione del giudice, ha così dovuto
provvedere al pagamento delle somme
dovute alla giornalista con l’aggravio degli
interessi legali maturati sulla somma debitoria e delle spese procedurali.
Ma vediamo come sono andate le cose.
Dopo aver lavorato per Il Mattino di Napoli
(edito dalla Società-Edizioni Meridionali
SpA), mai essendo stato fissato nel quantum
il compenso da riconoscerle per ogni singolo
servizio pubblicato, la giornalista O.G. decideva, rivolgendosi al servizio di patrocinio
legale fornito gratuitamente ai propri iscritti
dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, di
agire giudizialmente con un ricorso per
decreto ingiuntivo, a fondamento del quale
produceva copia degli articoli scritti, la
propria notula e il parere di congruità rilasciato dal presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Nel caso di specie, si
trattava di 10 servizi (8 dei quali regolarmente pubblicati e 2 commissionati dall’editore,
puntualmente consegnati nei tempi pattuiti e
non pubblicati per successive diverse scelte
editoriali del quotidiano al quale erano stati
diretti). A titolo di prova la ricorrente allegava, come s’è detto, le copie dei giornali
contenenti gli articoli pubblicati, le copie degli
articoli consegnati e non pubblicati e copia
di corrispondenza, intercorsa con l’editore,
dalla quale emergeva la richiesta del lavoro
eseguito (per quanto riguardava il non
pubblicato). Sulla base del parere di congruità rilasciatole dall’Ordine, O.G. aveva
ottenuto dal giudice di pace di Milano l’emissione di un decreto ingiuntivo per la somma
di euro 2.520,31, oltre all’attribuzione degli
interessi legali e delle spese.
All’ingiunzione, la società editrice, accampando un preteso accordo intervenuto anteriormente alla commissione dei servizi,
aveva proposto opposizione, contestando
la legittimità del decreto ingiuntivo, chiedendone la conseguente revoca per avere la
società, all’atto del ricevimento della lettera
di contestazione del legale, pagato una
minima e parzialissima somma che pretestuosamente aveva indicato come quella
globalmente concordata, non solo invocando nel caso di specie la non applicabilità
delle tariffe professionali per il preteso
accordo tra le parti (in realtà mai stabilito)
ma anche contestando l’ordine di realizzazione dei due servizi successivamente non
pubblicati. In sostanza, la ricorrente, ritualmente costituitasi, assumendo di aver già
dato la prova della corretta esecuzione
delle prestazioni e quindi di aver già ampiamente assolto il proprio onere probatorio,
contestava la sussistenza di qualsivoglia
preteso accordo sul quantum, attribuendo
alla controparte l’onere di provare il contrario. A questo punto, il giudice concedeva la
provvisoria esecuzione del decreto e, pur
avendo ripetutamente invitato le parti a una
conciliazione, doveva dare atto del fallimento di ogni composizione bonaria, per la
stessa mancata comparizione del legale
rappresentante della società editrice. All’esito della fase istruttoria, emergeva la totale
infondatezza dell’eccezione della società
opponente, essendo ampiamente risultato
come le parti, prima della commissione dei
servizi, avessero solo concordato gli argomenti più interessanti per la pubblicazione,
senza in alcun modo mai definire l’entità del
compenso da riconoscere per la prestazione della giornalista.
A conclusione del giudizio, il giudice di pace
di Milano confermava il decreto ingiuntivo
opposto, dichiarando infondata l’opposizione
della società editrice e, conseguentemente,
respingendola “non essendo intercorso tra le
parti alcun accordo sull’importo da corrispondere alla sig.ra O.G. per l’attività professionale svolta e pertanto facendo fede le
tariffe professionali, liquidate dal competente
Ordine professionale, in base al quale l’opposta ha inviato la propria nota e, in mancanza di pagamento, ha richiesto il decreto
ingiuntivo per cui è causa” (sent. n. 5399/04
del 04.05.2004 GdP Milano).
La sentenza del giudice di pace, se ancora
ve ne fosse stato bisogno, conferma, dunque, la validità che possono avere oggi per
un professionista, che svolge attività giornalistica in modo autonomo, le tariffe professionali approvate annualmente dall’Ordine nazionale dei giornalisti e alle quali l’Ordine
stesso invita sempre a riportarsi per concordare il giusto ed equo compenso. E questo
nonostante i dubbi sollevati in alcune circostanze (posto che non sempre risulta di facile applicazione, all’atto pratico, il ricorso a tali
parametri tariffari) sulla liceità delle cifre
fornite dall’Ordine professionale che potrebbero essere disattese - secondo talune errate ipotesi - avendo esse solo valore indicativo di massima.
Non è così, purché, però, ricorrano le condizioni di legge. Il nostro ordinamento, infatti,
risulta chiaro in proposito. Precisa che al di
là delle volontà delle parti, fanno fede le tariffe approvate dagli Ordini professionali
competenti (art. 2225 c.c.) e che il compenso va stabilito dal giudice tenendo conto,
appunto, di quelle indicazioni. Ma, attenzione, esiste un’unica possibilità di derogare da
questa regola: ed è quando le parti (l’editore
o il giornalista) riescano a dimostrare di aver
concluso un accordo diretto e di avere determinato un certo compenso per ogni prestazione (ancorché inferiore alle tariffe dell’Ordine). Partendo da queste premesse, è bene
sgombrare il campo da ogni altra pericolosa
e diversa interpretazione.
L’argomento risulta di particolare interesse
proprio per i giornalisti, per i quali, in molti
casi, non risultano essere stati conclusi
accordi diretti (editore-collaboratore), sul
quantum da corrispondere a titolo di
compenso per la prestazione professionale
richiesta e concessa. Ricorrendo questa
ipotesi, il professionista - come nel caso
descritto - può ottenere, dal competente
Ordine, parere di congruità sulla propria nota
di compenso, stilata tenendo conto delle
tariffe in vigore; e può successivamente agire
in giudizio per il riconoscimento giudiziale di
quanto dovutogli, in via preferenziale richiedendo al giudice l’emissione di un decreto
ingiuntivo, dando in tal modo luogo a un
procedimento sommario più veloce. Va però
precisato che la parte ingiunta ha sempre
facoltà di proporre opposizione, nei quaranta
giorni successivi alla notifica, al fine di
instaurare un giudizio ordinario di cognizione, nell’ambito del quale il giudice ha modo
di accertare, nel merito, l’effettiva fondatezza
del credito azionato e la validità delle eventuali eccezioni e contestazioni sollevate a
propria difesa dalla società debitrice. Si tratta
di “episodi” molto frequenti e di procedure
alquanto diffuse nella pratica giudiziaria riferita a vertenze come quella citata. E le pronunce del giudice sono ugualmente numerose e tali da dare corpo a una copiosa giurisprudenza.
DAL SETTIMANALE INTERNAZIONALE 556 DEL 10 SETTEMBRE 2004
Le gaffes dei giornali. Quando un titolo
o una didascalia stroncano una carriera
David Randall
È difficile mettere in imbarazzo un giornalista, ma la settimana scorsa uno dei redattori
del mio giornale c'è riuscito. E alcuni di noi;
di solito considerati totalmente insensibili da
mogli e compagne, non hanno più smesso
di arrossire. Tutto è successo, come sempre,
nel modo più improbabile. Il nostro corrispondente da Berlino ci ha inviato un articolo sui
lavori di restauro dello stadio olimpico della
città, costruito nel 1936, e ha citato il fatto
che proprio lì Jesse Owens conquistò quattro medaglie d'oro. L'ho passato ai grafici, e
l'articolo è stato impaginato e rivisto dai
correttori.
Tutto come al solito. Poi, a tarda notte, un
redattore alla ricerca di qualcosa da fare ha
deciso di "migliorare" il pezzo, e così sul giornale è uscito che “la velocista Jesse Owens
conquistò quattro medaglie d'oro”: la maggior parte dei nostri lettori avrà pensato che
secondo noi Jesse Owens era una donna.
Inutile dire che non è così. Ma questo ha
portato alcuni dei miei colleghi a discutere
sugli errori commessi dai giornali e, siccome
ci sono ben poche cose che consolano
quanto le gaffe degli altri, ho pensato di rallegrare un po' questi giorni di fine estate
scegliendo qualche altro esempio.
ORDINE
1
2005
Didascalie impazzite. Alcuni degli errori più
spettacolari riguardano le fotografie. L'anno
scorso il Newbury Weekly News, un giornale
locale del sud dell'Inghilterra, ha dovuto ritirare dalle edicole tutte le copie perché un
articolo su un prete accusato di usare pornografia infantile era accompagnato dalla foto
di un altro religioso assolutamente irreprensibile.
Immagini poco familiari possono facilmente
creare equivoci, come provano le scuse
pubblicate una volta negli Stati Uniti dal
Pasack Valley Communíty Life: "Nel numero
della scorsa settimana, sotto una foto apparivano i nomi di alcuni piatti insoliti serviti a
una festa della Westwood Library. La studentessa Mai Thai Finn era al centro della fotografia e per errore il suo nome è stato elencato tra le specialità del menù".
A questo proposito, il mio giornale ha
commesso la sua gaffe peggiore una volta
che voleva inserire in un articolo una foto di
Gandhi. Purtroppo, l'immagine pubblicata
non era quella del grande leader ma dell'attore Ben Kingsley che l'ha impersonato in un
film. Per citare un errore di quelli che ti
lasciano col cuore in gola e ti fanno dire
"grazie al cielo non l'ho commesso io", bisogna però pensare allo scozzese Southern
Reporter. A provocare questo particolare
incidente fu la sconsiderata abitudine dell'im-
paginatore di scrivere alcune battute scherzose al posto delle didascalie, presumendo
che un collega della redazione le avrebbe
sostituite prima che la pagina andasse in
stampa. In quel caso non accadde. La foto
ritraeva un gruppo di persone che partecipavano a una cerimonia tradizionale scozzese
e sotto c'era scritto: "Chi sono questi coglioni? Che diavolo sta succedendo in questa
fotografia? Per la sua sanità mentale la gente
dovrebbe uscire più spesso". Fine di una
carriera.
Poi ci sono le idiozie di quelli che scrivono i titoli. Alcune derivano dal fatto che l'autore non si rende conto di tutte le implicazioni delle parole che usa: "L'evaso con una
gamba sola è ancora in fuga" -The Australian; "L'uomo affogato nel Tamigi aveva bevuto" - Reading Chronicle; e "Scomparsa la
donna più magra dell'anno" - DailyMail.
Altre tradiscono un'abilità quasi sovrumana
nell'affermare l'ovvio: “Festa interrotta dopo
l'assassinio di una donna”- Mooresville Tribune, North Carolina; e “Alcuni adolescenti
assumono un'aria di sfida”- The Washington
Post.
Ma in generale gli errori di redazione sono
molto meno comuni di quelli dei giornalisti,
la maggior parte dei quali non arrivano mai
ai lettori perché i revisori li vedono prima. A
volte è impossibile individuarli, come capitò
in un caso anche al New York Times, che
pubblicò una frase con ben cinque errori: un
esempio di pessimo giornalismo.
Esilarante rettifica. In questo campo, la mia
gaffe preferita è la rettifica pubblicata a
Newcastle, nel nord dell'Inghilterra, a proposito di un articolo su una donna morta a
causa di una malattia rara. Diceva: "Vorremmo precisare che non andò dal suo medico
perché aveva una macchia sulla gamba e lui
non le prescrisse un antidolorifico. Non tornò
dal dottore per una seconda visita né fu ricoverata in ospedale il 26 ottobre. Non fu portata di corsa in sala operatoria e la sua morte
non fu dovuta a un collasso degli organi. Inoltre, suo padre ha 45 anni, non 52 come
abbiamo affermato, sua madre 46, non 50, e
sua sorella 26 e non 27".
Per concludere, vorrei citare la più esilarante
rettifica nella storia del giornalismo. È stata
pubblicata dal Boston Globe: "Nella nostra
recensione della settimana scorsa, alcune
affermazioni fatte da Gatto Silvestro sono
state erroneamente attribuite a Duffy Duck"
------------------David Randall è senior editor e columnist del
settimanale Independent on Sunday di
Londra. Ha scritto The universal journalist,
che sarà pubblicato in Italia da Laterza.
