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IVA e imposte indirette
Prime osservazioni sull’impatto dirompente
dello split payment
Giorgio Vaselli
Avvocato
Senior Associate
Legance Avvocati Associati, Roma
Breve analisi della nuova modalità di applicazione
dell’IVA sulle forniture di beni e servizi alla Pubblica
Amministrazione (split payment) e degli svantaggi che la
stessa potrebbe generare in capo ai fornitori interessati
1.
Introduzione
La Legge di stabilità per il 2015 (Legge [di seguito L.] n. 190/2014
o anche Legge di Stabilità) ha introdotto importanti modifiche
alle modalità di applicazione dell’IVA per le cessioni di beni e
le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato e di
taluni enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione.
Si tratta del nuovo istituto definito tecnicamente split payment,
finalizzato a contrastare fenomeni di evasione dell’IVA realizzati da tutti quei soggetti che, dopo aver incassato l’imposta
dai loro clienti (esercitando la rivalsa obbligatoria a norma di
legge), ne omettono il relativo versamento all’Erario alle scadenze dovute (realizzando in sostanza un guadagno illecito,
ai danni dello Stato)[1].
Questo tipo di frode è ben noto al legislatore tributario (italiano ed europeo) che già in passato è periodicamente intervenuto con misure ad hoc aventi finalità simili a quella in
commento. Lo strumento più comunemente utilizzato, non
solo a livello nazionale ma anche comunitario, è sempre stato
il cosiddetto “reverse charge” limitato alle operazioni effettuate tra soggetti passivi IVA (le cosiddette operazioni business to
business). Nel reverse charge, il soggetto debitore dell’IVA non è
più il fornitore, ma il cliente (cioè il cessionario o committente):
questi non è tenuto a pagare l’IVA al fornitore (di beni o servizi) ma effettua un’autoliquidazione dell’IVA dovuta, indicando contestualmente nei propri registri IVA sia un’IVA a credito
che un’IVA a debito di pari ammontare (così beneficiando di
una automatica detrazione dell’IVA sui beni e servizi acquistati)[2]. Si evita, in questo modo, che il fornitore incassi l’IVA
e ne ometta il versamento all’Erario. Le applicazioni del reverse
charge sono molto frequenti nei settori statisticamente esposti a frodi di questo tipo quali gli acquisti intracomunitari[3] ,
il settore dell’edilizia o della fornitura di apparecchiature informatiche[4].
Lo split payment è uno strumento per certi versi molto simile
al reverse charge perché, di fatto, elimina la rivalsa dell’IVA a favore del fornitore e pone gli obblighi di versamento in capo
al cliente/ente pubblico. Ciò che tuttavia contraddistingue lo
split payment è il campo di applicazione estremamente ampio,
interessando qualsiasi fornitura (fatta da un soggetto passivo IVA) alla Pubblica Amministrazione (a prescindere dal fatto
che l’ente pubblico agisca nell’ambito di un’attività d’impresa o
meno – elemento invece di grande rilevanza ai fini dell’applicazione del reverse charge)[5].
