Pasquale Domenico Romano noto come Sergente

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Pasquale Domenico Romano noto come Sergente
Pasquale Domenico Romano noto come Sergente
Romano fu brigante e soldato borbonico.
Nell’intervallo di tempo che corse fra l’estate del
1861 l’autunno del 1863 si svolsero le gesta più
importanti del brigantaggio. Giovanissimo,
Domenico divenne Alfiere fin dai primi passi
nell’Esercito Regio Borbonico, e subito dopo l’Unità
divenne a conti fatti personaggio di spicco nel
Comitato Clandestino Borbonico a Gioia del Colle.
Gravi minacce incombevano sulla provincia di Bari
nell’ autunno del 1861.
Un ufficio riservatissimo, inviato dalla nostra
prefettura al presidente della Gran Corte Criminale
di Trani, riferendosi agli arresti compiuti nel
comune di Gioia in conseguenza della nota
sommossa, si esprime così circa il contegno delle
nostre popolazioni: "Credo opportuno mettere
sotto gli occhi di V.S. che la condizione dei tempi
che corrono, è più grave di quella in cui furono
eseguiti gli arresti; che la ridicola credenza
dell’avvenuta o possibile restorazione dei Borboni è
generale nel basso popolo, che l’impudenza nell’agitarsi e spargere tali notizie, precisamente dalle
famiglie dei detenuti, è massima, che il Governo è vivamente preoccupato dalla possibilità di una
invasione generale nel Barese dei numerosi briganti concentrati sul confine della Basilicata".
Tuttavia in questo contesto la vita della clandestinità non si addisse mai ad uno spirito libero come
Romano, il quale organizzò una banda composta da ex soldati Borbonici e iniziò a colpo ferire il suo
excursus, il 26 luglio 1861, attaccò una guarnigione ad Alberobello e Cellino intanto conosciuto come
Enrico La Morte seminò orrore nell’esercito della Neo Italia, attaccò il 28 luglio anche Gioia del Colle.
Legatosi al Donatelli leader del Vulture commise
una serie di “colpi” tra Andria e Corato ma il
sodalizio durò poco. Di lì a tre mesi, però fu
ritentata, e compiuta. Duecento banditi a cavallo,
agli ordini di Crocco e compartecipe il Romano, il
24 febbraio 1861 entrano in Terra di Bari e
avanzano fin sotto le campagne di Andria e di
Corato, citano importanti fonti storiche.
Tuttavia risulta ancora degna di nota la figura di
Ninco Nanco sulla sua padronanza viene posto un
dispaccio del Cosenz che braccava i noti briganti,
lo stesso infatti partecipò alla lieta novella ai nostri
comuni col seguente dispaccio inviato da Bari alle
sette pomeridiane del 9maggio 1862: “Colonna
Davide Mennuni ha disfatto comitiva Ninco Nanco.
15 briganti uccisi, molti feriti, ferito Ninco Nanco,
cavalli ed armi abbandonati”.
Così passano i giorni queste nomadi turbe: è un agitarsi continuo al gelido soffio della tramontana e al
torrido sole dell’estate, fra le macchie spinose, che lacerano le carni, e le buie caverne che corrodono le
fibre; è un correre vertiginoso ed ansante interrotto da fugaci tregue, una vita di torture inenarrabili, cui
pone termine la fucilazione o la galera! . Il Romano si muove con disinvoltura nei suoi luoghi celandosi
magistralmente, fin quando Sul cadere dello stesso mese di luglio, fra i seguaci del Romano erano sorte
gravi discordie, per cui un gruppo numeroso di fuoriusciti, Cecere, Guarini, Convertini e Chirico di
Cisternino con altri compagni, avevano disertato, aggregandosi alla comitiva di un capobanda napoletano.
