Riflessioni e reazioni Articoli Rassegne
Transcript
Riflessioni e reazioni Articoli Rassegne
Copertina v3 3-08 10-12-2008 18:45 Pagina 1 Edizione Italiana Volume 3 Numero 3 Dicembre 2008 – ISSN 1828-6607 http://www.thelancet.com/neurology Riflessioni e reazioni Articoli Rassegne LRRK2: colmare il divario tra la malattia di Parkinson sporadica e quella ereditaria-familiare Fare luce sul ruolo della povertà nello sviluppo del cervello La trattografia nei disturbi neurologici: concetti, applicazioni e sviluppi futuri Vedi pagina 164 Vedi pagina 195 Vedi pagina 148 Volume 3 Numero 3 Dicembre 2008 The Lancet Neurology Edizione Italiana Elsevier srl Via Paleocapa, 7 20121 Milano Tel. 02/88184.1 Fax 02/88184303 e-mail: [email protected] Editoriale Attualità 146 Riflessioni sull’efficacia della terapia farmacologica dei disturbi cognitivi della malattia di Alzheimer: quali evidenze disponibili? 161 Gli esperti sollecitano un’intelligente riflessione sui farmaci stimolanti cognitivi Claudio Mariani Kelly Morris 164 Fare luce sul ruolo della povertà nello sviluppo del cervello Kelly Morris Riflessioni e reazioni Reg. Trib. Milano n. 280 del 14.04.2006 147 Dalle osservazioni agli studi clinici: la dieta chetogena e l’epilessia ISSN 1828-6607 Max Wiznitzer Edizione riservata Lundbeck per i sigg. Medici – Fuori commercio 148 LRRK2: colmare il divario tra la malattia di Parkinson sporadica e quella ereditaria-familiare Alexis Elbaz 151 La sindrome delle gambe senza riposo vede la luce del giorno Kapil D Sethi Direttore responsabile Wubbo Tempel Direttore scientifico Alberto Albanese Istituto Neurologico Carlo Besta Università Cattolica, Milano Traduzione Adriano Chiò Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Torino Assistente scientifico Francesca Del Sorbo Istituto Neurologico Carlo Besta 153 Esiti a breve termine delle funzioni cognitive e affettive della stimolazione cerebrale profonda del nucleo subtalamico nella malattia di Parkinson Alexander I Tröster Articoli 167 Demenza incidente e riduzione dei livelli di pressione arteriosa nello studio Hypertension in the Very Elderly Trial cognitive function assessment (HYVET-COG): studio in doppio cieco controllato con placebo Ruth Peters, et al. 174 Efficacia della telemedicina sito-indipendente nello studio STRokE DOC: studio randomizzato, in cieco, prospettico Brett C Meyer, et al. Rassegne 155 Doxiciclina orale per la neuroborreliosi Gary P Wormser, John J Halperin 157 Revisione dei criteri diagnostici di ricerca per la malattia di Alzheimer Serge Gauthier, et al. 158 Fattore VII attivato ricombinante protrombotico nell’emorragia intracerebrale: veloce (FAST) ma non mirato? 184 RM nella sclerosi multipla: stato attuale e prospettive future Rohit Bakshi, et al. 195 La trattografia nei disturbi neurologici: concetti, applicazioni e sviluppi futuri Olga Ciccarelli, et al. Julien Bogousslavsky, Bartlomiej Piechowski-Jozwiak Punto di vista Redazione In-folio, Torino 209 Cellule B e sclerosi multipla Diego Franciotta, et al. Impaginazione Kino, Torino Stampa Pirovano Srl, San Giuliano Milanese La selezione qui pubblicata è stata effettuata dal Direttore scientifico sugli articoli pubblicati nell’edizione originale di The Lancet Neurology (fascicoli dal giugno 2008 al settembre 2008). Gli argomenti selezionati coprono un ampio arco della neurologia, con lo scopo di fornire un’informazione equilibrata e aggiornata nella disciplina. L’editoriale è pubblicato su invito del Direttore scientifico, al quale possono essere indirizzate eventuali proposte. Nigel Owen/Central Illustration Agency (http://www.centralillustration.com/) Efficacia della telemedicina sito-indipendente nello studio STRokE DOC: studio randomizzato, in cieco, prospettico (vedi pag. 174) 01 Lancet.indd 145 © 2008 Elsevier Ltd. All rights reserved. This journal and the individual contributions contained in it are protected under copyright by Elsevier Ltd, and the following terms and conditions apply to their use. The Lancet® is a registered trademark of Elsevier Properties S.A., used under license. To subscribe to full English version, contact Customer Services at The Lancet, Rockwood House 9–17 Perrymount Street Haywards Heath RH16 3DH Telephone: +44 (0) 1865 843 077 Fax: +44 (0) 1865 843 970 email: [email protected] Alcuni articoli possono essere contrassegnati dalle seguenti icone: Valutato e rivisto con procedura rapida per la pubblicazione in 4-8 settimane Pubblicato precedentemente online Contenuti extra disponibili sul web (www.thelancet.com) 10-12-2008 20:14:49 Riflessioni e reazioni Editoriale Riflessioni sull’efficacia della terapia farmacologica dei disturbi cognitivi della malattia di Alzheimer: quali evidenze disponibili? I farmaci autorizzati per il trattamento della malattia di Alzheimer (MA) sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChE-Is) (donepezil, galantamina, rivastigmina, tacrina – quest’ultima non commercializzata in Italia) e la memantina. La loro indicazione differisce lievemente a seconda delle fasi di malattia: gli AChE-Is sono indicati nella MA da lieve a moderatamente severa (con l’eccezione di donepezil che ha recentemente ottenuto negli USA l’estensione dell’indicazione anche alla fase severa), mentre l’indicazione di memantina si estende dalla fase moderata alla fase severa della MA. Sia gli AChE-Is sia memantina sono farmaci ad azione sintomatica, la cui potenziale efficacia si traduce nel rallentamento della progressione dei disturbi cognitivi, mediante il potenziamento della stimolazione colinergica cerebrale (AChE-Is) o la modulazione dell’ipertono glutammatergico (memantina). I risultati delle sperimentazioni cliniche sull’efficacia di tali trattamenti si prestano a diversi approcci analitici. Una prima modalità si basa sul confronto della variazione, dopo un predefinito periodo di trattamento farmacologico, dei punteggi delle scale di valutazione tra il gruppo trattato e il gruppo placebo. Da tale confronto emerge che tutti gli AChE-Is (senza differenze tra le diverse molecole) e memantina hanno un’efficacia superiore al placebo, in modo statisticamente significativo. Questo approccio, tuttavia, limitandosi a un confronto tra gruppi, non consente di valutare quali e quanti pazienti traggono un effettivo beneficio dalla terapia. Per tale motivo la più recente letteratura scientifica affianca al tradizionale concetto di efficacia statisticamente significativa quello di beneficio clinicamente rilevante. Nel caso di una patologia cronica e progressiva come la demenza, è oggetto di dibattito se includere nel concetto di beneficio clinicamente rilevante solo il miglioramento o anche la stabilizzazione clinica. La definizione adottata dall’FDA e applicata agli AChE-Is prevede il miglioramento di almeno 4 punti della scala ADAS-cog. Secondo questa definizione, il 10% dei pazienti affetti da MA trattati presenta un miglioramento clinicamente rilevante, che 146 01 Lancet.indd 146 eccede la percentuale di miglioramento del gruppo placebo. Per la valutazione della risposta a memantina, invece, è stata adottata una definizione equivalente alla stabilizzazione clinica. Secondo tale definizione, il 19% dei pazienti affetti da MA da moderatamente severa a severa trattati presenta un miglioramento clinicamente rilevante, che eccede la percentuale di miglioramento del gruppo placebo. Infine, un’ulteriore modalità di approccio alla valutazione dell’efficacia dei trattamenti nella MA è quella che si basa sui risultati degli studi osservazionali post-marketing (PMS). Sulla base degli studi PMS condotti in Italia, la percentuale di stabilizzazione clinica nei pazienti affetti da MA lieve-moderata trattati con AChE-Is è del 30%, mentre nei pazienti affetti da MA da moderatamente severa a severa trattati con memantina è pari al 27%. Poiché gli studi PMS non prevedono un gruppo di controllo, è presumibile che tali percentuali di risposta includano una quota di effetto placebo. In una prospettiva di sanità pubblica, gli studi PMS forniscono un contributo alla valutazione dell’efficacia dei trattamenti farmacologici nella MA importante e complementare a quello delle sperimentazioni cliniche. Essi, infatti, includendo pazienti non selezionati sulla base di rigidi criteri (come avviene invece nelle sperimentazioni) consentono di ottenere evidenze scientifiche che riflettono la medicina del mondo reale. L’ultima riflessione concerne il divario tra la durata degli studi finora illustrati (6-12 mesi) e la storia naturale della MA, che mediamente si estende lungo un arco cronologico di 10 anni: per un’adeguata valutazione dell’efficacia dei trattamenti farmacologici occorrerà pianificare in futuro l’attuazione di studi di più ampio respiro temporale. Claudio Mariani Università degli Studi di Milano Clinica Neurologica Ospedale Luigi Sacco, Milano Conflitti di interesse Non ho conflitti di interesse. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:49 Riflessioni Riflessioni e reazioni e reazioni Dalle osservazioni agli studi clinici: la dieta chetogena e l’epilessia The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 147 ri della Cochrane Collaboration hanno anche approvato, seppure con una certa cautela, la dieta come possibile modalità per il trattamento dell’epilessia.6 L’assenza di studi randomizzati controllati è stata variamente motivata, compresi il fatto che l’efficacia della dieta fosse già stata provata, i dubbi sull’eticità del placebo, i problemi di finanziamento e la mancanza di gruppi che sostenessero studi di questo tipo. Nel loro articolo, Neal e collaboratori riportano una diminuzione del numero di crisi quotidiane nei bambini assegnati al trattamento con dieta chetogena rispetto al gruppo di controllo: il 38% dei bambini sottoposti alla dieta aveva una riduzione superiore al 50% delle crisi rispetto al 6% del gruppo di controllo. Il miglioramento nel controllo delle crisi è risultato simile nei bambini con epilessia generalizzata sintomatica e nei bambini con sindromi epilettiche focali. Si ritiene comunemente che gli studi osservazionali includano delle distorsioni, che comprendono mancanza di randomizzazione, bias di selezione, limitazioni nei dati disponibili per l’analisi e differenze nella misura dell’effetto terapeutico, ma questo concetto è stato messo in dubbio. Il confronto fra gli studi osservazionali e quelli randomizzati controllati pubblicati non ha mostrato rilevanti differenze negli effetti del trattamento.7,8 Tuttavia, Pubblicato Online il 3 maggio 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70093-0 Dr P Marazzi/Science Photo Library All’inizio del XX secolo, le opzioni terapeutiche disponibili per il trattamento dell’epilessia erano limitate al fenobarbital e ai bromuri. La ricerca di terapie alternative, tra cui l’impiego di regimi dietetici, portò al lavoro di Wilder1 sui positivi effetti anticonvulsivanti di una dieta ad alto contenuto di grassi e a basso contenuto di carboidrati e proteine. La dieta è stata definita “chetogena” perché induce la produzione di chetoni. Il lavoro di Wilder è stato il primo di una lunga serie di casi clinici e studi osservazionali che hanno confermato l’efficacia di questo trattamento dietetico. Negli anni successivi, la dieta chetogena è stata dapprima accolta con entusiasmo e poi sostituita dal crescente numero di farmaci antiepilettici, per poi riconquistare una certa importanza attraverso la campagna pubblicitaria che seguì il successo che essa dimostrò nel controllare le crisi miocloniche in un bambino.2 La dieta chetogena rappresenta ora un’opzione terapeutica per vari tipi di crisi epilettiche, quali gli spasmi infantili, le crisi miocloniche e le crisi tonico-cloniche. La dieta è stata poi utilizzata per il trattamento dei disturbi del metabolismo energetico, come il deficit di GLUT-1 e il deficit del complesso piruvato deidrogenasi, permettendo all’organismo di utilizzare una fonte alternativa di energia. La dieta classica, con un rapporto tra grassi e carboidrati/proteine di 3-4:1, è stata modificata con l’inclusione di trigliceridi a catena media (MCT) e con il protocollo dietetico Atkins.2,3 Benché non sia stato determinato con certezza il suo esatto meccanismo d’azione, le teorie proposte includono l’effetto anticonvulsivante diretto dei corpi chetonici, la modificazione delle concentrazioni di neurotrasmettitori e il miglioramento delle riserve di energia con la stabilizzazione della funzione neuronale.4 Nell’edizione originale di The Lancet Neurology,5 Neal e collaboratori presentano i risultati del loro studio randomizzato controllato condotto su bambini trattati con dieta chetogena classica o con dieta chetogena con MCT per 3 mesi rispetto a un gruppo di controllo in cui il trattamento era stato iniziato con un ritardo di 3 mesi. Questo studio è importante perché durante tutto il XX secolo i lavori sugli effetti della dieta si limitavano a casistiche retrospettive e a studi osservazionali prospettici. Gli articoli di revisione, tra cui uno della Cochrane Collaboration, hanno fatto notare l’assenza di studi randomizzati controllati; tuttavia gli auto- Test per la chetonuria 147 10-12-2008 20:14:50 Riflessioni e reazioni questo non si verifica nel caso del trattamento con la dieta chetogena. Gli studi osservazionali hanno riportato una riduzione superiore al 50% delle crisi epilettiche in una percentuale di pazienti compresa fra il 4% e il 63% e un controllo totale delle crisi in una percentuale variabile fra lo 0% e il 56% del gruppo studiato; l’ampia variabilità di questi range è dovuta alle differenze nella struttura della popolazione studiata e, in molti casi, al mancato uso di analisi come l’intent-to-treat.9 Rispetto allo studio clinico di Neal e collaboratori, gli autori degli studi osservazionali prospettici hanno riportato una percentuale più elevata di bambini liberi da crisi epilettiche e un numero maggiore di casi che avevano raggiunto una riduzione superiore al 90% del numero di crisi. Neal e collaboratori forniscono tuttavia informazioni più utili sull’entità dell’effetto del trattamento e sostengono ulteriormente l’utilità di questo tipo di studio. Quindi, cosa è ancora necessario fare? La risposta a questa domanda dipende da quale punto di vista si affronta il problema. Clinicamente sono necessarie più informazioni sugli effetti a lungo termine della dieta chetogena, compresi i cambiamenti delle concentrazioni ematiche di lipidi e la persistente chetosi; inoltre, sono necessari una migliore identificazione delle epilessie che potrebbero beneficiare di un inizio precoce della dieta chetogena e il confronto tra le diete chetogene disponibili. Dal punto di vista funzionale sono necessari una migliore definizione del meccanismo d’azione della dieta e lo sviluppo di un farmaco che ne replichi gli effetti. In sintesi, gli aspetti clinici e scientifici della dieta chetogena comportano ancora sfide e opportunità per la comunità neurologica. Max Wiznitzer Rainbow Babies and Children’s Hospital, Division of Pediatric Neurology, Cleveland, OH 44106, USA [email protected] Non ho conflitti di interesse. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Wilder RM. The effect of ketonemia on the course of epilepsy. Mayo Clin Bull 1921; 2: 307. Freeman JM, Kossoff EH, Hartman AL. The ketogenic diet: one decade later. Pediatrics 2007; 119: 535–43. Hartman AL, Vining EPG. Clinical aspects of the ketogenic diet. Epilepsia 2007; 48: 31–42. Bough KJ, Rho JM. Anticonvulsant mechanisms of the ketogenic diet. Epilepsia 2007; 48: 43–58. Neal EG, Chaffe H, Schwartz RH, et al. The ketogenic diet for the treatment of childhood epilepsy: a randomised, controlled trial. Lancet Neurol 2008; 7: 500–06. Levy R, Cooper P. Ketogenic diet for epilepsy. Cochrane Database Syst Rev 2003; 3: CD001903. Benson K, Hartz AJ. A comparison of observational studies and randomized, controlled trials. N Engl J Med 2000; 342: 1878–86. Ligthelm RJ, Borzi V, Gumprecht J, Kawamori R, Wenying Y, Valensi P. Importance of observational studies in clinical practice. Clin Ther 2007; 29: 1284–92. Keene DL. A systematic review of the use of the ketogenic diet in childhood epilepsy. Pediatr Neurol 2006; 35: 1–5. LRRK2: colmare il divario tra la malattia di Parkinson sporadica e quella ereditaria-familiare Pubblicato Online il 9 giugno 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70118-2 148 01 Lancet.indd 148 Le mutazioni di LRRK2, il gene che codifica per la proteina leucine-rich repeat kinase 2 (LRRK2), sono responsabili di forme familiari a trasmissione autosomica dominante e di forme sporadiche di malattia di Parkinson (MP) e sono le più comuni cause genetiche di MP. La mutazione più frequente tra quelle finora identificate nel gene LRRK2 è la Gly2019Ser, la cui frequenza varia tra i differenti gruppi etnici. A causa dell’elevata frequenza della mutazione Gly2019Ser nel gene LRRK2 e della sua associazione con casi di MP apparentemente sporadici, sono state sollevate domande importanti relative ai test genetici e alle consulenze genetiche: quali sono la frequenza, la penetranza e la patogenicità delle mutazioni LRRK2? Quali sono i fenotipi del gene LRRK2 e vi sono differenze rispetto al fenotipo della MP idiopatica? Nell’edizione originale di The Lancet Neurology, gli autori di due studi tentano di rispondere a queste domande.1,2 Healy e colleghi1 presentano i dati raccolti nell’ambito dell’International LRRK2 Consortium che, con la partecipazione di 21 centri, ha ricercato la mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 in 19.376 pazienti non correlati affetti da MP. La più elevata frequenza di questa mutazione è stata trovata fra i nordafricani (nel 39% dei pazienti con MP sporadica; nel 36% dei pazienti con MP familiare), seguiti dagli ebrei Ashkenazi (10% MP sporadica; 28% MP familiare). La maggior parte dei portatori è stata identi- The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:51 ficata in centri di riferimento e nessuno degli studi era di popolazione; pertanto, queste frequenze potrebbero non essere confrontabili con quelle della popolazione generale dei pazienti con MP.3 Inoltre, di solito i centri di riferimento attraggono giovani pazienti e i portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 avevano un’età di esordio di poco inferiore rispetto ai pazienti con MP idiopatica, il che potrebbe aver portato a sovrastimare la frequenza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2. Hulihan e collaboratori2 hanno eseguito la genotipizzazione di 238 pazienti con MP sporadica e di 371 controlli tunisini, riscontrando che la mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 era più comune nei pazienti rispetto ai controlli (30% rispetto a 2%; odds ratio=22,6; IC 95% 10,2-50,1); sorprendentemente, nessuno dei pazienti o dei controlli aveva una storia familiare di MP. Questi risultati mostrano che la stima della frequenza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 è più accurata quando i casi sporadici sono differenziati dai casi familiari, perché gli studi di prevalenza complessivi sono influenzati dalla proporzione di casi familiari. Gli autori mostrano chiaramente la variabilità della frequenza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 in base al gruppo etnico e che la mutazione è presente in una parte sostanziale dei casi sporadici. Questa osservazione e l’identificazione di portatori sani della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 indicano una penetranza ridotta di questa mutazione. La stima della penetranza di mutazioni autosomiche dominanti (ad es., il rischio di malattia tra i portatori di una mutazione) è un compito impegnativo, ma è essenziale per la consulenza genetica. Le stime della penetranza sono di solito elevate quando sono basate su famiglie ad alto rischio e potrebbero non essere applicabili alla popolazione generale. Gli studi di popolazione con un numero sufficiente di portatori sono raramente realizzabili a causa di problemi economici e di questioni etiche. Un’alternativa è studiare le popolazioni con elevata frequenza della mutazione; il principale requisito è che i partecipanti siano rappresentativi della popolazione. Hulihan e collaboratori2 hanno studiato gli arabo-berberi della Tunisia, una popolazione con elevata frequenza della mutazione, e hanno riscontrato che in questa popolazione la penetranza nel corso della vita di MP nei portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 era del 45%. Questa stima è superiore alle stime di penetranza negli ebrei Ashkenazi (26% a 80 anni;4 35% nel corso della vita5) o negli italiani (32% a 80 anni)6 che non erano stati The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 149 George Steinmetz/Science Photo Library Riflessioni e reazioni Gli arabi nordafricani hanno un’elevata frequenza di mutazioni Gly2019Ser del gene LRRK2 associate alla malattia di Parkinson selezionati per storia familiare, ma inferiore alle stime ottenute da famiglie con MP trasmessa con modalità autosomica dominante (100%).7 Con un metodo uguale a quello usato da Hulihan e collaboratori, siamo in grado di stimare approssimativamente un IC al 95% di circa il 20-100% per una penetranza del 45%; in realtà, una stima adeguatamente precisa della penetranza ottenuta da studi caso-controllo di solito richiede campioni di grandi dimensioni.8 Anche se questo metodo non si basa su dati familiari, richiede che i partecipanti non siano selezionati per la storia familiare. Non è chiaro se l’inclusione di soli casi e controlli senza storia familiare di MP influenzi la stima della penetranza (Healy e collaboratori riferiscono frequenze simili di mutazioni Gly2019Ser del gene LRRK2 in casi sporadici e familiari in nord Africa). Sono necessari ulteriori dati relativi all’incidenza di MP tra i parenti di arabo-berberi portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2. Infine, è opportuno precisare che le stime di incidenza cumulativa ottenute con il metodo KaplanMeier e indicate nel lavoro non stimano la penetranza. Healy e collaboratori hanno stimato una penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 (74% a 79 anni) superiore rispetto a quella riscontrata da Hulihan e collaboratori. Il principale limite di questa stima è che il campione di pazienti era distorto a favore dei casi familiari; ciò potrebbe avere sovrastimato la penetranza. Tuttavia, questo studio non permette di confrontare la penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 con la penetranza di altre mutazioni e i suoi risultati implicano che mutazioni più rare potrebbero avere una maggiore 149 10-12-2008 20:14:52 Riflessioni e reazioni penetranza. Inoltre, non è stata trovata alcuna differenza nella penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 a seconda del sesso o dell’etnia, in accordo con un precedente studio.9 Healy e collaboratori hanno confrontato le principali caratteristiche cliniche di 313 portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 con una serie di 543 pazienti con MP dimostrata patologicamente tratta dalla Queen Square Brain Bank (QSBB). Gli autori hanno concluso, in accordo con Hulihan e collaboratori, che il fenotipo della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 non può essere distinto dal fenotipo della MP idiopatica. Molti risultati di Healy e collaboratori (progressione più lenta della malattia, comparsa più tardiva di cadute, inizio posticipato della terapia sostitutiva dopaminergica e minor rischio di danno cognitivo) sono indicativi di una progressione più benigna della MP nei portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 rispetto ai pazienti con MP idiopatica. Vi sono, tuttavia, alcune limitazioni metodologiche per quanto riguarda il gruppo di confronto: in primo luogo, la gravità della malattia può influenzare la probabilità che un paziente sia inserito in una banca dei cervelli, e i pazienti della QSBB non sono rappresentativi della popolazione generale dei pazienti con MP; secondo, i pazienti della QSBB avevano una durata di malattia superiore ai portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 e l’incidenza di vari esiti aumenta con la durata della malattia; terzo, i pazienti della QSBB avevano un’età d’esordio maggiore, e anche la frequenza dei diversi esiti aumenta con l’età; quarto, i due gruppi di pazienti potrebbero essere stati trattati in modo diverso. Benché questi risultati siano certamente importanti, devono essere confermati da studi prospettici correttamente disegnati. Uno dei punti di forza dei consorzi genetici è la capacità di studiare mutazioni rare. Healy e collaboratori riferiscono che sei mutazioni nel gene LRRK2 (Gly2019Ser, Arg1441Gly, Arg1441Cys, Arg1441His, Ile2020Thr, Tyr1699Cys) soddisfano i criteri per la patogenicità. Inoltre, gli autori di un recente studio hanno riportato che il fenotipo della mutazione Arg1441Cys era clinicamente simile alla MP idiopatica.9 Tuttavia, nonostante il grande numero di pazienti valutati per mutazioni nel gene LRRK2, non è stato possibile studiare le caratteristiche cliniche delle mutazioni diverse dalla Gly2019Ser a causa dei piccoli numeri. Entrambi gli studi nell’edizione originale di The Lancet 150 01 Lancet.indd 150 Neurology forniscono importanti contributi. La stima della prevalenza delle mutazioni del gene LRRK2 tra i casi sporadici e familiari di MP consente di quantificare l’importanza del gene LRRK2 come gene causale della MP in diversi gruppi etnici. Entrambi gli studi sottolineano l’importanza di raccogliere dati di popolazione, e studi futuri dovrebbero prendere in considerazione disegni epidemiologici in grado di stimare la frequenza e la penetranza delle mutazioni del gene LRRK2 a livello di popolazione. L’esecuzione del test per la mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 viene di solito discussa caso per caso e può contribuire all’accuratezza e alla certezza diagnostica, utile per alcuni pazienti e famiglie. La stima accurata della penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 è essenziale per la consulenza genetica dei parenti asintomatici di portatori di tale mutazione, ma le stime di penetranza sono incerte e studi futuri dovrebbero fornire stime più precise applicabili a livello di popolazione. La scoperta del gene LRRK2 ha reso possibili test pre-sintomatici dei portatori della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2. Tuttavia, l’assenza di terapie neuroprotettive rende controversa questa possibilità e sottolinea l’importanza della consulenza genetica. Una caratteristica interessante delle mutazioni del gene LRRK2 è la loro associazione con la MP sporadica e familiare. Inoltre, se alcuni portatori della mutazione non sviluppano la MP, quali cofattori (ad es., geni o esposizioni ambientali) influenzano la penetranza e l’età d’esordio? Dimostrando che la penetranza non dipende da sesso o etnia, i dati presentati da Healy e collaboratori1 suggeriscono che questi cofattori sono distribuiti in modo simile negli uomini e nelle donne e nei diversi gruppi etnici. Tuttavia, sono necessari ulteriori lavori per individuare questi cofattori. Alexis Elbaz INSERM Unit 708, Neuroepidemiology, Hôpital de la Salpêtrière, 47 Bvd de l’Hôpital, 75651 Paris Cedex 13, France [email protected] 1 2 3 4 Healy DG, Falchi M, O’Sullivan S, et al. Phenotype, genotype, and worldwide genetic penetrance of LRRK2-associated Parkinson’s disease: a case control study. Lancet Neurol 2008; 7: 583–90. Hulihan MM, Ishihara-Paul L, Kachergus J, et al. LRRK2 Gly2019Ser penetrance in Arab–Berber patients from Tunisia: a case-control genetic screen. Lancet Neurol 2008; 7: 591–94. Williams-Gray CH, Goris A, Foltynie T, et al. Prevalence of the LRRK2 G2019S mutation in a UK community-based idiopathic Parkinson’s disease cohort. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2006; 77: 665–67. Clark LN, Wang Y, Karlins E, et al. Frequency of LRRK2 mutations in earlyand late-onset Parkinson disease. Neurology 2006; 67: 1786–91. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:52 Riflessioni e reazioni 5 6 7 Ozelius LJ, Senthil G, Saunders-Pullman R, et al. LRRK2 G2019S as a cause of Parkinson’s disease in Ashkenazi Jews. N Engl J Med 2006; 354: 424–25. Goldwurm S, Zini M, Mariani L, et al. Evaluation of LRRK2 G2019S penetrance: relevance for genetic counselling in Parkinson disease. Neurology 2007; 68: 1141–43. Kachergus J, Mata IF, Hulihan M, et al. Identification of a novel LRRK2 mutation linked to autosomal dominant parkinsonism: evidence of a common founder across European populations. Am J Hum Genet 2005; 76: 8 9 672–80. Gail MH, Pee D, Benichou J, Carroll R. Designing studies to estimate the penetrance of an identified autosomal dominant mutation: cohort, case-control, and genotyped-proband designs. Genet Epidemiol 1999; 16: 15–39. Haugarvoll K, Rademakers R, Kachergus JM, et al. Lrrk2 R1441C parkinsonism is clinically similar to sporadic Parkinson disease. Neurology 2008; 70: 1456–60. La sindrome delle gambe senza riposo vede la luce del giorno La sindrome delle gambe senza riposo (Restless Legs Syndrome, RLS) è una patologia caratterizzata da un disturbo sensitivo-motorio che ha una prevalenza del 5-10% nella popolazione di razza bianca.1 La diagnosi di RLS è stata facilitata negli ultimi 5 anni dai criteri diagnostici elaborati da un gruppo di esperti dei National Institutes of Health (NIH),2 mentre se ne stanno cominciando a comprendere le basi biologiche con la scoperta dei polimorfismi genetici che predispongono i pazienti a sviluppare la RLS o i movimenti periodici delle gambe nel sonno (Periodic Leg Movements in Sleep, PLMS).3,4 La diagnosi di RLS rimane clinica, ma i PLMS registrati con la polisonnografia o l’actigrafia rappresentano potenziali biomarcatori della malattia. I sintomi della RLS sono fortemente influenzati dai ritmi circadiani e molti pazienti cercano l’aiuto di specialisti del sonno, perché lo stimolo a muovere gli arti inferiori o il disagio alle gambe può determinare difficoltà all’addormentamento. Tuttavia, la RLS viene sempre più considerata un disturbo multiforme, con manifestazioni diurne come incapacità a stare fermi e scatti involontari agli arti inferiori che non sono necessariamente periodiche. Anche se i criteri diagnostici NIH danno importanza al peggioramento dei sintomi di sera o al momento di coricarsi, non escludono affatto i sintomi diurni. Nello studio INSTANT,5 il 5-10% dei pazienti presentava i sintomi prima delle ore 18.00 e il 50% nel periodo compreso tra le 18.00 e il momento in cui andava a letto. In uno studio di popolazione la descrizione da parte dei pazienti dei sintomi in un diario o taccuino ha mostrato che quasi il 60% dei pazienti con RLS aveva sintomi diurni (Allen R, Johns Hopkins University, Baltimore, MD, USA, comunicazione personale). Nello studio di Trenkwalder e collaboratori6 contenuto nell’edizione originale di The Lancet Neurology, circa il 60% dei pazienti ha ottenuto un punteggio diurno a riposo di 5-10 alla RLS-6, scala di valutazione della RLS, indicativo di sintomi The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 151 diurni da moderati a gravi. Solo 20 partecipanti (5%) non presentavano alcun sintomo diurno all’inizio dello studio. Il trattamento con rotigotina, un agonista dopaminergico a lunga durata d’azione, ha migliorato i sintomi diurni in circa metà dei pazienti che avevano riportato tali disturbi al momento iniziale dello studio.6 La fisiopatologia della RLS è ancora poco conosciuta, ma coinvolge un’anomala ipereccitabilità dei sistemi spinali modulati dalle vie dopaminergiche discendenti che provengono dal tronco cerebrale.7 La disfunzione del sistema dopaminergico potrebbe essere secondaria ad alterazioni del metabolismo e del deposito del ferro nel SNC.7 Forse l’argomento più convincente a favore del coinvolgimento del sistema dopaminergico è la risposta della RLS ai farmaci dopaminergici, come la levodopa e i dopaminoagonisti, segnalata per la prima volta come scoperta casuale da Akpinar8 nel 1987. I dopaminoagonisti sono stati successivamente approvati per il trattamento della RLS e determinano un beneficio nella maggior parte dei pazienti.9,10 Tuttavia, gli studi di neuroimmagine funzionale del sistema dopaminergico nigrostriatale hanno fornito risultati contrastanti e non è noto quali vie siano esattamente coinvolte nella fisiopatologia della RLS.7 Nel 1996, Earley e Allen11 hanno descritto un peculiare effetto nei pazienti con RLS trattati con farmaci dopaminergici, in particolare levodopa. L’effetto, che essi avevano chiamato augmentation, è stato successivamente definito come un peggioramento dei sintomi della RLS durante il trattamento, che porta a un aumento complessivo della gravità della RLS rispetto a prima del trattamento. Recentemente, sono state proposte nuove definizioni per tale fenomeno ed è stata sviluppata e validata una scala di valutazione della gravità dell’augmentation (ASRS).12 Gli effetti dell’augmentation, in particolare per quanto riguarda i sintomi diurni della RLS, dipendono dalla durata dell’effetto del farmaco dopaminergico. Con il trattamento Pubblicato Online il 31 maggio 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70113-3 151 10-12-2008 20:14:52 Riflessioni e reazioni efficace dei sintomi serali mediante un farmaco a breve durata d’azione, i pazienti potrebbero iniziare a focalizzarsi sui sintomi diurni, quando le concentrazioni ematiche del farmaco a breve durata d’azione sono diminuite. È meno probabile che questo fenomeno si verifichi con i farmaci a durata d’azione più lunga, perché i periodi del giorno in cui il paziente è privo di terapia sono più brevi. I farmaci a lunga durata d’azione, come la rotigotina, trattano i sintomi diurni e potrebbero mascherare il fenomeno dell’augmentation. Studi a lungo termine dovranno mostrare se l’augmentation si manifesti con la necessità di aumentare le dosi del farmaco a lunga durata d’azione e con il coinvolgimento di parti del corpo precedentemente non interessate. L’augmentation è un problema in gran parte legato al trattamento della RLS con agenti dopaminergici (con poche eccezioni, come le rare segnalazioni di questo fenomeno con tramadolo).12 Nella malattia di Parkinson, la stimolazione pulsatile dei recettori dopaminergici può predisporre i pazienti a sviluppare discinesie, mentre la stimolazione continua del sistema dopaminergico potrebbe contribuire a prevenire l’insorgere delle discinesie.13 È prematuro concludere che lo stesso accada nella RLS. Tuttavia, è sempre più accettato che la RLS è una patologia caratterizzata da sintomi circadiani (con la possibile eccezione delle prime ore del mattino) e deve essere gestita come tale. L’introduzione di un cerotto che rilascia in modo continuo il dopaminoagonista è un complemento alle strategie terapeutiche. Purtroppo, la formulazione transdermica di rotigotina è stata temporaneamente ritirata dal mercato statunitense a causa di problemi legati alla produzione e al rilascio inaffidabile del farmaco. La RLS causa un significativo disagio e influisce negativamente sulla qualità di vita dei pazienti. Non è chiaro se la RLS abbia conseguenze più negative. Uno studio recente ha dimostrato che la RLS si associa a un aumento della prevalenza di malattie cardiovascolari, in particolare nei pazienti con maggiore frequenza o gravità dei sintomi 152 01 Lancet.indd 152 della RLS.14 Non è noto se il trattamento della RLS riduca questo rischio; ulteriori studi dovrebbero contribuire a rispondere a questa domanda. Kapil D Sethi 1429 Harper Street, Room 1121HB, Medical College of Georgia, Augusta, GA 30912, USA [email protected] Sono stato oratore e consulente di Boehringer Ingleheim, Novartis, GlaxoSmithKline, Allergan, UCB e Jazz Pharmaceuticals. Possiedo azioni di Merck, Pfizer ed Elan. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 García-Borreguero D. Time to REST: epidemiology and burden. Eur J Neurol 2006; 13 (suppl 3): 15–20. Allen RP, Picchietti D, Hening WA, Trenkwalder C, Walters AS, Montplaisir J. Restless Legs Syndrome Diagnosis and Epidemiology workshop at the National Institutes of Health; International Restless Legs Syndrome Study Group. Restless legs syndrome: diagnostic criteria, special considerations, and epidemiology. Sleep Med 2003; 4: 101–19. Winkelmann J, Schormair B, Lichtner P, et al. Genome-wide association study of restless legs syndrome identifies common variants in three genomic regions. Nat Genet 2007; 39: 1000–06. Stefansson H, Rye DB, Hicks A, et al. A genetic risk factor for periodic limb movements in sleep. N Engl J Med 2007; 357: 639–47. Tison F, Crochard A, Léger D, Bouée S, Lainey E, El Hasnaoui A. Epidemiology of restless legs syndrome in French adults: a nationwide survey: the INSTANT study. Neurology 2005; 65: 239–46. Trenkwalder C, Beneš H, Poewe W, et al, for the SP790 Study Group. Efficacy of rotigotine for treatment of moderate-to-severe restless legs syndrome: a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet Neurol 2008; published online May 31. DOI: 10.1016/S1474-4422(08)70112-1. Trenkwalder C, Paulus W, Walters AS. The restless legs syndrome. Lancet Neurol 2005; 4: 465–75. Akpinar S. Restless legs syndrome. Treatment with dopaminergic drugs. Clin Neuropharmacol 1987; 10: 69–79. Winkelman JW, Sethi KD, Kushida CA, et al. Efficacy and safety of pramipexole in restless legs syndrome. Neurology 2006; 67: 1034–39. Walters AS, Ondo WG, Dreykluft T, Grunstein R, Lee D, Sethi K. Ropinirole is effective in the treatment of restless legs syndrome. TREAT RLS 2: a 12week, double-blind, randomized, parallel-group, placebo-controlled study. Mov Disord 2004; 19: 1414–23. Allen RP, Earley CJ. Augmentation of the restless legs syndrome with carbidopa/levodopa. Sleep 1996; 19: 205–13. García-Borreguero D, Allen RP, Kohnen R, et al, for the International Restless Legs Syndrome Study Group. Diagnostic standards for dopaminergic augmentation of restless legs syndrome: report from a World Association of Sleep Medicine—International Restless Legs Syndrome Study Group consensus conference at the Max Planck Institute. Sleep Med 2007; 8: 520–30. Olanow CW, Obeso JA, Stocchi F. Continuous dopamine-receptor treatment of Parkinson’s disease: scientific rationale and clinical implications. Lancet Neurol 2006; 5: 677–87. Winkelman JW, Shahar E, Sharief I, Gottlieb DJ. Association of restless legs syndrome and cardiovascular disease in the Sleep Heart Health Study. Neurology 2008; 70: 35–42. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:53 Riflessioni e reazioni Esiti a breve termine delle funzioni cognitive e affettive della stimolazione cerebrale profonda del nucleo subtalamico nella malattia di Parkinson The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 153 questo studio è che solo la fluenza verbale e il test di Stroop hanno mostrato un peggioramento significativamente maggiore (di entità moderata) nei pazienti sottoposti a DBS rispetto a quelli sottoposti alla migliore terapia medica. Gli autori interpretano questo risultato come l’espressione di disfunzione esecutiva, ma queste alterazioni cognitive moderate sono state considerate clinicamente non rilevanti perché non erano associate a cambiamenti significativi nella qualità di vita. Gli autori hanno anche riportato che il numero di pazienti che hanno mostrato un peggioramento rilevante (superiore a due deviazioni standard) nel livello globale della funzione cognitiva, misurato mediante la scala di valutazione della demenza di Mattis, era simile tra i gruppi (12% nel gruppo DBS rispetto al 7% nel gruppo sottoposto alla migliore terapia medica). Inoltre, quando i punteggi di fluenza erano eliminati dalla scala di valutazione della demenza di Mattis il numero di pazienti che mostravano un peggioramento rilevante era ridotto al 5% nel gruppo DBS rispetto al 6% nel gruppo sottoposto alla migliore terapia medica. I risultati relativi ai disturbi psichiatrici sono meno semplici da interpretare, perché le scale di valutazione della gravità dei sintomi potrebbero non includere tutti Pubblicato Online il 5 giugno 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70115-7 BSIP, Astier-Chru Lille/Science Photo Library Vi sono pochi dubbi riguardo l’efficacia della stimolazione cerebrale profonda (DBS) del nucleo subtalamico (STN) nel trattamento dei sintomi motori della malattia di Parkinson (MP) in pazienti selezionati, come quelli che sviluppano effetti collaterali intollerabili ai farmaci prescritti per la MP o quelli i cui sintomi sono invalidanti nonostante una terapia medica ottimale. La DBS non solo è in grado di migliorare alcuni dei singoli aspetti relativi alla qualità di vita dei pazienti per 3 anni o più,1 ma potenzialmente può anche migliorare la qualità di vita del partner o del caregiver del paziente.2 I vantaggi in termini di qualità di vita dei pazienti dopo DBS possono superare quelli ottenuti con la terapia medica,3 ma potrebbero essere meno evidenti nei pazienti anziani.4 Aspetti più controversi della DBS sono la frequenza, la gravità, la natura e le cause degli eventi avversi neurocomportamentali. I risultati di una metanalisi hanno dimostrato che il più comune effetto collaterale cognitivo è una moderata riduzione della fluenza verbale; effetti meno comuni sono un lieve peggioramento delle funzioni esecutive e della memoria e un miglioramento solo minimo della velocità psicomotoria.5 Alcuni autori hanno segnalato una morbilità neurocomportamentale più frequente, estesa e clinicamente significativa.6 Gli eventi avversi psichiatrici segnalati sono numerosi; tuttavia, solo raramente questi eventi sono stati valutati sistematicamente o è stata misurata la loro gravità.7 Poiché ci sono stati solo cinque studi controllati (per lo più condotti su piccoli campioni) su esiti neuropsicologici dettagliati, sono assolutamente necessari studi rigorosi e ben disegnati con campioni di potenza adeguata per individuare gli effetti neurocomportamentali della DBS. Uno di questi studi è quello di Witt e collaboratori8, pubblicato nell’edizione originale di The Lancet Neurology. I ricercatori riportano gli esiti neurocomportamentali a 6 mesi in 60 pazienti sottoposti a DBS del STN e 63 controlli sottoposti alla migliore terapia medica. Gli esiti motori e di qualità di vita di questi pazienti sono stati pubblicati in precedenza;3 il nuovo studio confronta le modificazioni delle funzioni cognitive e psichiatriche all’interno e tra i due gruppi.8 Il principale risultato relativo alle funzioni cognitive di Stimolazione cerebrale profonda per il trattamento dei sintomi della malattia di Parkinson 153 10-12-2008 20:14:54 Riflessioni e reazioni gli eventi avversi psichiatrici transitori verificatisi; questa constatazione mette in evidenza il generale difetto metodologico delle valutazioni a intervalli temporali fissi. I punteggi medi dell’ansia erano migliorati maggiormente nel gruppo sottoposto a DBS rispetto al gruppo sottoposto alla migliore terapia medica e i sintomi depressivi presentavano miglioramenti, anche se non significativi, rispetto ai punteggi basali. I miglioramenti descritti potrebbero, in una certa misura, essere l’espressione di un miglioramento dei sintomi parkinsoniani, poiché le scale utilizzate, soprattutto quella dell’ansia, misurano in parte i sintomi della MP oltre che i sintomi dei disturbi di ansia e depressione. Gli autori riferiscono che il tasso di morbilità psichiatrica grave era simile tra il gruppo DBS (13%) e il gruppo sottoposto alla migliore terapia medica (10%), benché la natura della morbilità fosse diversa. La psicosi era più comune nel gruppo sottoposto alla migliore terapia medica, mentre la depressione era più frequente nei pazienti sottoposti a DBS: un paziente nel gruppo DBS ha commesso suicidio e un paziente in quello sottoposto alla migliore terapia medica è deceduto nel corso di un episodio psicotico. L’apatia è stata un evento raro (segnalata da un solo paziente nel gruppo DBS). Un punto di forza di questo studio è l’uso di varie scale di valutazione psichiatrica; tuttavia, la gravità dell’apatia è stata valutata con una sola scala: la unified Parkinson’s disease rating scale. Sulla base di questi risultati, la DBS potrebbe essere considerata sicura dal punto di vista neurocomportamentale. Tuttavia, questa conclusione non può essere stabilita con certezza senza uno studio controllato con placebo (chirurgia simulata), la cui eticità è discussa e che potrebbe non essere facile da realizzare, perché gli effetti della stimolazione potrebbero impedire che i partecipanti allo studio non siano a conoscenza del trattamento assegnato (cecità). Uno studio che metta a confronto la DBS con gli effetti di elettrodi impiantati ma temporaneamente inattivati potrebbe ulteriormente differenziare gli effetti della chirurgia rispetto alla stimolazione. Inoltre, la batteria di test utilizzata in questo studio, benché pratica, era limitata, soprattutto dal punto di vista delle funzioni esecutive valutate. Considerando i criteri di selezione restrittivi (assenza di attuali o precedenti disturbi psichiatrici o deficit cognitivi), i tassi di gravi eventi avversi psichiatrici e cognitivi in questo studio non sono trascurabili. Infatti, i tassi di eventi avversi psichiatrici gravi (e di grave declino cognitivo secondo il punteggio della scala 154 01 Lancet.indd 154 di valutazione della demenza di Mattis) sono elevati, per un intervallo di follow-up così breve (6 mesi) in un campione altamente selezionato, quando si consideri la tipica incidenza di gravi alterazioni psichiatriche e cognitive nei pazienti con MP nel corso di un anno. I risultati di questo studio, come quelli di altre ricerche finora infruttuose, non sono riusciti a identificare un’associazione significativa tra alterazioni neurocomportamentali e cambiamenti nella posologia dei farmaci, ma gli autori non hanno esaminato il potenziale ruolo della stimolazione, di altre malattie e dei parametri demografici (la cui variabilità potrebbe essere stata limitata dalla rigorosa selezione, impedendo potenzialmente l’identificazione di correlazioni significative). Di conseguenza, continua a sfuggire l’identificazione dei fattori di rischio delle alterazioni neurocomportamentali che si osservano in una minoranza di pazienti dopo DBS. L’iniziale osservazione fatta da pochi e piccoli studi non controllati secondo cui il miglioramento dei sintomi motori e della qualità di vita potrebbe non tradursi in un riadattamento sociale merita di essere al più presto indagata.9,10 Future ricerche dovranno identificare i fattori correlati al paziente, medico-chirurgici e psicosociali che impediscono il recupero del ruolo professionale, interpersonale, familiare e coniugale in alcuni pazienti, e le difficoltà ad affrontare le circostanze e il reinserimento sociale. Inoltre, supponendo che la DBS sia una procedura sicura, si devono rendere meno rigidi gli attuali criteri di esclusione per gli studi neurocomportamentali? Ciò potrebbe consentire a un numero maggiore di pazienti di accedere a un trattamento potenzialmente in grado di migliorare la vita, e potrebbe permettere l’identificazione dei fattori di rischio delle alterazioni neurocomportamentali in pazienti in cui la selezione forse rispecchierà più strettamente la pratica clinica al di fuori degli studi clinici. Alexander I Tröster Department of Neurology (CB 7025), University of North Carolina at Chapel Hill, Chapel Hill, NC 27599-7025, USA [email protected] Sono stato consulente retribuito di Medtronic e Advanced Neuromodulation Systems. Ho ricevuto fondi di ricerca da Medtronic. 1 2 3 Siderowf A, Jaggi JL, Xie SX, et al. Long-term eff ects of bilateral subthalamic nucleus stimulation on health-related quality of life in advanced Parkinson’s disease. Mov Disord 2006; 21: 746–53. Lezcano E, Gomez-Esteban JC, Zarranz JJ, et al. Improvement in quality of life in patients with advanced Parkinson’s disease following bilateral deepbrain stimulation in subthalamic nucleus. Eur J Neurol 2004; 11: 451–54. Deuschl G, Schade-Brittinger C, Krack P, et al. A randomized trial of The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:55 Riflessioni e reazioni 4 5 6 deepbrain stimulation for Parkinson’s disease. N Engl J Med 2006; 355: 896–908. Derost PP, Ouchchane L, Morand D, et al. Is DBS–STN appropriate to treat severe Parkinson disease in an elderly population? Neurology 2007; 68: 1345–55. Parsons TD, Rogers SA, Braaten AJ, Woods SP, Tröster AI. Cognitive sequelae of subthalamic nucleus deep brain stimulation in Parkinson’s disease: a meta-analysis. Lancet Neurol 2006; 5: 578–88. Smeding HM, Speelman JD, Koning-Haanstra M, et al. Neuropsychological effects of bilateral STN stimulation in Parkinson disease: a controlled study. Neurology 2006; 66: 1830–36. 7 Voon V, Kubu C, Krack P, Houeto JL, Tröster AI. Deep brain stimulation: neuropsychological and neuropsychiatric issues. Mov Disord 2006; 21 (suppl 14): S305–27. 8 Witt K, Daniels K, Reiff J, et al. Neuropsychological and psychiatric changes after deep brain stimulation for Parkinson’s disease: a randomised, multicentre study. Lancet Neurol 2008; 7: 605–14. 9 Houeto JL, Mallet L, Mesnage V, et al. Subthalamic stimulation in Parkinson disease: behavior and social adaptation. Arch Neurol 2006; 63: 1090–95. 10 Schüpbach M, Gargiulo M, Welter ML, et al. Neurosurgery in Parkinson disease: a distressed mind in a repaired body? Neurology 2006; 66: 1811– 16. Doxiciclina orale per la neuroborreliosi Le meningiti batteriche acquisite in comunità (ad es., la meningite pneumococcica) e le altre gravi infezioni del SNC sono rapidamente progressive e rappresentano un pericolo per la vita, e la loro cura è subordinata al raggiungimento di concentrazioni battericide di antibiotici nelle sedi di infezione. La generale riluttanza a trattare tali infezioni con antibiotici per via orale ha diverse cause, quali l’inattendibilità dell’assorbimento del farmaco dal tratto gastrointestinale (a causa di nausea, vomito o instabilità emodinamica), il fatto che le concentrazioni ematiche e liquorali del farmaco ottenibili con molti agenti orali sono molto più basse rispetto a quelle raggiungibili con preparati antibiotici parenterali e la limitata esperienza clinica con gli antimicrobici orali per queste indicazioni. Coerentemente con questo approccio, la neuroborreliosi è stata abitualmente trattata con terapia antibiotica per via parenterale.1,2 La neuroborreliosi, tuttavia, si differenzia dalla maggior parte delle altre infezioni batteriche del SNC in diversi modi importanti e tali differenze potrebbero determinare il successo della terapia orale. In primo luogo, la maggior parte dei pazienti con neuroborreliosi non è gravemente malata ed è fisicamente in grado di assumere farmaci per via orale e di assorbirli. Secondo, alcuni antibiotici somministrabili per via orale sono costantemente attivi contro l’agente patogeno Borrelia burgdorferi sensu lato in vitro.3 Terzo, potrebbero non essere essenziali elevate concentrazioni del farmaco: la carica batterica sembra essere bassa, infatti nella maggior parte dei casi non è possibile identificare la spirocheta nel liquor mediante coltura o PCR,4 e ridotte quantità di batteri aumentano la probabilità che gli antibiotici possano essere attivi a basse concentrazioni di farmaco. Inoltre, molti quadri clinici – come la nevrite dei nervi cranici o la radicolonevrite5 – coinvolgono in The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 155 realtà il sistema nervoso periferico, dove la barriera tra sangue e sistema nervoso è più permeabile rispetto alla barriera emato-encefalica. Infine, nella neuroborreliosi la risposta immunitaria dell’ospite è più efficace rispetto ad altre infezioni batteriche del SNC, infatti vi sono evidenze che indicano che la neuroborreliosi nella maggior parte dei pazienti tende ad autolimitarsi anche in assenza di antibioticoterapia.1,6 Una risposta immunitaria dell’ospite più efficace suggerisce che le concentrazioni inibitorie di un antibiotico nel sito di infezione potrebbero essere terapeutiche, e che non sono richieste le concentrazioni più elevate di farmaco spesso necessarie per l’attività battericida in vitro. Tra gli antibiotici orali disponibili, la doxiciclina è quello che ha suscitato il maggior interesse come potenziale trattamento per la neuroborreliosi. La doxiciclina ha una biodisponibilità orale molto elevata (>90%), tale che in genere le concentrazioni ematiche sono simili se il farmaco viene somministrato per via endovenosa o per via orale.7 Prima dello studio di Ljøstad e collaboratori,8 pubblicato nell’edizione originale di The Lancet Neurology, sono stati effettuati dieci studi sul trattamento della neuroborreliosi con doxiciclina condotti su un totale di circa 300 pazienti europei; in otto studi, la doxiciclina (in sei dei quali somministrata per via orale) è stata confrontata con un antibiotico b-lattamico parenterale.9 L’efficacia della doxiciclina è risultata molto simile a quella del farmaco di confronto in tutti gli otto studi.9 L’analisi complessiva dei dati di questi studi ha mostrato che il tasso globale di risposta alla doxiciclina era pari al 98,6% della risposta alla penicillina parenterale o al ceftriaxone (IC 95% 94,8102,5), pertanto era improbabile che tra questi trattamenti vi fosse una differenza clinicamente significativa.9 Tuttavia, nessuno di questi studi era in doppio cieco e Pubblicato Online il 21 giugno 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70120-0 155 10-12-2008 20:14:55 Riflessioni e reazioni randomizzato, e nessuno aveva la potenza per stabilire la non-inferiorità della doxiciclina. In realtà, non siamo a conoscenza di alcuno studio di fase I sul trattamento della neuroborreliosi,9 quindi quello di Ljøstad e collaboratori è un contributo assai apprezzato. Ljøstad e collaboratori8 hanno assegnato in modo casuale 118 pazienti norvegesi a ricevere un ciclo di 14 giorni di doxiciclina per via orale o ceftriaxone per via endovenosa per una presunta neuroborreliosi. L’esito clinico ha mostrato un’efficacia comparabile tra i due trattamenti ed è stata dimostrata la normalizzazione delle variabili liquorali a 4 mesi di follow-up. Analogamente ad altri studi sul trattamento della borreliosi di Lyme,10 questi ricercatori hanno dimostrato che il miglioramento clinico è stato lento e che proseguiva dopo il completamento del ciclo di terapia antibiotica. È importante sottolineare che per nessuno dei loro pazienti è stato giudicato necessario eseguire un ulteriore trattamento. Questi dati forniscono prove solide che la maggior parte dei pazienti europei con neuroborreliosi risponderebbe a un ciclo di 2 settimane di doxiciclina orale proprio come risponderebbe a un ciclo di 2 settimane di ceftriaxone. Non è chiaro se si sarebbero potuti ottenere risultati simili con un farmaco b-lattamico per via orale, come l’amoxicillina. Non è neppure chiaro se questi risultati possono essere estrapolati per la neuroborreliosi negli Stati Uniti, che è causata da B. burgdorferi sensu stricto, anziché da B. garinii o B. afzelii. È giunto il momento di realizzare uno studio per rispondere a questa domanda. Poiché non è stato stabilito se la doxiciclina orale è efficace nei rari casi di 156 01 Lancet.indd 156 coinvolgimento parenchimale del SNC5 o nei pazienti con altre gravi manifestazioni neurologiche, è probabile che un antibiotico parenterale, come il ceftriaxone, debba rimanere il trattamento di scelta in questi casi eccezionali.9 Gary P Wormser, John J Halperin Division of Infectious Diseases, Department of Medicine of New York Medical College, Valhalla, NY, USA (GPW); and Atlantic Neuroscience Institute, Summit, NJ, USA (JJH) [email protected] Non abbiamo conflitti di interesse. 1 Steere AC, Pachner AR, Malawista SE. Neurologic abnormalities of Lyme disease: successful treatment with high-dose intravenous penicillin. Ann Intern Med 1983; 99: 767–72. 2 Dattwyler RJ, Halperin JJ, Volkman DJ, Luft BJ. Treatment of late Lyme borreliosis—randomized comparison of ceftriaxone and penicillin. Lancet 1988; 1: 1191–94. 3 Wormser GP, Dattwyler RJ, Shapiro ED, et al. The clinical assessment, treatment, and prevention of Lyme disease, human granulocytic anaplasmosis, and babesiosis: clinical practice guidelines by the Infectious Diseases Society of America. Clin Infect Dis 2006; 43: 1089–134. 4 Aguero-Rosenfeld ME, Wang G, Schwartz I, Wormser GP. Diagnosis of Lyme borreliosis. Clin Microbiol Rev 2005; 18: 484–509. 5 Halperin JJ, Logigian EL, Finkel MF, Pearl RA. Practice parameters for the diagnosis of patients with nervous system Lyme borreliosis (Lyme disease). Neurology 1996; 46: 619–27. 6 Kruger H, Kohlhepp W, Konig S. Follow-up of antibiotically treated and untreated neuroborreliosis. Acta Neurol Scand 1990; 82: 59–67. 7 Saivin S, Houin G. Clinical pharmacokinetics of doxycycline and minocycline. Clin Pharmacokinet 1988; 15: 355–66. 8 Ljøstad U, Skogvoll E, Eikeland R, et al. Oral doxycycline versus intravenous ceftriaxone for European Lyme neuroborreliosis: a multicentre, randomised double-blind placebo-controlled trial. Lancet Neurol 2008; published online June 21. DOI: 10.1016/S1474- 4422(08)70119-4. 9 Halperin JJ, Shapiro E, Logigian E, et al. Practice parameter: treatment of nervous system Lyme disease—a report of the Quality Standards Subcommittee of the American Academy of Neurology. Neurology 2007; 69: 91–102. 10 Oksi J, Nikoskelainen J, Hiekkanen H, et al. Duration of antibiotic treatment in disseminated Lyme borreliosis: a double-blind, randomized, placebo-controlled, multicenter clinical study. Eur J Clin Microbiol Infect Dis 2007; 26: 571–81. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:55 Riflessioni e reazioni Revisione dei criteri diagnostici di ricerca per la malattia di Alzheimer The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 157 uso clinico; pensiamo che come possibile alternativa si dovrà considerare la tomografia computerizzata a emissione di singoli fotoni (SPECT) con valutatori esperti o procedure semiautomatiche. Anche se non era l’obiettivo al momento della pubblicazione, alcuni medici, prevalentemente neurologi, hanno iniziato a utilizzare i criteri nella pratica quotidiana; tuttavia, è necessario essere prudenti fino a un’ulteriore convalida. Gruppi di neurologi francesi stanno studiando nuovi approcci che costituiranno un ponte fra ricerca e pratica clinica. Si tratta di un approccio graduale secondo cui in primo luogo si deve documentare la compromissione della memoria episodica con il test di Grober e Buschke, incluso il richiamo libero e totale4 modificato per la Francia;5 secondo, si usa la RM per quantificare l’atrofia ippocampale e per verificare se questa non confermi la demenza; terzo, si misurano nel liquor i marcatori b-amiloide e tau oppure si esegue la SPECT. Il ruolo della PET può essere facilitato dalla disponibilità di un ligando dell’amiloide marcato con 18F con tempo di dimezzamento più lungo rispetto al PIB marcato con 11 C,6 permettendo una produzione centralizzata e una distribuzione in periferia rispetto a quanto possibile con il 18F-fluorodeossiglucosio. Quindi, che cosa succederà dopo? Così come speriamo che abbiano successo gli studi di fase III in corso con far- Catherine Pouedras/Science Photo Library La pubblicazione su The Lancet Neurology di una proposta di revisione dei criteri per la diagnosi di malattia di Alzheimer era diretta a permettere di identificare questa malattia in una fase più precoce rispetto a quanto attualmente possibile (vale a dire, prima che la demenza diventi clinicamente riconoscibile).1 Ci auguriamo che gli studi clinici randomizzati controllati con placebo su farmaci potenzialmente in grado di modificare la malattia possano essere accessibili a individui diagnosticati usando questi criteri, per sfruttare la potenziale reversibilità della patologia cerebrale e superare la mancanza di trattamenti sintomatici standard in questa fase della malattia. I criteri risolveranno il problema del fatto che la compromissione cognitiva lieve, non essendo una specifica condizione patologica,2 non rappresenta pertanto un obiettivo adeguato per gli studi con farmaci in grado di modificare il decorso della malattia (diseasemodifying trials).3 Siamo consapevoli che i centri per la malattia di Alzheimer di tutto il mondo stanno valutando in studi prospettici i criteri rivisti sia in coorti di pazienti con compromissione cognitiva lieve che sono progrediti a demenza, sia nei pazienti con diagnosi de novo di compromissione cognitiva lieve. Alla Alzheimer’s Association International Conference on Alzheimer’s Disease, tenutasi a Chicago dal 26 al 31 luglio 2008, sono stati presentati vari lavori di questo tipo, tra cui quello di Bouwman e collaboratori (P Scheltens, non pubblicato) sulla maggiore specificità e sensibilità per la diagnosi di malattia di Alzheimer quando sia l’atrofia del lobo temporale mesiale evidenziabile alla RM sia i reperti anormali del liquor sono combinati con la compromissione della memoria episodica. Nei Paesi in cui vi è una certa riluttanza a eseguire la rachicentesi nell’ambito della valutazione diagnostica degli individui con disturbi della memoria, vi sarà maggiore interesse sulle neuroimmagini cerebrali. In altri Paesi, dove la rachicentesi è considerata una procedura diagnostica, l’esame del liquor sarà più facilmente disponibile. Questi nuovi criteri diagnostici potrebbero cambiare l’opinione di medici e pazienti nei confronti della procedura. La limitata disponibilità di apparecchiature PET potrebbe ostacolare la validazione di tale aspetto dei nuovi criteri e il suo futuro 157 10-12-2008 20:14:56 Riflessioni e reazioni Per il programma KP6 si veda www.lipididiet.progressima.eu maci potenzialmente in grado di modificare la malattia in soggetti con malattia di Alzheimer definita, saranno da prendere seriamente in considerazione studi randomizzati sulla fase pre-demenza della malattia di Alzheimer. Tali studi misureranno gli esiti, come l’ADAS-cog – che è risultato sensibile come esito secondario in uno studio sintomatico della durata di 6 mesi sul donepezil nella compromissione cognitiva lieve7 –, insieme ad altre misure cognitive e alle attività strumentali della vita quotidiana sensibili alla malattia di Alzheimer in fase molto precoce.8 Nell’Unione Europea, uno studio clinico su larga scala che utilizzerà i nuovi criteri è stato finanziato dal programma KP6. Anche se non disegnato a priori per validare i criteri diagnostici, il database dell’Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative potrebbe permettere di studiare se sia possibile prevedere la conversione da compromissione cognitiva lieve a malattia di Alzheimer. Serge Gauthier, Bruno Dubois, Howard Feldman, Philip Scheltens McGill Center for Studies in Aging, Douglas Mental Health Research Institute, Montréal, Canada (SG); Hôpital de la Salpêtrière et Université Pierre et Marie Curie, Parigi, Francia (BD); Division of Neurology, University of British Columbia and Vancouver Coastal Health, Vancouver, Canada (HF); Department of Neurology and Alzheimer Center, VU University Medical Center, Amsterdam, Netherlands (PS). [email protected] Non abbiamo conflitti di interesse. 1 2 3 4 5 6 7 8 Dubois B, Feldman HH, Jacova C, et al. Research criteria for the diagnosis of Alzheimer’s disease: revising the NINCDS-ADRDA criteria. Lancet Neurol 2007; 6: 734–46. Gauthier S, Reisberg B, Zaudig M, et al. Mild cognitive impairment. Lancet 2006; 367: 1262–70. Vellas B, Andrieu S, Sampalo C, Wilcock G, for the European Task Force Group. Disease-modifying trials in Alzheimer’s disease: a European task force consensus. Lancet Neurol 2007; 6: 56–62. Grober E, Buschke H. Genuine memory deficit in dementia. Dev Neuropsychol 2006; 3: 13–36. Van der Linden M, Coyette F, Poitrenaud J, et les membres du GRENEM. L’épreuve de rappel libre/rappel indicé à 16 items (RL/RI-16). In Van der Linden M, Adam S, Agniel A, et les membres du groupe GRENEM, Eds. L’évaluation des troubles de la mémoire: présentation de quatre tests de mémoire épisodique (avec leur étalonnage). Marseille: Sola, France, 2004: 25–47. Rowe CC, Ackerman U, Browne W, et al. Imaging of amyloid β in Alzheimer’s disease with 18F-BAY94-9172, a novel PET tracer: proof of mechanism. Lancet Neurol 2008; 7: 129–35. Salloway S, Ferris S, Kluger A, et al. Efficacy of donepezil in mild cognitive impairment. Neurology 2004; 63: 651–57. Galasko DR, Gauthier S, Bennett D, et al. Impairment of activities of daily living in patients with amnestic mild cognitive impairment in an ADCS randomized clinical trial. Neurology 2005; 64 (suppl 1): A144. Fattore VII attivato ricombinante protrombotico nell’emorragia intracerebrale: veloce (FAST) ma non mirato? Oltre un decennio fa si è registrato un grande cambiamento nel trattamento dell’ictus ischemico, con la pubblicazione dello studio sull’attivatore tissutale del plasminogeno ricombinante (rtPA).1 Malgrado un incremento dell’emorragia intracerebrale sintomatica nei soggetti trattati con rtPA rispetto al placebo (6,4% vs 0,6%; p <0,001) e nessuna differenza nella mortalità, questo nuovo trattamento ha permesso di migliorare del 30% gli esiti funzionali soddisfacenti. Dieci anni più tardi, siamo stati incoraggiati dai risultati preliminari nel sottotipo di ictus meno comune ma più temuto – l’emorragia intracerebrale (EIC). Mayer e collaboratori2 hanno dimostrato che il trattamento con fattore VII attivato ricombinante (rFVIIa) rispetto al placebo entro 4 ore dall’insorgenza dell’ictus ha limitato l’espansione dell’EIC (riduzione relativa del 52%, p=0,01), ha ridotto la mortalità (riduzione relativa del 38%, p=0,02) e ha diminuito la percentuale di grave disabilità e decesso 158 01 Lancet.indd 158 (riduzione assoluta del 16%, p=0,004), a scapito di un maggiore numero di complicanze tromboemboliche (aumento assoluto del 5%, p=0,12). Sono state valutate tre dosi di rFVIIa (40 µg, 80 µg e 160 µg/kg) rispetto al placebo, con un fenomeno dose-risposta: la dose più alta di rFVIIa ha determinato la maggiore riduzione della crescita dell’EIC (aumento medio assoluto rispetto al basale di 2,9 ml con 160 µg/kg vs 5,4 ml con 40 µg/kg, 4,2 ml con 80 µg/kg e 8,7 ml con placebo). Tuttavia, l’rFVIIa ad alte dosi ha anche portato a maggiori complicanze tromboemboliche (10% vs 6% con 40 µg/kg, 4% con 80 µg/kg e 2% con placebo). Non è stata riscontrata alcuna riduzione della mortalità tra le differenti dosi di rFVIIa. Lo stesso gruppo ha eseguito ora uno studio di fase III randomizzato controllato con placebo (FAST [Factor VII for Acute Hemorragic Stroke]) per confermare l’efficacia dell’rFVIIa nel migliorare l’esito clinico nei pazienti con The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:57 EIC.3 L’endpoint primario (esito negativo) è stato definito come decesso o grave disabilità secondo la scala di Rankin modificata a 90 giorni. 8886 pazienti sono stati valutati per l’eleggibilità e 841 sono stati assegnati a caso a ricevere rFVIIa (20 µg/kg o 80 µg/kg) o placebo. I gruppi erano simili in termini di caratteristiche demografiche, ma vi era uno squilibrio nel numero di pazienti con emorragia intraventricolare (EIV), con il 41% dei casi EIV nel gruppo a 80 µg/kg, il 35% nel gruppo a 20 µg/kg e il 29% nel gruppo placebo. Inoltre, un maggior numero di pazienti con grave compromissione della coscienza e ipertrofia ventricolare sinistra è stato arruolato nei gruppi di trattamento. Anche se tra i gruppi non è stata osservata alcuna differenza significativa nell’endpoint primario, costituito dalla proporzione di pazienti con risultato clinico negativo (26% con 20 µg/kg, 29% con 80 µg/kg e 24% con placebo), è stato riscontrato un effetto sul volume dell’EIC: l’incremento medio del volume dell’EIC a 24 ore dall’esordio era minore nel gruppo a 80 µg/kg rispetto al gruppo a 20 µg/kg e nel gruppo placebo (11% vs 18% vs 26%, rispettivamente, p=0,001). In altre parole, la dose più elevata di rFVIIa è stata quella più efficace nel ridurre la crescita dell’EIC (di 3,8 ml [IC 95% 0,9-6,7], p=0,009). Questi effetti positivi sono stati controbilanciati dalla maggiore frequenza di complicanze tromboemboliche arteriose nel gruppo a 80 µg/kg rispetto al gruppo placebo (9% vs 4%, p=0,04). Benché un’analisi post-hoc corretta del trattamento con rFVIIa non abbia indicato alcun contributo sul rischio di eventi quali infarto cerebrale acuto, aumento di troponina I e infarto del miocardio con elevazione del segmento ST, questi eventi erano più frequenti nel gruppo a 80 µg/kg di rFVIIa. Dallo studio FAST si possono pertanto trarre due conclusioni opposte. Da un lato, questo trattamento può essere considerato pericoloso perché porta a un maggior numero di complicanze trombotiche, senza un chiaro beneficio clinico. Dall’altro, quando vengono presi in considerazione i fattori di confondimento per valutare la sicurezza di una dose maggiore di rFVIIa, come la maggiore frequenza di EIV, il coma e l’ipertrofia ventricolare sinistra, si potrebbe sostenere che questi squilibri hanno compromesso il beneficio del trattamento. Il punto da ricordare è che lo studio FAST ha dimostrato un chiaro effetto biologico sulla crescita dell’EIC con la dose più elevata di rFVIIa, un risultato molto incoraggiante per ulteriori studi. La mancata traduzione in un miglioramento dell’endpoint primario clinico a prima vista sembrerebbe The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 159 Scott Camazine/Science Photo Library Riflessioni e reazioni Sezione potenziata al computer di encefalo umano che mostra un’emorragia intracerebrale deludente, ma potrebbe anche indicare un’errata scelta dell’endpoint. Infatti, è probabile che la grave disabilità e il decesso siano suscettibili di modificazione solo in presenza di una rilevante diminuzione della crescita dell’EIC. La diminuzione della crescita di 3,8 ml osservata con la dose più alta di trattamento è stata in realtà ottenuta in EIC già ben sviluppate (come suggerito dal fatto che, nel gruppo placebo, l’EIC aveva già raggiunto quasi l’80% delle dimensioni finali al momento della randomizzazione), con un improbabile effetto su mortalità e disabilità grave. Tuttavia, i pazienti con emorragia ridotta ma in espansione potrebbero beneficiare in maniera significativa di una limitazione della crescita analoga o inferiore. Nello studio FAST, la randomizzazione era basata sulla somministrazione precoce (<4 ore), ma non sulle dimensioni già raggiunte dall’EIC. Inoltre, l’EIC della sostanza grigia profonda, il tipo più comune di EIC nello studio FAST, di solito ha inizio in una sede topografica motoria e porta rapidamente a grave emiplegia e disabilità, pur non raggiungendo grandi dimensioni, contrariamente all’emorragia lobare (tre volte meno comune nello studio FAST). Al di là della somministrazione precoce del trattamento, potrebbe essere essenziale considerare la dimensione iniziale e la topografia dell’EIC per evidenziare una controparte clinica utile (che non dovrebbe essere limitata alla valutazione del decesso e della disabilità 159 10-12-2008 20:14:58 Riflessioni e reazioni grave) all’ormai stabilito effetto biologico sulla crescita dell’EIC dimostrato dall’rFVIIa nello studio FAST. Quando si confrontano i risultati degli studi sull’rtPA a questo studio, si può fare un’interessante osservazione – che entrambi i trattamenti hanno portato a un aumento del 5% di gravi complicanze correlate alle normali azioni dell’rtPA e dell’rFVIIa, vale a dire sanguinamento e trombosi. Poiché l’EIC ha una sopravvivenza peggiore rispetto all’ictus ischemico (mortalità a 30 giorni del 62% vs 23%),4 sono auspicabili ulteriori ricerche focalizzate sulla selezione dei migliori endpoint clinici e delle sottopopolazioni di pazienti più adatte per questo tipo di trattamento (ad es., senza EIV, ipertrofia ventricolare sinistra, ecc.). In tutti e tre i gruppi del FAST, la pressione arteriosa sistolica media basale arrivava a circa 180 mmHg. Uno studio recentemente pubblicato dimostra che la riduzione della pressione arteriosa nell’EIC acuta potrebbe ridurre il rischio di deterioramento neurologico e migliorare l’esito.5 Sarebbe quindi di grande interesse esplorare l’influenza della gestione della pressione arteriosa durante il trattamento con rFVIIa. Lo studio FAST, dimostrando la possibilità di una chiara dissociazione tra effetto biologico ed endpoint clinico selezionato, conferma anche indirettamente la debolezza delle strategie che sono state utilizzate ripetutamente negli studi clinici sull’ictus ischemico, soprattutto in quelli di neuroprotezione. Infatti, il primo obiettivo dovrebbe essere la dimostrazione di un effetto biologico 160 01 Lancet.indd 160 sull’uomo (crescita dell’EIC nello studio FAST; riduzione delle dimensioni dell’infarto nell’ictus ischemico), prima di tentare di selezionare e perfezionare le popolazioni bersaglio e gli endpoint clinici. Purtroppo, molti studi sulla neuroprotezione hanno saltato la fase degli effetti biologici sull’uomo; è pertanto possibile che sostanze potenzialmente efficaci siano state scartate a causa di una valutazione clinica diretta in popolazioni inappropriate e di endpoint clinici inadeguati. Julien Bogousslavsky, Bartlomiej Piechowski-Jozwiak Department of Neurology, Genolier Swiss Medical Network, Valmont-Genolier, 1823 Glion-sur-Montreux, Switzerland (JB); LUX MED Medical Clinic, Al. Jerozolimskie 162, 02-342 Warsaw, Poland (BP-J) [email protected] Non abbiamo conflitti di interesse. 1 2 3 4 5 Institute of Neurological Disorders and Stroke rt-PA Study Group. Tissue plasminogen activator for acute ischemic stroke. N Engl J Med 1995; 333: 1581–87. Mayer S, Brun NC, Begtrup K, et al. Recombinant activated factor VII for acute intracerebral hemorrhage. N Engl J Med 2005; 352: 777–85. Mayer S, Brun NC, Begrtup K, et al. Efficacy and safety of recombinant activated factor VII for acute intracerebral hemorrhage. N Engl J Med 2008; 358: 2127–37. Bamford J, Dennis M, Sandercock P, Burn J, Warlaw C. The frequency, causes and timing of death within 30 days of a first stroke: the Oxfordshire Community Stroke Project. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1990; 53: 824– 29. Suri MF, Suarez JI, Rodrigue TC, et al. Effect of treatment of elevated blood pressure on neurological deterioration in patients with acute intracerebral hemorrhage. Neurocrit Care 2008; published online May 28. DOI:10.1007/ s12028-008-9106-7. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:14:58 Attualità Gli esperti sollecitano un’intelligente riflessione sui farmaci stimolanti cognitivi Vi è una crescente domanda di strategie per migliorare la funzione cognitiva nella nostra vita quotidiana. Quali sono le prospettive – e le questioni etiche connesse – relative ai farmaci specificamente volti a migliorare le prestazioni cognitive negli individui sani? Kelly Morris indaga. che hanno valutato i farmaci per la compromissione cognitiva lieve [mild cognitive impairment, MCI] non hanno individuato trattamenti efficaci”. Anche se Plassman e collaboratori hanno recentemente riferito che più di 5 milioni di anziani americani sono affetti da MCI, nessun farmaco è specificamente approvato per tale condizione. Con il crescere della popolazione anziana, vi è un aumento di interesse per il trattamento dei disturbi della memoria correlati “ ...una o più soluzioni a livello regolatorio senza aver cercato di capire in quale modo tali farmaci potrebbero influenzare i diversi settori della società” all’età; tuttavia, sono stati condotti ancora pochi studi negli individui con compromissione della memoria associata all’età (age-associated memory impairment, AAMI). L’AAMI, nota anche come declino cognitivo correlato all’età o compromissione della memoria compatibile con l’età, si riferisce a persone sane di oltre 50 anni di età che, per definizione, non presentano un rischio significativamente maggiore per lo sviluppo di MA rispetto ai loro coetanei, ma che hanno un declino cognitivo entro i limiti della norma. Queste persone potrebbero pertanto essere buoni candidati per i farmaci destinati a migliorare la funzione cognitiva, The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 161 anche se finora non vi sono stati sostanziali progressi. Peter Reiner, un altro neuroeticista del National Core for Neuroethics, Canada, sottolinea come i “primi arrivati” nel campo della stimolazione cognitiva si siano orientati verso i meccanismi dell’apprendimento normale e della memoria, che agiscono rinforzando e stabilizzando le connessioni sinaptiche. Di conseguenza, la Cortex Pharmaceuticals ha sviluppato AMPAchine per stimolare il funzionamento dei recettori glutammatergici AMPA, mentre la Memory Pharmaceuticals ha iniziato a valutare gli inibitori della fosfodiesterasi per potenziare l’attività della proteina CREB (cyclic AMP response-elementbinding), che svolge un ruolo chiave nel potenziamento a lungo termine. Finora, nonostante i promettenti lavori iniziali, gli studi di fase II dei primi farmaci candidati per i disturbi cognitivi non sono stati positivi. Per ulteriori informazioni sull’uso dei farmaci stimolanti cognitivi si veda Nature 2008; 452: 674-75 Per ulteriori informazioni sul National Core for Neuroethics si veda http://www.neuroethics.ubc.ca Paul Whitehill/Science Photo Library La sempre crescente richiesta di tempo ed energia a medici e scienziati è uno scenario familiare per molti. Pertanto, forse, non dovremmo sorprenderci per i risultati di un recente sondaggio informale che ha rivelato che alcuni scienziati e altri professionisti usano i farmaci attualmente disponibili – più comunemente metilfenidato, modafinil e b-bloccanti – per migliorare le loro prestazioni lavorative. Tuttavia questi farmaci non sono stati concepiti per questo scopo e l’aumento del loro uso off-label suggerisce una crescente domanda di agenti specificamente volti a migliorare le prestazioni cognitive negli individui sani. La ricerca di sostanze di questo tipo sta rapidamente procedendo. Tuttavia, vi è una grande quantità di questioni regolamentari ed etiche, e neuroeticisti come Judy Illes (National Core for Neuroethics, University of British Columbia, Vancouver, Canada) stanno esortando un più ampio dibattito etico per orientare le politiche relative all’uso di questi farmaci. Il compito di individuare stimolanti cognitivi efficaci per individui sani rappresenta una vera sfida. Anche per i disturbi cognitivi per i quali vi sono stati massicci investimenti nella ricerca, come la malattia di Alzheimer (MA), si sono ottenuti solo modesti progressi terapeutici. Analogamente, “finora”, spiega Brenda Plassman (Duke University Medical Center, Durham, NC, USA), “gli studi clinici 161 10-12-2008 20:14:59 Pasieka/Science Photo Library Attualità Per ulteriori informazioni sullo studio sull’isproniclina si veda J Psychopharmacol 2007; 21: 171-78 162 01 Lancet.indd 162 Attualmente la Cortex sta studiando AMPAchine di nuova generazione: i farmaci sottoposti a studi preclinici potrebbero proteggere contro la perdita di sinapsi, modulando i fattori di crescita come il brain-derived neurotrophic factor. I risultati preliminari della Memory indicano che un agonista nicotinico per superare i deficit nella funzione dei recettori colinergici potrebbe migliorare le funzioni cognitive sia nei volontari sani sia nei pazienti con MA. La Memory sta anche sviluppando agenti diretti all’alterata attività del calcio che si osserva nell’invecchiamento normale; i più recenti risultati indicano che questi farmaci potrebbero agire in modo sinergico con gli inibitori delle colinesterasi. È interessante notare che “i nuovi giocatori”, che Reiner considera “i programmi più solidi”, si sono focalizzati sui deficit noti nella MA, ma che “hanno anche soddisfatto gli endpoint in studi di fase II per l’AAMI”, osserva Reiner. Il ketasyn (Accera) è una molecola chetonica, proposta per superare i deficit nel metabolismo del glucosio nella MA (dato non pubblicato). È stato anche osservato che l’isproniclina (Targacept), un agonista nicotinico parziale, migliora le capacità cognitive nei volontari sani. Nonostante la pletora di obiettivi farmacologici, la prospettiva del miglioramento cognitivo in soggetti senza deficit cognitivi rimane “un ostacolo arduo”, afferma Mark Varney, chief operating e scientific officer di Cortex. Egli osserva che “gli stimolanti e il modafinil” attualmente disponibili “migliorano aspetti della prestazione cognitiva – soprattutto l’attenzione – in condizioni di sonnolenza, affaticamento, ecc., ma non sono sicuro che sia stato dimostrato un effetto positivo di queste molecole sulle prestazioni misurate in condizioni ottimali in volontari sani”. Tuttavia, egli e altri ritengono che un miglioramento cognitivo sostanziale al di sopra della norma rimanga una possibilità reale. Le aziende che stanno sviluppando stimolanti cognitivi devono affrontare numerose questioni pratiche. David Lowe, chief scientific officer per Memory, fa notare che gran parte della ricerca viene fatta da piccole aziende che si appoggiano a grandi gruppi farmaceutici per un ulteriore sviluppo. Tuttavia la difficoltà di identificare gli individui che svilupperanno demenza, la possibilità di usare farmaci per scopi non medici e la mancanza di interesse da parte delle autorità regolatorie per la MCI e l’AAMI indicano che, in generale, l’industria si sta concentrando sui disturbi clinici dell’apprendimento e della memoria, come i deficit cognitivi associati a schizofrenia, malattia di Parkinson o sclerosi multipla. Inoltre la MCI è difficile da includere negli studi, “non essendovi accordo tra gli esperti e le autorità regolatorie a proposito della definizione”, spiega Varney. Il disturbo colpisce vari sottogruppi di pazienti, alcuni dei quali saranno successivamente diagnosticati come affetti da demenza mentre altri potranno presentare fluttuazioni o anche una remissione. Si devono inoltre chiarire le questioni etiche e regolatorie prima che qualsiasi farmaco efficace possa essere approvato per l’uso in individui con AAMI. “In primo luogo”, afferma Reiner, “poiché l’AAMI è essenzialmente una conseguenza del normale invecchiamento della popolazione, non è chiaro se le autorità regolatorie accetteranno l’AAMI come entità clinica in sé per la definizione delle indicazioni terapeutiche”. Attualmente, né la FDA né l’EMEA riconoscono l’AAMI come entità clinica, pertanto non esistono linee guida sui requisiti delle ricerche volte a conseguire l’approvazione di un farmaco efficace per l’AAMI. “Secondo”, si chiede Reiner, “se fosse imminente una normativa relativa all’approvazione, che tipo di valutazione di sicurezza sarebbe appropriato per un farmaco che modifica il declino cognitivo normale?”. Tuttavia, ammette che le autorità regolatorie “possono cedere all’argomentazione che vi è un defi- The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:15:00 Attualità cit misurabile rispetto agli individui giovani e in buona salute”. Ma allora esiste il pericolo di rendere patologica una condizione “prevista” o “appropriata per l’età, rendendola non più ‘normale’ perché vi è un intervento in grado di attenuarla o farla regredire”, afferma Illes. “Se siamo in grado di trattarla, diventerà una condizione clinica?”, si chiede, insistendo sul fatto che non dobbiamo cadere nella trappola di medicalizzare tali condizioni e di cercare di normalizzare le differenze individuali. “La diversità delle persone, le loro capacità, i loro modelli di pensiero, i loro punti di forza e di debolezza sono strumentali per mantenere la razza umana forte e interessante”, aggiunge. In ultima analisi, qualsiasi farmaco approvato per l’AAMI potrebbe finire per essere usato da persone senza alcun danno cognitivo, anche attraverso il mercato nero. Finora, il metilfenidato e il modafinil “sono stati sviluppati per il trattamento di specifiche patologie, ma sono ora stati adattati per essere usati off-label per condizioni verosimilmente non patologiche”, dice Illes. Per queste ragioni, “è difficile (ma non impossibile) immaginare uno scenario in cui gli enti regolatori approveranno stimolanti cognitivi per persone giovani e in buona salute”, afferma Reiner, ma, se lo facessero, gli enti regolatori “dovranno accettare che i farmaci siano usati specificamente per migliorare le funzioni di individui senza alcun deficit misurabile. Le implicazioni sociali, giuridiche ed etiche di una tale decisione sarebbero sostanziali”. Pertanto, egli si associa alla richiesta di Illes affinché la ricerca guidi un dibattito etico e le successive politiche. Illes sottolinea che non si potranno trovare una o più soluzioni a livello regolatorio senza aver cercato di capire in quale modo tali farmaci potrebbero influenzare i diversi settori della società. “Iniquità sociali, differenti opinioni e valori culturali saranno tra le più grandi sfide”, prosegue. Illes considera il desiderio del miglioramento cognitivo “molto più una ‘modalità di comportamento umano’ che un diritto umano. Gli The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 163 esseri umani sono innovatori, sempre curiosi e sempre in cerca di modi per migliorare il benessere, l’efficienza e il funzionamento”. I diritti veramente importanti, crede, sono in realtà quelli “volti a proteggere e ristrutturare, in una società in cui i divari socio-economici ci hanno così profondamente divisi”. Pertanto, difende il “diritto di seguire ‘la strada’ del miglioramento e dell’innovazione... che deve essere a disposizione di tutti, informati e liberi da coercizioni”. È probabile che il dibattito etico continuerà parallelamente agli sviluppi scientifici, ma Illes si oppone fortemente a “un’urgenza auto-imposta” volta a definire regole per risolvere gli attuali problemi. “Credo che ancora non conosciamo le opinioni delle persone sulla stimolazione cognitiva e che queste debbano essere chiarite prima di pensare a come regolamentarla. In questo momento è necessario che la questione diventi di pubblico dominio”. Kelly Morris [email protected] 163 10-12-2008 20:15:00 Attualità Fare luce sul ruolo della povertà nello sviluppo del cervello I legami tra povertà infantile e potenzialità future sono noti da anni. Ora, poiché sono sempre meglio conosciuti le conseguenze funzionali e i fattori di rischio, studi neuroscientifici dimostrano che la povertà e la disuguaglianza possono incidere direttamente sullo sviluppo del cervello. Kelly Morris riferisce. Per ulteriori informazioni sullo sviluppo dei bambini nei Paesi in via di sviluppo si veda Lancet 2007; 369: 60-70, 145-57, 229-42 Per ulteriori informazioni sullo studio ALSPAC si veda http://www.alspac.bris.ac.uk, Lancet 2007; 369: 578-85, Am J Clin Nutr 2001; 73: 316-22 164 01 Lancet.indd 164 Decenni di ricerca hanno indicato la povertà come importante fattore di rischio per deficit dello sviluppo infantile. I test cognitivi sono sempre più usati negli studi prospettici per chiarire la complessa interazione dei fattori che mediano questa associazione. Attualmente si ritiene che la causa fondamentale siano gli effetti negativi sullo sviluppo cerebrale in sé, e gli studi sugli esseri umani stanno appena cominciando a misurare i correlati neurali degli effetti della povertà. Poiché sono in fase di valutazione potenziali interventi da sottoporre a studi randomizzati controllati (RCT), gli esperti stanno spingendo i governi e coloro che dirigono le scelte politiche a mettere in atto interventi basati sulle evidenze attualmente disponibili. Lo scorso anno, un gruppo internazionale di esperti ha stimato che 200 milioni di bambini sotto i 5 anni di età nei Paesi in via di sviluppo non raggiungono il proprio potenziale cognitivo ed educativo a causa di fattori come stress e traumi, cattiva alimentazione e mancanza di opportunità di apprendimento, come afferma Patrice Engle, un membro del gruppo (California Polytechnic State University, USA). I dati dimostrano che nei Paesi più ricchi non solo il reddito familiare, ma anche le condizioni sociali, misurate globalmente come condizione socio-economica (SES), sono legate allo sviluppo cognitivo. “Dove vi è più disuguaglianza, una maggiore percentuale della popolazione è in condizione di privazione rispetto ai ricchi”, osserva Richard Wilkinson (Nottingham University Medical School, UK). Pertanto, i Paesi ricchi in cui la disuguaglianza è elevata, come gli USA e il Regno Unito, potrebbero avere percentuali simili o addirittura maggiori di bambini che non riescono a soddisfare le loro potenzialità di sviluppo cerebrale rispetto a quelle di alcuni Paesi in via di sviluppo. Indubbiamente i fattori che contribuiscono variano in base alla situazione, ma la più recente ricerca clinica conferma ciò che è stato segnalato per anni in studi sugli animali – che le influenze negative e stressanti, che agiscono in un momento critico dello sviluppo cerebrale, possono influenzare non solo il comportamento e il “La povertà ha un impatto in tutti i momenti della vita di un bambino, ma i primi anni sono un periodo di particolare vulnerabilità e di particolari opportunità” funzionamento cognitivo, ma anche lo sviluppo strutturale del sistema nervoso centrale. Un fattore importante è la dieta materna e infantile. La malnutrizione si pone a un estremo della scala, e le carenze nutrizionali possono avere un impatto considerevole. Il più ampio studio prospettico longitudinale – Avon Longitudinal Study of Parents and Children (ALSPAC) – ha riscontrato durante l’ultimo decennio che molti esiti, come i punteggi di QI verbale, stereoacuità visiva, controllo motorio, comunicazione e sviluppo sociale, sono ridotti nei bambini le cui madri avevano mangiato la minor quantità di pesce grasso durante la gravidanza. Non sorprende che una ridotta assunzione di pesce grasso sia anche collegata a misure di svantaggio sociale, benché anche l’allattamento rappresenti un fattore confondente. I ricercatori ALSPAC progettano di continuare questo lavoro seguendo la crescita dei bambini. Una spiegazione di questo risultato potrebbe essere la disponibilità di acido docasoesaenoico e di altri acidi grassi essenziali omega-3 (EFA) – mattoni vitali per la costruzione dell’encefalo che si trovano nel pesce grasso e nel latte materno e che non erano inseriti negli alimenti artificiali nel corso del periodo studiato dai ricercatori ALSPAC. Gli EFA omega3 potrebbero indurre una migliore funzione neurale rispetto ad altri EFA, rendendo il cervello in via di sviluppo più resistente allo stress. Tuttavia, Pauline Emmett, chief nutritionist dell’ALSPAC (University of Bristol, UK), osserva che “il legame tra povertà e dieta non è semplice” ed è, in parte, mediato dal livello di istruzione dei genitori. La ricercatrice nota che i genitori con buon livello di istruzione tendono a seguire tutte le linee guida durante la gravidanza e anche quelle relative al periodo di allattamento e The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 11-12-2008 8:52:15 che il livello di istruzione dei genitori influenza anche lo sviluppo postnatale. Tomas Paus (University of Nottin gham, UK) nota che il fumo durante la gravidanza è fortemente correlato a una SES bassa e a effetti cognitivi e comportamentali nei bambini. Tuttavia l’effetto del fumo pre-natale sul cervello umano era in gran parte sconosciuto fino allo scorso anno. In studi di RM su adolescenti accoppiati per scuola e livello di istruzione materna, Paus ha trovato che l’esposizione pre-natale al fumo si associava ad assottigliamento della corteccia in varie aree, ma solo a lievi cambiamenti comportamentali. In uno studio completamente controllato, il fumo pre-natale “potrebbe non avere dimostrato importanti effetti sulle funzioni cognitive”, dice Paus. Egli aggiunge che “l’effetto della sostituzione della nicotina sul cervello in sviluppo è sconosciuto”, e sostiene gli interventi volti alla cessazione dell’abitudine al fumo nell’ambito di un più ampio insieme di misure per la salute materna. Charles Nelson (Harvard Medical School, USA) suggerisce che lo sviluppo del cervello è influenzato non solo dalla genetica e dalle esperienze specifiche di un individuo, ma anche da esperienze “attese” comuni a una specie – come l’accesso a informazioni “patterned light” o a un caregiver –, per cui la deprivazione dalle esperienze attese può avere un notevole impatto. In tutto il mondo, i bambini più colpiti secondo questo modello sono quelli che vivono in istituti, essendo i soggetti maggiormente deprivati da un ambiente tipico. Nelson e altri hanno rilevato che l’istituzionalizzazione ha profondi effetti negativi sullo sviluppo cognitivo e sull’attività EEG cerebrale, anche se si tratta di un approccio diffuso per la crescita dei bambini, in particolare in condizioni di povertà, guerra ed epidemie di HIV. Anche i bambini in situazioni meno negative mostrano cambiamenti nella relazione cervello-comportamento. Clyde Hertzman (University of British Columbia, Canada) e collaboratori hanno recentemente riportato studi EEG che dimostrano che i bambini con SES bassa reclutano processi neurali diversi e supplementari, rispetto a quelli con SES elevata, per raggiungere lo stesso livello di precisione a un test di attenzione uditiva. Kimberly Noble (Columbia University, USA) ha segnalato una relazione più complessa tra consapevolezza fonologica, capacità di lettura e attività cerebrale. La consapevolezza fonologica è un importante mediatore degli effetti della SES sulle funzioni cognitive e può compensare gli effetti negativi della SES bassa sulla lettura. Tuttavia lavori di RM funzionale hanno dimostrato che la SES modifica la relazione tra competenze e attività fonologica cerebrale durante la lettura. I bambini con SES bassa hanno pattern di attivazione cerebrale molto diversi a seconda del livello di consapevolezza fonologica, mentre tali differenze di attività sono attenuate nei bambini con SES elevata. Questi reperti possono essere spiegati con l’influenza della consapevolezza fonologica sul reclutamento differenziale di regioni cerebrali per la lettura. Tuttavia i fattori cognitivi, neurobiologici e sociali sembrano essere intrecciati. “È mia personale convinzione che uno dei maggiori fattori di mediazione possa essere la grandissima disparità nell’esposizione alle attività di lettura trasversalmente alla SES, in particolare in età pre-scolare”, dice Noble. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 01 Lancet.indd 165 Maximilian Stock Ltd/Science Photo Library Attualità Si può avere un recupero cognitivo con interventi terapeutici? La risposta sembra dipendere dalla tempistica. “La povertà ha un impatto in tutti i momenti della vita del bambino, ma i primi anni sono un periodo di particolare vulnerabilità e di particolari opportunità”, afferma Engle. Essa rileva che gli interventi di riconosciuto successo sono basati su programmi di apprendimento precoce, ma sono in fase di sviluppo strategie per lavorare, nei centri di assistenza sanitaria di primo livello, intorno alle situazioni di alto rischio, come l’HIV/AIDS e le situazioni di emergenza, e attraverso l’assistenza finanziaria, con, ad esempio, prestiti condizionali. Nelson e collaboratori hanno recentemente riportato risultati molto ottimistici sul potenziale di recupero cognitivo nei soggetti più deprivati. I bambini istituzionalizzati sono stati randomizzati a rimanere in istituto o a essere ammessi a un nuovo progetto di tutela di alta qualità. I bambini ammessi a tale progetto hanno presentato un miglioramento delle funzioni cognitive e una maggiore attività corticale EEG rispetto a quelli che sono rimasti istituzionalizzati. “Sappiamo che ci sono periodi sensibili per l’acquisizione di abilità diverse e in diversi ambiti dello sviluppo cerebrale [per cui] dovrebbe anche essere vero 165 10-12-2008 20:15:01 Attualità il contrario... ci dovrebbe essere un corrispondente periodo sensibile in cui è necessario intervenire”, dice Nelson. I dati di QI dello studio indicano che l’inserimento dei bambini di età inferiore a 24 mesi determina il miglior risultato, anche se per le funzioni linguistiche questo momento era più vicino a 16 mesi e per l’attaccamento a 20-22 mesi. È ancora in fase di studio un efficace intervento dietetico, ma alcuni esperti ritengono che esistano sufficienti prove su come iniziarlo. Il progetto NutriMENTHE (University of Granada, Spagna), sostenuto da fondi dell’Unione Europea, sta pianificando di studiare gli effetti a lungo termine della dieta pre-natale e post-natale precoce sulle prestazioni cognitive e sul comportamento, insieme con RCT di specifici nutrienti introdotti durante la gravidanza, la prima infanzia e l’infanzia. Tuttavia, benché nel Regno Unito sia stata compiuta un’inchiesta parlamentare sull’argomento e sia stato definito un piano governativo volto ad affrontare la 166 01 Lancet.indd 166 povertà infantile, Michael Crawford (Mother and Child Foundation, UK) teme che concentrarsi sui bambini in età scolare sia troppo tardivo, perché il periodo più critico per lo sviluppo futuro è lo sviluppo cerebrale durante la gravidanza. Nel 1972, Crawford predisse che cambiamenti nella dieta, in particolare l’apporto di differenti EFA, soprattutto a scapito delle persone svantaggiate, avrebbero portato a un aumento dei disturbi cerebrali, proprio ciò che si osserva ora. Sostiene anche che si devono ora applicare i dati scientifici relativi alla salute materna e alla dieta, con una nuova iniziativa che parta dal momento in cui le donne entrano nell’età riproduttiva e prosegua fino a una cooperazione interdipartimentale in materia di istruzione, salute, produzione alimentare e ulteriori ricerche. “La nostra impressione”, dice Wilkin son, “è che una società più disuguale coinvolge una maggiore competizione per lo status sociale e una minore reciprocità”. Ciò potrebbe spiegare perché i Paesi più ricchi hanno maggiori problemi sociali e più disturbi del comportamento di quelli più poveri. Pertanto, Paus propugna ulteriori ricerche per identificare i fattori modificabili che potrebbero favorire un atteggiamento positivo o comportamenti “prosociali”, alcuni dei quali potrebbero anche essere associati a svantaggi. Tuttavia tutti gli esperti concordano sul fatto che la ricerca ha dimostrato l’importanza delle condizioni di vita fetali e neonatali sullo sviluppo cerebrale. Secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno dal Center for the Developing Child presso la Harvard University, per la prima volta “i ricercatori sono ora in grado di presentare un quadro unitario” per guidare i responsabili politici a lavorare per il miglioramento della salute materna e infantile, degli ambienti familiari, dell’apprendimento e delle opportunità per i bambini, basandosi sulle più recenti ricerche. Kelly Morris [email protected] The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:15:02 Articoli Demenza incidente e riduzione dei livelli di pressione arteriosa nello studio Hypertension in the Very Elderly Trial cognitive function assessment (HYVET-COG): studio in doppio cieco controllato con placebo Articolo accreditato per corso di formazione a distanza (FAD) 6 crediti (totali per 4 articoli) Ruth Peters, Nigel Beckett, Francoise Forette, Jaakko Tuomilehto, Robert Clarke, Craig Ritchie, Adam Waldman, Ivan Walton, Ruth Poulter, Shuping Ma, Marius Comsa, Lisa Burch, Astrid Fletcher, Christopher Bulpitt, for the HYVET investigators Riassunto Premessa Gli studi epidemiologici osservazionali hanno dimostrato un’associazione positiva tra ipertensione e rischio di demenza incidente; tuttavia, gli studi clinici controllati sugli effetti della terapia antipertensiva sulla funzione cognitiva hanno dato risultati conflittuali e le metanalisi degli studi non hanno fornito prove evidenti del fatto che il trattamento antipertensivo riduca l’incidenza di demenza. Lo studio clinico Hypertension in the Very Elderly Trial (HYVET) è stato progettato per valutare i rischi e i benefici del trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti anziani e ha incluso una valutazione della funzione cognitiva. Metodi In questo studio in doppio cieco controllato con placebo sono stati arruolati pazienti con ipertensione (pressione sistolica 160-200 mmHg, pressione diastolica <110 mmHg) di età pari o superiore a 80 anni. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 1,5 mg di indapamide a lento rilascio, con la possibilità di ricevere 2-4 mg di perindopril, oppure placebo. Gli obiettivi da raggiungere erano una pressione arteriosa sistolica di 150 mmHg e una pressione arteriosa diastolica di 80 mmHg. Alla valutazione basale i pazienti non avevano una diagnosi clinica di demenza e la loro funzione cognitiva è stata valutata al momento basale e annualmente con il mini-mental state examination (MMSE). I possibili casi di demenza incidente (una diminuzione del punteggio al MMSE al di sotto di 24 punti o un calo di tre punti in 1 anno) sono stati individuati con criteri diagnostici standard e con la rivalutazione da parte di esperti. Lo studio è stato interrotto nel 2007 in occasione della seconda analisi ad interim dopo che il trattamento aveva portato a una riduzione nell’incidenza di ictus e mortalità totale. L’analisi è stata fatta per intenzione al trattamento (intention-to-treat). Lo studio è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00122811. Risultati 3336 partecipanti allo studio HYVET sono stati sottoposti ad almeno una valutazione di follow-up (media 2,2 anni) e sono stati inclusi: 1687 partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo di trattamento e 1649 al gruppo placebo. Solo cinque segnalazioni di effetti avversi sono state attribuite al farmaco: tre nel gruppo placebo e due nel gruppo di trattamento. La riduzione media della pressione arteriosa sistolica tra il gruppo in trattamento e il gruppo placebo a 2 anni è stata di –15 mmHg (p <0,0001) e della pressione diastolica di –5,9 mmHg (p <0,0001). Sono stati segnalati 263 casi di demenza incidente. I tassi di demenza incidente sono stati pari a 38 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e a 33 per 1000 anni-paziente nel gruppo in trattamento. Non è stata osservata alcuna differenza significativa tra il gruppo in trattamento e il gruppo placebo (hazard ratio [HR] 0,86, IC 95% 0,67-1,09); tuttavia, quando questi dati sono stati combinati in una metanalisi con altri studi clinici controllati con placebo sul trattamento antipertensivo, il rapporto di rischio combinato era a favore del trattamento (HR 0,87, 0,76-1,00, p=0,045). Lancet Neurol 2008; 7: 683-89 Pubblicato Online l’8 luglio 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70143-1 Care of the Elderly, Imperial College London, London, UK (R Peters PhD, N Beckett MBchB, C Ritchie MRCPsych, A Waldman PhD, I Walton FRCP, R Poulter BSc, L Burch BSc, C Bulpitt MD); Hospital Broca, Paris, France (F Forette MD); National Public Health Institute, Helsinki, Finland (J Tuomilehto MD); University of Oxford, Oxford, UK (R Clarke FRCP); Hebei People’s Hospital, Shi Jia Zhuang, China (S Ma MD); General Practice, Fagaras, Romania (M Comsa MD); London School of Hygiene and Tropical Medicine, London, UK (A Fletcher PhD) Corrispondenza: Ruth Peters, Care of the Elderly, Division of Medicine, Imperial College London, South Kensington Campus, London SW7 2AZ, UK [email protected] Interpretazione Il trattamento antipertensivo nei pazienti anziani non riduce l’incidenza di demenza in modo statisticamente significativo. È possibile che questo risultato negativo sia da attribuire al breve follow-up, alla conclusione anticipata dello studio o al modesto effetto del trattamento. Tuttavia, i risultati dello studio HYVET, quando inclusi in una metanalisi, potrebbero essere a favore di un trattamento antipertensivo per ridurre la demenza incidente. Finanziamento British Heart Foundation, Institute de Recherches Internationales Servier. Introduzione La pressione arteriosa, in particolare la pressione sistolica, aumenta con l’età, con una conseguente netta prevalenza di ipertensione negli anziani.1 Anche la prevalenza e l’incidenza di demenza aumentano con l’età, con una prevalenza stimata di circa il 20% nei soggetti di 80 anni, che arriva al 40% a 90 anni.2 L’ipertensione arteriosa nei soggetti di mezza età è predittiva di una futura demenza3 ed è stata inclusa in un punteggio di rischio per la previsione di demenza in soggetti fino a 64 anni.4 Anche The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 167 l’ipotensione arteriosa è associata a demenza incidente,5 sebbene possa essere una conseguenza della demenza piuttosto che un fattore di rischio.5 Gli autori di una revisione sistematica sulla relazione età-dipendente tra pressione arteriosa, funzione cognitiva e demenza hanno concluso che in persone anziane una pressione arteriosa elevata potrebbe essere un fattore di rischio per demenza.6 Gli autori di un’altra revisione sistematica hanno riscontrato che una modesta riduzione della pressione arteriosa (<5 mmHg per la sistolica e <3 mmHg per la diastolica) è 167 10-12-2008 20:11:05 Articoli 4761 valutati per l’eleggibilità 916 non soddisfacevano i criteri di inclusione 3845 randomizzati 509 non soddisfacevano i criteri di inclusione HYVET-COG 1687 assegnati casualmente a 1,5 mg di indapamide con o senza 2-4 mg di perindopril 1649 assegnati casualmente a placebo 343 hanno interrotto lo studio 132 deceduti 5 persi al follow-up 60 per ragioni amministrative 146 hanno deciso di non proseguire 1649 analizzati 486 presentavano declino cognitivo 137 diagnosi di demenza 86 diagnosi di Alzheimer 43 diagnosi di demenza vascolare 8 diagnosi di demenza non classificabile 1163 senza declino cognitivo Figura 1: Profilo dello studio risultata associata a miglioramenti nei punteggi ottenuti al mini-mental state examination (MMSE) e che la riduzione della pressione arteriosa potrebbe limitare i meccanismi che contribuiscono alla malattia di Alzheimer (MA), 7 anche se, nella pratica clinica, è difficile distinguere la demenza vascolare dalla MA.8,9 I vantaggi della riduzione della pressione arteriosa sono supportati dai risultati dello studio Syst-Eur (Systolic hypertension in Europe), studio in doppio cieco controllato con placebo condotto su giovani anziani (≥65 anni) nei quali l’incidenza di tutti i tipi di demenza si era ridotta del 50% dopo trattamento con un calcio-antagonista.10 Tuttavia, altri ricercatori non hanno ottenuto una risposta altrettanto chiara e gli autori di una metanalisi dei risultati di quattro studi controllati con placebo10-14 hanno calcolato un rischio relativo complessivo di 0,80 (IC 95% 0,63-1,02) a favore del trattamento, anche se questo risultato non era statisticamente significativo.11 Una Revisione Cochrane di tre studi che ha incluso 12.091 individui ipertesi (età media 72,8 anni) non ha trovato dati convincenti che la riduzione della pressione arteriosa possa prevenire la comparsa di demenza o di decadimento cognitivo.15 Un’altra metanalisi ha incluso uno studio in cui solo il 16% dei pazienti era in trattamento con placebo, non trovando alcuna differenza tra i due gruppi randomizzati.13 Lo studio Hypertension in the Very Elderly Trial (HYVET) è stato disegnato per valutare i rischi e i benefici relativi al trattamento dell’ipertensione arteriosa in ali ltre na to. a. †Per ente ttia iare 168 02 Lancet.indd 168 Metodi Pazienti 303 hanno interrotto lo studio 96 deceduti 5 persi al follow-up 1 ritirato su richiesta del ricercatore 1 codice rotto 59 per ragioni amministrative 141 hanno deciso di non proseguire 1687 analizzati 485 presentavano declino cognitivo 126 diagnosi di demenza 78 diagnosi di Alzheimer 41 diagnosi di demenza vascolare 7 diagnosi di demenza non classificabile 1202 senza declino cognitivo soggetti di età pari o superiore a 80 anni, includendo la valutazione della funzione cognitiva.16 È possibile che il trattamento antipertensivo nei pazienti molto anziani sia anche in grado di ridurre i casi di demenza incidente. L’obiettivo dello studio HYVET-COG, sottostudio dello studio in doppio cieco controllato con placebo HYVET, è stato di valutare se il trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti di età pari o superiore a 80 anni riducesse l’incidenza di demenza, demenza vascolare e MA. 4761 pazienti sono stati reclutati da centri ospedalieri e da ambulatori di medici di medicina generale in Europa occidentale e orientale, Cina, Tunisia, sud-est asiatico e Australia; 3845 pazienti sono stati randomizzati nello studio HYVET tra febbraio 2001 e ottobre 2007. I criteri di inclusione comprendevano età pari o superiore a 80 anni al momento della randomizzazione e una pressione sistolica media in posizione seduta compresa tra 160 mmHg e 200 mmHg, una pressione sistolica in ortostatismo uguale o superiore a 140 mmHg e una pressione diastolica in posizione seduta inferiore a 110 mmHg. I soggetti partecipanti allo studio sono stati esclusi se richiedevano assistenza infermieristica continua, se avevano una condizione che potesse limitare gravemente l’aspettativa di vita o se avevano una diagnosi clinica di demenza. I pazienti hanno fornito un consenso informato scritto; per i pazienti non sufficientemente alfabetizzati sono stati adottati provvedimenti in linea con i requisiti internazionali di buona pratica clinica. Un codice di randomizzazione è stato creato da un generatore di numeri casuali e trasferito a un sistema di risposta vocale interattivo (IVRS) indipendente prima dell’inizio dello studio. I pazienti sono stati randomizzati con l’IVRS e stratificati per età e sesso. I pazienti sono stati trattati quotidianamente con 1,5 mg di indapamide a lento rilascio o placebo, con la possibilità di aggiungere 2-4 mg di perindopril o placebo. Gli obiettivi da raggiungere erano una pressione arteriosa sistolica di 150 mmHg e una pressione arteriosa diastolica di 80 mmHg. Prima di iniziare il protocollo o applicare eventuali emendamenti sono state ottenute tutte le approvazioni nazionali e locali per le questioni etiche e di regolamento, come richiesto dalle leggi locali e internazionali. Procedure Tutti i pazienti sono stati sottoposti a misurazioni basali della pressione arteriosa durante il periodo di run-in e prima della randomizzazione, e la loro funzione cognitiva è stata valutata con l’MMSE. L’MMSE è stato ripetuto annualmente e il suo punteggio è stato calcolato dal personale dell’ufficio di coordinamento [LB e RPo], che era in cieco rispetto al gruppo di trattamento. Poiché l’obiettivo dello studio era di valutare la demenza e il declino cognitivo incidenti, i soggetti partecipanti allo studio sono stati inclusi nell’analisi solo se avevano almeno un controllo The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:07 Articoli MMSE di follow-up, in modo da poter valutare eventuali cambiamenti. Tutti i soggetti che hanno presentato una riduzione del punteggio MMSE al di sotto di 24 o il cui punteggio è diminuito di oltre tre punti in 1 anno sono stati selezionati per un’ulteriore valutazione. I soggetti con possibile demenza incidente sono stati valutati in accordo al manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV edizione (DSM-IV), ai reperti di TC encefalo e al punteggio ottenuto al modified Hachinski ischaemic score (MHIS). Sono stati utilizzati i punteggi completi ottenuti all’Hachinski ischaemic score (HIS) se non era possibile effettuare una TC dell’encefalo, ad esempio se il paziente rifiutava di sottoporsi a tale esame. Un comitato di esperti (JT, RC, CR, AW e IW) in psichiatria geriatrica, geriatria, neuroradiologia, ricerca clinica o epidemiologia, che erano in cieco rispetto al gruppo di trattamento, ha valutato tutti i possibili casi. La diagnosi è stata raggiunta per consenso: almeno tre dei cinque membri del comitato dovevano concordare su ogni Trattamento (n=1687) Età (anni) Donne PAS basale in posizione seduta (mmHg) Placebo (n=1649) 83,5 (3,1) 83,5 (3,1) 1023 (61%) 994 (60%) 173,1 (8,5) 172,9 (8,5) 167,9 (10,9) 167,9 (10,9) BMI (kg per m2) 24,6 (3,8) 24,7 (3,5) Precedente ictus 108 (6%) 108 (7%) Precedenti malattie cardiovascolari 187 (11%) 190 (12%) Consumatori di alcool 313 (19%) 275 (17%) PAS basale in ortostatismo (mmHg) Fumatori attuali Punteggio MMSE mediano 101 (6%) 101 (6%) 26 (15-30) 26 (15-30) I dati sono medie (DS), numeri (percentuali), o mediane (range). PAS=pressione arteriosa sistolica. BMI=indice di massa corporea. MMSE=mini-mental state examination (punteggio massimo=30). Tabella 1: Caratteristiche dei pazienti al basale in relazione al trattamento assegnato Partecipanti con almeno un follow-up MMSE (n=3336) diagnosi, e per ogni caso era necessario il voto favorevole di almeno un membro con esperienza quotidiana nella diagnosi di demenza. Ciò ha portato a due livelli di classificazione: i pazienti che avevano un punteggio MMSE che era diventato inferiore a 24 punti o era diminuito di oltre tre punti in 1 anno sono stati classificati come affetti da declino cognitivo; oppure i pazienti sono stati classificati come affetti da demenza dopo che la commissione aveva esaminato tutte le informazioni diagnostiche. I soggetti classificati come affetti da demenza hanno ricevuto, se possibile, anche una diagnosi di MA (sulla base di un declino cognitivo progressivo, di un’atrofia del lobo temporale mediale, dei criteri del DSM-IV, dell’assenza di lesioni vascolari alla TC o della storia clinica) o di demenza vascolare (sulla base di un declino a gradini, dei risultati della TC, dei punteggi MHIS o HIS e di una storia di eventi vascolari prima o durante lo studio). Alla commissione sono state fornite ulteriori informazioni sui farmaci concomitanti, sulle comorbilità e sulla storia clinica. Se il paziente acconsentiva, veniva somministrato un ulteriore questionario sulla qualità della vita (che includeva lo short form [SF] 36 e un elenco di sintomi associati all’ipertensione e ai farmaci antipertensivi); la valutazione della commissione includeva anche i risultati annuali ottenuti al test del disegno dell’orologio e alla geriatric depression scale. Tutte le valutazioni MMSE erano fornite nella lingua locale e i ricercatori e il personale del centro di coordinamento sono stati addestrati a utilizzare gli strumenti e a spiegare il materiale dello studio nelle lingue locali. I metodi completi per la raccolta dei dati, la valutazione della funzione cognitiva e le valutazioni per una possibile demenza incidente sono stati descritti in un altro lavoro.17 Analisi statistica Abbiamo calcolato che sarebbero stati necessari i dati di 8400 anni-paziente per individuare una riduzione del 33% di demenza incidente (tutte le diagnosi di demenza) con Partecipanti che non soddisfacevano i criteri di inclusione per lo studio HYVET-COG (n=509) Partecipanti con declino cognitivo incidente (n=971) Partecipanti senza declino cognitivo incidente (n=2365) Partecipanti con demenza incidente (n=263) Età (anni) 83,5 (3,1) 83,3 (3,4) 83,8 (3,3) 83,4 (3,0) 83,5 (3,1) Donne 2017 (60%) 310 (61%) 608 (63%) 1409 (60%) 158 (60%) Precedente ictus 216 (7%) 45 (9%) 65 (7%) 151 (6%) 22 (8%) Fumatori attuali 202 (6%) 48 (9%) 55 (6%) 147 (6%) 18 (6%) Istruzione Nessuna 915 (27%) 115 (23%) 281 (29%) 634 (27%) 76 (29%) Primaria 940 (28%) 163 (32%) 267 (27%) 673 (28%) 81 (31%) Secondaria 961 (29%) 141 (28%) 293 (30%) 668 (28%) 87 (33%) Universitaria 409 (12%) 80 (16%) 96 (10%) 313 (13%) 17 (6%) Post-universitaria 111 (3%) 10 (2%) 34 (4%) 77 (3%) 2 (1%) PAS basale in posizione seduta (mmHg) 173,0 (8,5) 173,1 (8,8) 173,3 (8,4) 172,9 (8,5) 172,8 (8,2) PAS basale in ortostatismo (mmHg) 167,8 (10,9) 168,8 (11,8) 168,3 (10,9) 167,6 (10,9) 168,2 (10,6) Punteggio MMSE mediano al basale 26 (15-30) 26 (1-30) 25 (15-30) 27 (15-30) 26 (16-30) Partecipanti senza demenza incidente (n=3073) 83,5 (3,1) 1859 (60%) 194 (6%) 184 (7%) 839 (27%) 859 (28%) 874 (28%) 392 (13%) 109 (4%) 173,0 (8,5) 167,8 (10,9) 26 (15-30) I dati sono medie (DS), numeri (percentuali), o mediane (range). PAS=pressione arteriosa sistolica. mmHg=millimetri di mercurio. MMSE=mini-mental state examination. Tabella 2: Caratteristiche basali dei pazienti con e senza declino cognitivo e demenza The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 169 169 10-12-2008 20:11:08 Articoli una significatività del 5% e una potenza dell’85% (a=0,05, b=0,15). Erano previsti tassi di demenza incidente pari a 36 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e 24 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento, con un totale atteso di 252 casi incidenti. Il protocollo principale dello studio prevedeva analisi ad interim basate su una misura di esito legato all’ictus, che ha determinato l’interruzione dello studio prima di quanto pianificato.16,17 Poiché l’incidenza di demenza è insidiosa e può essere individuata solo durante valutazioni periodiche, le analisi di regressione complementare log-log sono le più appropriate. Tuttavia, per facilità di esposizione, è stato anche eseguito il consueto approccio di analisi di sopravvivenza con un modello del rischio proporzionale di Cox utilizzando come data di evento la data di riscontro del declino cognitivo e il punto medio tra la prestazione Declino cognitivo* Malattia di Alzheimer Demenza vascolare Tutte le demenze† Placebo Trattamento Rapporto di rischio 486 86 43 137 485 78 41 126 0,93 (0,82-1,05) 0,85 (0,63-1,15) 0,87 (0,57-1,34) 0,86 (0,67-1,09) I dati sono i numeri di pazienti o il rapporto di rischio non corretto (IC 95%). *Definito come riduzione del punteggio MMSE <24 o un declino >3 punti in un anno. †Malattia di Alzheimer, demenza vascolare o altro (demenza non classificabile o classificata come un tipo non elencato sopra). Tabella 3: Effetti del trattamento antipertensivo sul declino cognitivo o sulla demenza incidenti Casi per 100 pazienti Placebo Attivo 1,5 mg di indapamide (2-4 mg di perindopril) p=0,21; HR 0,86 (IC 95% 0,67-1,09) Follow-up (anni) Numero a rischio Casi incidenti Figura 2: Proporzione cumulativa di pazienti con demenza per gruppo di trattamento 170 02 Lancet.indd 170 cognitivamente integra e il declino cognitivo (definito in conformità con il protocollo). Gli assunti del modello di Cox sono stati valutati con un test supremo per le somme cumulative dei residui martingala. Sebbene l’utilizzo del punto medio come data di evento possa essere associato a distorsioni, l’uso di intervalli inferiori a 2 anni potrebbe aver contribuito a ridurre tali distorsioni; poiché molti studi presentano questa informazione, l’abbiamo inclusa per facilità di esposizione. La sopravvivenza è stata analizzata con il modello del rischio proporzionale di Cox. È stato anche esaminato l’effetto del trattamento sui pazienti che hanno avuto un ictus o una storia di ictus. L’analisi è stata fatta per intenzione al trattamento (intention-to-treat). Tutte le analisi statistiche sono state realizzate con il software SAS versione 9.1. Lo studio è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00122811. Ruolo della fonte di finanziamento L’Imperial College è stato lo sponsor della sperimentazione e ha richiesto accordi di riservatezza a tutti i membri della commissione e ai ricercatori. L’analisi, l’interpretazione dei dati, la stesura del manoscritto e la decisione di inviare il lavoro per la pubblicazione sono state effettuate indipendentemente dagli enti finanziatori (British Heart Foundation e Institute de Recherches Internationales Servier). L’autore principale ha avuto pieno accesso a tutti i dati e la responsabilità finale per la decisione di inviare il lavoro per la pubblicazione. Risultati Lo studio principale è stato interrotto precocemente perché alla seconda analisi ad interim era stata dimostrata una riduzione sostanziale di ictus e mortalità totale. Non tutti i pazienti inclusi nello studio HYVET hanno raggiunto almeno 1 anno di follow-up, come richiesto per la valutazione di eventuali cambiamenti della funzione cognitiva. La Figura 1 mostra il profilo dello studio. Le caratteristiche dei pazienti nei due gruppi di trattamento erano omogenee al basale (Tabella 1). I pazienti sono stati valutati a intervalli di circa 1 anno, con una media di 400 giorni (DS 55,2) tra le valutazioni (mediana 386 giorni [range 214-690]). La Tabella 2 mostra le caratteristiche dei pazienti al basale relative alla successiva presenza o assenza di demenza o declino cognitivo incidenti. La Tabella 3 mostra il numero di casi e i rapporti di tasso di rischio (hazard ratio) per il declino cognitivo, per tutte le forme di demenza, per la MA e per la demenza vascolare. Nel gruppo di trattamento è stato segnalato un numero inferiore di eventi avversi gravi (358 vs 448, p=0,0009). Solo cinque di questi sono stati classificati dall’investigatore locale come causati dal farmaco in studio: tre nel gruppo placebo e due nel gruppo di trattamento. 