L’effetto è, quindi, drastico: per le fatture emesse dal 1. gennaio 2015 nei confronti degli enti pubblici individuati dalla legge
(quasi tutti), gli imprenditori non incasseranno più IVA da tali
enti divenendo, di fatto, soggetti strutturalmente titolari di eccedenze di IVA a credito: cioè soggetti costretti a recuperare
l’IVA pagata ai rispettivi fornitori solamente tramite le richieste
di rimborso all’Erario, su base annuale o infra-annuale ovvero,
entro certi limiti, tramite compensazioni cosiddette “orizzontali”
(cioè con imposte diverse dall’IVA)[6]. Tale circostanza potrà,
con tutta evidenza, penalizzare eccessivamente diversi settori
economici, causando notevoli problematiche di tipo finanziario a carico dei soggetti che cedano beni o prestino servizi agli
enti pubblici. È il caso ad esempio delle imprese appaltatrici
di progetti di real estate finance o di project finance aventi come
unico committente un ente pubblico: generalmente, tali imprese fanno ricorso alla leva finanziaria per sostenere i notevoli
costi di realizzazione delle opere (pubbliche) fino al momento
in cui il committente (soggetto pubblico) erogherà il corrispet-
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tivo pattuito (che prima dello split payment comprendeva anche l’IVA). Ebbene, tali soggetti, si troveranno a dover finanziare l’IVA dovuta ai propri fornitori per un periodo ben più lungo
rispetto al passato (subendo quindi un ulteriore aggravio rappresentato dai maggiori oneri finanziari): poiché i pagamenti
della Pubblica Amministrazione non comprendono più l’IVA
(con una sostanziale riduzione delle compensazioni cosiddette
“verticali” ai fini IVA), il fabbisogno finanziario si estenderà fino
al momento dell’effettiva erogazione del rimborso dell’eccedenza di IVA a credito da parte dell’Erario (o come detto, fino
al momento della compensazione “orizzontale”, quando possibile)[7]. In altri termini la nuova misura, nell’intento di colpire
con forza le frodi IVA realizzate nell’ambito del settore pubblico, genera anche degli evidenti effetti fortemente distorsivi
nell’applicazione del tributo, andando di fatto ben oltre gli scopi
per i quali era stata concepita[8].
confronti “dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di
personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra
essi costituiti […], delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali,
degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi
prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e
beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari
o committenti non sono debitori d’imposta” [9].
La novella, peraltro, è efficace a partire dal 2015 ma, allo stesso
tempo, è subordinata all’approvazione da parte del Consiglio
dell’Unione europea (tramite una specifica misura di deroga
ai sensi dell’articolo 395 della Direttiva comunitaria sull’IVA
n. 2006/112/CE). Se non dovesse giungere il nullaosta a livello europeo, lo split payment potrebbe creare ulteriori incertezze e complicazioni a livello amministrativo e contabile a tutti
i soggetti, privati e pubblici, interessati dal regime in commento
(nell’eventualità in cui divenisse necessario ripristinare i meccanismi in vigore fino al 31 dicembre 2014).
Il Decreto Ministeriale (di seguito D.M.) del 23 gennaio 2015
ha risolto i dubbi relativi a tutte le operazioni effettuate
a cavallo tra il 2014 ed il 2015, chiarendo che il nuovo regime si
applica alle operazioni “per le quali è stata emessa fattura” a partire
dal 1. gennaio 2015. Per quanto riguarda invece l’ambito soggettivo, le circolari n. 1/E e 15/E del 2015 hanno individuato
i soggetti pubblici rientranti nello split payment e quelli esclusi
in quanto autonomi rispetto alla struttura statale (che perseguono propri fini anche se di interesse generale)[11] , interpretando la norma primaria in modo ampio e, pertanto, espandendo ulteriormente il campo applicativo del nuovo regime.
In questi casi, l’IVA dovuta “dovrà essere versata dall’amministrazione acquirente direttamente all’Erario, anziché allo stesso fornitore,
scindendo quindi il pagamento del corrispettivo dal pagamento della
relativa imposta”[10], a partire dalla data in cui l’imposta diviene
esigibile. Come anticipato, in questo modo la Pubblica Amministrazione non corrisponderà più ai propri fornitori l’imposta
addebitata in fattura, ma solo l’imponibile.
Per mitigare gli effetti penalizzanti che il nuovo regime produce inevitabilmente nei confronti dei fornitori della Pubblica
Amministrazione, la L. n. 190/2014 si è limitata ad introdurre
talune facilitazioni fruibili solamente in caso di richiesta di rimborso dell’eccedenza di IVA a credito su base annuale o trimestrale. Il legislatore è intervenuto, per così dire, sia ad un livello
sostanziale sia ad uno procedurale con misure che, ad una prima
analisi, sembrerebbero in ogni caso essere scarsamente efficaci per tutelare tutti i soggetti incisi dallo split payment.
