Riflessioni e reazioni Articoli Rassegne

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Riflessioni e reazioni Articoli Rassegne
Copertina v3 3-08
10-12-2008
18:45
Pagina 1
Edizione Italiana Volume 3 Numero 3 Dicembre 2008 – ISSN 1828-6607
http://www.thelancet.com/neurology
Riflessioni e reazioni
Articoli
Rassegne
LRRK2: colmare il divario tra la malattia
di Parkinson sporadica e quella
ereditaria-familiare
Fare luce sul ruolo della povertà
nello sviluppo del cervello
La trattografia nei disturbi neurologici:
concetti, applicazioni e sviluppi futuri
Vedi pagina 164
Vedi pagina 195
Vedi pagina 148
Volume 3 Numero 3 Dicembre 2008
The Lancet Neurology
Edizione Italiana
Elsevier srl
Via Paleocapa, 7
20121 Milano
Tel. 02/88184.1
Fax 02/88184303
e-mail: [email protected]
Editoriale
Attualità
146 Riflessioni sull’efficacia della terapia farmacologica
dei disturbi cognitivi della malattia di Alzheimer:
quali evidenze disponibili?
161 Gli esperti sollecitano un’intelligente riflessione
sui farmaci stimolanti cognitivi
Claudio Mariani
Kelly Morris
164 Fare luce sul ruolo della povertà nello sviluppo
del cervello
Kelly Morris
Riflessioni e reazioni
Reg. Trib. Milano n. 280
del 14.04.2006
147 Dalle osservazioni agli studi clinici: la dieta chetogena
e l’epilessia
ISSN 1828-6607
Max Wiznitzer
Edizione riservata Lundbeck
per i sigg. Medici –
Fuori commercio
148 LRRK2: colmare il divario tra la malattia di Parkinson
sporadica e quella ereditaria-familiare
Alexis Elbaz
151 La sindrome delle gambe senza riposo vede la luce
del giorno
Kapil D Sethi
Direttore responsabile
Wubbo Tempel
Direttore scientifico
Alberto Albanese
Istituto Neurologico Carlo Besta
Università Cattolica, Milano
Traduzione
Adriano Chiò
Dipartimento di Neuroscienze,
Università degli Studi di
Torino
Assistente scientifico
Francesca Del Sorbo
Istituto Neurologico Carlo Besta
153 Esiti a breve termine delle funzioni cognitive e affettive
della stimolazione cerebrale profonda del nucleo
subtalamico nella malattia di Parkinson
Alexander I Tröster
Articoli
167 Demenza incidente e riduzione dei livelli di pressione
arteriosa nello studio Hypertension in the Very Elderly
Trial cognitive function assessment (HYVET-COG):
studio in doppio cieco controllato con placebo
Ruth Peters, et al.
174 Efficacia della telemedicina sito-indipendente nello
studio STRokE DOC: studio randomizzato, in cieco,
prospettico
Brett C Meyer, et al.
Rassegne
155 Doxiciclina orale per la neuroborreliosi
Gary P Wormser, John J Halperin
157 Revisione dei criteri diagnostici di ricerca per la malattia
di Alzheimer
Serge Gauthier, et al.
158 Fattore VII attivato ricombinante protrombotico
nell’emorragia intracerebrale: veloce (FAST) ma
non mirato?
184 RM nella sclerosi multipla: stato attuale e prospettive
future
Rohit Bakshi, et al.
195 La trattografia nei disturbi neurologici: concetti,
applicazioni e sviluppi futuri
Olga Ciccarelli, et al.
Julien Bogousslavsky, Bartlomiej Piechowski-Jozwiak
Punto di vista
Redazione
In-folio, Torino
209 Cellule B e sclerosi multipla
Diego Franciotta, et al.
Impaginazione
Kino, Torino
Stampa
Pirovano Srl, San Giuliano
Milanese
La selezione qui pubblicata è stata effettuata dal Direttore scientifico
sugli articoli pubblicati nell’edizione originale di The Lancet Neurology
(fascicoli dal giugno 2008 al settembre 2008). Gli argomenti selezionati
coprono un ampio arco della neurologia, con lo scopo di fornire
un’informazione equilibrata e aggiornata nella disciplina. L’editoriale
è pubblicato su invito del Direttore scientifico, al quale possono essere
indirizzate eventuali proposte.
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Efficacia della telemedicina
sito-indipendente nello
studio STRokE DOC: studio
randomizzato, in cieco,
prospettico
(vedi pag. 174)
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10-12-2008 20:14:49
Riflessioni e reazioni
Editoriale
Riflessioni sull’efficacia della terapia farmacologica dei disturbi
cognitivi della malattia di Alzheimer: quali evidenze disponibili?
I farmaci autorizzati per il trattamento della malattia di
Alzheimer (MA) sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi
(AChE-Is) (donepezil, galantamina, rivastigmina, tacrina
– quest’ultima non commercializzata in Italia) e la memantina. La loro indicazione differisce lievemente a seconda
delle fasi di malattia: gli AChE-Is sono indicati nella MA da
lieve a moderatamente severa (con l’eccezione di donepezil
che ha recentemente ottenuto negli USA l’estensione
dell’indicazione anche alla fase severa), mentre l’indicazione di memantina si estende dalla fase moderata alla
fase severa della MA. Sia gli AChE-Is sia memantina sono
farmaci ad azione sintomatica, la cui potenziale efficacia si
traduce nel rallentamento della progressione dei disturbi
cognitivi, mediante il potenziamento della stimolazione
colinergica cerebrale (AChE-Is) o la modulazione dell’ipertono glutammatergico (memantina).
I risultati delle sperimentazioni cliniche sull’efficacia di
tali trattamenti si prestano a diversi approcci analitici. Una
prima modalità si basa sul confronto della variazione, dopo
un predefinito periodo di trattamento farmacologico, dei
punteggi delle scale di valutazione tra il gruppo trattato
e il gruppo placebo. Da tale confronto emerge che tutti
gli AChE-Is (senza differenze tra le diverse molecole) e
memantina hanno un’efficacia superiore al placebo, in
modo statisticamente significativo. Questo approccio, tuttavia, limitandosi a un confronto tra gruppi, non consente
di valutare quali e quanti pazienti traggono un effettivo
beneficio dalla terapia.
Per tale motivo la più recente letteratura scientifica
affianca al tradizionale concetto di efficacia statisticamente significativa quello di beneficio clinicamente rilevante.
Nel caso di una patologia cronica e progressiva come la
demenza, è oggetto di dibattito se includere nel concetto
di beneficio clinicamente rilevante solo il miglioramento o
anche la stabilizzazione clinica. La definizione adottata
dall’FDA e applicata agli AChE-Is prevede il miglioramento
di almeno 4 punti della scala ADAS-cog. Secondo questa
definizione, il 10% dei pazienti affetti da MA trattati
presenta un miglioramento clinicamente rilevante, che
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eccede la percentuale di miglioramento del gruppo
placebo. Per la valutazione della risposta a memantina,
invece, è stata adottata una definizione equivalente alla
stabilizzazione clinica. Secondo tale definizione, il 19%
dei pazienti affetti da MA da moderatamente severa a
severa trattati presenta un miglioramento clinicamente
rilevante, che eccede la percentuale di miglioramento del
gruppo placebo. Infine, un’ulteriore modalità di approccio
alla valutazione dell’efficacia dei trattamenti nella MA è
quella che si basa sui risultati degli studi osservazionali
post-marketing (PMS).
Sulla base degli studi PMS condotti in Italia, la percentuale di stabilizzazione clinica nei pazienti affetti da MA
lieve-moderata trattati con AChE-Is è del 30%, mentre nei
pazienti affetti da MA da moderatamente severa a severa
trattati con memantina è pari al 27%. Poiché gli studi PMS
non prevedono un gruppo di controllo, è presumibile che
tali percentuali di risposta includano una quota di effetto
placebo. In una prospettiva di sanità pubblica, gli studi
PMS forniscono un contributo alla valutazione dell’efficacia dei trattamenti farmacologici nella MA importante
e complementare a quello delle sperimentazioni cliniche.
Essi, infatti, includendo pazienti non selezionati sulla base
di rigidi criteri (come avviene invece nelle sperimentazioni)
consentono di ottenere evidenze scientifiche che riflettono
la medicina del mondo reale.
L’ultima riflessione concerne il divario tra la durata
degli studi finora illustrati (6-12 mesi) e la storia naturale della MA, che mediamente si estende lungo un arco
cronologico di 10 anni: per un’adeguata valutazione
dell’efficacia dei trattamenti farmacologici occorrerà
pianificare in futuro l’attuazione di studi di più ampio
respiro temporale.
Claudio Mariani
Università degli Studi di Milano
Clinica Neurologica Ospedale Luigi Sacco, Milano
Conflitti di interesse
Non ho conflitti di interesse.
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Riflessioni
Riflessioni
e reazioni
e reazioni
Dalle osservazioni agli studi clinici: la dieta chetogena
e l’epilessia
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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ri della Cochrane Collaboration hanno anche approvato,
seppure con una certa cautela, la dieta come possibile
modalità per il trattamento dell’epilessia.6 L’assenza di
studi randomizzati controllati è stata variamente motivata, compresi il fatto che l’efficacia della dieta fosse già
stata provata, i dubbi sull’eticità del placebo, i problemi di
finanziamento e la mancanza di gruppi che sostenessero
studi di questo tipo.
Nel loro articolo, Neal e collaboratori riportano una
diminuzione del numero di crisi quotidiane nei bambini
assegnati al trattamento con dieta chetogena rispetto al
gruppo di controllo: il 38% dei bambini sottoposti alla
dieta aveva una riduzione superiore al 50% delle crisi
rispetto al 6% del gruppo di controllo. Il miglioramento
nel controllo delle crisi è risultato simile nei bambini con
epilessia generalizzata sintomatica e nei bambini con
sindromi epilettiche focali.