1469 dei 3336 pazienti (44%) sono stati sottoposti alla visita di follow-up a 2 anni. La riduzione media della presThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:13 Articoli sione arteriosa sistolica a 2 anni è stata di 14,6 mmHg (DS 18,5) nel gruppo placebo rispetto a 29,6 mmHg (15,3) nel gruppo in trattamento, con una differenza di 15 mmHg; p <0,0001. La riduzione media della pressione arteriosa diastolica è stata di 7,2 mmHg (10,5) nel gruppo placebo e di 13,1 mmHg (9,6) nel gruppo in trattamento, con una differenza di 5,9 mmHg; p <0,0001. La variazione media nel punteggio MMSE a 2 anni è stata pari a –1,1 punti (DS 3,9) nel gruppo placebo rispetto a 0,7 punti (4,0) nel gruppo in trattamento; p=0,08. Il follow-up a 2 anni è stato scelto per essere il più vicino possibile al follow-up medio per gli esiti di funzione cognitiva e demenza. I risultati sono stati analizzati in due modi: per valutare l’effetto della riduzione della pressione arteriosa sulla diagnosi di demenza (follow-up medio di 2,2 anni, 7400 anni-paziente) e per valutare l’effetto della riduzione della pressione arteriosa sul declino cognitivo (follow-up medio di 2 anni, 6680 anni-paziente). Tutti i pazienti con punteggi MMSE seriali sono stati inclusi nell’analisi e ogni segnalazione di declino cognitivo è stata valutata dal comitato, indipendentemente dal decesso o da altri eventi. A 1 anno di follow-up 297 pazienti (18%) nel gruppo placebo e 270 pazienti (16%) nel gruppo di trattamento hanno presentato un punteggio MMSE indicativo di declino cognitivo. In totale 971 pazienti sono stati classificati come affetti da declino cognitivo e fra di essi sono stati diagnosticati 263 casi di demenza. 164 pazienti sono stati classificati come affetti da MA, 84 da demenza vascolare e 15 da demenza non specificata. I tassi di tutte le demenze incidenti diagnosticate erano pari a 38 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e a 33 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento. La Figura 2 mostra l’analisi di sopravvivenza non corretta per demenza incidente. La rianalisi effettuata stabilendo il punto medio tra l’ultima prestazione con funzioni cognitive integre e la prima con declino cognitivo non ha modificato i risultati (HR non corretto 0,85 [IC 95% 0,671,09]). Le analisi di regressione complementare log-log hanno portato a una stima ugualmente non significativa di riduzione del rischio dell’11% (IC 95% 0,70-1,14). L’analisi di regressione logistica ha mostrato un risultato analogo. L’HR non corretto per il declino cognitivo è stato pari a 0,92 (IC 95% 0,81-1,05); analogamente le analisi di regressione complementare log-log hanno fornito un risultato non significativo con una riduzione stimata del rischio del 4%. I risultati dell’analisi log-rank hanno mostrato che un livello inferiore di istruzione, la regione in cui è avvenuto il reclutamento e l’età avevano un effetto significativo sul declino cognitivo, mentre il sesso non era rilevante. I modelli di rischio proporzionale di Cox e le analisi di regressione complementare log-log sono stati, pertanto, corretti per istruzione rispetto a non istruzione, età e regione in cui è avvenuto il reclutamento. L’HR corretto (Cox) era pari a 0,85 (IC 95% 0,67-1,09) per la diagnosi di demenza e a 0,93 (0,82-1,05) per il declino cognitivo; gli HR corretti calcolati con la regressione complementare The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 171 Rapporto Attivo (N/n) Placebo (N/n) di rischio (IC 95%) PROGRESS RR12 3051/193 3054/217 0,89 (0,74-1,07) Syst-Eur RR10 1238/11 1180/21 0,50 (0,25-1,02) SHEP RR14 2365/37 2371/44 0,84 (0,55-1,30) HYVET RR 1687/126 1649/137 0,90 (0,71-1,13) Combinati (casualmente) 0,87 (0,76–1,00) Q di Cochran=2,409; p=0,491 Test per l’effetto complessivo; p=0,045 A favore A favore del trattamento del controllo Figura 3: Forest plot degli studi controllati con placebo sul trattamento antipertensivo che hanno valutato la demenza incidente N=partecipanti totali. n=numero con demenza. M Et Et Se De Se Se Ele Te en Te ND= Tab log-log erano simili. Né gli ictus insorti prima o durante lo studio, né il precedente trattamento antipertensivo o il tipo di trattamento prima del reclutamento hanno modificato i risultati. La maggior parte degli ictus verificatisi durante lo studio HYVET ha avuto esito fatale. I risultati delle analisi per sottotipo di demenza non sono stati significativi e le analisi di Cox e le analisi complementari log-log hanno fornito risultati simili. Per la MA, i tassi rispettivi erano 20 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento e 23 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo (HR 0,85, IC 95% 0,63-1,15). Per la demenza vascolare, i tassi erano 11 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento e 12 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo (HR 0,87, IC 95% 0,57-1,34). La ripetizione delle analisi con tutti i pazienti, indipendentemente dal fatto che avessero più di una valutazione della funzione cognitiva, non modificava i risultati. Quando i risultati dello studio HYVET sono stati combinati in una metanalisi con gli altri tre studi clinici controllati con placebo sul trattamento antipertensivo che hanno valutato la demenza incidente – Syst-Eur,10 Perindopril Protection Against Recurrent Stroke Study (PROGRESS) 12 e Systolic Hypertension in Elderly Patients (SHEP)14 –, il rapporto di rischio complessivo aveva una significatività borderline (con i modelli di effetti casuali), rischio relativo 0,87 (IC 95% 0,76-1,00; p=0,045), mentre le precedenti metanalisi non erano conclusive.11,15 La Figura 3 mostra il forest plot di questa analisi. Discussione Abbiamo trovato una riduzione non significativa dei casi di demenza incidente nel gruppo di trattamento. Combinando questi dati in una metanalisi con gli altri studi controllati con placebo in doppio cieco sul trattamento antipertensivo, abbiamo osservato una riduzione significativa della demenza incidente nei pazienti randomizzati a ricevere il trattamento antipertensivo. Lo studio HYVET è stato interrotto prima del previsto a causa dei risultati della seconda analisi ad interim (a priori), in cui i benefici del trattamento erano indicati da una riduzione di mortalità, ictus e scompenso cardiaco. Ciò significa che il follow-up medio per valutare la demenza 171 10-12-2008 20:11:14 Articoli incidente è stato di soli 2,2 anni (7400 anni-paziente). Il calcolo della potenza dello studio HYVET-COG era basato su una riduzione del 33% della demenza incidente nel gruppo di trattamento di oltre 8400 anni-paziente, con tassi di 36 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e di 24 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento, con 252 casi attesi. Anche se nello studio attuale sono stati raccolti solo 7400 anni-paziente, sono stati identificati 263 casi di demenza incidente, con tassi di 38 e 33,2 per 1000 anni-paziente rispettivamente nei gruppi placebo e di trattamento. È possibile che la riduzione prevista del 33% sia stata troppo ottimista e si sia basata sui dati disponibili al momento in cui è stato progettato lo studio e avviato il reclutamento (1999-2001): una riduzione del 50% della demenza incidente in pazienti più giovani (Syst-Eur)10 e una riduzione non significativa di demenza nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo placebo (1,6% vs 1,9%), anche in pazienti più giovani (SHEP).14 Le nostre stime tenevano inoltre conto del fatto che lo studio HYVET aveva utilizzato la stessa metodologia dello studio Syst-Eur e aveva incluso solo pazienti molto anziani. I tassi di demenza incidente nel gruppo placebo sono comunque stati vicini a quelli previsti e il breve follow-up potrebbe anche avere avuto un effetto. Qualsiasi effetto della riduzione della pressione arteriosa sulla demenza incidente potrebbe richiedere tempo per essere identificabile e una media di 2,2 anni di follow-up potrebbe non essere stata sufficiente, nonostante la differenza esistente nella pressione arteriosa tra il gruppo di trattamento e il gruppo placebo. Un ulteriore fattore che potrebbe aver influenzato questi risultati è la scelta del trattamento. I ricercatori nello studio Syst-Eur hanno ottenuto la massima riduzione dei casi di demenza incidente con un calcio-antagonista, a differenza dei più modesti risultati con altri tipi di farmaci.10 L’ultimo punto da considerare in tutti gli studi è il rischio di distorsioni; i pazienti con peggioramento della funzione cognitiva potrebbero avere una maggiore probabilità di abbandonare uno studio, e se ciò si verifica in modo sproporzionato in un gruppo l’esito potrebbe essere sovrastimato o sottostimato. L’assenza di una differenza significativa tra i gruppi di trattamento nello studio SHEP potrebbe essere stata causata da differenze nella permanenza nello studio, con una maggiore probabilità di abbandonare lo studio da parte degli individui nel gruppo placebo.18 Anche se è probabile che la riduzione del rischio nella mezza età possa avere un effetto protettivo sulla vita futura, non è sempre possibile intervenire in quel periodo di vita. Inoltre, una percentuale elevata della popolazione è costituita da anziani con ipertensione non trattata. La nostra metanalisi ha incluso dati provenienti da studi effettuati su popolazioni più giovani; tuttavia, la maggior parte dei soggetti erano giovani anziani. Lo studio SCOPE (Study on Cognition and Prognosis in the Elderly)13 era focalizzato sul declino cognitivo; tuttavia, i ricercatori hanno dovuto modificare il protocollo nel corso dello studio, con il 172 02 Lancet.indd 172 risultato che l’84% del gruppo placebo ha assunto farmaci antipertensivi. Per questo motivo, abbiamo deciso di non includere questo studio nella metanalisi e di focalizzarci solo sugli studi controllati con placebo. Nello studio HYVET, il numero di casi di declino cognitivo era simile nei due gruppi. Ciò può essere dovuto alla maggiore variabilità delle prestazioni ai test cognitivi o alla specificità del MMSE in questa popolazione di pazienti. Anche se una storia di ictus al basale prediceva in modo indipendente la demenza incidente, l’inclusione di questa covariata non ha alterato il rapporto di rischio nel gruppo di trattamento. Le popolazioni meno istruite avevano maggiore probabilità di sviluppare demenza incidente; l’effetto del livello di istruzione era tuttavia meno chiaro per il declino cognitivo. La mediana del punteggio MMSE basale per tutti i partecipanti nel dataset era di 26, e questo è coerente con i punteggi previsti per un gruppo di soggetti molto anziani con diversi livelli di istruzione.19 Non c’era differenza nel punteggio MMSE al basale nei pazienti che avevano sviluppato demenza incidente e nei pazienti che non avevano sviluppato tale disturbo. Nello studio Syst-Eur10 una fase in aperto seguiva quella in doppio cieco, e ciò ha fornito ulteriori informazioni circa gli effetti del trattamento dell’ipertensione sulla demenza incidente. Il precedente gruppo in trattamento nello studio Syst-Eur è rimasto a un rischio inferiore del precedente gruppo placebo, benché la maggior parte dei partecipanti in entrambi i gruppi avesse ricevuto farmaci antipertensivi nella fase di trattamento in aperto. Lo studio HYVET sta proseguendo in aperto e i casi di demenza incidente continueranno ad essere valutati. Ciò permetterà di rivalutare i risultati dello studio HYVET dopo un follow-up più lungo. In sintesi, i risultati del sottostudio HYVET su demenza incidente e declino cognitivo sono in linea con le ricerche eseguite in gruppi di età più giovane. I risultati dello studio HYVET sostengono in parte l’utilità di trattare le persone molto anziane con ipertensione al fine di ridurre la demenza incidente, soprattutto quando questa si ottiene dopo un follow-up relativamente breve; tuttavia, i risultati relativi al declino cognitivo incidente sono stati non conclusivi. La metanalisi dello studio HYVET e di tre studi simili ha dimostrato che la riduzione del rischio di demenza associata alla riduzione della pressione arteriosa può essere clinicamente significativa. Contributi RPe ha coordinato l’aspetto della funzione cognitiva dello studio HYVET, analizzato i dati e compilato il manoscritto. NB ha coordinato lo studio HYVET, è stato coinvolto nella stesura originale del protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto. FF ha fornito consulenza nel corso dello studio, è stato coinvolto nella stesura originale del protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto. JT, RC, CR, AW e IW erano membri del comitato di validazione della demenza, hanno elaborato le procedure operative standard per la diagnosi di demenza nello studio HYVET e commentato il manoscritto. RPo è stato responsabile della gestione quotidiana della raccolta dei dati sulla funzione cognitiva e della loro organizzazione, ha compilato i programmi statistici per aiutare nell’analisi e commentato il The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:15 Articoli manoscritto. SM e MC hanno attivato i sistemi locali per il successo del reclutamento, raccolto i dati sulla funzione cognitiva e la diagnostica e commentato il manoscritto. LB ha lavorato con RPo per raccogliere le informazioni diagnostiche e commentato il manoscritto. AF è stato coinvolto nella stesura originale del protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto. CB è stato coinvolto nella stesura originale del protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto. Ringraziamenti Desideriamo ringraziare per il suo lavoro C Nachev (membro del comitato direttivo, coordinatore nazionale della Bulgaria e ricercatore HYVET a partire dal 1998 fino alla sua morte nel 2005). La consulenza statistica è stata fornita da L Thijs (membro del comitato di monitoraggio dei dati) e da B North e W Banya (Imperial College, Regno Unito). Ricercatori HYVET Australia–R Warne, I Puddey, M Woodward, R Penhall, C Inderjeeth, S Roger, R Scholes, C Johnson. Belgio–H Celis, G Adriaens, W Onsea, K Cornelli, D Vantroyen, P Cleen, P De Voogt. Bulgaria–V Stoyanovsky, P Solakov, C Nachev, X Prokopova, E Mantova, D Smilkova, S Mantov, K Yankulova, R Kermova, D Popov, V Sirakova, V Gergova, D Kamenova, F Grigorov, T Vassileva, R Alahverdian, M Tzekova. Cina– L Liu, H Ge, S Wang, J Wang, W Zhang, S Jin, L Ge, YF Lu, S Ma, L Shen, J Guo, Z Lv, R Huang, X Li, B Guo, T Zhang, L Zhang, J Feng, Z Egli, J Wang, L Deng, L Liu, D Yuan, F Zhang, H Li, D Wang, K Yang, M Sun, H Liu, X Yan, F Ren, J Tang. Finlandia– R Antikainen, T Strandberg, T Konttila, A Hynninen, M Jaaskivi, J Airas, T Jaaskelainen, J Tuomilehto, H Litmanen. Francia–F Forette, J Doucet, J Belmin, A Benetos, G Berrut, T Böge, M Bonnefoy, A Carre, N Charasz, J Covillard, T Dantoine, M Escande, Y Francesca, X Joire, C Jeandel, S Legrain, A Lion, M Maillet-Vioud, JP Escaillas, S Meaume, P Tiftzenmeyer, M Puisieux, X Quercy, O Rodat, J Soubeyrand, B de Wazieres, H Hindennach, L Lugassy, J Rossi, M Martel, JM Paladel, C Ravier, A Visconti, JP Gallet, D Zygouritsas, D Charles, F Flamant, G Grandmottet, M Grandmottetegermann, C Gevrey, PL Mesnier, G Robert, C Prat-Besset, A Brousse, P Lafont, J Morelli, P Vernede, A Volkmann, X Bodin, B Destrube, R Eoche, A Boye, M Seropian, P Gernigon, D Meker, J Thomere, Y Thual, M Volný, E Grassart, F Herent, D Lejay, JP Lopez, B Mannessier, G Pruvost, JC Urbina. Irlanda-J Duggan. Nuova Zelanda–C Anderson, S Lillis, J Gommans. Polonia–T Grodzicki, Z Chodorowski, Z Gaciong. Romania–D Dumitrascu, M Comsa, V Sandru, G Prada, M Moisin-Dunca, D Jianu, D Jinga-Lazar, V Enachescu, C Zaharia. Russia–Y Nikitin, A Kirichenko, L Olbinskaya, A Martynov, V Zadionchenko, V Moiseev, G Storohzakov, S Nedogoda, RS Karpov, O Barbarash, G Efremushkin, V Kostenko, M Boyarkin, S Churina, T Tyurina, M Ballyuzek, L Ermoshkina, A Timofeev, S Yakusheva, N Shilkina, V Barbarich. Tunisia–A Belhani, E Boughzela, çSoraya, B YZ Ali, BKMH Houman, A Kheder Abida. Regno Unito–C Rajkumar, M Wilkins, ND Pandita-Gunawardena, J Potter, E Ekpo, F Prezzo, N de Kare-Silver, A Starczewski, S Chandran, X Nasar, M Chaudhuri-Datta, T McCormack, N Majmudar, A Gordon L Brawn, T Solanki. Bibliografia 1 Elliott P. High blood pressure in the community. In: Bulpitt CJ ed, Handbook of hypertension (vol 20), Epidemiology of Hypertension, 1st edn. Amsterdam: Elsevier, 2000: 1–18. 2 Lobo A, Launer L, Fratiglioni L, et al, for the neurologic diseases in the elderly research group. Prevalence of dementia and major subtypes in Europe: a collaborative study of population based-cohorts. Neurology 2000; 54: S4–S9. 3 Launer L, Masaki K, Petrovitch H, Foley D, Havlik R. The association between midlife blood pressure levels and late-life cognitive function. JAMA 1995; 274: 1846–51. 4 Kivipelto M, Ngandu T, Laatikainen T, Winblad B, Soininen H, Tuomilehto J. Risk score for the prediction of dementia risk in 20 years among middle aged people: a longitudinal population based study. Lancet Neurol 2006; 5: 735–41. 5 Skoog I, Lernfelt B, Landahl S, et al. A 15 year longitudinal study of blood pressure and dementia. Lancet 1996; 347: 1141–45. 6 Qiu C, Winblad B, Fratiglioni L. The age-dependent relation of blood pressure to cognitive function and dementia. Lancet Neurol 2005; 4: 487– 99. 7 Birns J, Morris R, Donaldson N, Kalra L. The effects of blood pressure reduction on cognitive function: a review of effects based on pooled data from clinical trials. J Hypertens, 2006; 24: 1907–14. 8 Sparks D, Scheff S, Liu H, Landers T, Coyne C, Hunsacker J. Increased incidence of neurofibrillary tangles (NFT) in nondemented individuals with hypertension. J Neurol Sci 1995; 131: 162–69. 9 Jellinger K, Mitter-Ferstl E. The impact of cerebrovascular lesions in Alzheimer’s disease. J Neurol 2003; 250: 1050–55. 10 Forette F, Seux M, Staessen J, et al. Prevention of dementia in a randomised double blind placebo controlled systolic hypertension in Europe (Syst-Eur) trial. Lancet 1998; 352: 1347–51. 11 Feigin V, Ratnasabapathy Y, Anderson C. Does blood pressure lowering treatment prevent dementia or cognitive decline in patients with cardiovascular and cerebrovascular disease? J Neurol Sci 2005; 229–230: 151–55. 12 The PROGRESS collaborative group. Effects of blood pressure lowering with perindopril and indapamide therapy on dementia and cognitive decline in patients with cerebrovascular disease. Arch Intern Med 2003; 163: 1069– 75. 13 Lithell H, Hansson L, Skoog I, et al, for SCOPE study group. The study on cognition and prognosis in the elderly (SCOPE): principal results of a randomized double-blind intervention trial. J Hypertens 2003; 21: 875–86. 14 The SHEP cooperative research group. Prevention of stroke by antihypertensive drug treatment in older persons with isolated hypertension. JAMA 1991; 265: 3255–64. 15 McGuiness B, Passmore T, Bullock R. Blood pressure lowering in patients without prior cerebrovascular disease for prevention of cognitive impairment and dementia. Cochrane Database Syst Rev 2006; 2: CD004034 16 Beckett N, Peters R, Fletcher A, et al, for the HYVET Study Group. Treatment of hypertension in patients 80 years of age or older. N Engl J Med 2008; 358: 1887–98. 17 Peters R, Beckett N, Nunes M, Fletcher A, Forette F, Bulpitt C. A substudy protocol of the hypertension in the very elderly trial assessing cognitive decline and dementia incidence (an ongoing randomised, double-blind, placebo-controlled trial). Drugs Aging 2006; 1: 83–92. 18 Di Bari M, Pahor M, Franse L, et al. Dementia and disability outcomes in large hypertension trials: lessons learned from the systolic hypertension in the elderly trial (SHEP). Am J Epidemiol 2001; 153: 72–78. 19 Spreen O, Strauss E, eds. A compendium of neuropsychological tests: administration norms and commentary, 2 edn. Oxford: Oxford University Press, 1998. Comitati e coordinamento Lead investigator–CJ Bulpitt. Co-investigator–A Fletcher. Trial coordinator– NS Beckett. Deputy trial coordinator–R Peters. HYVET coordinating team at Imperial College London (1999-2008). Steering committee–T McCormack, J Potter, BG Extremera, P Sever, F Forette, D Dumitrascu, C Swift, J Tuomilehto, J Coope (ritirato nel 2001). Data-monitoring committee–J Staessen, L Thijs, R Clarke, K Narkiewicz. Endpoints committee–C Davidson (ritirato nel 2003), J Duggan, G Leonetti, N Gainsborough, MC De Vernejoul, J Wang, V Stoyanovsky. Dementia validation committee–J Tuomilehto, R Clarke, A Waldman, I Walton, C Ritichie. Ethics Committee–R Fagard, J Grimley Evans, B Williams. Conflitti di interesse Lo studio è stato sponsorizzato dall’Imperial College di Londra. Gli stipendi sono stati forniti dall’Imperial College usando sovvenzioni accademiche della British Heart Foundation e della Servier (NB, RPe, RPo e LB). I rimborsi per la consulenza di CB sono stati forniti dall’Imperial College dopo il suo pensionamento nel 2005 da una sovvenzione accademica di Servier. I rimborsi dei ricercatori per coprire le spese dello studio e le indagini, come le TC, sono stati pagati a SM e MC dall’Imperial College. Nessuno degli altri autori ha ricevuto alcuna remunerazione finanziaria. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 173 173 10-12-2008 20:11:15 Articoli Efficacia della telemedicina sito-indipendente nello studio STRokE DOC: studio randomizzato, in cieco, prospettico Brett C Meyer, Rema Raman, Thomas Hemmen, Richard Obler, Justin A Zivin, Ramesh Rao, Ronald G Thomas, Patrick D Lyden Lancet Neurol 2008; 7: 787-95 Riassunto Pubblicato Online il 3 agosto 2008 DOI:10.1016/S14744422(08)70171-6 Premessa Per aumentare l’efficacia dell’uso dei trombolitici per l’ictus acuto, l’esperienza dei neurologi vascolari deve essere più ampiamente diffusa. Abbiamo valutato prospetticamente quale fra la telemedicina (interpretazione in tempo reale, a doppia via audio e video con immagini digitali e comunicazione in medicina [DICOM]) o il mezzo telefonico fosse superiore nel processo decisionale delle consulenze di telemedicina in condizioni acute. Department of Neurosciences (B C Meyer MD, R Raman PhD, T Hemmen MD, J A Zivin PhD, R G Thomas PhD, P D Lyden MD) e Department of Family and Preventive Medicine (R Raman, R G Thomas); Department of Emergency Medicine, El Centro Regional Medical Center, El Centro, CA, USA (R Obler MD); California Information Telecommunications and Technology (Cal(IT2)), San Diego, CA, USA (R Rao, PhD); Research Division, Department of Veteran’s Affairs, San Diego, CA, USA (P D Lyden) Metodi Dal gennaio 2004 all’agosto 2007, pazienti di età superiore a 18 anni che presentavano sintomi di ictus acuto in un centro remoto su quattro sono stati assegnati in modo casuale, attraverso un sistema basato sul web a blocchi permutati, alla consulenza telefonica o a quella mediante telemedicina per valutare se fossero candidabili al trattamento con trombolitici, basato su criteri standard. La misura di esito primario è stata se la decisione di dare il trattamento trombolitico fosse corretta, valutata in base a un’assegnazione centrale. Gli esiti secondari sono stati l’uso del trombolitico, gli esiti funzionali a 90 giorni (indice di Barthel [BI] e scala di Rankin modificata [mRS]), l’incidenza di emorragia intracerebrale e osservazioni tecniche. L’analisi è stata di tipo intention-to-treat. Lo studio è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00283868. Corrispondenza: Brett C Meyer, Department of Neurosciences, UCSD School of Medicine Stroke Center (8466), Third Floor, OPC, Suite 3, 200 West Arbor Drive, San Diego, CA 92103-84466, USA [email protected] Risultati Sono stati valutati prospetticamente 234 pazienti. 111 pazienti sono stati randomizzati alla telemedicina e 111 alla consulenza telefonica; 207 hanno completato lo studio. Il punteggio medio alla National Institutes of Health Stroke Scale all’esordio dell’ictus era di 9,5 (DS 8,1) punti (11,4 [8,7] punti nel gruppo della telemedicina rispetto a 7,7 [7,0] punti nel gruppo della consulenza telefonica; p=0,002). Una consulenza di telemedicina è stata interrotta per ragioni tecniche, ma è stata inclusa nelle analisi. Le decisioni terapeutiche sono state più spesso corrette nel gruppo della telemedicina rispetto a quello della consulenza telefonica (108 [98%] rispetto a 91 [82%], odds ratio [OR] 10,9, IC 95% 2,7-44,6; p=0,0009). I trombolitici per via endovenosa sono stati utilizzati con un tasso complessivo del 25% (31 [28%] nella telemedicina rispetto a 25 [23%] nella consulenza telefonica, 1,3, 0,7-2,5; p=0,43). Gli esiti funzionali a 90 giorni non sono risultati diversi per il BI (95-100) (0,6, 0,4-1,1; p=0,13) o per il punteggio mRS (0,6, 0,3-1,1; p=0,09). Non è stata riscontrata alcuna differenza nella mortalità (1,6, 0,8-3,4; p=0,27) o nei tassi di emorragia intracerebrale dopo trattamento con trombolitici (2 [7%] telemedicina rispetto a 2 [8%] consulenza telefonica, 0,8, 0,1-6,3; p=1,0). Tuttavia, vi erano più dati incompleti nel gruppo della consulenza telefonica rispetto al gruppo della telemedicina (12% vs 3%, 0,2, 0,1-0,3; p=0,0001). Interpretazione Gli autori di questo studio riferiscono che le consulenze di telemedicina nell’ictus esitano in un processo decisionale più accurato rispetto alle consulenze telefoniche e possono servire come modello per l’efficacia della telemedicina in altre specialità mediche. Le decisioni più appropriate, gli elevati tassi di uso di trombolisi, la migliore raccolta dei dati, il basso tasso di emorragia intracerebrale, le ridotte complicanze tecniche e la favorevole tempistica sostengono l’efficacia della telemedicina nell’assunzione delle decisioni terapeutiche e potrebbero rendere possibile a più operatori l’uso di questo strumento nel trattamento quotidiano dell’ictus. Finanziamento National Institute of Neurological Disorders and Stroke; California Institute of Telecommunications Technology; Department of Veterans’ Affairs Research Division. Introduzione Pochi pazienti con ictus (2-3%) ricevono trombolitici, benché la terapia sia stata approvata da oltre 10 anni.1 La terapia trombolitica deve essere utilizzata rapidamente e in modo adeguato se si vuole ridurre la disabilità dovuta all’ictus.2 I precedenti approcci volti ad aumentare i tassi di trattamento hanno fallito, in parte a causa dell’incompleta diffusione delle competenze relative all’uso dei trombolitici e a restrizioni geografiche. La maggiore disponibilità di specialisti sull’ictus dovrebbe aumentare l’uso degli appropriati trattamenti e ridurre al minimo le violazioni di protocollo.3,4 La telemedicina, che è già operativa in molte specialità, potrebbe consentire la diffusione di competenze sull’ictus per consulenze, formazione e ricerca.5-8 174 02 Lancet.indd 174 La telemedicina è una modalità affidabile per misurare i deficit dovuti all’ictus.9-12 L’assistenza remota mediante telefono,13 o telemedicina, aumenta l’uso di trombolitici;14-16 tuttavia, benché siano disponibili molti sistemi di telemedicina, sono stati effettuati pochi studi randomizzati17 e non è nota l’efficacia del processo decisionale. Per valutare la correttezza del processo decisionale in un contesto sottoposto a vincoli temporali come l’ictus acuto, abbiamo confrontato le consulenze in telemedicina (audio o video remoti e riesame radiologico) con quelle telefoniche, per valutare l’ipotesi che la telemedicina aumenti l’efficacia del processo decisionale. Se le decisioni assunte con la telemedicina fossero appropriate, questa tecnologia potrebbe essere immediatamente resa operativa nella pratica quotidiana. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:16 Articoli Metodi Pazienti Tra il gennaio 2004 e l’agosto 2007, sono stati arruolati 234 pazienti e 222 sono stati assegnati casualmente a consulenze mediante telemedicina o solo telefoniche quando si erano presentati con sintomi di ictus acuto in uno di quattro siti remoti (satelliti) che si trovavano da 30 a 350 miglia da un centro universitario di coordinamento. 11 pazienti run-in non sono stati randomizzati. I criteri di inclusione erano un’età di almeno 18 anni, la capacità di firmare il consenso (o di avere un parente che potesse firmare per loro) e sintomi di ictus acuto. Non vi erano specifici criteri di esclusione. Il consenso scritto informato è stato ottenuto dal centro satellite e inviato al centro consulente mediante fax internet prima della randomizzazione. Lo studio è stato approvato dagli Human Research Protections Programs al centro coordinatore e ai centri satelliti ed è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00283868. i risultati della TC dell’encefalo, il consulente del centro coordinatore forniva una raccomandazione per il trattamento trombolitico al medico del dipartimento di emergenza del centro satellite. L’obiettivo principale dello studio era stabilire l’efficacia delle consulenze di telemedicina per il processo decisionale. L’esito primario dello studio era valutare se la decisione di somministrare trombolitici fosse appropriata, secondo quanto stabilito da un rigoroso processo 223 valutati per l’eleggibilità 1 paziente escluso perché troppo giovane 222 pazienti assegnati casualmente 111 assegnati alla telemedicina 1 consulenza non riuscita per cause tecniche Procedure Il centro coordinatore veniva contattato mediante un sistema cercapersone quando un paziente si presentava a un centro satellite. I pazienti erano randomizzati con blocchi permutati stratificati per sito di studio per evitare squilibri tra i gruppi. La randomizzazione alla telemedicina o alla sola consulenza telefonica era effettuata in tempo reale con un sistema di randomizzazione basato sul web, che eliminava le distorsioni legate alle preferenze del medico. Per i pazienti randomizzati alla telemedicina, la consulenza iniziava con un accesso indipendente dal sito al sistema di telemedicina. Il centro di consulenza attivava la fotocamera e raccoglieva immediatamente l’anamnesi eseguendo anche una valutazione neurologica con la National Institutes of Health Stroke Scale (NIHSS). Le altre componenti dell’esame obiettivo erano eseguite dal consulente o a esso riferite, a seconda dei casi. Le immagini della TC dell’encefalo erano visualizzate in modalità di imaging digitale e comunicazioni in medicina (DICOM). Per i pazienti randomizzati alla consulenza telefonica, il consulente del centro coordinatore interrogava il medico del centro satellite su anamnesi, esame obiettivo, risultati degli esami di laboratorio e referto TC del neuroradiologo locale e guidava il medico locale nell’esecuzione dell’esame NIHSS. Il consulente non vedeva direttamente né il video né le immagini della TC dell’encefalo. In entrambi i gruppi, il consulente compilava un modulo predefinito. Il consulente era libero di ripetere le varie sezioni dell’esame e poteva parlare con i familiari o i testimoni disponibili. I deficit clinici e i punteggi della scala funzionale (compresi la NIHSS e i punteggi della scala di Rankin modificata [mRS] prima e dopo l’ictus) erano calcolati dal consulente utilizzando le informazioni fornite dal medico presente al letto del malato. Dopo la revisione dell’anamnesi, dei reperti dell’esame obiettivo, delle scale sull’ictus e di esito e dopo aver interpretato The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 175 111 assegnati al telefono 110 hanno ricevuto una consulenza mediante telemedicina 111 hanno ricevuto una consulenza telefonica 6 persi al follow-up 104 hanno completato lo studio 1 ha ritirato il consenso 7 persi al follow-up 103 hanno completato lo studio Figura 1: Profilo dello studio Tutti i casi (n=222) Telemedicina (n=111) Telefono (n=111) Stima Età (anni) 69,7 (14,7) 70,4 (14,5) 69,0 (14,9) 1,40 (–2,5 a 5,3)* Donne 114 (51%) 57 (51%) 57 (51%) 1,00 (0,59 a 1,69)† Origine etnica Bianchi 211 (95%) 106 (96) 105 (95%) Neri 6 (3%) 4 (4%) 2 (2%) Isolani del Pacifico 4 (2%) 1 (1%) 3 (3%) Asiatici 1 (1%) 0 (0%) 1 (1%) Non ispanici 120 (54%) 60 (54%) 60 (54%) 1,00 (0,59-1,69)† Peso (kg) 80,0 (20,5) 79,7 (18,8) 80,5 (36,7) –0,8 (–7,1 a 5,5)* Fattori di rischio CAD 61 (28%) [6%] 37 (33%) [3%] 24 (22%) [10%] Infarto del miocardio 17 (8%) [14%] 12 (11%) [12%] 5 (5%) [15%] Storia di CVA 81 (37%) [5%] 40 (36%) [5%] 41 (37%) [5%] Fibrillazione atriale 29 (13%) [7%] 19 (17%) [5%] 10 (9%) [8%] Diabete 78 (35%) [4%] 43 (39%) [2%] 35 (32%) [5%] Ipertensione 164 (74%) [3%] 83 (75%) [5%] 81 (73%) [5%] Iperlipidemia 75 (34%) [15%] 45 (41%) [7%] 30 (27%) [23%] Storia familiare 23 (10%) [28%] 18 (16%) [18%] 5 (5%) [39%] di ictus o TIA Attuale uso di alcool 30 (14%) [22%] 15 (14%) [9%] 15 (14%) [34%] Attuale uso di tabacco 21 (10%) [20%] 13 (12%) [9%] 8 (7%) [31%] CAD=coronaropatia. CVA=attacco cardiovascolare. TIA=attacco ischemico transitorio. I dati sono medie (DS). *Odds ratio (IC 95%). †Differenza delle medie (IC 95%), numero (percentuale) [percentuale sconosciuta]. La percentuale dei dati mancanti è inclusa perché potrebbe chiarire il significato del confronto. Tabella 1: Caratteristiche demografiche e fattori di rischio dei pazienti 175 10-12-2008 20:11:17 Articoli di assegnazione, a più stadi e in cieco, i cui dettagli sono già stati pubblicati.18 Gli esiti secondari erano i tassi di uso della terapia trombolitica, gli esiti a 90 giorni, i tassi di emorragia intracerebrale, la completezza dei dati e osservazioni tecniche. La strumentazione includeva un computer portatile collegato a internet, utilizzato da un gruppo di neurologi specializzati nel vascolare in possesso di fellowship specifica, e dal sistema di telemedicina presso il dipartimento di emergenza dei centri satelliti. Il software permetteva l’accesso indipendente dal sito a un sistema audio a due vie e a un video ad alta risoluzione, con connessione internet standard (BF Technologies, San Diego, CA, USA). Il comitato di assegnazione (SDAC) dello STRokE DOC (Stroke Team Remote Evaluation using a Digital Observation Camera) era costituito da medici specialisti formati nel trattamento dell’ictus acuto ed escludeva gli operatori appartenenti alle strutture satelliti. L’assegnazione di livello 1 includeva la revisione da parte del consulente del centro coordinatore, con lo SDAC in cieco rispetto alla tecnica di consulenza. Per l’assegnazione di livello 2a, un monitor indipendente riesaminava le cartelle del dipartimento di emergenza e del ricovero del centro satellite e definiva l’assegnazione in relazione alla correttezza della decisione di eseguire la trombolisi in base ai criteri di inclusione o esclusione del NINDS.3,4 In base ad approfondite discussioni, e ancora in cieco rispet- MP (B) molto a ecoge- Tutti i casi (n=222) Telemedicina (n=111) Telefono (n=111) mRS pre-ictus (scala completa) Dicotomizzata (0-1) 164 (75%) 78 (72%) 86 (78%) 0=nessun sintomo 141 (64%) 65 (60%) 76 (89%) 1=disabilità non significativa 23 (11%) 13 (12%) 10 (9%) 2=disabilità lieve 12 (6%) 8 (7%) 4 (4%) 3=disabilità moderata 27 (12%) 15 (14%) 12 (11%) 4=disabilità da moderata a grave 16 (7%) 8 (7%) 8 (7%) 5=disabilità grave 1 (1%) 0 (0%) 1 (1%) mRS al basale (scala completa) Dicotomizzata (0-1) 39 (18%) 14 (13%) 25 (23%) 0=nessun sintomo 12 (16%) 6 (6%) 6 (5%) 1=disabilità non significativa 27 (12%) 8 (7%) 19 (17%) 2=disabilità lieve 26 (12%) 15 (14%) 11 (10%) 3=disabilità moderata 34 (16%) 14 (13%) 20 (18%) 4=disabilità da moderata a grave 68 (31%) 35 (32%) 33 (30%) 5=disabilità grave 53 (24%) 31 (28%) 22 (20%) NIHSS 9,5 (8,1) [7,0] 11,4 (8,7) [10,5] 7,7 (7,0) [5,0] mNIHSS 7,3 (6,8) [5,0] 8,8 (7,4) [8,0] 5,9 (5,9) [4,0] TC al basale Normale 78 (36%) 29 (26%) 49 (45%) ICH primaria 17 (8%) 9 (8%) 8 (7%) TC in contraddizione 29 (14%) 17 (16%) 12 (11%) con i trombolitici Sottogruppo NIHSS sottoposto 14,5 (7,2) 16,3 (7,4) 12,3 (6,3) a trombolisi Sottogruppo mNIHSS sottoposto 11,4 (6,6) 12,7 (6,7) 9,8 (6,2) a trombolisi Stima 0,73 (0,40 a 1,35)* 0,51 (0,25 a 1,04)* 3,70 (1,61 a 5,79)† 2,90 (1,13 a 4,67)† 0,44 (0,25 a 0,77)* 1,14 (0,42 a 3,06)* 1,48 (0,67 a 3,27)* 4,00 (0,22 a 7,78)† 2,90 (–0,59 a 6,39)† Funzione pre-ictus dalla stima dei ricercatori della mRS prima dell’ictus e gravità post-ictus al basale stimata in base a mRS, NIHSS e mNIHSS. mRS=punteggio della scala di Rankin modificata. ICH=emorragia intracerebrale. NIHSS=punteggio della National Institutes of Health Stroke Scale. mNIHSS=punteggio della National Institutes of Health Stroke Scale modificata. I dati sono numeri (percentuali). *Odds ratio (IC 95%). †Differenza delle medie (IC 95%), media (DS) [mediana]. Tabella 2: Valutazione dell’ictus al basale 176 02 Lancet.indd 176 to al gruppo di assegnazione, lo SDAC esprimeva una valutazione separata dell’appropriatezza della decisione dopo aver preso in considerazione tutte le informazioni che sarebbero state disponibili al letto del malato. La decisione di livello 2b era la misura primaria di esito. Sono stati seguiti protocolli dettagliati per essere certi che i membri dello SDAC rimanessero in cieco rispetto al braccio di assegnazione.18 Il consulente e il monitor non erano disponibili durante le votazioni. Analisi statistica È stato utilizzato un test c2 (2 code, a=0,05) per stimare la potenza dello studio all’80%, assumendo un tasso di decisioni corrette con la sola consulenza telefonica dell’80%, una dimensione dell’effetto della telemedicina del 10% e una dimensione del campione di 400. L’analisi statistica per l’esito principale è stata eseguita con un modello di regressione logistica per effetti casuali. 19 L’effetto della decisione di assegnazione è stato modellato come funzione del braccio di trattamento. Il sito è stato incluso nel modello come un effetto casuale con una struttura di correlazione scambiabile. A causa della variabilità dei dati, per le analisi di sensibilità sono stati usati il test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel stratificato per sito e la regressione logistica con effetto fisso. Il test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel stratificato per sito e la regressione logistica con effetto fisso sono stati usati per tutti gli altri esiti di decisione corretta. Il test esatto di Fisher è stato utilizzato per il tasso di uso della terapia trombolitica, il tasso di emorragie intracerebrali, il tasso di mortalità, il punteggio mRS a 90 giorni e l’analisi dei dati mancanti. Il test della somma dei ranghi di Wilcoxon è stato utilizzato per l’indice di Barthel (BI) a 90 giorni e per il confronto dei punti temporali. I dati di tre punteggi NIHSS erano incompleti, più spesso nel gruppo assegnato alla consulenza telefonica. Per confrontare in modo più accurato la gravità, il punteggio NIHSS è stato corretto escludendo le tre voci che erano più frequentemente incomplete nella valutazione NIHSS di entrambi i gruppi. È stato utilizzato un modello di regressione logistica con effetto casuale, con un effetto casuale per partecipante, per valutare i dati demografici e NIHSS incompleti. Tutte le analisi sono state realizzate con il software statistico R 2.1.1. Lo studio non era limitato a una finestra di 3 ore, per riprodurre le condizioni reali dell’ictus acuto, in cui il tempo di insorgenza è inizialmente sconosciuto. I ricercatori non volevano ritardare le valutazioni o escludere potenziali pazienti, chiedendo tassativamente che prima di iniziare una consulenza si dovesse sapere con certezza che erano passate meno di 3 ore dall’esordio. Tuttavia, sono stati arruolati pazienti per i quali erano impossibili divergenze di trattamento (ad es., i pazienti che si erano presentati in ritardo [>3 ore dopo l’esordio dell’ictus]), rafforzando in tal modo artificialmente la concordanza in entrambi i bracci dello studio. Dopo l’arruolamento di circa 200 pazienti, il comitato direttivo ha ipotizzato che The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:17 Articoli lo studio potesse avere una potenza inferiore al previsto a causa di questo fatto e ha raccomandato un’analisi di probabilità condizionale per la futilità o l’efficacia. Il comitato direttivo non era a conoscenza dei risultati quando ha espresso questa raccomandazione. Prima che gli statistici facessero le analisi, sono stati definiti un piano di analisi e linee guida a priori per la possibile interruzione dello studio. Il comitato direttivo ha interrotto lo studio dopo che l’analisi di potenza condizionale in cieco ha dimostrato che la probabilità che un gruppo potesse risultare superiore all’altro per l’esito principale alla fine dello studio era compresa tra 0,96 e 0,99, in base ai dati raccolti fino a quel punto per tutta una gamma di alternative future. Ruolo della fonte di finanziamento Gli sponsor dello studio non hanno avuto alcun ruolo nella progettazione dello studio, nella raccolta, nell’analisi e nell’interpretazione dei dati o nella stesura del manoscritto. L’autore principale ha avuto pieno accesso a tutti i dati dello studio e ha avuto la responsabilità finale per la decisione di inviarlo per la pubblicazione. Risultati Sono stati valutati 234 pazienti con sintomi di ictus acuto – 11 partecipanti non randomizzati sono stati valutati durante la fase di run-in – e 222 pazienti sono stati randomizzati (Figura 1). Non vi erano differenze demografiche tra i gruppi. Per 218 (93%) pazienti erano disponibili gli Tutti i casi (minuti) esiti a 90 giorni. I fattori di rischio per malattia coronarica (p=0,026), iperlipidemia (p=0,003), storia familiare di ictus o di attacco ischemico transitorio (TIA, p=0,0002), uso attuale di alcool (p <0,0001) e di tabacco (p=0,0004) erano superiori nel gruppo della telemedicina (Tabella 1). La Tabella 2 mostra la gravità dell’ictus al basale. Il punteggio medio NIHSS era inferiore nel gruppo della consulenza telefonica rispetto al gruppo della telemedicina (p=0,002) e nei pazienti trattati con trombolitici (p=0,044); i pazienti nel gruppo della consulenza telefonica avevano ictus meno gravi (punteggio mRS=0 o 1) al basale rispetto al gruppo della telemedicina, ma questa differenza non raggiungeva la significatività statistica (p=0,077). Inoltre, un maggior numero di TC basali era normale nel gruppo della consulenza telefonica che in quello della telemedicina (p=0,0048). La Tabella 3 mostra i tempi di valutazione dei pazienti. Il tempo dall’esordio dei sintomi all’arrivo in ospedale era di 7,7 minuti più breve nel gruppo della consulenza telefonica, anche se la differenza non era significativa (p=0,352); il tempo dall’esordio alla decisione era più breve nel gruppo della consulenza telefonica, benché in modo non significativo (p=0,067). Il tempo dall’arrivo in ospedale alla decisione non era diverso tra i gruppi (97,8 minuti), così come il tempo dalla chiamata al consenso informato (33,7 minuti). Il tempo dal consenso alla decisione (durata della consulenza) era di 9,2 minuti più lungo per il gruppo della telemedicina (p <0,0001). Il tempo dal consenso alla trombolisi era di 6,4 minuti maggiore nel Telemedicina (minuti) Telefono (minuti) Tempo dall’esordio Dall’esordio all’arrivo in ospedale 159,5 (215,7) (n=147) 163,2 (195,7) (n=77) 155,5 (237,2) (n=70) Dall’esordio alla chiamata 185,5 (225,9) (n=216) 192,9 (234,4) (n=108) 178,1 (217,8) (n=107) Dall’esordio dell’ECG 218,9 (220,2) (n=117) 220,6 (212,5) (n=59) 217,1 (229,7) (n=58) Dall’esordio al laboratorio 238,6 (240,5) (n=111) 227,0 (194,9) (n=57) 250,9 (282,2) (n=54) Dall’esordio alla decisione 244,2 (226,0) (n=216) 258,0 (229,9) (n=107) 230,6 (222,4) (n=109) Dall’esordio alla trombolisi* 150,7 (35,8) (n=55) 157,2 (37,3) (n=30) 143,0 (33,1) (n=25) Tempo dall’arrivo in ospedale Dall’arrivo alla valutazione da parte dal medico 7,6 (29,3) (n=124) 8,8 (36,5) (n=68) 6,2 (17,1) (n=56) Dall’arrivo alla chiamata 35,6 (51,1) (n=146) 31,7 (42,7) (n=78) 40,0 (59,4) (n=68) Dall’arrivo al consenso 71,8 (51,7) (n=146) 69,3 (43,2) (n=79) 74,8 (60,3) (n=67) Dall’arrivo all’ECG 61,8 (46,7) (n=82) 68,5 (47,6) (n=46) 53,3 (44,6) (n=36) Dall’arrivo al laboratorio 70,8 (62,3) (n=82) 70,8 (48,9) (n=46) 70,7 (77,0) (n=36) Dall’arrivo all’esame neurologico 70,1 (34,5) (n=142) 75,2 (32,8) (n=75) 64,4 (35,7) (n=67) Dall’arrivo alla lettura della TC 84,8 (59,8) (n=119) 84,3 (47,4) (n=69) 85,4 (74,1) (n=50) Dall’arrivo alla decisione 97,8 (54,0) (n=146) 99,8 (43,5) (n=77) 95,5 (64,1) (n=69) Tempo dalla chiamata Dalla chiamata al consenso 33,7 (26,4) (n=214) 33,6 (25,5) (n=109) 33,9 (27,4) (n=105) Dalla chiamata all’esame neurologico 36,7 (32,7) (n=216) 43,4 (29,6) (n=109) 30,0 (34,4) (n=107) Dalla chiamata alla decisione 60,0 (31,8) (n=216) 64,7 (29,1) (n=108) 55,2 (33,9) (n=108) Tempo dal consenso Dal consenso all’esame neurologico 4,7 (19,7) (n=214) 10,9 (15,2) (n=108) –1,6 (21,8) (n=106) Dal consenso alla decisione 27,5 (21,2) (n=214) 32,0 (17,3) (n=107) 22,9 (23,6) (n=107) Dal consenso alla trombolisi† 48,4 (19,6) (n=54) 51,2 (17,8) (n=30) 44,8 (21,4) (n=24) Dalla decisione alla trombolisi‡ 12,5 (9,6) (n=54) 10,0 (9,8) (n=30) 15,6 (8,5) (n=24) Per ulteriori informazioni sul software statistico si veda http://www.R-project.org p 0,35 0,44 0,41 0,39 0,07 0,14 0,61 0,38 0,53 0,06 0,34 0,03 0,67 0,20 0,89 0,0005 0,03 0,0001 0,0001 0,16 0,02 Tempi rilevanti nel codice dell’ictus. I dati sono medie (DS) (numero di partecipanti). ECG=elettrocardiogramma. *Un paziente è stato escluso per la mancanza dei dati sul momento del bolo. †Due pazienti sono stati esclusi per la mancanza dei dati sul momento del consenso e sul momento del bolo. ‡Due pazienti sono stati esclusi: uno per la mancanza dei dati sul momento del bolo e uno per un dato negativo. Tabella 3: Tempi di valutazione The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 177 177 10-12-2008 20:11:17 Articoli Telemedicina‡ (n=110) Esito primario: decisione corretta complessiva Livello 2b (SDAC) 108 (98%) Esito secondario: decisione corretta complessiva Livello 1 (SDAC) 107 (97%) Livello 2a (MM) 106 (96%) Livello 3a (MM) 107 (97%) Livello 3b (SDAC) 107 (97%) Trattamento trombolitico IV complessivo 31 (28%) Emorragia intracerebrale post- 2 (7%) consulenza complessiva Punteggio BI a 90 giorni (95-100)* 45 (43%) Punteggio mRS a 90 giorni* 36 (34%) (dicotomizzato 0-1) Mortalità complessiva 21 (19%) Telefono (n=111) Odds ratio p 91 (82%) 10,9 (2,7-44,6) 0,0009 (0,0001) 92 (83%) 103 (93%) 103 (93%) 92 (83%) 25 (23%) 2 (8%) 7,2 (2,1-24,6) 2,0 (0,6-6,9) 2,7 (0,7-10,5) 7,2 (2,1-24,6) 1,3 (0,7-2,5) 0,8 (0,1-6,3) 0,0009 0,40 0,24 0,0008 0,42 1,0† 56 (54%) 48 (47%) 0,6 (0,4-1,1) 0,6 (0,3-1,1) 0,13† 0,09† 14 (13%) 1,6 (0,8-3,4) 0,27† Analisi primarie e secondarie per ciascun braccio dello studio. I risultati sono mostrati come complessivi dello studio. Sono stati fatti vari livelli di assegnazione; l’esito primario era quello di livello 2b. I dati sono numeri (percentuale), odds ratio (IC 95%), valore di p calcolato mediante regressione logistica per effetto casuale, clusterizzata per sito (test c2 di Cochran-MantelHaenszel) per l’esito principale e test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel per l’esito secondario. L’analisi di regressione logistica per effetto fisso ha dato risultati simili. SDAC=commissione di assegnazione dello STRokE DOC. MM=monitor medico. BI=indice di Barthel. mRS=scala di Rankin modificata. *Totale analizzato nel gruppo della telemedicina=105; totale analizzato nel gruppo del telefono=103. †Valori di p calcolati con il test esatto di Fisher. ‡Un paziente non ha completato la consulenza video a causa di un problema tecnico e non è stato possibile assegnarlo. Tabella 4: Analisi complessive primarie e secondarie Telemedicina (n=31) Telefono (n=25) Sottogruppo trombolisi: decisione corretta Livello 1 (SDAC) 30 (97%) 20 (80%) Livello 2a (MM) 29 (94%) 19 (76%) Livello 2b (SDAC) 30 (97%) 19 (76%) Livello 3a (MM) 30 (97%) 21 (84%) Livello 3b (SDAC) 30 (97%) 21 (84%) Emorragia intracerebrale post-trombolisi 2 (7%) 2 (8%) Punteggio BI a 90 giorni (95-100)* 10 (33%) 12 (48%) Punteggio mRS a 90 giorni (dicotomizzato 0-1)* 9 (30%) 8 (32%) Mortalità per sottogruppo 12 (39%) 3 (12%) Mortalità corretta per NIHSS basale Odds ratio 13,7† 4,6 (0,9-25,0) 7,4 (1,0-53,2) 10,2† 10,2† 0,8 (0,1-6,3) 0,5 (0,2-1,6) 0,9 (0,3-2,9) 4,6 (1,1-19,0) 3,4 (0,6-19) p 0,11 0,10 0,05 0,12 0,26 1,0‡ 0,29‡ 1,0‡ 0,03‡ 0,17§ Analisi primarie e secondarie per ogni braccio dello studio. Sono mostrati i risultati per gruppo di trombolisi. Sono stati fatti vari livelli di assegnazione; l’esito primario era quello di livello 2b.I dati sono numeri (percentuale), odds ratio (IC 95%), valore di p calcolato con il test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel. MM=monitor medico. BI=indice di Barthel. mRS=scala di Rankin modificata. *Totale analizzato nel gruppo di telemedicina=30; totale analizzato nel gruppo della consulenza telefonica=25. ‡IC non incluso a causa della piccola dimensione del campione. ‡Valori di p calcolati con il test esatto di Fisher. §Valori di p calcolati con regressione logistica. Tabella 5: Analisi primarie e secondarie per i soli sottogruppi sottoposti a trombolisi gruppo della consulenza telefonica, anche se la differenza non era significativa (p=0,163). Il tempo dalla decisione alla trombolisi era di 5,6 minuti maggiore per il gruppo della consulenza telefonica (p=0,019). Le decisioni terapeutiche corrette sono state effettuate più spesso con la telemedicina che con la consulenza esclusivamente telefonica, come dimostrato dalla misura di esito clinico primario (assegnazione di livello 2b) nella Tabella 4 (OR 10,9, IC 95% 2,7-44,6; p=0,0009). I consulenti del centro coordinatore hanno anche assunto più spesso decisioni corrette con la telemedicina che con la consulenza telefonica, ma solo quando valutati al livello 1 (7,2, 2,1-24,6; p=0,0009). Non sono state osservate differenze tra i gruppi nella percentuale di pazienti che hanno raggiunto il BI (95-100) a 90 giorni, i punteggi mRS a 90 giorni (dicotomizzati 0-1) o il decesso (Tabella 4). 178 02 Lancet.indd 178 Nel sottogruppo sottoposto a trombolisi, la decisione terapeutica corretta è stata raggiunta più spesso nel gruppo della telemedicina (30 [97%] vs 19 [76%], 7,4, 1,03-53,2; p=0,047) che in quello della consulenza telefonica. Vi era una differenza nella mortalità non corretta (39% telemedicina vs 12% consulenza telefonica, 4,6, 1,1-19,0; senza correzione p=0,034); tuttavia, dopo correzione per il punteggio NIHSS sbilanciato al basale, la differenza non era più significativa (p=0,17). Non sono state osservate differenze nell’emorragia intracerebrale dopo trombolisi, nel tempo fra decisione e decesso, nella percentuale di decessi entro 2 giorni o nel decesso entro 7 giorni per lo studio complessivo o per il sottogruppo sottoposto a trombolisi (Tabella 5). Non vi era differenza tra i gruppi nel trattamento degli ictus lievi (punteggio mRS 0-1) con trombolitici (0% telemedicina vs 4% consulenza telefonica; p=0,45). Tutte le violazioni del protocollo al livello 2b sono riportate nella Tabella 6. Le più comuni violazioni, in 6 pazienti nel gruppo della consulenza telefonica trattati con trombolisi, includevano il trattamento più di 3 ore dopo l’esordio dei sintomi o il trattamento quando i pazienti stavano rapidamente migliorando o avevano sintomi lievi. Le 2 violazioni nei pazienti nel gruppo della telemedicina trattati con trombolitici erano il trattamento di un paziente che potrebbe essersi svegliato con vertigini e il trattamento di un paziente senza aver escluso una potenziale dissezione aortica. A 90 giorni, i 6 pazienti del gruppo della consulenza telefonica hanno raggiunto un punteggio medio di BI di 66, mentre i 2 pazienti del gruppo della telemedicina hanno raggiunto un punteggio medio di BI di 100. In 14 consulenze telefoniche, l’opinione del gruppo di assegnazione è stata che si sarebbe dovuto proporre la terapia trombolitica (Tabella 6). I motivi includevano sintomi lievi, meno di 3 ore dall’esordio, afasia isolata, lievi alterazioni alla TC, sintomi fluttuanti, miglioramento dei sintomi e insuccesso nel controllo della pressione arteriosa. A 90 giorni, 12 pazienti nel gruppo della consulenza telefonica hanno raggiunto un punteggio medio di BI di 89, 1 paziente è deceduto mentre per 2 pazienti l’esito non era noto. Le ragioni per una scelta appropriata di non trattare erano un deficit lieve (n=25), un TIA o un rapido miglioramento dei sintomi (n=21), un’emorragia alla TC iniziale (n=19), un quadro clinico che simulava un ictus (n=13), crisi epilettiche all’esordio (n=3), una rilevante ipodensità alla TC (n=2) e un aumento dell’International Normalized Ratio (n=2). L’analisi combinata delle caratteristiche demografiche della NIHSS ha mostrato una differenza nella percentuale di elementi non completati nelle cartelle cliniche (3% telemedicina vs 12% telefono; OR 0,2, IC 95%, 0,1-0,3; p <0,0001). Vi era una differenza nella quantità dei dati mancanti per cinque fattori di rischio che potrebbero influenzare l’esito del paziente: coronaropatia (3% telemedicina vs 10% telefono; p=0,05), iperlipidemia (7% vs The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:18 Articoli 23%; p=0,002), storia familiare di ictus o TIA (18% vs 39%; p=0,0001), uso di alcool (9% vs 34%; p <0,0001) e di tabacco (9% vs 31%; p <0,0001). Per la NIHSS, vi erano differenze nei dati non completati per le domande sulla perdita di coscienza (1% telemedicina vs 10% telefono; p=0,005), mancata risposta agli ordini (1% vs 8%; p=0,019), sguardo (1% vs 16%; p <0,0001), campi visivi (1% vs 35%; p <0,0001), faccia (1% vs 8%; p=0,019), arto inferiore sinistro (1% vs 7%; p=0,035), atassia (1% vs 35; p <0,0001), sensibilità (1% vs 15%; p <0,0001), disartria (1% vs. 9%; p=0,010) e neglect (1% vs 40%; p <0,0001). Le valutazioni indipendenti dal sito sono stati fatte in 110 (99%) consulenze di telemedicina. Di queste, 15 (14%) hanno utilizzato la tecnologia wireless – 802.11 (14) ed EVolution, Data-Optimized (EV-DO) broadband wireless (1) – e 99 (87%) la rete locale (local area network, LAN) con accesso a internet. Le consulenze sono state eseguite in modo uniforme tra i siti, i medici dei dipartimenti di emergenza dei centri satelliti e i consulenti. 31 (14%) consulenze sono state eseguite al sito uno, 121 (55%) al sito due, 19 (9%) al sito tre e 51 (23%) al sito quattro. 