2.
Il contesto normativo: cosa è stato fatto
Il set di norme relativo allo split payment comprende il nuovo
articolo 17-ter D.P.R. n. 633/1972, introdotto dall’articolo 1,
comma 629, lettera b) L. n. 190/2014, nonché una serie di
disposizioni integrative e transitorie contenute nello stesso
comma 629 (e nei successivi) della stessa legge. A queste si
aggiungono (ad oggi) le disposizioni attuative emanate con
i Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23
gennaio 2015 e del 20 febbraio 2015 e diversi chiarimenti ufficiali forniti dalle circolari 1/E del 9 febbraio 2015, 6/E del 19
febbraio 2015, 14/E del 27 marzo 2015 e 15/E del 13 aprile
2015 dell’Agenzia delle Entrate.
L’articolo 17-ter D.P.R. n. 633/1972 ha un campo di applicazione ben definito, riguardando cessioni di beni e prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate nei
In primo luogo, è stato modificato l’articolo 30 D.P.R. n.
633/1972 contenente i requisiti sostanziali per poter accedere ai rimborsi IVA[12]: in breve, ogni soggetto passivo IVA che
effettui “esclusivamente o prevalentemente” operazioni rientranti
nello split payment avrà diritto a chiedere il rimborso della propria eccedenza di IVA a credito alla prima occasione
utile (annuale o trimestrale)[13]. In assenza di tale disposizione,
i soggetti interessati avrebbero dovuto attendere almeno due
anni per poter solamente richiedere detto rimborso. Tuttavia, la misura è, di fatto, inutile per tutti quei soggetti coinvolti
in progetti di real estate finance o di project finance (che maturano
periodicamente enormi volumi di eccedenze di IVA a credito):
questi infatti avevano già diritto a tale agevolazione per l’IVA
relativa all’acquisto di beni ammortizzabili[14].
In secondo luogo, a livello “procedurale”, l’articolo 1, comma
630, L. n. 190/2014 e l’articolo 8 D.M. del 23 gennaio 2015
prevedono l’“erogazione” prioritaria dei rimborsi IVA, ai soggetti
incisi dallo split payment, ma nei limiti dell’IVA detraibile derivante dalle operazioni rientranti nel campo di applicazione
dello stesso split payment[15].
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Complessivamente, resta discutibile la scelta di fondo del legislatore di venire incontro ai contribuenti modificando (in minima parte) il regime dei rimborsi IVA: è evidente infatti che la
carenza di liquidità che lo split payment determina immediatamente nei confronti dei soggetti incisi trova rimedio solamente
nel medio-lungo periodo. Al riguardo, basti osservare che,
a partire dal 1. gennaio 2015, ogni fornitore della Pubblica
Amministrazione non incassa più IVA (cosiddetta a debito)
compensabile con la propria IVA a credito; la prima occasione
utile per richiedere il rimborso della propria eccedenza detraibile è stata il 30 aprile 2015[16]; da quel momento l’Amministrazione Finanziaria ha tre mesi per effettuare il rimborso
(trattasi, peraltro, di termine meramente ordinatorio)[17].
Con tutta evidenza, tale scenario non regge il confronto con
la possibilità di effettuare compensazioni “verticali” (mensili
o trimestrali) svanita il 31 dicembre 2014. Ove ciò non bastasse, l’attuale contesto normativo è ulteriormente aggravato dal fatto che, come noto, l’Agenzia delle Entrate è ancora
oggi ferma sulla posizione (ingiustificata) che “i crediti IVA di cui
alle richieste di rimborso infrannuale non possono formare oggetto di
cessione rilevante nei confronti dell’Amministrazione finanziaria” [18].