Si ritiene comunemente che gli studi osservazionali
includano delle distorsioni, che comprendono mancanza
di randomizzazione, bias di selezione, limitazioni nei dati
disponibili per l’analisi e differenze nella misura dell’effetto terapeutico, ma questo concetto è stato messo in
dubbio. Il confronto fra gli studi osservazionali e quelli
randomizzati controllati pubblicati non ha mostrato rilevanti differenze negli effetti del trattamento.7,8 Tuttavia,
Pubblicato Online
il 3 maggio 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70093-0
Dr P Marazzi/Science Photo Library
All’inizio del XX secolo, le opzioni terapeutiche disponibili
per il trattamento dell’epilessia erano limitate al fenobarbital e ai bromuri. La ricerca di terapie alternative, tra cui
l’impiego di regimi dietetici, portò al lavoro di Wilder1
sui positivi effetti anticonvulsivanti di una dieta ad alto
contenuto di grassi e a basso contenuto di carboidrati
e proteine. La dieta è stata definita “chetogena” perché
induce la produzione di chetoni. Il lavoro di Wilder è stato il
primo di una lunga serie di casi clinici e studi osservazionali
che hanno confermato l’efficacia di questo trattamento
dietetico. Negli anni successivi, la dieta chetogena è stata
dapprima accolta con entusiasmo e poi sostituita dal
crescente numero di farmaci antiepilettici, per poi riconquistare una certa importanza attraverso la campagna
pubblicitaria che seguì il successo che essa dimostrò nel
controllare le crisi miocloniche in un bambino.2 La dieta
chetogena rappresenta ora un’opzione terapeutica per
vari tipi di crisi epilettiche, quali gli spasmi infantili, le crisi
miocloniche e le crisi tonico-cloniche. La dieta è stata poi
utilizzata per il trattamento dei disturbi del metabolismo
energetico, come il deficit di GLUT-1 e il deficit del complesso piruvato deidrogenasi, permettendo all’organismo
di utilizzare una fonte alternativa di energia. La dieta
classica, con un rapporto tra grassi e carboidrati/proteine
di 3-4:1, è stata modificata con l’inclusione di trigliceridi a
catena media (MCT) e con il protocollo dietetico Atkins.2,3
Benché non sia stato determinato con certezza il suo
esatto meccanismo d’azione, le teorie proposte includono
l’effetto anticonvulsivante diretto dei corpi chetonici, la
modificazione delle concentrazioni di neurotrasmettitori
e il miglioramento delle riserve di energia con la stabilizzazione della funzione neuronale.4
Nell’edizione originale di The Lancet Neurology,5 Neal e
collaboratori presentano i risultati del loro studio randomizzato controllato condotto su bambini trattati con dieta
chetogena classica o con dieta chetogena con MCT per 3
mesi rispetto a un gruppo di controllo in cui il trattamento
era stato iniziato con un ritardo di 3 mesi. Questo studio è
importante perché durante tutto il XX secolo i lavori sugli
effetti della dieta si limitavano a casistiche retrospettive e a
studi osservazionali prospettici. Gli articoli di revisione, tra
cui uno della Cochrane Collaboration, hanno fatto notare
l’assenza di studi randomizzati controllati; tuttavia gli auto-
Test per la chetonuria
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Riflessioni e reazioni
questo non si verifica nel caso del trattamento con la dieta
chetogena. Gli studi osservazionali hanno riportato una
riduzione superiore al 50% delle crisi epilettiche in una
percentuale di pazienti compresa fra il 4% e il 63% e un
controllo totale delle crisi in una percentuale variabile fra
lo 0% e il 56% del gruppo studiato; l’ampia variabilità di
questi range è dovuta alle differenze nella struttura della
popolazione studiata e, in molti casi, al mancato uso di
analisi come l’intent-to-treat.9 Rispetto allo studio clinico
di Neal e collaboratori, gli autori degli studi osservazionali
prospettici hanno riportato una percentuale più elevata di
bambini liberi da crisi epilettiche e un numero maggiore
di casi che avevano raggiunto una riduzione superiore al
90% del numero di crisi. Neal e collaboratori forniscono
tuttavia informazioni più utili sull’entità dell’effetto del
trattamento e sostengono ulteriormente l’utilità di questo
tipo di studio.
Quindi, cosa è ancora necessario fare? La risposta a questa domanda dipende da quale punto di vista si affronta
il problema. Clinicamente sono necessarie più informazioni sugli effetti a lungo termine della dieta chetogena,
compresi i cambiamenti delle concentrazioni ematiche di
lipidi e la persistente chetosi; inoltre, sono necessari una
migliore identificazione delle epilessie che potrebbero
beneficiare di un inizio precoce della dieta chetogena e il
confronto tra le diete chetogene disponibili. Dal punto di
vista funzionale sono necessari una migliore definizione
del meccanismo d’azione della dieta e lo sviluppo di un
farmaco che ne replichi gli effetti. In sintesi, gli aspetti clinici
e scientifici della dieta chetogena comportano ancora sfide
e opportunità per la comunità neurologica.
Max Wiznitzer
Rainbow Babies and Children’s Hospital, Division of Pediatric
Neurology, Cleveland, OH 44106, USA
[email protected]
Non ho conflitti di interesse.
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LRRK2: colmare il divario tra la malattia di Parkinson
sporadica e quella ereditaria-familiare
Pubblicato Online
il 9 giugno 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70118-2
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Le mutazioni di LRRK2, il gene che codifica per la proteina
leucine-rich repeat kinase 2 (LRRK2), sono responsabili di
forme familiari a trasmissione autosomica dominante e
di forme sporadiche di malattia di Parkinson (MP) e sono
le più comuni cause genetiche di MP. La mutazione più
frequente tra quelle finora identificate nel gene LRRK2 è
la Gly2019Ser, la cui frequenza varia tra i differenti gruppi
etnici. A causa dell’elevata frequenza della mutazione
Gly2019Ser nel gene LRRK2 e della sua associazione con
casi di MP apparentemente sporadici, sono state sollevate
domande importanti relative ai test genetici e alle consulenze genetiche: quali sono la frequenza, la penetranza e la
patogenicità delle mutazioni LRRK2? Quali sono i fenotipi
del gene LRRK2 e vi sono differenze rispetto al fenotipo
della MP idiopatica? Nell’edizione originale di The Lancet
Neurology, gli autori di due studi tentano di rispondere a
queste domande.1,2
Healy e colleghi1 presentano i dati raccolti nell’ambito
dell’International LRRK2 Consortium che, con la partecipazione di 21 centri, ha ricercato la mutazione Gly2019Ser
del gene LRRK2 in 19.376 pazienti non correlati affetti
da MP. La più elevata frequenza di questa mutazione è
stata trovata fra i nordafricani (nel 39% dei pazienti con
MP sporadica; nel 36% dei pazienti con MP familiare),
seguiti dagli ebrei Ashkenazi (10% MP sporadica; 28% MP
familiare). La maggior parte dei portatori è stata identi-
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ficata in centri di riferimento e nessuno degli studi era di
popolazione; pertanto, queste frequenze potrebbero non
essere confrontabili con quelle della popolazione generale
dei pazienti con MP.3 Inoltre, di solito i centri di riferimento
attraggono giovani pazienti e i portatori della mutazione
Gly2019Ser del gene LRRK2 avevano un’età di esordio di
poco inferiore rispetto ai pazienti con MP idiopatica, il che
potrebbe aver portato a sovrastimare la frequenza della
mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2.
Hulihan e collaboratori2 hanno eseguito la genotipizzazione di 238 pazienti con MP sporadica e di 371 controlli
tunisini, riscontrando che la mutazione Gly2019Ser del
gene LRRK2 era più comune nei pazienti rispetto ai
controlli (30% rispetto a 2%; odds ratio=22,6; IC 95%
10,2-50,1); sorprendentemente, nessuno dei pazienti o
dei controlli aveva una storia familiare di MP.
Questi risultati mostrano che la stima della frequenza
della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 è più accurata
quando i casi sporadici sono differenziati dai casi familiari,
perché gli studi di prevalenza complessivi sono influenzati
dalla proporzione di casi familiari. Gli autori mostrano
chiaramente la variabilità della frequenza della mutazione
Gly2019Ser del gene LRRK2 in base al gruppo etnico e
che la mutazione è presente in una parte sostanziale dei
casi sporadici. Questa osservazione e l’identificazione di
portatori sani della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2
indicano una penetranza ridotta di questa mutazione.
La stima della penetranza di mutazioni autosomiche
dominanti (ad es., il rischio di malattia tra i portatori di una
mutazione) è un compito impegnativo, ma è essenziale
per la consulenza genetica. Le stime della penetranza sono
di solito elevate quando sono basate su famiglie ad alto
rischio e potrebbero non essere applicabili alla popolazione
generale. Gli studi di popolazione con un numero sufficiente di portatori sono raramente realizzabili a causa di
problemi economici e di questioni etiche. Un’alternativa
è studiare le popolazioni con elevata frequenza della
mutazione; il principale requisito è che i partecipanti siano
rappresentativi della popolazione.
Hulihan e collaboratori2 hanno studiato gli arabo-berberi
della Tunisia, una popolazione con elevata frequenza della
mutazione, e hanno riscontrato che in questa popolazione la penetranza nel corso della vita di MP nei portatori
della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 era del 45%.
Questa stima è superiore alle stime di penetranza negli
ebrei Ashkenazi (26% a 80 anni;4 35% nel corso della
vita5) o negli italiani (32% a 80 anni)6 che non erano stati
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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George Steinmetz/Science Photo Library
Riflessioni e reazioni
Gli arabi nordafricani hanno un’elevata frequenza di mutazioni Gly2019Ser del gene LRRK2 associate
alla malattia di Parkinson
selezionati per storia familiare, ma inferiore alle stime
ottenute da famiglie con MP trasmessa con modalità
autosomica dominante (100%).7 Con un metodo uguale
a quello usato da Hulihan e collaboratori, siamo in grado
di stimare approssimativamente un IC al 95% di circa il
20-100% per una penetranza del 45%; in realtà, una stima
adeguatamente precisa della penetranza ottenuta da
studi caso-controllo di solito richiede campioni di grandi
dimensioni.8 Anche se questo metodo non si basa su dati
familiari, richiede che i partecipanti non siano selezionati
per la storia familiare. Non è chiaro se l’inclusione di soli
casi e controlli senza storia familiare di MP influenzi la
stima della penetranza (Healy e collaboratori riferiscono
frequenze simili di mutazioni Gly2019Ser del gene LRRK2
in casi sporadici e familiari in nord Africa). Sono necessari
ulteriori dati relativi all’incidenza di MP tra i parenti di
arabo-berberi portatori della mutazione Gly2019Ser del
gene LRRK2. Infine, è opportuno precisare che le stime
di incidenza cumulativa ottenute con il metodo KaplanMeier e indicate nel lavoro non stimano la penetranza.
Healy e collaboratori hanno stimato una penetranza
della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 (74% a 79
anni) superiore rispetto a quella riscontrata da Hulihan e
collaboratori. Il principale limite di questa stima è che il
campione di pazienti era distorto a favore dei casi familiari;
ciò potrebbe avere sovrastimato la penetranza. Tuttavia,
questo studio non permette di confrontare la penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 con la
penetranza di altre mutazioni e i suoi risultati implicano
che mutazioni più rare potrebbero avere una maggiore
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Riflessioni e reazioni
penetranza. Inoltre, non è stata trovata alcuna differenza
nella penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene
LRRK2 a seconda del sesso o dell’etnia, in accordo con un
precedente studio.9
Healy e collaboratori hanno confrontato le principali
caratteristiche cliniche di 313 portatori della mutazione
Gly2019Ser del gene LRRK2 con una serie di 543 pazienti
con MP dimostrata patologicamente tratta dalla Queen
Square Brain Bank (QSBB). Gli autori hanno concluso, in
accordo con Hulihan e collaboratori, che il fenotipo della
mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 non può essere
distinto dal fenotipo della MP idiopatica.
Molti risultati di Healy e collaboratori (progressione
più lenta della malattia, comparsa più tardiva di cadute,
inizio posticipato della terapia sostitutiva dopaminergica e minor rischio di danno cognitivo) sono indicativi
di una progressione più benigna della MP nei portatori
della mutazione Gly2019Ser del gene LRRK2 rispetto
ai pazienti con MP idiopatica. Vi sono, tuttavia, alcune
limitazioni metodologiche per quanto riguarda il gruppo
di confronto: in primo luogo, la gravità della malattia può
influenzare la probabilità che un paziente sia inserito in
una banca dei cervelli, e i pazienti della QSBB non sono
rappresentativi della popolazione generale dei pazienti
con MP; secondo, i pazienti della QSBB avevano una
durata di malattia superiore ai portatori della mutazione
Gly2019Ser del gene LRRK2 e l’incidenza di vari esiti
aumenta con la durata della malattia; terzo, i pazienti
della QSBB avevano un’età d’esordio maggiore, e anche
la frequenza dei diversi esiti aumenta con l’età; quarto, i
due gruppi di pazienti potrebbero essere stati trattati in
modo diverso. Benché questi risultati siano certamente
importanti, devono essere confermati da studi prospettici
correttamente disegnati.
Uno dei punti di forza dei consorzi genetici è la capacità
di studiare mutazioni rare. Healy e collaboratori riferiscono che sei mutazioni nel gene LRRK2 (Gly2019Ser,
Arg1441Gly, Arg1441Cys, Arg1441His, Ile2020Thr,
Tyr1699Cys) soddisfano i criteri per la patogenicità.
Inoltre, gli autori di un recente studio hanno riportato che
il fenotipo della mutazione Arg1441Cys era clinicamente
simile alla MP idiopatica.9 Tuttavia, nonostante il grande
numero di pazienti valutati per mutazioni nel gene LRRK2,
non è stato possibile studiare le caratteristiche cliniche
delle mutazioni diverse dalla Gly2019Ser a causa dei
piccoli numeri.