Poscia, vedendosi deboli e mal protetti, tornarono in cerca del vecchio duce, che allora soggiornava nelle
campagne di Ostuni, Locorotondo e Alberobello cita l’autore Antonio Lucarelli – da: “AVVENTURE
ITALIANE” Vallecchi Editore, Firenze, 1961 opera di magistrale importanza per capire le gesta del
Romano. A seguito della morte della sua fidanzata Lauretta d’Onghia ad Alberobello assaltò il trullo di Vito
Angelini, delatore che permise la morte della donna. Sebbene dalla documentazione reperita apprendo di
un fatto molto importante riportato nelle pagine del Quaderno del Sud edizioni Qualecultura nel quale cita
:”si ritiene fermamente, che Carlo Gastaldi subito dopo uscito di prigione sia entrato nella banda del
Sergente di Gioia e che lui abbia gridato alla santinella Guardia Piemontese! Guadagnandosi la fiducia del
comandante”.
Ricordando un’opera sempre targata Qualecultura ossia Carlo Gastaldi .Un operaio Biellese brigante dei
Borboni, Gustavo Buratti annota :”In pochi mesi nella prima quindicina di dicembre, la compagnia
Romano si trova a Putignano, Castellaneta, Fasano (…) e trascorrono il Natale nella masseria di Antonio
Surico amico del Sergente”. Quelle che sto per narrare sono le ultime ore di vita del Sergente Romano
qui mito e leggenda si camuffano con la verità storica. Il Romano passò anche il Capodanno nei boschi
del Panzo, “ si diffonde la voce che la banda del Romano sia al Panzo” cita uno degli atti tratto dalla Corte
d’Assise di Trani, ed il 30 di dicembre il Dott. Lino Romeo va ad affrontarlo seguito dai carabinieri.
Giunti nel luogo si stava per preparare un lauto pranzo i carabinieri si nascondono nelle “specchie” (
pietre tolte dai campi arati) ed attendono di agire. I “ribelli” giungono una scarica di fucile parte e
Romano ordina la carica, sorpresi dal fragore delle fucilate un plotone di “nazionali” accorre sul posto
sventolando il tricolore, Romano è in una morsa deve lasciare il campo :” lasciando sul campo nuove o
dieci feriti, cavalli e carriaggi”. Scoraggiata la banda si scinde e la maggior parte segue il brigante verso
Monopoli. Intanto il 4 gennaio Romano tenta un’ agguato alla Guardia Nazionale i quali, perdono De
Stazio ancora interviene la nota storica tratta dagli Atti della Corte D’Assise di Trani :”deve ritirarsi,
lasciando a terra Angelo o Arcangelo de Stazio anziano patriota del ’48” colpito a morte dal ribelle
Lorenzo Carrieri da Crispiano. Romano braccato, preso dalla malinconia torna a Gioia, circondato Enrico la
Morte resiste ma è la fine stremato grida a Michele Cantù di finirlo da soldato ma Cantù imbevuto di
spirito italico gli grida:” muori da brigante”.
Antonio Lucarelli che a conti fatti ha ampiamente descritto gli eventi nella sua opera Il brigantaggio
politico dalle Puglie dopo il 1860 edito da Laterza Bari 1922 cita:” è così il brigante Borbonico, visionario
ed illuso fino all’ estremo della vita, soggiacque alle sciabolate del sergente lombardo, (…) nella terra
natia che per la prima volta lo raccolsero profugo e ribelle”.Ventidue ribelli muoiono sul campo ma molti
si salvano facendo finta di aver contratto la morte, tra cui spiccò Carlo Gastaldi il biellese citato in calce.
Frattanto la leggenda vuole che il morto alla Vallata non sarebbe stato il Romano ma un suo sosia.
Si racconta che il brigante fosse invulnerabile per una medaglia avuta in dono dal papa. Eppure, per
convincere gli increduli il suo cadavere fu portato come trofeo di masseria in masseria, era a pezzi volto
irriconoscibile persino i giornali francesi dedicarono commossi articoli alla sua memoria. Interviene a
chiarire quanto da me detto il professor Vincenzo Grimaldi che nella sua opera La reazione di Gioia del
Colle del 1861 ed il Sergente Romano afferma :”I seguaci sbigottiti dalla caduta del loro sedicente, (…) si
impadroniscono del corpo del Romano, e trasportato su un mulo lo traggono a Gioia”. Sedevano così
ignare le sorelle del nostro che avvinte dal clamore della folla che le insultava scorgono così il corpo
dell’eroe Pugliese.