L’impossibilità – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – di cedere i crediti IVA trimestrali a terzi (come ad esempio banche, società di cartolarizzazione o altri enti finanziari italiani
o esteri) con una cessione efficace nei confronti della stessa
Amministrazione finanziaria rappresenta un ostacolo di estrema rilevanza (se non addirittura ostativo) alla possibilità per
il fornitore della Pubblica Amministrazione di finanziare l’IVA
da esso a sua volta dovuta ai propri fornitori (e.g. tramite il ricorso al finanziamento bancario ovvero allo sconto di crediti).
Ad esempio, nell’ambito delle operazioni di finanza strutturata,
è prassi degli istituti finanziari subordinare la concessione del
finanziamento dei crediti IVA alla circostanza che tali crediti
vengano ceduti (in garanzia o pro soluto, a seconda della forma tecnica del finanziamento) a proprio favore. Orbene, tale
(pretesa) inefficacia della cessione del credito trimestrale nei
confronti della Pubblica Amministrazione rappresenta un ulteriore elemento di rigidità del sistema fiscale che – con l’ingresso dello split payment – non ha più alcuna valida ragione di
essere, quanto meno con riferimento alle fattispecie interessate dal nuovo meccanismo.
Del pari, non sembra soddisfacente la possibilità (delle imprese incise dallo split payment) di compensare “orizzontalmente”
in F24 l’eccedenza di IVA con imposte diverse dall’IVA[19].
Per evidenti ragioni tecniche, da un lato, tali compensazioni
potranno avvenire con termini piuttosto dilazionati (ragio-
nevolmente, la compensazione orizzontale con l’Imposta sul
Reddito delle Società [di seguito IRES]/Imposta Regionale sulle
Attività Produttive [di seguito IRAP] non potrà avvenire prima
del 16 giugno – data di pagamento del saldo e della prima rata
di acconto per le società con esercizio coincidente con l’anno
solare). Peraltro, questa soluzione non garantisce una compensazione integrale del credito IVA (ma solo nei limiti di altri
debiti d’imposta indicati in F24 ed è soggetta al tetto annuale
di 700’000 euro) o diviene del tutto inutilizzabile in presenza di
perdite ai fini IRES/IRAP.
3.
Il contesto normativo: cosa si sarebbe potuto fare
In questa primissima fase di implementazione nell’ordinamento
italiano del regime IVA in commento non è passata inosservata
la rigidità del Parlamento e del Governo italiano che hanno cercato,
solo in minima parte, di migliorare i provvedimenti normativi
finora emanati per ridurre, quanto possibile, le inefficienze
sopra descritte.
Come visto, agevolare (di poco) l’accesso ai rimborsi IVA, non è
sufficiente in quanto espone i contribuenti a tempi di recupero
eccessivamente lunghi (approssimativamente 6-7 mesi, nel caso
dei rimborsi trimestrali per spese sostenute ad inizio anno). Sembrerebbe, piuttosto, (ri)presentarsi l’occasione utile per superare
una volta per tutte l’annosa questione dell’opponibilità all’Amministrazione finanziaria della cessione a terzi (ai sensi dell’articolo 1260 del Codice Civile e dell’articolo 69 del Regio Decreto
[di seguito R.D.] n. 2440/1923)[20] dei crediti IVA trimestrali,
finora sempre rigettata dall’Amministrazione finanziaria.
Per quanto d’interesse ai presenti fini, si ricorda che ai sensi
dell’articolo 5, comma 4-ter D.Lgs. n. 70/1988[21] “Agli effetti
dell’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul
valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel secondo
comma dal suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo”. Interpretando la norma in maniera particolarmente restrittiva, l’Amministrazione finanziaria ha sempre
negato (in numerose interpretazioni ufficiali, tra cui, da ultimo,
la Circolare n. 6/E del 2006, al punto 12.4 e la Risoluzione n.