Entrambi gli studi nell’edizione originale di The Lancet
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Neurology forniscono importanti contributi. La stima
della prevalenza delle mutazioni del gene LRRK2 tra i
casi sporadici e familiari di MP consente di quantificare
l’importanza del gene LRRK2 come gene causale della
MP in diversi gruppi etnici. Entrambi gli studi sottolineano l’importanza di raccogliere dati di popolazione,
e studi futuri dovrebbero prendere in considerazione
disegni epidemiologici in grado di stimare la frequenza
e la penetranza delle mutazioni del gene LRRK2 a livello
di popolazione.
L’esecuzione del test per la mutazione Gly2019Ser del
gene LRRK2 viene di solito discussa caso per caso e può
contribuire all’accuratezza e alla certezza diagnostica,
utile per alcuni pazienti e famiglie. La stima accurata
della penetranza della mutazione Gly2019Ser del gene
LRRK2 è essenziale per la consulenza genetica dei parenti
asintomatici di portatori di tale mutazione, ma le stime di
penetranza sono incerte e studi futuri dovrebbero fornire
stime più precise applicabili a livello di popolazione. La
scoperta del gene LRRK2 ha reso possibili test pre-sintomatici dei portatori della mutazione Gly2019Ser del gene
LRRK2. Tuttavia, l’assenza di terapie neuroprotettive rende
controversa questa possibilità e sottolinea l’importanza
della consulenza genetica.
Una caratteristica interessante delle mutazioni del
gene LRRK2 è la loro associazione con la MP sporadica e
familiare. Inoltre, se alcuni portatori della mutazione non
sviluppano la MP, quali cofattori (ad es., geni o esposizioni
ambientali) influenzano la penetranza e l’età d’esordio?
Dimostrando che la penetranza non dipende da sesso o
etnia, i dati presentati da Healy e collaboratori1 suggeriscono che questi cofattori sono distribuiti in modo simile
negli uomini e nelle donne e nei diversi gruppi etnici.
Tuttavia, sono necessari ulteriori lavori per individuare
questi cofattori.
Alexis Elbaz
INSERM Unit 708, Neuroepidemiology, Hôpital de la Salpêtrière,
47 Bvd de l’Hôpital, 75651 Paris Cedex 13, France
[email protected]
1
2
3
4
Healy DG, Falchi M, O’Sullivan S, et al. Phenotype, genotype, and worldwide genetic penetrance of LRRK2-associated Parkinson’s disease: a case
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Hulihan MM, Ishihara-Paul L, Kachergus J, et al. LRRK2 Gly2019Ser penetrance in Arab–Berber patients from Tunisia: a case-control genetic screen.
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La sindrome delle gambe senza riposo vede la luce del giorno
La sindrome delle gambe senza riposo (Restless Legs
Syndrome, RLS) è una patologia caratterizzata da un
disturbo sensitivo-motorio che ha una prevalenza del
5-10% nella popolazione di razza bianca.1 La diagnosi
di RLS è stata facilitata negli ultimi 5 anni dai criteri diagnostici elaborati da un gruppo di esperti dei National
Institutes of Health (NIH),2 mentre se ne stanno cominciando a comprendere le basi biologiche con la scoperta
dei polimorfismi genetici che predispongono i pazienti
a sviluppare la RLS o i movimenti periodici delle gambe
nel sonno (Periodic Leg Movements in Sleep, PLMS).3,4 La
diagnosi di RLS rimane clinica, ma i PLMS registrati con
la polisonnografia o l’actigrafia rappresentano potenziali
biomarcatori della malattia.
I sintomi della RLS sono fortemente influenzati dai ritmi
circadiani e molti pazienti cercano l’aiuto di specialisti del
sonno, perché lo stimolo a muovere gli arti inferiori o il
disagio alle gambe può determinare difficoltà all’addormentamento. Tuttavia, la RLS viene sempre più considerata
un disturbo multiforme, con manifestazioni diurne come
incapacità a stare fermi e scatti involontari agli arti inferiori
che non sono necessariamente periodiche. Anche se i criteri
diagnostici NIH danno importanza al peggioramento dei
sintomi di sera o al momento di coricarsi, non escludono
affatto i sintomi diurni. Nello studio INSTANT,5 il 5-10%
dei pazienti presentava i sintomi prima delle ore 18.00 e
il 50% nel periodo compreso tra le 18.00 e il momento
in cui andava a letto. In uno studio di popolazione la
descrizione da parte dei pazienti dei sintomi in un diario o
taccuino ha mostrato che quasi il 60% dei pazienti con RLS
aveva sintomi diurni (Allen R, Johns Hopkins University,
Baltimore, MD, USA, comunicazione personale). Nello studio di Trenkwalder e collaboratori6 contenuto nell’edizione
originale di The Lancet Neurology, circa il 60% dei pazienti
ha ottenuto un punteggio diurno a riposo di 5-10 alla
RLS-6, scala di valutazione della RLS, indicativo di sintomi
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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diurni da moderati a gravi. Solo 20 partecipanti (5%) non
presentavano alcun sintomo diurno all’inizio dello studio.
Il trattamento con rotigotina, un agonista dopaminergico
a lunga durata d’azione, ha migliorato i sintomi diurni in
circa metà dei pazienti che avevano riportato tali disturbi
al momento iniziale dello studio.6
La fisiopatologia della RLS è ancora poco conosciuta,
ma coinvolge un’anomala ipereccitabilità dei sistemi
spinali modulati dalle vie dopaminergiche discendenti
che provengono dal tronco cerebrale.7 La disfunzione
del sistema dopaminergico potrebbe essere secondaria
ad alterazioni del metabolismo e del deposito del ferro
nel SNC.7 Forse l’argomento più convincente a favore del
coinvolgimento del sistema dopaminergico è la risposta
della RLS ai farmaci dopaminergici, come la levodopa e
i dopaminoagonisti, segnalata per la prima volta come
scoperta casuale da Akpinar8 nel 1987. I dopaminoagonisti
sono stati successivamente approvati per il trattamento
della RLS e determinano un beneficio nella maggior parte
dei pazienti.9,10 Tuttavia, gli studi di neuroimmagine funzionale del sistema dopaminergico nigrostriatale hanno
fornito risultati contrastanti e non è noto quali vie siano
esattamente coinvolte nella fisiopatologia della RLS.7
Nel 1996, Earley e Allen11 hanno descritto un peculiare
effetto nei pazienti con RLS trattati con farmaci dopaminergici, in particolare levodopa. L’effetto, che essi avevano
chiamato augmentation, è stato successivamente definito
come un peggioramento dei sintomi della RLS durante
il trattamento, che porta a un aumento complessivo
della gravità della RLS rispetto a prima del trattamento.
Recentemente, sono state proposte nuove definizioni per
tale fenomeno ed è stata sviluppata e validata una scala di
valutazione della gravità dell’augmentation (ASRS).12
Gli effetti dell’augmentation, in particolare per quanto
riguarda i sintomi diurni della RLS, dipendono dalla durata
dell’effetto del farmaco dopaminergico. Con il trattamento
Pubblicato Online
il 31 maggio 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70113-3
151
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Riflessioni e reazioni
efficace dei sintomi serali mediante un farmaco a breve
durata d’azione, i pazienti potrebbero iniziare a focalizzarsi
sui sintomi diurni, quando le concentrazioni ematiche
del farmaco a breve durata d’azione sono diminuite. È
meno probabile che questo fenomeno si verifichi con i
farmaci a durata d’azione più lunga, perché i periodi del
giorno in cui il paziente è privo di terapia sono più brevi.
I farmaci a lunga durata d’azione, come la rotigotina,
trattano i sintomi diurni e potrebbero mascherare il fenomeno dell’augmentation. Studi a lungo termine dovranno
mostrare se l’augmentation si manifesti con la necessità di
aumentare le dosi del farmaco a lunga durata d’azione e
con il coinvolgimento di parti del corpo precedentemente
non interessate.
L’augmentation è un problema in gran parte legato al trattamento della RLS con agenti dopaminergici (con poche
eccezioni, come le rare segnalazioni di questo fenomeno
con tramadolo).12 Nella malattia di Parkinson, la stimolazione pulsatile dei recettori dopaminergici può predisporre
i pazienti a sviluppare discinesie, mentre la stimolazione
continua del sistema dopaminergico potrebbe contribuire
a prevenire l’insorgere delle discinesie.13 È prematuro concludere che lo stesso accada nella RLS. Tuttavia, è sempre
più accettato che la RLS è una patologia caratterizzata
da sintomi circadiani (con la possibile eccezione delle
prime ore del mattino) e deve essere gestita come tale.
L’introduzione di un cerotto che rilascia in modo continuo
il dopaminoagonista è un complemento alle strategie
terapeutiche. Purtroppo, la formulazione transdermica di
rotigotina è stata temporaneamente ritirata dal mercato
statunitense a causa di problemi legati alla produzione e
al rilascio inaffidabile del farmaco.
La RLS causa un significativo disagio e influisce negativamente sulla qualità di vita dei pazienti. Non è chiaro
se la RLS abbia conseguenze più negative. Uno studio
recente ha dimostrato che la RLS si associa a un aumento
della prevalenza di malattie cardiovascolari, in particolare
nei pazienti con maggiore frequenza o gravità dei sintomi
152
01 Lancet.indd 152
della RLS.14 Non è noto se il trattamento della RLS riduca
questo rischio; ulteriori studi dovrebbero contribuire a
rispondere a questa domanda.
Kapil D Sethi
1429 Harper Street, Room 1121HB, Medical College of Georgia,
Augusta, GA 30912, USA
[email protected]
Sono stato oratore e consulente di Boehringer Ingleheim, Novartis,
GlaxoSmithKline, Allergan, UCB e Jazz Pharmaceuticals. Possiedo azioni di
Merck, Pfizer ed Elan.
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Riflessioni e reazioni
Esiti a breve termine delle funzioni cognitive e affettive
della stimolazione cerebrale profonda del nucleo subtalamico
nella malattia di Parkinson
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questo studio è che solo la fluenza verbale e il test di Stroop
hanno mostrato un peggioramento significativamente
maggiore (di entità moderata) nei pazienti sottoposti
a DBS rispetto a quelli sottoposti alla migliore terapia
medica. Gli autori interpretano questo risultato come
l’espressione di disfunzione esecutiva, ma queste alterazioni cognitive moderate sono state considerate clinicamente
non rilevanti perché non erano associate a cambiamenti
significativi nella qualità di vita. Gli autori hanno anche
riportato che il numero di pazienti che hanno mostrato
un peggioramento rilevante (superiore a due deviazioni
standard) nel livello globale della funzione cognitiva,
misurato mediante la scala di valutazione della demenza di
Mattis, era simile tra i gruppi (12% nel gruppo DBS rispetto
al 7% nel gruppo sottoposto alla migliore terapia medica).
Inoltre, quando i punteggi di fluenza erano eliminati dalla
scala di valutazione della demenza di Mattis il numero di
pazienti che mostravano un peggioramento rilevante era
ridotto al 5% nel gruppo DBS rispetto al 6% nel gruppo
sottoposto alla migliore terapia medica.
