Discorsi Sconnessi - Teatro di Messina

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Discorsi Sconnessi - Teatro di Messina
Associazione Culturale
EFREM
Discorsi Sconnessi
Dialogo teatrale di Paride Acacia
liberamente tratto dal suo primo romanzo I sogni finiscono
all’imbrunire, Giraldi editore, Bologna
Durata 55 minuti
Diretto ed interpretato da Paride Acacia e Giovanni Maria Currò
Prodotto dall’Associazione Culturale EFREM
Luci e Fonica Adriana Bonaccorso e Giovanna Verdelli
Presentazione
Discorsi Sconnessi è un dialogo brillante, a volte un po’ amaro, che si dipana all’interno
di una scenografia minima, tra due amici che hanno realtà e modi di sentire
completamente diversi. Un discorso surreale che descrive acidamente ed ironicamente
una generazione di ragazzi “randagi” vissuti in una città del sud. Un viaggio alchemico
e confuso tra i miti, gli usi e le abitudini di chi ha scelto la strada dell’ignavia reiterata.
Nel quartiere dove sono cresciuti hanno rincorso palloni San Siro su e giù per un viale
intasato dal traffico, fatto di aerosol con gas di scarico, fuggendo sempre da una
piazza troppo stretta.
Le donne li hanno incatenati ad un vivere materiale, il regime ginecocratico più
consono al loro modo di fare: lì annaspano beati nel giaciglio di Circe.
Il matriarcato avrà su di loro un effetto corruttivo ed ammaliante da cui non sapranno
mai svincolarsi: se Ulisse si redime da Calipso, e Mitra uccide nella leggenda il toro e
quindi la propria materialità in favore di una piena spiritualità, i due amici vengono
vinti dal Triangolo inverso, sempre e comunque.
Cercheranno di sublimare la “Grande Madre” tentando la via dell’affiliazione mafiosa.
La mafia li affascinerà con la simbologia del silenzio e il mistero dell’autorità, piegando
al suo volere un santo dispettoso.
Scapperanno in zattera verso il continente in cerca di fortuna e di un futuro migliore,
ma allergici al lavoro, torneranno sulle spiagge cittadine a svernare le loro carcasse al
sole dello stretto.
Nell’aria di questa rappresentazione c’è il profumo della zagara, l’afa dell’estate
rovente, ci sono il rock’n roll e gli ormoni selvaggi, le lolite e le vecchie madri
ingrigite, i boss e i riti iniziatici, il mito platonico e le divinità pagane, i mari caldi e la
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biancheria intima stesa fuori ad asciugare al vento di scirocco. C’e l’eterna ricerca della
“Bellezza”, della forma fisica perfetta, dell’amore fatato.
La drammaturgia è spezzata, lacerata, lampeggiante, disconnessa del tutto da un filo
puramente logico.
La dualità è un concetto che attraversa tutto il racconto, ed è la chiave che spiega le
mille contraddizioni nei comportamenti e negli ideali dei due protagonisti. Mischiare
lo champagne con la gazzosa, anteporre sempre il mito del Cristo a quello di Giove
Feretrio, il freddo mare Ionio al più caldo Tirreno, gli AC/DC al Symbolum77. C’è
l’antico dilemma: decidere di essere figli delle stelle oppure arrendersi e sopportare
l’onta delle teorie darwiniste. Essere terzini sinistri e giocare di rimessa senza troppi
narcisismi o sfidare il destino e calciare una palla tentando l’incrocio dei pali!
Uno spettacolo leggero ma non superficiale (almeno nell’intenzione dell’autore) che
parte da esperienze inerenti la porzione di strada dove egli è cresciuto per abbracciare
temi, argomenti e riflessioni a carattere universale: le donne, gli amori, l’impegno
politico, la mafia, tutti toccati sì con leggerezza, ma con un’amara lungimiranza. Un
“viaggio” senza rotta, disconnesso, senza stelle ad indicarne la via, ma con il solo
istinto a far luce nel vivere quotidiano, da “uomini qualunque”.
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