49/E del 4 aprile 2006) l’efficacia della cessione a terzi di crediti IVA trimestrali. Questa lettura della norma è stata fortemente criticata sia in dottrina che da diverse associazioni di
categoria[22] , in ragione del fatto che (in sintesi) l’eccedenza
IVA trimestrale chiesta a rimborso può a tutti gli effetti essere
considerata come un credito cedibile a terzi (ai fini civilistici)
e che non sussiste un divieto normativo alla cessione di tale
credito ceduto (soprattutto se la cessione avvenga nel pieno
rispetto dell’articolo 69 R.D. n. 2440/1923).
L’impasse può essere validamente superata modificando la norma in commento (al fine di chiarire non tanto l’ammissibilità[23]
quanto l’efficacia nei confronti del Fisco della cessione di crediti
IVA trimestrali). Nelle more dell’auspicato intervento del legislatore, lo stesso risultato potrà essere agevolmente raggiunto a
livello interpretativo da parte della stessa Agenzia delle Entrate,
superando definitivamente le conclusioni di cui alla summenzio-
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nata Risoluzione n. 49/E, divenute, a partire dal 2015, decisamente più penalizzanti rispetto al contesto normativo del 2006.
A poche settimane dall’entrata in vigore dello split payment,
numerose categorie di fornitori della Pubblica Amministrazione hanno sollecitato, senza successo, al Governo correzioni al
campo di applicazione del nuovo regime (soprattutto a livello
soggettivo) o l’introduzione di norme “transitorie” finalizzate ad
escludere i contratti in corso al 1. gennaio 2015 (i quali, per ovvie ragioni, erano stati negoziati dalle parti senza tenere conto
dell’aggravio finanziario in commento). Tuttavia, la normativa
è stata completata (senza modifiche) in tempi relativamente
rapidi[24] e sembra, allo stato attuale, difficile ipotizzare degli
opportuni correttivi (a livello normativo).
n. 633/1972, che consentirebbe di ridurre in maniera sostanziale l’eccedenza di IVA a credito dei fornitori (senza sacrificare
le esigenze di controllo e monitoraggio dell’Agenzia delle
Entrate)[25]. Difatti, per gli esportatori abituali, la costituzione del plafond – come chiarito in passato dall’Amministrazione
finanziaria – “rappresenta una facoltà concessa dalla legge in presenza di condizioni oggettivamente correlate con l’esercizio dell’attività e, quindi, con l’azienda” [26]. Non essendo naturalmente
possibile un’applicazione estensiva di tale regime ai soggetti
incisi dallo split payment per evidenti ragioni tecniche[27] ,
anche in questo caso sarà necessario un intervento del legislatore (in tempi ragionevoli).
Ciononostante, lo split payment può ancora essere migliorato,
quantomeno nelle sue modalità applicative. Infatti, considerato
che i fornitori del settore pubblico sono stati, di fatto, posti nella
stessa condizione degli esportatori abituali (anch’essi soggetti
strutturalmente a credito, ma operanti in un settore con caratteristiche uniche e ben diverse dal mondo delle forniture alla Pubblica
Amministrazione), si potrebbe mutuare, con i dovuti adattamenti,
il meccanismo del plafond di cui all’articolo 8, comma 2 D.P.R.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.casaeclima.com/public/casaeclima/Immagini%20sito/2015/
italia/split_payment.png [18.05.2015]
[1] Si veda la relazione illustrativa della Legge di Stabilità. Inoltre, come osserva l’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, lo split
payment, mira a garantire anche gli acquirenti dal
rischio di coinvolgimento nelle frodi commesse da
propri fornitori o da terzi.
[2] Salvo il caso in cui il cliente abbia un pro-rata di
indetraibilità dell’IVA dovuto alle caratteristiche del
settore economico in cui opera o i casi di esclusione o riduzione della detrazione IVA per determinati
beni o servizi (cfr. articoli 19 e seguenti del Decreto
del Presidente della Repubblica [di seguito D.P.R.] n.