29 (33)
“IL GIORNALE ERA DON ANDREA E DON SPADA ERA L’ECO”
M E M O R I A
Don Andrea
Spada in una
foto
dell’archivio
dell’Ordine di
Milano.
Don Andrea
svolse il suo
ministero di
cappellano su
una nave
ospedale e sui
sommergibili
dove era
imbarcato
negli anni '40 .
Qui è a
colloquio con
una
crocerossina.
Celebrando i funerali di monsignor Andrea Spada, sacerdote,
giornalista, direttore de L’ Eco di Bergamo per 51 anni (morto l’1
dicembre scorso), il vescovo mons. Roberto Amadei ha detto:
“la sua vivace e penetrante intelligenza, la ricchezza del suo
cuore, la chiarezza della sua arte nello scrivere, sono sempre
state a servizio della speranza del Signore: aiutare gli abitanti di
questa amata terra a conoscersi nelle diverse ricchezze e
povertà, a dialogare costruttivamente, a tentare di non subire gli
eventi ma a gestirli per il bene del comune cammino; a mantenere mente e cuore aperti al di là dei limitati confini provinciali;
interpretando con speranza la convulsa storia del secolo scorso. Con speranza, perché nella cronaca quotidiana non vi
leggeva esclusivamente il negativo, ma vi scorgeva e tentava di
far scoprire a tutti i molti semi di bene”.
Don Andrea Giornalismo
come missione
Spada
di Sergio Borsi
Ho citato in apertura un passo dell’omelia del
vescovo di Bergamo perché Andrea Spada è
stato anzitutto un sacerdote al quale è stato
affidato il compito di evangelizzare con lo scritto, attraverso uno strumento di straordinaria
efficacia, quale appunto è il giornale quotidiano. E per questa missione ha profuso tutte le
sue energie, difendendo coraggiosamente
L’Eco di fronte a quanti non hanno capito la sua
ragione d’essere, proteggendolo di fronte ai
molti nemici nel corso di mezzo secolo di direzione, aiutandolo a vivere quando mancavano
i soldi per stamparlo, facendolo crescere con
assoluta determinazione in mezzo alla gente e
affermandolo per autorevolezza.
Io penso che il grande merito di monsignor
Spada non vada ricercato solo nei suoi 51 anni
di direzione (1938-1989). Senza andare troppo
lontano da Bergamo, cioè a Brescia, abbiamo
il direttore, laico e non sacerdote, del quotidiano provinciale che sta segnando significativi
primati. Ciò che ritengo rilevante è l’interpretazione del giornalismo, della professione come
missione. “Fin dall’inizio della sua missione –
cito sempre il vescovo Amadei – ha chiesto ai
suoi collaboratori di coltivare un cuore capace
di lasciarsi illuminare dalla gioia di ognuno”.
Certo sono valori che si possono trovare solo
nelle realtà locali, dove la conoscenza è quasi
personale, il contatto umano è quotidiano, il
volgere della vita è seguito passo dopo passo
e pertanto è più facile cogliere tutte le tensioni
e i sussulti della comunità. Don Spada è stato
interprete magistrale di tutto questo e ha insegnato ai suoi successori a essere attenti osservatori della vita della gente, collocandosi allo
stesso livello per vedere più da vicino. “Il monumento vero sarà il suo giornale se riuscirà a
custodire e sviluppare l’anima che gli ha dato”,
conclude l’omelia del Vescovo.
Uno “scalvino” non poteva
mai rassegnarsi e cedere
È diventato in pochi mesi giornalista professionista e direttore. Correva l’anno 1938. Il Novecento è stato un secolo terribile con due guerre, grandi crisi, distruzioni, migliaia di morti,
genocidi, carestie. Solo sul finire abbiamo registrato i primi consistenti segni di crescita. In un
secolo così complesso e carico di contraddizioni è facile immaginare quanto difficile fosse
dirigere un giornale. Ma il progetto di Spada è
sempre stato quello: servire, evangelizzare,
comunicare, aiutare a crescere.
Ad un certo punto, credo a metà degli anni ’60,
il Papa di quel tempo, Paolo VI, chiese a tutti i
quotidiani cattolici di sospendere le loro pubblicazioni e far convergere i loro sforzi per la
nascita e l’affermazione di un solo grande
quotidiano cattolico a diffusione nazionale.
Così, uno dopo l’altro, chiusero l’Italia, l’Avvenire d’Italia, il Quotidiano, il Cittadino e forse altri
ancora. L’unico che continuò le sue pubblicazioni fu L’Eco di Bergamo. Non per disobbedienza, ma per la convinzione radicata che
fosse assai più efficace sul territorio la presenza di giornali a diffusione provinciale, ben strutturati, economicamente autosufficienti. Certo
era un’impresa difficile, ma non impossibile.
Don Spada è nato a Schilpario, in valle di Scalve. Tempra montanara, ma non solo: abituata a
soffrire, a rinunciare, ad accontentarsi di poco
per vivere. In quel piccolo paese ci si arriva
30 (34)
percorrendo la “via mala”, tanto per intenderci.
Immaginate se uno “scalvino” avrebbe mai
potuto rassegnarsi e cedere, dichiararsi sconfitto e ritirarsi. Mai e poi mai. Così, stringendo i
denti e talvolta asciugandosi le lacrime, don
Andrea è andato avanti per consegnare il giornale, più forte che mai, nelle mani dei suoi
successori.
Un pizzico di umanità,
una certa sensibilità
Giustamente Vittorio Feltri, che dell’Eco è stato
redattore, ha scritto: “Il giornale si è rinnovato,
ha cambiato veste, ma sotto sotto è rimasto la
creatura del nostro vecchio maestro, prete fino
al midollo e direttore ruvido e severo. Difficile
mutare un foglio impastato con la vita stessa di
un uomo importante; non a tutti piaceva ma tutti
lo stimavano”.
Le autorità civili di Bergamo hanno detto “ha
fatto la storia di questa città”; monsignor Capovilla, segretario di Papa Roncalli, ha svelato che
“era il consigliere di Giovanni XXIII”; i giornalisti
e i collaboratori hanno raccontato centinaia di
episodi curiosi e di aneddoti utili a rafforzare nei
contorni la figura di questo direttore, dal carattere difficile, un esigente cesellatore di notizie e
di commenti. “Non amava gli aggettivi – ricorda
Franco Cattaneo che gli fu a fianco per alcuni
anni – e nei titoli non voleva i verbi. Dai cronisti
esigeva la capacità di farsi leggere e comprendere. Di andare subito al cuore della notizia.
Chiedeva qualcosa di più rispetto agli standard:
un pizzico di umanità, una certa sensibilità nel
presentare le notizie. Pretendeva che i suoi
giornalisti non fossero neutrali rispetto al
mondo che li circondava e che dovevano
raccontare”.
“Esempio di giornalismo equilibrato, sobrio,
attento interprete degli interessi dei lettori” ha
scritto Ciampi nel messaggio di cordoglio. Ma
lui, don Spada, cosa pensava del ruolo di un
giornale, sempre difficile e complesso? Ecco
cosa scrisse nell’estate del 1977: “Occorre
vincere la tendenza che è tipica dei politici
verso la loro stampa, cioè fare il giornale per i
gerarchi e per gli iscritti. Il quotidiano fatto per il
Papa, per i vescovi, per i preti, le monache, i
cattolici impegnati che non ne hanno bisogno.
Un quotidiano non deve pestar l’acqua nel
proprio mortaio, ma inventare strumenti di
penetrazione, ad extra. Una presenza cristiana. Ma per essere presenza vera ed efficace
deve essere intelligente e discreta”. Quanti articoli ha scritto nella sua lunga attività professionale? Chi lo ha conosciuto e frequentato dice
“almeno ottomila”. Molti dei suoi editoriali
mantengono la loro attualità. La loro freschezza, il loro significato, da antologia.
Una simbiosi perfetta,
impossibile da separare
Una direzione durata più di mezzo secolo è
naturalmente stracolma di episodi, di comportamenti, di giudizi. Inutile tentare di ricordarli,
neppure in ordine sparso. Si sa che un’azienda
editoriale, sul modello di quelle che noi conosciamo, non riuscirebbe mai a garantire una
direzione duratura nel tempo. Per monsignor
Spada bisogna dire che la proprietà del giornale è sempre stata della curia vescovile di
Bergamo e questo ha di molto facilitato il lungo,
infinito cammino del nostro direttore. Anche se
i vescovi che si sono succeduti alla guida della
diocesi bergamasca avrebbero potuto decidere il cambio. Ma questo non fu possibile perché
il giornale era don Andrea e don Spada era
l’Eco. Una simbiosi perfetta, impossibile da
separare. Anche rispetto ad altri sacerdoti-giornalisti nominati direttori di quotidiani.
Franco Abruzzo al direttore e ai redattori dell’Eco di Bergamo:
“Con don Andrea Spada,
perdiamo il nostro decano
e un simbolo alto
della nostra professione.
Voi, il Maestro e la Guida”
Milano, 1 dicembre 2004. Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, appresa la notizia della scomparsa di don Andrea
Spada, ha indirizzato un messaggio al direttore e ai redattori dell’Eco di
Bergamo: “Con don Andrea Spada, perdiamo il nostro decano e un simbolo
alto della nostra professione. Don Andrea, medaglia d’oro dell’Ordine dei
giornalisti della Lombardia, ha agito sul fronte della professione per 67 anni,
la sua direzione di 51 anni resterà un record insuperabile. L’Eco di Bergamo
con lui è diventato un grande quotidiano, che ha saputo (e sa coniugare) l’attenzione per la propria provincia (la terra di Papa Giovanni XXIII), per la
Lombardia, per l’Italia. So che il dolore è grande tra voi, colleghi dell’Eco.
Avete perso il Maestro e la Guida. Un Uomo di straordinaria professionalità e
di straordinaria moralità, Un esempio per noi tutti di dedizione al lavoro,
vissuto come missione al servizio dei lettori. Oggi l’Albo è più povero”.
ORDINE
1
2005
I P R O TA G O N I S T I
“Pelle per pelle. Tutto quanto l’uomo possiede, è pronto
a darlo per salvarsi la vita”.
Con queste parole, nella Bibbia (Giobbe 2,4), Satana si
rivolge a Dio. Oggetto della “contesa”, Giobbe, l’uomo
di fede, che il demonio ha già, con il permesso del
Signore, messo a durissima prova, privandolo prima di
tutti gli averi e poi dei dieci, splendidi figli. “Consentimi
di triturargli carne e ossa e sentirai che odore acre, con
gemito di imprecazioni e bestemmie ne uscirà”. Ancora
una volta, Dio acconsente.
Ma la risposta di Giobbe è sempre la stessa: “Dio ha
dato, Dio ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”. Il
diavolo esce di scena. E Giobbe, l’uomo retto e timorato di Dio, sarà ricompensato: vivrà fino a centoquarant’anni, riceverà il doppio degli averi che gli erano stati tolti, avrà dieci, splendidi figli.
Don Luigi
Verzé
di Patrizia Pedrazzini
Pelle per pelle è il titolo dell’ultimo libro di don Luigi Verzé, il
sacerdote che, nel 1971, diede corpo, fra Milano e Segrate,
al primo nucleo del progetto al quale avrebbe dedicato tutta
la vita: l’ospedale San Raffaele.
Scritto con Giorgio Gandola, giornalista de il Giornale, di agile e piacevole lettura, racconta la storia di un uomo e del suo
sogno. Ma si configura anche come uno spaccato di gran
parte del nostro Novecento, dal primo dopoguerra ai tempi
odierni.
L’avventura di quello che, oggi, è uno dei primi dieci istituti
del mondo prende avvio dalla nascita del suo fondatore, il 14
marzo 1920, a Illasi, paese della campagna veronese ai piedi della Lessinia. Famiglia ricca, quella del piccolo Luigi
Verzé, di latifondisti, “cattolica, praticante, ma - anche per via
delle beghe fondiarie - poco incline al bigottismo”.