I risultati relativi ai disturbi psichiatrici sono meno
semplici da interpretare, perché le scale di valutazione
della gravità dei sintomi potrebbero non includere tutti
Pubblicato Online
il 5 giugno 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70115-7
BSIP, Astier-Chru Lille/Science Photo Library
Vi sono pochi dubbi riguardo l’efficacia della stimolazione
cerebrale profonda (DBS) del nucleo subtalamico (STN) nel
trattamento dei sintomi motori della malattia di Parkinson
(MP) in pazienti selezionati, come quelli che sviluppano
effetti collaterali intollerabili ai farmaci prescritti per la
MP o quelli i cui sintomi sono invalidanti nonostante
una terapia medica ottimale. La DBS non solo è in grado
di migliorare alcuni dei singoli aspetti relativi alla qualità
di vita dei pazienti per 3 anni o più,1 ma potenzialmente
può anche migliorare la qualità di vita del partner o del
caregiver del paziente.2 I vantaggi in termini di qualità di
vita dei pazienti dopo DBS possono superare quelli ottenuti con la terapia medica,3 ma potrebbero essere meno
evidenti nei pazienti anziani.4
Aspetti più controversi della DBS sono la frequenza,
la gravità, la natura e le cause degli eventi avversi neurocomportamentali. I risultati di una metanalisi hanno
dimostrato che il più comune effetto collaterale cognitivo è
una moderata riduzione della fluenza verbale; effetti meno
comuni sono un lieve peggioramento delle funzioni esecutive e della memoria e un miglioramento solo minimo della
velocità psicomotoria.5 Alcuni autori hanno segnalato una
morbilità neurocomportamentale più frequente, estesa e
clinicamente significativa.6 Gli eventi avversi psichiatrici
segnalati sono numerosi; tuttavia, solo raramente questi
eventi sono stati valutati sistematicamente o è stata
misurata la loro gravità.7 Poiché ci sono stati solo cinque
studi controllati (per lo più condotti su piccoli campioni)
su esiti neuropsicologici dettagliati, sono assolutamente
necessari studi rigorosi e ben disegnati con campioni di
potenza adeguata per individuare gli effetti neurocomportamentali della DBS. Uno di questi studi è quello di Witt
e collaboratori8, pubblicato nell’edizione originale di The
Lancet Neurology. I ricercatori riportano gli esiti neurocomportamentali a 6 mesi in 60 pazienti sottoposti a DBS del
STN e 63 controlli sottoposti alla migliore terapia medica.
Gli esiti motori e di qualità di vita di questi pazienti sono
stati pubblicati in precedenza;3 il nuovo studio confronta
le modificazioni delle funzioni cognitive e psichiatriche
all’interno e tra i due gruppi.8
Il principale risultato relativo alle funzioni cognitive di
Stimolazione cerebrale profonda per il trattamento dei sintomi della malattia di Parkinson
153
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Riflessioni e reazioni
gli eventi avversi psichiatrici transitori verificatisi; questa constatazione mette in evidenza il generale difetto
metodologico delle valutazioni a intervalli temporali fissi.
I punteggi medi dell’ansia erano migliorati maggiormente
nel gruppo sottoposto a DBS rispetto al gruppo sottoposto alla migliore terapia medica e i sintomi depressivi
presentavano miglioramenti, anche se non significativi,
rispetto ai punteggi basali. I miglioramenti descritti
potrebbero, in una certa misura, essere l’espressione di
un miglioramento dei sintomi parkinsoniani, poiché le
scale utilizzate, soprattutto quella dell’ansia, misurano
in parte i sintomi della MP oltre che i sintomi dei disturbi
di ansia e depressione.
Gli autori riferiscono che il tasso di morbilità psichiatrica
grave era simile tra il gruppo DBS (13%) e il gruppo sottoposto alla migliore terapia medica (10%), benché la natura
della morbilità fosse diversa. La psicosi era più comune nel
gruppo sottoposto alla migliore terapia medica, mentre
la depressione era più frequente nei pazienti sottoposti a
DBS: un paziente nel gruppo DBS ha commesso suicidio e
un paziente in quello sottoposto alla migliore terapia medica è deceduto nel corso di un episodio psicotico. L’apatia
è stata un evento raro (segnalata da un solo paziente nel
gruppo DBS). Un punto di forza di questo studio è l’uso di
varie scale di valutazione psichiatrica; tuttavia, la gravità
dell’apatia è stata valutata con una sola scala: la unified
Parkinson’s disease rating scale.
Sulla base di questi risultati, la DBS potrebbe essere considerata sicura dal punto di vista neurocomportamentale.
Tuttavia, questa conclusione non può essere stabilita con
certezza senza uno studio controllato con placebo (chirurgia simulata), la cui eticità è discussa e che potrebbe
non essere facile da realizzare, perché gli effetti della
stimolazione potrebbero impedire che i partecipanti allo
studio non siano a conoscenza del trattamento assegnato
(cecità). Uno studio che metta a confronto la DBS con
gli effetti di elettrodi impiantati ma temporaneamente
inattivati potrebbe ulteriormente differenziare gli effetti
della chirurgia rispetto alla stimolazione.
Inoltre, la batteria di test utilizzata in questo studio,
benché pratica, era limitata, soprattutto dal punto di vista
delle funzioni esecutive valutate. Considerando i criteri di
selezione restrittivi (assenza di attuali o precedenti disturbi
psichiatrici o deficit cognitivi), i tassi di gravi eventi avversi
psichiatrici e cognitivi in questo studio non sono trascurabili. Infatti, i tassi di eventi avversi psichiatrici gravi (e di
grave declino cognitivo secondo il punteggio della scala
154
01 Lancet.indd 154
di valutazione della demenza di Mattis) sono elevati, per
un intervallo di follow-up così breve (6 mesi) in un campione altamente selezionato, quando si consideri la tipica
incidenza di gravi alterazioni psichiatriche e cognitive nei
pazienti con MP nel corso di un anno.
I risultati di questo studio, come quelli di altre ricerche
finora infruttuose, non sono riusciti a identificare un’associazione significativa tra alterazioni neurocomportamentali
e cambiamenti nella posologia dei farmaci, ma gli autori
non hanno esaminato il potenziale ruolo della stimolazione, di altre malattie e dei parametri demografici (la
cui variabilità potrebbe essere stata limitata dalla rigorosa
selezione, impedendo potenzialmente l’identificazione di
correlazioni significative). Di conseguenza, continua a sfuggire l’identificazione dei fattori di rischio delle alterazioni
neurocomportamentali che si osservano in una minoranza
di pazienti dopo DBS.
L’iniziale osservazione fatta da pochi e piccoli studi non
controllati secondo cui il miglioramento dei sintomi motori
e della qualità di vita potrebbe non tradursi in un riadattamento sociale merita di essere al più presto indagata.9,10
Future ricerche dovranno identificare i fattori correlati al
paziente, medico-chirurgici e psicosociali che impediscono il recupero del ruolo professionale, interpersonale,
familiare e coniugale in alcuni pazienti, e le difficoltà ad
affrontare le circostanze e il reinserimento sociale. Inoltre,
supponendo che la DBS sia una procedura sicura, si devono
rendere meno rigidi gli attuali criteri di esclusione per gli
studi neurocomportamentali? Ciò potrebbe consentire
a un numero maggiore di pazienti di accedere a un trattamento potenzialmente in grado di migliorare la vita, e
potrebbe permettere l’identificazione dei fattori di rischio
delle alterazioni neurocomportamentali in pazienti in cui
la selezione forse rispecchierà più strettamente la pratica
clinica al di fuori degli studi clinici.
Alexander I Tröster
Department of Neurology (CB 7025), University of North Carolina
at Chapel Hill, Chapel Hill, NC 27599-7025, USA
[email protected]
Sono stato consulente retribuito di Medtronic e Advanced Neuromodulation
Systems. Ho ricevuto fondi di ricerca da Medtronic.
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16.
Doxiciclina orale per la neuroborreliosi
Le meningiti batteriche acquisite in comunità (ad es., la
meningite pneumococcica) e le altre gravi infezioni del
SNC sono rapidamente progressive e rappresentano un
pericolo per la vita, e la loro cura è subordinata al raggiungimento di concentrazioni battericide di antibiotici
nelle sedi di infezione. La generale riluttanza a trattare tali
infezioni con antibiotici per via orale ha diverse cause, quali
l’inattendibilità dell’assorbimento del farmaco dal tratto
gastrointestinale (a causa di nausea, vomito o instabilità
emodinamica), il fatto che le concentrazioni ematiche
e liquorali del farmaco ottenibili con molti agenti orali
sono molto più basse rispetto a quelle raggiungibili con
preparati antibiotici parenterali e la limitata esperienza
clinica con gli antimicrobici orali per queste indicazioni.
Coerentemente con questo approccio, la neuroborreliosi
è stata abitualmente trattata con terapia antibiotica per
via parenterale.1,2
La neuroborreliosi, tuttavia, si differenzia dalla maggior
parte delle altre infezioni batteriche del SNC in diversi modi
importanti e tali differenze potrebbero determinare il successo della terapia orale. In primo luogo, la maggior parte
dei pazienti con neuroborreliosi non è gravemente malata
ed è fisicamente in grado di assumere farmaci per via orale
e di assorbirli. Secondo, alcuni antibiotici somministrabili
per via orale sono costantemente attivi contro l’agente
patogeno Borrelia burgdorferi sensu lato in vitro.3 Terzo,
potrebbero non essere essenziali elevate concentrazioni
del farmaco: la carica batterica sembra essere bassa, infatti
nella maggior parte dei casi non è possibile identificare la
spirocheta nel liquor mediante coltura o PCR,4 e ridotte
quantità di batteri aumentano la probabilità che gli
antibiotici possano essere attivi a basse concentrazioni
di farmaco. Inoltre, molti quadri clinici – come la nevrite
dei nervi cranici o la radicolonevrite5 – coinvolgono in
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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realtà il sistema nervoso periferico, dove la barriera tra
sangue e sistema nervoso è più permeabile rispetto alla
barriera emato-encefalica. Infine, nella neuroborreliosi la
risposta immunitaria dell’ospite è più efficace rispetto ad
altre infezioni batteriche del SNC, infatti vi sono evidenze
che indicano che la neuroborreliosi nella maggior parte
dei pazienti tende ad autolimitarsi anche in assenza di
antibioticoterapia.1,6 Una risposta immunitaria dell’ospite
più efficace suggerisce che le concentrazioni inibitorie
di un antibiotico nel sito di infezione potrebbero essere
terapeutiche, e che non sono richieste le concentrazioni
più elevate di farmaco spesso necessarie per l’attività
battericida in vitro.
Tra gli antibiotici orali disponibili, la doxiciclina è quello
che ha suscitato il maggior interesse come potenziale
trattamento per la neuroborreliosi. La doxiciclina ha una
biodisponibilità orale molto elevata (>90%), tale che in
genere le concentrazioni ematiche sono simili se il farmaco
viene somministrato per via endovenosa o per via orale.7
Prima dello studio di Ljøstad e collaboratori,8 pubblicato
nell’edizione originale di The Lancet Neurology, sono stati
effettuati dieci studi sul trattamento della neuroborreliosi con doxiciclina condotti su un totale di circa 300
pazienti europei; in otto studi, la doxiciclina (in sei dei
quali somministrata per via orale) è stata confrontata con
un antibiotico b-lattamico parenterale.9 L’efficacia della
doxiciclina è risultata molto simile a quella del farmaco
di confronto in tutti gli otto studi.9 L’analisi complessiva
dei dati di questi studi ha mostrato che il tasso globale
di risposta alla doxiciclina era pari al 98,6% della risposta
alla penicillina parenterale o al ceftriaxone (IC 95% 94,8102,5), pertanto era improbabile che tra questi trattamenti vi fosse una differenza clinicamente significativa.9
Tuttavia, nessuno di questi studi era in doppio cieco e
Pubblicato Online
il 21 giugno 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70120-0
155
10-12-2008 20:14:55
Riflessioni e reazioni
randomizzato, e nessuno aveva la potenza per stabilire
la non-inferiorità della doxiciclina. In realtà, non siamo a
conoscenza di alcuno studio di fase I sul trattamento della
neuroborreliosi,9 quindi quello di Ljøstad e collaboratori è
un contributo assai apprezzato.