633/1972).
[3] Cfr. articoli 44 e seguenti del Decreto Legge n.
331/1993 (convertito, con modificazioni, nella L. n.
427/1993).
[4] Cfr. articolo 17 D.P.R. n. 633/1972. Peraltro, la stessa Legge di Stabilità ha introdotto nuovi casi di reverse
charge in settori specifici (edile ed energetico) “in considerazione delle evidenze di frodi nel settore” (come recita
la relazione illustrativa).
[5] Lo split payent è un meccanismo noto alle istituzioni dell’Unione europea ed è già stato oggetto di
dibattiti ed approfondimenti tecnici volti a valutarne la reale efficacia antifrode e la compatibilità con
il diritto comunitario. L’applicazione generalizzata
dello stesso è stata, tra l’altro, già oggetto di critiche nel cosiddetto Libro Verde sul futuro dell’IVA,
COM(2010) 695 del 1. dicembre 2010. Cfr. Centore
Paolo, “Split payment” ed estensione del “reverse
charge”: un attacco concreto al VAT gap, in: Corriere
tributario n. 3/2014, pagina 3316.
[6] In altre parole, i fornitori del settore pubblico
sono stati, di fatto, posti nella stessa condizione degli
esportatori abituali (soggetti, con tutta evidenza,
estremamente diversi e, soprattutto, beneficiari di
una serie di norme agevolative).
[7] Cfr. COM(2010) 695 del 1. dicembre 2010, paragrafo 5.4.2 “Questa opzione potrebbe tuttavia influire
http://www.comune.sannicandro.bari.it/imprese/wp-content/uploads/2015/02/IVA.jpg [18.05.2015]
http://www.impresamia.com/wp-content/uploads/2015/02/agenziaentrate.jpg [18.05.2015]
sfavorevolmente sulla relazione tra fornitore o prestatore
e acquirente o destinatario, e quindi sulle attività commerciali in generale, e potrebbe anche avere ripercussioni
negative sulla tesoreria dei fornitori o dei prestatori”.
[8] A livello sistematico, le inefficienze dello split
payment saranno ancora più manifeste in tutte le
operazioni di “intermediazione” rilevanti ai fini IVA in
cui prenderà parte la Pubblica Amministrazione. Ad
esempio, nel caso delle società consortili operanti nei
confronti di enti pubblici, si potrà verificare il caso in
cui l’IVA a credito della società consortile (relativa a
beni/servizi che questa acquista dalle consorziate)
non potrà più essere compensata con l’IVA dovuta
dalla Pubblica Amministrazione per le prestazioni di
beni/cessioni di servizi ricevute (come accadeva di
norma fino a fine 2014).
[9] Si tratta cioè di enti pubblici che in ogni caso non
sono soggetti al regime di reverse charge (che, come
sopra indicato, trova applicazione in talune fattispecie precisamente determinate dal legislatore).
In altre parole, lo split payment italiano è un meccanismo residuale e subordinato all’applicazione
del reverse charge.
[10] Cfr. Circolare n. 1/E del 2015 dell’Agenzia delle
Entrate.
[11] Il fornitore, al fine di individuare i soggetti pubblici inclusi nello split payment, potrà avvalersi del
motore di ricerca all’interno del sito IPA (Indice delle
Pubbliche Amministrazioni) e verificare direttamente nella loro anagrafica la categoria di appartenenza
e i riferimenti dell’ente pubblico acquirente.
[12] Cfr. articolo 1, comma 629, lettera c) L. n. 190/2014.
[13] Se d’importo superiore a 2’582.28 euro e se
l’aliquota mediamente applicata su tutti gli acquisti
e tutte le importazioni, per il periodo di riferimento,
supera quella mediamente applicata su tutte le
operazioni effettuate maggiorata del 10%, per il
medesimo periodo (nel calcolo non si tiene conto
degli acquisti, delle importazioni e delle cessioni di
beni ammortizzabili). Come confermato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 15/E del 13 aprile
2015, ai fini del calcolo dell’aliquota media, le operazioni soggette allo split payment si considerano
“ad aliquota zero”.