Quarto di sei figli, il bambino ha otto anni quando, giocando
a nascondino con i fratelli, “si ritrova solo sulla scala che
scende alla grande cantina. E lì, nel silenzio, avverte una voce che dice: Che importa all’uomo conquistare tutto il mondo
se poi perde l’anima?”.
È l’inizio. Nel ‘48, un anno dopo la laurea in Lettere classiche
e filosofia, e nonostante l’aspra opposizione del padre, è ordinato sacerdote.
Da questo momento il lettore viene condotto per mano attraverso una galleria di personaggi che hanno segnato, a vario
titolo, la storia del secolo scorso.
Don Giovanni Calabria, oggi santo, fondatore a Verona della
“Congregazione dei poveri servi della Divina Provvidenza”,
che un giorno, il 12 ottobre 1950, chiama don Verzé e così gli
dice: “Và. È il Signore che ti manda. A Milano nascerà una
grande opera che farà parlare di sé l’intera Europa”. Il cardinale Ildefonso Schuster, oggi beato, che cinquantadue anni
fa, in una Milano disseminata di macerie, gli regala il crocifisso che san Carlo Borromeo pregava ogni minuto nei giorni
della peste di manzoniana memoria: “Mettilo sul tuo tavolo
Don Luigi Verzé con Giorgio
Gandola, Pelle per pelle. L’avventura del San Raffaele raccontata dal suo fondatore, Mondadori, pagine 162, euro 16,00
L’avventura del San Raffaele
raccontata dal suo fondatore
quando avrai fatto l’ospedale”.
L’arcivescovo Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo
VI, il quale da un lato lo sostiene e dall’altro lo frena, aprendogli “gli occhi su un certo atteggiamento ecclesiastico”, e
che con queste parole, alla fine del 1961, tenta di dissuaderlo: “A Milano, chiunque metta in piedi una pompa di benzina
cava i soldi facilmente. Sono cose buone, ma sono laiche.
Come laica è l’opera che lei sta realizzando. Torni a Verona a
fare il buon prete”.
Fidel Castro, che don Verzé incontra nel marzo del ‘92, offrendogli in dono spaghetti, pomodori, vino Recioto e olio del
suo monte Tabor, nel Veronese, perché “adorava il cibo italiano”. “Finché una mattina, nella posta, don Luigi non trova
una busta proveniente da Cuba. Dentro c’è una foto, soltanto
una foto: mostra il dittatore nella cattedrale dell’Avana. Lui
che non era mai entrato in una chiesa, e che quest’accusa
se l’era vista agitare davanti al volto da don Luigi, sta guardando il crocifisso. E sorride”.
Muhammar Gheddafi, che - è il 1997 - lo riceve in una tenda
nel deserto libico e che gli appare “come un profeta”.
E poi padre Agostino Gemelli e Bettino Craxi, Francesco
Saverio Borrelli e madre Teresa di Calcutta, don Luigi
Giussani e Silvio Berlusconi, Enrico Mattei e Palmiro
Togliatti. In un continuo oscillare fra sacro e profano, fra misticismo e pragmatismo, fra diplomazia a spregiudicatezza.
Sempre all’inseguimento di quel sogno, il San Raffaele (che,
una volta realizzato, diverrà un modello da esportare nel
mondo: in Brasile, Cile, Polonia, Cina, India, Israele, Uganda,
Nicaragua, Mozambico).
Sempre inseguito da quel sospetto: ma dove li va a prendere
i soldi?
“Don Verzé, si ricordi che non sono i soldi i fare le idee, ma le
idee a fare i soldi”, gli aveva detto - era la metà degli anni
Cinquanta - l’allora ragioniere capo del Bilancio al Comune
di Milano, Giuseppe Paris. Oggi, questo sacerdote che non
senza malignità molti definiscono “prete manager” (“Perché
no? Dio è il più grande manager che conosciamo. Ha fabbricato il mondo e noi stessi”), così dice: “Quanto ai soldi, io so-
no inetto a chiedere. Ma coltivo le idee e la loro capacità di
calamitare le risorse necessarie”.
Oggi don Luigi Verzé ha 84 anni, alle spalle due infarti e una
vita piena di avventure, non sempre dall’esito positivo, come
quando, alla fine del ‘98, la decisa opposizione dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi lo costringe a vendere il San
Raffaele di Roma.
Una vita comunque ricca, che il libro dipinge nel suo alternarsi di successi e di persecuzioni, di riconoscimenti e di
condanne, di critiche e di consensi. Ma, sempre, di coraggio
e di fede.
È il 16 giugno del 1961 quando, per la prima volta, va a vedere, alla periferia est della città, oltre via Palmanova e il Parco
Lambro, quell’immensa marcita-risaia di proprietà del conte
Leonardo Bonzi sulla quale sarebbero sorti uno dei più moderni ospedali e uno dei centri di ricerca più avanzati del
mondo: “Il silenzio era immenso, solenne e desolato. C’erano
acquitrini a perdita d’occhio, qualche cascinale, stalle, concimaie, filari di pioppi. Pensai a quella risaia piena di rane come alla metafora di un’umanità abbandonata, in attesa di Dio
che guarisce, Refa-El in aramaico”.
“Pelle per pelle: la vita di Dio contro la mia vita e la mia vita
contro la tua: è l’eroismo che io chiedo ai medici e agli infermieri. Ed è l’alto valore della dignità umana nella sofferenza.
Un impegno che si è trasformato in imperativo un giorno, al
capezzale di un ragazzo malato di Aids. Qui finalmente - mi
disse - posso morire vivo”.
Un’autobiografia, dunque, ma non solo. C’è un capitolo, nel
libro, il quattordicesimo, riservato a quello che ha tutte le caratteristiche di un testamento spirituale.
“Della mia vita poco mi importa. Del raccontarla in un libro
ancora meno. Ma questo voglio che resti, perché in queste
quattro pagine c’è l’essenza del mio pensiero. E c’è la strada
indicata dal mio cammino”.
Si chiama “Dieci pensieri per il prossimo Papa”, perché “se
io, Verzé, fossi stato papa al posto di Wojtyla, avrei fatto le
stessissime cose che lui ha fatto”, ma adesso “va guardata in
faccia la nuova terra, dove Wojtyla ci ha traghettati”.
L’INTERVISTA
“Non potrò dirmi soddisfatto finché esisterà
un solo uomo malato sulla terra. Non è un’utopia, è il contenuto della mia vita e il viatico
che lascio ai Sigilli, quelli che dopo di me
continueranno il San Raffaele”.
Sono trascorsi esattamente 33 anni da quando - era il 31 ottobre 1971 - il primo paziente
fece il suo ingresso al San Raffaele. Oggi
questo ospedale è uno dei primi dieci istituti
del mondo. Ma don Luigi Verzé non ha ancora imparato a fermarsi, perché, come dice
nel libro, “quando vedo una cosa da fare,
ritengo che debba essere fatta subito. E
finché non arrivo a quaranta Sigilli, io da
questa vita non mi muovo”. I “Sigilli” sono i
suoi collaboratori più stretti, quelli che hanno
il compito di gestire l’Opera nei quattro continenti.
“Pelle per pelle”: nella Bibbia sono parole
di Satana. Non è singolare, don Verzé, che
proprio una frase del demonio dia il titolo
a un libro che parla della vita di un sacerdote e della realizzazione di un sogno, il
San Raffaele, che, per quanto laico, è
comunque ispirato al comando di Gesù:
“Guarite gli infermi”?
“La citazione del libro di Giobbe che ho voluto come titolo del libro non è una semplice
provocazione letteraria. È la constatazione
che non c’è nessun prezzo per la salute di
un uomo: la mia vita per la tua. Tutto deve
essere fatto per fare di un uomo malato un
uomo sano. Occorre la capacità il volere, il
ORDINE
1
2005
“La salute
dell’uomo
non ha prezzo”
sacrificio del fare, la certezza di combattere
per una causa giusta. Questa è la sfida della
medicina sacerdozio che chiedo ogni giorno
a me stesso prima di tutto, e ai miei collaboratori”.
Nel libro, lei sostiene che il nuovo pontefice sarà chiamato ad affrontare problemi
quali, fra gli altri, il celibato del clero, il
conferimento dei sacramenti ai divorziati,
l’uso di anticoncezionali, la procreazione
assistita.
“Non voglio nessuna rivoluzione. Sono un
uomo della Chiesa che ama la Chiesa. Amo
questo pontefice che considero l’icona vivente di Cristo, anche per la sofferenza che sta
portando quotidianamente. Nel mio libro
spero, mi auguro, che la Chiesa cammini
sempre più affianco all’uomo. Non fredda
magistra vitae, ma madre e sorella. Affrontare i temi citati vuol dire riaffermare il primato
di Cristo fatto uomo che viene prima di ogni
regola. Facciamo cultura sull’incarnazione.
Solo così gli uomini possono capire precetti
e regole che altrimenti saranno sempre più
lontani”.
Poche pagine prima, però, così definisce
il cardinale di Milano Carlo Maria Martini:
“È un uomo più prudenziale che coraggioso. Non è freddo, ma è statuario,
dottrinario, scolastico. Non ha iniziative
se non d’ordine. Dio lo aiuti”. Eppure, nel
‘99, il cardinal Martini non solo si era fatto
sostenitore, al Sinodo dei vescovi d’Europa, di innovazioni analoghe, ma si era
spinto a proporre la necessità di un
nuovo Concilio Vaticano. Le sembra il
comportamento prudenziale di un uomo
d’ordine?
“La frase si riferisce a un appunto del mio
diario dopo il primo incontro con il cardinal
Martini, poco dopo il suo insediamento nella
diocesi di Milano. In seguito, ho avuto modo
di constatare che Martini, oltre a fine uomo
colto, era anche padre attento e vero uomo
di Dio. Con lui ho sviluppato una grande
amicizia che continua ancor oggi, pur nella
lontananza”.
Lei sostiene che “siamo circondati da
manovali della politica” e che quest’ultima “dovrebbe recuperare l’insegnamento
di Aristotele”. In che senso?
“Purtroppo prevale la politica del fare, nel
senso della politica del soddisfacimento di
interessi particolari. Manca un disegno politico più ampio che curi gli interessi della polis.
Non si vedono strategie, ma tattiche dettate
dall’opportunità del momento. In questo mi
pare si debba ricreare una nuova classe di
politici con una nuova cultura dell’uomo. La
nostra università Vita-Salute San Raffaele è
impegnata su questo obiettivo”.
Lei ha dimostrato di possedere uno spirito imprenditoriale tipico del milanese. Ma
la sua nascita e la sua formazione sono
venete. Quali caratteri della sua terra di
origine le sono rimasti nel cuore?
“Da mio padre credo di aver preso due caratteri fondamentali: la praticità del grande
proprietario terriero abituato a gestire terreni,
prodotti, collaboratori, e il senso della giustizia. E, ancora più forte, la percezione dell’ingiustizia: mio padre infatti era anche giudice
di pace, a lui si rivolgevano per le piccole
dispute relative ai terreni, alle eredità. Ancora oggi combatto con ogni mezzo ogni prevaricazione, ogni violenza, soprattutto se fatta
a uno più debole”.
31 (35)
L A
L I B R E R I A
D I
TA B L O I D
Alessandro Rovinetti
I democratici di sinistra
e la comunicazione politica
di Franz Foti
Quando si vince una tornata
elettorale, qualsiasi aspetto
della campagna preparatoria,
anche quello più marginale,
s’ingigantisce per diventare
comprimario della vittoria.
Ma in questo volume, curato
da Alessandro Rovinetti, diventa complicato scorgere
motivi enfatici o autocelebrazioni. Come è stata costruita
la vittoria di Sergio Cofferati
alla carica di primo cittadino
di Bologna? Tutto era stato
preordinato accuratamente
per risalire la china della
sconfitta elettorale del ‘99,
anno in cui un personaggio
non molto conosciuto come
Guazzaloca riesce a conquistare il Comune di Bologna.