D’un tratto scorto il motivo della cosa si udirono urla e subito dopo chiudere con fracasso le porte della
casa Romano. Conferma ancora il professor Grimaldi ivi nella stessa opera:”Le sorelle avevano
riconosciuto il freddo cadavere (…) del proprio fratello ed oppresse dagli insulti della plebaglia si erano
ritirate nelle stanze. Il corpo del Romano, privo dei suoi abiti e nudo, stette per due giorni esposto alla
pubblica indignazione nella Piazza del Castello e venne poi sepolto di nascosto”.Il 6 di gennaio viene
inviato dispaccio alla persona del signor Procuratore del Re presso Tribunale di Bari citando:” In
adempimento dei miei doveri (…) mi affretto che ieri le ore 21 una colonna di 50 (…) ebbero uno scontro
nella Vallata colla banda dei briganti capeggiata dal famigerato ex sergente Borbonico Pasquale Romano,
rimasero al suolo uccisi 22 briganti, ed altri catturati vivi. (…) l’altro che è ancora giovanotto di anni 14
sarà rimesso al potere.
Maria Lombardo Consigliere Commissione Cultura Comitati Due Sicilie Centro Studi e Ricerche Comitati
Due Sicilie
Il Sergente Pasquale Domenico Romano rappresenta, probabilmente, l’immagine più romantica del
brigantaggio. Nacque a Gioia del Colle il 24 agosto 1833 da una famiglia di pastori, nel 1851 si arruolò
nell’Esercito Borbonico dove intraprese una brillante carriera diventando appunto Sergente. Con
l’invasione piemontese e disciolto l’Esercito Borbonico divenne subito comandante del comitato
clandestino borbonico del paese natio. Vista però la mancanza di azione del comitato, decise di iniziare la
lotta armata. Riuscì a riunire i compagni d’armi borbonici creando la sua prima banda, le prime
operazioni, contro la Guardia Nazionale ed i regolari piemontesi erano mirate a procurarsi armi e
munizioni. Il 28 luglio 1861 irruppe in Gioia del Colle costringendo i piemontesi ad abbandonare la città,
bisogna dire che per la riuscita dell’azione fu molto importante la partecipazione alla battaglia dei cittadini
i quali non nascondevano la propria ammirazione per il Segente. Bisogna dire che le truppe piemontesi e
la Guardia Nazionale per vendicarsi si accanirono contro la sua famiglia ed agli amici più cari, questo
procurò nel Romano un astio ancora maggiore contro gli “invasori”. Unita la sua banda con quella del
Generale Crocco Carmine Donatelli, nel 1862, bloccò le strade di accesso dapprima per Andria e Corato
poi quelle fra Altamura e Toritto tendendo imboscate sia all’esercito che alla Guardia Nazionale. Inoltre
vennero distrutte le masserie di liberali ed ex garibaldini della zona, seminando il panico e facendo strage
tra i “traditori del Popolo meridionale”. Tutti questi episodi fecero concentrare gli sforzi dell’esercito
piemontese e della Guardia Nazionale a reprimere la banda del Sergente Romano. Il 1 Dicembre 1862 il
Sergente commise un grave errore, bivaccando presso la solita masseria dei Monaci, dove
frequentemente, essendoci una cappella, faceva servire pure messa, ritenne inutile mettere delle
sentinelle e questo fece avere vita facile al reggimento di fanteria Sabaudo che potè attaccare facilmente,
ma il Sergente insieme a pochi altri superstiti riuscì a fuggire. Pur riuscendo ad arruolare altri uomini e a
ricominciare con piccoli attacchi a combattere l’esercito Sabaudo, ormai era braccato pericolosamente ed
il 4 gennaio 1863 venne intercettato nei boschi presso la natia Gioia del Colle e la sua eroica resistenza fu
vana infatti i piemontesi lo uccisero, si dice che prima dell’ultimo respiro riuscì a gridare EVVIVA O RRE!
(riferendosi a Francesco II). Il suo corpo spogliato della divisa Borbonica fu caricato sopra un mulo ed
esposto in Gioia del Colle per un intera settimana. Con lui finì anche il brigantaggio in Puglia,