[14] In particolare, l’articolo 30, comma 2, lettera
c) D.P.R. n. 633/1972 consente di richiedere il rimborso su base annuale per l’eccedenza di IVA a credito relativa all’acquisto o all’importazione di beni
ammortizzabili. In questo caso, è anche possibile
richiedere (alla prima occasione utile) il rimborso su
base trimestrale, a condizione che gli acquisti di beni
ammortizzabili superino i due terzi dell’ammontare
complessivo degli acquisti di beni e servizi imponibili
ai fini IVA (cfr. articolo 38-bis del medesimo decreto).
[15] Come correttamente osservato dalla stampa
specializzata, i fornitori della Pubblica Amministrazione si aggiungono alle cinque categorie che già
beneficiano della corsia preferenziale (i.e. subappaltatori edili assoggettati al reverse charge; soggetti che
effettuano recupero e preparazione per riciclaggio di
cascami e rottami metallici; produttori di zinco, zolfo
e semilavorati; produttori di alluminio e semilavorati;
produttori di aeromobili, veicoli spaziali e dei relativi
dispositivi). Quindi è logico pensare che più si allunga
la fila dei soggetti in coda, più saranno lunghi i tempi
di attesa (cfr. il Sole 24 Ore, del 6 febbraio 2015, pagina
37). Sempre in materia di erogazione prioritaria dei
rimborsi IVA, si segnala che con il D.M. del 20 febbraio
2015 è stato opportunamente eliminato (con efficacia immediata) dall’articolo 8 del D.M. del 23 gennaio
2015 il rinvio al D.M. del 22 marzo 2007. Quest’ultimo, infatti, limita l’erogazione prioritaria dei rimborsi
solamente a quei soggetti (i) che esercitano l’attività
d’impresa da almeno tre anni e (ii) che hanno un’eccedenza detraibile richiesta a rimborso d’importo
pari o superiore a 10’000 euro in caso di richiesta di
rimborso annuale ed a 3’000 euro in caso di richiesta
di rimborso trimestrale e (iii) per i quali l’eccedenza
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detraibile richiesta a rimborso sia di importo pari o
superiore al 10% dell’importo complessivo dell’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni
effettuati nell’anno o nel trimestre a cui si riferisce
il rimborso richiesto. Come chiarito dalla recente
Circolare n. 15/E del 2015, “Le disposizioni contenute
nel citato articolo 8 (ndr. del D.M. del 23 gennaio 2015)
stabiliscono, dunque, che le operazioni da split payment
danno diritto all’erogazione prioritaria solo nel caso in cui
il presupposto del rimborso sia quello dell’aliquota media, e
nel limite dell’ammontare dell’imposta applicata a tali operazioni nel periodo di riferimento. Diversamente dalle altre
tipologie di rimborso prioritario, è dunque possibile che
il rimborso da split payment, di cui al citato articolo 8, sia
prioritario solo per una parte dell’importo, mentre la parte
restante rimane soggetta all’esecuzione ordinaria”.
[16] Cfr. articolo 8, comma 2 D.P.R. n. 542/1999.
[17] Si ricorda tuttavia che ai sensi del vigente
articolo 1 D.M. del 23 luglio 1975, il termine per
effettuazione del rimborso sarebbe il 20 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento.
La norma, tra l’altro, mal si coordina con l’articolo
38-bis D.P.R. n. 633/1972 (che prevede, a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 13 del
Decreto Legislativo [di seguito D.Lgs.] n. 175/2014,
il termine di tre mesi dalla richiesta di rimborso), ma
dovrebbe essere tuttora applicabile.
[18] Cfr. Risoluzione n. 49/E del 4 aprile 2006 e Circolare n. 6/E del 13 febbraio 2006, punto 12.4.