Personaggio che in questo
lavoro non appare quasi mai,
come se si volesse rimuovere un quadriennio di sofferenza, cancellare un periodo definito non a caso “gli anni grigi
di Bologna”. Forse nell’opera
di ricostruzione del percorso
elettorale c’è molto di più.
Si ritrova un partito, quello dei
Ds, alla ricerca della sua anima. Quella che molti avevano
smarrito e che nemmeno la
città riusciva a rintracciare. E
il segreto della ripresa di consenso da parte dei democra-
tici di sinistra risiede proprio
in questo caparbio quanto
umile cammino di ricomposizione dell’anima. Trovando
energia ed emozioni, accompagnandole con la precisione
dei contenuti, della rifinitura di
ogni particolare, senza mai
dimenticare il valore primario
della condivisione e del consenso attraverso cui qualsiasi
forma partito deve misurarsi.
Il risultato elettorale positivo
dei Ds a Bologna misura appunto questa vicinanza emotiva con l’elettorato, l’aderenza dei contenuti ai bisogni
reali dei cittadini bolognesi.
Di questi momenti ne ho voluto parlare direttamente con
Alessandro Rovinetti. Mi ha
ripetutamente marcato la netta differenza con le campagne politiche del passato:
“non abbiamo mai inteso voler convincere i cittadini. Ci
siamo sempre attestati sulla
rispondenza reale del messaggio, sulla coerenza delle
proposte, sul bisogno di costruire insieme con tutte le
componenti sociali i passaggi
fondamentali della svolta”.
Questa coerenza di progetto
politico, unitamente alla “riappropriazione” dell’anima del
partito, si riscontra in molti
tratti del volume. Non a caso il
primo atto della campagna
Mauro Castelli
Primi in Economia
di Pilade del Buono
«...Così nel 1992 incontrai il
presentatore da Pierino, una
trattoria di Pavia, e lì ci accordammo in men che non si dica. La cifra richiesta era onesta e ci trovammo contenti in
due. Sta di fatto che quel legame sulla parola dura tuttora, a
cachet però ben diversi, e risulta fra i più lunghi della storia
degli spot televisivi...».
È il racconto di un tormentone,
anzi, del supertormentone per
eccellenza, il racconto di un
successo mediatico che da
dodici anni ci fa sorridere, irradiato dalla scatola magica: lo
troviamo a pagina 347 di
Primi in Economia da poco in
libreria (edizioni il Sole-24
Ore, pagine 433, 24 euro), a
completamento del bel trittico
di Mauro Castelli, modenese
di Milano ex un mucchio di cose fra le quali la tolda di comando della caporedazione e
della segreteria del Sole-24
Ore (dalla quale soleva tiranneggiare, traendone godimento, i colleghi), per non dire
dei trascorsi giornalistici giovanili, sport e agenzia soprattutto.
Protagonisti e interpreti del capitolo sono il presentatore
32 (36)
Gerry Scotti e l’omonimo, celeberrimo e silente “dooottor
Scotti” evocato - senza mai,
appunto, che proferisca verbo
- dal puntuale (e atteso) drindrin a chiusura di spot, in ode
ai prodotti di una azienda
quanto mai innovativa. Nel
quale capitolo Ferdinando
(scomparso lo scorso 22 febbraio) e Dario Scotti, presidente e amministratore delegato dell’impresa pavese, la
Riso Scotti che fissa la sua ragione sociale all’esaltazione
delle straordinarie facoltà del
riso, documentano a Castelli
la storia della società. Si parlerà di un’avventura iniziata
nel lontano 1860, di mulini, di
biciclette e di un mucchio di
cose ancora (si sa come vanno le cose se chi ci sta di fronte indulge alle confidenze).
Primi in Economia – Incontri
ravvicinati con 41 imprenditori
a prova di crisi, approda dopo
Questa Italia siamo noi del
2000 e Numeri uno del 2002,
ragion per cui dovremo attendere il 2006 per sapere se
Castelli avrà optato per il
poker. La formula, pur raffinata
tomo dopo tomo, trova ispirazione da una idea elementare: scarpinare pazientemente
per l’Italia – ora che l’autore finalmente può disporre del
suo tempo –, e indagare, in-
Gigi Padovani
Nutella,
un mito italiano
di Michele Giordano
Alessandro Rovinetti,
I democratici di sinistra e
la comunicazione politica,
Editrice Moderna,
euro 25,00
In pochissimi casi, da contarsi
sulle dita di una mano, un prodotto commerciale assume
nell’immaginario collettivo un
ruolo che esula da ciò che è il
prodotto stesso. Uno di quei
casi, insomma, in cui il nome
di quel prodotto noi giornalisti
usiamo scriverlo con l’iniziale
minuscola. Si potrebbe giungere ad affermare che citare
quel prodotto non significa
neppure più pubblicizzarlo,
tanto è radicato nel linguaggio
comune, quotidiano di ciascuno dei noi. Un confine, questo,
da non perdere di vista, assai
importante nella deontologia
del giornalista. Il che, ovviamente, non significa che alle
spalle di un marchio di questo
genere non graviti una florida
attività economica, anzi, tutt’altro: la cocacola, ad esempio, venduta ad ogni latitudine
del globo, non è ormai radicata nel Dna di ogni americano
(e magari anche europeo)? Il
termine cocacola non lo si usa
anche per esprimere certi modi di essere o di gestire il pianeta tipicamente americani?
Stesso discorso, in piccolo
(ma neppure tanto) per la nutella (e la scriviamo volutamente con la minuscola). A riprova di ciò (non ci sono libri
sui pelati pinco pallino…) ecco
un volume che della nutella
(sottotitolo ‘un mito italiano’) è
una sorta di summa. Lo ha
scritto, per Rizzoli, Gigi Padovani, caposervizio de La
Stampa in occasione della celebrazione del quarantesimo
compleanno della dolce crema al cioccolato. E chi meglio
di lui poteva farlo, essendo già
autore di Gnam, storia sociale
della nutella (Castelvecchi editore, Roma)? Per la cronaca,
Padovani non ha scritto solo di
nutella: è autore di seriosissimi
volumi come La liberazione di
Torino (Sperling & Kupfer) o
L’Europa a due velocità (Stampatori editore). Del resto la nutella fornisce a Padovani il pretesto per tracciare uno spaccato dell’Italia dal 1964, anno
di ‘fondazione’ della cremina,
fino ai nostri giorni.
Particolarmente interessante il
quarto capitolo (1984-2004)
che sottolinea come la nutella
sia entrata nel mito anche attraverso il cinema: da Bianca
(‘84) di Nanni Moretti, dove il
protagonista Michele Apicella
ne utilizza un barattolo formato totem, glorificandone il ruolo
di alimento antinevrosi. E non
va dimenticato che la nutella,
che il semiologo Omar
Calabrese ha definito “blob
buono”, è assurta a opera
dagare e continuare a indagare sul miracolo del capitalismo
italiano, il capitalismo nazionale di successo sia chiaro, chiamando a raccolta un significativo drappello di imprenditori di
fascia media, medio-alta ed
alta, purché espressivi di una
concreta realtà (e, va da sé, di
un fatturato all’altezza).
Detta così può sembrare una
impresa da quattro soldi: bussare, farsi ricevere, mettere in
azione il registratore, trascrivere e dare alle stampe. Ma
da quattro soldi non è (se non
si è padroni della materia)
quando ci si imbatte in chi del
riserbo ha fatto un baluardo,
se non la regola prioritaria del
comportamento, visto che
non tutti han voglia sempre e
comunque di parlare, sia pure
delle proprie sacrosante vittorie. Ogni regola per fortuna ha
la sua brava eccezione, e
Castelli – che fra l’altro il registratore non l’usa proprio presenta un biglietto da visita
quanto mai accattivante. Così
Emilio Lavazza, Maurizio
Cimbali, Lene Thun de
Grabmayr e Miro Radici, al
pari di altri che hanno la fama
di essere avari di parole, non
si sono rifiutati di offrire il loro
saporito contributo.
Questa volta, come il sommario del titolo indica, sono in 41
a rispondere all’appello (in verità il numero è superiore, concorrendo più voci a tracciare
l’identikit di una certa griffe), e
nessuno si è fatto pregare o
ha posto vincoli. Un esempio?, vedere alla voce Matarrese.
Le pagine dedicate alla famiglia Matarrese, «una grande
famiglia, per questo chiacchie-
rata e soprattutto invidiata»,
diventano una miniera di informazioni. La voce narrante è
quella del cavaliere del lavoro
Michele, figlio del cavaliere del
lavoro Salvatore. Parla a nome della tribù: del fratello presidente del Bari calcio («nessuno in Italia ha mai retto per
tanto tempo in questo ruolo»),
del fratello deputato («cinque
legislature filate e impegni da
primo della classe in Lega,
Uefa e Fifa»), del fratello vescovo («un diavolaccio da ragazzino, con il quale mi azzuffavo spesso» al quale viene
affidata, ironia della sorte, la
parte del diavolo in un melodramma per bambini), del cognato giudice-senatore («un
magistrato integro prestato alla politica») nonché del consigliere regionale «enfant prodige della terza generazione»
(senza escludere, ben s’intende, altri pezzi d’argenteria a
completare il mosaico). E
quando si arriva all’infinita, tormentata vicenda di Punta
Perotti iniziata nel 1987, una
storia – per amor di sintesi – di
tribunali, di confische, di assoluzioni e di pronunce della
quale l’ultimo atto non è – a
oggi - andato in onda, Matarrese non si sottrae certo al
confronto, trasformandosi anzi
in un fiume in piena.
Se il sogno recondito di ognuno è saper cementare l’hobby
al lavoro, quanto a dire il dilettevole all’utile, matrimonio ahinoi riservato a pochi eletti,
Primi in Economia di questi
eletti fa raccolta. Privilegio (fra
gli altri) accordato a un Mario
Moretti Polegato, che approda
alla Borsa con Geox, la “scarpa che respira” (dove geo indi-
ca provocatoriamente la terra
e x la tecnologia) per intuizione in occasione di una trasferta nel Nevada intesa a promuovere i vini di famiglia, e ad
un Ezio Foppa Pedretti – capostipite protagonista di un
prodigio della grande provincia –, che dall’età di «sei o sette anni si appartava in soffitta
per inventarsi dei sorprendenti
carrettini, con tanto di ruote ricavate dai tutoli delle pannocchie di granoturco. E che il
nonno paterno Paolo, un falegname vecchio stile che costruiva di tutto un po’, dai carri
agricoli ai mobili della casa e
alle casse d’imballo, conservava come reliquie». Ecco
dunque nascere la Foppapedretti Spa, un gran bel marchio che avrebbe alimentato
l’”albero delle idee”: alzi la mano chi non ne ha sentito parlare, chi non ha in casa qualche
oggetto, qualche manufatto
studiato e perfezionato in provincia di Bergamo (dove, pur
lavorando il legno, non si respirano polveri, prodigio della
tecnica applicata alla ricerca,
o viceversa). E anche i Foppa
Pedretti sino ad oggi non avevano rincorso i giornalisti...
Un diversivo, però, questa volta Castelli se l’è concesso. Un
tocco, per così dire di internazionalità, quando, a fianco del
profilo di emigranti che all’estero han fatto fortuna e in
Italia son voluti comunque tornare spinti dall’affetto (e magari dalla rivincita), mette sotto
cornice il gustoso ritratto del
conte tedesco (di bell’aspetto)
Anton Wolfgang von FaberCastell. Che con l’Italia, a
guardare bene, c’entra relativamente, salvo per un piccolo
politica per l’elezione a sindaco di Sergio Cofferati prevedeva un corso di comunicazione interno al partito.
Rovinetti ha poi definito con
molta chiarezza le tre fasi
fondamentali della comunicazione politica: attrarre l’attenzione degli interlocutori, fornire elementi di riflessione, favorire la capacità di distinguere posizioni, proposte e
contenuti.