48 medici dei dipartimenti di emergenza dei centri satelliti hanno richiesto le consulenze: 18 (38%) medici hanno avviato una sola consulenza, mentre 34 (71%) hanno avviato tra una e cinque consulenze. Solo cinque medici (10%) hanno avviato più di dieci consulenze e solo un medico (2%) ha avviato più di 12 consulenze. Gruppo Trombolisi Motivo del disaccordo 1 Telefono N 2 Telefono N 3 Telefono N 4 Telefono S 5 Telefono N 6 Telefono N 7 Telefono N 8 Telefono N 9 Telefono S 10 Telefono N 11 Telefono S 12 Telefono N 13 Telefono S 14 Telefono N 15 Telefono N 16 Telefono N 17 Telefono N 18 Telefono S 19 Telemedicina S 20 Telemedicina S 21 Telefono S 22 Telefono N Il consulente uno del centro coordinatore ha eseguito 93 (42%) consulenze, il consulente due 67 (30%) e il consulente tre 62 (28%). In 12 (19%) teleconsulenze sono state rilevate problematiche tecniche. Solo una di esse (1%) non è stata risolvibile a causa di un guasto tecnico, ma questo caso è stato incluso nell’analisi intention-to-treat. Delle altre 11 osservazioni, 6 erano relative a problemi con l’interfaccia radiologica, 3 a difficoltà audio, 1 al mancato controllo della fotocamera e 1 al ritardo nell’ottenere il consenso via fax. Non vi erano differenze nella diagnosi. Solo 17 (8%) pazienti sono stati dimessi dal dipartimento di emergenza con una diagnosi differente da ictus o TIA. Benché i pazienti potessero essere esclusi per varie ragioni, le più comuni cause di esclusione dalla trombolisi erano più di 3 ore dall’insorgenza (43% telefono vs 60% telemedicina; senza correzione p=0,03), sintomi lievi o in risoluzione (52% telefono vs 34% telemedicina; senza correzione p=0,02), deficit non misurabile (42% telefono vs 33% telemedicina; p=0,26) ed esordio non noto (28% telefono vs 23% telemedicina; p=0,48). Discussione I risultati di questo studio prospettico, in cieco, randomizzato, dimostrano che la telemedicina è efficace per l’assunzione di decisioni mediche in condizioni acute. La telemedicina dell’ictus è ampiamente utilizzata e discussa,8,14,18,20-23 ma nonostante la sua diffusione la sua efficacia non era mai stata precedentemente dimostrata. I nostri ICH Lo si sarebbe dovuto trattare, lieve ipostenia a un arto e NIHSS=3 N Il paziente non si è svegliato con un deficit, ma lo ha notato in bagno; N probabilmente nella finestra di 3 ore, lo si sarebbe dovuto trattare Lo si sarebbe dovuto trattare, lieve deficit N Decisione troppo affrettata; pressione arteriosa >185 mmHg e avrebbe dovuto N essere rivalutato perché era ancora entro la finestra di 3 ore Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi predominanti N Non TIA; si sarebbe dovuta trattare l’afasia N Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi lievi N Lo si sarebbe dovuto trattare con ipodensità precoce (probabilmente solo N alterazioni ischemiche precoci) Non lo si sarebbe dovuto trattare; probabilmente >3 ore N Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia (il paziente era un insegnante) N Ferita aperta; si sarebbe dovuta attendere la misurazione della glicemia N Sintomi fluttuanti; si sarebbe dovuto attendere di più N Non lo si sarebbe dovuto trattare; >3 ore N Non TC; lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi lievi N Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi in miglioramento N Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia e ipostenia N Nessun tentativo di abbassare la pressione arteriosa e il paziente aveva deficit misurabili N Lievi deficit sensoriali isolati; non lo si sarebbe dovuto trattare N Possibilità di dissezione aortica non completamente esclusa N Tempo di esordio discutibile per un ictus della circolazione posteriore (paziente N svegliatosi con vertigini) Non lo si sarebbe dovuto trattare a causa del criterio di esclusione della pressione N arteriosa Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia, disartria e perdita della sensibilità N Esiti a 90 giorni BI=100, mRS=0 Decesso BI=100, mRS=0 BI=75, mRS=4 BI=100, mRS=0 BI=85, mRS=3 Consenso ritirato BI=80, mRS=3 BI=100, mRS=0 BI=100, mRS=0 BI=10, mRS=5 Perso al follow-up BI=100, mRS=2 BI=100, mRS=0 BI=100, mRS=1 BI=100, mRS=1 BI=100, mRS=0 BI=55, l’mRS=4 BI=100, mRS=0 BI=100, mRS=2 BI=75, mRS=4 BI=100, mRS=1 Motivi dei disaccordi di assegnazione a livello primario di assegnazione (livello 2b), che comprende il numero di disaccordo a tale livello. S=sì. N=no. NIHSS=punteggio della National Institutes of Health Stroke Scale. ICH=emorragia intracerebrale. BI=indice di Barthel. mRS=punteggio della scala di Rankin modificata. Tabella 6: Disaccordi di assegnazione The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 179 179 10-12-2008 20:11:18 Articoli risultati sostengono l’uso della telemedicina nell’assunzione di decisioni urgenti relative al trattamento, come l’uso della terapia trombolitica nell’ictus acuto. Gli attuali tassi di uso della terapia trombolitica sono bassi e potrebbero essere aumentati;1,24,25 i nostri dati mostrano che ciò si potrebbe conseguire con una maggiore disponibilità di specialisti dell’ictus. L’assistenza telefonica aumenta i trattamenti,13 ma, come abbiamo dimostrato, la telemedicina è preferibile perché migliora il numero di decisioni corrette. I medici dei dipartimenti di emergenza che esitano a eseguire il trattamento trombolitico, nonostante desiderino farlo e siano in grado di identificare i pazienti che possono trarne beneficio, potrebbero sentirsi più a proprio agio con il supporto della telemedicina.26-28 Nonostante l’elevato numero di decisioni corrette prese in questo studio, gli esiti funzionali a 3 mesi (definiti come percentuale di pazienti con punteggio del BI di 95-100 o punteggio dicotomizzato mRS [0-1]) non sono risultati diversi tra i gruppi. L’elevato tasso di trattamento con trombolitici nel gruppo della consulenza telefonica potrebbe essere stato la ragione di tale assenza di differenza; ulteriori analisi dimostreranno se eventuali differenze nella fase di assistenza dopo l’ictus hanno influenzato i risultati. Sebbene questo studio non avesse la potenza per dimostrare il miglioramento degli esiti funzionali, anche la mancata dimostrazione di un vantaggio funzionale per la telemedicina potrebbe essere stata determinata dalla ridotta dimensione del campione (lo studio è stato interrotto precocemente) e dai più gravi deficit al basale nel gruppo assegnato alla telemedicina. Nel gruppo della telemedicina ci potrebbe essere stato un aumento della capacità di completare la NIHSS, in particolare per i reperti più lievi, che ha portato a una differenza nei punteggi NIHSS al basale non corretti tra i due gruppi. L’incompleta acquisizione dei dati potrebbe aver contribuito al minore punteggio NIHSS nel gruppo sottoposto a consulenza telefonica. Il consulente era certificato per la NIHSS e ha diretto l’esame NIHSS in entrambi i gruppi; tuttavia, ha parlato con medici che potrebbero non essere stati certificati per la NIHSS. Queste caratteristiche sostengono l’uso della telemedicina per ottenere un punteggio NIHSS più accurato, ma hanno reso più difficili i confronti diretti dei punteggi NIHSS nello studio. Per correggere in modo più rigoroso per gli squilibri della gravità al basale, abbiamo adattato la NIHSS escludendo dal punteggio NIHSS totale di entrambi i gruppi le tre voci che erano più spesso incomplete. Dopo aver corretto per le voci mancanti, il gruppo della telemedicina aveva ancora un punteggio totale più elevato rispetto al gruppo della consulenza telefonica. In base al punteggio NIHSS, il gruppo della telemedicina aveva ictus più gravi. Un risultato simile è stato osservato per il punteggio mRS (0-1); ciò conferma ulteriormente la maggiore gravità dell’ictus nel gruppo della telemedicina. Lo STRokE DOC è stato disegnato per confrontare due tecniche di consulenza, non per valutare l’efficacia dei trombolitici. Il sottogruppo della telemedicina sottoposto 180 02 Lancet.indd 180 a trombolisi aveva un elevato punteggio NIHSS al basale (media=16) e un’elevata percentuale di partecipanti con coronaropatia (26%), diabete (32%) e ipertensione (32%), che avrebbe potuto influenzare l’esito dei pazienti. La mortalità a 90 giorni nel sottogruppo della telemedicina sottoposto a trombolisi era superiore a quella di altri lavori sull’uso della telemedicina su larga scala, che avevano mostrato miglior esito funzionale e minore mortalità.15,16 A causa del ridotto numero di pazienti sottoposti a terapia trombolitica nel gruppo della telemedicina, i risultati delle analisi di mortalità del sottogruppo non corretti dovrebbero essere considerati con cautela e potrebbero essere dovuti al caso. Dopo correzione per lo sbilanciamento nel punteggio NIHSS basale, la differenza di mortalità nel sottogruppo sottoposto a trombolisi non è risultata significativa. Il risultato non era più significativo anche dopo correzione per i confronti multipli. Siamo stati rassicurati dal fatto che non vi era differenza nei tassi di emorragia intracerebrale o di decesso precoce dopo terapia trombolitica, e che gli esiti funzionali a 90 giorni non erano diversi per il BI (95-100) o l’mRS. Il risultato per il sottogruppo non corretto è in contraddizione con quello di altri studi clinici: la mortalità non corretta dei pazienti nel sottogruppo della consulenza telefonica trattati con trombolitici è stata inferiore a quella per i pazienti trattati con trombolitici nello studio NINDS,3 e la mortalità non corretta nei pazienti nel sottogruppo della telemedicina trattati con trombolitici è stata superiore a quella riportata nei recenti ampi studi sulla telemedicina,15,16 che hanno dimostrato una mortalità inferiore dopo terapia trombolitica guidata dalla telemedicina. Non si dovrebbero fare confronti diretti tra studi con diverse popolazioni di pazienti o diversi protocolli di assistenza dopo l’ictus. Invece, studi più grandi con un maggior numero di pazienti trattati con trombolitici dopo consulenze di telemedicina potrebbero misurare in modo più appropriato la mortalità a lungo termine dei pazienti con ictus valutati mediante telemedicina. Anche se non abbiamo specificamente valutato la sicurezza dopo la trombolisi, sono stati analizzati i tassi di emorragia intracerebrale post-trombolisi perché possono essere la conseguenza di un’inadeguata gestione post-trombolitica e rappresentano il principale motivo di preoccupazione. Il tasso di emorragia intracerebrale (7-8%) era simile in entrambi i bracci dello studio ed era compatibile con i tassi riportati negli studi precedenti;3,29 ciò fa pensare che il trattamento post-trombolisi sia stato adeguato ed equilibrato. Poiché i dati del gruppo della consulenza telefonica erano meno completi, non abbiamo corretto per i più gravi fattori di rischio né per il maggior numero di reperti riscontrati alla TC nel gruppo della telemedicina. I referti TC nel gruppo della consulenza telefonica erano basati sull’iniziale interpretazione fornita dal radiologo locale al dipartimento di emergenza. Nel braccio della consulenza telefonica, nessuna immagine è stata vista The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:19 Articoli da un consulente; è possibile che eventuali anomalie lievi successivamente riportate nel referto finale del radiologo siano state omesse dal referto locale. La differenza nel numero di TC normali potrebbe anche essere dovuta alla più dettagliata lettura iniziale da parte del neurologo vascolare nel gruppo della telemedicina. Pertanto, non abbiamo corretto per il maggior numero di reperti riportati alla TC nel gruppo della telemedicina perché potrebbero essere degli artefatti. È in corso una revisione completa centralizzata di tutte le immagini. Non siamo intervenuti nel programma post-trombolisi o post-assistenza dei centri satelliti dello studio, ma abbiamo valutato solo una singola variabile della consulenza tecnica. I ricercatori di altri studi stanno valutando la combinazione di telemedicina e Stroke Unit.30 Una percentuale più elevata di pazienti del gruppo della consulenza telefonica trattati con trombolitici è stata trasferita al centro di coordinamento (18 su 31 nel gruppo della telemedicina e 19 su 25 nel gruppo della consulenza telefonica, OR 0,44, IC 95% 0,11-1,59; p=0,26). Anche se non statisticamente significativi, questi dati indicano la necessità di ulteriori studi. La durata della consulenza è stata stimata considerando gli intervalli di tempo registrati, indicando il momento di inizio della consulenza come tempo del consenso. Nel braccio della consulenza telefonica i tempi per arrivare all’esame neurologico sembrano essere più brevi perché l’esame effettuato dal medico del dipartimento di emergenza è stato talora riferito al momento della discussione telefonica, mentre nel braccio della telemedicina il consulente ha completato personalmente l’anamnesi prima di eseguire l’esame obiettivo. Ottenere il consenso richiede una discussione e questo elemento era essenziale in questo studio.31 Dopo aver ottenuto il consenso, la consulenza mediante telemedicina è stata più lunga (10 minuti) rispetto alla consulenza telefonica, poiché il medico della telemedicina ha raccolto l’anamnesi, eseguito l’esame obiettivo e rivisto le immagini. Il miglioramento del processo decisionale con la telemedicina potrebbe giustificare questa differenza temporale, anche se sono necessari studi a lungo termine di esito dei pazienti. La favorevole quantità di tempo necessaria per la consulenza di telemedicina (32 minuti) è probabilmente inferiore a quella della consulenza al letto del malato, con il vantaggio di eliminare il tempo necessario per gli spostamenti dei pazienti e dei medici. I nostri risultati sottolineano l’esigenza di efficienti politiche relative ai codici per l’ictus e di rapide strategie di trattamento. I tempi dei codici per l’ictus non sono risultati in genere diversi tra i gruppi. Se il consulente fosse stato contattato immediatamente, senza la necessità di ottenere un consenso, questi tempi sarebbero stati più simili a quelli delle linee guida degli USA.32 Il più breve tempo decisionale per il trattamento trombolitico (6 minuti in meno per la telemedicina) indica che la telemedicina potrebbe contribuire a ridurre quantitativamente la perdita neuronale.33 Questa riduzione di tempo potrebbe essere The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 181 derivata dalla costante presenza e dall’incoraggiamento del medico della telemedicina durante questo periodo. La telemedicina migliora la capacità dei consulenti di ottenere informazioni prima di assumere le decisioni terapeutiche. La completezza dei dati relativi ai principali fattori di rischio e alle voci della NIHSS è stata maggiore nel gruppo della telemedicina che nel gruppo della consulenza telefonica. Pur in presenza di un incoraggiamento del medico del centro satellite a tornare al letto del malato per rivalutare l’anamnesi e alcuni elementi dell’esame neurologico, la NIHSS era rimasta spesso incompleta. Le voci della NIHSS che avevano più del 15% di dati mancanti nel gruppo della consulenza telefonica sono anche le voci di cui in precedenza era stata documentata la scarsa affidabilità interosservatori (funzione visiva, campo visivo, atassia, disturbi sensoriali e neglect).10,34,35 Non è noto quanto la raccolta di dati incompleti influenzi direttamente il processo decisionale, anche se potrebbe portare a errori. Nonostante la complessità del sistema della telemedicina, i problemi tecnici non hanno influenzato il successo del completamento dello studio. L’affidabilità dell’indipendenza del sito e della qualità della tecnologia dei servizi18 è dimostrata dal fatto che solo una consulenza non è stata possibile a causa di un guasto tecnico. Occorre considerate i limiti dello studio. Non è stato possibile misurare l’aumento dell’uso dei trombolitici perché non abbiamo raccolto dati relativi al periodo precedente lo studio. Tuttavia, durante l’anno che ha preceduto l’inizio dello studio, solo in una struttura era presente un neurologo nel dipartimento di emergenza e il trattamento con trombolitici era raro. Un altro limite è che i codici dell’ictus potrebbero non essere stati attivati per tutti i pazienti con ictus che si sono presentati ai centri di riferimento; pertanto, il vero denominatore non è noto. Abbiamo confrontato il braccio della telemedicina con un braccio esclusivamente basato sulla consulenza telefonica perché molti medici dei dipartimenti di emergenza tentano una discussione telefonica con gli specialisti quando non è disponibile il consulente neurologo. Il confronto della telemedicina con l’assenza di consulenza non sarebbe stato possibile ed è potenzialmente non etico. Il disegno scelto, tuttavia, ha sottostimato il vero beneficio della telemedicina perché non era confrontata con placebo. Analogamente, il braccio della consulenza telefonica non replica veramente una telefonata standard informale perché i nostri consulenti sono stati meticolosi nel determinare il tempo di esordio (ad es., hanno interpellato i testimoni), compilando schede dettagliate e inserendo le raccomandazioni nella cartella clinica. È possibile che queste caratteristiche, che sono insite in uno studio clinico ma rare nella pratica clinica, abbiano portato a consulenze più complete e a un minor numero di disaccordi telefonici. L’uso del telefono nel mondo reale avrebbe potuto essere meno efficace che nel nostro braccio della consulenza telefonica. Abbiamo messo in atto procedure per ridurre la possibilità di perdita della cecità da parte del comitato di asse181 10-12-2008 20:11:19 Articoli gnazione. Queste regole hanno limitato il voto quando si temeva che qualche membro dello SDAC avesse dedotto la randomizzazione. Il consulente era il solo membro dello SDAC che sapeva in quale braccio della randomizzazione fosse stato incluso un paziente ed è stato fatto uscire dalla stanza durante il voto al fine di ridurre al minimo il rischio di perdita della cecità. I dati erano bloccati, e i membri del gruppo sono rimasti in condizione di cecità fino al completamento di tutte le assegnazioni. Anche la possibilità di vedere personalmente le immagini TC potrebbe in parte spiegare il miglioramento del processo decisionale: riteniamo che la teleradiologia sia una parte integrante della telemedicina e pertanto non abbiamo separato le due componenti. Abbiamo scelto un disegno intraospedaliero randomizzato per limitare gli effetti di apprendimento o Hawthorne a un solo braccio dello studio o a una sola struttura, che potrebbero non essere stati adeguatamente appaiati fra di loro. Questo studio ha analizzato una variabile, l’aggiunta della telemedicina alla valutazione dell’ictus, senza modificare alcun protocollo assistenziale, per evitare che si potesse ipotizzare che eventuali vantaggi fossero dovuti al miglioramento dell’assistenza. 48 medici dei dipartimenti di emergenza dei centri satelliti hanno attivato le consulenze a partire da quattro diversi centri, e la maggior parte dei medici è stata coinvolta solo in 1-5 consulenze. I numerosi siti e il limitato coinvolgimento di un medico di un singolo dipartimento di emergenza hanno ridotto al minimo qualsiasi effetto sostanziale di apprendimento. In sintesi, lo studio STRokE DOC ha stabilito il beneficio della telemedicina rispetto alla consulenza telefonica, in particolare per il processo decisionale medico in condizioni di acuzie. Poiché i trombolitici riducono la disabilità correlata all’ictus quando somministrati correttamente,3,33,36 aumentarne l’uso in modo rapido e appropriato si tradurrà in un beneficio per la salute pubblica. La telemedicina è una soluzione valida che si può ora aggiungere alle opzioni terapeutiche dell’ictus, poiché consente a un numero maggiore di medici di trattare l’ictus rapidamente e in modo efficace, indipendentemente dal luogo in cui operano. Tuttavia, è ancora necessario replicare questi risultati ed eseguire studi a lungo termine sull’esito dei pazienti. Contributi BCM e PDL hanno ideato e progettato lo studio, partecipato all’acquisizione, all’analisi e all’interpretazione dei dati, all’elaborazione e alla revisione del manoscritto, fornito sostegno amministrativo, tecnico e materiale e hanno eseguito la supervisione dello studio. PDL ha ottenuto il finanziamento. RR ha partecipato alla progettazione dello studio, all’analisi e all’interpretazione dei dati, alla revisione del manoscritto e all’analisi statistica. TH ha partecipato all’acquisizione, all’analisi e all’interpretazione dei dati e alla revisione del manoscritto. RO ha partecipato all’acquisizione dei dati e alla revisione del manoscritto e ha eseguito la supervisione dello studio. JAZ ha ideato e progettato lo studio, partecipato all’analisi e all’interpretazione dei dati, rivisto il manoscritto, fornito sostegno amministrativo, tecnico e materiale e ha eseguito la supervisione dello studio. RR ha partecipato alla revisione del manoscritto e fornito sostegno amministrativo, tecnico e materiale. RGT ha partecipato all’analisi e all’interpretazione dei dati, alla revisione del manoscritto, all’analisi statistica e alla supervisione 182 02 Lancet.indd 182 dello studio. Tutti gli autori hanno visionato e approvato la versione definitiva del manoscritto. Conflitti di interesse Non abbiamo conflitti di interesse. Ringraziamenti Questo lavoro è stato sostenuto dal National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) (P50NS044148), dal California Institute of TelecommunicationsTechnology (Cal(IT)2), e dal Department of Veterans’ Affairs Research Division. La strumentazione per la telemedicina (AccessVideoTM) è stata fornita da BF Technologies. Ringraziamo le strutture partecipanti (Pioneers Memorial Hospital, El Centro Regional Medical Center, Palomar Medical Center e Twin Cities Memorial Hospital) e i centri di ricerca che hanno collaborato: Mayo-Scottsdale (strutture partecipanti Yuma Regional Medical Center e Kingman Regional Medical Center) e Columbia University (strutture partecipanti Pallisades Hospital e New Milford Hospital). Vogliamo ringraziare i medici dei centri satelliti (Michael Berger, George Rodriguez, George Lum e Jaime Rivas) e quelli del centro coordinatore (Bart Demaerschalk e Chong Ji). Vorremmo anche ringraziare per la sostanziale assistenza fornita Lama Al-Khoury, John Beer, Aitziber Aleu Bonaut, Marcus Chacón, Yu Cheng, Jim Dunford, Karin Ernstrom, Chris Fanale, Ron Fellman, Kama Guluma, Greg Haase, Thilo Hoelscher, Christy Jackson, Matt Jensen, Julie Jurf, Scott Olson, Justin Sattin, MaryAnn F Stewart e Janet D Werner. Bibliografia 1 Reeves MJ, Arora S, Broderick JP, et al. Acute stroke care in the USA: results from four pilot prototypes of the Paul Coverdell National Acute Stroke Registry. Stroke 2005; 36: 1232–40. 2 Hacke W, Donnan G, Fieschi C, et al. Association of outcome with early stroke treatment: pooled analysis of ATLANTIS, ECASS, and NINDS rt-PA stroke trials. Lancet 2004; 363: 768–74. 3 The NINDS rt-PA stroke study group. Tissue plasminogen activator for acute ischemic stroke. N Engl J Med 1995; 333: 1581–87. 4 Katzan IL, Furlan AJ, Lloyd LE, et al. Use of tissue-type plasminogen activator for acute ischemic stroke: the Cleveland area experience. JAMA 2000; 283: 1151–58. 5 Sable CA, Cummings SD, Pearson GD, et al. Impact of telemedicine on the practice of pediatric cardiology in community hospitals. Pediatrics 2002; 109: 1–7. 6 Rogers FB, Ricci MR, Caputo M, et al. The use of telemedicine for real-time video consultation between trauma center and community hospital in a rural setting improves early trauma care: preliminary results. J Trauma 2001; 51: 1037–41. 7 Wong HT, Poon WS, Jacobs P, et al. The comparative impact of video consultation on emergency neurosurgical referrals. Neurosurgery 2006; 59: 607–61. 8 Levine SRM. “Telestroke”: the application of telemedicine for stroke. Stroke 1999; 30: 464–69. 9 Wang S, Lee SB, Pardue C, et al. Remote evaluation of acute ischemic stroke: reliability of national institutes of health stroke scale via telestroke. Stroke 2003; 34: 188e–91e. 10 Meyer BC, Lyden PD, Al-Khoury L, et al. Prospective reliability of the STRokE DOC wireless/site independent telemedicine system. Neurology 2005; 64: 1058–60. 11 Shafqat S, Kvedar JC, Guanci MM, Chang Y, Schwamm LH. Role for telemedicine in acute stroke. Feasibility and reliability of remote administration of the NIH stroke scale. Stroke 1999; 30: 2141–45. 12 Handschu R, Littmann R, Reulbach U, et al. Telemedicine in emergency evaluation of acute stroke: interrater agreement in remote video examination with a novel multimedia system. Stroke 2003; 34: 2842–46. 13 Frey JL, Jahnke HK, Goslar PW, Partovi S, Flaster MS. tPA by telephone: extending the benefits of a comprehensive stroke center. Neurology 2005; 64: 154–56. 14 LaMonte MP, Bahouth MN, Hu P, et al. Telemedicine for acute stroke: triumphs and pitfalls. Stroke 2003; 34: 725–28. 15 Schwab S, Vatankhah B, Kukla C, et al. Long-term outcome after thrombolysis in telemedical stroke care. Neurology 2007; 69: 898– 903. 16 Audebert HJ, Kukla C, Vatankhah B, et al. Comparison of tissue plasminogen activator administration management between The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:11:19 Articoli 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 telestroke network hospitals and academic stroke centers: the Telemedical Pilot Project for Integrative Stroke Care in Bavaria/ Germany. Stroke 2006; 37: 1822–27. Roine R, Ohinmaa A, Hailey D. Assessing telemedicine: a systematic review of the literature. CMAJ 2001; 165: 765–71. Meyer BC, Raman R, Rao R, et al. The stroke team remote evaluation using a digital observation camera (stroke doc) telemedicine clinical trial technique: video clip, drip and/ or ship. Int J Stroke 2007; 2: 281–87. Stiratelli R, Laird N, Ware JH. Random-effects models for serial observations with binary response. Biometrics 1984; 40: 961–71. Hess DC, Wang S, Gross H, Nichols FT, Hall CE, Adams RJ. Telestroke: extending stroke expertise into underserved areas. Lancet Neurol 2006; 5: 275–78. Schwamm LH, Rosenthal ES, Hirshberg A, et al. Virtual telestroke support for the emergency department evaluation of acute stroke. Acad Emerg Med 2004; 11: 1193–97. Audebert HJ, Schenkel J, Heuschmann PU, Bogdahn U, Haberl RL. Effects of the implementation of a telemedical stroke network: the Telemedic Pilot Project for Integrative Stroke Care (TEMPiS) in Bavaria, Germany. Lancet Neurol 2006; 5: 742–48. Wiborg A, Widder B. Teleneurology to improve stroke care in rural areas: the Telemedicine in Stroke in Swabia (TESS) Project. Stroke 2003 ; 34: 2951–56. Alberts MJ, Latchaw RE, Selman WR, et al. Recommendations for comprehensive stroke centers: a consensus statement from the Brain Attack Coalition. Stroke 2005; 36: 1597–616. California Acute Stroke Pilot Registry (CASPR) Investigators. Prioritizing interventions to improve rates of thrombolysis for ischemic stroke. Neurology 2005; 64: 654–59. Brown DL, Barsan WG, Lisabeth LD, Gallery ME, Morgenstern LB. Survey of emergency physicians about recombinant tissue plasminogen activator for acute ischemic stroke. Ann Emerg Med 2005; 46: 56–60. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 183 27 Mecozzi AC, Brown DL, Lisabeth LD, et al. Determining intravenous rt-PA eligibility in the emergency department. Neurocrit Care 2007; 7: 103–08. 28 American College of Emergency Physicians. Policy statement: use of intravenous tPA for the management of acute stroke in the emergency department. Ann Emerg Med 2002; 40: 551. 29 Katzan I, Hammer M, Furlan A. Quality improvement and tissuetype plasminogen activator for acute ischemic stroke. A Cleveland update. Stroke 2003; 34: 799. 30 Audebert HJ, Wimmer ML, Hahn R, et al. Can telemedicine contribute to fulfill WHO Helsingborg declaration of specialized stroke care? Cerebrovasc Dis 2005; 20: 362–69. 31 Dreezen I. Telemedicine and informed consent. Med Law 2004; 23: 541–49. 32 Adams HP Jr, del Zoppo G, Alberts MJ, et al. Guidelines for the early management of adults with ischemic stroke: a guideline from the American Heart Association/American Stroke Association Stroke Council, Clinical Cardiology Council, Cardiovascular Radiology and Intervention Council, and the Atherosclerotic Peripheral Vascular Disease and Quality of Care Outcomes in Research Interdisciplinary Working Groups: the American Academy of Neurology affirms the value of this guideline as an educational tool for neurologists. Circulation 2007; 115: e478–e534. 33 Saver JL. Time is brain—quantified. Stroke 2006; 37: 263–66. 34 Lyden PD, Lu M, Levine S, Brott TG, Broderick J. A modified National Institutes of Health Stroke scale for use in stroke clinical trials. preliminary reliability and validity. Stroke 2001; 32: 1310–17. 35 Meyer BC, Hemmen TM, Jackson C, Lyden PD. Modified National Institutes of Health Stroke Scale for use in stroke clinical trials. Stroke 2002; 33: 1261–66. 36 Saver JL. Hemorrhage after thrombolytic therapy for stroke: the clinically relevant number needed to harm. Stroke 2007; 38: 2279– 83. 183 10-12-2008 20:11:20 Rassegne RM nella sclerosi multipla: stato attuale e prospettive future Rohit Bakshi, Alan J Thompson, Maria A Rocca, Daniel Pelletier, Vincent Dousset, Frederik Barkhof, Matilde Inglese, Charles R G Guttmann, Mark A Horsfield, Massimo Filippi Lancet Neurol 2008; 7: 615-25 Center for Neurological Imaging, Partners Multiple Sclerosis Center, Departments of Neurology and Radiology, Brigham and Women’s Hospital, Harvard Medical School, Boston, MA, USA (R Bakshi MD, C R G Guttmann MD); Department of Brain Repair and Rehabilitation, NMR Unit, Institute of Neurology, University College London, London, UK (A J Thompson MD); Unità di Neuroimmagini, Istituto Scientifico e Università Ospedale San Raffaele, Milano (M A Rocca MD, M Filippi MD); Department of Neurology, University of California San Francisco, San Francisco, CA, USA (D Pelletier MD); Laboratory of the Neurobiology of Myelin Diseases, Victor Segalen University, Bordeaux, France (V Dousset MD); Department of Radiology, VU University Medical Centre, Amsterdam, Netherlands (F Barkhof MD); Department of Radiology, New York University School of Medicine, New York, NY, USA (M Inglese MD); and Department of Cardiovascular Sciences, University of Leicester, Leicester, UK (M A Horsfield PhD) Corrispondenza: Massimo Filippi, Unità di Neuroimmagini, Dipartimento di Neurologia, Istituto Scientifico e Univeristà Ospedale San Raffaele, via Olgettina 60, 20132, Milano [email protected] Sono recentemente emersi, o sono in fase di sviluppo o di perfezionamento, molti promettenti approcci di RM per la ricerca o la gestione clinica della sclerosi multipla (SM). È necessario valutare i metodi avanzati di RM per determinare se consentano una diagnosi più precoce o una migliore identificazione dei fenotipi. Il miglioramento della fase di postelaborazione dovrebbe permettere un’estrazione più efficiente e completa di informazioni dalle immagini. La sensibilità e la specificità della spettroscopia con risonanza magnetica dovrebbero migliorare con l’uso di campi più elevati e permettere di individuare una più ampia gamma di metaboliti. Le immagini in diffusione si stanno avvicinando all’obiettivo di definire la connettività strutturale e, di conseguenza, di determinare il significato funzionale delle lesioni in sedi specifiche. Sembra ora possibile eseguire studi di immagine cellula-specifici con i nuovi mezzi di contrasto della RM. Le immagini della frazione d’acqua della mielina prospettano la speranza di fornire una misura specifica del contenuto di mielina. La RM a campi molto alti ha una maggiore sensibilità, ma comporta anche nuove sfide tecniche. In questo articolo, esaminiamo i recenti sviluppi della risonanza magnetica per la SM e analizziamo anche i perfezionamenti delle immagini del midollo spinale e del nervo ottico, della perfusione con RM e della RM funzionale. I progressi nella RM dovrebbero migliorare la nostra capacità di diagnosticare, monitorare e conoscere la fisiopatologia della SM. Introduzione La RM sta svolgendo un ruolo sempre più rilevante nella ricerca scientifica e nella gestione clinica della sclerosi multipla (SM). Tuttavia, sono emersi numerosi limiti, come la bassa sensibilità della RM convenzionale per il coinvolgimento della sostanza grigia e per i danni diffusi della sostanza bianca. Inoltre, la RM convenzionale è solo parzialmente correlata alle condizioni cliniche. Poiché si stanno sviluppando nuovi usi per la RM convenzionale e continuano a comparire nuove metodiche di RM non convenzionale, stiamo acquisendo informazioni sulle varie alterazioni tissutali presenti nei pazienti con SM. Tuttavia, è necessario rifinire le tecniche e validare clinicamente gli strumenti disponibili per poterli applicare più correttamente. Il nostro obiettivo è di riesaminare i più promettenti approcci della RM nella SM recentemente emersi o attualmente in fase di sviluppo. Spiegheremo come queste nuove tecniche colmeranno i vuoti nell’attuale conoscenza della SM e miglioreranno la capacità di diagnosticare, monitorare e definire la fisiopatologia della malattia. Gli argomenti discussi includeranno la diagnosi e la classificazione dei pazienti, i nuovi usi dei dati ottenuti con la RM convenzionale, la spettroscopia del protone con risonanza magnetica (1HMRS), le immagini con trasferimento di magnetizzazione, le immagini in diffusione, la risonanza magnetica funzionale, le immagini del nervo ottico, le immagini del midollo spinale, le immagini della frazione d’acqua della mielina (MWF, myelin water fraction), la perfusione con RM e la RM con intensità di campo superiori a 1,5 T. Le sezioni inizieranno con un breve riassunto dello stato attuale, seguito da una discussione dei bisogni insoddisfatti e delle nuove tecniche o approcci per fare fronte a tali esigenze. Stato attuale e futuro prossimo Diagnosi e classificazione Negli ultimi anni è stato pubblicato un numero senza precedenti di articoli che hanno affrontato i criteri diagnostici 184 03 Rassegne okok.indd 184 della SM, soprattutto a seguito del crescente uso della RM, portando ad accettare che la RM può fornire indicazioni sulla diffusione sia spaziale sia temporale,1 oltre al suo ruolo stabilito di escludere le condizioni clinicamente simili alla SM.2 Con l’avvento della RM, i ricercatori hanno prudentemente garantito che i criteri diagnostici avessero un’elevata specificità, spesso a scapito della sensibilità.3 Il cambiamento fondamentale in questi ultimi anni è stato diretto alla semplificazione dei criteri diagnostici, per renderli più facili da usare aumentandone la sensibilità e mantenendone la specificità.4,5 Pertanto, i criteri di McDonald modificati del 20051 hanno un approccio più semplice relativamente alla diffusione temporale e, più recentemente, è stata proposta un’ulteriore semplificazione in termini di diffusione temporale e spaziale.6,7 Questi criteri più recenti si sono dimostrati lievemente più sensibili rispetto ai criteri originali di McDonald del 20013 e a quelli rivisti del 2005,1 pur mantenendo un’elevata specificità.6,7 In particolare potrebbero consentire una diagnosi affidabile di SM durante l’anno successivo all’esordio di una tipica sindrome clinicamente isolata suggestiva di SM. Il principale vantaggio dei nuovi criteri è che non richiedono l’uso di mezzi di contrasto, con un conseguente risparmio di tempo e costi.6 Lo svantaggio è la lieve perdita di informazioni per la diagnosi differenziale; di conseguenza, i nuovi criteri devono essere impiegati con cautela nei pazienti più anziani. Le sfide da affrontare comprendono la raccolta di migliori evidenze ai fini della determinazione del preciso ruolo delle lesioni che si osservano alla RM convenzionale del midollo spinale e la valutazione dell’utilità di questi criteri diagnostici in studi prospettici in centri non specializzati. Ulteriori contributi della RM potrebbero provenire dalla possibilità di misurare l’entità delle lesioni dei tessuti, comprese le alterazioni diffuse della sostanza bianca di aspetto normale, e dalla possibile maggiore sensibilità dei sistemi a campi più elevati per lesioni più modeste.8 Abbiamo anche bisogno di sapere se i metodi avanzati di RM siano in grado di fornire The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:05 Rassegne una migliore valutazione del rischio di conversione da una sindrome clinicamente isolata alla SM rispetto a quella che si può ottenere con i metodi convenzionali di immagine. Nei pazienti con SM stabilita è difficile fare una classificazione effettuata in base ai quadri RM di coinvolgimento del SNC, e la differenziazione tra una sindrome clinicamente isolata, la SM recidivante-remittente (RRMS) e la SM secondaria progressiva viene vista come poco più di un aumento graduale del carico lesionale, una riduzione del volume cerebrale e un aumento diffuso delle alterazioni nel tessuto cerebrale di aspetto normale. Vi è accordo generale sul fatto che i pazienti con SM primaria progressiva hanno un minor numero di lesioni nell’encefalo e forse una minor presa di contrasto nel SNC,9 anche se si tratta di una differenza più relativa che assoluta. A mano a mano che le tecniche di RM diventeranno più specifiche dal punto di vista patologico potranno offrire la possibilità di verificare la classificazione patologica proposta da Lassmann e collaboratori.10 Benché sia improbabile che le tecniche di RM progrediscano nel prossimo futuro fino a consentire una classificazione biologica accurata e diretta della SM, la RM fornirà vari approcci per correlare il fenotipo dei pazienti con SM a queste classificazioni biologiche. Nuovi impieghi dei dati della RM convenzionale Misure basate sulle lesioni La valutazione con RM convenzionale delle lesioni rilevate con immagini pesate in T1 e T2 senza mezzo di contrasto e con quelle pesate in T1 con gadolinio rappresenta un’importante modalità per monitorare il decorso della malattia.11 Tuttavia, i limiti della RM convenzionale comprendono la debole associazione con le condizioni cliniche e la mancanza di sensibilità per altri reperti clinicamente rilevanti, come le lesioni della sostanza grigia e il danno diffuso della sostanza bianca.12,13 Sono emersi nuovi approcci nel campo della gestione dei dati e della post-elaborazione. Un approccio implica l’analisi seriale di immagini per studiare modificazioni di segnale pixel-wise dinamiche relative all’evoluzione della lesione.14 Attraverso questo approccio, i cambiamenti nella modalità di progressione all’interno delle singole lesioni potrebbero indicare uno spostamento globale della malattia da processi patologici più infiammatori a processi patologici più degenerativi, preannunciando infine la comparsa di atrofia e di disabilità clinica correlata.14 Un altro approccio connesso, noto come sottrazione di immagini, visualizza i cambiamenti nel tempo tra due scansioni in una singola mappa.15 Questo metodo presenta una maggiore sensibilità per l’evoluzione delle lesioni rispetto alle analisi qualitative (Figura 1). Infine, le misure basate sulla lesione possono essere combinate con misure effettuate mediante tecniche avanzate di RM di integrità dei tessuti, come la 1H-MRS, le immagini in diffusione e quelle con trasferimento di magnetizzazione, utilizzando mappe di probabilità voxel-wise e approcci di distribuzione spaziale. Queste tecniche RM avanzate saranno discusse successivamente in modo più dettagliato. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 185 Figura 1: Cambiamento delle lesioni nella SM nel corso del tempo mediante l’uso di un metodo di sottrazione che comporta la normalizzazione delle immagini, la correzione delle disomogeneità e la co-registrazione Una nuova lesione juxtacorticale (freccia) in una donna di 44 anni con SM recidivante-remittente che è stata esaminata al basale e dopo 3 anni. La lesione juxtacorticale è difficile da apprezzare nelle immagini native spinecho densità protonica, confrontando le scansioni basali (A) e del follow-up (B), ma è chiaramente visibile nelle immagini con sottrazione (C). In tutte le immagini il cranio è stato rimosso. Si vedono minimi artefatti sul bordo esterno della superficie del cervello dovuti a lievi errori di registrazione. Adattata, per gentile concessione della American Society of Neuroradiology.15 Misure basate sull’atrofia Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rapida crescita di interesse per la misurazione dell’atrofia del SNC nella SM. Questi sviluppi sono stati alimentati dall’uso di tecniche RM che permettono di determinare la topografia e l’entità dell’atrofia, con la possibilità di visualizzare questo processo con un’accuratezza inferiore a un voxel (Figura 2).16 Gli approcci basati sulla RM consentono di misurare in un periodo di tempo relativamente breve variazioni del volume cerebrale ben correlate alla compromissione cognitiva.17 Un interessante sviluppo è l’esplorazione delle associazioni tra quadri regionali di atrofia e specifiche compromissioni funzionali usando la morfometria basata sui voxel.18,19 Per andare oltre i semplici volumi di tessuto danneggiato, abbiamo bisogno di capire, ad esempio, i rapporti tra atrofia regionale e danno delle vie della sostanza bianca e il loro impatto clinico. Se con la RM con Figura 2: Guadagno o perdita di volume cerebrale, determinato da scansioni RM seriali Usando un software basato sulla registrazione si possono determinare il volume di guadagno (rosso) o perdita (blu) cerebrale con un’accuratezza inferiore a un voxel da scansioni RM seriali. Attualmente è difficile prevedere perché alcuni pazienti (sinistra) hanno poca atrofia (0,29% di perdita di volume cerebrale all’anno), mentre altri (a destra) hanno un elevato tasso di atrofia (2,2% di perdita di volume cerebrale all’anno). 185 10-12-2008 20:18:09 Rassegne tensore di diffusione fosse possibile eseguire una mappa dettagliata dell’architettura della sostanza bianca,20 allora dovrebbe essere possibile integrare misure quantitative di danno tissutale lungo fasci di fibre di significato funzionale noto per ottenere una valutazione clinicamente più rilevante del carico di malattia. La distribuzione topografica della perdita di volume cerebrale è emersa come una fondamentale sfida da affrontare. Nei pazienti con SM la perdita di tessuto sembra colpire la sostanza grigia più di quella bianca; inoltre, tra le strutture della sostanza grigia, i gangli della base e il talamo sono quelle più suscettibili all’atrofia.16 Restano da determinare i migliori metodi per la segmentazione e la caratterizzazione dell’atrofia della sostanza grigia. Uno dei problemi è l’errata classificazione delle lesioni della sostanza bianca come lesioni della sostanza grigia, che richiede una correzione manuale. Un’altra variabile è la gamma dei metodi disponibili per determinare l’atrofia regionale della sostanza grigia, come la segmentazione completamente automatizzata (ad es., la morfometria basata sui voxel)18,19 e quella semi-automatica (basata su atlanti).21,22 Gli studi clinici stanno ora includendo la misurazione del volume cerebrale per determinare l’efficacia dei trattamenti sperimentali.16,23 Tuttavia, benché si ritenga che le variazioni del volume cerebrale siano indicative di atrofia cerebrale, elementi confondenti sono gli effetti degli agenti osmotici (ad es., l’alcool) e dei fattori che modificano il naturale processo di invecchiamento, come lo stato di APOE.16 Recenti studi terapeutici hanno dimostrato una riduzione del volume cerebrale dopo l’inizio del trattamento immunomodulante con corticosteroidi, natalizumab, interferone beta o dopo immunoablazione seguita da trapianto di cellule staminali.16,23-25 Tali modificazioni a breve termine potrebbero essere in parte dovute a effetti osmotici e antinfiammatori, condizione nota come pseudoatrofia. È necessario lavorare ancora per riuscire a differenziare l’atrofia vera dalla pseudoatrofia, forse con l’uso di sequenze avanzate di risonanza magnetica in grado di distinguere la perdita assonale dai cambiamenti transitori del contenuto di acqua. Una domanda più sostanziale è: “che cosa induce l’atrofia cerebrale?”.26 Il numero e il volume delle lesioni focali visibili nelle immagini pesate in T2 hanno una certa correlazione con il grado di atrofia, ma, ancora più importante, la perdita di volume cerebrale sembra essere determinata dai cambiamenti che si verificano nella sostanza bianca e nella sostanza grigia di aspetto normale.27,28 È necessario eseguire altri studi per comprendere l’interrelazione tra demielinizzazione, perdita neuronale o assonale, neurodegenerazione e volume cerebrale (alterazioni) prima di poter utilizzare in modo affidabile questa misura di RM per assumere decisioni terapeutiche e gestionali. Nuovi mezzi di contrasto Figura 3: Disaccoppiamento tra gadolinio e particelle ultrapiccole di ossido di ferro (USPIO) in una lesione acuta in un paziente con SM La lesione è iperintensa all’immagine in T2 spin-echo (A), ma non assume gadolinio nell’immagine in T1 (B). Nell’immagine in T2 dopo USPIO (C), l’assunzione di USPIO porta a una diminuzione dell’intensità del segnale (accorciamento T2) dovuta al ferro. Tuttavia, la lesione assume contrasto dopo somministrazione di USPIO nell’immagine in T1 (D). Riprodotta per gentile concessione della American Society of Neuroradiology.29 186 03 Rassegne okok.indd 186 Alle scansioni di RM convenzionale, la presa di contrasto delle lesioni dopo iniezione di gadolinio indica l’accumulo del mezzo di contrasto nello spazio interstiziale dovuto alla maggiore permeabilità della barriera emato-encefalica. Attualmente è in corso un notevole sforzo per identificare marcatori biologici della SM, in particolare sottopopolazioni di cellule e molecole importanti per la fisiopatologia della SM. Nuovi mezzi di contrasto della RM costituiti da particelle di ferro, particelle ultrapiccole di ossido di ferro o particelle di ossido di ferro superparamagnetiche sono stati utilizzati in pazienti con SM per identificare i macrofagi (Figura 3).29,30 Due studi RM di pazienti con RRMS che hanno utilizzato particelle di ossido di ferro ultrapiccole e gadolinio hanno confermato una discordanza della presa di contrasto, indicativa di eterogeneità della sottostante patologia.29,30 Le informazioni complementari fornite dall’individuazione dei macrofagi con particelle di ferro potrebbero svolgere un ruolo particolare nel monitoraggio dell’efficacia dei farmaci diretti verso le componenti cellulari dell’infiammazione. Altri marcatori di infiammazione o disfunzione neuronale potrebbero essere l’obiettivo dei nuovi mezzi di contrasto.31 L’attività mieloperossidasica nei tessuti infiammati può essere rilevata e marcata in vivo da una sonda di immagine molecolare “intelligente” sensibile alla mieloperossidasi.32 Un altro nuovo mezzo di contrasto RM a base di gadolinio, il Gadofluorine M, si accumula selettivamente nelle fibre nervose in degenerazione walleriana e appare iperintenso nelle immagini pesate The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:17 Rassegne in T1.33 La sicurezza di questi nuovi mezzi di contrasto deve essere correttamente validata e valutata prima che possa esserne determinato il ruolo nel monitoraggio della malattia. RM non convenzionale 1 H-MRS La 1H-MRS può essere usata per misurare metaboliti come l’N-acetil-aspartato. Una riduzione dell’N-acetil-aspartato si associa a danno o disfunzione assonale/neuronale. I composti contenenti colina sono spesso aumentati nel corso della distruzione della mielina, della rimielinizzazione e dell’infiammazione. La concentrazione di creatina aumenta con la densità delle cellule. L’aumento di mioinositolo, che si trova soprattutto nelle cellule gliali, è indicativo di proliferazione gliale e astrogliosi. Si possono anche misurare gli aminoacidi che agiscono come neurotrasmettitori, come il glutammato, la glutammina e il GABA (acido gamma-aminobutirrico). Nelle lesioni attive di SM che assumono contrasto si osservano aumenti di creatina, colina, mioinositolo e glutammato, mentre l’N-acetil-aspartato può essere basso o solo leggermente diminuito. Nella sostanza bianca di aspetto normale si può osservare un quadro simile di metaboliti anormali. Nelle tipiche lesioni croniche che non assumono contrasto l’N-acetil-aspartato è notevolmente ridotto, il mioinositolo è aumentato e le concentrazioni di glutammato sono normali.34,35 Le opportunità offerte dai progressi nella 1H-MRS sono le seguenti: (1) spettroscopia a breve tempo di echo, che dovrebbe permettere l’individuazione di più metaboliti; (2) intensità di campo superiori a 1,5 T per aumentare la risoluzione e il rapporto segnale-rumore; (3) miglioramento nei metodi di quantificazione assoluta dei metaboliti per evitare effetti di confondimento dell’analisi di rapporto e (4) standardizzazione delle tecniche di acquisizione, calibrazione, ricostruzione e quantificazione tra i diversi tipi di scanner per studi clinici multicentrici.36 Sono in corso di studio altri metaboliti rilevanti per la SM, come il glutatione, il GABA, l’acido ascorbico (vitamina C), e anche segnali macromolecolari (di sfondo). Tali macromolecole, che possono essere meglio identificate usando sequenze di inversion recovery,37 comprendono valina, alanina, leucina, isoleucina e treonina, che insieme rappresentano fino al 60% del contenuto della mielina. La quantificazione di un così ampio profilo neurochimico in vivo usando un unico metodo dovrebbe fornire informazioni sul ruolo della neurodegenerazione, della riparazione dei tessuti, della terapia antiossidante e dello stress ossidativo nella SM. È in corso di sviluppo la 13C-MRS iperpolarizzata, che può migliorare il segnale della RM fino a 100.000 volte, per lo studio del metabolismo.38 mento di magnetizzazione (MTR), in cui un basso MTR è indicativo di danni alla mielina e alle membrane assonali.39 Studi post-mortem hanno dimostrato in modo inequivocabile che l’MTR è fortemente associato alla percentuale di assoni residui e al grado di demielinizzazione nelle lesioni visibili in T2 e nel tessuto cerebrale di aspetto normale nei pazienti con SM.40,41 Nelle lesioni SM acute e croniche sono stati osservati vari gradi di riduzione dell’MTR.42 Questi cambiamenti sono più netti in lesioni che appaiono come ipointense in T1 e possono precedere la formazione delle lesioni visibili in T2.42 La riduzione dell’MTR è stata anche rilevata nella sostanza bianca e nella sostanza grigia di aspetto normale dei pazienti con SM,43,44 e queste anomalie sono più pronunciate nei pazienti con la forma progressiva di SM e tendono a peggiorare nel tempo.42 Anche se sono stati compiuti sforzi significativi per standardizzare l’acquisizione dei dati di trasferimento di magnetizzazione tra i vari scanner,45 la RM con trasferimento di magnetizzazione è stata utilizzata solo in alcuni studi e in gruppi selezionati di pazienti.42 Studi preliminari hanno dimostrato che la RM con trasferimento di magnetizzazione ha un’utilità prognostica per la successiva evoluzione della malattia42 e pertanto si mostra promettente come strumento paraclinico aggiuntivo in studi longitudinali su larga scala. Sono stati sviluppati diversi approcci basati sui voxel, che consentono di valutare la localizzazione anatomica della diminuzione dell’MTR. Più di recente, questi approcci sono stati applicati anche al monitoraggio della demielinizzazione e della rimielinizzazione nelle singole lesioni della SM,46 e devono ora essere utilizzati in studi trasversali e longitudinali in pazienti con caratteristiche cliniche eterogenee per migliorare la comprensione dei cambiamenti alla base dell’accumulo di disabilità irreversibile. In studi longitudinali sono stati anche usati approcci basati su atlanti per monitorare l’evoluzione dei cambiamenti dell’MTR nelle lesioni visibili in T2.47 Ciò dovrebbe consentire di classificare le lesioni in ordine cronologico, generando mappe di lesioni nuove, stabili e in risoluzione, in tal modo migliorando potenzialmente le correlazioni tra le manifestazioni cliniche della malattia e permettendo il monitoraggio degli effetti del trattamento sulla riparazione della mielina e sulla neuroprotezione. Per superare alcuni dei limiti delle semplici misurazioni MTR, che sono sequenze di impulsi e dipendono dall’hardware, è stata proposta una più completa caratterizzazione del fenomeno del trasferimento di magnetizzazione, che può essere fatta con l’acquisizione di una più ampia serie di dati ed estraendo i dati relativi alle proprietà di risonanza magnetica dei protoni e del loro ambiente chimico locale. Il metodo è stato denominato “immagini di trasferimento di magnetizzazione quantitativo”,48,49 ed è stato applicato in alcuni studi preliminari su pazienti con SM.49-51 RM con trasferimento di magnetizzazione La RM con trasferimento di magnetizzazione misura le interazioni tra i protoni nei liquidi liberi e i protoni legati a macromolecole mediante l’uso del rapporto del trasferiThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 187 Diffusione con RM La tecnica di diffusione sensibilizza le scansioni RM al movimento microscopico browniano delle molecole di 187 10-12-2008 20:18:17 Rassegne acqua. Questo movimento è ostacolato dalle strutture cellulari, come le membrane cellulari e il citoscheletro assonale. Sono state osservate anomalie di diffusione sia nelle lesioni focali della SM sia nella sostanza bianca di aspetto normale. Applicando i gradienti di campo magnetico di diffusione in molte direzioni si può dedurre l’orientamento degli assoni e ricostruire le vie dei principali fasci di sostanza bianca mediante la RM con tensore di diffusione e il cosiddetto fiber tracking.52,53 La ricostruzione di fasci di fibre nervose attraverso le lesioni SM è difficile a causa della distruzione del tessuto (Figura 4), ma gli approcci basati su atlanti potrebbero permettere di superare questo problema.54 I collegamenti fra sostanza grigia e sostanza grigia hanno un significato funzionale diretto e la sostanza bianca fornisce il cablaggio. Tuttavia, siamo ancora lontani dal determinare la connettività,55 un termine che a volte è usato approssimativamente per indicare il grado di confidenza secondo il quale due regioni della sostanza grigia sono considerate collegate. È difficile seguire i fasci di fibre nella regione sottocorticale a causa delle complesse connessioni; dovrebbero essere di aiuto i significativi miglioramenti nella risoluzione delle immagini che sono stati realizzati con intensità di campo magnetico molto più elevate, soprattutto per definire le connessioni sottocorticali, un’area che è stata trascurata nelle valutazioni RM della SM. Vi è inoltre la possibilità di integrare le misure di connettività con la RM funzionale (fMRI) e i dati della magnetoencefalografia per capire meglio come i cambiamenti patologici all’interno delle lesioni della SM possano influenzare la velocità della trasmissione nervosa, la riserva funzionale e la plasticità cerebrale.56 L’esame della connettività potrebbe anche portare a un nuovo tipo di segmentazione di immagine basato sul significato funzionale piuttosto che sul tipo di tessuto e sull’intensità del segnale, migliorando così la conoscenza della patologia e della riorganizzazione che sono alla base del deficit clinico. Diversi gruppi stanno lavorando sulla rilevazione diretta con RM dell’attivazione neuronale, mediante le immagini Figura 4: Immagine composita che mostra le informazioni da diverse scansioni RM sequenziali di un paziente con SM La superficie trasparente del cervello mostra la localizzazione delle lesioni (rosso), determinata da un’immagine in T2. Il tracciamento delle fibre con tensore di diffusione è stato iniziato nella capsula interna destra, e la presenza delle lesioni ha causato la deviazione dei tratti dalla via motoria attraverso il corpo calloso. Differenti approcci alla trattografia potrebbero consentire di eseguire il tracciamento anche in aree di grave danno assonale. in diffusione, o per l’effetto che le correnti neuronali hanno sul campo magnetico locale applicato esternamente (B0) o sulla forza sul neurone.57,58 Questa ricerca potrebbe fornire spunti affascinanti sulla salute neuronale, sul decorso dell’infiammazione, sulla demielinizzazione e la rimielinizzazione e sull’impatto di questi fattori sulla funzione cognitiva e motoria. fMRI La fMRI si basa su un meccanismo di contrasto denominato BOLD (blood-oxygenation-level-dependent), che è secondario a differenze nella concentrazione di deossiemoglobina nel Corteccia prefrontale Corteccia cingolata anteriore Giro frontale inferiore sinistro Giro frontale inferiore destro Corteccia sensorimotoria secondaria sinistra Cervelletto destro Figura 5: Aree di aumentata attivazione in pazienti con SM benigna rispetto a controlli sani durante l’analisi della condizione di interferenza Stroop (A,B) I pazienti con SM benigna hanno un aumento dell’attività in diverse aree situate bilateralmente nei lobi frontali e parietali, tra cui la corteccia cingolata anteriore, il solco frontale superiore, il giro frontale inferiore, il precuneo, la corteccia sensorimotoria secondaria, la corteccia visiva e il cervelletto. (C) L’analisi della connettività funzionale, mediante l’uso di modellizzazione causale dinamica, ha mostrato diverse forze di connettività tra i pazienti con SM benigna e i controlli: le connessioni significative all’interno del gruppo, con un test t a un campione, sono indicate come frecce nere in controlli sani e come frecce tratteggiate nei pazienti con SM. Le frecce e i valori di p risultanti dai confronti del test t tra gruppi sono mostrati in rosso in caso di aumento della forza di connessione nei pazienti rispetto ai controlli e in blu in caso di riduzione della forza di connessione nei pazienti rispetto ai controlli (due valori di p sono mostrati per tutte le associazioni bi-direzionali). Riprodotta per gentile concessione di John Wiley and Sons.64 188 03 Rassegne okok.indd 188 The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:25 Rassegne sangue nelle aree attivate in conseguenza di variazioni dell’attività neuronale.59 Gli studi fMRI delle reti visive, cognitive e motorie nei pazienti con SM hanno mostrato un alterato reclutamento delle regioni normalmente dedicate alla prestazione di un determinato compito e/o un reclutamento di ulteriori aree rispetto a individui sani.60 Le correlazioni che si trovano tra le misure di anormale attivazione e misure RM di danni strutturali indicano che la plasticità cerebrale potrebbe contribuire a limitare le conseguenze cliniche di un danno tissutale ampio. Questi cambiamenti funzionali corticali variano tra i pazienti in diverse fasi di malattia, dopo una ricaduta acuta e in pazienti clinicamente stabili.60,61 Una modalità anormale di attivazione cerebrale è stata anche correlata alla fatica.60 Diversi studi hanno tentato di sviluppare approcci statistici sofisticati per stabilire la forza di attivazione e la sincronia tra aree specifiche del cervello attraverso l’analisi della connettività funzionale e reale.62 L’ottimizzazione dei metodi di analisi, così come il confronto di modelli di attivazione tra i pazienti con SM e controlli, potrebbero contribuire a spiegare le anomalie della funzione di specifiche reti cerebrali e la loro relazione con sintomi clinici. È probabile che la combinazione di misure di connettività funzionale con misure di danno strutturale all’interno di specifici fasci di sostanza bianca migliori la conoscenza del rapporto tra anomalie strutturali e funzionali, come suggerito da due studi su pazienti con RRMS e SM benigna (Figura 5).63,64 Deve essere ancora completamente esplorato il ruolo degli studi fMRI longitudinali e multi-sito nella SM. Dati precedenti hanno sostenuto l’uso della fMRI in studi longitudinali su larga scala per monitorare l’effetto della riabilitazione motoria e cognitiva o delle terapie farmacologiche per il rafforzamento di eventuali effetti positivi della plasticità corticale adattativa.60,65 Altri aspetti da considerare sono lo sviluppo di paradigmi fMRI non distorti dalle differenze tra pazienti con SM e controlli nelle prestazioni e nei compiti, che potrebbero rendere fattibile la valutazione dei pazienti con grave disabilità, e lo sviluppo di protocolli di acquisizione specificamente adattati alle immagini di funzione e struttura di regioni relativamente piccole, ora che sono maggiormente disponibili scanner ad alto campo in grado di fornire una migliore risoluzione spaziale. Oltre le neuroimmagini Immagini del nervo ottico Gli studi di immagine dei nervi ottici sono impegnativi, perché tali nervi sono molto piccoli e soggetti ad artefatti da movimento. La differenziazione strutturale dai tessuti circostanti e gli effetti di suscettibilità magnetica rappresentano un problema. Tuttavia, la neurite ottica è un eccellente modello con cui studiare la fisiopatologia del danno e della riparazione nella SM. È possibile quantificare con precisione l’area trasversale del nervo ottico e la lunghezza della lesione, consentendo correlazioni cliniche ed elettrofisiologiche; tali valutazioni hanno correlato l’infiammazione acuta al blocco di conduThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 189 zione nella neurite ottica.66 Più di recente, le alterazioni individuabili all’MTR dinamico sono state correlate al danno e alla riparazione della mielina,67 e la RM con tensore di diffusione ha dimostrato una riduzione dell’integrità strutturale dei nervi68 a causa della degenerazione assonale e della demielinizzazione. Infine, la nuova tecnica della tomografia a coerenza ottica si dimostra promettente come marcatore surrogato non invasivo di perdita assonale.69 Restano da affrontare importanti questioni sulla fisiopatologia della neurite ottica e sul ruolo delle neuroimmagini nel monitoraggio longitudinale. I contributi relativi di infiammazione, edema, gliosi e alterazioni mieliniche e assonali ai processi di danno e riparazione nella neurite ottica non sono del tutto noti. La 1H-MRS ha la potenzialità di mostrare il decorso temporale delle alterazioni infiammatorie, della gliosi e della perdita assonale. Le immagini con tensore di diffusione e trasferimento di magnetizzazione sono in grado di mostrare l’integrità assonale e il contenuto di mielina del nervo ottico, ma ci sono ancora ostacoli tecnici da superare. Inoltre, è necessario eseguire correlazioni tra la RM e l’istologia per identificare in quale modo ciascuna misura di RM si riferisca direttamente a una specifica alterazione tissutale. Immagini del midollo spinale Nei pazienti con sindrome clinicamente isolata il valore della RM convenzionale del midollo spinale nel mostrare la diffusione spaziale delle lesioni e il suo contributo nell’esclusione di altre condizioni che possono simulare la SM sono stati formalmente riconosciuti nei criteri diagnostici internazionalmente accettati.1 Sono state sviluppate e applicate in diversi pazienti con differenti fenotipi di malattia sequenze RM convenzionali sensibili ai danni della SM.70 Tuttavia, gli sviluppi tecnici sono per lo più focalizzati sulle immagini della porzione cervicale del midollo e si dovrebbero fare maggiori sforzi per migliorare la RM dell’intero midollo. Lo sviluppo di sofisticate bobine riceventi per risonanza magnetica e di tecniche di raccolta veloce delle immagini hanno portato a immagini del midollo spinale più affidabili, compreso l’uso di tecniche quantitative. Nel midollo cervicale dei pazienti con SM sono stati dimostrati una ridotta MTR e anormali parametri RM con tensore di diffusione; tali alterazioni sono più pronunciate nei pazienti con fenotipi di malattia progressiva.71 Tuttavia, resta da stabilire il valore prognostico del trasferimento di magnetizzazione e delle misure di RM con tensore di diffusione in studi longitudinali con lunghi periodi di follow-up. Le recenti metodiche di RM, come il trasferimento di magnetizzazione quantitativo e la trattografia diffusionale, così come altri metodi che sono ampiamente utilizzati per visualizzare i danni cerebrali in questi pazienti, come la 1 H-MRS e la fMRI, sono stati applicati in studi preliminari del midollo cervicale in piccoli gruppi di pazienti.72-74 Nel midollo spinale dei pazienti con recidiva a livello cervicale sono state dimostrate una riduzione dell’N-acetil-aspartato, una minore connettività strutturale e un’inferiore 189 10-12-2008 20:18:26 Rassegne anisotropia in diffusione rispetto ai controlli. Queste misure si sono dimostrate correlate alle disabilità.74 Ciò indica che la valutazione del danno regionale nel midollo cervicale può essere utilizzata per chiarire quali siano i fattori associati allo sviluppo della disabilità in questi pazienti, come dimostrato da un recente studio RM con trasferimento di magnetizzazione sui danni alla sostanza grigia del midollo, che ha riportato una correlazione tra MTR della sostanza grigia cervicale e grado di disabilità nei pazienti con RRMS.75 a 3 T. Si sta attivamente cercando di sviluppare l’acquisizione volumetrica tridimensionale, che consentirebbe la copertura dell’intero encefalo. Nonostante il più lungo tempo di acquisizione, tempi di echo più lunghi (più di 1 s) con una serie di echi fino a 48 si sono dimostrati utili per caratterizzare le lesioni della SM e la sostanza bianca di aspetto normale, mentre si sta valutando il pool di protoni dell’acqua libera intracellulari ed extracellulari.82 Infine, il T2 multicomponente ha anche la potenzialità di valutare l’integrità della mielina nel midollo spinale. Futuro più lontano Perfusione con RM Immagini della mielina Con l’uso della RM è ora possibile valutare la perfusione del tessuto cerebrale in vivo. Le lesioni acute della SM sono caratterizzate da un aumento della perfusione, mentre la sostanza bianca e la sostanza grigia di aspetto normale sono caratterizzate da ridotta perfusione. 