Ljøstad e collaboratori8 hanno assegnato in modo casuale
118 pazienti norvegesi a ricevere un ciclo di 14 giorni di
doxiciclina per via orale o ceftriaxone per via endovenosa per una presunta neuroborreliosi. L’esito clinico ha
mostrato un’efficacia comparabile tra i due trattamenti
ed è stata dimostrata la normalizzazione delle variabili
liquorali a 4 mesi di follow-up. Analogamente ad altri
studi sul trattamento della borreliosi di Lyme,10 questi
ricercatori hanno dimostrato che il miglioramento clinico
è stato lento e che proseguiva dopo il completamento del
ciclo di terapia antibiotica. È importante sottolineare che
per nessuno dei loro pazienti è stato giudicato necessario
eseguire un ulteriore trattamento.
Questi dati forniscono prove solide che la maggior parte
dei pazienti europei con neuroborreliosi risponderebbe a
un ciclo di 2 settimane di doxiciclina orale proprio come
risponderebbe a un ciclo di 2 settimane di ceftriaxone. Non
è chiaro se si sarebbero potuti ottenere risultati simili con
un farmaco b-lattamico per via orale, come l’amoxicillina.
Non è neppure chiaro se questi risultati possono essere
estrapolati per la neuroborreliosi negli Stati Uniti, che è
causata da B. burgdorferi sensu stricto, anziché da B. garinii
o B. afzelii. È giunto il momento di realizzare uno studio
per rispondere a questa domanda. Poiché non è stato
stabilito se la doxiciclina orale è efficace nei rari casi di
156
01 Lancet.indd 156
coinvolgimento parenchimale del SNC5 o nei pazienti con
altre gravi manifestazioni neurologiche, è probabile che un
antibiotico parenterale, come il ceftriaxone, debba rimanere il trattamento di scelta in questi casi eccezionali.9
Gary P Wormser, John J Halperin
Division of Infectious Diseases, Department of Medicine of New
York Medical College, Valhalla, NY, USA (GPW); and Atlantic
Neuroscience Institute, Summit, NJ, USA (JJH)
[email protected]
Non abbiamo conflitti di interesse.
1
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The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
10-12-2008 20:14:55
Riflessioni e reazioni
Revisione dei criteri diagnostici di ricerca per la malattia
di Alzheimer
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
01 Lancet.indd 157
uso clinico; pensiamo che come possibile alternativa si
dovrà considerare la tomografia computerizzata a emissione di singoli fotoni (SPECT) con valutatori esperti o
procedure semiautomatiche.
Anche se non era l’obiettivo al momento della pubblicazione, alcuni medici, prevalentemente neurologi,
hanno iniziato a utilizzare i criteri nella pratica quotidiana;
tuttavia, è necessario essere prudenti fino a un’ulteriore
convalida. Gruppi di neurologi francesi stanno studiando
nuovi approcci che costituiranno un ponte fra ricerca e
pratica clinica. Si tratta di un approccio graduale secondo
cui in primo luogo si deve documentare la compromissione
della memoria episodica con il test di Grober e Buschke,
incluso il richiamo libero e totale4 modificato per la Francia;5
secondo, si usa la RM per quantificare l’atrofia ippocampale
e per verificare se questa non confermi la demenza; terzo,
si misurano nel liquor i marcatori b-amiloide e tau oppure
si esegue la SPECT.
Il ruolo della PET può essere facilitato dalla disponibilità
di un ligando dell’amiloide marcato con 18F con tempo
di dimezzamento più lungo rispetto al PIB marcato con
11
C,6 permettendo una produzione centralizzata e una
distribuzione in periferia rispetto a quanto possibile con
il 18F-fluorodeossiglucosio.
Quindi, che cosa succederà dopo? Così come speriamo
che abbiano successo gli studi di fase III in corso con far-
Catherine Pouedras/Science Photo Library
La pubblicazione su The Lancet Neurology di una proposta di
revisione dei criteri per la diagnosi di malattia di Alzheimer
era diretta a permettere di identificare questa malattia
in una fase più precoce rispetto a quanto attualmente
possibile (vale a dire, prima che la demenza diventi clinicamente riconoscibile).1
Ci auguriamo che gli studi clinici randomizzati controllati con placebo su farmaci potenzialmente in grado di
modificare la malattia possano essere accessibili a individui diagnosticati usando questi criteri, per sfruttare la
potenziale reversibilità della patologia cerebrale e superare
la mancanza di trattamenti sintomatici standard in questa
fase della malattia. I criteri risolveranno il problema del
fatto che la compromissione cognitiva lieve, non essendo
una specifica condizione patologica,2 non rappresenta
pertanto un obiettivo adeguato per gli studi con farmaci
in grado di modificare il decorso della malattia (diseasemodifying trials).3
Siamo consapevoli che i centri per la malattia di
Alzheimer di tutto il mondo stanno valutando in studi
prospettici i criteri rivisti sia in coorti di pazienti con compromissione cognitiva lieve che sono progrediti a demenza,
sia nei pazienti con diagnosi de novo di compromissione
cognitiva lieve. Alla Alzheimer’s Association International
Conference on Alzheimer’s Disease, tenutasi a Chicago
dal 26 al 31 luglio 2008, sono stati presentati vari lavori
di questo tipo, tra cui quello di Bouwman e collaboratori
(P Scheltens, non pubblicato) sulla maggiore specificità e
sensibilità per la diagnosi di malattia di Alzheimer quando
sia l’atrofia del lobo temporale mesiale evidenziabile alla
RM sia i reperti anormali del liquor sono combinati con la
compromissione della memoria episodica.
Nei Paesi in cui vi è una certa riluttanza a eseguire la
rachicentesi nell’ambito della valutazione diagnostica degli
individui con disturbi della memoria, vi sarà maggiore
interesse sulle neuroimmagini cerebrali. In altri Paesi, dove
la rachicentesi è considerata una procedura diagnostica,
l’esame del liquor sarà più facilmente disponibile. Questi
nuovi criteri diagnostici potrebbero cambiare l’opinione di
medici e pazienti nei confronti della procedura. La limitata
disponibilità di apparecchiature PET potrebbe ostacolare la
validazione di tale aspetto dei nuovi criteri e il suo futuro
157
10-12-2008 20:14:56
Riflessioni e reazioni
Per il programma KP6 si veda
www.lipididiet.progressima.eu
maci potenzialmente in grado di modificare la malattia in
soggetti con malattia di Alzheimer definita, saranno da
prendere seriamente in considerazione studi randomizzati sulla fase pre-demenza della malattia di Alzheimer.
Tali studi misureranno gli esiti, come l’ADAS-cog – che
è risultato sensibile come esito secondario in uno studio
sintomatico della durata di 6 mesi sul donepezil nella
compromissione cognitiva lieve7 –, insieme ad altre misure
cognitive e alle attività strumentali della vita quotidiana
sensibili alla malattia di Alzheimer in fase molto precoce.8
Nell’Unione Europea, uno studio clinico su larga scala che
utilizzerà i nuovi criteri è stato finanziato dal programma KP6. Anche se non disegnato a priori per validare i
criteri diagnostici, il database dell’Alzheimer’s Disease
Neuroimaging Initiative potrebbe permettere di studiare se
sia possibile prevedere la conversione da compromissione
cognitiva lieve a malattia di Alzheimer.
Serge Gauthier, Bruno Dubois, Howard Feldman,
Philip Scheltens
McGill Center for Studies in Aging, Douglas Mental Health
Research Institute, Montréal, Canada (SG); Hôpital de la
Salpêtrière et Université Pierre et Marie Curie, Parigi, Francia
(BD); Division of Neurology, University of British Columbia and
Vancouver Coastal Health, Vancouver, Canada (HF); Department
of Neurology and Alzheimer Center, VU University Medical Center,
Amsterdam, Netherlands (PS).
[email protected]
Non abbiamo conflitti di interesse.
1
2
3
4
5
6
7
8
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Fattore VII attivato ricombinante protrombotico
nell’emorragia intracerebrale: veloce (FAST) ma non mirato?
Oltre un decennio fa si è registrato un grande cambiamento
nel trattamento dell’ictus ischemico, con la pubblicazione
dello studio sull’attivatore tissutale del plasminogeno
ricombinante (rtPA).1 Malgrado un incremento dell’emorragia intracerebrale sintomatica nei soggetti trattati con
rtPA rispetto al placebo (6,4% vs 0,6%; p <0,001) e nessuna
differenza nella mortalità, questo nuovo trattamento ha
permesso di migliorare del 30% gli esiti funzionali soddisfacenti. Dieci anni più tardi, siamo stati incoraggiati dai
risultati preliminari nel sottotipo di ictus meno comune
ma più temuto – l’emorragia intracerebrale (EIC). Mayer
e collaboratori2 hanno dimostrato che il trattamento
con fattore VII attivato ricombinante (rFVIIa) rispetto al
placebo entro 4 ore dall’insorgenza dell’ictus ha limitato
l’espansione dell’EIC (riduzione relativa del 52%, p=0,01),
ha ridotto la mortalità (riduzione relativa del 38%, p=0,02)
e ha diminuito la percentuale di grave disabilità e decesso
158
01 Lancet.indd 158
(riduzione assoluta del 16%, p=0,004), a scapito di un
maggiore numero di complicanze tromboemboliche
(aumento assoluto del 5%, p=0,12). Sono state valutate
tre dosi di rFVIIa (40 µg, 80 µg e 160 µg/kg) rispetto al
placebo, con un fenomeno dose-risposta: la dose più alta di
rFVIIa ha determinato la maggiore riduzione della crescita
dell’EIC (aumento medio assoluto rispetto al basale di 2,9
ml con 160 µg/kg vs 5,4 ml con 40 µg/kg, 4,2 ml con 80
µg/kg e 8,7 ml con placebo). Tuttavia, l’rFVIIa ad alte dosi
ha anche portato a maggiori complicanze tromboemboliche (10% vs 6% con 40 µg/kg, 4% con 80 µg/kg e 2% con
placebo). Non è stata riscontrata alcuna riduzione della
mortalità tra le differenti dosi di rFVIIa.
Lo stesso gruppo ha eseguito ora uno studio di fase III
randomizzato controllato con placebo (FAST [Factor VII
for Acute Hemorragic Stroke]) per confermare l’efficacia
dell’rFVIIa nel migliorare l’esito clinico nei pazienti con
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
10-12-2008 20:14:57
EIC.3 L’endpoint primario (esito negativo) è stato definito come decesso o grave disabilità secondo la scala di
Rankin modificata a 90 giorni. 8886 pazienti sono stati
valutati per l’eleggibilità e 841 sono stati assegnati a caso
a ricevere rFVIIa (20 µg/kg o 80 µg/kg) o placebo. I gruppi
erano simili in termini di caratteristiche demografiche, ma
vi era uno squilibrio nel numero di pazienti con emorragia
intraventricolare (EIV), con il 41% dei casi EIV nel gruppo a
80 µg/kg, il 35% nel gruppo a 20 µg/kg e il 29% nel gruppo
placebo. Inoltre, un maggior numero di pazienti con grave
compromissione della coscienza e ipertrofia ventricolare
sinistra è stato arruolato nei gruppi di trattamento. Anche
se tra i gruppi non è stata osservata alcuna differenza
significativa nell’endpoint primario, costituito dalla proporzione di pazienti con risultato clinico negativo (26% con
20 µg/kg, 29% con 80 µg/kg e 24% con placebo), è stato
riscontrato un effetto sul volume dell’EIC: l’incremento
medio del volume dell’EIC a 24 ore dall’esordio era minore
nel gruppo a 80 µg/kg rispetto al gruppo a 20 µg/kg e nel
gruppo placebo (11% vs 18% vs 26%, rispettivamente,
p=0,001). In altre parole, la dose più elevata di rFVIIa è
stata quella più efficace nel ridurre la crescita dell’EIC (di
3,8 ml [IC 95% 0,9-6,7], p=0,009). Questi effetti positivi
sono stati controbilanciati dalla maggiore frequenza di
complicanze tromboemboliche arteriose nel gruppo a
80 µg/kg rispetto al gruppo placebo (9% vs 4%, p=0,04).