Naturalmente non poteva
mancare un reale raffronto
con le modalità di svolgimento delle campagne di comunicazione politica negli Stati
Uniti d’America. Lo fa Cristian
Vaccari, dello Iulm di Milano,
che mette in campo molti
concetti del marketing politico
americano: come trattare il
proprio prodotto politico,
quello dei concorrenti e le attitudini del mercato.
C’è persino la definizione minuziosa del piano della comunicazione politica, dove si
stabilisce che al primo posto
s’insedia il pubblico cui ci si rivolge.
d’arte quando un gruppo di artisti emiliani e vagamente
“warholiani” (Brocadello, Tetti,
Baccilieri, Luccarini e Mantovi)
allestì nel 1991 una mostra
ferrarese dal titolo “Mistiche
nutelle”. Esperienza bissata
cinque anni dopo a Parigi con
la mostra “Génération nutella”,
ad opera di un nutrito (l’aggettivo non è casuale) gruppo di
artisti francesi e nel 1999 grazie ad Eugenio Comencini
(una sorta di moltiplicazione
dei barattoli). Infine, nel 2003,
l’artista napoletana Roxy in
the Box (al secolo Rosaria
Bosso) presentò al Lingotto di
Torino un’opera dal titolo
Femmenella (abbinando i
sensuali femminielli alla altrettanto sensuale crema al cacao). Nutella viene utilizzata
anche in scritti umoristici
(Comix), in fantasiose cover
musicali (canzoni di Dalla o
Battisti ‘adattate’ alla nutella) e
persino l’inno di Mameli è uscito in una versione ‘nutellizzata’
(“nutella d’Italia, l’Italia s’è desta”). Potremmo andare avanti
per pagine e pagine, ricordando quanto nutella sia stata utilizzata nei più svariati campi
dello scibile. Pur mantenendo,
ovviamente, la cremina e, citando un brano della canzoncina di Renato Zero e Ivan
Graziani (“La nutella di tua sorella”), ci sembra doveroso
concludere in semplicità,
estrapolando due basilari righe di quel brano: “Mangia,
mangia la nutella, che non
cambia è sempre quella”.
Gigi Padovani,
Nutella: un mito italiano,
Rizzoli, Milano 2004,
euro 15,00
non trascurabile particolare
rappresentato dal dna del cognome. Perché Faber-Castell
è simbolo universalmente conosciuto e apprezzato da tutti
coloro che in vita loro hanno
disegnato e disegnano, o scarabocchiato qualcosa con una
matita di classe. Ossia, parte
non irrilevante del genere
umano. Aggiungendo solo,
per la cronaca, che l’impero
del nobiluomo esprime il 13
per cento del mercato mondiale di matite e pastelli.
Nelle pagine di Primi in
Economia, per quanto i tempi
che viviamo cedano ben poco
all’ottimismo, non troviamo
storie di fallimenti, di azzardi,
di default, di menefreghismo,
di disastri incombenti e di
bond assassini, niente di tutto
questo.
Ma di notti insonni, di impegno
e fatica, di sforzi personali e
sforzi condivisi dalla famiglia,
di affermazioni di prima generazione o salti di qualità nell’avvicendarsi generazionale,
di imprenditori laureati o in
possesso della licenza elementare, anni luce lontani dal
capitalismo che identifica nel
profitto l’unica, ossessionante
ragione di vita.
Attori e interpreti dinamici della vera globalizzazione che
hanno saputo superare ostacoli, rigidità e vincoli, in competizione qualitativa con le nazioni emergenti gratificate dal
basso tributo al costo del lavoro. Quali sono a tutto diritto, a
completare la galleria di Castelli, i Pina Amarelli Mengano, Patrizio Bertelli, Gianfranco Bigatti e Alberto Schiavi, Renato e Piero Bisazza,
Lorenzo e Claudia Buccellati,
ORDINE
1
2005
L A
Claudio Stroppa
Ai confini
tra la vita e la morte
di Margherita Santagostino
Il problema dell’eutanasia o
“dolce morte” in un Paese come l’Italia, è un problema molto difficile da affrontare non
solo per la morale cattolica,
ma parimenti per gli stessi laici, con diversi punti di vista.
Da qui l’idea di riunirsi nel settembre 2002 per un convegno-seminario presso l’Abbazia di Vallombrosa tra studiosi di diverse discipline: sociologi, psicologi, oncologi,
bioetici, giuristi, filosofi, teologi
e anche politici e monaci di
vari ordini religiosi, editori e
giornalisti, nonché semplici
persone interessate alla problematica. Ne è nato questo
volume con 17 interventi che
ora si offre al dibattito.
Claudio Stroppa è un sociologo dell’Università di Pavia, già
noto per i suoi libri (ormai circa 40), distribuiti nell’arco di
un’attività trentennale, prima
nell’Università di Bologna (facoltà di Scienze politiche), poi
nell’Università di Pavia (facoltà di Scienze politiche) e di
Parma (prima nella facoltà di
Lettere e filosofia, attualmente in quella di Architettura).
Tenendo conto del luogo dell’incontro di studio, si è optato
per un titolo del volume che
includesse sia in senso lato il
Sergio Casella, Wanda Ferragamo Miletti, Luigi e Paolo
Ferraro, Luigi Frati, Riccardo,
Edoardo e Alessandro Garrone, Graziano Giacobazzi,
Ferdinando e Gianni Giordano, Linda Gilli, Gian Franco
Giovanardi, Vero Greco e
Deanna Rossi, Tony Grimaldi,
Paolo Gualandi, Ernesto Illy,
Silvano Lattanzi, Tito Lombardini, Filippo Marazzi, Orazio
Mascheroni, Lidia Matticchio
Bastianich, Giuseppe Nicoletti, Claudio Sabatini, Ettore
Sansavini, Vittorio Tabacchi,
Edoardo Pio Tusacciu, Lorenzo ed Edoardo Vallarino
Gancia, Apollinare Veronesi,
Franco Ziliani, Giordano e
Manlio Zucchi. Leggere per
credere.
«Ebbene, sottolinea Mario
Deaglio (che del Sole-24 Ore
è stato autorevole direttore)
nella prefazione –, il primo
messaggio che scaturisce
dalle pagine di questo libro è
che gli imprenditori di questo
tipo non sono dei marziani,
esistono davvero, in carne e
ossa; che sono proprio tanti;
che assommano vicende diversissime di vita e di successi. Con la loro straordinarietà
positiva, ma anche con il loro
realismo, queste storie fanno
da contrappunto al carattere
un po’ grigio dell’esistenza di
tutti i giorni; mostrano un’alternativa, forse “l’alternativa” non
solo al modo di produrre ma
anche alla monotonia dell’esistenza tipica di molta parte
della società moderna».
Mauro Castelli,
Primi in Economia,
edizioni il Sole-24 Ore,
pagine 433, euro 24
ORDINE
1
2005
termine “eutanasia”, che le
problematiche più pregnanti
di fede ed etica.
Ciò ha portato i contributi, cattolici e laici, ad avviare un dibattito, che avrà un seguito
sia in sede universitaria (Milano, Pavia, nella stessa Abbazia di Vallombrosa, e anche
nel Sud Italia, tenendo anche
conto della provenienza dei
vari studiosi) che attraverso la
stampa e altri media.
Tra i saggi da proporre all’attenzione, sono la relazione
base di Claudio Stroppa che
già nello stesso titolo “Una comunicazione difficile: alcune
riflessioni sul tema dell’eutanasia” inquadra il problema
sia dal punto di vista storico
che con una serie di osservazione sociologiche (ad esempio citando la famosa opera di
Emile Durkheim, Il suicidio).
Altri saggi degni di rilevanza
sono quelli di Bruno Andreoni, oncologo dell’istituto
Europeo di oncologia, che
traccia il cammino di questo
importante Ente operativo nel
settore; di Patrizia Borsellino,
giurista dell’Università dell’Insubria, che esamina la normativa italiana ed europea in
merito al termine “eutanasia”;
di Demetrio Neri, bioetico
dell’Università di Messina che
analizza lo “stato del dibatti-
L I B R E R I A
to”, soffermandosi sulle relazioni tra diritto ed etica medica; di Pietro Adamo, filosofo
della scienza dell’università
degli Studi di Milano che in tono “brillante” sottolinea l’importanza del diritto dei singoli
individui nella gestione del
proprio corpo; di Marcello
Cesa Bianchi, psicologo
dell’Università degli Studi di
Milano che espone nel suo
saggio La continuità del processo creativo nell’affrontare
la morte; del teologo dell’ordine dei Frati minori, padre
Maurizio Faggioni, che ribalta
le tesi di Pietro Adamo parlando di “dolore e morte come
scandalo del credente”, al
“provocante” saggio di Carmelo Carabetta, sociologo dei
processi culturali dell’Università di Messina sull’endocannibalismo” (il rituale di
molte popolazioni dell’Africa e
dell’Asia che si alimentano
dei propri morti per perpetrarne la forza).
Interessante è invece il saggio di Clotilde Bellani, che
espone una personale ricerca, basata su solo due casi,
per cui è alla sua abilità narrativa che ne esce un quadro
psicosociologico dei rapporti
tra medico e paziente “ammalato”.
Il volume merita di essere letto, anche per approfondire
una tematica, che spesso si
allontana dalla propria mente,
in un rifiuto psicologico di
paura.
Claudio Stroppa (a cura di),
Ai confini tra la vita
e la morte. Fede ed etica
nella vita quotidiana,
Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli 2004
Paolo Granzotto
Montanelli
di Antonio Duva
Ogni biografia, notava Jorge
L. Borges, sottintende un paradosso: solo così, infatti, si
può definire, secondo l’autore
di Evaristo Carriego, l’intento
di uno scrittore che vuole risvegliare nel lettore “ricordi
che appartennero esclusivamente a un terzo”. Il paradosso, fatalmente, si accentua se
biografo e biografato hanno il
destino di vivere in tempi diversi. Il saggio che Paolo
Granzotto ha appena dedicato a Indro Montanelli offre, sotto più di un profilo, la conferma
di questa affermazione.
Si tratta infatti di un volume nel
quale è agevole cogliere la diversità fra due parti. La prima,
che segue Montanelli dal tempo della nascita, avvenuta nel
1909 a Fucecchio, sino a
quello del pieno successo
professionale, consolidatosi al
Corriere della Sera negli anni
sessanta, è un’agile e diligente ricostruzione della vita di
questo straordinario giornalista.L’autore, figlio d’arte – suo
padre era Gianni, altro illustre
esponente della carta stampata nel secondo Novecento,
che divenne anche uno dei
primi “volti” famosi della neo-
nata Tv – aveva conosciuto
Montanelli sin da ragazzo.
Questo gli ha consentito di attingere – oltre che alle numerose fonti disponibili, a cominciare dalla stessa autobiografia di Montanelli raccolta da
Tiziana Abate e pubblicata nel
2002 – a un vasto patrimonio
di ricordi: al, per così dire,
“Indro narrato da Indro”, ascoltato nella casa di piazza
Navona, che Montanelli abitò
per anni a Roma o durante i
frequenti incontri conviviali.
Granzotto infatti ha avuto la
fortuna di essere a lungo un
abituale compagno di desco
del suo biografato: dal “Buco”,
la trattoria toscana di via del
Piè di Marmo, utilizzata durante i soggiorni romani, alla
“Bice” o a “Elio”, fra i locali milanesi preferiti da Montanelli.
Quelle lunghe conversazioni a
ruota libera, ricche di aneddoti
e di giudizi fulminanti, si rivelano utilissime per dare vivacità
a un ritratto a tutto tondo del
“personaggio” Montanelli e
per gettare più luce su qualche episodio controverso della sua vita.