83-85 L’ipoperfusione cerebrale può indicare vari processi sottostanti, come ipometabolismo, ischemia, lesioni dei tessuti o distruzione dei tessuti. Le tecniche di perfusione con RM possono utilizzare sia traccianti esogeni, come i chelati del gadolinio (infusione del tracciante in bolo) sia l’acqua arteriosa endogena (marcatura degli spin arteriosi). Queste tecniche hanno i seguenti vantaggi rispetto alla PET e alla TC a emissione di singoli fotoni, che sono state inizialmente utilizzate per valutare la perfusione cerebrale: più alto rapporto segnale/rumore e contrasto/ rumore, migliore risoluzione spaziale e anatomica, brevi tempi di acquisizione, nonché la possibilità di evitare l’uso di materiale radioattivo.84 Inoltre, la sensibilità e la risoluzione sia della RM con il tracciante-bolo gadolinio (Figura 6) sia dei metodi di marcatura degli spin arteriosi sono potenziate usando bobine riceventi multicanale e intensità di campo molto elevate,85,86 consentendo così di analizzare regioni della sostanza bianca e di piccole dimensioni, come le lesioni. Sia il tracciante-bolo sia la marcatura degli spin arteriosi dovranno essere ulteriormente sviluppati per migliorare la quantificazione del flusso e del volume ematico cerebrale. In generale è necessario studiare ulteriormente l’affidabilità e la riproducibilità delle misure assolute di perfusione cerebrale. Inoltre, è necessario stabilire la sensibilità e la rilevanza clinica delle scansioni di perfusione con RM nell’individuazione delle alterazioni SM longitudinali prima che tale tecnica possa essere usata per il monitoraggio dell’evoluzione della SM e dell’efficacia del trattamento in studi clinici multicentrici. La MWF, derivata da misurazioni precise del tempo di rilassamento trasversale, si è dimostrata specifica per il contenuto e l’integrità della mielina. Alcuni studi hanno individuato un rilassamento T2 multicomponente nei tessuti biologici, dimostrando che è dovuto alla compartimentalizzazione.76 Il segnale dell’acqua può essere suddiviso in tre componenti: (1) una componente a T2 lungo (>1,5 s) dovuta al liquor; (2) una componente intermedia (circa 100 ms) che deriva dall’acqua intracellulare ed extracellulare e (3) una componente a T2 breve (20-50 ms) dovuta all’acqua racchiusa tra il doppio strato della mielina.77 La somma delle tre componenti T2 è il contenuto totale di acqua visibile alla RM. Il rapporto tra l’acqua della mielinica (T2 breve) e il segnale totale dà la MWF. Moore e collaboratori78 hanno dimostrato che la MWF è strettamente correlata alla distribuzione della mielina cerebrale e hanno notato la diminuzione della componente con T2 breve nelle placche croniche di SM nei cervelli di SM fissati in formalina. Studi cerebrali in vivo hanno dimostrato che nella sostanza bianca si osserva una elevata MWF, mentre nella sostanza grigia si può rilevare solo una piccola frazione. Nelle lesioni della SM si osserva una riduzione del 30-50% nella MWF e nella sostanza bianca di aspetto normale della SM si osserva una riduzione del 7-15%.79,80 Le immagini MWF nelle regioni di sostanza bianca sopratentoriali di aspetto normale sono risultate sufficientemente sensibili per individuare le alterazioni nei pazienti entro 5 anni dall’esordio della malattia. La riduzione della MWF nella sostanza bianca di aspetto normale nella SM è dominata dalla perdita dell’integrità della mielina piuttosto che da un aumento dell’edema o dall’infiammazione.80 Tuttavia, le immagini MWF rimangono una sfida tecnica. Il decadimento T2 è stato tradizionalmente misurato utilizzando un read-out multi-eco, come una sequenza spin echo a 32 echi su una singola fetta. I tempi di scansione lunghi e una limitata copertura cerebrale rendono questo approccio meno fattibile sul piano clinico. Recentemente, dataset bidimensionali multi-sezione a 12 echi non spazialmente lineari hanno fornito stime di MWF della sostanza bianca e della sostanza grigia di qualità simile a quella dei dataset a 32 echi.81 L’uso di bobine in array di fase fornisce mappe di MWF più uniformi e regolari di quelle ottenute con bobine cerebrali standard, soprattutto 190 03 Rassegne okok.indd 190 Intensità di campo superiori a 1,5 T Gli scanner RM a campi alti (tipicamente 3,0 T) e molto alti (≥ 7,0 T) hanno la potenzialità di rivoluzionare la ricerca nella SM. I dati disponibili mostrano che i magneti che operano a 3,0-4,0 T individuano un maggior numero e un più ampio volume di lesioni cerebrali iperintense in T2 (Figura 7) e di lesioni che assumono gadolinio rispetto a quelli che operano a 1,5 T.11,87 Inoltre, il loro uso potrebbe migliorare la diagnosi precoce di SM.8 Sia la RM a campi The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:26 Rassegne Figura 6: RM assiale gradient-echo echo-planare che mostra il flusso e il volume ematico cerebrale in un paziente con SM (A) RM assiale gradient-echo echo-planare, (B) mappa cromatica del flusso ematico cerebrale e (C) mappa cromatica del volume ematico cerebrale di un paziente con SM. La barra cromatica indica il flusso ematico cerebrale (ml/100 g/min) e il volume ematico cerebrale (ml/100 g). Figura 7: Confronto della RM a 1,5 T e 3,0 T in due pazienti con SM Vengono mostrate scansioni RM a (A) 1,5 T e (B) 3,0 T di una donna di 48 anni con SM secondaria progressiva, e scansioni RM a (C) 1,5 T e (D) 3,0 T di un uomo di 21 anni con SM recidivante-remittente. (A) La scansione assiale a 1,5 T fast fluid inversion recovery (FLAIR) e (C) la scansione coronale a gradiente dell’encefalo e le immagini a 3,0 T (B, D) delle stesse regioni con equivalenti sequenze di impulsi in entrambi i pazienti mostrano il miglioramento della sensibilità nella capacità di individuare le lesioni (frecce) e nella risoluzione dei tessuti (differenziazione tessuto-liquor e sostanza grigia-sostanza bianca), dello scanner a 3,0 T. Riprodotta per gentile concessione di Elsevier. elevati sia quella a campi molto elevati hanno una particolare utilità nell’individuazione delle lesioni corticali della SM88 e possono migliorare gli studi di 1H-MRS, RM con trasferimento di magnetizzazione, RM con tensore di diffusione, perfusione con RM, fMRI e relassometria nella SM.11,35,79,85,86,89,90 A causa dei maggiori gradienti di campo magnetico causati dalla suscettibilità magnetica, The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 191 l’uso di campi elevati e molto elevati si traduce in un nuovo meccanismo di contrasto di immagine che sta diventando evidente ed è stato definito “immagine di suscettibilità di fase”. Il contrasto è correlato all’ossigenazione del sangue, alla vascolarizzazione e all’attività dei macrofagi e ha già mostrato un’interessante eterogeneità in quelle che altrimenti apparirebbero come lesioni SM diffuse.91 Un altro interessante sviluppo è lo studio di immagine del sodio a elevate intensità di campo,92 che potrebbe fornire importanti informazioni per la conoscenza della fisiopatologia della malattia. Potrebbe anche essere possibile visualizzare lo stato di integrità degli assoni mediante l’uso di metodi RM per monitorare il gradiente di concentrazione del sodio che esiste attraverso lo spazio intracellulare/extracellulare negli assoni integri.92 La RM a intensità di campo più elevate potrebbe essere importante per lo studio del deposito di ferro nella sostanza grigia dei pazienti con SM. Come rivisto recentemente,93 molte aree della sostanza grigia, come il talamo, il nucleo dentato, i gangli della base e la corteccia rolandica, comunemente mostrano ipointensità nelle immagini pesate in T2 in pazienti con SM. Si ritiene che il deposito di ferro sia una causa di questa ipointensità, poiché riduce i tempi di rilassamento in T2 e viene individuato in quantità eccessive e patologiche nell’encefalo di pazienti con SM.93 L’ipointensità della sostanza grigia in T2 è correlata alla compromissione clinica nei pazienti con SM, con una maggiore correlazione a 3 T rispetto a 1,5 T.94,95 Rimane poco chiaro se il deposito di ferro contribuisca alla neurotossicità nella sostanza grigia o sia semplicemente un epifenomeno. Altri metodi utilizzati a 3,0 T e a campi ancora superiori, come la relassometria in T2, T2*, T2’ o T2-rho e le immagini di correlazione del campo magnetico, dovrebbero aumentare la sensibilità e la specificità dell’individuazione della neurodegenerazione correlata al ferro nella sostanza grigia e aumentare la conoscenza del ruolo del ferro nella fisiopatologia della SM.96 191 10-12-2008 20:18:34 Rassegne Nel contesto delle immagini a campi elevati occorre ricordare che le immagini di risonanza magnetica hanno una scala di luminosità arbitraria e sono soggette a molti artefatti. La sfida per la RM è la caratterizzazione e la quantificazione dei processi patologici che si verificano nell’encefalo in degenerazione. Per questo abbiamo bisogno di metodi di acquisizione delle immagini più accurati e affidabili affinché le immagini possano essere convertite in valori fisicamente significativi, come T1 e T2 assoluti.11,97 L’avvento degli scanner a campi elevati con bobine array riceventi rende questa considerazione ancora più imperativa, a causa della minore uniformità delle immagini. Un accordo e una standardizzazione dei metodi di acquisizione tra i produttori di scanner darebbero un notevole impulso alle immagini quantitative. Rimangono molte altre sfide relative all’uso di queste nuove tecnologie.98 Fra queste vanno ricordati i costi elevati (installazione e manutenzione), il grande ingombro dell’hardware, i problemi relativi al gradiente e alla progettazione delle bobine di frequenza radio, la minore omogeneità dei campi, il peggioramento della sensibilità, gli artefatti da spostamento chimico e gli effetti dielettrici. L’intera gamma delle sequenze di impulsi disponibili a 1,5 T potrebbe non funzionare bene a 3,0 T e oltre. Si devono affrontare gli aspetti relativi alla sicurezza del paziente e al suo comfort, come la deposizione di energia a radiofrequenza, la compatibilità con le protesi metalliche e i sintomi sensoriali avvertiti durante la scansione. Ad esempio, il raddoppio dell’intensità del campo da 1,5 a 3,0 T quadruplica il tasso di assorbimento specifico a parità di tutte le altre condizioni. Ciò può condurre a un aumento dei tempi di scansione, alla necessità di fare delle pause per consentire il raffreddamento del paziente e a una riduzione del numero di sezioni ottenute per il tempo di ripetizione. Conclusioni L’ampia applicazione delle tecniche di risonanza magnetica convenzionali e moderne per lo studio della SM ha indubbiamente migliorato la nostra capacità di diagnosticare e monitorare la malattia, così come la nostra conoscenza della fisiopatologia della malattia. Tuttavia persistono molte sfide. È necessario raffinare e validare le nuove tecniche prima di poterle adeguatamente integrare nella ricerca clinica e pratica. I nuovi schemi di acquisizione e le nuove procedure di analisi devono essere standardizzati e ottimizzati per poter essere utilizzati in un ambito multicentrico, sia in studi di storia naturale sia in trial terapeutici. Dai dati disponibili è evidente che la combinazione di diverse tecniche di risonanza magnetica, che sono sensibili ai diversi aspetti della patologia SM, è un promettente metodo per incrementare ulteriormente la conoscenza dei meccanismi alla base dell’accumulo di disabilità irreversibile. Infine, la crescente disponibilità di RM a elevata intensità di campo (≥3,0 T) comporta nuove sfide tecniche che richiederanno ampi perfezionamenti nel corso dei prossimi anni. Uno dei compiti più importanti per il futuro è stabilire come 192 03 Rassegne okok.indd 192 questi progressi nella tecnologia RM possano contribuire a una migliore correlazione tra reperti clinici e quadri RM e, pertanto, fornire informazioni rilevanti per migliorare la prognosi e predire la risposta terapeutica. Strategia di ricerca e criteri di selezione I riferimenti bibliografici per questa revisione sono stati individuati tramite una ricerca in PubMed dal gennaio 1985 all’aprile 2008, mediante l’utilizzazione dei termini “MR” o “imaging” e “sclerosi multipla”. Per questa revisione sono stati presi in considerazione gli articoli derivati da tale ricerca e i riferimenti citati in tali articoli. Gli articoli scelti sono quelli focalizzati sui più recenti e promettenti progressi in questo campo. Gli articoli sono stati individuati anche attraverso una ricerca negli archivi degli autori. Sono stati rivisti solo gli articoli pubblicati in inglese. Contributi RB e MF hanno coordinato la revisione. RB ha preparato la stesura iniziale di introduzione, della sezione sui nuovi usi dei dati di RM convenzionale (misure basate sulla lesione), della sezione sulla RM a campi molti elevati e delle conclusioni. AJT ha preparato la stesura iniziale delle sezioni sulla diagnosi/classificazione e sulle immagini del nervo ottico. MAR ha preparato, con MF, la prima stesura delle sezioni relative al trasferimento di magnetizzazione, alla risonanza magnetica funzionale e alle immagini del midollo spinale. PS ha preparato la prima stesura delle sezioni sulla spettroscopia protonica a RM e sulle immagini della mielina. VD ha preparato la prima stesura della sezione sui nuovi mezzi di contrasto. FB ha preparato la prima stesura della sezione sull’atrofia. MI ha preparato la prima stesura della sezione sulle immagini di perfusione. CRGG ha preparato, con RB, la prima stesura della sezione sui nuovi impieghi dei dati di RM convenzionale (misura basata sulla lesione). MAH ha preparato, con MF, la prima stesura della sezione sulle immagini di diffusione e ha redatto i paragrafi sui metodi di post-elaborazione. MF ha preparato la prima stesura delle sezioni sul trasferimento di magnetizzazione, immagini di diffusione, risonanza magnetica funzionale, immagini del midollo spinale e sulle conclusioni. Tutti gli autori hanno collaborato in tutte le fasi successive della preparazione del manoscritto. Conflitti di interesse RB ha ricevuto onorari per conferenze e spese di viaggio ed emolumenti per consulenze come ricercatore in precedenti e attuali trial da Biogen Idec, Genentech, Merck-Serono, Teva Neuroscience e Pepgen. AJT partecipa ad advisory board per Novartis e Genentech, presiede il data, safety and monitoring committee di Teva per lo studio sul GA nella SLA e ha ricevuto onorari per conferenze da Bayer-Schering e Merck-Serono. MAR ha ricevuto compensi personali come oratore da Merck-Serono e Biogen-Dompé. PS ha ricevuto compensi personali come oratore e per servizi di consulenza da Biogen Idec, Teva Neuroscience, Inc Synar, e Genentech. VD ha ricevuto onorari da Biogen e Guerbet per conferenze e spese di viaggio. FB ha ricevuto compensi personali per servizi di consulenza da Merck-Serono, Bayer-Schering, Biogen Idec, Novartis, Aventis, Wyeth e Teva. MI ha ricevuto onorari per conferenze da Teva Neuroscience. CRGG ha ricevuto onorari per conferenze e spese di viaggio ed emolumenti per consulenza come ricercatore in precedenti e attuali trial di Biogen Idec, Merck-Serono, Teva Neuroscience e Pepgen. MAH ha ricevuto onorari per consulenza per aver lavorato in precedenti e attuali trial di Teva, Merck-Serono e Bayer-Schering. MF ha ricevuto onorari per conferenze e spese di viaggio ed emolumenti come ricercatore per precedenti e attuali trial di Teva, Merck-Serono, BayerSchering, Biogen-Dompé, Genmab e Pepgen. Ringraziamenti RB ha ricevuto fondi di ricerca da parte degli US National Institutes of Health (NIH; 1R01NS055083-01) e della National Multiple Sclerosis Society (RG3705A1; RG3798A2). MI ha ricevuto fondi di ricerca dai NIH (5R01NS051623-03). CRGG ha ricevuto fondi dai NIH (P41RR13218-01) e dalla National Multiple Sclerosis Society (RG3574A1). Le immagini The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:35 Rassegne della Figura 2 sono state gentilmente fornite da Bas Jasperse, VU University Medical Center, Amsterdam. Siamo grati a Sophie Tamm per l’assistenza fornita nella preparazione del manoscritto. Bibliografia 1 Polman CH, Reingold SC, Edan G, et al. Diagnostic criteria for multiple sclerosis: 2005 revisions to the “McDonald Criteria”. Ann Neurol 2005; 58: 840–46. 2 Charil A, Yousry TA, Rovaris M, et al. MRI and the diagnosis of multiple sclerosis: expanding the concept of “no better explanation”. Lancet Neurol 2006; 5: 841–52. 3 McDonald WI, Compston A, Edan G, et al. Recommended diagnostic criteria for multiple sclerosis: guidelines from the International Panel on the Diagnosis of Multiple Sclerosis. Ann Neurol 2001; 50: 121–27. 4 Dalton CM, Brex PA, Miszkiel KA, et al. New T2 lesions enable an earlier diagnosis of multiple sclerosis in clinically isolated syndromes. Ann Neurol 2003; 53: 673–76. 5 Tintore M, Rovira A, Rio J, et al. New diagnostic criteria for multiple sclerosis. Application in first demyelinating episode. Neurology 2003; 60: 27–30. 6 Swanton JK, Fernando K, Dalton CM, et al. Modification of MRI criteria for multiple sclerosis in patients with clinically isolated syndromes. J Neurol Neurosurg Psychiat 2006; 77: 830–33. 7 Swanton JK, Rovira A, Tintore M, et al. MRI criteria for multiple sclerosis in patients presenting with clinically isolated syndromes: a retrospective study. Lancet Neurol 2007; 6: 677–86. 8 Wattjes MP, Harzheim M, Kuhl CK, et al. Does high-field MR imaging have an influence on the classification of patients with clinically isolated syndromes according to current diagnostic MR imaging criteria for multiple sclerosis? AJNR Am J Neuroradiol 2006; 27: 1794–98. 9 Thompson AJ, Montalban X, Barkhof F, et al. Diagnostic criteria for primary progressive multiple sclerosis: a position paper. Ann Neurol 2000; 47: 831–35. 10 Lassmann H, Brück W, Lucchinetti CF. The immunopathology of multiple sclerosis: an overview. Brain Pathol 2007; 17: 210–18. 11 Neema M, Stankiewicz J, Arora A, Guss ZD, Bakshi R. MRI in multiple sclerosis: what’s inside the toolbox? Neurotherapeutics 2007; 4: 602–17. 12 Pirko I, Lucchinetti CF, Sriram S, Bakshi R. Gray matter involvement in multiple sclerosis. Neurology 2007; 68: 634–42. 13 Miller DH, Thompson AJ, Filippi M. Magnetic resonance studies of abnormalities in the normal appearing white matter and grey matter in multiple sclerosis. J Neurol 2003; 250: 1407–19. 14 Meier D, Weiner HL, Guttmann CRG. MR imaging intensity modeling of damage and repair in multiple sclerosis: relationship of short-term lesion recovery to progression and disability. AJNR Am J Neuroradiol 2007; 28: 1956–63. 15 Duan Y, Hildenbrand PG, Sampat MP, et al. Segmentation of subtraction images for measurement of lesion change in multiple sclerosis. AJNR Am J Neuroradiol 2008; 29: 340–46. 16 Bermel RA, Bakshi R. The measurement and clinical relevance of brain atrophy in multiple sclerosis. Lancet Neurol 2006; 5: 158–70. 17 Lazeron RH, de Sonneville LM, Scheltens P, Polman CH, Barkhof F. Cognitive slowing in multiple sclerosis is strongly associated with brain volume reduction. Mult Scler 2006; 12: 760–68. 18 Prinster A, Quarantelli M, Orefice G, et al. Grey matter loss in relapsing-remitting multiple sclerosis: a voxel-based morphometry study. NeuroImage 2006; 29: 859–67. 19 Morgen K, Sammer G, Courtney SM, et al. Evidence for a direct association between cortical atrophy and cognitive impairment in relapsing-remitting MS. NeuroImage 2006; 30: 891–98. 20 Nucifora PG, Verma R, Lee SK, Melhem ER. Diffusion-tensor MR imaging and tractography: exploring brain microstructure and connectivity. Radiology 2007; 245: 367–84. 21 Carone DA, Benedict RH, Dwyer MG, et al. Semi-automatic brain region extraction (SABRE) reveals superior cortical and deep gray matter atrophy in MS. NeuroImage 2006; 29: 505–14. 22 Sicotte NL, Kern KC, Giesser BS, et al. Regional hippocampal atrophy in multiple sclerosis. Brain 2008; 131: 1134–41. 23 Rudick RA. Impact of disease-modifying therapies on brain and spinal cord atrophy in multiple sclerosis. J Neuroimaging 2004; 14: 54S–64S. 24 Miller DH, Soon D, Fernando KT, et al. MRI outcomes in a placebocontrolled trial of natalizumab in relapsing MS. Neurology 2007; 68: 1390–401. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 193 25 Chen JT, Collins DL, Atkins HL, et al. Brain atrophy after immunoablation and stem cell transplantation in multiple sclerosis. Neurology 2006; 66: 1935–37. 26 Jasperse B, Minneboo A, de Groot V, et al. Determinants of cerebral atrophy rate at the time of diagnosis of multiple sclerosis. Arch Neurol 2007; 64: 190–94. 27 Kalkers NF, Vrenken H, Uitdehaag BM, Polman CH, Barkhof F. Brain atrophy in multiple sclerosis: impact of lesions and of damage of whole brain tissue. Mult Scler 2002; 8: 410–14. 28 Bermel RA, Puli SR, Rudick RA, et al. Prediction of longitudinal brain atrophy in multiple sclerosis by gray matter magnetic resonance imaging T2 hypointensity. Arch Neurol 2005; 62: 1371–76. 29 Dousset V, Brochet B, Deloire MS, et al. MR imaging of relapsing multiple sclerosis patients using ultra-small-particle iron oxide and compared with gadolinium. AJNR Am J Neuroradiol 2006; 27: 1000–05. 30 Vellinga MM, Oude Engberink RD, Seewann A, et al. Pluriformity of inflammation in multiple sclerosis shown by ultra-small iron oxide particle enhancement. Brain 2008; 131: 800–07. 31 Strijkers GJ, Mulder WJ, van Tilborg GA, Nicolay K. MRI contrast agents: current status and future perspectives. Anticancer Agents Med Chem 2007; 7: 291–305. 32 Chen JW, Sans MQ, Bogdanov A Jr, Weissleder R. Imaging of myeloperoxidase in mice by using novel amplifiable paramagnetic substrates. Radiology 2006; 240: 473–81. 33 Wessig C, Bendszus M, Stoll G. In vivo visualization of focal demyelination in peripheral nerves by gadofluorine M-enhanced magnetic resonance imaging. Exp Neurol 2007; 204: 14–19. 34 Helms G. Volume correction for edema in single-volume proton MR spectroscopy of contrast-enhancing multiple sclerosis lesions. Magn Reson Med 2001; 46: 256–63. 35 Srinivasan R, Sailasuta N, Hurd R, Nelson S, Pelletier D. Evidence of elevated glutamate in multiple sclerosis using magnetic resonance spectroscopy at 3 T. Brain 2005; 128: 1016–25. 36 De Stefano N, Filippi M, Miller D, et al. Guidelines for using proton MR spectroscopy in multicenter clinical MS studies. Neurology 2007; 69: 1942–52. 37 Mader I, Seeger U, Weissert R, et al. Proton MR spectroscopy with metabolite-nulling reveals elevated macromolecules in acute multiple sclerosis. Brain 2001; 124: 953–61. 38 Kohler SJ, Yen Y, Wolber J, et al. In vivo 13 carbon metabolic imaging at 3T with hyperpolarized 13C-1-pyruvate. Magn Reson Med 2007; 58: 65–69. 39 Wolff SD, Balaban RS. Magnetization transfer imaging: practical aspects and clinical applications. Radiology 1994; 192: 593–99. 40 van Waesberghe JH, Kamphorst W, De Groot C, et al. Axonal loss in multiple sclerosis lesions: magnetic resonance imaging insights into substrates of disability. Ann Neurol 1999; 46: 747–54. 41 Schmierer K, Scaravilli F, Altmann DR, Barker GJ, Miller DH. Magnetization transfer ratio and myelin in postmortem multiple sclerosis brain. Ann Neurol 2004; 56: 407–15. 42 Filippi M, Rocca MA. Magnetization transfer magnetic resonance imaging of the brain, spinal cord, and optic nerve. Neurotherapeutics 2007; 4: 401–13. 43 Filippi M, Iannucci G, Tortorella C, et al. Comparison of MS clinical phenotypes using conventional and magnetization transfer MRI. Neurology 1999; 52: 588–94. 44 Ge Y, Grossman RI, Udupa JK, Babb JS, Mannon LJ, McGowan JC. Magnetization transfer ratio histogram analysis of normal appearing gray matter and normal-appearing white matter in multiple sclerosis. J Comput Assist Tomogr 2002; 26: 62–68. 45 Horsfield MA, Barker GJ, Barkhof F, Miller DH, Thompson AJ, Filippi M. Guidelines for using quantitative magnetization transfer magnetic resonance imaging for monitoring treatment of multiple sclerosis. J Magn Reson Imaging 2003; 17: 389–97. 46 Chen JT, Kuhlmann T, Jansen GH, et al. Voxel-based analysis of the evolution of magnetization transfer ratio to quantify remyelination and demyelination with histopathological validation in a multiple sclerosis lesion. NeuroImage 2007; 36: 1152–58. 47 Chen JT, Collins DL, Freedman MS, Atkins HL, Arnold DL, Canadian MS/BMT Study Group. Local magnetization transfer ratio signal inhomogeneity is related to subsequent change in MTR in lesions and normal-appearing white-matter of multiple sclerosis patients. NeuroImage 2005; 25: 1272–78. 48 Sled JG, Pike GB. Quantitative interpretation of magnetization transfer in spoiled gradient echo MRI sequences. J Magn Reson 2000; 145: 24–36. 193 10-12-2008 20:18:35 Rassegne 49 Ropele S, Seifert T, Enzinger C, Fazekas F. Method for quantitative imaging of the macromolecular 1H fraction in tissues. Magn Reson Med 2003; 49: 864–71. 50 Tozer D, Ramani A, Barker GJ, Davies GR, Miller DH, Tofts PS. Quantitative magnetization transfer mapping of bound protons in multiple sclerosis. Magn Reson Med 2003; 50: 83–91. 51 Narayanan S, Francis SJ, Sled JG, et al. Axonal injury in the cerebral normal-appearing white matter of patients with multiple sclerosis is related to concurrent demyelination in lesions but not to concurrent demyelination in normal-appearing white matter. NeuroImage 2006; 29: 637–42. 52 Behrens TEJ, Johansen-Berg H, Woolrich MW, et al. Non-invasive mapping of connections between human thalamus and cortex using diffusion imaging. Nat Neurosci 2003; 6: 750–57. 53 Audoin B, Guye M, Reuter F, et al. Structure of WM bundles constituting the working memory system in early multiple sclerosis: a quantitative DTI tractography study. NeuroImage 2007; 36: 1324–30. 54 Pagani E, Filippi M, Rocca MA, Horsfield MA. A method for obtaining tract-specific diffusion tensor MRI measurements in the presence of disease: application to patients with clinically isolated syndromes suggestive of multiple sclerosis. NeuroImage 2005; 26: 258–65. 55 Jbabdi S, Woolrich MW, Andersson JLR, Behrens TE. A Bayesian framework for global tractography. NeuroImage 2007; 37: 116–29. 56 Kamada K, Houkin K, Takeuchi F, et al. Visualization of the eloquent motor system by integration of MEG, functional, and anisotropic diffusion-weighted MRI in functional neuronavigation. Surg Neurol 2003; 59: 353–62. 57 Bodurka J, Bandettini PA. Toward direct mapping of neuronal activity: MRI detection of ultraweak, transient magnetic fields changes. Magn Reson Med 2002; 47: 1052–58. 58 Truong TK, Song AW. Finding neuroelectric activity under magneticfield oscillations (NAMO) with magnetic resonance imaging in vivo. Proc Natl Acad Sci U S A 2006; 103: 12598–601. 59 Ogawa S, Lee TM, Kay AR, Tank DW. Brain magnetic resonance imaging with contrast dependent on blood oxygenation. Proc Natl Acad Sci U S A 1990; 87: 9868–72. 60 Rocca MA, Filippi M. Functional MRI in multiple sclerosis. J Neuroimaging 2007; 1: 36S–41S. 61 Rocca MA, Colombo B, Falini A, et al. Cortical adaptation in patients with MS: a cross-sectional functional MRI study of disease phenotypes. Lancet Neurol 2005; 4: 618–26. 62 Stephan KE, Harrison LM, Kiebel SJ, David O, Penny WD, Friston KJ. Dynamic causal models of neural system dynamics: current state and future extensions. J Biosci 2007; 32: 129–44. 63 Rocca MA, Pagani E, Absinta M, et al. Altered functional and structural connectivities in patients with MS: a 3-T study. Neurology 2007; 69: 2136–45. 64 Rocca MA, Valsasina P, Ceccarelli A, et al. Structural and functional MRI correlates of Stroop control in benign MS. Hum Brain Mapp 2007; published online Nov 27. DOI: 10.1002/hbm.20504. 65 Wegner C, Filippi M, Korteweg T, et al. Relating functional changes during hand movement to clinical parameters in patients with multiple sclerosis in a multi-centre fMRI study. Eur J Neurol 2008; 15: 113–22. 66 Youl BD, Turano G, Miller DH, et al. The pathophysiology of acute optic neuritis. An association of gadolinium leakage with clinical and electrophysiological deficits. Brain 1991; 114: 2437–50. 67 Hickman SJ, Toosy AT, Jones SJ, et al. Serial magnetization transfer imaging in acute optic neuritis. Brain 2004; 127: 692–700. 68 Trip SA, Wheeler-Kingshott C, Jones SJ, et al. Optic nerve diffusion tensor imaging in optic neuritis. NeuroImage 2006; 30: 498–505. 69 Frohman E, Costello F, Zivadinov R, et al. Optical coherence tomography in multiple sclerosis. Lancet Neurol 2006; 5: 853–63. 70 Lycklama G, Thompson A, Filippi M, et al. Spinal-cord MRI in multiple sclerosis. Lancet Neurol 2003; 2: 555–62. 71 Agosta F, Filippi M. MRI of spinal cord in multiple sclerosis. J Neuroimaging 2007; 1: 46S–49S. 72 Agosta F, Valsasina P, Caputo D, Stroman PW, Filippi M. Tactileassociated recruitment of cervical cord is altered in patients with multiple sclerosis. NeuroImage 2008; 39: 1542–48. 73 Kendi AT, Tan FU, Kendi M, Yilmaz S, Huvaj S, Tellioğlu S. MR spectroscopy of cervical spinal cord in patients with multiple sclerosis. Neuroradiology 2004; 46: 764–69. 74 Ciccarelli O, Wheeler-Kingshott CA, McLean MA, et al. Spinal cord spectroscopy and diffusion-based tractography to assess acute 194 03 Rassegne okok.indd 194 disability in multiple sclerosis. Brain 2007; 130: 2220–31. 75 Agosta F, Pagani E, Caputo D, Filippi M. Associations between cervical cord gray matter damage and disability in patients with multiple sclerosis. Arch Neurol 2007; 64: 1302–05. 76 Whittall KP, MacKay AL, Graeb DA, Nugent RA, Li DK, Paty DW. In vivo measurement of T2 distributions and water contents in normal human brain. Magn Reson Med 1997; 37: 34–43. 77 Beaulieu C, Fenrich FR, Allen PS. Multicomponent water proton transverse relaxation and T2-discriminated water diffusion in myelinated and nonmyelinated nerve. Magn Reson Imaging 1998; 16: 1201–10. 78 Moore GR, Leung E, MacKay AL, et al. A pathology-MRI study of the short-T2 component in formalin-fixed multiple sclerosis brain. Neurology 2000; 55: 1506–10. 79 Oh J, Han ET, Lee MC, Nelson SJ, Pelletier D. Multislice brain myelin water fractions at 3T in multiple sclerosis. J Neuroimaging 2007; 17: 156–63. 80 Laule C, Vavasour IM, Moore GR, et al. Water content and myelin water fraction in multiple sclerosis. A T2 relaxation study. J Neurol 2004; 251: 284–93. 81 Oh J, Han ET, Pelletier D, Nelson SJ. Measurement of in vivo multicomponent T2 relaxation times for brain tissue using multislice T2 prep at 1·5 and 3 T. Magn Reson Imaging 2006; 24: 33–43. 82 Laule C, Vavasour IM, Kolind SH, et al. Long T(2) water in multiple sclerosis: what else can we learn from multi-echo T(2) relaxation? J Neurol 2007; 254: 1579–87. 83 Ge Y, Law M, Johnson G, et al. Dynamic susceptibility contrast perfusion MR imaging of multiple sclerosis lesions: characterizing hemodynamic impairment and inflammatory activity. AJNR Am J Neuroradiol 2005; 26: 1539–47. 84 Ge Y, Law M, Inglese M, Grossman RI. Perfusion MRI. In: Filippi M, Rovaris M, Comi G (eds). Neurodegeneration in multiple sclerosis. Milan: Springer-Verlag, 2007: 55–63. 85 Adhya S, Johnson G, Herbert J, et al. Pattern of hemodynamic impairment in multiple sclerosis: dynamic susceptibility contrast perfusion MR imaging at 3·0 T. NeuroImage 2006, 33: 1029–35. 86 Wang J, Alsop DC, Li L, et al. Comparison of quantitative perfusion imaging using arterial spin labeling at 1·5 and 4·0 Tesla. Magn Reson Med 2002, 48: 242–54. 87 Sicotte NL, Voskuhl RR, Bouvier S, Klutch R, Cohen MS, Mazziotta JC. Comparison of multiple sclerosis lesions at 1·5 and 3·0 Tesla. Invest Radiol 2003; 38: 423–27. 88 Kangarlu A, Bourekas EC, Ray-Chaudhury A, Rammohan KW. Cerebral cortical lesions in multiple sclerosis detected by MR imaging at 8 Tesla. AJNR Am J Neuroradiol 2007; 28: 262–66. 89 Smith SA, Farrell JA, Jones CK, Reich DS, Calabresi PA, van Zijl PC. Pulsed magnetization transfer imaging with body coil transmission at 3 Tesla: feasibility and application. Magn Reson Med 2006; 56: 866–75. 90 Neema M, Stankiewicz J, Arora A, et al. T1 and T2 based MRI patients with multiple sclerosis. J Neuroimaging 2007; 17: 16S–21S. 91 Hammond KE, Lupo JM, Xu D, et al. Development of a robust method for generating 7·0 T multichannel phase images of the brain with application to normal volunteers and patients with neurological diseases. NeuroImage 2008; 39: 1682–92. 92 Thulborn KR, Davis D, Snyder J, Yonas H, Kassam A. Sodium MR imaging of acute and subacute stroke for assessment of tissue viability. Neuroimaging Clin N Am 2005; 15: 639–53. 93 Stankiewicz J, Panter SS, Neema M, Arora A, Batt CE, Bakshi R. Iron in chronic brain disorders: imaging and neurotherapeutic implications. Neurotherapeutics 2007; 4: 371–86. 94 Brass SD, Benedict RHB, Weinstock-Guttman B, Munschauer FE, Bakshi R. Cognitive impairment is associated with subcortical MRI gray matter T2 hypointensity in multiple sclerosis. Mult Scler 2006; 12: 437–44. 95 Zhang Y, Zabad RK, Wei X, Metz LM, Hill MD, Mitchell JR. Deep gray matter “black T2” on 3 tesla magnetic resonance image correlates with disability in multiple sclerosis. Mult Scler 2007; 13: 880–83. 96 Ge Y, Jensen JH, Lu H, et al. Quantitative assessment of iron accumulation in the deep gray matter of multiple sclerosis by magnetic field correlation imaging. AJNR Am J Neuroradiol 2007; 28: 1639–44. 97 Vrenken H, Geurts JJG, Knol DL, et al. Whole-brain T1 mapping in multiple sclerosis: global changes of normal-appearing gray and white matter. Radiology 2006; 240: 811–20. 98 Tanenbaum LN. Clinical 3T MR imaging: mastering the challenges. Magn Reson Imaging Clin N Am 2006; 14: 1–15. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:36 Rassegne La trattografia nei disturbi neurologici: concetti, applicazioni e sviluppi futuri Articolo accreditato per corso di formazione a distanza (FAD) 6 crediti (totali per 4 articoli) Olga Ciccarelli, Marco Catani, Heidi Johansen-Berg, Chris Clark, Alan Thompson La trattografia consente la ricostruzione grafica delle vie della sostanza bianca nell’encefalo e nel midollo spinale degli esseri umani in vivo. Questa tecnica ha molte applicazioni cliniche potenziali, come lo studio dell’ictus, della sclerosi multipla, dell’epilessia, delle malattie neurodegenerative e dei disturbi del midollo spinale, e permette di testare ipotesi che precedentemente non era possibile considerare negli esseri umani in vivo. Questa revisione delineerà i limiti della trattografia, ne descriverà le attuali applicazioni cliniche nelle più comuni malattie neurologiche ed evidenzierà le opportunità future. Introduzione La trattografia è una tecnica che permette di rappresentare le vie cerebrali in vivo utilizzando immagini pesate in diffusione; negli ultimi anni è aumentato il numero di ricercatori che hanno utilizzato la trattografia per studiare i disturbi neurologici. Per interpretare correttamente i risultati degli studi clinici pubblicati è essenziale conoscere i principi di base della trattografia (Tabella). Inoltre, la conoscenza delle informazioni che la trattografia è in grado di fornire ai medici insieme a una nozione approfondita dei limiti della tecnica sono i presupposti per far avanzare le applicazioni cliniche della trattografia. In questa revisione forniamo una panoramica delle attuali applicazioni cliniche della trattografia, dei suoi limiti tecnici e delle sue applicazioni future. In primo luogo, descriveremo la metodologia e i limiti della trattografia. Successivamente, riesamineremo i lavori che hanno applicato la trattografia allo studio delle più comuni malattie neurologiche. Infine, discuteremo gli sviluppi futuri della trattografia e le sue applicazioni più promettenti. Trattografia diffusionale La trattografia è una tecnica basata sul movimento direzionale dell’acqua, che è determinato dalla microstruttura cerebrale e visualizzato con immagini di risonanza magnetica pesate in diffusione1-3 per generare rappresentazioni virtuali tridimensionali dei fasci di fibre della sostanza bianca (Riquadro).4-7 La capacità di rappresentare le vie della sostanza bianca in una modalità non invasiva è il motivo per cui la trattografia ha generato tanto entusiasmo e così elevate attese.8 I metodi convenzionali per visualizzare i fasci di fibre e analizzare le connessioni cerebrali, come quelli usati in studi con traccianti, seguono le proiezioni neuronali a partire dalla sede di iniezione del tracciante, ma queste tecniche sono invasive e limitate ai primati. Le tecniche trattografiche, tuttavia, seguono la direzione preferenziale dell’acqua fornita dal tensore di diffusione9 in ciascun voxel di immagine (pixel volumetrico) da una regione di partenza (seed), aprendo la possibilità di studiare l’organizzazione e le connessioni della sostanza bianca negli esseri umani in vivo. Inoltre, il metodo di RM utilizzato per fornire le informazioni necessarie per il processo trattografico può essere facilmente eseguito su sistemi RM standard, con tempi di acquisizione che di solito vanno da 3 a 20 minuti, a seconda della qualità dei dati di immagine richiesta. I principali assunti che sottendono alla trattografia sono che la direzione dominante del movimento dell’acqua – l’asse principale del tensore di diffusione – è allineata con l’orientamento prevalente delle fibre in un voxel di immagine.1 Il tensore di diffusione è una descrizione matematica della grandezza e della direzione (anisotropia) del movimento delle molecole d’acqua in uno spazio tridimensionale.10 Nella sostanza bianca cerebrale, la diffusione è direzionale (anisotropa) lungo le fibre perché le molecole Spiegazione Volume della via Il volume delle vie ottenute con la trattografia (mm3 o cm3) Anisotropia frazionaria (FA) Una misura della deviazione dall’isotropia che mostra il grado in cui il tensore di diffusione è “anisotropico”. Elevate FA si trovano in regioni dell’encefalo che contengono fibre di sostanza bianca perché le molecole d’acqua si spostano più facilmente in modo parallelo alle fibre Diffusività media (MD) Moto molecolare medio, indipendente dalla direzione del tessuto Diffusività parallela Diffusività parallela alle fibre assonali (diffusività assiale) Diffusività radiale Diffusività perpendicolare alle fibre assonali, che viene calcolata dalla grandezza media della diffusione lungo due direzioni perpendicolari in posizione ortogonale alla direzione della massima diffusione globale Un indice fornito da algoritmi probabilistici della trattografia a ogni singolo voxel che indica la probabilità di connessione al punto di partenza Connettività basata sui voxel Lancet Neurol 2008; 7: 715-27 Department of Brain Repair and Rehabilitation, Institute of Neurology, University College London, Queen Square, London, UK (O Ciccarelli PhD, A Thompson FRCP); Centres for Neuroimaging Sciences and Brain Maturation, Department of Psychological Medicine, Institute of Psychiatry, King’s College London, London, UK (M Catani PhD); Centre for Functional Magnetic Resonance Imaging of the Brain, University of Oxford, Oxford, UK (H Johansen-Berg PhD); Institute of Child Health, University College London, Queen Square, London, UK (C Clark PhD) Corrispondenza: Olga Ciccarelli, Institute of Neurology, Queen Square, London WC1N 3BG, UK [email protected] Tabella: Misure derivate dalla diffusione e derivate dalla trattografia comunemente riportate negli studi clinici The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 195 195 10-12-2008 20:18:37 Rassegne Riquadro: Informazioni utili su metodi e applicazioni della trattografia Software e atlanti https://www.mristudio.org http://www.fmrib.ox.ac.uk/fsl/ http://www.cs.ucl.ac.uk/research/medic/camino/ http://lbam.med.jhmi.edu/ http://graphics.stanford.edu/projects/dti/ http://www.nitrc.org/projects/vmagnotta/ http://cmrm.med.jhmi.edu/DTIuser/DTIuser.asp http://www.dtiatlas.org/ http://www.natbrainlab.com si muovono più facilmente parallelamente alle fibre nervose e sono per la maggior parte ostacolate o limitate nel loro movimento perpendicolare alle fibre stesse. Pertanto, il tensore di diffusione fornisce due importanti tipi di informazioni in ogni immagine di voxel: la grandezza dell’anisotropia di diffusione e l’orientamento di massima diffusione. Gli algoritmi della trattografia usano queste informazioni per monitorare interi fasci di fibre della sostanza bianca deducendo l’architettura dei fasci di fibre da voxel a voxel;4-6 cioè, la direzione di massima diffusione in un determinato voxel è seguita in un voxel adiacente (Figura 1). Se l’angolo tra le due direzioni è inferiore a un angolo predeterminato, allora i due voxel sono connessi e il processo viene ripetuto seguendo la via nervosa (streamline), attraverso la sostanza bianca nell’immagine cerebrale. Tuttavia, se l’angolo tra le direzioni di massima diffusione è superiore alla soglia scelta, la streamline è interrotta in quel punto. Le soglie angolari possono essere usate in questo modo per evitare percorsi non plausibili, come quelli che voltano a 90°. Tuttavia, non tutti gli algoritmi usano questa soglia. Una seconda soglia, “la soglia di anisotropia”, assicura che le streamline continuino in zone dell’encefalo dove è ben definita la direzione di massima diffusione. Poiché l’incertezza della direzione di massima diffusione diminuisce con l’aumentare dell’anisotropia in un voxel,11 la streamline procede solo se l’anisotropia in ciascun voxel è superiore a un valore di soglia predeterminato. Pertanto, i risultati che otteniamo dalla trattografia dipendono da diversi fattori che sono sotto il controllo del ricercatore, come la soglia angolare e la soglia di anisotropia e la regione di interesse che viene utilizzata per iniziare la trattografia. Limiti della trattografia I traccianti iniettati possono seguire singole terminazioni neuronali, mentre la trattografia segue l’asse principale del tensore di diffusione, che è la media del segnale RM in un voxel, con una tipica risoluzione di 2,5 mm3.12 Le discrepanze tra la scala del diametro assonale e la dimensione delle immagini voxel (cioè, la bassa risoluzione spaziale), il rumore contenuto nei dati di diffusione13 e gli artefatti di immagine rappresentano la maggior parte dei limiti 196 03 Rassegne okok.indd 196 associati alla trattografia. La trattografia con tensore di diffusione presuppone che le fibre visualizzate in ogni voxel siano ben descritte da una singola stima di orientamento; pertanto la tecnica funziona male nelle regioni in cui vi è più di una popolazione di fibre o dove le fibre si incrociano, si accostano, convergono o divergono. Questi limiti potrebbero portare a seguire vie che non esistono (falso positivo) o a non seguire adeguatamente vie che esistono (falso negativo); pertanto, l’interpretazione dei dati della trattografia richiede esperienza e conoscenza a priori. Sono ora disponibili sviluppi della trattografia basati sull’HARDI (immagini di diffusione a elevata risoluzione angolare)14 e sull’appropriata elaborazione di profili di diffusione multi-picco in grado di evidenziare fibre che si incrociano.15-18 Tuttavia, i metodi più complessi di analisi possono essere anche più complessi dal punto di vista del calcolo e necessitano di tempi più lunghi di elaborazione. Altri limiti includono l’incapacità di distinguere le connessioni anterograde da quelle retrograde, di individuare la presenza di sinapsi o di determinare se una via è funzionale.19 Finora, pochi ricercatori hanno validato i risultati della trattografia con traccianti neuronali20,21 o eseguito analisi di riproducibilità sull’uomo.22-24 Un convincente confronto della trattografia con i risultati della dissezione smussa è stato pubblicato da Lawes e collaboratori.25 Sono stati descritti vari algoritmi della trattografia, ma non vi è consenso su quale sia il più efficace. La mancanza di un modo obiettivo per valutare la prestazione di un algoritmo rispetto a un altro, poiché non può essere determinata l’esatta anatomia dei fasci di fibre nell’encefalo umano, ha reso questo problema insolubile. Occorre ottimizzare le soglie e gli altri parametri della trattografia e ciò verosimilmente causerà disaccordi fra i ricercatori. Applicazioni cliniche della trattografia Ictus Le immagini pesate in diffusione vengono utilizzate di routine nei pazienti con ictus acuto per visualizzare la lesione, che viene quantificata dall’aumento della diffusività nella sede di un infarto. Le immagini con tensore di diffusione (DTI) possono fornire ulteriori informazioni circa la dipendenza direzionale del segnale di diffusione. Riduzioni dell’anisotropia frazionaria con aumenti meno pronunciati della diffusività identificano le regioni di degenerazione walleriana lungo le vie a valle della regione colpita dall’ictus.26 Le analisi dell’anisotropia frazionaria possono essere effettuate all’interno di regioni di interesse definite manualmente o per ciascun voxel nell’encefalo dopo la registrazione di tutte le immagini dei pazienti per ottenere un’immagine standard dello spazio cerebrale. Tali analisi non necessitano della trattografia. Alcuni gruppi, tuttavia, hanno eseguito analisi con la trattografia per individuare una via di interesse, di solito il tratto corticospinale, e poi ottenere misure quantitative lungo specifiche vie27,28 o misure di sovrapposizione tra il volume della lesione e The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:37 Rassegne Figura 1: Diagramma schematico di un approccio di trattografia con linee di corrente (streamline) È generata una linea continua collegando pixel adiacenti sulla base della somiglianza direzionale della loro massima direzione di diffusione. La massima direzione di diffusione a ciascun voxel è indicata dalla freccia e si presume che si allinei con l’orientamento assonale predominante. Il tracciamento viene iniziato dal pixel centrale. Adattata da Mori e van Zijl4 per gentile concessione di Wiley. il coinvolgimento della via,29 da correlare all’esito clinico o a specifici punteggi funzionali.30 Questi studi hanno dimostrato che una diminuzione dell’integrità strutturale del tratto corticospinale, come misurato da una riduzione dall’anisotropia frazionaria, è associata a un esito peggiore, valutato da specifici punteggi neurologici.30 Ciò è in linea con precedenti lavori secondo i quali l’integrità funzionale del tratto corticospinale è di fondamentale importanza nel determinare l’esito clinico.31 Benché tali osservazioni siano state utili, è discutibile se l’uso della trattografia per definire il tratto corticospinale sia un passo fondamentale in tali analisi. Un danno strutturale alle vie motore efferenti non solo predice il recupero motorio ma potrebbe anche predire la riorganizzazione funzionale. Nelle scimmie il recupero dopo una lesione corticale motoria indotta sperimentalmente è risultato associato a rimappaggio locale32 e distale33 al sito lesionale.Nei pazienti che hanno avuto un ictus si osserva comunemente una maggiore attività in aree motorie non primarie34 e in aree motorie dell’emisfero non lesionato,35 che potrebbe avere un ruolo nel recupero, almeno in alcuni pazienti.36,37 Per valutare l’entità secondo cui il danno strutturale delle vie motorie efferenti predice la riorganizzazione funzionale, Newton e collaboratori38 hanno usato la trattografia in individui sani per definire una mappa probabilistica delle vie corticofugali da molte aree motorie. Nei pazienti che hanno avuto un ictus, è stato proposto che l’entità della sovrapposizione tra la lesione e la via probabilistica sia correlata al grado di iperattivazione delle aree motorie non primarie. Anche se Newton e collaboratori hanno usato la trattografia per definire un modello di fascio di fibre, non è chiaro se questi fasci corticospinali definiti mediante trattografia comportino una sensibilità sostanzialmente maggiore rispetto ai precedenti modelli di fasci corticospinali basati sull’anatomia della sostanza bianca.39 Studi successivi hanno utilizzato analisi basate sulla trattografia per quantificare i danni alla via corticospinale; ad esempio, Schaechter e collaboratori40 hanno dimostrato che l’aumento del danno del fascio corticospinale nell’emisfero lesionato, quantificato dal numero delle fibre di trattografia ricostruite per questa via, era correlato a una maggiore risposta funzionale nella corteccia sensorimotoria controlesionale (Figura 2) e nelle regioni ventrali della corteccia sensorimotoria ipsilesionale.40 Questi risultati concordano con le osservazioni nei modelli animali di recupero dell’ictus, che hanno dimostrato che il grado di rimappaggio funzionale si correla con le dimensioni della lesione ischemica nella corteccia motoria primaria.33 151 fibre 75 fibre Trattografia Morfometria Trattografia + morfometria % di cambiamento del segnale BOLD Emisfero opposto alla lesione Integrità CST ipsilesionale Figura 2: Correlazione tra integrità strutturale e riorganizzazione funzionale dopo un ictus (A) La ricostruzione basata sulla trattografia del tratto corticospinale (CST) in ciascun paziente è stata utilizzata per calcolare la sua asimmetria strutturale (“fibre” si riferisce alle vie tracciate attraverso i dati di diffusione e non indica il numero di assoni sottostanti). (B) Le aree in cui la fMRI è correlata con la trattografia si sovrappongono alle aree in cui la fMRI è correlata a misure morfologiche di asimmetria della via corticospinale (volume del peduncolo cerebrale). (C) Correlazione tra segnale fMRI BOLD (blood-oxygen-level-dependent) e misura di integrità del CST basata sulla trattografia. Adattata da Schaechter e collaboratori40 per gentile concessione di Elsevier. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 197 197 10-12-2008 20:18:43 Rassegne La trattografia ha offerto un utile contributo allo studio dell’ictus, fornendo nuove informazioni sull’anatomia dell’encefalo umano.19 La precisa determinazione di quali vie della sostanza bianca sono state interrotte da un ictus può spiegare i sintomi; ad esempio, gli ictus dell’arteria cerebrale posteriore causano neglect visuospaziale solo quando le lesioni comprendono la regione della sostanza bianca attraverso la quale viaggiano le connessioni dal giro paraippocampale al giro angolare.41 Analogamente, la trattografia delle vie del linguaggio aiuta a spiegare le modalità dei deficit in diversi tipi di afasia.42 Una futura applicazione della trattografia potrebbe essere la visualizzazione di modificazioni potenzialmente adattative nella struttura della sostanza bianca dopo un ictus.43 La deduzione della presenza o dell’assenza di una via mediante la sola trattografia deve essere eseguita con attenzione perché la tecnica è soggetta a falsi positivi e falsi negativi e può dare risultati spuri in presenza di danni o degenerazione.26 Tuttavia, prove assolute di un ricablaggio (rewiring) sono state viste in casi estremi, come la disgenesia callosale44 o l’emisferectomia.45 La trattografia ha identificato fibre longitudinali aberranti in pazienti con disgenesia callosale, come il fascio di Probst,44,46 che è già stato descritto in studi neuropatologici. È stata anche identificata una via precedentemente non descritta che sembra collegare il lobo frontale alla corteccia occipitale controlaterale.44 Un ulteriore esempio di ricablaggio si osserva nei pazienti sottoposti a emisferectomia, un trattamento chirurgico per l’epilessia intrattabile che può causare “visione cieca” in alcuni pazienti. La trattografia dal collicolo superiore dei pazienti che hanno subito un’emisferectomia e presentano visione cieca può visualizzare vie che attraversano l’emisfero intatto; queste vie non si osservano nei pazienti trattati che hanno subito un’emisferectomia ma che non hanno visione cieca o nei controlli.45 Ciò solleva la possibilità che danni localizzati, come l’ictus, possano portare a ricablaggio di specifici percorsi neuronali. I risultati di studi condotti su animali indicano che dopo un ictus47 o dopo l’apprendimento di abilità48 può verificarsi un ricablaggio cortico-corticale drammatico. L’individuazione di tali cambiamenti in pazienti che hanno avuto un ictus costituisce una sfida, ma potrebbe essere possibile con la crescente sensibilità dell’acquisizione dei dati e gli approcci di modellamento.15 Sclerosi multipla La trattografia è stata utilizzata in pazienti con sclerosi multipla (SM) per rispondere a quattro domande. La trattografia può essere utilizzata per valutare i processi patologici nelle vie della sostanza bianca? La trattografia migliora la concordanza tra i reperti radiologici e la disabilità clinica? L’indice di connettività derivato dalla trattografia può essere correlato alla disabilità in modo migliore e indipendente rispetto all’anisotropia frazionaria? La trattografia rileva le alterazioni strutturali che contribuiscono a cambiamenti funzionali adattativi? Qualsiasi studio in pazienti con SM che usi la trattografia 198 03 Rassegne okok.indd 198 deve considerare le lesioni della sostanza bianca e i loro possibili effetti sui risultati dell’esame. In particolare, il valore anisotropico frazionario nei voxel che includono le lesioni è inferiore a quello della sostanza bianca dei soggetti sani e l’anisotropia frazionaria della sostanza bianca al di fuori delle lesioni (o della sostanza bianca di aspetto normale) è inferiore a quella della sostanza bianca normale.49 Questa anisotropia frazionaria così marcatamente bassa può erroneamente far terminare l’algoritmo per la ricostruzione della traccia o causare una deviazione dei fasci a livello delle lesioni. Un approccio per superare questi problemi è quello di creare una mappa di probabilità di una particolare via con la trattografia deterministica in soggetti di controllo e poi applicare la mappa di probabilità ai pazienti, per ottenere gli indici di diffusione lungo il fascio di fibre.50,51 Con questo approccio, i pazienti con forme remittenti-recidivanti di SM e sindromi motorie clinicamente isolate presentano indici di diffusione anomali nel tratto corticospinale rispetto ai controlli e ai pazienti senza sintomi motori.50,51 Queste anomalie di diffusione e la loro correlazione con il carico lesionale del tratto corticospinale confermano i processi patologici in corso nel tratto corticospinale, come la degenerazione walleriana o l’infiammazione diffusa. La ricerca ha dimostrato la rilevanza clinica degli indici di diffusione derivati dalla trattografia nei pazienti con SM. Gli autori dei tre studi50,52,53 pubblicati dallo stesso gruppo hanno riferito che si può ottenere un miglioramento delle correlazioni tra misure RM e disabilità focalizzandosi su specifici sistemi cerebrali, come i sistemi motori o cognitivi, e usando un algoritmo trattografico che gli autori ritengono appropriato per la SM, in cui le traiettorie non sono interrotte da valori soglia dell’anisotropia frazionaria.54 Finora la trattografia è stata utilizzata per segmentare le vie in esame (ad es., per ottenere una regione di interesse tridimensionale rappresentativa della via e da cui possono essere calcolati gli indici delle intere vie). Lo sviluppo di un metodo per calcolare parametri normalizzanti rispetto alla lunghezza ha apportato un miglioramento nella ricostruzione del fascio corticospinale: tale metodo consente di eseguire confronti anatomici tra i partecipanti di ogni segmento del fascio corticospinale.55 Questo metodo, che ha il vantaggio di eliminare parzialmente le possibili differenze esistenti tra i partecipanti agli studi nelle dimesioni dei fasci di fibre, è stato utilizzato per studiare gli anormali indici di diffusione nel fascio corticospinale di pazienti con forme recidivanti di neuromielite ottica.55 Tuttavia, a causa dei ben noti limiti del metodo streamline per individuare le fibre che si incrociano, in particolare nel ponte dove il fascio corticospinale incrocia le fibre trasverse pontine, non è stato possibile individuare l’intero tratto corticospinale. Un ulteriore obiettivo della ricerca trattografica nei pazienti con SM è stato quello di introdurre misure quantitative indicative della patologia in corso che causa disabilità. Abbiamo esaminato i pazienti 1 anno dopo The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:44 Hole peg test medio (sec) Rassegne Connettività media dei cordoni posteriori Figura 3: Cordoni posteriori del midollo spinale in un soggetto di controllo e relazione tra la loro connettività media e la disabilità Cordoni posteriori (verde) sovrapposti su immagini di anisotropia funzionale del midollo spinale assiale (A) e sagittale (B). Le scale di colore di tutti i cordoni mostrati indicano il valore di connettività basato sui voxel: i colori più chiari indicano valori più alti di connettività (o maggiore probabilità di connessione). (C), Diagramma della connettività media dei cordoni posteriori rispetto al tempo per completare il test nine-hole peg, che indica la funzione degli arti superiori. Adattata da Ciccarelli e collaboratori57 per gentile concessione di Oxford University Press. l’insorgenza di neurite ottica acuta e abbiamo rilevato che vi era una ridotta connettività basata sui voxel nelle radiazioni ottiche rispetto ai controlli, mentre l’anisotropia frazionaria di queste vie non differiva tra i gruppi.56 Una possibile spiegazione di questa osservazione è che la minore connettività nei pazienti con neurite ottica sia dovuta alla degenerazione degli assoni nella radiazione ottica secondaria alla perdita di fibre nel nervo ottico a causa di degenerazione transinaptica. Abbiamo poi reclutato pazienti all’esordio di una recidiva a livello del midollo spinale e monitorato le principali vie della sostanza bianca che passano attraverso il midollo cervicale57 con un approccio probabilistico.58 La connettività media e l’anisotropia frazionaria delle vie corticospinali laterali e dei cordoni posteriori erano più basse nei pazienti con SM rispetto ai controlli. Solo la connettività media dei cordoni posteriori era correlata alla disabilità, indipendentemente dalle altre misure, dall’età e dal sesso, ed era inferiore nei pazienti con maggiore disabilità agli arti superiori (Figura 3). Questi dati indicano che negli studi clinici la connettività può essere utilizzata come complemento dell’anisotropia funzionale, poiché la connettività potrebbe evidenziare altre caratteristiche, come la geometria e la lunghezza delle vie, ed essere correlata alla disabilità meglio dell’anisotropia frazionaria e indipendentemente da questa. Anche se i processi patologici che stanno alla base delle modificazioni nella connettività sono sconosciuti, i processi patologici che contribuiscono ai cambiamenti dell’anisotropia frazionaria sono stati studiati.59,60 Un’analisi delle fibre del corpo calloso61 con trattografia probabilistica62 ha dimostrato che era possibile evidenziare una minore connettività nei pazienti con SM che avevano una maggiore atrofia callosale (cioè, un’area callosale più piccola). Poiché si ritiene che l’area callosale sia una misurazione in vivo della perdita assonale, questa osservazione indica che la connettività potrebbe essere una misura del numero di assoni. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 199 Una questione importante in pazienti con SM è se i cambiamenti strutturali indicati da indici di diffusione anormali contribuiscono alla riorganizzazione funzionale del cervello. Audoin e collaboratori63 hanno portato contributi sulle connessioni della sostanza bianca che costituiscono il sistema della memoria di lavoro.63 Queste connessioni, quando segmentate con la trattografia, 64 mostravano indici anomali di diffusione, che includevano un aumento delle connessioni tra aree come il talamo sinistro e quello destro e una diminuzione delle connessioni tra le altre aree.63 Tuttavia, quando si interpretano tali risultati, occorre tenere presente che il numero di connessioni visualizzate con la trattografia non rappresenta il numero effettivo di fibre. Gli autori di due studi65,66 hanno dimostrato che vi erano correlazioni tra gli indici di diffusione ottenuti con la trattografia e le misure di connettività funzionale ottenute con un software di mappatura parametrica statistica (SPM2); ciò indica che i danni alle fibre della sostanza bianca potrebbero indurre modificazioni adattative funzionali che limitano le conseguenze cliniche del danno.65,66 Per maggiori informazioni sul software SPM2 si veda http://www.fil.ion.ucl.ac.uk/ spm/software/spm2/ Epilessia La trattografia è stata usata per studiare i pazienti con epilessia con quattro obiettivi:67 valutare l’effetto fisiopatologico dell’epilessia cronica, o della patologia a essa sottostante, sui fasci di fibre nervose della sostanza bianca; indagare l’effetto dell’epilessia del lobo temporale sulla riorganizzazione delle funzioni linguistiche; valutare i cambiamenti strutturali causati da procedure chirurgiche e prevedere gli effetti degli interventi chirurgici. Widjaja e collaboratori68 hanno studiato bambini con malformazioni dello sviluppo corticale trovando che nella maggior parte dei pazienti con displasia corticale focale affetti da epilessia non potevano essere ricostruiti i fasci della sostanza bianca che proiettavano dalla o verso la malformazione corticale. Ciò indica una perdita 199 10-12-2008 20:18:48 Rassegne Figura 4: Distruzione del loop di Meyer dopo intervento di resezione del lobo temporale anteriore in un paziente con quadrantopsia superiore omonima La radiazione ottica destra preoperatoria è sovrapposta a immagini sagittali non pesate in diffusione (a sinistra) e a immagini postoperatorie (a destra). Le radiazioni ottiche preoperatorie ottenute con la trattografia sono sovrapposte al lobo temporale anteriore resecato (a destra), soprattutto nella sua parte anteriore (cioè, il confine anteriore del loop di Meyer). La barra colorata indica le misure di probabilità di connessione o la confidenza di connessione al punto di inizio. Adattata da Powell e collaboratori74 per gentile concessione della American Academy of Neurology. dell’organizzazione e dell’orientamento delle fibre della sostanza bianca sottocorticale a causa delle crisi epilettiche o della displasia corticale. Gli effetti dell’epilessia del lobo temporale sulle strutture correlate alla memoria sono stati valutati da Concha e collaboratori,69 che hanno reclutato pazienti con epilessia del lobo temporale farmacoresistente e sclerosi temporale mesiale unilaterale, segnalando un’inattesa riduzione bilaterale simmetrica dell’anisotropia frazionaria nelle immagini trattografiche70 del fornice e del giro cingolato adiacenti all’ippocampo, suggestiva di degenerazione walleriana. Non è noto se queste anomalie del lobo limbico siano il risultato di crisi ricorrenti o se siano dovute a un fattore che predispone allo sviluppo della sclerosi temporale mesiale. Gli autori hanno calcolato la variabilità intraosservatori nella rappresentazione dei fasci di fibre e hanno tracciato più regioni di interesse quando i fasci non riuscivano a raggiungere le due regioni di interesse inizialmente stabilite per la selezione dei fasci. Tuttavia, il numero di pazienti valutati in questi due studi era piccolo e poiché l’algoritmo della trattografia non teneva conto dei voxel che avevano un’anisotropia frazionaria inferiore a 0,3 come seed voxel, è possibile che la gravità dell’anomalia tissutale sia stata sottovalutata. Tuttavia, l’uso della trattografia deterministica e il disegno manuale delle regioni di interesse per la selezione del fascio di fibre hanno il vantaggio di focalizzarsi su vie separate scelte a priori e riducono il rischio di falsi positivi. Powell e collaboratori71 hanno esaminato la riorganizzazione dei circuiti neuronali del linguaggio in 14 pazienti con epilessia del lobo temporale e sclerosi ippocampale. I pazienti con epilessia del lobo temporale destro e i controlli mostravano una modalità di attivazione del linguaggio e connessioni della sostanza bianca lateralizzate a sinistra, mentre i pazienti con epilessia del lobo temporale sinistro avevano attivazioni funzionali più simmetriche e più collegamenti nell’emisfero destro integro rispetto ai controlli. Gli autori di questo studio hanno confrontato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) con la trattografia. In particolare, la fMRI è stata utilizzata per definire 200 03 Rassegne okok.indd 200 i punti di partenza per la trattografia probabilistica, e ciò ha richiesto la stima di mappe di attivazione in tutti i partecipanti (controlli e pazienti) e la trasformazione di queste mappe nello spazio nativo di ciascun individuo. Anche se questo metodo ha il vantaggio di ridurre la variazione intraosservatori quando si posizionano i voxel di partenza e di studiare tutte le connessioni cerebrali senza restrizioni, ha anche dei limiti. Ad esempio, le mappe di attivazione dei pazienti e dei controlli combinate, anziché una mappa fMRI separata per ciascun partecipante, hanno ridotto la sensibilità nell’individuare le differenze tra gli individui. Inoltre, la co-registrazione di fMRI e DTI può essere inadeguata, portando a distorsioni nell’ottenere i voxel di partenza, e lo smoothing spaziale delle scansioni fMRI porta ad attivazioni che includono la sostanza grigia e quella bianca. Tuttavia, i risultati di questo studio hanno dimostrato che la riorganizzazione strutturale si realizza in presenza di plasticità funzionale, secondaria all’epilessia del lobo temporale. Studi futuri dovranno chiarire se fattori come l’età di insorgenza, la gravità e la dominanza emisferica siano associati alla lateralizzazione dei fasci e alla plasticità funzionale. Le modificazioni indotte chirurgicamente a livello delle radiazioni ottiche e delle strutture limbiche sono state ampiamente studiate. Concha e collaboratori72 hanno esaminato il fornice e il cingolo dei pazienti con epilessia del lobo temporale e sclerosi temporale mesiale unilaterale prima dell’intervento di resezione chirurgica delle strutture temporali mesiali e un anno dopo l’intervento. I pazienti prima dell’intervento presentavano anomalie diffusionali preoperatorie (cioè, ridotta anisotropia frazionaria e aumento della diffusività media), diventate più evidenti dopo l’intervento chirurgico, indicative di degenerazione walleriana delle fibre della sostanza bianca interessate dalla chirurgia. Anche gli indici di diffusione delle vie controlaterali, che non erano direttamente interessate dalla chirurgia, non si normalizzavano nei pazienti liberi da crisi epilettiche; ciò è indicativo di anomalie irreversibili della sostanza bianca.72 Tuttavia, poiché è stata utilizzata la soglia abituale dell’anisotropia frazionaria di 0,3,69 potrebbero essere state sottovalutate anomalie locali. Gli stessi ricercatori hanno fatto un’analisi longitudinale degli indici di diffusione del ginocchio e del corpo calloso in pazienti che erano stati sottoposti a callosotomia, riscontrando modificazioni dinamiche dei parametri di diffusione, quale la diffusività parallela e radiale, come conseguenza degli eventi patologici sottostanti successivi alla transezione assonale chirurgica.73 I limiti di questo studio sono il piccolo campione studiato (sono stati inclusi nello studio solo tre pazienti) e l’utilizzo di scansioni preoperatorie non pesate in diffusione come modello su cui sono state co-registrate e ri-sezionate le corrispondenti immagini postoperatorie, che potrebbe avere introdotto errori nelle misurazioni della diffusione. Tuttavia, il coefficiente di variabilità negli indici di diffusione dello splenio del corpo calloso, che non è stato transezionato, era inferiore al 5% nei tre pazienti e in un controllo, il che implica The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:49 Rassegne l’affidabilità della tecnica. Questi risultati suggeriscono che un’applicazione della trattografia diffusionale rappresenta la valutazione in vivo dei cambiamenti strutturali microscopici conseguenti a danno assonale; ciò potrebbe essere esteso ad altri modelli in vivo di degenerazione e rigenerazione assonale e mielinica. Un’altra interessante applicazione della trattografia è la sua capacità di prevedere le complicanze della chirurgia dell’epilessia refrattaria. Di conseguenza, la trattografia potrebbe essere utilizzata come ausilio per la pianificazione preoperatoria e per prevenire il danno delle funzioni corticali. Powell e collaboratori74 hanno dimostrato che la trattografia probabilistica può essere utilizzata per valutare l’estensione e la localizzazione del loop di Meyer e per prevedere la comparsa di quadrantopsia superiore controlaterale che comunemente consegue a una resezione del lobo temporale anteriore. Gli autori hanno dimostrato che la traiettoria della radiazione ottica era interrotta in un paziente con un difetto del campo visivo, mentre un paziente senza interruzione di tale traiettoria non aveva alcun deficit. Quando la radiazione ottica di destra prima dell’intervento era sovrapposta alle immagini non pesate in diffusione postoperatorie del paziente con la quadrantopsia, la radiazione ottica corrispondeva al lobo temporale anteriore resecato (Figura 4). Nilsson e collaboratori75 hanno esteso tali risultati mediante l’uso della trattografia deterministica per ricostruire la radiazione ottica e hanno misurato le distanze tra la parte più anteriore del loop di Meyer e il corno del polo temporale. Essi hanno dimostrato l’alterazione del loop di Meyer in un paziente con quadrantopsia postoperatoria dopo resezione del lobo temporale, mentre il loop di Meyer era integro in un paziente senza difetto del campo visivo dopo l’intervento. La differenza tra i due pazienti era che la distanza dal loop di Meyer alla punta del corno temporale era più breve di circa 5 mm in quello con quadrantopsia postoperatoria; ciò suggerisce che il rapporto tra queste due strutture potrebbe essere utile per predire il rischio di sviluppare un difetto del campo visivo dopo resezione del lobo temporale per epilessia farmacoresistente. Powell e collaboratori76 hanno combinato la fMRI e la trattografia probabilistica nello studio di pazienti sottoposti a resezione del lobo temporale anteriore dell’emisfero dominante per il linguaggio. Una maggiore lateralizzazione dei fasci di fibre dell’emisfero dominante prima dell’intervento chirurgico è risultata associata a un maggiore declino nel postoperatorio della funzione di denominazione; ciò suggerisce che questa tecnica può predire i deficit postoperatori del linguaggio. Tuttavia, questi risultati sono preliminari perché è stato studiato solo un piccolo campione di pazienti. Una futura applicazione della trattografia nei pazienti con epilessia è correlata alla RM intraoperatoria, che potenzialmente è in grado di ridurre il rischio di complicanze chirurgiche ed eventualmente di visualizzare le connessioni della sostanza bianca che devono essere transezionate per disconnettere funzionalmente il focus epilettico. A questo riguardo, la combinazione di trattoThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 201 Fibre fronto-parietali Fibre frontali Arcuato Cingolo Fornice Uncinato Fascicolo longitudinale inferiore Afasia progressiva primaria e degenerazione corticobasale Demenza fronto-temporale e demenza semantica Malattia di Alzheimer Figura 5: Ricostruzione trattografica delle principali vie di sostanza bianca coinvolte nelle più frequenti malattie neurodegenerative che colpiscono la funzione cognitiva Adattata da Catani e collaboratori80 per gentile concessione di Elsevier. grafia, elettroencefalogramma e fMRI può delineare le vie attraverso cui si propaga l’attività epilettica.77 Benché sia stato descritto un solo caso e la trattografia non possa distinguere tra vie afferenti ed efferenti, tali risultati sottolineano la potenzialità della tecnica di identificare le interazioni funzionali delle regioni coinvolte nelle scariche epilettiformi intercritiche e i loro correlati strutturali. Malattie neurodegenerative Demenze degenerative La perdita di neuroni corticali nei disturbi cognitivi di tipo neurodegenerativo è invariabilmente accompagnata da degenerazione assonale lungo specifiche vie della sostanza bianca. Il processo degenerativo può colpire diversi fasci di fibre a seconda dell’eziologia della patologia, del profilo sintomatologico e della gravità della malattia (Figura 5).78-80 Le immagini con tensore di diffusione forniscono un approccio di rete ai disturbi neurocognitivi e possono individuare le modificazioni cerebrali in una fase precoce del processo neurodegenerativo.81 Ad esempio, una ridotta anisotropia funzionale è stata trovata nel cingolo, nell’ippocampo e nella parte posteriore del corpo calloso di individui cognitivamente sani, ma con aumentato rischio genetico di demenza (ad es., individui portatori di APOEe4).82 Analogamente, alterazioni della diffusione nelle connessioni cortico-sottocorticali sono state individuate in soggetti presintomatici portatori della mutazione genetica per la malattia di Huntington e in pazienti con malattia di Huntington in fase iniziale.83 La trattografia può migliorare la sensibilità e la specificità delle misurazioni in diffusione localizzando i cambiamenti di specifici fasci di fibre nervose.81 Ad esempio, nei pazienti con malattia di Alzheimer sono state dimostrate modificazioni dell’anisotropia frazionaria nelle fibre associative a lunga 201 10-12-2008 20:18:52 Rassegne distanza del lobo temporale coinvolte nelle funzioni di memoria, ma non sono state osservate modificazioni nelle radiazioni ottiche, di solito risparmiate in questi pazienti.84 Dati preliminari suggeriscono che le alterazioni rilevate con le tecniche di diffusione rappresentino la gravità della sottostante patologia della sostanza bianca. Xie e collaboratori85 hanno dimostrato significative associazioni tra valori di anisotropia frazionaria, volumi dell’ippocampo e punteggi del mini-mental state examination in pazienti con malattia di Alzheimer. In un topo transgenico che iperesprime la proteina precursore della beta-amiloide, i parametri di diffusione erano significativamente correlati alla gravità della patologia Alzheimer-simile della sostanza bianca.86 Englund e collaboratori87 hanno eseguito in parallelo esami neuropatologici post mortem e quantificazione dell’anisotropia frazionaria cerebrale di due individui con demenza e hanno riportato che l’entità della patologia della sostanza bianca era significativamente associata a ridotti valori di anisotropia frazionaria in 15 regioni di interesse. In sintesi, i risultati degli studi preliminari indicano che le immagini con tensore di diffusione sono sensibili nell’individuazione di alterazioni microstrutturali in regioni vulnerabili della sostanza bianca di persone a elevato rischio genetico per disturbi cognitivi, anche in fasi presintomatiche o precliniche. La trattografia è stata usata per localizzare la degenerazione lungo specifici fasci di fibre nei pazienti con demenza associata a malattia di Alzheimer. Tuttavia, le immagini con tensore di diffusione hanno attualmente limitate applicazioni cliniche e, malgrado il loro potenziale, il numero di studi pubblicati che hanno usato la trattografia è basso. Ciò potrebbe essere legato alle difficoltà di eseguire studi con la trattografia in pazienti anziani in cui la variabilità interindividuale, soprattutto a causa di alterazioni correlate all’età (ad es., atrofia o iperintensità), riduce la possibilità di trovare differenze significative tra pazienti e controlli (falsi negativi). Tuttavia, le alterazioni atrofiche della sostanza bianca e della corteccia dei pazienti con demenza possono causare effetti di volume parziale e di conseguenza aumentare la probabilità di falsi positivi. Sclerosi laterale amiotrofica La trattografia è stata utilizzata nei pazienti con sclerosi laterale amiotrofica per tracciare una mappa del fascio corticospinale, che viene poi utilizzata come guida per collocare le regioni di interesse. Ad esempio, Aoki e collaboratori88 hanno ricostruito i fasci corticospinale e corticobulbare in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica e in controlli e posizionato le regioni di interesse lungo queste vie con modalità semi-automatica. Anche se ciò non risolve completamente il problema della variabilità interpartecipanti e intraosservatori, questi autori hanno trovato differenze significative nell’anisotropia frazionaria tra pazienti e controlli e tra i pazienti con sclerosi laterale amiotrofica a insorgenza bulbare e quelli con esordio a livello degli arti; ciò indica che questa tecnica è in grado 202 03 Rassegne okok.indd 202 Figura 6: Distorsione delle vie motorie dovuta a un tumore La distorsione della via motoria dovuta a un tumore è visualizzata con la trattografia e sovrapposta a una mappa coronale MD; è facilmente individuabile la vicinanza delle vie motorie al tumore. di rilevare i sottili cambiamenti che contribuiscono alle caratteristiche cliniche della malattia. Tuttavia, la posizione dei fasci corticospinali e corticobulbari presenta variazioni interindividuali e la posizione del fascio corticobulbare cambia all’interno della capsula interna a seconda del suo livello. Pertanto, non è possibile confermare che le misure siano state ottenute da tale via. Abbiamo usato la trattografia probabilistica per segmentare il fascio corticospinale, dalla capsula interna alla corteccia motoria, e quantificare l’anisotropia frazionaria e la connettività basata sui voxel per tutta la sua lunghezza.89 Nei pazienti con sclerosi laterale amiotrofica la connettività è risultata associata alla velocità di progressione della malattia, mentre l’anisotropia frazionaria non ha presentato alcuna correlazione con la disabilità. Abbiamo cercato di limitare l’effetto dell’atrofia cerebrale sulle nostre misurazioni calcolando la frazione individuale della sostanza bianca e includendola nell’analisi; tuttavia, questo studio non è esente da limiti, inclusi quelli dovuti alle fibre che si incrociano e gli effetti di volume parziale che derivano dalla sostanza grigia dei voxel in cui termina il fascio corticospinale ricostruito. Sindromi parkinsoniane Le modificazioni della diffusione in un piccolo numero di pazienti con malattia di Parkinson idiopatica, atrofia multisistemica o paralisi sopranucleare progressiva sono state studiate con trattografia.90 La tecnica potrebbe essere in grado di distinguere tra questi disturbi parkinsoniani perché ciascuno di essi mostra anomalie della diffusione in vie differenti.90 Tuttavia, il numero di pazienti studiati era troppo piccolo per consentire eventuali analisi statistiche o giungere a una conclusione definitiva, e le strutture oggetto di indagine erano colpite da atrofia, il che ha impedito di eseguire la trattografia in alcuni pazienti. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:53 Rassegne I ricercatori che hanno utilizzato la trattografia per studiare le connessioni corticali e sottocorticali del nucleo pedunculopontino91 e del nucleo subtalamico,92 che sono obiettivi di stimolazione per il trattamento della malattia di Parkinson avanzata, suggeriscono che questa tecnica può essere utilizzata prima di un intervento per ottimizzare l’inserimento degli elettrodi di stimolazione. Anche se la trattografia può essere utilizzata per determinare in modo non invasivo i collegamenti e la topografia di queste piccole strutture di sostanza grigia, si dovrebbero considerare diversi limiti metodologici, come la mancanza di dati sulla direzione della via (ad es., retrograda o anterograda), la sua funzione (ad es., inibitoria o eccitatoria) e la difficoltà di individuare vie piccole o più complesse. Applicazioni neurochirurgiche La potenzialità della trattografia per la mappatura delle vie eloquenti della sostanza bianca per la pianificazione neurochirurgica e la neuronavigazione è stata chiara fin dai primi sviluppi della tecnica.93-95 La corteccia motoria primaria è una sede comunemente studiata per la pianificazione di un intervento neurochirurgico e i primi tentativi di utilizzare la trattografia per questo scopo si sono focalizzati sulla mappatura della via corticospinale. In genere la mappatura è stata ottenuta scegliendo una regione di interesse nei peduncoli cerebrali e un’ulteriore regione di interesse vicina alla corteccia motoria, per ottenere una trattografia streamline con una soglia di anisotropia frazionaria di 0,1. Potrebbe essere facile identificare l’interruzione o la distorsione della via motoria a causa di un effetto massa (Figura 6).94 La completezza della ricostruzione della via motoria ha rappresentato un problema nei primi studi, perché si riuscivano a ottenere solo parziali connessioni dall’homunculus motorius, ed erano presenti nella ricostruzione solo le porzioni più alte della via, corrispondenti agli arti inferiori e al tronco. I risultati dei primi confronti fra trattografia delle vie motorie e stimolazione elettrocorticale intraoperatoria sono stati deludenti a causa dei limiti a quel tempo associati alla trattografia,96 come l’uso di metodi basati su tensore che non consentono di visualizzare le vie che si incrociano (e potrebbero pertanto sottorappresentare i collegamenti dell’area della mano e del viso dell’homunculus), nonché la necessità di identificare le soglie dell’anisotropia frazionaria che forniscono la ricostruzione più completa della via. Kinoshita e collaboratori96 hanno utilizzato una soglia relativamente alta (0,3) di anisotropia frazionaria, che potrebbe avere in parte contribuito alla loro osservazione che la trattografia sottovaluta le dimensioni delle vie motorie. Berman e collaboratori97 hanno dimostrato che si possono usare le sedi di stimolazione per la mappatura elettrocorticale per definire l’origine della trattografia delle vie motorie discendenti, e hanno raggiunto con successo il peduncolo cerebrale in 16 dei 27 siti di stimolazione nei pazienti con glioma.97 L’edema ha causato traiettorie incomplete o deviate per cinque siti; ciò sottolinea il fatto che l’espansione dello spazio extraThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 203 cellulare riduce l’anisotropia ed è quindi un importante fattore confondente da considerare.94 I successivi confronti fra trattografia delle vie motorie e stimolazione elettrocorticale intraoperatoria hanno fornito risultati più favorevoli.98-103 Questi studi hanno anche utilizzato la trattografia con tensore; pertanto, è probabile che qualsiasi miglioramento sia stato correlato all’uso di adeguate soglie di anisotropia frazionaria e alla crescente esperienza relativa all’applicazione degli algoritmi della trattografia. Ad esempio, Berman e collaboratori103 hanno trovato che la distanza media tra i siti di stimolazione sottocorticale e la via motoria derivata dalla trattografia era di 8,7±3,1 mm per 16 siti di stimolazione in nove pazienti con glioma. Nel più grande studio finora pubblicato, Mikuni e collaboratori100 hanno confrontato la stimolazione elettrocorticale con la trattografia in 40 pazienti sottoposti a intervento chirurgico per il trattamento di tumori cerebrali in prossimità delle vie motorie.100 In 18 pazienti su 20, i potenziali evocati motori sono stati elicitati dall’area sottocorticale entro 1 cm dalla via motoria ricostruita; in altri 20 pazienti la distanza tra la via motoria e l’area sottocorticale stimolata era superiore a 1 cm, ma i potenziali evocati motori sono stati individuati solo in tre pazienti. Questi risultati sottolineano che la trattografia e la stimolazione elettrocorticale intraoperatoria sono tecniche complementari che possono portare a risultati migliori di quelli ottenuti con la stimolazione elettrocorticale104-106 o la trattografia107,108 da sole. Inoltre, la trattografia può essere utilizzata per identificare i siti iniziali per la stimolazione elettrocorticale, permettendo di localizzare le aree corticali eloquenti più velocemente durante l’intervento. L’integrazione della trattografia con i sistemi di neuronavigazione è stata descritta in diversi studi.99,109-111 Nimsky e collaboratori110 hanno dimostrato che fasci di fibre della sostanza bianca, come la capsula interna, si spostavano tra –8 mm e 15 mm in una serie di 37 pazienti sottoposti a intervento di asportazione di glioma. Questi risultati sottolineano l’importanza di un aggiornamento intraoperatorio dei sistemi di navigazione durante la resezione di tumori profondi posti in vicinanza ad aree cerebrali eloquenti. Nel loro studio sulle vie motorie, Nimsky e collaboratori111 hanno trovato una variabilità intra- e interosservatori fino a 1 mm e 2,3 mm, rispettivamente, nel volume del fascio. Questi valori erano paragonabili all’errore di registrazione del target, che era di 1 mm. Le radiazioni ottiche sono un altro importante fascio di sostanza bianca che può essere visualizzato con la trattografia ai fini della pianificazione neurochirurgica. In una serie di 10 pazienti con malformazioni arterovenose, Kikuta e collaboratori112 hanno riscontrato che la ricostruzione incompleta delle radiazioni ottiche è risultata associata a perdita del campo visivo. È stato descritto il confronto intraoperatorio dei potenziali evocati visivi con la trattografia delle radiazioni ottiche in un paziente con glioblastoma multiforme.98 I potenziali evocati visivi non erano più rilevabili quando era stata raggiunta 203 10-12-2008 20:18:53 Rassegne la radiazione ottica e gli autori hanno concluso che la radiazione ottica è stata verificata elettrofisiologicamente con un monitoraggio mediante potenziali evocati visivi. La trattografia delle radiazioni ottiche è stata inoltre integrata retrospettivamente in un sistema radiochirurgico con gamma knife, fornendo una prova di principio della modificazione del piano terapeutico con l’obiettivo di ridurre i danni da raggi alle radiazioni ottiche.113 Il linguaggio è un’altra importante funzione che deve essere considerata quando si pianifica un intervento neurochirurgico. Il fascicolo arcuato, che collega le regioni frontale e temporale, è coinvolto nella funzione del linguaggio, e l’anatomia e l’organizzazione di questa struttura sono aree di ricerca che hanno tratto benefici dalla trattografia.42,114 Henry e collaboratori115 hanno utilizzato la trattografia in un uomo di 40 anni per studiare quali vie avevano inizio nelle sedi della stimolazione corticale intraoperatoria associate al linguaggio e alla denominazione. Kamada e collaboratori115 hanno descritto in una serie di 22 pazienti la trattografia del fascicolo arcuato, generata con attivazioni fMRI con un compito di generazione di parole e la magnetoencefalografia con un compito di lettura.116 Per due dei 22 pazienti, i dati di immagine sono stati importati in un sistema di neuronavigazione, e la posizione del fascicolo arcuato è stata confrontata con la stimolazione elettrocorticale della zona di attivazione identificata dalla fMRI; i punti dello stimolo erano posti entro 6 mm dal fascicolo arcuato. È stata anche descritta la distruzione da parte di gliomi delle vie del linguaggio, in particolare il fascicolo longitudinale superiore e vari altri tratti della sostanza bianca.117 La trattografia deve ancora affrontare diverse sfide nel campo della pianificazione degli interventi neurochirurgici: i problemi tecnici che riguardano la combinazione dei dati fMRI con la trattografia,95,118-120 i miglioramenti dell’integrità geometrica delle immagini con tensore di diffusione utilizzate per generare la trattografia, la sua accurata importazione nei sistemi di neuronavigazione e i miglioramenti nella visualizzazione e nell’uso delle informazioni ottenute con la trattografia. Lo e collaboratori121 hanno proposto di usare tecnologie di realtà virtuale per migliorare la consapevolezza spaziale dell’informazione tridimensionale. Un’ulteriore considerazione è la garanzia della qualità, anche se finora vi è stata poca attenzione verso questo tema perché la maggior parte dei gruppi di ricerca è stata più interessata a studi di prova di principio che a studi per indagare una serie di fasci di fibre eloquenti e di patologie. In sintesi, sta crescendo l’importanza della trattografia nel campo della pianificazione degli interventi neurochirurgici e la trattografia viene sempre più utilizzata nei dipartimenti di neurochirurgia di tutto il mondo. Tuttavia, gli attuali usi della trattografia sono limitati a istituzioni specializzate che possiedono le infrastrutture (supporto tecnico locale da parte di fisici e specialisti nel campo delle neuroimmagini) necessarie per consolidare una tecnica valida e clinicamente utilizzabile. Nonostante ciò, grazie 204 03 Rassegne okok.indd 204 ai miglioramenti della metodologia, alla ricerca di una più ampia gamma di fasci, a una migliore comprensione delle interazioni tra patologia e trattografia e alla crescente esperienza nell’uso della trattografia, in molti centri nei prossimi anni il metodo verrà utilizzato routinariamente in ambito clinico. Disturbi del midollo spinale Pochi autori hanno applicato la trattografia allo studio del midollo spinale. Questa carenza è dovuta soprattutto alle difficoltà e ai limiti tecnici correlati alla visualizzazione di una struttura così piccola122 che è circondata da liquido cerebrospinale in movimento ed è adiacente a ossa e a strutture che si muovono con la respirazione e la deglutizione. I risultati dei pochi studi eseguiti hanno dimostrato che la trattografia può aiutare a diagnosticare malattie infiammatorie del midollo spinale,123 a individuare la sede di un astrocitoma124 e il punto di compressione del midollo spinale,125 a caratterizzare la deformazione e l’interruzione delle fibre locali causate da malformazioni arterovenose126 e altre patologie127 e che è in grado di fornire una misura di connettività correlata alla disabilità nei pazienti con SM.57 Tuttavia, i limiti della trattografia correlati alla bassa risoluzione delle immagini e agli artefatti possono essere maggiori nel midollo spinale che nell’encefalo. Inoltre, per confermare se le vie in studio sono state ricostruite correttamente si possono usare solo le conoscenze anatomiche. Pertanto, i risultati degli studi qualitativi su singoli pazienti sono più affidabili degli studi quantitativi su gruppi di individui. I processi che sono alla base dei risultati della trattografia nei tumori o nelle lesioni infiammatorie midollari sono difficili da commentare perché un basso valore di anisotropia frazionaria, che interrompe il fascio se è inferiore alla soglia dell’anisotropia frazionaria, può essere dovuto a edema extracellulare o a degenerazione delle fibre della sostanza bianca. Future applicazioni della trattografia del midollo spinale saranno quelle di indagare il ruolo della tecnica nella gestione dei pazienti e nella pianificazione degli interventi chirurgici. Le prime esperienze dimostrano che la trattografia può essere usata per confermare l’integrità delle fibre dopo lesioni del midollo spinale, che rappresenta un fattore determinante per il successo degli impianti.128 Conclusioni Le attuali applicazioni della trattografia ai disturbi neurologici dimostrano che questa tecnica ha la potenzialità di migliorare la conoscenza dei danni e del recupero nelle malattie dell’encefalo e del midollo spinale. Dal punto di vista clinico, la trattografia può essere usata come strumento per la diagnosi e la gestione dei pazienti, soprattutto coloro che sono sottoposti a un intervento chirurgico. L’importazione della tecnica nei sistemi di neuronavigazione permette di guidare l’intervento mediante la trattografia. Gli studi rivisti in questo lavoro forniscono prove che le misure derivate dalla trattografia sono correlate con la disabilità, sono sensibili ai cambiaThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:53 Rassegne Strategie di ricerca e criteri di selezione La bibliografia per questa revisione è stata identificata attraverso PubMed dal 1994 al gennaio 2008, con la ricerca dei termini “tractography”, “tracking”, “stroke”, “recovery”, “multiple sclerosis”, “epilepsy”, “tumour”, “neuronavigation”, “dementia”, “frontotemporal dementia”, “Huntington”, “Alzheimer”, “corticobasal degeneration”, “Parkinson”, “amyotrophic lateral sclerosis” e “spinal cord”. Sono stati rivisti solo i lavori pubblicati in lingua inglese. L’elenco finale dei lavori è stato selezionato dagli autori in base alla rilevanza per l’argomento. menti patologici che si verificano nelle fasi precoci del processo di malattia, cambiano col tempo mostrando la progressione clinica e predicono gli esiti clinici. In quanto tali, queste misure potrebbero avere un ruolo importante come marcatore surrogato in futuri studi clinici, soprattutto se si dimostrerà che sono sensibili alla terapia farmacologica. Un’applicazione della trattografia è la valutazione indiretta della neurodegenerazione e della demielinizzazione nei pazienti con disturbi neurologici, in modo da dirigere i trattamenti e sviluppare terapie dirette nei confronti di tali processi. Un’altra promettente applicazione della trattografia è di indagare la relazione tra funzione e struttura in encefali sani e malati e valutare se le misure fMRI dell’attività corticale sono correlate con gli indici di integrità strutturale delle sottostanti vie della sostanza bianca.129 La metodologia della trattografia è ormai un settore maturo della ricerca che ha fornito notevoli progressi nella descrizione dell’architettura delle fibre complesse e ha portato a un miglioramento della ricostruzione della sostanza bianca. I futuri sviluppi nell’acquisizione delle immagini e nelle applicazioni a campi alti e altissimi potrebbero permettere di disporre in ambito clinico di immagini ad alta risoluzione. Questi sviluppi dovrebbero portare a studiare l’anatomia in modo più dettagliato e consentiranno una maggiore accuratezza e precisione nel tracciare le vie della sostanza bianca, con un minor numero di risultati falsi positivi e falsi negativi. Di conseguenza, un numero crescente di studi clinici utilizzerà la trattografia per valutare nuove ipotesi e ottenere nuove e importanti informazioni sull’organizzazione del cervello e sull’effetto dei disturbi cerebrali. Poiché si avranno progressi in altre modalità di neuroimmagine, si dovrà confrontare la trattografia con le tecniche alternative, o in combinazione a esse. Tali tecniche includono le scansioni con trasferimento di magnetizzazione, che è sensibile al contenuto di mielina130 e alla densità degli assoni,131 e la PET con ligandi del recettore periferico delle benzodiazepine, per studiare l’attivazione microgliale che si verifica dopo un danno neuronale.132 Contributi OC ha avuto l’idea di scrivere questa revisione e ha scritto l’introduzione, le conclusioni e le sezioni sulla sclerosi multipla, The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 205 l’epilessia, la sclerosi laterale amiotrofica, le sindromi parkinsoniane e le malattie del midollo spinale; ha visto e approvato la versione definitiva. MC ha scritto la sezione sulle demenze degenerative cognitive e ha visto e approvato la versione definitiva. HJ-B ha scritto la sezione sull’ictus e ha visto e approvato la versione definitiva. CC ha scritto la sezione su applicazioni neurochirurgiche, metodologia e conclusioni, e ha visto e approvato la versione definitiva. AJT ha redazionato il manoscritto e ha visto e approvato la versione finale Conflitti di interesse MC, HJ-B e CC non hanno conflitti di interesse. OC ha ricevuto da Biogen un finanziamento per un viaggio per partecipare a una conferenza internazionale nel 2006. AJT fa parte di comitati di consulenza di Novartis e Genentech, presiede il comitato di Teva per la sicurezza e il monitoraggio per lo studio sul glatiramer acetato nella sclerosi laterale amiotrofica e ha ricevuto onorari da Schering, Serono, La Roche, Novartis e Teva per viaggi e conferenze. Questa revisione non è stata sostenuta da alcuno sponsor aziendale. Ringraziamenti OC e HJ-B sono finanziati dal Wellcome Trust. MC è finanziato dal Medical Research Council (UK) e dalla rete AIMS. Bibliografia 1 Le Bihan D, Mangin JF, Poupon C, et al. Diffusion tensor imaging: concepts and applications. J Magn Reson Imaging 2001; 13: 534–46. 2 Beaulieu C. The basis of anisotropic water diffusion in the nervous system—a technical review. NMR Biomed 2002; 15: 435–55. 3 Mori S, Zhang J. Principles of diffusion tensor imaging and its applications to basic neuroscience research. Neuron 2006; 51: 527–39. 4 Mori S, van Zijl PC. Fiber tracking: principles and strategies—a technical review. NMR Biomed. 2002; 15: 468–80. 5 Basser PJ, Pajevic S, Pierpaoli C, Duda J, Aldroubi A. In vivo fiber tractography using DT-MRI data. Magn Reson Med 2000; 44: 625–32. 6 Poupon C, Clark CA, Frouin V, et al. Regularization of diffusion based direction maps for the tracking of brain white matter fascicles. Neuroimage 2000; 12: 184–95. 7 Shimony JS, Snyder AZ, Conturo TE, Corbetta M. The study of neural connectivity using diffusion tensor tracking. Cortex 2004; 40: 213–15. 8 Mesulam M. Imaging connectivity in the human cerebral cortex: the next frontier? Ann Neurol 2005; 57: 5–7. 9 Basser PJ, Mattiello J, LeBihan D. MR diffusion tensor spectroscopy and imaging. Biophys J 1994; 66: 259–67. 10 Basser PJ. Inferring microstructural features and the physiological state of tissues from diffusion-weighted images. NMR Biomed 1995; 8: 333–44. 11 Jones DK. Determining and visualizing uncertainty in estimates of fiber orientation from diffusion tensor MRI. Magn Reson Med 2003; 49: 7–12. 12 Jones DK, Williams SC, Gasston D, Horsfield MA, Simmons A, Howard R. Isotropic resolution diffusion tensor imaging with whole brain acquisition in a clinically acceptable time. Hum Brain Map 2002; 15: 216–30. 13 Le Bihan D, Poupon C, Amadon A, Lethimonnier F. Artifacts and pitfalls in diffusion MRI. J Magn Reson Imaging 2006; 24: 478–88. 14 Frank LR. Characterization of anisotropy in high angular resolution diffusion-weighted MRI. Magn Reson Med 2002; 47: 1083–99. 15 Tuch DS, Reese TG, Wiegell MR, Wedeen VJ. Diffusion MRI of complex neural architecture. Neuron 2003; 40: 885–95. 16 Tournier JD, Calamante F, Gadian DG, Connelly A. Direct estimation of the fiber orientation density function from diffusionweighted MRI data using spherical deconvolution. Neuroimage 2004; 23: 1176–85. 17 Alexander DC. Multiple-fiber reconstruction algorithms for diffusion MRI. Ann NY Acad Sci 2005; 1064: 113–33. 18 Behrens TE, Berg HJ, Jbabdi S, Rushworth MF, Woolrich MW. Probabilistic diffusion tractography with multiple fibre orientations: What can we gain? Neuroimage 2007; 34: 144–55. 19 Johansen-Berg H, Behrens TE. Just pretty pictures? What diffusion tractography can add in clinical neuroscience. Curr Opin Neurol 2006; 19: 379–85. 205 10-12-2008 20:18:54 Rassegne 20 Dyrby TB, Sogaard LV, Parker GJ, et al. Validation of in vitro probabilistic tractography. Neuroimage 2007; 37: 1267–77. 21 Dauguet J, Peled S, Berezovskii V, et al. Comparison of fiber tracts derived from in-vivo DTI tractography with 3D histological neural tract tracer reconstruction on a macaque brain. Neuroimage 2007; 37: 530–08. 22 Ciccarelli O, Parker GJ, Toosy AT, et al. From diffusion tractography to quantitative white matter tract measures: a reproducibility study. Neuroimage 2003; 18: 348–59. 23 Heiervang E, Behrens TE, Mackay CE, Robson MD, Johansen-Berg H. Between session reproducibility and between subject variability of diffusion MR and tractography measures. Neuroimage 2006; 33: 867–77. 24 Wakana S, Caprihan A, Panzenboeck MM, et al. Reproducibility of quantitative tractography methods applied to cerebral white matter. Neuroimage 2007; 36: 630–44. 25 Lawes IN, Barrick TR, Murugam V, et al. Atlas-based segmentation of white matter tracts of the human brain using diffusion tensor tractography and comparison with classical dissection. Neuroimage 2008; 39: 62–79. 26 Pierpaoli C, Barnett A, Pajevic S, et al. Water diffusion changes in Wallerian degeneration and their dependence on white matter architecture. Neuroimage 2001; 13: 1174–85. 27 Cho SH, Kim SH, Choi BY, et al. Motor outcome according to diffusion tensor tractography findings in the early stage of intracerebral hemorrhage. Neurosci Lett 2007; 421: 142–46. 28 Cho SH, Kim DG, Kim DS, Kim YH, Lee CH, Jang SH. Motor outcome according to the integrity of the corticospinal tract determined by diffusion tensor tractography in the early stage of corona radiata infarct. Neurosci Lett 2007; 426: 123–27. 29 Konishi J, Yamada K, Kizu O, et al. MR tractography for the evaluation of functional recovery from lenticulostriate infarcts. Neurology 2005; 64: 108–13. 30 Møller M, Frandsen J, Andersen G, Gjedde A, Vestergaard-Poulsen P, Østergaard L. Dynamic changes in corticospinal tracts after stroke detected by fibretracking. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2007; 78: 587–92. 31 Ward NS, Newton JM, Swayne OB, et al. Motor system activation after subcortical stroke depends on corticospinal system integrity. Brain 2006; 129: 809–19. 32 Nudo RJ, Wise BM, SiFuentes F, Milliken GW. Neural substrates for the effects of rehabilitative training on motor recovery after ischemic infarct. Science 1996; 272: 1791–94. 33 Frost SB, Barbay S, Friel KM, Plautz EJ, Nudo RJ. Reorganization of remote cortical regions after ischemic brain injury: a potential substrate for stroke recovery. J Neurophysiol. 2003; 89: 3205–14. 34 Seitz RJ, Hoflich P, Binkofski F, Tellmann L, Herzog H, Freund HJ. Role of the premotor cortex in recovery from middle cerebral artery infarction. Arch Neurol 1998; 55: 1081–88. 35 Cramer SC, Nelles G, Benson RR, et al. A functional MRI study of subjects recovered from hemiparetic stroke. Stroke 1997; 28: 2518–27. 36 Johansen-Berg H, Rushworth MF, Bogdanovic MD, Kischka U, Wimalaratna S, Matthews PM. The role of ipsilateral premotor cortex in hand movement after stroke. Proc Natl Acad Sci USA 2002; 99: 14518–23. 37 Lotze M, Markert J, Sauseng P, Hoppe J, Plewnia C, Gerloff C. The role of multiple contralesional motor areas for complex hand movements after internal capsular lesion. J Neurosci 2006; 26: 6096–102. 38 Newton JM, Ward NS, Parker GJ, et al. Non-invasive mapping of corticofugal fibres from multiple motor areas—relevance to stroke recovery. Brain 2006; 129: 1844–58. 39 Pineiro R, Pendlebury ST, Smith S, et al. Relating MRI changes to motor deficit after ischemic stroke by segmentation of functional motor pathways. Stroke 2000; 31: 672–79. 40 Schaechter JD, Perdue KL, Wang RM. Structural damage to the corticospinal tract correlates with bilateral sensorimotor cortex reorganization in stroke patients. Neuroimage 2008; 39: 1370–82. 41 Bird CM, Malhotra P, Parton A, Coulthard E, Rushworth MF, Husain M. Visual neglect after right posterior cerebral artery infarction. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2006; 77: 1008–12. 42 Catani M, Jones DK, Ffytche DH. Perisylvian language networks of the human brain. Ann Neurol 2005; 57: 8–16. 206 03 Rassegne okok.indd 206 43 Johansen-Berg H. Structural plasticity: rewiring the brain. Curr Biol 2007; 17: R141–44. 44 Tovar-Moll F, Moll J, Oliveira-Souza R, Bramati I, Andreiuolo PA, Lent R. Neuroplasticity in human callosal dysgenesis: a diffusion tensor imaging study. Cereb Cortex 2007; 17: 531–41. 45 Leh SE, Johansen-Berg H, Ptito A. Unconscious vision: new insights into the neuronal correlate of blindsight using diffusion tractography. Brain 2006; 129: 1822–32. 46 Lee SK, Mori S, Kim DJ, Kim SY, Kim SY, Kim DI. Diffusion tensor MR imaging visualizes the altered hemispheric fiber connection in callosal dysgenesis. AJNR Am J Neuroradiol 2004; 25: 25–28. 47 Dancause N, Barbay S, Frost SB, et al. Extensive cortical rewiring after brain injury. J Neurosci 2005; 25: 10167–79. 48 Hihara S, Notoya T, Tanaka M, et al. Extension of corticocortical afferents into the anterior bank of the intraparietal sulcus by tool use training in adult monkeys. Neuropsychologia 2006; 44: 2636–46. 49 Rovaris M, Gass A, Bammer R, et al. Diffusion MRI in multiple sclerosis. Neurology 2005; 65: 1526–32. 50 Lin F, Yu C, Jiang T, Li K, Chan P. Diffusion tensor tractography based group mapping of the pyramidal tract in relapsing-remitting multiple sclerosis patients. AJNR Am J Neuroradiol 2007; 28: 278–82. 51 Pagani E, Filippi M, Rocca MA, Horsfield MA. A method for obtaining tract-specific diffusion tensor MRI measurements in the presence of disease: application to patients with clinically isolated syndromes suggestive of multiple sclerosis. Neuroimage 2005; 26: 258–65. 52 Wilson M, Tench CR, Morgan PS, Blumhardt LD. Pyramidal tract mapping by diffusion tensor magnetic resonance imaging in multiple sclerosis: improving correlations with disability. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2003; 74: 203–07. 53 Lin X, Tench CR, Morgan PS, Niepel G, Constantinescu CS. ‘Importance sampling’ in MS: use of diffusion tensor tractography to quantify pathology related to specific impairment. J Neurol Sci 2005; 237: 13–19. 54 Tench CR, Morgan PS, Wilson M, Blumhardt LD. White matter mapping using diffusion tensor MR. Magn Reson Med 2002; 47: 967–72. 55 Lin F, Yu C, Jiang T, et al. Quantitative analysis along the pyramidal tract by length-normalized parameterization based on diffusion tensor tractography: application to patients with relapsing neuromyelitis optica. Neuroimage 2006; 33: 154–60. 56 Ciccarelli O, Toosy AT, Hickman SJ, et al. Optic radiation changes after optic neuritis detected by tractography-based group mapping. Hum Brain Mapp 2005; 25: 308–16. 57 Ciccarelli O, Wheeler-Kingshott CA, McLean MA, et al. Spinal cord spectroscopy and diffusion-based tractography to assess acute disability in multiple sclerosis. Brain 2007; 130: 2220–31. 58 Parker GJ, Haroon HA, Wheeler-Kingshott CA. A framework for a streamline-based probabilistic index of connectivity (PICo) using a structural interpretation of MRI diffusion measurements. J Magn Reson Imaging 2003; 18: 242–54. 59 Beaulieu C, Does MD, Snyder RE, Allen PS. Changes in water diffusion due to Wallerian degeneration in peripheral nerve. Magn Reson Med 1996; 36: 627–31. 60 Schmierer K, Wheeler-Kingshott CA, Boulby PA, et al. Diffusion tensor imaging of post mortem multiple sclerosis brain. Neuroimage 2007; 35: 467–77. 61 Cader S, Johansen-Berg H, Wylezinska M, et al. Discordant white matter N-acetylaspartate and diffusion MRI measures suggest that chronic metabolic dysfunction contributes to axonal pathology in multiple sclerosis. Neuroimage 2007; 36: 19–27. 62 Behrens TE, Woolrich MW, Jenkinson M, et al. Characterization and propagation of uncertainty in diffusion-weighted MR imaging. Magn Reson Med 2003; 50: 1077–88. 63 Audoin B, Guye M, Reuter F, et al. Structure of WM bundles constituting the working memory system in early multiple sclerosis: a quantitative DTI tractography study. Neuroimage 2007; 36: 1324–30. 64 Conturo TE, Lori NF, Cull TS, et al. Tracking neuronal fiber pathways in the living human brain. Proc Natl Acad Sci USA 1999; 96: 10422–7. 65 Rocca MA, Pagani E, Absinta M, et al. Altered functional and structural connectivities in patients with MS: a 3-T study. Neurology 2007; 69: 2136–45. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:54 Rassegne 66 Rocca MA, Valsasina P, Ceccarelli A, et al. Structural and functional MRI correlates of Stroop control in benign MS. Hum Brain Mapp 2008; 70: 141–51. 67 Yogarajah M, Duncan JS. Diffusion-based magnetic resonance imaging and tractography in epilepsy. Epilepsia 2008; 49: 189–200. 68 Widjaja E, Blaser S, Miller E, et al. Evaluation of subcortical white matter and deep white matter tracts in malformations of cortical development. Epilepsia 2007; 48: 1460–69. 69 Concha L, Beaulieu C, Gross DW. Bilateral limbic diffusion abnormalities in unilateral temporal lobe epilepsy. Ann Neurol 2005; 57: 188–96. 70 Mori S, Crain BJ, Chacko VP, van Zijl PC. Three-dimensional tracking of axonal projections in the brain by magnetic resonance imaging. Ann Neurol 1999; 45: 265–69. 71 Powell HW, Parker GJ, Alexander DC, et al. Abnormalities of language networks in temporal lobe epilepsy. Neuroimage 2007; 36: 209–21. 72 Concha L, Beaulieu C, Wheatley BM, Gross DW. Bilateral white matter diffusion changes persist after epilepsy surgery. Epilepsia 2007; 48: 931–40. 73 Concha L, Gross DW, Wheatley BM, Beaulieu C. Diffusion tensor imaging of time-dependent axonal and myelin degradation after corpus callosotomy in epilepsy patients. Neuroimage 2006; 32: 1090–99. 74 Powell HW, Parker GJ, Alexander DC, et al. MR tractography predicts visual field defects following temporal lobe resection. Neurology 2005; 65: 596–99. 75 Nilsson D, Starck G, Ljungberg M, et al. Intersubject variability in the anterior extent of the optic radiation assessed by tractography. Epilepsy Res 2007; 77: 11–16. 76 Powell HW, Parker GJ, Alexander DC, et al. Imaging language pathways predicts postoperative naming deficits. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2007; 79: 327–30. 77 Hamandi K, Powell HW, Laufs H, et al. Combined EEG-fMRI and tractography to visualise propagation of epileptic activity. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2008; 79: 594–97 78 Borroni B, Brambati SM, Agosti C, et al. Evidence of white matter changes on diffusion tensor imaging in frontotemporal dementia. Arch Neurol 2007; 64: 246–51. 79 Catani M, Piccirilli M, Cherubini A, et al. Axonal injury within language network in primary progressive aphasia. Ann Neurol 2003; 53: 242–47. 80 Catani M, Mesulam M. The arcuate fasciculus and the disconnection theme in the language and aphasia: history and current state. Cortex (in press). 81 Catani M. Diffusion tensor magnetic resonance imaging tractography in cognitive disorders. Curr Opin Neurol 2006; 19: 599–606. 82 Persson J, Lind J, Larsson A, et al. Altered brain white matter integrity in healthy carriers of the APOE epsilon4 allele: a risk for AD? Neurology 2006; 66: 1029–33. 83 Rosas HD, Tuch DS, Hevelone ND, et al. Diffusion tensor imaging in presymptomatic and early Huntington’s disease: selective white matter pathology and its relationship to clinical measures. Mov Disord 2006; 21: 1317–25. 84 Taoka T, Iwasaki S, Sakamoto M, et al. Diffusion anisotropy and diffusivity of white matter tracts within the temporal stem in Alzheimer disease: evaluation of the “tract of interest” by diffusion tensor tractography. AJNR Am J Neuroradiol 2006; 27: 1040–45. 85 Xie S, Xiao JX, Wang YH, Wu HK, Gong GL, Jiang XX. Evaluation of bilateral cingulum with tractography in patients with Alzheimer’s disease. Neuroreport 2005; 16: 1275–78. 86 Song SK, Kim JH, Lin SJ, Brendza RP, Holtzman DM. Diffusion tensor imaging detects age-dependent white matter changes in a transgenic mouse model with amyloid deposition. Neurobiol Dis 2004; 15: 640–47. 87 Englund E, Sjöbeck M, Brockstedt S, Lätt J, Larsson EM. Diffusion tensor MRI post mortem demonstrated cerebral white matter pathology. J Neurol 2004; 251: 350–52. 88 Aoki S, Iwata NK, Masutani Y, et al. Quantitative evaluation of the pyramidal tract segmented by diffusion tensor tractography: feasibility study in patients with amyotrophic lateral sclerosis. Radiat Med 2005; 23: 195–99. 89 Ciccarelli O, Behrens TE, Altmann DR, et al. Probabilistic diffusion tractography: a potential tool to assess the rate of disease The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 207 progression in amyotrophic lateral sclerosis. Brain 2006; 129: 1859–71. 90 Nilsson C, Markenroth BK, Brockstedt S, Latt J, Widner H, Larsson EM. Tracking the neurodegeneration of parkinsonian disorders—a pilot study. Neuroradiology 2007; 49: 111–19. 91 Muthusamy KA, Aravamuthan BR, Kringelbach ML, et al. Connectivity of the human pedunculopontine nucleus region and diffusion tensor imaging in surgical targeting. J Neurosurg 2007; 107: 814–20. 92 Aravamuthan BR, Muthusamy KA, Stein JF, Aziz TZ, JohansenBerg H. Topography of cortical and subcortical connections of the human pedunculopontine and subthalamic nuclei. Neuroimage 2007; 37: 694–705. 93 Mori S, Frederiksen K, van Zijl PC, et al. Brain white matter anatomy of tumor patients evaluated with diffusion tensor imaging. Ann Neurol 2002; 51: 377–80. 94 Clark CA, Barrick TR, Murphy MM, Bell BA. White matter fiber tracking in patients with space-occupying lesions of the brain: a new technique for neurosurgical planning? Neuroimage 2003; 20: 1601–08. 95 Holodny AI, Ollenschleger MD, Liu WC, Schulder M, Kalnin AJ. Identification of the corticospinal tracts achieved using bloodoxygen-level-dependent and diffusion functional MR imaging in patients with brain tumors. AJNR Am J Neuroradiol 2001; 22: 83–88. 