[19] Ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. n. 241/1997 (su
base annuale) e dell’articolo 8 D.P.R. n. 542/1999
(su base trimestrale).
[20] La Legge sull’amministrazione del patrimonio e
sulla contabilità di Stato.
[21] Convertito con modificazioni nella L. n. 154/1988.
[22] Per maggiori approfondimenti sul tema in
commento si segnalano: Circolare Assonime n. 15
del 28 aprile 2006; Centore Paolo, Cessione estesa ai crediti IVA trimestrali, in: Corriere tributario
n. 31/2006; norma di comportamento n. 164
dell’Associazione italiana dottori commercialisti.
Anche la giurisprudenza civile di merito si è recentemente occupata della tematica in commento:
nella sentenza n. 2252 del 27 maggio 2013 la Corte
d’appello di Venezia (sezione terza civile), conformandosi all’interpretazione della dottrina maggioritaria, ha riconosciuto l’efficacia nei confronti
dell’Amministrazione finanziaria della cessione dei
crediti IVA trimestrali. La sentenza tiene conto del
principio generale di matrice comunitaria per cui
“il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in
un mese, due mesi ovvero un trimestre […] gli Stati membri possono fissare periodi diversi, comunque non superiori all’anno” (cfr. articolo 22, paragrafo 4, lettera a)
della Direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE) e ribadisce che l’attuale posizione dell’Amministrazione
finanziaria “pretende, illegittimamente, ed attraverso un
atto interpretativo (circolari), di trarre un divieto di cessione da norme che non lo prevedono, ma che, anzi, nel
complesso dell’ordinamento tributario appaiono esegeticamente orientate in senso contrario, verso la cessione
di ogni tipo di credito”. A conclusioni simili era giunta
anche la Commissione Tributaria Regionale di Perugia nella sentenza n. 188 del 27 novembre 2012
(decisamente più sintetica di quella testé citata).
[23] In relazione alla quale, come correttamente indicato nella norma di comportamento n. 164
dell’Associazione italiana dottori commercialisti non
sembrano sussistere limitazioni o divieti normativi
sia a livello nazionale che a livello comunitario.
[24] Soprattutto perché, in assenza dei provvedimenti
attuativi dell’articolo 17-ter D.P.R.n. 633/1972, si è
riscontrato che diversi enti locali, nell’incertezza sulle
modalità applicative del nuovo regime, avevano
inizialmente bloccato il pagamento di qualsiasi corrispettivo nei confronti dei relativi fornitori (aggravando
ulteriormente la posizione finanziaria di questi ultimi).
[25] Cfr. Falsitta Gaspare/Fantozzi Augusto/Marongiu
Giovanni/Moschetti Francesco, Commentario breve
alle leggi tributarie – Tomo IV IVA e imposte sui trasferimenti, CEDAM, Padova 2010, pagina 102: “Tali
vantaggi si giustificano sia da un punto di vista strutturale, che costituzionale, tenuto conto dell’esigenza di evitare
una costante situazione creditoria dell’operatore economico nei confronti del Fisco italiano verso cui non potrebbe
recuperare il suddetto credito in via di rivalsa, come, invece,
fa normalmente in relazione alle operazioni imponibili”.
[26] Cfr. Risoluzione n. 621202/1991 del Ministero
delle Finanze.
[27] Gran parte della dottrina concorda nel ritenere il
regime del plafond una disposizione non agevolativa
ma piuttosto come una “modalità per riportare ad equilibrio il sistema applicativo IVA, nel rispetto del principio della
neutralità del tributo, evitando i riflessi negativi sotto il profilo finanziario che deriverebbero ai contribuenti dalla loro
(più o meno) costante posizione creditoria in conseguenza
dell’attività esercitata con l’estero” (cfr. Centore Paolo,
Codice IVA nazionale e comunitario commentato,
IPSOA 2010, pagina 257).
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