Così è il caso del famoso incontro dell’allora giovane inviato del Corriere con Adolf
Hitler, nella Polonia appena invasa dai tedeschi, o della sua
D I
TA B L O I D
venti donne, divise a gruppi di
cinque in funzione dell’ambito
nel quale il loro atteggiamento
“scandaloso” si è espresso
(amore, disobbedienza, sapere, potere), vengono radiografate in ragione di un unico comun denominatore: la loro capacità – spiega l’autrice – di
“voler pensare con la propria
testa, voler decidere di sé, affermando le proprie idee, i propri sentimenti, il proprio desiderio di indipendenza”. Ne
vengono fuori ritratti spesso
inediti, scevri dei luoghi comuni che frequentemente hanno
caratterizzato personaggi come Messalina (che morì a soli
23 anni e si rivelò, tutto sommato una ragazzina piuttosto
ingenua), come Artemisia
Gentileschi (pittrice-donna in
anticipo con i tempi, un anticipo che non le fu mai perdonato), come la marchesa Athénais de Montespan, amante
favorita del re Sole, che, dopo i
fasti della corte, finisce, a 51
anni, a rimpiangere il passato
dietro i muri di un convento,
come Luisa Sanfelice, giustiziata dai Borboni colpevole di
giacobinismo, ma in realtà trascinata nell’avventura politica
dall’amore per un fascinoso rivoluzionario. E ancora Alphonsine Plessis, cui si ispirò
Dumas per La signora delle
Camelie (e Verdi per la
Traviata); Margherita di Valois,
la Margot regina del sangue,
moglie di due re, tutt’altro che
“cupa” come l’ha dipinta la letteratura e il cinema; Cristina di
Svezia, che per noi tutti ha il
volto di Greta Garbo nel film di
Rouben Mamoulian, e con la
quale la grande attrice svedese ebbe molti tratti in comune,
e non solo individuabili nella
sua bisessualità. Non potevano mancare George Sand,
Elsabetta di Baviera, Cristina
Trivulzio di Belgiojoso, patriota
e protofemminista del diciannovesimo secolo, Elena
Cornaro (prima donna laureata d’Italia, nel 1678, sulla cui figura Carrano aveva già scritto
un libro: Illuminata, edito da
Mondadori); Mary Shelley,
l’autrice di Frankenstein, personaggio mostruoso frutto delle personali nevrosi della scrittrice; la scultrice Camille
Claudel, segregata in un manicomio dove finirà i propri giorni. Non a caso l’ultima figura di
cui Carrano traccia la biografia
è quella di Wallis Simpson,
che dai bordelli di Hong Kong
passò senza soluzione di continuità alle nozze con il futuro
re di Inghilterra Edoardo VIII il
quale, per poterla sposare, abdicò, il 10 dicembre del 1936.
Lì si è fermata l’autrice, come il
Cristo di Levi a Eboli: forse perché, dopo di lei, oltre lei, le
“scandalose”, almeno nel senso “rivoluzionario” del termine,
hanno cominciato a latitare.
Con accelerazione progressiva.
Sarebbe interessante analizzare perché. Ma questa è tutta
un’altra storia.
Patrizia Carrano,
Le scandalose, Rizzoli
2004, pagine 203, euro 15,00
sua clamorosa rottura con
Silvio Berlusconi, quando l’antico editore de Il Giornale si
dette alla politica; è anche
quella durante la quale, rivelando una vitalità straordinaria
per un uomo che aveva superato gli ottant’anni, Montanelli
finì per sorprendere anche i
suoi più antichi estimatori.
Il giudizio che Granzotto formula di alcune scelte dell’ultimo Montanelli risulta talvolta
poco argomentato e, in generale, appare piuttosto riduttivo.
In queste pagine traspare,
una sottovalutazione di una
dote del grande giornalista
che, paradossalmente, proprio Granzotto aveva posto in
luce nella prima parte del libro
e che, senza dubbio, ha contribuito a fare di Montanelli
una figura unica del giornalismo e della cultura del suo
tempo: quella dell’essere
Indro un tenacissimo “bastian
contrario”. Granzotto cerca invece di cucire addosso a
Montanelli l’abito del portavoce “dell’Italia moderata e per-
bene”. Senza dubbio, egli fu
anche questo: ma si tratta di
un abito che, tagliato troppo
su misura, rischia di risultare
stretto per vestire un personaggio tanto fuori dagli stereotipi.
Sarebbe stato forse preferibile
scegliere, come filo conduttore dominante di una vita così
lunga e intensa, un altro
aspetto del carattere di
Montanelli: quello dell’uomo
che non tollerò mai schermi
fra la parola e la verità (la “sua”
verità, naturalmente).
In questo egli fu molto aiutato
da una dote particolare: la
maestria di “sciogliere” anche i
periodi più complessi di ogni
suo scritto ricorrendo a un
“olio”, come lo definiva Gaetano Afeltra, che produceva
l’effetto quasi magico di saldare un legame indissolubile con
il lettore.
Ma non si trattava di pura abilità stilistica; in realtà l’ineguagliabile capacità di Montanelli
di attirare l’interesse e, spesso, di affascinare chi lo leggeva, rappresentò per lui anche
lo scudo efficace – durante le
molte e tumultuose vicende
degli anni del tramonto non
meno che di quelli giovanili –
per difendere la sua indipendenza e la sua libertà: quella
libertà di praticare, come proclamò fino all’ultimo, “il mestiere di spettatore e non di attore”. Di essere, in fondo, “soltanto un giornalista”. Dove
l’avverbio “soltanto”, con
umiltà orgogliosa, sottintende:
“prima di tutto” un giornalista.
Paolo Granzotto,
Montanelli,
il Mulino Bologna 2004
pagine 222, euro 12,50
Patrizia
Carrano
Le scandalose
di Michele Giordano
Ci sono oggi donne “scandalose”? L’aggettivo, in versione
ventunesimo secolo, assume
innanzi tutto un tono un po’ demodé. E poi, ammesso che il
termine “scandalose” possa
ancora essere utilizzato in un’
accezione positiva e, soprattutto se riferito alle donne, privo di
contorni moralisteggianti, è comunque lontano anni luce dal
significato che gli ha attribuito
Patrizia Carrano, scrittrice,
nonché giornalista di Anna, in
questo intrigante volume. Ci
hanno provato i colleghi di
Oggi (14 aprile 2004, articolo di
Laura Ogna) a paragonare i
personaggi di cui Carrano traccia, nel libro, sintetiche ma significative schede biografiche,
a quelli odierni, ma i risultati, a
detta della stessa Carrano che
si è spiritosamente prestata al
gioco, sono piuttosto risibili.
Abbinare, infatti, Valeria Marini
e Isadora Duncan, Alba Parietti
a Cristina Belgiojoso Trivulzio,
Gianna Nannini a Greta Garbo
e Lilli Gruber addirittura a
Elisabetta I d’Inghilterra, se può
essere un divertissement per
lettori in relax estivo sulle
spiagge, è un’operazione,
quanto meno, storicamente
priva di senso. Ben altra cosa
infatti è il libro di Carrano dove
evasione, nel 1944, dal carcere di San Vittore: vicende delle
quali Granzotto fornisce un’interessante ricostruzione.
Poi il timbro del volume cambia.
Le pagine che trattano la vita
di Montanelli durante gli “anni
di piombo” e sino alla sua
scomparsa – avvenuta nel luglio 2001 a 92 anni – sono più
mosse e partecipate.
Si sente l’intensità del legame,
emotivo e affettivo fra Granzotto e quello che intanto era
diventato il suo direttore, il
Montanelli della stagione coraggiosa e “controcorrente” di
quando Il Giornale aveva sede in piazza Cavour, in una
Milano incupita dalla paura e,
in molti ambienti, diffidente o
apertamente ostile verso la
nuova testata.
È significativo che, per rievocare quel clima, Granzotto ricorra con efficacia alle parole
stesse di Montanelli:“ Chi bussava alla nostra porta aveva
già i requisiti per varcarla.
Perché in quel momento per
candidarsi ci voleva un certo
coraggio non solo perché si
lasciavano carriere e stipendi
sicuri per un azzardo, ma soprattutto perché affiancarsi a
noi voleva dire attirarsi l’etichetta di fascista”.
E, non a caso, fra le pagine
più incisive e drammatiche del
saggio vi sono quelle dedicate
– con una testimonianza di
prima mano – all’attentato brigatista di cui Montanelli fu vittima nel giugno del 1976.
Dove invece il saggio di
Granzotto convince meno è
nella sua parte finale: quella
dedicata “all’autunno del patriarca”. È la stagione della
33 (37)
L A
L I B R E R I A
D I
TA B L O I D
Mimmo Franzinelli
Storia di
un giudice italiano
di Antonio Duva
Nel dicembre del 1990 alla
Villa comunale di Milano si
svolse una cerimonia in occasione del passaggio di
Adolfo Beria di Argentine dalla magistratura giudicante a
quella onoraria.
Incontri di questo tipo, che riguardino l’accademia o le alte cariche dello Stato, sono
frequenti: si sono fatti in passato e continueranno, pur nel
mutare delle forme, a tenersi
in futuro.
Eppure quella solenne adunata, in un grigio Sant’ Ambrogio di tanti anni fa, ebbe
qualcosa di insolito.
Soprattutto colpì, chi ebbe la
ventura di assistervi, la diversità e lo spessore degli oratori che in quella circostanza
presero la parola: politici di
primo piano (il leader del Psi,
Bettino Craxi;Virginio Rognoni, nella veste di ministro del-
l’Interno e Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato); rappresentanti delle
istituzioni locali (il presidente
del Consiglio regionale della
Lombardia, Giampiero Borghini e il sindaco di Milano,
Paolo Pillitteri); grandi giornalisti, infine, come Indro Montanelli e Ugo Stille, all’epoca
direttori delle due più importanti testate cittadine.
Come mai questa formidabile
concentrazione di personalità
per salutare l’andata in pensione di un anziano magistrato? La risposta a questo interrogativo la fornisce ora,
con uno scrupolo documentario che non va a detrimento
della vivacità narrativa, il volume Storia di un giudice italiano che reca come sottotitolo: “Vita di Adolfo Beria di
Argentine”.
Questo saggio, che Mimmo
Franzinelli – indagatore acuto
delle fasi più tormentate del
nostro Novecento – ha realiz-
zato con Pier Paolo Poggio,
direttore della Fondazione
Micheletti di Brescia, traccia
appunto un ritratto del grande
giurista, del quale è posta bene in luce la straordinaria poliedricità di interessi alimentata da un carattere volitivo, coraggioso e amante dell’innovazione. Le radici di Beria si
riassumono in due parole:
Piemonte e magistratura.
Nasce a Torino nel 1920 da
una nobile famiglia che già
conta una illustre tradizione
nella magistratura, a cominciare da Luigi,il nonno paterno, che fu anche senatore del
Regno.
Sin da giovane Beria non ha
dubbi: poco più che ventenne
e non ancora laureato, incontrando Giovanni Conso, il futuro presidente della Corte
Costituzionale, gli dice: “Appartengo a una famiglia di
magistrati, anch’io penso di
fare il giudice”. E infatti così
fece, raggiungendo traguardi
Lorenzo Cantoni,
Nicoletta Di Blas
Teoria e pratiche
della comunicazione
di Franz Foti
Ma gli ingegneri hanno bisogno della comunicazione? Sì!
Rispondono Lorenzo Cantoni
e Nicoletta Di Blas, autori di
questo interessante lavoro
sulla funzione della comunicazione. Si riesce a gestire al
meglio la varietà di situazioni
professionali senza l’ausilio
della comunicazione? No! La
comunicazione permette di
inserire elementi d’arricchimento e di completamento in
modo da configurare in molti
ambiti tecnici e scientifici una
nuova dimensione professionale. E Paolo Paolini, docente del Politecnico di Milano,
nell’introdurre il volume, procede ad una serie di esemplificazioni legate alla funzione
della comunicazione: presentare una tesi di laurea in trenta minuti; convincere i propri
studenti a seguire percorsi di
ricerca innovativi; proporre un
progetto in non più di dieci
pagine; presentare in dieci
minuti una proposta al cliente
anche se frutto di mesi di lavoro; impostare la didattica di
un corso di natura tecnica;
estrarre da un colloquio di poche ore le caratteristiche applicative da realizzare in un
progetto; organizzare efficacemente il flusso d’informazioni e idee in un gruppo di
lavoro eterogeneo; convincere il committente della bontà
delle proprie scelte tecniche;
spiegare in un’intervista dal
vivo di pochi minuti un progetto complesso. E se le cose stanno effettivamente co-
34 (38)
sì, come mai la comunicazione non ha ancora avuto l’attenzione che merita? La risposta è semplice: frutto del
dilettantismo italiano! A
Como il corso di laurea in ingegneria contiene un primo
embrione d’integrazione della comunicazione nel contesto della multidisciplinarietà
scientifica. L’esperimento è risultato talmente interessante
al punto che si prevede nel
breve periodo di avviare un
corso di laurea apposito.