96 Kinoshita M, Yamada K, Hashimoto N, et al. Fiber-tracking does not accurately estimate size of fiber bundle in pathological condition: initial neurosurgical experience using neuronavigation and subcortical white matter stimulation. Neuroimage 2005; 25: 424–29. 97 Berman JI, Berger MS, Mukherjee P, Henry RG. Diffusion-tensor imaging-guided tracking of fibers of the pyramidal tract combined with intraoperative cortical stimulation mapping in patients with gliomas. J Neurosurg 2004; 101: 66–72. 98 Kamada K, Todo T, Masutani Y, et al. Combined use of tractography integrated functional neuronavigation and direct fiber stimulation. J Neurosurg 2005; 102: 664–72. 99 Okada T, Mikuni N, Miki Y, et al. Corticospinal tract localization: integration of diffusion-tensor tractography at 3-T MR imaging with intraoperative white matter stimulation mapping— preliminary results. Radiology 2006; 240: 849–57. 100 Mikuni N, Okada T, Nishida N, et al. Comparison between motor evoked potential recording and fiber tracking for estimating pyramidal tracts near brain tumors. J Neurosurg 2007; 106: 128–33. 101 Mikuni N, Okada T, Enatsu R, et al. Clinical impact of integrated functional neuronavigation and subcortical electrical stimulation to preserve motor function during resection of brain tumors. J Neurosurg 2007; 106: 593–98. 102 Mikuni N, Okada T, Enatsu R, et al. Clinical significance of preoperative fibre-tracking to preserve the affected pyramidal tracts during resection of brain tumours in patients with preoperative motor weakness. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2007; 78: 716–21. 103 Berman JI, Berger MS, Chung SW, Nagarajan SS, Henry RG. Accuracy of diffusion tensor magnetic resonance imaging tractography assessed using intraoperative subcortical stimulation mapping and magnetic source imaging. J Neurosurg 2007; 107: 488–94. 104 Cedzich C, Taniguchi M, Schafer S, Schramm J. Somatosensory evoked potential phase reversal and direct motor cortex stimulation during surgery in and around the central region. Neurosurgery 1996; 38: 962–70. 105 Keles GE, Lundin DA, Lamborn KR, Chang EF, Ojemann G, Berger MS. Intraoperative subcortical stimulation mapping for hemispherical perirolandic gliomas located within or adjacent to the descending motor pathways: evaluation of morbidity and assessment of functional outcome in 294 patients. J Neurosurg 2004; 100: 369–75. 106 Duffau H. Lessons from brain mapping in surgery for low-grade glioma: insights into associations between tumour and brain plasticity. Lancet Neurol 2005; 4: 476–86. 107 Beppu T, Inoue T, Kuzu Y, Ogasawara K, Ogawa A, Sasaki M. Utility of three-dimensional anisotropy contrast magnetic resonance axonography for determining condition of the pyramidal tract in glioblastoma patients with hemiparesis. J Neurooncol 2005; 73: 137–44. 207 10-12-2008 20:18:55 Rassegne 108 Yu CS, Li KC, Xuan Y, Ji XM, Qin W. Diffusion tensor tractography in patients with cerebral tumors: a helpful technique for neurosurgical planning and postoperative assessment. Eur J Radiol 2005; 56: 197–204. 109 Hlatky R, Jackson EF, Weinberg JS, McCutcheon IE. Intraoperative neuronavigation using diffusion tensor MR tractography for the resection of a deep tumor adjacent to the corticospinal tract. Stereotact Funct Neurosurg 2005; 83: 228–32. 110 Nimsky C, Ganslandt O, Hastreiter P, et al. Preoperative and intraoperative diffusion tensor imaging-based fiber tracking in glioma surgery. Neurosurgery 2005; 56: 130–37. 111 Nimsky C, Ganslandt O, Merhof D, Sorensen AG, Fahlbusch R. Intraoperative visualization of the pyramidal tract by diffusion tensor-imaging-based fiber tracking. Neuroimage 2006; 30: 1219–29. 112 Kikuta K, Takagi Y, Nozaki K, et al. Early experience with 3-T magnetic resonance tractography in the surgery of cerebral arteriovenous malformations in and around the visual pathway. Neurosurgery 2006; 58: 331–37. 113 Maruyama K, Kamada K, Shin M, et al. Optic radiation tractography integrated into simulated treatment planning for gamma knife surgery. J Neurosurg 2007; 107: 721–26. 114 Catani M, Jones DK, Donato R, Fytche DH. Occipito-temporal connections in the human brain. Brain 2003; 126: 2093–107. 115 Henry RG, Berman JI, Nagarajan SS, Mukherjee P, Berger MS. Subcortical pathways serving cortical language sites: initial experience with diffusion tensor imaging fiber tracking combined with intraoperative language mapping. Neuroimage 2004; 21: 616– 22. 116 Kamada K, Todo T, Masutani Y, et al. Visualization of the frontotemporal language fibers by tractography combined with functional magnetic resonance imaging and magnetoencephalography. J Neurosurg 2007; 106: 90–98. 117 Bello L, Gambini A, Castellano A, et al. Motor and language DTI fiber tracking combined with intraoperative subcortical mapping for surgical removal of gliomas. Neuroimage 2008; 39: 369–82. 118 Parmar H, Sitoh YY, Yeo TT. Combined magnetic resonance tractography and functional magnetic resonance imaging in evaluation of brain tumors involving the motor system. J Comput Assist Tomogr 2004; 28: 551–56. 119 Schonberg T, Pianka P, Hendler T, Pasternak O, Assaf Y. Characterization of displaced white matter by brain tumors using combined DTI and fMRI. Neuroimage 2006; 30: 1100–11. 120 Staempfli P, Reischauer C, Jaermann T, Valavanis A, Kollias S, 208 03 Rassegne okok.indd 208 Boesiger P. Combining fMRI and DTI: a framework for exploring the limits of fMRI-guided DTI fiber tracking and for verifying DTIbased fiber tractography results. Neuroimage 2008; 39: 119–26. 121 Lo CY, Chao YP, Chou KH, Guo WY, Su JL, Lin CP. DTI-based virtual reality system for neurosurgery. Conf Proc IEEE Eng Med Biol Soc 2007; 1: 1326–29. 122 Clark CA, Werring DJ. Diffusion tensor imaging in spinal cord: methods and applications—a review. NMR Biomed 2002; 15: 578– 86. 123 Renoux J, Facon D, Fillard P, Huynh I, Lasjaunias P, Ducreux D. MR diffusion tensor imaging and fiber tracking in inflammatory diseases of the spinal cord. AJNR Am J Neuroradiol 2006; 27: 1947– 51. 124 Ducreux D, Lepeintre JF, Fillard P, Loureiro C, Tadie M, Lasjaunias P. MR diffusion tensor imaging and fiber tracking in 5 spinal cord astrocytomas. AJNR Am J Neuroradiol 2006; 27: 214–16. 125 Facon D, Ozanne A, Fillard P, Lepeintre JF, Tournoux-Facon C, Ducreux D. MR diffusion tensor imaging and fiber tracking in spinal cord compression. AJNR Am J Neuroradiol 2005; 26: 1587– 94. 126 Ozanne A, Krings T, Facon D, et al. MR diffusion tensor imaging and fiber tracking in spinal cord arteriovenous malformations: a preliminary study. AJNR Am J Neuroradiol 2007; 28: 1271–79. 127 Vargas MI, Delavelle J, Jlassi H, et al. Clinical applications of diffusion tensor tractography of the spinal cord. Neuroradiology 2008; 50: 25–29. 128 Ducreux D, Fillard P, Facon D, et al. Diffusion tensor magnetic resonance imaging and fiber tracking in spinal cord lesions: current and future indications. Neuroimaging Clin N Am 2007; 17: 137–47. 129 Toosy AT, Ciccarelli O, Parker GJ, Wheeler-Kingshott CA, Miller DH, Thompson AJ. Characterizing function-structure relationships in the human visual system with functional MRI and diffusion tensor imaging. Neuroimage 2004; 21: 1452–63. 130 Schmierer K, Scaravilli F, Altmann DR, Barker GJ, Miller DH. Magnetization transfer ratio and myelin in postmortem multiple sclerosis brain. Ann Neurol 2004; 56: 407–15. 131 van Waesberghe JH, Kamphorst W, De Groot CJ, et al. Axonal loss in multiple sclerosis lesions: magnetic resonance imaging insights into substrates of disability. Ann Neurol 1999; 46: 747–54. 132 Venneti S, Lopresti BJ, Wiley CA. The peripheral benzodiazepine receptor (translocator protein 18 kDa) in microglia: from pathology to imaging. Prog Neurobiol 2006; 80: 308–22. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:55 Punto di vista Cellule B e sclerosi multipla Diego Franciotta, Marco Salvetti, Francesco Lolli, Barbara Serafini, Francesca Aloisi L’espansione clonale delle cellule B e la produzione di IgG oligoclonali nell’encefalo e nel liquor dei pazienti con sclerosi multipla (SM) sono state a lungo interpretate come una prova circostanziale della patogenesi immunomediata della malattia e indicano una possibile causa infettiva. Lavori estensivi sugli anticorpi prodotti in sede intratecale non hanno ancora chiarito se essi siano patogeneticamente rilevanti. Indipendentemente dalla specificità degli anticorpi, tuttavia, i processi della sintesi degli anticorpi nel SNC dei pazienti con SM stanno diventando sempre più chiari. Analogamente, l’uso delle cellule B come obiettivo potrebbe essere terapeuticamente rilevante nella SM e in altre malattie autoimmuni che si ritiene siano determinate soprattutto dalle cellule T. Si stanno accumulando evidenze che indicano che nella SM, similmente all’artrite reumatoide, le cellule B si aggregano in strutture simil-linfoidi nell’organo bersaglio. Il processo di aggregazione è mediato dall’espressione delle chemochine che influenzano l’homing linfoide. Nell’encefalo di un paziente con SM, i follicoli di cellule B ectopiche aderiscono preferenzialmente alla membrana piale all’interno dello spazio subaracnoideo. Recenti osservazioni indicano che sostanziali quantità di cellule B infettate dal virus di Epstein-Barr (EBV) si accumulano in questi follicoli intrameningei e nelle lesioni della sostanza bianca; queste cellule sono probabilmente l’obiettivo di una risposta immunitaria citotossica. Questi dati, che attendono conferma, potrebbero essere una spiegazione della continua attivazione di cellule B e T nella SM ma sollevano dubbi sulla possibile patogenicità degli autoanticorpi. Andando al di là del dogma degli anticorpi antimielina, i dati indicati sopra giustificano un ulteriore lavoro su vari meccanismi correlati alle cellule B, come lo studio delle funzioni regolatorie ed effettorie delle cellule B, la definizione della consistenza della colonizzazione del SNC da parte di cellule B infettate dal virus di Epstein-Barr e la comprensione dei meccanismi alla base della formazione e della persistenza di tessuti linfoidi terziari nei pazienti con SM e altre malattie croniche autoimmuni (sindromi follicolari ectopiche). Questo lavoro stimolerà modalità nuove e non convenzionali di riflessione sulla patogenesi della SM. Introduzione La sclerosi multipla (SM) è una malattia demielinizzante infiammatoria del SNC caratterizzata da persistente sintesi intratecale di immunoglobuline, soprattutto IgG oligoclonali, e reclutamento di cellule T attivate e macrofagi nel SNC. Gli stimoli antigenici che danno inizio o perpetuano questa reattività immune anormale sono ancora oggetto di intensa ricerca e dibattito. Negli ultimi anni, è stato messo in dubbio il concetto della SM come malattia autoimmunitaria mediata dalle cellule T reattive nei confronti della mielina ed è in corso la rivalutazione del ruolo delle cellule B nella patogenesi della malattia.1,2 Tre serie di nuovi dati – la caratterizzazione delle strutture follicolo-simili di cellule B nelle meningi cerebrali dei pazienti con SM,3-5 che estende la precedente descrizione di tessuto linfoide nelle lesioni SM;6 l’osservazione che una sostanziale proporzione di cellule B o plasmacellule che si accumulano in questi follicoli e nelle lesioni della sostanza bianca è infettata dal virus di Epstein-Barr (EBV);7 i risultati di uno studio clinico con l’anticorpo anti-cellule B rituximab8 – forniscono ora un supporto concettuale reciproco sulla rilevanza del ruolo delle cellule B nella patogenesi della SM e aprono un possibile scenario che collega l’attivazione delle cellule B anormali all’immunopatologia mediata dalle cellule T. Recenti sviluppi Fattori che scatenano l’attivazione delle cellule B Tradizionalmente, le cellule B sono state implicate nella SM per la loro capacità di produrre anticorpi patogeni o The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 209 autoanticorpi che possono distruggere il tessuto reclutando macrofagi che esprimono il recettore Fc e attivando la via del complemento. I risultati di studi istopatologici indicano che gli anticorpi possono avere un ruolo importante nella genesi della placca9 e nella demielinizzazione nei pazienti con SM stabilita.10 L’elenco degli antigeni patogeni candidati nella SM si è recentemente allungato; oltre agli antigeni della mielina, per i quali non sono disponibili prove conclusive,11 alcuni antigeni non mielinici sono giunti al centro dell’attenzione. L’interesse per la piccola heat-shock protein ab-cristallina è stato riacceso dall’osservazione che questa proteina ha attività antinfiammatoria e che gli anticorpi anti-ab-cristallina sono stati individuati nel liquor di pazienti con SM.12 Nel modello patogenetico proposto, le risposte delle cellule B che hanno come obiettivo la ab-cristallina possono esacerbare l’infiammazione sopprimendo il ruolo immunosoppressivo di questa proteina.12 Aggiungendosi ai dati precedenti sulla presenza di anticorpi nei confronti di proteine assonali (soprattutto neurofilamenti) nei pazienti con SM,13,14 Mathey e collaboratori15 hanno trovato un aumento delle concentrazioni di anticorpi contro la neurofascina – una proteina neuronale concentrata nei nodi di Ranvier delle fibre mielinizzate – nel siero di pazienti con SM secondariamente progressiva. L’iniezione di anticorpi anti-neurofascina nel topo con encefalomielite autoimmune sperimentale ha inibito la conduzione assonale secondo una modalità dipendente dal complemento.15 Benché il concetto che gli autoanticorpi possono esacerbare l’infiammazione e la neurodegenerazione nei pazienti con SM sia interes- Lancet Neurol 2008; 7: 852-58 Laboratorio di Neuroimmunologia, IRCCS Istituto Neurologico ‘C Mondino’, via Mondino 2, 27100, Pavia (D Franciotta MD); Dipartimento di Neurologia e Centro Neurologico Terapia Sperimentale (CENTERS), Ospedale S. Andrea, Università di Roma ‘La Sapienza’, via di Grottarossa 1035, 00189, Roma (M Salvetti MD); Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Firenze, viale Morgagni 85, 50134, Firenze (F Lolli MD); Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze, Istituto Superiore di Sanità, viale Regina Elena 299, 00161, Roma (B Serafini PhD, F Aloisi PhD) Corrispondenza: Dr Diego Franciotta, Istituto Neurologico ‘C. Mondino’, via Mondino 2, 27100 Pavia [email protected] 209 10-12-2008 20:18:56 Punto di vista Riquadro: Glossario dei termini Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un g-herpes virus che infetta in modo persistente oltre il 90% degli individui nel mondo. Le cellule B sono la principale riserva cellulare del virus: nel sangue periferico di individui sani, tra 1 e 50 cellule B per milione sono infettate dall’EBV. Poiché l’EBV può trasformare o immortalizzare le cellule B, è necessario uno stringente controllo immunologico per prevenire i tumori associati all’EBV, in particolare il carcinoma nasofaringeo, il linfoma di Burkitt e la malattia di Hodgkin. La mononucleosi infettiva, un’infezione primaria da EBV, è associata a un aumento di rischio di SM;17 le due malattie hanno notevoli somiglianze epidemiologiche e la sieropositività e i titoli anticorpali per l’EBV sono più elevati nei pazienti con SM che negli individui sani.17 La sierologia positiva per l’EBV è sempre più associata a molte malattie autoimmuni.18 L’autoimmunità potrebbe essere scatenata da diverse caratteristiche biologiche specifiche dell’EBV: le proteine latenti e litiche dell’EBV sono potenti immunogeni che inducono forti risposte delle cellule B e T; le risposte immuni specifiche dell’EBV possono cross-riconoscere autoantigeni; la latent membrane protein 1 (LMP1) dell’EBV induce l’espressione del fattore di attivazione delle cellule B della famiglia TNF (BAFF) e un ligando induttore della proliferazione (APRIL) che stimola la sopravvivenza delle cellule B e la produzione di anticorpi indipendente dalle cellule T; vi sono anche evidenze sperimentali secondo cui il BAFF potrebbe salvare le cellule B autoreattive.19 I follicoli linfoidi ectopici si sviluppano da cellule immunitarie che infiltrano cronicamente tessuti infiammati e si organizzano in strutture che ricordano il tessuto linfoide; mostrano diverse caratteristiche dei centri germinativi, comprese le cellule B proliferanti e una rete centrale di cellule dendritiche stromali/follicolari. I centri germinativi sostengono le risposte immunitarie umorali nei confronti degli organismi infettivi promuovendo l’homing delle cellule B, la loro espansione e la differenziazione in plasmacellule che producono anticorpi ad alta affinità. Il sistema CXCL13-CXCR5 è un’associazione ligando-recettore. Il CXCL13, una chemochina prodotta dalle cellule dendritiche stromali/follicolari, ha un ruolo vitale nella formazione e nel mantenimento dei follicoli di cellule B negli organi linfoidi secondari e terziari. Le chemochine agiscono legandosi al recettore CXCR5, che è espresso sulle cellule B e su sottogruppi di cellule T, e attraendo queste cellule nei follicoli. Le IgG oligoclonali sono i prodotti delle plasmacellule oligoclonali che secernono immunoglobuline, che migrano come bande discrete dopo separazione elettroforetica. Queste bande possono essere individuate nel liquor della maggior parte (>95%) dei pazienti con SM, persistono per tutto il decorso della malattia e sono un marcatore diagnostico della malattia; tuttavia, la loro specificità antigenica è quasi del tutto sconosciuta. Le IgG oligoclonali si trovano anche nel liquor dei pazienti con altre malattie neurologiche. Nelle infezioni acute e croniche del SNC, le IgG oligoclonali intratecali sono transitorie e sono principalmente dirette contro il patogeno causativo, mentre nelle sindromi neurologiche paraneoplastiche riconoscono antigeni onconeurali. Accoppiando i trascrittomi delle immunoglobuline delle cellule B con i corrispondenti trascrittomi delle immunoglobuline in campioni di liquor di pazienti con SM, Obermeier e collaboratori43 hanno fornito una prova diretta che le cellule B del liquor sono la fonte delle immunoglobuline oligoclonali nei pazienti con SM. La reazione MRZ tiene conto della produzione intratecale di anticorpi nei confronti dei virus del morbillo, della rosolia e della varicella zoster, calcolati a partire dai rispettivi indici di anticorpi virus-specifici. Una reazione MRZ positiva, definita come la combinazione di almeno due indici anticorpali positivi su tre, è presente in circa il 90% dei pazienti con SM, senza replicazione attiva dei tre virus. Tuttavia, la produzione intratecale di anticorpi verso uno specifico organismo infettivo di solito è conseguente a una replicazione attiva di tale patogeno nel SNC. Il rituximab è stato approvato dalla FDA nel 1997 per alcuni linfomi a cellule B e per l’artrite reumatoide resistente al trattamento ed è stato usato fuori indicazione per trattare le forme gravi di altre malattie mediate da autoanticorpi. Il farmaco è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto verso l’antigene CD20 sulle cellule B circolanti e, forse, su quelle associate al tessuto linfoide attraverso citotossicità cellulomediata e dipendente dal complemento ed effetti proapoptotici. Poiché le plasmacellule non esprimono il CD20, non sono deplete dal rituximab; ciò implica che le concentrazioni di anticorpi sierici e le IgG oligoclonali nel liquor potrebbero non essere influenzate dal farmaco nei pazienti con SM. sante, non è ancora noto quali antigeni siano riconosciuti dalle IgG oligoclonali intratecali e come venga indotta la risposta autoimmune. Gli organismi infettivi sono stati a lungo considerati come trigger candidati dell’autoimmunità nella SM, forse attraverso il meccanismo della mimicry molecolare o l’attivazione in qualità di semplici spettatori.16 Questa idea ha ricevuto nuovo impeto dai risultati di studi sieroepidemiologici e immunologici che hanno ampliato 210 03 Rassegne okok.indd 210 le evidenze su un’alterata immunoreattività all’EBV17-19 (si veda il glossario, Riquadro) nei pazienti con SM.16,20 I risultati di studi longitudinali hanno dimostrato che aumenti nei titoli di anticorpi anti-EBV si manifestano molto prima dell’esordio della SM, a indicare che l’aumento dell’immunoreattività all’EBV è un evento precoce nella SM, piuttosto che una conseguenza della malattia.21 Cepok e collaboratori22 hanno isolato IgG oligoclonali che riconoscono antigeni EBV dal liquor di pazienti con SM,22 The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:18:56 Punto di vista e diversi studi hanno riportato un aumento delle risposte delle cellule T agli antigeni EBV, soprattutto l’EBNA1, nel sangue di pazienti.22-24 Malgrado il ravvivato interesse per l’EBV come mediatore eziologico della SM, i meccanismi che legano l’infezione da HBV alla patologia della SM restano sconosciuti. Indizi per chiarire questo problema vengono dall’analisi degli infiltrati delle cellule infiammatorie nell’encefalo dei pazienti con SM. Nel corso della ricerca sui meccanismi molecolari dell’attrazione e della sopravvivenza delle cellule B su tessuti cerebrali post mortem, Serafini e collaboratori3 hanno identificato follicoli linfoidi ectopici (Riquadro) ricchi di cellule B e plasmacellule nelle meningi di un sottogruppo di pazienti con SM secondariamente progressiva. Benché apparentemente limitata alle fasi tardive della malattia, la presenza di strutture linfoido-simili negli encefali di pazienti con SM potrebbe fornire un microambiente in cui può avvenire l’espansione e la maturazione delle cellule B, e di conseguenza la produzione locale di immunoglobuline. Magliozzi e collaboratori5 hanno sottolineato la localizzazione preferenziale dei follicoli ectopici nello spazio subaracnoideo nei solchi cerebrali (Figura 1) e hanno correlato la loro presenza a una grave patologia corticale e a un decorso clinico aggressivo. Questi dati sollevano la possibilità che alcuni tipi di cellule che sono parte dei follicoli ectopici possano rilasciare anticorpi patogeni o altri fattori citotossici. Considerati insieme alle precedenti osservazioni secondo cui il rapporto fra plasmacellule produttrici di immunoglobuline e cellule T è inferiore nelle lesioni SM precoci rispetto a quelle tardive,25,26 i reperti prima riportati indicano che l’evidente infiltrazione di cellule B e l’organizzazione linfoide nell’encefalo di soggetti con SM potrebbero avere un ruolo nell’aggravare le lesioni tissutali cerebrali. L’accumulo di cellule B e la formazione di tessuto linfoide ectopico con distinte aree di cellule T e follicoli di cellule B (neogenesi linfoidea) sono anche caratteristici di altre malattie autoimmuni, come la miastenia gravis,27 la tiroidite autoimmune e l’artrite reumatoide.4,28 Una forte attivazione immunitaria è comune a tutte queste malattie e produce neogenesi linfoidea negli organi bersaglio infiammati, benché il ruolo preciso di questo processo nello sviluppo della malattia e la sua relazione con l’attività della malattia siano largamente sconosciuti. I risultati di recenti studi in pazienti con artrite reumatoide sostengono l’associazione di tessuto linfoide ectopico sinoviale con gravità della malattia e minore risposta alla terapia.29 La CXCL13 (Riquadro), una chemochina coinvolta nell’organogenesi linfoidea attraverso la regolazione dell’homing delle cellule B ai tessuti linfoidi, è una molecola importante nello sviluppo del tessuto linfoide ectopico in varie malattie infiammatorie.4,30,31 Nei pazienti con SM, l’espressione della CXCL13 è stata individuata nei follicoli intrameningei3,5 e nelle lesioni attive,32 e un’elevata concentrazione di chemochine è stata rilevata nel liquor,32 associata a follicoli a cellule B.33 Altre chemochine (ad es., CCL19, CCL21 e CXCL12) e molecole di adesione (ad es., The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 211 VCAM1 e PNAd), costitutivamente espresse negli organi linfoidi secondari e indotte durante l’infiammazione, sono state implicate nella migrazione delle cellule B e nell’organizzazione dei follicoli a cellule B in organi bersaglio, soprattutto nei pazienti con artrite reumatoide.4 L’identificazione di follicoli di cellule B ectopici nei pazienti con SM ha portato a ipotizzare che la loro formazione possa essere la manifestazione di una patologia associata all’EBV. Il razionale alla base di questa ipotesi era che l’EBV avesse la peculiare capacità di indurre un’infezione latente nelle cellule B, portando alla loro proliferazione e maturazione, e di riattivarle, inducendo una potente risposta immunitaria citotossica.34 Con l’ibridazione in situ per piccoli mRNA nucleari codificati dall’EBV e le tecniche immunoistochimiche con anticorpi contro proteine virali latenti e litiche, Serafini e collaboratori7 hanno identificato un anormale accumulo di cellule infettate da EBV nei tessuti cerebrali post mortem di 21 pazienti su 22 con SM. L’infezione perturbata dall’EBV nell’encefalo è risultata indipendente dallo stadio o dalla forma della malattia (acuta-precoce, cronica-tardiva, remittente-recidivante, secondariamente progressiva o primariamente progressiva), non è apparsa correlata alla terapia immunosoppressiva o immunomodulante cronica (solo 4 dei 22 pazienti con SM avevano ricevuto tali terapie) ed è risultata specifica della SM, perché non è stata trovata in pazienti con altre malattie infiammatorie del SNC che avevano un sostanziale accumulo di cellule B (ad es., infezioni virali e micotiche o vasculite primaria). La mancata individuazione in due precedenti studi di cellule B infettate dall’EBV nell’encefalo di pazienti con SM35,36 potrebbe essere conseguente a differenze metodologiche, degradazione del tessuto o entrambe. Serafini e collaboratori7 hanno trovato che i marcatori dell’infezione latente da EBV erano costantemente espressi in una sostanziale percentuale di cellule B o plasmacellule che si accumulavano nelle meningi, soprattutto all’interno dei follicoli ectopici, e nei manicotti perivascolari delle lesioni demielinizzanti acute e croniche. L’espressione delle proteine EBV associate al ciclo litico precoce era invece confinata ai follicoli ectopici e alle lesioni acute degli encefali con maggiore infiltrazione, correlando la riattivazione virale all’attività infiammatoria.7 Queste osservazioni indicano che i follicoli ectopici di cellule B potrebbero derivare dall’espansione incontrollata di cloni di cellule B infettate dall’EBV e potrebbero essere importanti siti occulti di persistenza e riattivazione dell’EBV durante gli stadi tardivi della malattia. L’immunoreattività alterata all’EBV18-24 e l’assenza di un rilevante aumento dei titoli di DNA dell’EBV nel sangue e nel liquor dei pazienti7,24,37 suggeriscono fortemente l’esistenza di un’infezione da EBV persistentemente sregolata e prevalente a livello del SNC nella patogenesi della SM. La cross-reattività tra EBV e antigeni mielinici38,39 e l’immortalizzazione dei cloni di cellule B che producono autoanticorpi40 sono state proposte come plausibili meccanismi mediante cui l’EBV scatenerebbe l’autoimmunità. In 211 10-12-2008 20:18:57 Punto di vista Sostanza grigia Sostanza bianca Membrana basale Astrocita Pedicello astrocitario Glia limitante Cellula perivascolare Sangue Spazio subaracnoideo Pericita Membrana basale Endotelio Venula intracerebrale Sangue Venula meningea Liquor Figura 1: Infiltrati di cellule infiammatorie nell’encefalo di un paziente con SM (A) Le cellule immunitarie si accumulano soprattutto nelle regioni perivascolari (spazi di Virchow-Robin) nelle lesioni della sostanza bianca. (B) I follicoli linfoidi ectopici sono usualmente localizzati vicino alle venule meningee e aderenti alla membrana piale all’interno dei solchi cerebrali. Anche le cellule dendritiche mieloidi e le cellule dendritiche plasmocitoidi infiltrano l’encefalo dei pazienti con SM. Le cellule dendritiche mieloidi hanno un ruolo importante nella presentazione dell’antigene e nell’attivazione delle cellule T, mentre le cellule dendritiche plasmocitoidi producono grandi quantità di interferone di tipo 1, una citochina antivirale. Le molecole di adesione, come il lymphocyte function-associated antigen-1 (LFA-1) e il very-late antigen 4 (VLA-4 [a4b1-integrina]) permettono lo stravaso di linfociti in entrambi i siti. Le cellule dendritiche stromali/follicolari, che formano una rete nei follicoli, secernono la chemochina CXCL13 che determina l’homing delle cellule B. La presenza di cellule B proliferanti nei follicoli è indicativa della formazione di un centro germinativo.4 Nelle aree perivenulari e meningee, le cellule B o le plasmacellule infettate dal virus di Epstein-Barr potrebbero diventare il target delle cellule T CD8+ citotossiche.7 PC=plasmacellule. T=cellule T. B=cellule B. Mj=macrofagi. e=eritrocita. mDC=cellula dendritica mieloide. pDC=cellula dendritica plasmocitoide. PM=membrana piale. S/FDC=cellula dendritica stromale/follicolare. PB=plasmablasto. LLP=cellula plasmatica a lunga vita. alternativa, o in aggiunta, l’encefalo potrebbe essere uno spettatore innocente, piuttosto che l’obiettivo diretto della risposta immunopatologica scatenata dal virus; in altre malattie associate all’EBV è noto che ciò rappresenta un fattore negativo.41 Coerentemente con questa idea, cellule T CD8+ attivate, che presentano segni di citotossicità nei confronti delle cellule B o delle plasmacellule, sono state identificate nelle principali sedi di infezione da EBV nell’encefalo di soggetti con SM.7 Ciò suggerisce un tentativo da parte del sistema immunitario di eradicare le cellule infettate dall’EBV dal SNC. Depositi anomali di EBV e cellule T CD8+ EBV-specifiche sono stati trovati nei tessuti e nel liquido sinoviale di pazienti con artrite reumatoide, ma la loro rilevanza patologica è incerta.42 Pertanto, in individui geneticamente predisposti, e probabilmente con il contributo di altri fattori ambientali, compresi altri virus, l’infezione da EBV potrebbe essere controllata in modo subottimale dal sistema immunitario dell’ospite, risultando in un’espansione di cellule B infettate nelle nicchie extralinfatiche. Le cellule B e le plasmacellule infettate dall’EBV nello spazio subaracnoideo e negli spazi di Virchow-Robin contigui al compartimento subaracnoideo-ventricolare indicano che nei pazienti con SM le IgG oligoclonali43 (Riquadro) potrebbero essere un prodotto collaterale di un’infezione da EBV sregolata che causa l’attivazione cronica delle cellule B, piuttosto che il risultato di un processo indotto da antigeni. Le IgG sintetizzate in sede intratecale potrebbero essere prodotte da cellule B di memoria infettate a caso dall’EBV e, di conseguenza, sarebbero eterogenee e non specifiche per la SM, in accordo con dati storici.44 La possibilità che le cellule B infettate dall’EBV 212 03 Rassegne okok.indd 212 producano anticorpi nonsenso si accorda bene con i dati riportati da Mattson e collaboratori45 secondo cui le IgG da singole placche di SM hanno pattern distinti, mentre le IgG ottenute da aree cerebrali diverse di pazienti con panencefalite sclerosante subacuta hanno pattern IgG identici. Poiché la panencefalite sclerosante subacuta è una complicanza dell’infezione da virus del morbillo, cioè si tratta di una malattia causata da un singolo patogeno, gli autori hanno sospettato che i pattern nelle placche della SM potessero derivare da anticorpi nonsenso patogeneticamente irrilevanti.45 Owens e colllaboratori46 hanno usato una RT-PCR a singola cellula per trovare ulteriori indicazioni sui clonotipi IgG somaticamente mutati ed espansi nel liquor di pazienti con SM. Hanno anche mostrato un arricchimento preferenziale dei plasmablasti con segmenti funzionalmente riarrangiati del gene VH4, che codificano per le parti variabili delle catene pesanti delle immunoglobuline. Questi dati sono stati interpretati come l’evidenza che nell’encefalo di pazienti con SM si ha una risposta delle cellule B altamente ristretta, che è probabilmente determinata da una limitata serie di antigeni. Occorre studiare la possibilità che l’espansione intratecale ipotizzata delle cellule B infettate dall’EBV concordi con i dati di Owens e collaboratori46 (restrizione clonale delle cellule B) e con le osservazioni di Mattson e collaboratori45 (differenti pattern di IgG oligoclonali in differenti placche di singoli pazienti). Ci sono nuovi dati sulla risposta policlonale intratecale delle cellule B nelle malattie demielinizzanti infiammatorie idiopatiche del SNC. La cosiddetta reazione MRZ (Riquadro) – la sintesi intratecale di IgG antimorbillo, antirosolia e antivaricella zoster – è osservata nella magThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:19:07 Punto di vista gior parte dei pazienti con SM ma è rara nei pazienti con encefalomielite acuta disseminata47 o con malattia di Devic.48 Questi dati indicano che la reazione MRZ aiuta a discriminare tra la SM e due malattie infiammatorie demielinizzanti del SNC che possono essere clinicamente indistinguibili dalla SM all’esordio. Dal punto di vista dell’EBV, il fenomeno potrebbe essere interpretato come evidenza che quando l’obiettivo è il pool di cellule B periferiche, il virus ha maggior probabilità di infettare le cellule B di memoria che sono state attivate da virus neurotropici comuni rispetto alle cellule B di memoria che sono state attivate da altri antigeni. Il fatto che alcuni pazienti con SM sono negativi per le IgG oligoclonali solleva la possibilità che lo sviluppo della malattia in questi pazienti dipenda dalla persistenza di un numero inferiore di cellule B policlonali nel SNC e da nessuna espansione oligoclonale (oppure da un’espansione non individuabile). In realtà, i pazienti veramente negativi per le IgG oligoclonali sono rari e hanno una prognosi migliore.49 Ipoteticamente, i sistemi immunitari di questi pazienti potrebbero affrontare un’infezione da EBV nell’encefalo in modo più efficiente di quelli dei pazienti con IgG oligoclonali. Nel contesto di un gioco dinamico ospite-EBV, con il progresso della malattia nuovi cloni di cellule B potrebbero espandersi, mentre altri potrebbero scomparire; questo fenomeno potrebbe spiegare i cambiamenti dei pattern di IgG oligoclonali visti nei pazienti con SM sottoposti a ripetute analisi liquorali nel tempo.50 sarebbe più efficace nel migliorare i sintomi della malattia di quanto attualmente riportato.52 Tuttavia, questi studi avevano una potenza ridotta e sono stati eseguiti quando la metodologia degli studi della SM era ancora primitiva. Di conseguenza, il rituximab potrebbe inibire funzioni delle cellule B diverse da quelle coinvolte nella sintesi delle immunoglobuline, come la presentazione dell’antigene e la produzione di citochine proinfiammatorie53 (Figura 2). Il rituximab, che è utilizzato nei disturbi linfoproliferativi da cellule B associati all’EBV,54 potrebbe determinare un’efficace deplezione delle cellule infettate dall’EBV nel sangue e nel liquor, benché non sia ancora noto se agisca sul pool di cellule B che infiltrano il SNC. Niino e collaboratori55 hanno trovato che le cellule B di memoria possono esprimere elevate concentrazioni della molecola di adesione very-late antigen (VLA)-4, che si lega alla vascular-cell adhesion molecule-1 sulle cellule endoteliali (Figura 1). La componente a4-integrina della VLA-4 è il target del natalizumab, un altro farmaco in grado di ridurre l’attività di malattia e il tasso di recidive nei pazienti con SM.56 Il natalizumab riduce l’espressione del VLA-4 sulle cellule immunitarie circolanti55 e inibisce l’ingresso delle cellule B e T nel SNC, il che può spiegarne l’effetto positivo nei pazienti con SM. Tuttavia, anche l’ablazione immunitaria totale non eradica i linfociti dall’encefalo dei pazienti con SM; l’88% dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo mostrava persistenza di bande oligoclonali nel liquor e deterioramento clinico.57 L’attivazione delle cellule B è patogeneticamente rilevante? Dopo anni di impasse, nuovi dati sulle cellule B stanno stimolando modalità non convenzionali di ragionamento sulla patogenesi della SM. L’identificazione di anticorpi nei confronti di antigeni neuronali fornisce indizi sui meccanismi alla base del danno del tessuto cerebrale e merita ulteriori ricerche. L’identificazione di follicoli ectopici di cellule B come nicchia per la genesi di cellule B e plasmacellule nell’encefalo dei pazienti con SM rinforza il concetto che l’immunità umorale ha un ruolo nelle alterazioni patologiche e solleva importanti questioni sull’assenza di efficacia delle attuali terapie nella soppressione della sintesi intratecale di IgG nei pazienti con SM. Questi dati meritano di essere ancora esplorati attraverso ulteriori studi indipendenti sulle funzioni effettorie e regolatorie delle cellule B, al di là del dogma degli anticorpi antimielina, e studi di conferma della consistenza della colonizzazione del SNC da parte delle cellule B infettate dall’EBV. La conoscenza dei meccanismi alla base della formazione, della correlazione con l’attività di malattia o del suo esito e della modulazione da parte della terapia dei tessuti linfoidi terziari nei pazienti con SM e altre malattie autoimmuni croniche (collettivamente tali malattie potrebbero essere classificate come “sindromi follicolari ectopiche”) potrebbe condurre allo sviluppo di farmaci più specifici ed efficaci. Non è noto se l’EBV abbia un ruolo primario o secon- Il crescere delle prove che le cellule B hanno un ruolo patogenetico in molte malattie autoimmuni indica che potrebbero essere utili i farmaci diretti all’immunità umorale, come il rituximab (Riquadro). In uno studio di fase II, pazienti con SM remittente-recidivante hanno ricevuto 1 g di rituximab per via endovenosa o placebo il giorno 1 e il giorno 15.8 I pazienti trattati con rituximab hanno presentato una sostanziale riduzione del numero totale di lesioni che assumevano gadolinio, riduzione che era ancora evidente a 48 settimane di follow-up, metà del numero di recidive cliniche rispetto ai pazienti trattati con placebo e frequenti eventi indesiderati da lievi a moderati (78%) correlati all’infusione, senza aumento dell’incidenza di infezioni.8 I risultati di un altro ampio studio sul rituximab nei pazienti con artrite reumatoide attiva51 hanno dimostrato l’efficacia di questo farmaco nel migliorare la qualità di vita. Di conseguenza, l’efficacia del rituximab nei pazienti con SM o artrite reumatoide sostiene indirettamente il coinvolgimento dell’immunità umorale in entrambi i disturbi. Tuttavia, l’assenza di una riduzione delle concentrazioni totali di anticorpi nei pazienti con SM trattati con rituximab indica che una riduzione dei potenziali anticorpi patogeni non può spiegare i rapidi effetti del farmaco.8 Inoltre, se la deplezione anticorpale fosse cruciale per il trattamento della SM, la plasmaferesi The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 213 Il futuro e le conclusioni 213 10-12-2008 20:19:07 Punto di vista Organo linfoide primario Midollo osseo Cellula B precursore Tessuti linfoidi terziari Meningi, sinovia Organi linfoidi secondari e altri tessuti Milza, linfonodi, sangue Cellule B naïve Cellule B di memoria Cellule B attivate Cellula pre-B Plasmacellule Plasmacellula a lunga vita Macrofago Citochine, citotossicità Figura 2: Linee di cellule B in differenti compartimenti dell’organismo Il rituximab ha come target l’antigene CD20, che è assente sui precursori delle cellule B, sui plasmablasti e sulle plasmacellule; pertanto, queste cellule possono resistere al rituximab nel midollo osseo e nei tessuti linfoidi ectopici. In particolare, le plasmacellule generate (o reclutate) nei follicoli ectopici e nelle lesioni della SM potrebbero sostenere la produzione delle immunoglobuline oligoclonali intratecali, che generano meccanismi potenzialmente negativi. A causa della rapidità della sua efficacia, il rituximab potrebbe causare la deplezione del pool di cellule B di memoria che possono secernere molecole proinfiammatorie come il TNF e che sono espanse nei pazienti con SM.53 Il pool di cellule B naïve secerne soprattutto la citochina antinfiammatoria IL-10 e potrebbe essere ridotto nei pazienti con SM.53 Il rituximab potrebbe anche indurre la deplezione del pool di cellule B infettate dall’EBV, riducendo gli effetti negativi dell’immunità da cellule T specifica dell’EBV. B=cellula B. PC=plasmacellula. 10=interleuchina 10. Ag=antigene. TNF=tumor necrosis factor. Th=cellula T helper. APC=cellula che presenta l’antigene. pCD=cellula dendritica plasmocitoide. S/FDC=cellula dendritica stromale/follicolare. PB=plasmablasto. Forma verde=CD20. Forma rossa=rituximab. Strategie di ricerca e criteri di selezione I riferimenti bibliografici sono stati identificati mediante una ricerca su PubMed, tra il gennaio 2006 e il marzo 2008, con i termini “B cells”, “rituximab”, “natalizumab” e “multiple sclerosis”. Sono stati inclusi anche articoli identificati negli archivi degli autori. Sono stati inclusi solo lavori scritti in lingua inglese, ulteriormente selezionati in base all’originalità e all’importanza in relazione all’argomento di questo contributo. dario in questo scenario. Poiché la maggior parte degli adulti è sieropositiva per l’EBV e portatrice di genomi EBV latenti, il rompicapo è capire che cosa potrebbe convertire un’infezione di solito ben tollerata in una malattia tessuto-specifica. La possibilità che un’infezione da EBV sregolata possa essere associata allo sviluppo di caratteristiche autoimmuni è solo un passo iniziale in un processo di miglioramento delle conoscenze che dovrebbe integrare ciò che attualmente sappiamo dei fattori genetici, immunologici e ambientali nelle varie malattie autoimmuni. Nel lavorare lungo queste linee si dovranno fare ulteriori ricerche per comprendere appieno il ruolo delle cellule B e degli anticorpi nella SM. Contributi DF ha coordinato il lavoro, disegnato le figure e scritto la prima stesura di questo contributo. DF e FL hanno eseguito la ricerca nella letteratura. FA, MS, FL e BS hanno contribuito sostanzialmente al contenuto e alla stesura del contributo. Tutti gli autori hanno visto e approvato la versione finale. 214 03 Rassegne okok.indd 214 Conflitti di interesse DF ha ricevuto un onorario da Merck Serono per un handbook of laboratory neuroimmunology. MS ha ricevuto fondi di ricerca da Bayer Schering, Sanofi Aventis e Merck Serono. FL, BS e FA non hanno conflitti di interesse. Ringraziamenti MS, FA e DF sono sostenuti dalla FISM – Fondazione Italiana Sclerosi Multipla – Cod. 2007/R/17/C3. FA è sostenuto dal sesto Programma Quadro dell’Unione Europea NeuroproMiSe LSHM-CT-200501863. FL è sostenuto da PRIN 2006, MIUR, protocollo 2006064219 (“Immunità umorale nella sclerosi multipla: attivazione dei linfociti B e demielinizzazione”). DF ha ricevuto fondi RC2007 dal Ministero della Salute Italiano per la Fondazione Mondino. DF ringrazia Sara Pizzi per l’iconografia storica. Bibliografia 1 Meinl E, Krumbholz M, Hohlfeld R. B-lineage cells in the inflammatory central nervous system environment: migration, maintenance, local antibody production, and therapeutic modulation. Ann Neurol 2006; 59: 880–92. 2 Owens GP, Bennett JL, Gilden DH, Burgoon MP. The B cell response in multiple sclerosis. Neurol Res 2006; 28: 236–44. 3 Serafini B, Rosicarelli B, Magliozzi R, Stigliano E, Aloisi F. Detection of ectopic B-cell follicles with germinal centers in the meninges of patients with secondary progressive multiple sclerosis. Brain Pathol 2004; 14: 164–74. 4 Aloisi F, Pujol-Borrell R. Lymphoid neogenesis in chronic inflammatory diseases. Nat Rev Immunol 2006; 6: 205–17. 5 Magliozzi R, Howell O, Vora A, et al. Meningeal B-cell follicles in secondary progressive multiple sclerosis associate with early onset of disease and severe cortical pathology. Brain 2007; 130: 1089–104. 6 Prineas JW. Multiple sclerosis: presence of lymphatic capillaries and lymphoid tissue in the brain and spinal cord. Science 1979; 203: 1123–25. 7 Serafini B, Rosicarelli B, Franciotta D, et al. Dysregulated Epstein– Barr virus infection in the multiple sclerosis brain. J Exp Med 2007; 204: 2899–912. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:19:13 Punto di vista 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Hauser SL, Waubant E, Arnold DL, et al. B-cell depletion with rituximab in relapsing-remitting multiple sclerosis. N Engl J Med 2008; 358: 676–88. Gay D, Esiri M. Blood-brain barrier damage in acute multiple sclerosis plaques. An immunocytological study. Brain 1991; 114: 557–72. Breij EC, Brink BP, Veerhuis R, et al. Homogeneity of active demyelinating lesions in established multiple sclerosis. Ann Neurol 2008; 63: 16–25. Wingerchuk DM, Lucchinetti CF. Comparative immunopathogenesis of acute disseminated encephalomyelitis, neuromyelitis optica, and multiple sclerosis. Curr Opin Neurol 2007; 20: 343–50. Ousman SS, Tomooka BH, Van Noort JM, et al. Protective and therapeutic role for αB-crystallin in autoimmune demyelination. Nature 2007; 448: 474–79. Silber E, Semra YK, Gregson NA, Sharief MK. Patients with progressive multiple sclerosis have elevated antibodies to neurofilament subunit. Neurology 2002; 58: 1372–81. Bartos A, Fialová L, Soukupová J, Kukal J, Malbohan I, Pitha J. Elevated intrathecal antibodies against the medium neurofilament subunit in multiple sclerosis. J Neurol 2007; 254: 20–25. Mathey EK, Derfuss T, Storch MK, et al. Neurofascin as a novel target for autoantibody-mediated axonal injury. J Exp Med 2007; 204: 2363–72. Giovannoni G, Cutter GR, Lünemann J, et al. Infectious causes of multiple sclerosis. Lancet Neurol 2006; 5: 887–94. Ascherio A, Munger KL. Environmental risk factors for multiple sclerosis. Part I: the role of infection. Ann Neurol 2007; 61: 288–99. Barzilai O, Sherer Y, Ram M, Izhaky D, Anaya JM, Shoenfeld Y. Epstein-Barr virus and cytomegalovirus in autoimmune diseases: are they truly notorious? A preliminary report. Ann N Y Acad Sci 2007; 1108: 567–77. Niller HH, Wolf H, Minarovits J. Regulation and dysregulation of Epstein–Barr virus latency: implications for the development of autoimmune diseases. Autoimmunity 2008; 41: 298–328. Lünemann JD, Kamradt T, Martin R, Münz C. Epstein-Barr virus: environmental trigger of multiple sclerosis? J Virol 2007; 81: 6777– 84. DeLorenze GN, Munger KL, Lennette ET, Orentreich N, Vogelman JH, Ascherio A. Epstein–Barr virus and multiple sclerosis: evidence of association from a prospective study with long-term follow-up. Arch Neurol 2006; 63: 839–44. Cepok S, Zhou D, Srivastava R, et al. Identification of Epstein–Barr virus proteins as putative targets of the immune response in multiple sclerosis. J Clin Invest 2005; 115: 1352–60. Höllsberg P, Hansen HJ, Haahr S. Altered CD8+ T cell responses to selected Epstein–Barr virus immunodominant epitopes in patients with multiple sclerosis. Clin Exp Immunol 2003; 132: 137–43. Lünemann JD, Edwards N, Muraro PA, et al. Increased frequency and broadened specificity of latent EBV nuclear antigen-1-specific T cells in multiple sclerosis. Brain 2006; 129: 1493-506. Prineas JW, Wright RG. Macrophages, lymphocytes, and plasma cells in the perivascular compartment in chronic multiple sclerosis. Lab Invest 1978; 38: 409–21. Ozawa K, Suchanek G, Breitschopf H, et al. Patterns of oligodendroglia pathology in multiple sclerosis. Brain 1994; 117: 1311–22. Roxanis I, Micklem K, McConville J, Newsom-Davis J, Willcox N. Thymic myoid cells and germinal center formation in myasthenia gravis; possible roles in pathogenesis. J Neuroimmunol 2002; 125: 185–97. Magalhaes R, Stiehl P, Morawietz L, Berek C, Krenn V. Morphological and molecular pathology of the B cell response in synovitis of rheumatoid arthritis. Virchows Arch 2002; 441: 415–27. Canete JD, Celis R, Moll C, et al. Clinical significance of synovial lymphoid neogenesis and its reversal after anti-TNF-α therapy in rheumatoid arthritis. Ann Rheum Dis 2008; published online May 21. DOI:10.1136/ard.2008.089284 Meraouna A, Cizeron-Clairac G, Panse RL, et al. The chemokine CXCL13 is a key molecule in autoimmune myasthenia gravis. Blood 2006; 108: 432–40. Barone F, Bombardieri M, Rosado MM, et al. CXCL13, CCL21, and The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 03 Rassegne okok.indd 215 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 CXCL12 expression in salivary glands of patients with Sjogren’s syndrome and MALT lymphoma: association with reactive and malignant areas of lymphoid organization. J Immunol 2008; 180: 5130–40. Krumbholz M, Theil D, Cepok S, et al. Chemokines in multiple sclerosis: CXCL12 and CXCL13 up-regulation is differentially linked to CNS immune cell recruitment. Brain 2006; 129: 200–11. Aloisi F, Columba-Cabezas S, Franciotta D, et al. Lymphoid chemokines in chronic neuroinflammation. J Neuroimmunol 2008; published online July 7. DOI:10.1016/j.jneuroim.2008.06.004. Thorley-Lawson DA. Epstein–Barr virus: exploiting the immune system. Nat Rev Immunol 2001; 1: 75–82. Hilton DA, Love S, Fletcher A, Pringle HJ. Absence of Epstein– Barr virus RNA in multiple sclerosis as assessed by in situ hybridisation. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1994; 57: 975–76. Opsahl ML, Kennedy PG. An attempt to investigate the presence of Epstein–Barr virus in multiple sclerosis and normal control brain tissue. J Neurol 2007; 254: 425–30. Buljevac D, van Doornum GJ, Flach HZ, et al. Epstein–Barr virus and disease activity in multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2005; 76: 1377–81. Wucherpfennig KW, Hafler DA, Strominger JL. Structure of human T-cell receptors specific for an immunodominant myelin basic protein peptide: positioning of T-cell receptors on HLA-DR2/ peptide complexes. Proc Natl Acad Sci USA 1995; 92: 8896–900. Lang HL, Jacobsen H, Ikemizu S, et al. A functional and structural basis for TCR cross-reactivity in multiple sclerosis. Nat Immunol 2002; 3: 940–43. Pender MP. Infection of autoreactive B lymphocytes with EBV, causing chronic autoimmune diseases. Trends Immunol 2003; 24: 584–88. Hislop AD, Taylor GS, Sauce D, Rickinson AB. Cellular responses to viral infection in humans: lessons from Epstein–Barr virus. Annu Rev Immunol 2007; 25: 587–617. Toussirot E, Roudier J. Pathophysiological links between rheumatoid arthritis and the Epstein-Barr virus: an update. Joint Bone Spine 2007; 74: 418–26. Obermeier B, Mentele R, Malotka J, et al. Matching of oligoclonal immunoglobulin transcriptomes and proteomes of cerebrospinal fluid in multiple sclerosis. Nat Med 2008; published online May 18. DOI:10.1038/nprot.2008.87. Sindic CJM, Monteyne P, Laterre EC. The intrathecal synthesis of virus-specific oligoclonal IgG in multiple sclerosis. J Neuroimmunol 1994; 54: 75–80. Mattson DH, Roos RP, Arnason BG. Isoelectric focusing of IgG eluted from multiple sclerosis and subacute sclerosing panencephalitis brains. Nature 1980; 287: 335–7. Owens GP, Winges KM, Ritchie AM, et al. VH4 gene segments dominate the intrathecal humoral immune response in multiple sclerosis. J Immunol 2007; 179: 6343–51. Jarius S, Franciotta D, Marchioni E, Hohlfeld R, Wildemann B, Voltz R. Intrathecal polyspecific immune response against neurotropic viruses discriminates between multiple sclerosis and acute demyelinating encephalomyelitis. J Neurol 2006; 253 (suppl 2): 123. Jarius S, Franciotta D, Bergamaschi R, et al. Polyspecific, antiviral immune response distinguishes multiple sclerosis and neuromyelitis optica. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2008; published online Feb 12. DOI:10.1136/jnnp.2007.133330. Zeman AZ, Kidd D, McLean BN, et al. A study of oligoclonal band negative multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1996; 60: 27–30. Thompson EJ, Kaufmann P, Rudge P. Sequential changes in oligoclonal patterns during the course of multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1983; 46: 115–16. Mease PJ, Revicki DA, Szechinski J, et al. Improved health-related quality of life for patients with active rheumatoid arthritis receiving rituximab: Results of the Dose-Ranging Assessment: International Clinical Evaluation of Rituximab in Rheumatoid Arthritis (DANCER) Trial. J Rheumatol 2008; 35: 20–30. Lehmann HC, Hartung HP, Hetzel GR, Stüve O, Kieseier BC. Plasma exchange in neuroimmunological disorders. Part 1: rationale and treatment of inflammatory central nervous system disorders. Arch Neurol 2006; 63: 930–35. 215 10-12-2008 20:19:14 Punto di vista 53 Duddy M, Niino M, Adatia F, et al. Distinct effector cytokine profiles of memory and naive human B cell subsets and implication in multiple sclerosis. J Immunol 2007; 178: 6092–99. 54 Milone MC, Tsai DE, Hodinka RL, et al. Treatment of primary Epstein–Barr virus infection in patients with X-linked lymphoproliferative disease using B-cell-directed therapy. Blood 2005; 105: 994–96. 55 Niino M, Bodner C, Simard ML, et al. Natalizumab effects on immune cell responses in multiple sclerosis. Ann Neurol 2006; 59: 748–54. 216 03 Rassegne okok.indd 216 56 Polman CH, O’Connor PW, Havrdova E, et al. A randomized, placebo-controlled trial of natalizumab for relapsing multiple sclerosis. N Engl J Med 2006; 354: 899–910. 57 Mondria T, Lamers CH, Te Boekhorst PA, Gratama JW, Hintzen RQ. Bonemarrow transplantation fails to halt intrathecal lymphocyte activation in MS. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2008; published online Jan 25. DOI:10.1136/jnnp.2007.133520. The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 10-12-2008 20:19:14 3*"446/50%&--&$"3"55&3*45*$)&%&-130%0550 %&/0.*/";*0/&%&-.&%*$*/"-& AZILECT 1 mg compresse. $0.104*;*0/&26"-*5"5*7"&26"/5*5"5*7" Ogni compressa contiene 1 mg di rasagilina (mesilato). Per gli eccipienti vedere paragrafo 6.1. '03."'"3."$&65*$" Compressa. Compresse di colore bianco-biancastro, rotonde, piatte e smussate ai bordi, lisce su un lato e recanti le scritte in rilievo “GIL” e “1” sull’altro. */'03.";*0/*$-*/*$)& *OEJDB[JPOJUFSBQFVUJDIFAZILECT è indicato nel trattamento della malattia di Parkinson sia in monoterapia (senza levodopa) sia come terapia in associazione (con levodopa) nei pazienti con fluttuazioni di fine dose. 1PTPMPHJBFNPEPEJTPNNJOJTUSB[JPOFRasagilina è somministrata per via orale alla dose di 1 mg, una volta al giorno, associata o non associata a levodopa. Può essere assunta sia a digiuno che a stomaco pieno. "O[JBOJnon è necessario un aggiustamento della dose nei pazienti anziani. #BNCJOJFBEPMFTDFOUJBOOJ non è raccomandato l’uso poiché non sono state stabilite sicurezza ed efficacia in questa popolazione di pazienti. 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BFQBUJDBè controindicato l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza epatica grave (vedere paragrafo 4.3). Evitare l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza epatica moderata. Usare cautela all’inizio del trattamento con rasagilina in pazienti con insufficienza epatica lieve. Interrompere il trattamento con rasagilina in caso di evoluzione dell’insufficienza epatica da lieve a moderata (vedere paragrafo 4.4). 