Benché un’analisi post-hoc corretta del trattamento con
rFVIIa non abbia indicato alcun contributo sul rischio di
eventi quali infarto cerebrale acuto, aumento di troponina
I e infarto del miocardio con elevazione del segmento ST,
questi eventi erano più frequenti nel gruppo a 80 µg/kg
di rFVIIa.
Dallo studio FAST si possono pertanto trarre due conclusioni opposte. Da un lato, questo trattamento può essere
considerato pericoloso perché porta a un maggior numero
di complicanze trombotiche, senza un chiaro beneficio
clinico. Dall’altro, quando vengono presi in considerazione
i fattori di confondimento per valutare la sicurezza di una
dose maggiore di rFVIIa, come la maggiore frequenza di
EIV, il coma e l’ipertrofia ventricolare sinistra, si potrebbe
sostenere che questi squilibri hanno compromesso il
beneficio del trattamento.
Il punto da ricordare è che lo studio FAST ha dimostrato
un chiaro effetto biologico sulla crescita dell’EIC con la dose
più elevata di rFVIIa, un risultato molto incoraggiante per
ulteriori studi. La mancata traduzione in un miglioramento
dell’endpoint primario clinico a prima vista sembrerebbe
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
01 Lancet.indd 159
Scott Camazine/Science Photo Library
Riflessioni e reazioni
Sezione potenziata al computer di encefalo umano che mostra un’emorragia intracerebrale
deludente, ma potrebbe anche indicare un’errata scelta
dell’endpoint. Infatti, è probabile che la grave disabilità e
il decesso siano suscettibili di modificazione solo in presenza di una rilevante diminuzione della crescita dell’EIC.
La diminuzione della crescita di 3,8 ml osservata con la
dose più alta di trattamento è stata in realtà ottenuta in
EIC già ben sviluppate (come suggerito dal fatto che, nel
gruppo placebo, l’EIC aveva già raggiunto quasi l’80% delle
dimensioni finali al momento della randomizzazione),
con un improbabile effetto su mortalità e disabilità grave.
Tuttavia, i pazienti con emorragia ridotta ma in espansione potrebbero beneficiare in maniera significativa di una
limitazione della crescita analoga o inferiore. Nello studio
FAST, la randomizzazione era basata sulla somministrazione
precoce (<4 ore), ma non sulle dimensioni già raggiunte
dall’EIC. Inoltre, l’EIC della sostanza grigia profonda, il tipo
più comune di EIC nello studio FAST, di solito ha inizio in
una sede topografica motoria e porta rapidamente a grave
emiplegia e disabilità, pur non raggiungendo grandi dimensioni, contrariamente all’emorragia lobare (tre volte meno
comune nello studio FAST). Al di là della somministrazione
precoce del trattamento, potrebbe essere essenziale considerare la dimensione iniziale e la topografia dell’EIC per
evidenziare una controparte clinica utile (che non dovrebbe
essere limitata alla valutazione del decesso e della disabilità
159
10-12-2008 20:14:58
Riflessioni e reazioni
grave) all’ormai stabilito effetto biologico sulla crescita
dell’EIC dimostrato dall’rFVIIa nello studio FAST.
Quando si confrontano i risultati degli studi sull’rtPA a
questo studio, si può fare un’interessante osservazione
– che entrambi i trattamenti hanno portato a un aumento
del 5% di gravi complicanze correlate alle normali azioni
dell’rtPA e dell’rFVIIa, vale a dire sanguinamento e trombosi. Poiché l’EIC ha una sopravvivenza peggiore rispetto
all’ictus ischemico (mortalità a 30 giorni del 62% vs 23%),4
sono auspicabili ulteriori ricerche focalizzate sulla selezione dei migliori endpoint clinici e delle sottopopolazioni
di pazienti più adatte per questo tipo di trattamento
(ad es., senza EIV, ipertrofia ventricolare sinistra, ecc.).
In tutti e tre i gruppi del FAST, la pressione arteriosa
sistolica media basale arrivava a circa 180 mmHg. Uno
studio recentemente pubblicato dimostra che la riduzione
della pressione arteriosa nell’EIC acuta potrebbe ridurre il
rischio di deterioramento neurologico e migliorare l’esito.5
Sarebbe quindi di grande interesse esplorare l’influenza
della gestione della pressione arteriosa durante il trattamento con rFVIIa.
Lo studio FAST, dimostrando la possibilità di una chiara
dissociazione tra effetto biologico ed endpoint clinico
selezionato, conferma anche indirettamente la debolezza
delle strategie che sono state utilizzate ripetutamente
negli studi clinici sull’ictus ischemico, soprattutto in
quelli di neuroprotezione. Infatti, il primo obiettivo
dovrebbe essere la dimostrazione di un effetto biologico
160
01 Lancet.indd 160
sull’uomo (crescita dell’EIC nello studio FAST; riduzione
delle dimensioni dell’infarto nell’ictus ischemico), prima
di tentare di selezionare e perfezionare le popolazioni
bersaglio e gli endpoint clinici. Purtroppo, molti studi
sulla neuroprotezione hanno saltato la fase degli effetti
biologici sull’uomo; è pertanto possibile che sostanze
potenzialmente efficaci siano state scartate a causa di una
valutazione clinica diretta in popolazioni inappropriate e
di endpoint clinici inadeguati.
Julien Bogousslavsky, Bartlomiej Piechowski-Jozwiak
Department of Neurology, Genolier Swiss Medical Network,
Valmont-Genolier, 1823 Glion-sur-Montreux, Switzerland (JB);
LUX MED Medical Clinic, Al. Jerozolimskie 162, 02-342 Warsaw,
Poland (BP-J)
[email protected]
Non abbiamo conflitti di interesse.
1
2
3
4
5
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Community Stroke Project. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1990; 53: 824–
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The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
10-12-2008 20:14:58
Attualità
Gli esperti sollecitano un’intelligente riflessione sui farmaci
stimolanti cognitivi
Vi è una crescente domanda di strategie per migliorare la funzione cognitiva nella nostra vita
quotidiana. Quali sono le prospettive – e le questioni etiche connesse – relative ai farmaci
specificamente volti a migliorare le prestazioni cognitive negli individui sani? Kelly Morris indaga.
che hanno valutato i farmaci per la
compromissione cognitiva lieve [mild
cognitive impairment, MCI] non hanno
individuato trattamenti efficaci”.
Anche se Plassman e collaboratori
hanno recentemente riferito che
più di 5 milioni di anziani americani
sono affetti da MCI, nessun farmaco è specificamente approvato per
tale condizione. Con il crescere della
popolazione anziana, vi è un aumento di interesse per il trattamento
dei disturbi della memoria correlati
“ ...una o più soluzioni a livello
regolatorio senza aver cercato
di capire in quale modo tali
farmaci potrebbero influenzare
i diversi settori della società”
all’età; tuttavia, sono stati condotti
ancora pochi studi negli individui
con compromissione della memoria associata all’età (age-associated
memory impairment, AAMI). L’AAMI,
nota anche come declino cognitivo
correlato all’età o compromissione
della memoria compatibile con l’età,
si riferisce a persone sane di oltre 50
anni di età che, per definizione, non
presentano un rischio significativamente maggiore per lo sviluppo di
MA rispetto ai loro coetanei, ma che
hanno un declino cognitivo entro i
limiti della norma. Queste persone
potrebbero pertanto essere buoni
candidati per i farmaci destinati a
migliorare la funzione cognitiva,
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
01 Lancet.indd 161
anche se finora non vi sono stati
sostanziali progressi.
Peter Reiner, un altro neuroeticista
del National Core for Neuroethics,
Canada, sottolinea come i “primi
arrivati” nel campo della stimolazione cognitiva si siano orientati verso
i meccanismi dell’apprendimento
normale e della memoria, che agiscono rinforzando e stabilizzando
le connessioni sinaptiche. Di conseguenza, la Cortex Pharmaceuticals ha
sviluppato AMPAchine per stimolare il
funzionamento dei recettori glutammatergici AMPA, mentre la Memory
Pharmaceuticals ha iniziato a valutare
gli inibitori della fosfodiesterasi per
potenziare l’attività della proteina
CREB (cyclic AMP response-elementbinding), che svolge un ruolo chiave
nel potenziamento a lungo termine.
Finora, nonostante i promettenti
lavori iniziali, gli studi di fase II dei
primi farmaci candidati per i disturbi
cognitivi non sono stati positivi.
Per ulteriori informazioni
sull’uso dei farmaci stimolanti
cognitivi si veda
Nature 2008; 452: 674-75
Per ulteriori informazioni
sul National Core for
Neuroethics si veda
http://www.neuroethics.ubc.ca
Paul Whitehill/Science Photo Library
La sempre crescente richiesta di tempo
ed energia a medici e scienziati è uno
scenario familiare per molti. Pertanto,
forse, non dovremmo sorprenderci
per i risultati di un recente sondaggio
informale che ha rivelato che alcuni
scienziati e altri professionisti usano i
farmaci attualmente disponibili – più
comunemente metilfenidato, modafinil e b-bloccanti – per migliorare le
loro prestazioni lavorative. Tuttavia
questi farmaci non sono stati concepiti per questo scopo e l’aumento
del loro uso off-label suggerisce una
crescente domanda di agenti specificamente volti a migliorare le prestazioni cognitive negli individui sani. La
ricerca di sostanze di questo tipo sta
rapidamente procedendo. Tuttavia,
vi è una grande quantità di questioni
regolamentari ed etiche, e neuroeticisti come Judy Illes (National Core
for Neuroethics, University of British
Columbia, Vancouver, Canada) stanno
esortando un più ampio dibattito
etico per orientare le politiche relative
all’uso di questi farmaci.
Il compito di individuare stimolanti
cognitivi efficaci per individui sani
rappresenta una vera sfida. Anche
per i disturbi cognitivi per i quali vi
sono stati massicci investimenti nella
ricerca, come la malattia di Alzheimer
(MA), si sono ottenuti solo modesti
progressi terapeutici. Analogamente,
“finora”, spiega Brenda Plassman
(Duke University Medical Center,
Durham, NC, USA), “gli studi clinici
161
10-12-2008 20:14:59
Pasieka/Science Photo Library
Attualità
Per ulteriori informazioni
sullo studio sull’isproniclina
si veda J Psychopharmacol
2007; 21: 171-78
162
01 Lancet.indd 162
Attualmente la Cortex sta studiando
AMPAchine di nuova generazione: i
farmaci sottoposti a studi preclinici
potrebbero proteggere contro la
perdita di sinapsi, modulando i fattori di crescita come il brain-derived
neurotrophic factor.
I risultati preliminari della Memory
indicano che un agonista nicotinico
per superare i deficit nella funzione
dei recettori colinergici potrebbe
migliorare le funzioni cognitive sia nei
volontari sani sia nei pazienti con MA.
La Memory sta anche sviluppando
agenti diretti all’alterata attività del
calcio che si osserva nell’invecchiamento normale; i più recenti risultati
indicano che questi farmaci potrebbero agire in modo sinergico con gli
inibitori delle colinesterasi. È interessante notare che “i nuovi giocatori”,
che Reiner considera “i programmi più
solidi”, si sono focalizzati sui deficit
noti nella MA, ma che “hanno anche
soddisfatto gli endpoint in studi di
fase II per l’AAMI”, osserva Reiner. Il
ketasyn (Accera) è una molecola chetonica, proposta per superare i deficit
nel metabolismo del glucosio nella
MA (dato non pubblicato). È stato
anche osservato che l’isproniclina
(Targacept), un agonista nicotinico
parziale, migliora le capacità cognitive
nei volontari sani.