Sarebbe riduttivo però considerare le tematiche del volume orientate esclusivamente
nell’ambito degli studi d’ingegneria. Il modo con cui si sviluppano le varie parti permette a chiunque di poter trarre
motivi d’apprendimento e di
riflessione sui temi della comunicazione. D’altronde sarebbe impensabile chiudere
la comunicazione nel recinto
della monotematicità. La comunicazione non solo è trasversale, ma contiene aspetti
di semiotica, linguistica, psicologia, sociologia, storia,
economia, pedagogia e retorica. Cantoni e Di Blas cominciano dall’approfondimento
degli elementi di base della
comunicazione, i classici: mittente, destinatario, contesto,
messaggio, canale, codice.
Anche in questa parte si coglie l’originalità degli intrecci:
il codice viene analizzato secondo tre punti di vista insoliti, sintassi, semantica e pragmatica. Non poteva mancare
l’analisi del testo sotto il profilo dei requisiti. Così come diventa un obbligo affrontare il
prestigiosi: membro del Consiglio superiore della magistratura; autorevolissimo capo di gabinetto, dal 1973 al
1975, del ministro della Giustizia, Mario Zagari; più tardi
presidente del Tribunale per i
minorenni a Milano e Procuratore generale della Repubblica nella stessa città.
Ma prima, da giovane, aveva
vissuto una stagione drammatica che impresse un segno indelebile nella sua esistenza.
Il racconto dei quasi due anni
del Beria partigiano, militante
della Organizzazione Franchi
– una vicenda quasi sconosciuta, ora ricostruita da
Franzinelli e Poggio con ricchezza di dettagli e testimonianze – rappresenta uno dei
capitoli più appassionanti del
libro.
La guerra, l’impegno antifascista, la lotta clandestina
condotta nella sua forma più
pericolosa (Beria si infiltrò,
con mansioni giornalistiche di
facciata, nei ranghi nemici)
sono esperienze che forgiarono la sua personalità attorno a un’idea guida: la difesa
della libertà e la lotta contro la
tirannide rappresentano un
imperativo morale al quale, in
ogni circostanza, non ci si
può sottrarre.
Sta qui forse la chiave interpretativa più appropriata di
una vita spesa al servizio della giustizia avendo costantemente come bussola la
Costituzione repubblicana e i
suoi valori fondanti.
In una postfazione al volume
Vladimiro Zagrebelsky, che
con lui ebbe intensi rapporti
soprattutto come giudice
presso la Corte europea dei
diritti dell’uomo, ricorda che
se Beria è stato innanzitutto
un magistrato è stato però:
“un magistrato moderno, immerso nella realtà italiana
contemporanea… che guardava alla giustizia di un
Paese moderno, come voleva che fosse l’Italia”.
E non fu solo un magistrato:
“Organizzatore culturale, uomo pratico dunque – continua Zagrebelsky – andava
oltre l’interesse per la pura
speculazione. Le idee gli interessavano in quanto motore
per cambiare la realtà. E dunque stava e andava nei luoghi da cui pensava che la
realtà potesse essere modificata”. Insomma un instancabile tessitore di dialogo con
mondi diversi da quello della
magistratura: quello della politica non meno di quelli degli
studi e delle istituzioni.
Appunto: “ un uomo al tempo
stesso di istituzioni e di movimento”, lo definisce Giuseppe De Rita, che per 40
anni ebbe con lui un profondo
legame di lavoro e amicizia.
Questo atteggiamento costò
talvolta a Beria, come il saggio mette in rilievo, difficoltà e
incomprensioni; ma non fu
mai per lui un freno nell’impegno a operare per cambiare
cultura e organizzazione della giustizia: per mutare, innovandolo, un mondo che, come sempre Zagrebelsky ricorda, “aveva bisogno di tutto, fuorché della stasi e della
conservazione”.
Questa mai spenta passione
di Beria la vediamo concretarsi in particolare nella
straordinaria attività intellettuale e organizzativa che, per
quasi mezzo secolo, egli dedicò alla sua creazione prediletta: il Centro nazionale di difesa e di prevenzione sociale,
un organismo per molti versi
unico i cui eccellenti risultati
gli procurarono notorietà e
prestigio internazionali sino a
quel premio “Giustizia nel
mondo” che il re di Spagna
conferì a Beria – ormai anziano e infermo, ma non domo –
nel 1997. Ci sono altri due
aspetti di Beria che hanno risalto nel saggio di Franzinelli.
Il primo riguarda la sua fer-
Lorenzo Cantoni, Nicoletta
Di Blas, Davide Bolchini
Comunicazione,
qualità, usabilità
di Franz Foti
complesso mondo della comunicazione televisiva.
Vengono riassunti i tre grandi
eventi su cui si muove la medialità: competizione, incoronazione, conquista. Tra i tanti
aspetti della comunicazione,
gli autori analizzano le tre
teorie dei media: il potere, la
dipendenza, gli effetti cumulativi. È presente anche una
serie di raccomandazioni da
seguire nel corso della comunicazione parlando in pubblico: chiarirsi bene l’obiettivo,
sapere con esattezza a chi ci
si rivolge, avere presente il
contesto in cui si parla, calcolare bene i tempi della comunicazione, capire le aspettative del pubblico. Infine, acquisire autorevolezza tenendo
presente le tre massime della
comunicazione: dare le informazioni richieste, dire tutto
ciò che è provato e provabile,
essere brevi e ordinati evitando qualsiasi ambiguità.
Insomma, un libro utile e
completo per tutti coloro che
vogliono affinare le capacità
comunicative.
Lorenzo Cantoni,
Nicoletta Di Blas,
Teoria e pratiche
della comunicazione,
Apogeo, euro 19,00
Attenti! È il sito che fa per
lei? Siamo quasi di fronte al
paradosso. La velocità nell’era della comunicazione
non è più un imperativo.
Sino a poco tempo fa il mandato era “realizzare un sito
web in tre mesi”. Ora la domanda cha le comunità dei
siti si pongono è: “il sito è facilmente usabile?”. In sostanza, il successo di un sito
si misura proprio dalla sua
usabilità, dalla possibilità di
utilizzare tutte le sue applicazioni con semplicità, attraverso le diverse modalità
d’interazione. A quest’interrogativo rispondono in maniera quasi didattica gli autori di questo volume Lorenzo Cantoni, Nicoletta Di
Blas e David Bolchini.
Ma a rispondere all’interrogativo ci si mette anche uno
dei guru di Silicon Valley,
Jakob Nielsen. E traccia con
molto senso della prospettiva i presupposti su cui dovrebbe articolarsi la progettazione dei siti. Anzitutto, sostiene Nielsen, un sito deve
assumere come asse prioritario la semplicità dell’uso
per rendere la vita delle persone meno complessa e difficile di quanto non lo sia
già. Non basta! Deve essere
facile da usare dall’utente
medio e non solo dagli specialisti. Infine, deve porsi nell’ottica dell’inclusione sociale. Vale a dire che nell’uso
della tecnologia deve trovare posto la maggior parte
della popolazione. L’usabilità
di un sito comincia dunque a
porsi dal punto di vista sociale ed estetico. Un sito è
“carino” se migliora la qualità della vita delle persone.
Non è solo questo.
Deve rispondere anche ad
un criterio mercantile, offrendo all’azienda opportunità di successo ampliando i
margini di sopravvivenza attraverso la sua usabilità
semplice. In questo senso si
dispone come strumento
“necessario”. Il lavoro dei
quattro autori parte dal presupposto che sia giunta l’ora
dell’evangelizzazione dei
manager affinché seguano
precise linee guida.
Bisogna orientare su come
comprare un prodotto, come
adoperarlo, alimentarlo e
correggerlo. Il volume offre
anche un insieme di strumenti concettuali e le indicazioni operative in tema di comunicazione in generale e
di comunicazione tramite un
sito.
Non mancano i dettagli e le
indicazioni operative rivolte
ai progettisti: chiarezza dei
bisogni e degli obiettivi per
poter innestare progettazione e realizzazione del sito.
In questo modo si aderisce
con maggiore facilità ai canoni della semplicità e dell’usabilità. E qui si affaccia la
teoria del “modello del bar”
con le sue quattro dimensioni, simili a quelle di un sito.
Due dimensioni reali e due
personali. Un sito può essere visto come un insieme di
contenuti, messaggi. Deve
permettere d’interagire, discutere, votare, giocare,
scambiare, ordinare, comprare, vendere. Un sito è anche una comunità di persone che lo gestiscono, lo aggiornano e lo mantengono e
che interagiscono con i visitatori. Poi c’è la comunità dei
visitatori.
L’insieme delle persone che
vi accedono e ne fruiscono.
Proprio come in un bar dove
si accede per mangiare e
bere. Ma anche per chiacchierare, scambiare opinioni, stare insieme.
Attenzione però alla qualità
comunicativa. Non bisogna
mai allontanarsi dai cinque
requisiti indispensabili a garantire la qualità delle pubblicazioni: accuratezza, autorevolezza, obiettività, aggiornamento e ambito.
Quest’ultimo inteso come
chiarezza dell’obiettivo della
comunicazione. Si tratta di
un testo che si rivolge alle
comunità accademiche e
professionali, ai committenti
ed ai clienti.
Lorenzo Cantoni,
Nicoletta Di Blas, Davide
Bolchini, Comunicazione,
qualità, usabilità, Apogeo,
euro 13,00
ORDINE
1
2005
L A
mezza durante gli “anni di
piombo”, quando l’offensiva
del terrorismo si accanì, con
particolare durezza, proprio
contro i magistrati riformisti e
garantisti.
Questo ambiente, del quale
Beria era un esponente di primo piano, pagò un tributo di
sangue altissimo: molti dei
suoi colleghi più stimati e
amici più cari caddero colpiti
dalle Brigate Rosse.
Il libro dà bene conto del dolore che questa tragedia procurò a Beria (del resto a lungo – lui stesso – nel mirino
dei terroristi), ma sottolinea
anche un altro aspetto importante: che per quanto egli fosse pienamente consapevole
del pericolo gravissimo al
quale era esposto, seppe
conservare un’assoluta lucidità di giudizio, adempiendo
con tranquilla fermezza ai
suoi doveri.
Illuminante la testimonianza,
che il volume raccoglie, del
cardinale Carlo M. Martini:
“Beria mi fece comprendere
che il terrorismo andava affrontato con coraggio e serenità. Era una grande lezione
per quei tempi”. Da ultimo va
ricordato il suo interesse per
il giornalismo. Questa attività
che, ai tempi della lotta partigiana, gli era servita da “tra-
vestimento” per compiere
missioni ad alto rischio, divenne negli anni una delle
sue preferite, quasi una passione che fu apprezzata da
molti, a cominciare da Montanelli.
Proprio i contatti con il mondo
dell’informazione lo spinsero,
probabilmente, a dedicare attenzione ai temi della libertà
di stampa e della deontologia
professionale. Con il consueto rigore prese, fra l’altro, netta posizione contro le spinte
che miravano ad ampliare il
ricorso a sanzioni comportanti l’interdizione professionale. “Se al giornalista si toglie la penna” è il titolo di un
suo intervento del 1986, sul
Corriere della Sera: una lucida analisi dei rapporti fra giustizia e stampa, un vero grido
d’allarme contro i rischi di piegare le norme a meri strumenti di intimidazione e repressione. Parole che, nel clima attuale, suonano cariche
di saggezza e di bruciante attualità.