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BSFOBMFnon è necessario un aggiustamento della dose nei pazienti con insufficienza renale. $POUSPJOEJDB[JPOJ Ipersensibilità verso il principio attivo o uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). Trattamento concomitante con altri inibitori delle monoaminoossidasi (MAO) o petidina (vedere paragrafo 4.5). Attendere almeno 14 giorni tra l’interruzione del trattamento con rasagilina e l’inizio della terapia con inibitori delle MAO o petidina. L’uso di rasagilina è controindicato in pazienti con insufficienza epatica grave. "WWFSUFO[FTQFDJBMJFPQQPSUVOFQSF DBV[JPOJEJNQJFHP Evitare l’uso concomitante di rasagilina e fluoxetina o fluvoxamina (vedere paragrafo 4.5). Attendere almeno cinque settimane dall’interruzione del trattamento con fluoxetina prima di iniziare la terapia con rasagilina. Attendere almeno 14 giorni tra l’interruzione del trattamento con rasagilina e l’inizio del trattamento con fluoxetina o fluvoxamina. Si sconsiglia l’uso concomitante di rasagilina e destrometorfano o simpaticomimetici, inclusi i decongestionanti nasali e orali e i farmaci contro il raffreddore contenenti efedrina o psudoefedrina (vedere paragrafo 4.5). Durante il programma di sviluppo clinico della rasagilina sono stati osservati alcuni casi di melanoma che potrebbero suggerire una possibile associazione con la rasagilina. I dati raccolti tuttavia indicano che la malattia di Parkinson, e non un farmaco in particolare, è associato con un rischio più elevato di tumore cutaneo (non solo melanoma). In caso di lesione cutanea sospetta consultare uno specialista. Usare cautela all’inizio del trattamento con rasagilina in pazienti con insufficienza epatica lieve. Evitare l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza epatica moderata. Interrompere il trattamento con rasagilina in caso di evoluzione dell’insufficienza epatica da lieve a moderata (vedere paragrafo 5.2). *OUFSB[JPOJDPOBMUSJNFEJDJOBMJFEBMUSFGPSNF EJOUFSB[JPOF Esistono un certo numero di interazioni note tra inibitori non selettivi delle MAO e altri prodotti medicinali. Rasagilina non deve essere somministrata in associazione con altri inibitori delle MAO poiché esiste il rischio di un’inibizione non selettiva delle MAO con possibile insorgenza di crisi ipertensive (vedere paragrafo 4.3). Reazioni avverse gravi sono state segnalate con l’uso concomitante di petidina e inibitori delle MAO, così come con altri inibitori selettivi delle MAO-B. È controindicata la somministrazione concomitante di rasagilina e petidina (vedere paragrafo 4.3). Evitare l’uso concomitante di rasagilina e fluoxetina o fluvoxamina (vedere paragrafo 4.4). L’uso concomitante di inibitori delle MAO, così come di altri inibitori selettivi delle MAO-B e medicinali simpaticomimetici ha dato luogo a fenomeni di interazione farmacologica. Quindi, data l’attività di inibizione delle MAO della rasagilina, si sconsiglia la somministrazione concomitante di rasagilina e simpaticomimetici, come quelli presenti decongestionanti nasali e orali e i farmaci contro il raffreddore contenenti efedrina o psudoefedrina (vedere paragrafo 4.4). Sono state riferite interazioni farmacologiche in caso di uso concomitante di destrometorfano e inibitori non selettivi delle MAO. Quindi, data l’attività di inibizione delle MAO della rasagilina, si sconsiglia l’uso concomitante di rasagilina e destrometorfano (vedere paragrafo 4.4). Reazioni avverse gravi sono state segnalate con l’uso IV di cop.indd 217 concomitante di inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), antidepressivi triciclici e tetraciclici e inibitori delle MAO così come con altri inibitori selettivi delle MAO-B. Data l’attività di inibizione delle MAO della rasagilina, si consiglia, quindi, di usare cautela in caso di trattamento con antidepressivi. Nei pazienti con malattia di Parkinson, in trattamento cronico con levodopa, quale farmaco di associazione, non è stato riportato alcun effetto clinico significativo della levodopa sulla clearance della rasagilina. Studi in vitro sul metabolismo hanno mostrato che il citocromo P4501A2 (CYP1A2) è il principale enzima responsabile del metabolismo della rasagilina. La somministrazione concomitante di rasagilina e ciprofloxacina (un inibitore di CYP1A2) ha prodotto un aumento dell’83% dell’AUC della rasagilina. La somministrazione concomitante di rasagilina e teofillina (un substrato del CYP1A2) non ha avuto effetti sulla farmacocinetica dei due prodotti. Quindi, gli inibitori potenti del CYP1A2 possono alterare i livelli plasmatici di rasagilina e devono essere somministrati con cautela. In pazienti fumatori esiste il rischio di diminuzione dei livelli plasmatici della rasagilina dovuta all’induzione dell’enzima metabolico CYP1A2. Studi in vitro hanno dimostrato che concentrazioni di rasagilina pari a 1 μg/ml (equivalente a un livello 160 volte la Cmax media di ~5,9-8,5 ng/ml nei pazienti affetti da malattia di Parkinson dopo dosaggio multiplo di rasagilina 1 mg), non hanno inibito gli isoenzimi del citocromo P450 CYP1A2, CYP2A6, CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6, CYP2E1, CYP3A4 e CYP4A. Questi risultati mostrano che è improbabile che le concentrazioni terapeutiche di rasagilina possano interferire in modo clinicamente significativo sui substrati di questi enzimi. La somministrazione contemporanea di rasagilina ed entacapone ha determinato un aumento del 28% nella clearance orale della rasagilina. *OUFSB[JPOF UJSBNJOBSBTBHJMJOB I risultati di quattro studi di stimolazione con tiramina (in volontari e pazienti con malattia di Parkinson) insieme con i dati derivanti dal monitoraggio quotidiano della pressione sanguigna dopo i pasti (in 464 pazienti trattati con 0,5 mg/die o 1 mg/die di rasagilina o placebo come terapia di associazione con levodopa per sei mesi senza restrizioni di tiramina), e l’assenza di segnalazioni di interazione tra tiramina e rasagilina negli studi clinici condotti senza restrizioni di tiramina, indicano che la rasagilina può essere usata in modo sicuro e senza restrizioni dietetiche per la tiramina. (SBWJEBO[BFEBMMBUUBNFOUPNon sono disponibili dati clinici sull’uso della rasagilina in gravidanza. Gli studi su animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti sulla gravidanza, sviluppo embrionale/fetale, sul parto e nello sviluppo post-natale (vedere paragrafo 5.3). È necessaria prudenza nel prescrivere il medicinale a donne in stato di gravidanza. I dati sperimentali indicano che la rasagilina inibisce la secrezione di prolattina e quindi potrebbe inibire la lattazione. Non è noto se la rasagilina venga escreta nel latte materno. Particolare attenzione dovrà essere prestata nella somministrazione del farmaco in donne in allattamento. &GGFUUJTVMMBDBQBDJUÆEJHVJEBSFWFJDPMJFTVMMVTP EJNBDDIJOBSJNon sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. &GGFUUJJOEFTJEFSBUJ Nel programma di sviluppo clinico della rasagilina un totale di 1360 pazienti è stato trattato con rasagilina pari a 2017 anni-paziente. In studi in doppio cieco controllati verso placebo, sono stati trattati con rasagilina 1 mg/die un totale di 529 pazienti pari 212 anni-paziente mentre hanno ricevuto placebo 539 pazienti pari a 213 anni-paziente. .POPUFSBQJBDi seguito sono elencate le reazioni avverse riportate, con maggiore incidenza, in studi controllati verso placebo in pazienti trattati con 1 mg/die di rasagilina (gruppo rasagilina n=149, gruppo placebo n=151). Le reazioni avverse con almeno 2% di differenza rispetto al placebo sono riportate in corsivo Il numero tra parentesi (% di pazienti) indica l’incidenza della reazione avversa nel gruppo rasagilina vs. placebo, rispettivamente. Le reazioni avverse sono state classificate secondo la frequenza usando le convenzioni seguenti: molto comuni (>1/10), comuni (>1/100, <1/10), non comuni (>1/1000, <1/100), rare (>1/10000, <1/1000), molto rare (<1/10000) compresi i casi isolati. 4JTUFNJDIF molto comuni: cefalea (14,1% vs. 11,9%) comuni: sindrome influenzale (6,0% vs. 0,7%), malessere (2,0% vs. 0%), dolore cervicale (2,0% vs. 0%), reazioni allergiche (1,3% vs. 0,7 %), febbre (2,7% vs. 1,3%). 4JTUFNBDBSEJPWBTDPMBSF comuni: angina pectoris (1,3% vs. 0%) non comuni: accidenti cerebrovascolari (0,7% vs. 0%) infarto del miocardio (0,7% vs. 0%). "QQBSBUP EJHFSFOUFcomuni: dispepsia (6,7% vs. 4%), anoressia (1,3% vs. 0%). 4BOHVFFTJTUFNBMJOGBUJDPcomuni: leucopenia (1,3% vs. 0%). "QQBSB UPNVTDPMPTDIFMFUSJDPcomuni: artralgia (7,4% vs. 4%), artrite (2,0% vs. 0,7%). 4JTUFNBOFSWPTPcomuni: depressione (5,4% vs. 2%), vertigini (2,0% vs. 0,7%). "QQBSBUPSFTQJSBUPSJPcomuni: rinite (2,7% vs. 1,3%). "MUSJPSHBOJEJTFOTPcomuni: congiuntivite (2,7% vs. 0,7%). $VUFFBO OFTTJcomuni: dermatite da contatto (1,3% vs. 0%) eritema vescicolobolloso (1,3% vs. 0%), carcinoma cutaneo (1,3% vs. 0,7%). "QQBSBUP VSPHFOJUBMFcomuni: urgenza urinaria (1,3% vs. 0%). 5FSBQJBEJBTTP DJB[JPOFDi seguito sono riportate le reazioni avverse riscontrate con maggiore incidenza negli studi controllati verso placebo in pazienti in trattamento con 1 mg/die di rasagilina (gruppo con rasagilina n=380, gruppo con placebo n=388). Il numero tra parentesi (% di pazienti) indica l’incidenza della reazione avversa nel gruppo con rasagilina vs. placebo, rispettivamente. Le reazioni avverse con almeno 2% di differenza rispetto al placebo sono riportate in corsivo. Le reazioni avverse sono state classificate secondo la frequenza usando le convenzioni seguenti: molto comuni (>1/10), comuni (>1/100, <1/10), non comuni (>1/1000, <1/100), rare (>1/10000, <1/1000), molto rare (<1/10000) compresi i casi isolati. 4JTUFNJDIF comuni: dolore addominale (3,9% vs. 1,3%), infortunio accidentale (specialmente cadute) (8,2% vs. 5,2%), dolore cervicale (1,6% vs. 0,5%). 4JTUFNB DBSEJPWBTDPMBSF comuni: ipotensione posturale (4,7% vs. 1,3%) non comuni: angina pectoris (0,5% vs. 0%), accidenti cerebrovascolari (0,5% vs. 0,3%). "QQBSBUPEJ 18-12-2008 18:02:45 HFSFOUFcomuni: costipazione (4,2% vs. 2,1%), vomito (3,4% vs. 1,0%), anoressia (2,1% vs. 0,5%), secchezza delle fauci (3,4% vs. 1,8%). 4J TUFNBNVTDPMPTDIFMFUSJDPcomuni: atralgia (3,2% vs. 1,3%), tenosinovite (1,3% vs. 0%). .FUBCPMJTNP"MJNFOUB[JPOFcomuni: calo ponderale (4,2% vs. 1,5%). 4JTUFNBOFSWPTPmolto comuni: discinesia (10,3% vs. 6,4%) comuni: distonia (2,4% vs. 0,8%), sogni anormali (2.1% vs. 0.8%), atassia (1,3% vs. 0,3%), allucinazioni (2,9% vs. 2,1%), non comuni: confusione (0,8% vs. 0,8%). $VUFFBOOFTTJcomuni: rash (2,6% vs. 1,5%) non comuni: melanoma cutaneo (0,5% vs. 0,3%). Altri eventi avversi importanti segnalati in altri studi clinici con rasagilina (con diversa dose o in studi senza controllo verso placebo) verificatisi ciascuno in due pazienti sono stati rabdomiolisi (entrambi i casi legati a caduta e immobilizzazione prolungata) e secrezione inappropriata di ormone antidiuretico (ADH). La natura complessa di questi casi non permette di determinare quale ruolo abbia eventualmente avuto la rasagilina nella loro patogenesi. La malattia di Parkinson è associata a sintomi quali allucinazioni e confusione. Nell’esperienza post marketing questi sintomi sono stati osservati anche in pazienti con malattia di Parkinson trattati con rasagilina. 4PWSBEPTBHHJPNel corso degli studi clinici non sono stati segnalati casi di sovradosaggio. In teoria, il sovradosaggio potrebbe causare una significativa inibizione delle MAO-A e MAO-B. Volontari sani sono stati trattati con 20 mg/die di prodotto in uno studio a singola dose, oppure con 10 mg/die, in uno studio della durata di dieci giorni. Gli eventi avversi osservati sono stati valutati come lievi o moderati e non correlati al trattamento con rasagilina. In uno studio con aumento progressivo delle dosi, condotto in pazienti in terapia cronica con levodopa e trattati con 10 mg/die di rasagilina sono stati riportati effetti indesiderati cardiovascolari (inclusa ipertensione e ipotensione posturale) che sono scomparsi all’interruzione del trattamento. Tali sintomi sono simili a quelli osservati per gli inibitori non selettivi delle MAO. Non esiste un antidoto specifico. In caso di sovradosaggio, monitorare i pazienti e intervenire con un’adeguata terapia sintomatica e di supporto. 13013*&5©'"3."$0-0(*$)& 1SPQSJFUÆGBSNBDPEJOBNJDIF Categoria farmacoterapeutica: farmaci antiparkinsoniani, inibitori delle monoaminoossidasi-B. Codice ATC: NO4BD02. .FDDBOJTNPEB[JPOFLa rasagilina ha dimostrato di essere un potente ed irreversibile inibitore selettivo delle MAO-B, che può determinare un aumento dei livelli extracellulari di dopamina nello striato. L’aumento dei livelli di dopamina ed il conseguente aumento dell’attività dopaminergica possono essere responsabili degli effetti benefici osservati con la rasagilina nei modelli di disfunzione motoria su base dopaminergica. L’1-Aminoindano è il maggiore metabolita attivo della rasagilina e non è un inibitore delle MAO-B. 4UVEJDMJOJDJL’efficacia della rasagilina è stata documentata dai risultati di tre studi: in monoterapia nello studio I e in terapia di associazione negli studi II e III. .POPUFSBQJBNello studio I, 404 pazienti sono stati randomizzati e trattati per 26 settimane con placebo (138 pazienti) con rasagilina 1 mg/ die (134 pazienti) o rasagilina 2 mg/die (132 pazienti), senza altro famaco di confronto attivo. In questo studio, l’obiettivo primario di efficacia era la variazione rispetto al basale del punteggio totale del Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS, parti I-III). La differenza tra la variazione media tra il valore basale e quello alla 26 settimana/fine del trattamento (LOCF, Last Observation Carried Forward) è risultata statisticamente significativa (UPDRS, parti I-III: per rasagilina 1 mg in confronto a placebo -4,2, 95% CI [-5,7 -2,7], p<0,0001; mentre per rasagilina 2 mg versus placebo l’effetto osservato è risultato modesto -3,6, 95% CI [-5,0 -2,1], p<0,0001) (UPDRS Motorio, parte II: per rasagilina 1 mg in confronto a placebo -2,7, 95% CI [-3,87 -1,55], p<0,0001; per rasagilina 2 mg in confronto a placebo -1,68, 95% CI [-2,85 -0,51], p=0,0050). L’effetto era evidente, malgrado la sua entità fosse modesta in questa popolazione con malattia lieve. Si è osservato un significativo e positivo effetto sulla qualità di vita (valutata mediante la scala PD-QUALIF).5F SBQJBEJBTTPDJB[JPOFNello studio II i pazienti sono stati randomizzati e trattati per 18 settimane con placebo (229 pazienti) o con rasagilina 1 mg/die (231 pazienti) o con entacapone 200 mg (227 pazienti), un inibitore della catecol-O-metiltransferasi (COMT), assunto insieme alla dose programmata di levodopa (LD)/inibitore della decarbossilasi. Nello studio III i pazienti sono stati randomizzati e trattati per 26 settimane con placebo (159 pazienti), rasagilina 0,5 mg/die (164 pazienti) o rasagilina 1 mg/die (149 pazienti). In entrambi gli studi la principale misura di efficacia era la variazione tra il basale e il periodo di trattamento nel numero medio di ore trascorse in stato “off” durante il giorno (stabilito sulla base di diari redatti a casa per 24 ore e compilati per tre giorni prima di ogni visita di valutazione). Nello studio II la differenza media nel numero di ore trascorse in stato “off” rispetto al placebo è stata di -0,78 ore, 95% CI [-1,18 -0,39], p=0,0001. La riduzione media totale giornaliera del tempo in “off” osservata nel gruppo con entacapone (-0,80 ore, 95% CI [-1,20 -0,41], p<0,0001) è stata simile a quella riscontrata nel gruppo con rasagilina 1 mg. Nello studio III la differenza media rispetto a placebo è risultata -0,94 ore, 95% CI [-1,36 -0,51], p<0,0001. Anche il gruppo trattato con rasagilina 0,5 mg ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo rispetto al gruppo placebo, tuttavia di minore entità. La consistenza di questi dati è stata confermata in una batteria di modelli statistici aggiuntivi ed è stata dimostrata in tre coorti (ITT, per protocollo e per pazienti che hanno completato il trattamento). Le misure di efficacia secondari prevedevano la valutazione globale del grado di miglioramento effettuata dall’esaminatore, il punteggio delle sottoscale del Activities of Daily Living (ADL) in stato “off” e il punteggio UPDRS in stato “on”. Rispetto al placebo, il trattamento con rasagilina ha determinato un beneficio statisticamente significativo. 1SPQSJF UÆGBSNBDPDJOFUJDIF"TTPSCJNFOUPLa rasagilina viene assorbita rapi- IV di cop.indd 218 damente, raggiungendo la concentrazione plasmatica di picco (Cmax) in circa 0,5 ore. La biodisponibilità assoluta di rasagilina in dose singola è di circa il 36%. Il cibo non influisce sul Tmax della rasagilina, anche se vi è una diminuzione di Cmax e dell’esposizione (AUC) di circa il 60% e 20%, rispettivamente, se il farmaco viene assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi. Poiché l’AUC non viene modificata in modo sostanziale, rasagilina può essere assunta sia a stomaco pieno che a stomaco vuoto. %JTUSJCV[JPOFIl volume medio di distribuzione della rasagilina dopo iniezione endovenosa di una dose singola è di 243 l. Il legame alle proteine plasmatiche dopo dose orale singola di rasagilina marcata con 14C è circa 60%-70%. .FUBCPMJTNPPrima di essere escreta, rasagilina subisce una biotrasformazione quasi completa a livello epatico. Le vie metaboliche principali della rasagilina sono due: N-dealchilazione e/ o idrossilazione con formazione di: 1-Aminoindano, 3-idrossi-N-propargil-1 aminoindano e 3-idrossi-1-aminoindano. Gli esperimenti in vitro indicano che entrambe le vie metaboliche della rasagilina dipendono dal sistema del citocromo P450; CYP1A2 è il principale isoenzima coinvolto nel metabolismo della rasagilina. È stato inoltre riscontrato che la coniugazione della rasagilina e dei suoi metaboliti è una delle principali vie di eliminazione con formazione di glucuronidi. &TDSF[JPOFDopo somministrazione orale di rasagilina marcata con 14C, il farmaco è stato eliminato principalmente attraverso l’urina (62,6%) e attraverso le feci (21,8%) con un recupero totale dell’84,4% della dose su un periodo di 38 giorni. Meno dell’1% di rasagilina è escreto nelle urine come farmaco immodificato. -JOFBSJUÆOPOMJOFBSJUÆLa farmacocinetica della rasagilina è lineare per dosi comprese nel range 0,5 e 2 mg. La sua emivita finale è di 0,6-2 ore. $BSBUUFSJTUJDIFOFJQB[JFOUJ 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[B FQBUJDB in soggetti con insufficienza epatica lieve, l’AUC e Cmax erano aumentate dell’80% e 38%, rispettivamente. In soggetti con insufficienza epatica moderata, l’AUC e Cmax erano aumentate del 568% e 83%, rispettivamente (vedere paragrafo 4.4). 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BSFOB MF la farmacocinetica di rasagilina in soggetti con insufficienza renale da lieve (CLcr 50-80 ml/min) a moderata (CLcr 30-49 ml/min) è risultata simile a quella dei soggetti sani. %BUJQSFDMJOJDJEJTJDVSF[[BI dati preclinici non rivelano rischi particolari per gli esseri umani sulla base di studi convenzionali di sicurezza, tossicità per somministrazioni ripetute e tossicità riproduttiva. La rasagilina non presenta potenziale genotossico in vivo ed in numerosi sistemi in vitro utilizzanti batteri e/o epatociti. In presenza di metaboliti attivi, la rasagilina induce un aumento delle aberrazioni cromosomiche a concentrazioni eccessivamente citotossiche che non sono utilizzate nelle condizioni di uso clinico. La rasagilina non è risultata carcinogena nei ratti ad esposizione sistemica che risulta 84-339 volte maggiore della concentrazione plasmatica attesa nell’uomo con la dose di 1 mg/die. Nel topo è stato osservato un aumento nell’incidenza di adenoma e/o carcinoma bronchiolo/alveolare associato, con un’esposizione sistemica di 144-213 volte maggiore della concentrazione plasmatica attesa nell’uomo con la dose di 1 mg/die. */'03.";*0/*'"3."$&65*$)& &MFODPEFHMJFDDJQJFOUJMannitolo, Amido di mais, Amido di mais pregelatinizzato, Silice colloidale anidra, Acido stearico, Talco. *O DPNQBUJCJMJUÆNon pertinente. 1FSJPEPEJWBMJEJUÆBlister: 2 anni. Flaconi: 3 anni. 4QFDJBMJQSFDBV[JPOJQFSMBDPOTFSWB[JPOFNon conservare a temperatura superiore ai 25°C. Conservare nella confezione originale. /BUVSBFDPOUFOVUPEFMDPOUFOJUPSF. #MJTUFSblister in alluminio/alluminio, confezioni da 7, 10, 28, 30, 100 o 112 compresse. 'MBDPOJflacone bianco, in polietilene ad alta densità con o senza tappo di sicurezza a prova di bambino contenente 30 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. Istruzioni per l’impiego e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 5*50-"3&%&--"6503*;;";*0/&"--*..*44*0/& */$0..&3$*0 Teva Pharma GmbH. Kandelstr 10 - D-79199 Kirchzarten - Germania. /6.&30 %&--"6503*;;";*0/& %&--& "6503*;;";*0/* "--*..*44*0/&*/$0..&3$*0 EU/1/04/304/001-007. %"5"%&--"13*.""6503*;;";*0/&3*//070 %&--"6503*;;";*0/& 21-02-2005. %"5"%*3&7*4*0/&%&-5&450 02/04/2007 Lundbeck Italia SpA è la rappresentante in Italia della titolare. Confezioni in commercio: 28 compresse da 1 mg in blister, AIC numero 36983024/E. Prezzo al pubblico: € 135,55 (dopo il taglio dei prezzi). Classe A. Medicinale soggetto a prescrizione medica RR. 18-12-2008 18:02:46 N06DX01 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Ebixa 10 mg compresse rivestite con film. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Ogni compressa rivestita con film contiene 10 mg di memantina idrocloruro (equivalente a 8,31 mg di memantina). Eccipienti: ogni compressa rivestita con film contiene 166 mg di lattosio monoidrato, vedere paragrafo 4.4. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Compresse rivestite con film. Compresse rivestite con film di colore bianco, tendenti al bianco sporco, rastremate verso il centro oblunghe, biconvesse, con una singola linea di rottura su entrambi i lati. La compressa può essere divisa in due metà uguali. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche. Trattamento di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a grave. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Il trattamento deve essere iniziato e controllato da un medico esperto nella diagnosi e nel trattamento della demenza di Alzheimer. La terapia deve essere iniziata esclusivamente se, una persona che assiste il paziente, si rende disponibile a monitorare regolarmente la somministrazione del farmaco al paziente. La diagnosi deve essere effettuata seguendo le linee guida attuali. Ebixa deve essere somministrata una volta al giorno e deve essere assunta ogni giorno alla stessa ora. Le compresse possono essere assunte vicino o lontano dai pasti. Adulti. Titolazione della dose. La dose massima giornaliera è di 20 mg. Per ridurre il rischio di effetti indesiderati la dose di mantenimento si raggiunge aumentando di 5 mg per settimana per le prime 3 settimane come segue: Prima settimana (giorno 1-7): Il paziente deve assumere mezza compressa da 10 mg rivestita con film (5 mg) una volta al giorno per 7 giorni. Seconda settimana (giorno 8-14). Il paziente deve assumere una compressa da 10 mg rivestita con film (10 mg) una volta al giorno per 7 giorni. Terza settimana (giorno 15-21): Il paziente deve assumere una compressa e mezza da 10 mg rivestita con film (15 mg) una volta al giorno per 7 giorni. Dalla quarta settimana in poi: Il paziente deve assumere due compresse da 10 mg rivestita con film (20 mg) al giorno. Dose di mantenimento. La dose di mantenimento consigliata è di 20 mg al giorno. Anziani. Sulla base degli studi clinici, la dose consigliata per i pazienti oltre i 65 anni di età è di 20 mg al giorno (due compresse una volta al giorno) come descritto sopra. Bambini e adolescenti. L’uso di Ebixa non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza ed efficacia. Alterazione della funzionalità renale. Nei pazienti con funzionalità renale lievemente compromessa (clearance della creatinina 50-80 ml/min) non è necessario alcun aggiustamento della dose. Nei pazienti con funzionalità renale moderatamente compromessa (clearance della creatinina 30-49 ml/ min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Se ben tollerata dopo almeno 7 giorni di trattamento, la dose può essere aumentata fino a 20 mg al giorno, attenendosi allo schema di titolazione standard. Nei pazienti con compromissione severa della funzionalità renale (clearance della creatinina 5-29 ml/min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Alterazione della funzionalità epatica. In pazienti con funzionalità epatica lievemente o moderatamente compromessa (Child-Pugh A e Child-Pugh B) non è necessario alcun aggiustamento della dose. Non sono disponibili dati sull’utilizzo di memantina in pazienti con compromissione severa della funzionalità epatica. La somministrazione di Ebixa è sconsigliata in pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa. 4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Si raccomanda cautela in pazienti con epilessia, precedente storia di convulsioni o pazienti con fattori predisponenti per l’epilessia. Evitare l’uso concomitante di antagonisti-N-metil-D-aspartato (NMDA) quali amantadina, ketamina, o destrometorfano. Questi composti agiscono sullo stesso sistema recettoriale di memantina, quindi le reazioni avverse (principalmente a livello del sistema nervoso centrale – SNC) possono essere più frequenti o più evidenti (vedere anche paragrafo 4.5). Alcuni fattori che possono aumentare il pH delle urine (vedere paragrafo 5.2 “Eliminazione”) richiedono un accurato controllo del paziente. Questi fattori includono drastici cambiamenti di alimentazione, ad esempio da una dieta a base di carne ad una vegetariana, o una eccessiva ingestione di soluzioni tampone alcalinizzanti per lo stomaco (antiacidi). Anche il pH delle urine può aumentare a causa di acidosi tubulare renale (RTA) o gravi infezioni del tratto urinario da Proteus. Nella maggior parte degli studi clinici, sono stati esclusi i pazienti con infarto miocardico recente, insufficienza cardiaca congestizia non compensata (NYHA III-IV), o ipertensione non controllata. Di conseguenza, è disponibile un numero limitato di dati ed i pazienti con tali condizioni cliniche vanno tenuti sotto controllo. Eccipienti: Le compresse contengono lattosio monoidrato. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. A causa degli effetti farmacologici e del meccanismo di azione di memantina possono verificarsi le seguenti interazioni: • La modalità d’azione suggerisce che gli effetti di L-dopa, agonisti dopaminergici e anticolinergici possono essere aumentati durante il trattamento concomitante di antagonisti-NMDA, come memantina. Gli effetti di barbiturici e neurolettici possono essere ridotti. La somministrazione RCP 1/7/08.indd 1 Riassunto delle caratteristiche di prodotto COMPRESSE concomitante di memantina con agenti antispastici, dantrolene o baclofene, può modificare i loro effetti rendendo necessario il cambiamento del dosaggio. • Evitare l’uso concomitante di memantina e amantadina, a causa del rischio di psicosi farmacotossica. Entrambi i composti sono chimicamente associati a quelli del tipo antagonisti-NMDA. Lo stesso dicasi per ketamina e destrometorfano (vedere paragrafo 4.4). Esiste solamente un caso riportato pubblicato sul possibile rischio della associazione tra memantina e fenitoina. • Altri principi attivi come cimetidina, ranitidina, procainamide, chinidina, chinina e nicotina, che utilizzano lo stesso sistema di trasporto renale cationico dell’amantadina, possono interagire anche con memantina, portando ad un potenziale rischio di aumento dei livelli plasmatici. • Vi può essere la possibilità di ridotti livelli serici di idroclorotiazide in caso di somministrazione concomitante di memantina con idroclorotiazide o con prodotti contenenti associazioni con idroclorotiazide. • Durante l’esperienza postmarketing sono stati segnalati casi isolati di aumento del Rapporto Internazionale Normalizzato (INR) in pazienti in trattamento concomitante con warfarin. Per quanto non sia stato stabilito un rapporto causale, si consiglia uno stretto monitoraggio del tempo di protrombina o dell’INR nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali. In studi di farmacocinetica a dose singola (PK), in soggetti giovani sani, non sono state osservate interazioni principio attivo-principio attivo rilevanti tra memantina e gliburide/metformina o donepezil. In uno studio clinico in volontari giovani sani non si sono osservati effetti rilevanti di memantina sulla farmacocinetica di galantamina. La memantina non ha inibito CYP 1A2, 2A6, 2C9, 2D6, 2E1, 3A, monossigenasi contenente flavina, idrolasi epossidica o sulfatazione in vitro. 4.6 Gravidanza e allattamento. Non esistono dati disponibili in relazione all’assunzione di memantina in gravidanza. Studi su animali indicano che esiste una possibile riduzione della crescita intrauterina per livelli di esposizione al farmaco identici o lievemente più alti dei livelli di esposizione umana (vedere paragrafo 5.3). Non si conoscono rischi potenziali per gli esseri umani. Non assumere memantina in gravidanza a meno che non sia esplicitamente necessario. Non è noto se memantina sia escreta con il latte materno, ma considerata la lipofilia della sostanza, è probabile che tale passaggio avvenga. Le donne che assumono memantina non devono allattare. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Generalmente la malattia di Alzheimer di grado da moderato a severo può compromettere la capacità di guidare e di utilizzare macchinari. Poiché Ebixa altera in modo da lieve a moderato la capacità di guidare veicoli o usare macchinari, è necessario informare i pazienti ambulatoriali della necessità di prestare attenzione. 4.8 Effetti indesiderati. Negli studi clinici nella malattia di Alzheimer da lieve a severa, che hanno coinvolto 1.784 pazienti trattati con Ebixa e 1.595 pazienti trattati con placebo, l’incidenza globale di reazioni avverse nei trattati con Ebixa non differiva da quelli trattati con placebo; le reazioni avverse erano generalmente di gravità da lieve a moderata. Le reazioni avverse che si sono manifestate con una più elevata incidenza nel gruppo trattato con Ebixa rispetto a quello trattato con placebo sono stati capogiri (6,3% vs 5,6% rispettivamente), cefalea (5,2% vs 3,9%), stipsi (4,6% vs 2,6%), sonnolenza (3,4% vs 2,2%) e ipertensione (4,1% vs 2,8%). Le reazioni avverse riportate nella tabella seguente derivano dagli studi clinici con Ebixa e dalle segnalazioni dopo la sua introduzione in commercio. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Le reazioni avverse sono state classificate in accordo alla classificazione sistemica organica e secondo la convenzione sulla frequenza: molto comuni (≥ 1/10), comuni (≥ 1/100 a ≤ 1/10), non comuni (≥ 1/1.000 a ≤ 1/100), rari (≥ 1/10.000 a ≤ 1/1.000), molto rari (≤ 1/10.000), non note (non valutabili dai dati disponibili). Alterazioni del sistema nervoso Patologie gastrointestinali Comuni Capogiri Non comuni Disturbi dell’andatura Molto rare Convulsioni Comuni Stipsi Non comuni Vomito Non note Pancreatite2 Infezioni ed infestazioni Non comuni Infezioni fungine Patologie vascolari Comuni Ipertensione Non comuni Trombosi venosa/ tromboembolismo Patologie sistemiche e condizioni Comuni Cefalea relative alla sede di somministrazione Non comuni Fatica Disturbi psichiatrici Comuni Sonnolenza Non comuni Confusione Non comuni Allucinazioni1 Non note Reazioni psicotiche2 1 Le allucinazioni sono state osservate principalmente nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer di grado severo. 2 Casi isolati riportati durante l’esperienza post-marketing. 3-07-2008 11:52:32 Riassunto delle caratteristiche di prodotto COMPRESSE La malattia di Alzheimer è stata associata a depressione, ideazione suicidaria e suicidio. Durante l’esperienza post-marketing questi eventi sono stati riportati in pazienti trattati con Ebixa. 4.9 Sovradosaggio. Solo una limitata esperienza circa il sovradosaggio è disponibile dagli studi clinici e dall’esperienza post-marketing. Sintomi. Sovradosaggi relativamente alti (rispettivamente 200 mg e 105 mg al giorno per 3 giorni) sono stati associati a sintomi di stanchezza, debolezza e/o diarrea o a nessun sintomo. Nei casi di sovradosaggio con dose inferiore a 140 mg o sconosciuta, i pazienti hanno mostrato sintomi a carico del sistema nervoso centrale (confusione, senso di eccessiva stanchezza, sonnolenza, vertigini, agitazione, aggressività, allucinazioni e disturbi dell’andatura) e/o di origine gastrointestinale (vomito e diarrea). Nel caso più estremo di sovradosaggio, il paziente è sopravissuto all’assunzione orale di un totale di 2000 mg di memantina con effetti sul sistema nervoso centrale (coma per 10 giorni, ed in seguito diplopia ed agitazione). Il paziente ha ricevuto un trattamento sintomatico e plasmaferesi. Il paziente è guarito senza riportare postumi permanenti. Anche in un altro caso di elevato sovradosaggio, il paziente è sopravissuto e si è rimesso. Il paziente ha assunto per via orale 400 mg di memantina. Il paziente ha manifestato sintomi a carico del sistema nervoso centrale quali irrequietezza, psicosi, allucinazioni visive, proconvulsività, sonnolenza, stupore e incoscienza. Trattamento. In caso di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico. Non esiste un antidoto specifico per l’intossicazione o il sovradosaggio. Devono essere utilizzate, quando appropriate, le procedure cliniche standard di rimozione del principio attivo, quali, ad esempio, lavanda gastrica, medicinali a base di carbone attivo (interruzione del potenziale ricircolo entero-epatico), acidificazione delle urine, diuresi forzata. In caso di segni e sintomi di sovrastimolazione generale del sistema nervoso centrale (SNC), deve essere preso in considerazione un attento trattamento clinico sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapica: altri farmaci anti-demenza, codice ATC: N06DX01. Esistono evidenze sempre maggiori che il malfunzionamento della neurotrasmissione glutamatergica, in particolare quella mediata dai recettori NMDA, contribuisca sia alla manifestazione dei sintomi sia alla progressione della malattia nella demenza neurodegenerativa. Memantina è un antagonista non competitivo dei recettori NMDA voltaggio-dipendente, a moderata affinità. Essa modula gli effetti dei livelli tonici patologicamente elevati di glutammato che possono comportare una disfunzione neuronale. Studi Clinici. Uno studio con memantina in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da moderata a grave [punteggio totale Mini Mental State Examination (MMSE)] al basale compreso tra 3 e 14 ha incluso 252 pazienti. Lo studio ha dimostrato l’efficacia del trattamento con memantina nei confronti del placebo a 6 mesi [analisi dei casi osservati Clinician’s Interview Based Impression of Change (CIBIC-plus): p=0,025; Alzheimer’s Disease Cooperative Study – Activities of Daily Living (ADCSADLsev): p=0,003; Severe Impairment Battery (SIB): p=0,002]. Uno studio con memantina in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al basale compreso tra 10 e 22) ha incluso 403 pazienti. I pazienti trattati con memantina hanno mostrato un migliore effetto statisticamente significativo rispetto al placebo sull’endpoint primario: Alzheimer’s Disease Assessment Scale (ADAS-cog) (p=0,003) e CIBIC-plus (p=0,004) alla 24a settimana (last observation carried forward – LOCF). In un altro studio in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al basale compreso tra 11 e 23) sono stati randomizzati 470 pazienti. Nell’analisi primaria definita prospetticamente, non è stata raggiunta la significatività statistica all’endpoint primario di efficacia alla ventiquattresima settimana. Una metanalisi di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a grave (punteggio totale MMSE < 20) relativa a sei studi di fase III, controllati con placebo, della durata di sei mesi, (includendo studi in monoterapia e studi in pazienti trattati con dosi stabili di inibitori dell’acetilcolinesterasi) hanno mostrato che era presente un effetto statisticamente significativo in favore del trattamento con memantina per i dominii cognitivi, globali e funzionali. Quando i pazienti sono stati identificati relativamente al peggioramento concomitante in tutti e tre i dominii, i risultati hanno mostrato l’effetto statisticamente significativo di memantina nel prevenire il peggioramento; il doppio dei pazienti trattati con placebo ha mostrato un peggioramento in tutti e tre i dominii (21% vs. 11%, p<0,0001) rispetto ai pazienti trattati con memantina. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento. Memantina ha una biodisponibilità assoluta pari a circa il 100%. Il tmax è compreso tra 3 e 8 ore. Non vi sono indicazioni relative all’influenza del cibo sull’assorbimento di memantina. Distribuzione. Dosi giornaliere di 20 mg hanno portato a concentrazioni plasmatiche steady-state di memantina comprese tra 70 e 150 ng/ml (0,5-1 µmol) con notevoli variazioni tra i singoli individui. Con la somministrazione di dosi giornaliere comprese tra 5 e 30 mg, è stato calcolato un rapporto medio di liquido cefalo-rachidiano LCR/siero di 0,52. Il volume di distribuzione si aggira intorno ai 10 l/kg. Circa il 45% di memantina si lega alle proteine plasmatiche. Biotrasformazione. Nell’uomo, circa l’80% del materiale in circolo rapportabile a memantina è presente come composto principale. I principali metaboliti umani sono N-3,5-dimetil-gludantano, la miscela isomerica di 4-6-idrossimemantina, e 1-nitroso-3,5-dimetil-adamantano. Nessuno di questi metaboliti mostra un’attività antagonista-NMDA. In vitro non è stato rilevato alcun metabolismo catalizzato da citocromo RCP 1/7/08.indd 2 P 450. In uno studio con 14C-memantina somministrata per via orale, in media l’84% della dose è stata recuperata entro 20 giorni, con oltre il 99% ad escrezione renale. Eliminazione. Memantina viene eliminata in maniera monoesponenziale con un t½ terminale compreso tra le 60 e le 100 ore. In volontari con funzionalità renale normale, la clearance totale (Cltot) è pari a 170 ml/min/1,73 m2 e parte della clearance renale totale avviene tramite secrezione tubulare. La gestione al livello renale coinvolge anche il riassorbimento tubulare, probabilmente mediato da proteine di trasporto cationico. La percentuale di eliminazione renale di memantina in presenza di urine alcaline può essere ridotta di un fattore compreso tra 7 e 9 (vedere paragrafo 4.4). L’alcalinizzazione delle urine può risultare da modifiche drastiche nel regime dietetico, ad esempio da una dieta carnivora ad una vegetariana, oppure dalla ingestione massiccia di soluzioni tampone gastriche alcalinizzanti. Linearità. Studi su volontari hanno dimostrato una farmacocinetica lineare nel dosaggio compreso tra 10 e 40 mg. Rapporto farmacocinetico/farmacodinamico. Ad una dose di memantina di 20 mg al giorno i livelli di LCR corrispondono al valore ki (ki = costante di inibizione) di memantina, pari a 0,5 µmol nella corteccia frontale umana. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. In studi a breve termine sui ratti, memantina, come altri antagonisti-NMDA, ha indotto vacuolizzazione neuronale e necrosi (lesioni di Olney) solo in seguito a dosi che portano a concentrazioni sieriche di picco molto elevate. Atassia ed altri segni preclinici hanno preceduto la vacuolizzazione e la necrosi. Dal momento che gli effetti non sono stati osservati in studi a lungo termine su roditori e animali diversi, la rilevanza clinica di queste osservazioni non è nota. Alterazioni oculari sono state rilevate in maniera inconsistente in studi di tossicità ripetuta nei roditori e nei cani, ma non nelle scimmie. Specifici esami oftalmoscopici negli studi clinici con memantina non hanno evidenziato alcuna alterazione oculare. Nei roditori è stata osservata fosfolipidosi nei macrofagi polmonari causata da accumulo di memantina nei lisosomi. Questo effetto è noto da altri principi attivi con proprietà amfifiliche cationiche. Esiste una possibile correlazione tra questo accumulo e la vacuolizzazione osservata nei polmoni. Questo effetto è stato rilevato esclusivamente a dosi elevate nei roditori. La rilevanza clinica di queste osservazioni non è nota. Non è stata osservata alcuna genotossicità dopo test di memantina in analisi standard. Non c’è evidenza di cancerogenicità in studi che durano tutta la vita nei topi e nei ratti. Memantina non era teratogena nel ratto e nel coniglio, anche a dosi tossiche per la madre, e non sono stati notati effetti avversi di memantina sulla fertilità. Nel ratto è stata osservata una riduzione della crescita fetale a livelli di esposizione identici o leggermente superiori rispetto all’esposizione umana. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti. Nucleo compressa: Lattosio monoidrato, Cellulosa microcristallina, Acido silicico colloidale anidro, Talco, Magnesio stearato. Rivestimento compressa: Acido metacrilico-copolimero etil acrilato (1:1), Sodio lauril solfato, Polisorbato 80, Talco, Triacetina, Emulsione di simeticone. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna speciale condizione di conservazione. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Confezioni blister da 7, 10, 14 o 20 compresse per strip di blister. Vengono presentate confezioni da 14, 28, 30, 42, 49 x 1, 50, 56, 56 x 1, 70, 84, 98, 98 x 1, 100, 100 x 1, 112, 980 (10 x 98) o 1000 (20 x 50) compresse. Le confezioni 49 x 1, 56 x 1, 98 x 1 e 100 x 1 compresse rivestite con film sono in blister in dosi unitarie. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO H. Lundbeck A/S Ottiliavej 9 – DK-2500 Valby – Danimarca 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/02/219/001-3 EU/1/02/219/007-012 EU/1/02/219/014-021 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 15/05/2002 Data dell’ultimo rinnovo: 15/05/2007 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 05/2008 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu Confezioni da 56 compresse (10 mg) Prezzo al pubblico 128,72 euro Rimborsabilità: classe C 3-07-2008 11:52:32 N06DX01 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Ebixa 10 mg/g gocce orali, soluzione. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 1 g di soluzione contiene 10 mg di memantina idrocloruro (equivalente a 8,31 mg di memantina). Una goccia di soluzione è equivalente a 0,5 mg di memantina idrocloruro. Eccipienti: 1 g di soluzione contiene 100 mg di sorbitolo E420 e 0,5 mg di potassio, vedere paragrafo 4.4. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Gocce orali, soluzione. La soluzione è trasparente e da incolore a tendente al giallo chiaro. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche. Trattamento di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a grave. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Il trattamento deve essere iniziato e controllato da un medico esperto nella diagnosi e nel trattamento della demenza di Alzheimer. La terapia deve essere cominciata esclusivamente se, una persona che assiste il paziente, si rende disponibile a monitorare regolarmente la somministrazione del prodotto medicinale al paziente. La diagnosi deve essere effettuata seguendo le linee guida attuali. Ebixa deve essere somministrato una volta al giorno e deve essere assunto ogni giorno alla stessa ora. Le gocce possono essere assunte vicino o lontano dai pasti. Adulti. Titolazione della dose. La dose massima giornaliera è di 20 mg. Per ridurre il rischio di effetti indesiderati la dose di mantenimento si raggiunge aumentando 5 mg per settimana per le prime 3 settimane come segue: Prima settimana (giorno 1-7): Il paziente deve assumere 10 gocce (5 mg) al giorno per 7 giorni. Seconda settimana (giorno 8-14). Il paziente deve assumere 20 gocce (10 mg) al giorno per 7 giorni. Terza settimana (giorno 15-21): Il paziente deve assumere 30 gocce (15 mg) al giorno per 7 giorni. Dalla quarta settimana in poi: Il paziente deve assumere 40 gocce (20 mg) una volta al giorno. Dose di mantenimento. La dose di mantenimento consigliata è di 20 mg al giorno. Anziani. Secondo studi clinici la dose consigliata per i pazienti oltre i 65 anni di età è di 20 mg al giorno (40 gocce una volta al dì) come descritto sopra. Bambini e adolescenti. L’uso di Ebixa non è raccomandato nei bambini al di sotto dei 18 anni di età a causa della mancanza di studi sulla sicurezza ed efficacia. Alterazione della funzionalità renale. Nei pazienti con funzionalità renale lievemente compromessa (clearance della creatinina 50-80 ml/min) non è necessario alcun aggiustamento della dose. Nei pazienti con funzionalità renale moderatamente compromessa (clearance della creatinina 30-49 ml/min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Se ben tollerata dopo almeno 7 giorni di trattamento, la dose può essere aumentata fino a 20 mg al giorno, in accordo allo schema di titolazione standard. Nei pazienti con compromissione severa della funzionalità renale (clearance della creatinina 5-29 ml/min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Alterazione della funzionalità epatica. In pazienti con funzionalità epatica lievemente o moderatamente compromessa (Child-Pugh A e Child-Pugh B) non è necessario alcun aggiustamento della dose. Non sono disponibili dati sull’utilizzo di memantina in pazienti con compromissione severa della funzionalità epatica. La somministrazione di Ebixa non è consigliata in pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa. 4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Si raccomanda cautela in pazienti con epilessia, precedente storia di convulsioni o pazienti con fattori predisponenti per l’epilessia. Evitare l’uso concomitante di altri antagonisti-N-metil-D-aspartato (NMDA) quali amantadina, ketamina, o destrometorfano. Questi composti agiscono sullo stesso sistema recettoriale di memantina, quindi le reazioni avverse (principalmente a livello del sistema nervoso centrale – SNC) possono essere più frequenti o più evidenti (vedere anche paragrafo 4.5). Alcuni fattori che possono aumentare il pH delle urine (vedere paragrafo 5.2 “Eliminazione”) richiedono un accurato controllo del paziente. Questi fattori includono drastici cambiamenti di alimentazione, ad esempio da una dieta a base di carne ad una vegetariana, o una eccessiva ingestione di soluzioni tampone alcalinizzanti per lo stomaco (antiacidi). Anche il pH delle urine può aumentare a causa di acidosi tubulare renale (RTA) o gravi infezioni del tratto urinario da Proteus. Nella maggior parte degli studi clinici, sono stati esclusi i pazienti con infarto miocardico recente, insufficienza cardiaca congestizia non compensata (NYHA III-IV), o ipertensione non controllata. Di conseguenza, è disponibile un numero limitato di dati ed i pazienti con tali condizioni cliniche vanno tenuti sotto controllo. Eccipienti: Le gocce orali contengono sorbitolo. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. A causa degli effetti farmacologici e del meccanismo di azione di memantina possono verificarsi le seguenti interazioni: • La modalità d’azione suggerisce che gli effetti di L-dopa, agonisti dopaminergici e anticolinergici possono essere aumentati durante il trattamento concomitante di antagonistiNMDA, come memantina. Gli effetti di barbiturici e neurolettici possono essere ridotti. La somministrazione concomitante di memantina con agenti antispastici, dantrolene o baclofene, può RCP 1/7/08.indd 3 Riassunto delle caratteristiche di prodotto GOCCE modificare i loro effetti rendendo necessario il cambiamento del dosaggio. • Evitare l’uso concomitante di memantina e amantadina, a causa del rischio di psicosi farmacotossica. Entrambi i composti sono chimicamente associati a quelli del tipo antagonisti-NMDA. Lo stesso dicasi per ketamina e destrometorfano (vedere paragrafo 4.4). Esiste solamente un caso riportato pubblicato sul possibile rischio della associazione tra memantina e fenitoina. • Altri principi attivi come cimetidina, ranitidina, procainamide, chinidina, chinina e nicotina, che utilizzano lo stesso sistema di trasporto renale cationico dell’amantadina, possono interagire anche con memantina, portando ad un potenziale rischio di aumento dei livelli plasmatici. • Vi può essere la possibilità di ridotti livelli serici di idroclorotiazide in caso di somministrazione concomitante di memantina con idroclorotiazide o con prodotti contenenti associazioni con idroclorotiazide. • Durante l’esperienza post-marketing sono stati segnalati casi isolati di aumento del Rapporto Internazionale Normalizzato (INR) in pazienti in trattamento concomitante con warfarin. Per quanto non sia stato stabilito un rapporto causale, si consiglia uno stretto monitoraggio del tempo di protrombina o dell’INR nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali. In studi di farmacocinetica a dose singola (PK), in soggetti giovani sani, non sono state osservate interazioni principio attivoprincipio attivo rilevanti tra memantina e gliburide/metformina o donepezil. In uno studio clinico in volontari giovani sani non si sono osservati effetti rilevanti di memantina sulla farmacocinetica di galantamina. La memantina non ha inibito CYP 1A2, 2A6, 2C9, 2D6, 2E1, 3A, monossigenasi contenente flavina, idrolasi epossidica o sulfatazione in vitro. 4.6 Gravidanza e allattamento. Non esistono dati disponibili in relazione all’assunzione di memantina in gravidanza. Studi su animali indicano che esiste una possibile riduzione della crescita intrauterina per livelli di esposizione al farmaco identici o lievemente più alti dei livelli di esposizione umana (vedere paragrafo 5.3). Non si conoscono rischi potenziali per gli esseri umani. Non assumere la memantina in gravidanza a meno che non sia esplicitamente necessario. Non è noto se memantina sia escreta con il latte materno, ma considerata la lipofilia della sostanza, è probabile che tale passaggio avvenga. Le donne che assumono memantina non devono allattare. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Generalmente la malattia di Alzheimer di grado da moderato a severo può compromettere la capacità di guidare e di utilizzare macchinari. Poiché Ebixa altera in modo da lieve a moderato la capacità di guidare veicoli o usare macchinari, è necessario informare i pazienti ambulatoriali della necessità di prestare attenzione. 4.8 Effetti indesiderati. Negli studi clinici nella malattia di Alzheimer da lieve a severa, che hanno coinvolto 1.784 pazienti trattati con Ebixa e 1.595 pazienti trattati con placebo, l’incidenza globale di reazioni avverse nei trattati con Ebixa non differiva da quelli trattati con placebo; le reazioni avverse erano generalmente di gravità da lieve a moderata. Le reazioni avverse che si sono manifestate con una più elevata incidenza nel gruppo trattato con Ebixa rispetto a quello trattato con placebo sono stati capogiri (6,3% vs 5,6% rispettivamente), cefalea (5,2% vs 3,9%), stipsi (4,6% vs 2,6%), sonnolenza (3,4% vs 2,2%) e ipertensione (4,1% vs 2,8%). Le reazioni avverse riportate nella tabella seguente derivano dagli studi clinici con Ebixa e dalle segnalazioni dopo la sua introduzione in commercio. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Le reazioni avverse sono state classificate in accordo alla classificazione sistemica organica e secondo la convenzione sulla frequenza: molto comuni (≥ 1/10), comuni (≥ 1/100 a ≤ 1/10), non comuni (≥ 1/1.000 a ≤ 1/100), rari (≥ 1/10.000 a ≤ 1/1.000), molto rari (≤ 1/10.000), non note (non valutabili dai dati disponibili). Alterazioni del sistema nervoso Patologie gastrointestinali Comuni Capogiri Non comuni Disturbi dell’andatura Molto rare Convulsioni Comuni Stipsi Non comuni Vomito Non note Pancreatite2 Infezioni ed infestazioni Non comuni Infezioni fungine Patologie vascolari Comuni Ipertensione Non comuni Trombosi venosa/ tromboembolismo Patologie sistemiche e condizioni Comuni Cefalea relative alla sede di somministrazione Non comuni Fatica Disturbi psichiatrici Comuni Sonnolenza Non comuni Confusione Non comuni Allucinazioni1 Non note Reazioni psicotiche2 1 Le allucinazioni sono state osservate principalmente nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer di grado severo. 2 Casi isolati riportati durante l’esperienza post-marketing. 3-07-2008 11:52:33 Riassunto delle caratteristiche di prodotto GOCCE La malattia di Alzheimer è stata associata a depressione, ideazione suicidaria e suicidio. Durante l’esperienza post-marketing questi eventi sono stati riportati in pazienti trattati con Ebixa. 4.9 Sovradosaggio. Solo una limitata esperienza circa il sovradosaggio è disponibile dagli studi clinici e dall’esperienza post-marketing. Sintomi. Sovradosaggi relativamente alti (rispettivamente 200 mg e 105 mg al giorno per 3 giorni) sono stati associati a sintomi di stanchezza, debolezza e/o diarrea o a nessun sintomo. Nei casi di sovradosaggio con dose inferiore a 140 mg o sconosciuta, i pazienti hanno mostrato sintomi a carico del sistema nervoso centrale (confusione, senso di eccessiva stanchezza, sonnolenza, vertigini, agitazione, aggressività, allucinazioni e disturbi dell’andatura) e/o di origine gastrointestinale (vomito e diarrea). Nel caso più estremo di sovradosaggio, il paziente è sopravissuto all’assunzione orale di un totale di 2000 mg di memantina con effetti sul sistema nervoso centrale (coma per 10 giorni, ed in seguito diplopia ed agitazione). Il paziente ha ricevuto un trattamento sintomatico e plasmaferesi. Il paziente è guarito senza riportare postumi permanenti. Anche in un altro caso di elevato sovradosaggio, il paziente è sopravissuto e si è rimesso. Il paziente ha assunto per via orale 400 mg di memantina. Il paziente ha manifestato sintomi a carico del sistema nervoso centrale quali irrequietezza, psicosi, allucinazioni visive, proconvulsività, sonnolenza, stupore e incoscienza. Trattamento. In caso di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico. Non esiste un antidoto specifico per l’intossicazione o il sovradosaggio. Devono essere utilizzate, quando appropriate, le procedure cliniche standard di rimozione del principio attivo, quali, ad esempio, lavanda gastrica, medicinali a base di carbone attivo (interruzione del potenziale ricircolo entero-epatico), acidificazione delle urine, diuresi forzata. In caso di segni e sintomi di sovrastimolazione generale del sistema nervoso centrale (SNC), deve essere preso in considerazione un attento trattamento clinico sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapica: altri farmaci anti-demenza, codice ATC: N06DX01. Esistono evidenze sempre maggiori che il malfunzionamento della neurotrasmissione glutamatergica, in particolare quella mediata dai recettori NMDA, contribuisca sia alla manifestazione dei sintomi sia alla progressione della malattia nella demenza neurodegenerativa. Memantina è un antagonista non competitivo dei recettori NMDA voltaggio-dipendente, a moderata affinità. Essa modula gli effetti dei livelli tonici patologicamente elevati di glutammato che possono comportare una disfunzione neuronale. Studi Clinici. Uno studio con memantina in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da moderata a grave (punteggio totale Mini Mental State Examination – MMSE al basale compreso tra 3 e 14) ha incluso 252 pazienti. Lo studio ha dimostrato l’efficacia del trattamento con memantina nei confronti del placebo a 6 mesi [analisi dei casi osservati Clinician’s Interview Based Impression of Change (CIBIC-plus): p=0,025; Alzheimer’s Disease Cooperative Study – Activities of Daily Living (ADCS-ADLsev): p=0,003; Severe Impairment Battery (SIB): p=0,002]. Uno studio con memantina in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al basale compreso tra 10 e 22) ha incluso 403 pazienti. I pazienti trattati con memantina hanno mostrato un migliore effetto statisticamente significativo rispetto ai pazienti trattati con placebo sull’endpoint primario: Alzheimer’s disease assessment scale (ADAS-cog) (p=0,003) e CIBICplus (p=0,004) alla 24a settimana [last observation carried forward (LOCF)]. In un altro studio in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al basale compreso tra 11 e 23) sono stati randomizzati 470 pazienti. Nell’analisi primaria definita prospetticamente, non è stata raggiunta la significatività statistica all’endpoint primario di efficacia alla ventiquattresima settimana. Una metanalisi di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata a severa (punteggio totale MMSE < 20) relativa a sei studi di fase III, controllati con placebo, della durata di sei mesi, (includendo studi in monoterapia e studi in pazienti trattati con dosi stabili di inibitori dell’acetilcolinesterasi) hanno mostrato che era presente un effetto statisticamente significativo in favore del trattamento con memantina per i dominii cognitivi, globali e funzionali. Quando i pazienti sono stati identificati relativamente al peggioramento concomitante in tutti e tre i dominii, i risultati hanno mostrato l’effetto statisticamente significativo di memantina nel prevenire il peggioramento; il doppio dei pazienti trattati con placebo ha mostrato un peggioramento in tutti e tre i dominii (21% vs 11%, p<0,0001) rispetto ai pazienti trattati con memantina. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento. Memantina ha una biodisponibilità assoluta pari a circa il 100%. Il tmax è compreso tra 3 e 8 ore. Non vi sono indicazioni relative all’influenza del cibo sull’assorbimento di memantina. Distribuzione. Dosi giornaliere di 20 mg hanno portato a concentrazioni plasmatiche steady-state di memantina comprese tra 70 e 150 ng/ml (0,5-1 µmol) con notevoli variazioni tra i singoli individui. Con la somministrazione di dosi giornaliere comprese tra 5 e 30 mg, è stato calcolato un rapporto medio di liquido cefalorachidiano LCR/siero di 0,52. Il volume di distribuzione si aggira intorno ai 10 l/kg. Circa il 45% di memantina si lega alle proteine plasmatiche. Biotrasformazione. Nell’uomo, circa l’80% del materiale in circolo rapportabile a memantina è presente come composto principale. I principali metaboliti umani sono N-3,5-dimetil-gludantano, la miscela isomerica di 4-6-idrossi-memantina, RCP 1/7/08.indd 4 e 1-nitroso-3,5-dimetil-adamantano. Nessuno di questi metaboliti mostra un’attività antagonista-NMDA. In vitro non è stato rilevato alcun metabolismo catalizzato da citocromo P 450. In uno studio con 14C-memantina somministrata per via orale, in media l’84% della dose è stata recuperata entro 20 giorni, con oltre il 99% ad escrezione renale. Eliminazione. Memantina viene eliminata in maniera monoesponenziale con un t1/2 terminale compreso tra le 60 e le 100 ore. In volontari con funzionalità renale normale, la clearance totale (Cltot) è pari a 170 ml/min/1,73 m2 e parte della clearance renale totale avviene tramite secrezione tubulare. La gestione al livello renale coinvolge anche il riassorbimento tubulare, probabilmente mediato da proteine di trasporto cationico. La percentuale di eliminazione renale di memantina in presenza di urine alcaline può essere ridotta di un fattore compreso tra 7 e 9 (vedere paragrafo 4.4). L’alcalinizzazione delle urine può risultare da modifiche drastiche nel regime dietetico, ad esempio da una dieta carnivora ad una vegetariana, oppure dalla ingestione massiccia di soluzioni tampone gastriche alcalinizzanti. Linearità. Studi su volontari hanno dimostrato una farmacocinetica lineare nel dosaggio compreso tra 10 e 40 mg. Rapporto farmacocinetico/farmacodinamico. Ad una dose di memantina di 20 mg al giorno i livelli di LCR corrispondono al valore ki (ki = costante di inibizione) di memantina, pari a 0,5 µmol nella corteccia frontale umana. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. In studi a breve termine sui ratti, memantina, come altri antagonisti-NMDA, ha indotto vacuolizzazione neuronale e necrosi (lesioni di Olney) solo in seguito a dosi che portano a concentrazioni sieriche di picco molto elevate. Atassia ed altri segni preclinici hanno preceduto la vacuolizzazione e la necrosi. Dal momento che gli effetti non sono stati osservati in studi a lungo termine su roditori e animali diversi, la rilevanza clinica di queste osservazioni non è nota. Alterazioni oculari sono state rilevate in maniera inconsistente in studi di tossicità ripetuta nei roditori e nei cani, ma non nelle scimmie. Specifici esami oftalmoscopici negli studi clinici con memantina non hanno evidenziato alcuna alterazione oculare. Nei roditori è stata osservata fosfolipidosi nei macrofagi polmonari causata da accumulo di memantina nei lisosomi. Questo effetto è noto da altri principi attivi con proprietà amfifiliche cationiche. Esiste una possibile correlazione tra questo accumulo e la vacuolizzazione osservata nei polmoni. Questo effetto è stato rilevato esclusivamente a dosi elevate nei roditori. La rilevanza clinica di queste osservazioni non è nota. Non è stata osservata alcuna genotossicità dopo test di memantina in analisi standard. Non c’è evidenza di cancerogenicità in studi che durano tutta la vita nei topi e nei ratti. Memantina non era teratogena nel ratto e nel coniglio, anche a dosi tossiche per la madre, e non sono stati notati effetti avversi di memantina sulla fertilità. Nel ratto è stata osservata una riduzione della crescita fetale a livelli di esposizione identici o leggermente superiori rispetto all’esposizione umana. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti. Potassio sorbato, Sorbitolo E420, Acqua purificata. 6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. Una volta aperto, utilizzare il contenuto del flacone entro 3 mesi. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Conservare a temperatura non superiore ai 30 °C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Flaconi in vetro scuro (classe idrolitica III) con contagocce contenente soluzione da 20, 50, 100 o 10 x 50 g. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO H. Lundbeck A/S Ottiliavej 9 – DK-2500 Valby – Danimarca 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO EU/1/02/219/004-6 EU/1/02/219/013 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE Data della prima autorizzazione: 15/05/2002 Data dell’ultimo rinnovo: 15/05/2007 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 05/2008 Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu Flaconi da 50 g (10 mg/g) Prezzo al pubblico 114,93 euro Rimborsabilità: classe C 3-07-2008 11:52:33 Per il trattamento della Malattia di Alzheimer da moderata a grave Depositato presso l’AIFA in data 11/11/08 Monosomministrazione giornaliera ADV Ebixa LANCET.indd 1 3-12-2008 10:03:36 M a l at t i a d i Pa r k i n s o n ";*-&$5 ® JONPOPTPNNJOJTUSB[JPOF HJPSOBMJFSBVOJTDF FGàDBDJBFTFNQMJDJUÆ Monosomministrazione giornaliera Semplicemente efficace