Nonostante la pletora di obiettivi
farmacologici, la prospettiva del
miglioramento cognitivo in soggetti senza deficit cognitivi rimane
“un ostacolo arduo”, afferma Mark
Varney, chief operating e scientific
officer di Cortex. Egli osserva che “gli
stimolanti e il modafinil” attualmente
disponibili “migliorano aspetti della
prestazione cognitiva – soprattutto
l’attenzione – in condizioni di sonnolenza, affaticamento, ecc., ma non
sono sicuro che sia stato dimostrato
un effetto positivo di queste molecole sulle prestazioni misurate in
condizioni ottimali in volontari sani”.
Tuttavia, egli e altri ritengono che un
miglioramento cognitivo sostanziale
al di sopra della norma rimanga una
possibilità reale.
Le aziende che stanno sviluppando
stimolanti cognitivi devono affrontare numerose questioni pratiche.
David Lowe, chief scientific officer per
Memory, fa notare che gran parte della
ricerca viene fatta da piccole aziende
che si appoggiano a grandi gruppi
farmaceutici per un ulteriore sviluppo.
Tuttavia la difficoltà di identificare gli
individui che svilupperanno demenza,
la possibilità di usare farmaci per scopi
non medici e la mancanza di interesse
da parte delle autorità regolatorie per
la MCI e l’AAMI indicano che, in generale, l’industria si sta concentrando sui
disturbi clinici dell’apprendimento e
della memoria, come i deficit cognitivi
associati a schizofrenia, malattia di
Parkinson o sclerosi multipla. Inoltre la
MCI è difficile da includere negli studi,
“non essendovi accordo tra gli esperti
e le autorità regolatorie a proposito
della definizione”, spiega Varney. Il
disturbo colpisce vari sottogruppi
di pazienti, alcuni dei quali saranno
successivamente diagnosticati come
affetti da demenza mentre altri
potranno presentare fluttuazioni o
anche una remissione.
Si devono inoltre chiarire le questioni etiche e regolatorie prima che
qualsiasi farmaco efficace possa essere
approvato per l’uso in individui con
AAMI. “In primo luogo”, afferma
Reiner, “poiché l’AAMI è essenzialmente una conseguenza del normale
invecchiamento della popolazione,
non è chiaro se le autorità regolatorie
accetteranno l’AAMI come entità clinica in sé per la definizione delle indicazioni terapeutiche”. Attualmente,
né la FDA né l’EMEA riconoscono
l’AAMI come entità clinica, pertanto
non esistono linee guida sui requisiti delle ricerche volte a conseguire
l’approvazione di un farmaco efficace per l’AAMI. “Secondo”, si chiede
Reiner, “se fosse imminente una
normativa relativa all’approvazione,
che tipo di valutazione di sicurezza
sarebbe appropriato per un farmaco
che modifica il declino cognitivo
normale?”. Tuttavia, ammette che le
autorità regolatorie “possono cedere
all’argomentazione che vi è un defi-
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Attualità
cit misurabile rispetto agli individui
giovani e in buona salute”. Ma allora
esiste il pericolo di rendere patologica
una condizione “prevista” o “appropriata per l’età, rendendola non più
‘normale’ perché vi è un intervento in
grado di attenuarla o farla regredire”,
afferma Illes. “Se siamo in grado di
trattarla, diventerà una condizione
clinica?”, si chiede, insistendo sul
fatto che non dobbiamo cadere nella
trappola di medicalizzare tali condizioni e di cercare di normalizzare le
differenze individuali. “La diversità
delle persone, le loro capacità, i loro
modelli di pensiero, i loro punti di
forza e di debolezza sono strumentali
per mantenere la razza umana forte e
interessante”, aggiunge.
In ultima analisi, qualsiasi farmaco approvato per l’AAMI potrebbe
finire per essere usato da persone
senza alcun danno cognitivo, anche
attraverso il mercato nero. Finora, il
metilfenidato e il modafinil “sono
stati sviluppati per il trattamento di
specifiche patologie, ma sono ora
stati adattati per essere usati off-label
per condizioni verosimilmente non
patologiche”, dice Illes. Per queste
ragioni, “è difficile (ma non impossibile) immaginare uno scenario in
cui gli enti regolatori approveranno
stimolanti cognitivi per persone
giovani e in buona salute”, afferma
Reiner, ma, se lo facessero, gli enti
regolatori “dovranno accettare che
i farmaci siano usati specificamente
per migliorare le funzioni di individui senza alcun deficit misurabile.
Le implicazioni sociali, giuridiche ed
etiche di una tale decisione sarebbero sostanziali”. Pertanto, egli si
associa alla richiesta di Illes affinché
la ricerca guidi un dibattito etico e le
successive politiche. Illes sottolinea
che non si potranno trovare una o più
soluzioni a livello regolatorio senza
aver cercato di capire in quale modo
tali farmaci potrebbero influenzare i
diversi settori della società. “Iniquità
sociali, differenti opinioni e valori
culturali saranno tra le più grandi
sfide”, prosegue.
Illes considera il desiderio del miglioramento cognitivo “molto più
una ‘modalità di comportamento
umano’ che un diritto umano. Gli
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esseri umani sono innovatori, sempre
curiosi e sempre in cerca di modi per
migliorare il benessere, l’efficienza e
il funzionamento”. I diritti veramente
importanti, crede, sono in realtà quelli
“volti a proteggere e ristrutturare, in
una società in cui i divari socio-economici ci hanno così profondamente
divisi”. Pertanto, difende il “diritto di
seguire ‘la strada’ del miglioramento
e dell’innovazione... che deve essere a
disposizione di tutti, informati e liberi
da coercizioni”.
È probabile che il dibattito etico continuerà parallelamente agli sviluppi
scientifici, ma Illes si oppone fortemente a “un’urgenza auto-imposta”
volta a definire regole per risolvere gli
attuali problemi. “Credo che ancora
non conosciamo le opinioni delle
persone sulla stimolazione cognitiva
e che queste debbano essere chiarite
prima di pensare a come regolamentarla. In questo momento è necessario
che la questione diventi di pubblico
dominio”.
Kelly Morris
[email protected]
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Attualità
Fare luce sul ruolo della povertà nello sviluppo del cervello
I legami tra povertà infantile e potenzialità future sono noti da anni. Ora, poiché sono sempre
meglio conosciuti le conseguenze funzionali e i fattori di rischio, studi neuroscientifici dimostrano
che la povertà e la disuguaglianza possono incidere direttamente sullo sviluppo del cervello.
Kelly Morris riferisce.
Per ulteriori informazioni sullo
sviluppo dei bambini
nei Paesi in via di sviluppo si
veda Lancet 2007; 369: 60-70,
145-57, 229-42
Per ulteriori informazioni sullo
studio ALSPAC si veda
http://www.alspac.bris.ac.uk,
Lancet 2007; 369: 578-85,
Am J Clin Nutr 2001; 73: 316-22
164
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Decenni di ricerca hanno indicato
la povertà come importante fattore
di rischio per deficit dello sviluppo
infantile. I test cognitivi sono sempre
più usati negli studi prospettici per
chiarire la complessa interazione dei
fattori che mediano questa associazione. Attualmente si ritiene che la
causa fondamentale siano gli effetti
negativi sullo sviluppo cerebrale in sé,
e gli studi sugli esseri umani stanno
appena cominciando a misurare i correlati neurali degli effetti della povertà.
Poiché sono in fase di valutazione
potenziali interventi da sottoporre
a studi randomizzati controllati
(RCT), gli esperti stanno spingendo i
governi e coloro che dirigono le scelte
politiche a mettere in atto interventi
basati sulle evidenze attualmente
disponibili.
Lo scorso anno, un gruppo internazionale di esperti ha stimato che
200 milioni di bambini sotto i 5 anni
di età nei Paesi in via di sviluppo non
raggiungono il proprio potenziale
cognitivo ed educativo a causa di
fattori come stress e traumi, cattiva alimentazione e mancanza di
opportunità di apprendimento, come
afferma Patrice Engle, un membro del
gruppo (California Polytechnic State
University, USA). I dati dimostrano
che nei Paesi più ricchi non solo il reddito familiare, ma anche le condizioni
sociali, misurate globalmente come
condizione socio-economica (SES),
sono legate allo sviluppo cognitivo.
“Dove vi è più disuguaglianza, una
maggiore percentuale della popolazione è in condizione di privazione
rispetto ai ricchi”, osserva Richard
Wilkinson (Nottingham University
Medical School, UK). Pertanto, i
Paesi ricchi in cui la disuguaglianza
è elevata, come gli USA e il Regno
Unito, potrebbero avere percentuali
simili o addirittura maggiori di bambini che non riescono a soddisfare le
loro potenzialità di sviluppo cerebrale
rispetto a quelle di alcuni Paesi in via
di sviluppo.
Indubbiamente i fattori che contribuiscono variano in base alla situazione, ma la più recente ricerca clinica
conferma ciò che è stato segnalato
per anni in studi sugli animali – che
le influenze negative e stressanti, che
agiscono in un momento critico dello
sviluppo cerebrale, possono influenzare non solo il comportamento e il
“La povertà ha un impatto in
tutti i momenti della vita di
un bambino, ma i primi anni
sono un periodo di particolare
vulnerabilità e di particolari
opportunità”
funzionamento cognitivo, ma anche
lo sviluppo strutturale del sistema nervoso centrale. Un fattore importante
è la dieta materna e infantile. La malnutrizione si pone a un estremo della
scala, e le carenze nutrizionali possono
avere un impatto considerevole. Il più
ampio studio prospettico longitudinale – Avon Longitudinal Study of
Parents and Children (ALSPAC) – ha
riscontrato durante l’ultimo decennio
che molti esiti, come i punteggi di QI
verbale, stereoacuità visiva, controllo
motorio, comunicazione e sviluppo
sociale, sono ridotti nei bambini le
cui madri avevano mangiato la minor
quantità di pesce grasso durante la
gravidanza. Non sorprende che una
ridotta assunzione di pesce grasso sia
anche collegata a misure di svantaggio
sociale, benché anche l’allattamento
rappresenti un fattore confondente.
I ricercatori ALSPAC progettano di
continuare questo lavoro seguendo
la crescita dei bambini.
Una spiegazione di questo risultato potrebbe essere la disponibilità
di acido docasoesaenoico e di altri
acidi grassi essenziali omega-3 (EFA)
– mattoni vitali per la costruzione
dell’encefalo che si trovano nel pesce
grasso e nel latte materno e che non
erano inseriti negli alimenti artificiali
nel corso del periodo studiato dai
ricercatori ALSPAC. Gli EFA omega3 potrebbero indurre una migliore
funzione neurale rispetto ad altri EFA,
rendendo il cervello in via di sviluppo
più resistente allo stress. Tuttavia,
Pauline Emmett, chief nutritionist
dell’ALSPAC (University of Bristol, UK),
osserva che “il legame tra povertà e
dieta non è semplice” ed è, in parte,
mediato dal livello di istruzione dei
genitori. La ricercatrice nota che i
genitori con buon livello di istruzione
tendono a seguire tutte le linee guida
durante la gravidanza e anche quelle
relative al periodo di allattamento e
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che il livello di istruzione dei genitori
influenza anche lo sviluppo postnatale.
Tomas Paus (University of Nottin­
gham, UK) nota che il fumo durante
la gravidanza è fortemente correlato
a una SES bassa e a effetti cognitivi
e comportamentali nei bambini.
Tuttavia l’effetto del fumo pre-natale
sul cervello umano era in gran parte
sconosciuto fino allo scorso anno. In
studi di RM su adolescenti accoppiati
per scuola e livello di istruzione materna, Paus ha trovato che l’esposizione
pre-natale al fumo si associava ad
assottigliamento della corteccia in
varie aree, ma solo a lievi cambiamenti comportamentali. In uno
studio completamente controllato,
il fumo pre-natale “potrebbe non
avere dimostrato importanti effetti
sulle funzioni cognitive”, dice Paus.