Mimmo Franzinelli con
Pier Paolo Poggio,
Storia di un giudice
italiano,
Rizzoli Milano 2004,
pagine 376, euro 19,00
L I B R E R I A
Gianni Rizzoni
La agende culturali
2005 Scheiwiller
di Federica Mazza
Nel panorama editoriale della
casa editrice Libri Scheiwiller,
un posto di rilievo è occupato
dalla collana delle agende
culturali, nata nel 1990 con
l’Agenda letteraria.
Chi pensa si tratti di una delle
tante agende che ogni anno
ci vengono proposte per annotare commissioni e appuntamenti, sbaglia.
Infatti, sfogliando le agende
Scheiwiller ci si accorge di
aver tra le mani veri e propri
preziosi libricini che, pagina
dopo pagina, settimana dopo
settimana, arricchiscono la
routine degli impegni quotidiani con preziose pillole di
cultura. Immagini, frasi, citazioni, note biografiche e richiami ad opere e protagonisti del passato.
Non solo: grazie alla preziosa
appendice, le Agende culturali diventano uno strumen-
to indispensabile per i professionisti del settore. In queste
pagine si trovano recapiti di
case editrici, giornali, fondazioni, istituzioni pubbliche e
private e biblioteche specializzate nella materia dell’agenda, nonché premi, festival e ricorrenze varie. Le Agende
culturali sono, da quattordici
anni, un successo editoriale e
si ripropongono puntualmente come una costante per addetti ai lavori, collezionisti e
appassionati del genere.
Basta pensare ai risultati raggiunti dall’agenda letteraria:
220.000 copie pubblicate
ogni anno, per oltre 3 milioni
di copie dal 1990, che corrispondono a 2.500 pagine, più
di 4.500 date e citazioni di
scrittori di tutto il mondo e
2.200 illustrazioni stampate in
elegante bicromia.
Nel corso degli anni, a quella
letteraria si sono aggiunte altre agende specializzate dedicate al mondo dell’arte, del-
Ettore
Mo
Treni
Stenio Solinas
Percorsi d’acqua
di Vito Soavi
di Luciana Baldrighi
Percorsi d’acqua di Stenio
Solinas è uno dei libri più
strani e intriganti che ci sia
capitato di leggere in questi
anni. Definirlo un reportage
di viaggio sarebbe riduttivo,
nonostante i suoi capitoli si
snodino lungo le coordinate
classiche del genere, luoghi,
memorie, storia, rivisitazione. Considerarlo un’opera
narrativa anche, pur se l’impasto fra verità e finzione, fra
io narrante e protagonisti veri e immaginari, fra descrizione e trasfigurazione fa sì
che il lettore dimentichi la
realtà di cui il volume è intessuto per immergersi nel piacere puro e semplice del
racconto.
Forse la definizione più giusta è allora quella di romanzo di formazione, ovvero una
sorta di apprendistato al
viaggio, alla scrittura, alla vita di chi giunto alla maturità
si china a racccogliere e a
riassemblare ciò che è stato:
esperienze e letture, incontri
e scopertte, illusioni e dolori.
Percorsi d’acqua comincia
sulla scia che si lascia dietro
di sé il nuotatore, questo
eroe in incognito di un’epoca
senza eroismi, e finisce fra i
paesaggi lacustri e le risacche del Mekong, il Vietnam
di ieri e quello di oggi, delitto
e castigo per una generazione che coltivò l’utopia di una
«guerra di liberazione».
Apologia del nuotatore si intitola infatti il capitolo introduttivo e raramente il panorama culturale italiano, che
scarseggia di «scrittori baORDINE
1
2005
gnati» ci aveva dato un profilo così originale del rapporto
fra l’uomo e l’acqua, del nuotare inteso come un’etica ed
un’estetica. Chi ha letto
L’ombra del massaggiatore
nero di Charles Sprawson,
uscito una decina d’anni fa
da Adelphi, vedrà come
Solinas non sfiguri al paragone, ma anzi, per certi versi, vada ancora più a fondo
rispetto a quella che era una
vera e propria summa dell’attività natatoria in quanto
disciplina interiore.
«Bracciata dopo bracciata
cerchiamo di avvicinarci al
perché delle cose, e pazienza se un’onda o una corrente ci allontanano.
Caparbi ricominciamo, pessimisti ma attivi. il nuoto è
una metafora della vita. E
ancora: «Di presidenti e premier podisti, golfisti, ciclisti,
velisti, alpinisti c’è l’imbarazzo della scelta, i nuotatori
brillano per la loro assenza.
Disciplina individuale e autosufficiente, votata all’isolamento e alla solitudine, democrazia e totalitarismo sono due categorie che non la
definiscono. Il nuoto è aristocratico».
Scandito in quattro sezioni,
Percorsi d’acqua è una navigazione di idee e di sentimenti fra lagune, arcipelaghi, isole e vele. Ci sono le
lagune ritrovate (il Delta del
Po e la laguna veneta) e
quelle perdute (le paludi irachene fra il Tigri e l’Eufrate);
le isole Porquerolles, i Tropici
di Francia che affascinarono
Georges Simenon, Key
West che stregò Ernest
Hemingay, Yeu che impri-
gionò il maresciallo Pétain;
le vele che solcano gli arcipelaghi della Maddalena e di
Glénan. Il fascino particolare
del libro consiste proprio in
questo impasto di storia e di
memoria. Il racconto che
Solinas fa di un viaggio in
Iraq, subito dopo la fine della guerra, alla ricerca delle
«marshes», seimila chilometri quadrati di un habitat
fatto di caccia e di pesca, rimasto intatto per millenni e
poi prosciugato a forza da
Saddam Hussein subito dopo l’invasione del Kuwait, è
da questo punto di vista
esemplare. L’autore va in
quei luoghi seguendo la
suggestione di travel-writers
come Wilfred Thesiger e
Gavin Young, che li percorsero e vi vissero fra gli anni
Cinquanta e gli anni
Settanta, ma non si limita a
un pedissequo pellegrinaggio culturale: subito il pretesto letterario è abbandonato
in nome dell’attualità, della
visione di un Iraq devastato,
dell’incontro con un’umanità
fiera e dolente, dello scempio ecologico e umano che
vede scorrere davanti ai
suoi occhi.
Stenio Solinas,
Percorsi d’acqua,
Ponte alle Grazie 2004,
pagine 211, euro 13,50
L’ottobre scorso, in concomitanza con l’uscita di Treni, nove
viaggi ai confini del mondo e
della storia di Ettore Mo,
Trenitalia ha presentato la versione plus del suo Intercity, uno
straordinario concentrato di
comfort e sicurezza per chi
viaggia a lunga percorrenza
lungo la nostra penisola; più
spazio, tavolini di servizio con
prese per accendere il pc o ricaricare il cellulare, addirittura
toilettes differenziate per uomini e per donne!La concomitanza è solo una coincidenza casuale, ma evidenzia la realtà
del mondo contemporaneo,
dove i livelli fra progresso ed arretratezza sono sempre molto
distanti.Mo ci riferisce sul percorso di migliaia di chilometri
che ha effettuato quest’anno in
treno, in Mauritania, su un convoglio di duecento vagoni che
trasportano minerali di ferro da
Zouèrate a Nouadhibou, in
Africa Orientale, da Addis
Abeba a Gibuti, insieme ai
pendolari che masticano erba
allucinogena, in Birmania, in
pellegrinaggio al ponte sul fiume Kway, tra Cile e Bolivia, a
quota 4000 metri, con il fantasma di Che Guevara, e così
via, sempre viaggiando esclusivamente su vetture, ma così
passa il convento, che nei casi
più fortunati gli hanno offerto il
comfort di una panca di legno.
Dopo nove viaggi in ferrovia,
sempre alla ricerca di affascinanti avventure captate con
l’occhio di un ricercatore-esploratore delle realtà contemporanee del nostro pianeta, Mo
continua a narrare storie affascinanti raccolte nei suoi viaggi
più recenti.Racconta la corrida
fra il condor e il toro sulle Ande
D I
TA B L O I D
la musica, della scienza, del
cinema e della moda.
Recentemente sono nate anche le Agende letterarie monografiche dedicate a Pirandello, Petraraca e Dante Alighieri. Per il 2005 è stata pubblicata la terza edizione dedicata al poeta fiorentino. Dalle
illustrazioni di Gustave Doré
delle precedenti edizioni si
passa agli affreschi e alle tavole di uno dei più celebri artisti dell’Ottocento, l’austriaco
Joseph Anton Koch.
Ma il cammino della storica
casa editrice milanese è ancora ricco di novità. È uscita
infatti anche l’Agenda del design: un omaggio a un settore
trainante dell’economia italiana, all’avanguardia nel mondo. Nelle sue pagine sono ricordati, con oltre 220 illustrazioni, i più noti creativi, da
Castiglioni a Magistretti, da
Munari a Capucci; ma anche
istituzioni come la Triennale di
Milano, premi come il Compasso d’Oro; la rivista Domus;
aziende come Driade, De Padova; scuole come la Domus
Academy... In appendicie tutte
le informazioni sul mondo del
design: scuole, università,
musei, manifestazioni e aziende.
Agende dunque per tutti gli interessi. Non resta che sce-
gliere quella più vicina ai propri gusti e aggiungere una voce alla lista dei “buoni propositi” per l’anno venturo: tenersi
sempre aggiornati, imparando ogni giorno qualcosa di
nuovo.
Agenda letteraria,
dell’arte, della scienza,
della musica 2005,
a cura di Gianni Rizzoni
160 pagine, formato 10x17,
130 illustrazioni
in bicromia, copertina
in similpelle con incisioni
in oro, Libri Scheiwiller,
euro 12,00
peruviane, la visita nelle viscere delle miniere dove si “venera” il diavolo, in Bolivia a Potosì,
le chiese galleggianti sul Don,
e tanto altro.E conclude con
due nuovi aspetti di intendere
la detenzione: la drammatica
vicenda di un equipaggio prigioniero sulla propria nave, ferma nel porto di Venezia dal
2001, per il fallimento dell’armatore, e l’opportunità offerta a
ladri ed assassini di un carcere
dell’Ohio di occupare il tempo
di detenzione nell’addestramento di cani destinati a ciechi
ed invalidi in genere.Viaggi tra
un passato impossibile da dimenticare ed un futuro in cui le
angosce si mescolano alle
speranze, scrive l’Autore a
conclusione della sua nota introduttiva.Si ravvisano però almeno altri due messaggi.
Il primo, pessimista, formulato
da un Vecchio e Credente di
Verchnyi Ujman (Siberia), che
prevedendo come la Terza
guerra mondiale, tra cristiani e
musulmani, sia inevitabilmente
alle porte, ci invita ad andare a
vivere nella sua città affermando: quì starete al sicuro !!
Il secondo, ottimista, nasce da
una considerazione personale:
durante la seconda guerra
mondiale, chi scrive, per raggiungere la sua famiglia sfollata, ha spesso viaggiato sul tetto di un treno merci stracolmo
di compagni di ventura come
lui pendolari, sul tratto di ferrovia Milano-Piacenza. Ora può
sfrecciare su quei binari a bordo dell’Intercity plus. Questo
lasso di tempo ci fa sperare
che il riequilibrio fra fame e benessere, fra ignoranza e sapienza non è così incolmabile.
Ettore Mo, Treni,
nove viaggi ai confini
del mondo e della storia,
Rizzoli, Milano ottobre 2004,
pagine 229, euro 15,00
Agenda del design 2005,
a cura di Gianni Rizzoni:
prima edizione,
160 pagine, formato 10x12,
220 illustrazioni
in bicromia, copertina
in similpelle verde
con incisioni in argento,
Libri Scheiwiller,
euro 12,00
Agenda Dante Alighieri
2005, a cura di Gianni
Rizzoni: terza edizione,
150 pagine, formato 15x21,
stampa in bicromia,
95 illustrazioni in bicromia
e 8 a quattro colori,
copertina blu con incisioni
in oro, Libri Scheiwiller,
euro 15,00
Ordine/Tabloid
ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Mensile / Spedizione
in a. p. (45%)Comma 20 (lettera B)
art. 2 legge n. 662/96 Filiale di Milano
Anno XXXV - Numero 1
Gennaio 2005
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il 20 dicembre 2004
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