Egli aggiunge che “l’effetto della
sostituzione della nicotina sul cervello
in sviluppo è sconosciuto”, e sostiene
gli interventi volti alla cessazione
dell’abitudine al fumo nell’ambito di
un più ampio insieme di misure per
la salute materna.
Charles Nelson (Harvard Medical
School, USA) suggerisce che lo sviluppo del cervello è influenzato non
solo dalla genetica e dalle esperienze
specifiche di un individuo, ma anche
da esperienze “attese” comuni a una
specie – come l’accesso a informazioni
“patterned light” o a un caregiver –,
per cui la deprivazione dalle esperienze
attese può avere un notevole impatto.
In tutto il mondo, i bambini più colpiti
secondo questo modello sono quelli
che vivono in istituti, essendo i soggetti maggiormente deprivati da un
ambiente tipico. Nelson e altri hanno
rilevato che l’istituzionalizzazione ha
profondi effetti negativi sullo sviluppo
cognitivo e sull’attività EEG cerebrale,
anche se si tratta di un approccio
diffuso per la crescita dei bambini, in
particolare in condizioni di povertà,
guerra ed epidemie di HIV.
Anche i bambini in situazioni meno
negative mostrano cambiamenti nella
relazione cervello-comportamento.
Clyde Hertzman (University of British
Columbia, Canada) e collaboratori
hanno recentemente riportato studi
EEG che dimostrano che i bambini con
SES bassa reclutano processi neurali
diversi e supplementari, rispetto a
quelli con SES elevata, per raggiungere
lo stesso livello di precisione a un
test di attenzione uditiva. Kimberly
Noble (Columbia University, USA)
ha segnalato una relazione più complessa tra consapevolezza fonologica,
capacità di lettura e attività cerebrale.
La consapevolezza fonologica è un
importante mediatore degli effetti
della SES sulle funzioni cognitive e
può compensare gli effetti negativi
della SES bassa sulla lettura. Tuttavia
lavori di RM funzionale hanno dimostrato che la SES modifica la relazione
tra competenze e attività fonologica
cerebrale durante la lettura. I bambini con SES bassa hanno pattern di
attivazione cerebrale molto diversi a
seconda del livello di consapevolezza
fonologica, mentre tali differenze di
attività sono attenuate nei bambini
con SES elevata. Questi reperti possono essere spiegati con l’influenza
della consapevolezza fonologica sul
reclutamento differenziale di regioni cerebrali per la lettura. Tuttavia
i fattori cognitivi, neurobiologici e
sociali sembrano essere intrecciati. “È
mia personale convinzione che uno
dei maggiori fattori di mediazione
possa essere la grandissima disparità
nell’esposizione alle attività di lettura
trasversalmente alla SES, in particolare
in età pre-scolare”, dice Noble.
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Maximilian Stock Ltd/Science Photo Library
Attualità
Si può avere un recupero cognitivo
con interventi terapeutici? La risposta
sembra dipendere dalla tempistica.
“La povertà ha un impatto in tutti
i momenti della vita del bambino,
ma i primi anni sono un periodo di
particolare vulnerabilità e di particolari opportunità”, afferma Engle. Essa
rileva che gli interventi di riconosciuto
successo sono basati su programmi di
apprendimento precoce, ma sono in
fase di sviluppo strategie per lavorare,
nei centri di assistenza sanitaria di
primo livello, intorno alle situazioni
di alto rischio, come l’HIV/AIDS e le
situazioni di emergenza, e attraverso
l’assistenza finanziaria, con, ad esempio, prestiti condizionali.
Nelson e collaboratori hanno recentemente riportato risultati molto
ottimistici sul potenziale di recupero
cognitivo nei soggetti più deprivati. I
bambini istituzionalizzati sono stati
randomizzati a rimanere in istituto o
a essere ammessi a un nuovo progetto
di tutela di alta qualità. I bambini
ammessi a tale progetto hanno presentato un miglioramento delle funzioni cognitive e una maggiore attività
corticale EEG rispetto a quelli che sono
rimasti istituzionalizzati. “Sappiamo
che ci sono periodi sensibili per
l’acquisizione di abilità diverse e in
diversi ambiti dello sviluppo cerebrale
[per cui] dovrebbe anche essere vero
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Attualità
il contrario... ci dovrebbe essere un
corrispondente periodo sensibile in cui
è necessario intervenire”, dice Nelson.
I dati di QI dello studio indicano che
l’inserimento dei bambini di età inferiore a 24 mesi determina il miglior
risultato, anche se per le funzioni
linguistiche questo momento era più
vicino a 16 mesi e per l’attaccamento
a 20-22 mesi.
È ancora in fase di studio un efficace
intervento dietetico, ma alcuni esperti
ritengono che esistano sufficienti
prove su come iniziarlo. Il progetto
NutriMENTHE (University of Granada,
Spagna), sostenuto da fondi dell’Unione Europea, sta pianificando
di studiare gli effetti a lungo termine
della dieta pre-natale e post-natale
precoce sulle prestazioni cognitive
e sul comportamento, insieme con
RCT di specifici nutrienti introdotti durante la gravidanza, la prima
infanzia e l’infanzia. Tuttavia, benché
nel Regno Unito sia stata compiuta
un’inchiesta parlamentare sull’argomento e sia stato definito un piano
governativo volto ad affrontare la
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povertà infantile, Michael Crawford
(Mother and Child Foundation, UK)
teme che concentrarsi sui bambini in
età scolare sia troppo tardivo, perché
il periodo più critico per lo sviluppo
futuro è lo sviluppo cerebrale durante
la gravidanza. Nel 1972, Crawford predisse che cambiamenti nella dieta, in
particolare l’apporto di differenti EFA,
soprattutto a scapito delle persone
svantaggiate, avrebbero portato a un
aumento dei disturbi cerebrali, proprio
ciò che si osserva ora. Sostiene anche
che si devono ora applicare i dati
scientifici relativi alla salute materna
e alla dieta, con una nuova iniziativa
che parta dal momento in cui le
donne entrano nell’età riproduttiva
e prosegua fino a una cooperazione
interdipartimentale in materia di
istruzione, salute, produzione alimentare e ulteriori ricerche.
“La nostra impressione”, dice Wilkin­
son, “è che una società più disuguale
coinvolge una maggiore competizione per lo status sociale e una
minore reciprocità”. Ciò potrebbe
spiegare perché i Paesi più ricchi
hanno maggiori problemi sociali e più
disturbi del comportamento di quelli
più poveri. Pertanto, Paus propugna
ulteriori ricerche per identificare i
fattori modificabili che potrebbero
favorire un atteggiamento positivo
o comportamenti “prosociali”, alcuni
dei quali potrebbero anche essere
associati a svantaggi. Tuttavia tutti
gli esperti concordano sul fatto che
la ricerca ha dimostrato l’importanza delle condizioni di vita fetali e
neonatali sullo sviluppo cerebrale.
Secondo un rapporto pubblicato
lo scorso anno dal Center for the
Developing Child presso la Harvard
University, per la prima volta “i ricercatori sono ora in grado di presentare
un quadro unitario” per guidare i
responsabili politici a lavorare per il
miglioramento della salute materna
e infantile, degli ambienti familiari,
dell’apprendimento e delle opportunità per i bambini, basandosi sulle
più recenti ricerche.
Kelly Morris
[email protected]
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Articoli
Demenza incidente e riduzione dei livelli di pressione
arteriosa nello studio Hypertension in the Very Elderly Trial
cognitive function assessment (HYVET-COG):
studio in doppio cieco controllato con placebo
Articolo accreditato per corso di
formazione a distanza (FAD)
6 crediti (totali per 4 articoli)
Ruth Peters, Nigel Beckett, Francoise Forette, Jaakko Tuomilehto, Robert Clarke, Craig Ritchie, Adam Waldman, Ivan Walton, Ruth Poulter,
Shuping Ma, Marius Comsa, Lisa Burch, Astrid Fletcher, Christopher Bulpitt, for the HYVET investigators
Riassunto
Premessa Gli studi epidemiologici osservazionali hanno dimostrato un’associazione positiva tra ipertensione e rischio
di demenza incidente; tuttavia, gli studi clinici controllati sugli effetti della terapia antipertensiva sulla funzione
cognitiva hanno dato risultati conflittuali e le metanalisi degli studi non hanno fornito prove evidenti del fatto che
il trattamento antipertensivo riduca l’incidenza di demenza. Lo studio clinico Hypertension in the Very Elderly Trial
(HYVET) è stato progettato per valutare i rischi e i benefici del trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti
anziani e ha incluso una valutazione della funzione cognitiva.
Metodi In questo studio in doppio cieco controllato con placebo sono stati arruolati pazienti con ipertensione (pressione sistolica 160-200 mmHg, pressione diastolica <110 mmHg) di età pari o superiore a 80 anni. I pazienti sono
stati assegnati in modo casuale a ricevere 1,5 mg di indapamide a lento rilascio, con la possibilità di ricevere 2-4 mg
di perindopril, oppure placebo. Gli obiettivi da raggiungere erano una pressione arteriosa sistolica di 150 mmHg e
una pressione arteriosa diastolica di 80 mmHg. Alla valutazione basale i pazienti non avevano una diagnosi clinica
di demenza e la loro funzione cognitiva è stata valutata al momento basale e annualmente con il mini-mental state
examination (MMSE). I possibili casi di demenza incidente (una diminuzione del punteggio al MMSE al di sotto di
24 punti o un calo di tre punti in 1 anno) sono stati individuati con criteri diagnostici standard e con la rivalutazione
da parte di esperti. Lo studio è stato interrotto nel 2007 in occasione della seconda analisi ad interim dopo che il trattamento aveva portato a una riduzione nell’incidenza di ictus e mortalità totale. L’analisi è stata fatta per intenzione
al trattamento (intention-to-treat). Lo studio è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00122811.
Risultati 3336 partecipanti allo studio HYVET sono stati sottoposti ad almeno una valutazione di follow-up (media 2,2
anni) e sono stati inclusi: 1687 partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo di trattamento e 1649 al
gruppo placebo. Solo cinque segnalazioni di effetti avversi sono state attribuite al farmaco: tre nel gruppo placebo e
due nel gruppo di trattamento. La riduzione media della pressione arteriosa sistolica tra il gruppo in trattamento e il
gruppo placebo a 2 anni è stata di –15 mmHg (p <0,0001) e della pressione diastolica di –5,9 mmHg (p <0,0001). Sono
stati segnalati 263 casi di demenza incidente. I tassi di demenza incidente sono stati pari a 38 per 1000 anni-paziente
nel gruppo placebo e a 33 per 1000 anni-paziente nel gruppo in trattamento. Non è stata osservata alcuna differenza
significativa tra il gruppo in trattamento e il gruppo placebo (hazard ratio [HR] 0,86, IC 95% 0,67-1,09); tuttavia,
quando questi dati sono stati combinati in una metanalisi con altri studi clinici controllati con placebo sul trattamento
antipertensivo, il rapporto di rischio combinato era a favore del trattamento (HR 0,87, 0,76-1,00, p=0,045).
Lancet Neurol 2008; 7: 683-89
Pubblicato Online
l’8 luglio 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70143-1
Care of the Elderly, Imperial
College London, London, UK
(R Peters PhD, N Beckett MBchB,
C Ritchie MRCPsych,
A Waldman PhD, I Walton FRCP,
R Poulter BSc, L Burch BSc,
C Bulpitt MD); Hospital Broca,
Paris, France (F Forette MD);
National Public Health
Institute, Helsinki, Finland
(J Tuomilehto MD); University
of Oxford, Oxford, UK
(R Clarke FRCP); Hebei People’s
Hospital, Shi Jia Zhuang, China
(S Ma MD); General Practice,
Fagaras, Romania
(M Comsa MD); London School
of Hygiene and Tropical
Medicine, London, UK
(A Fletcher PhD)
Corrispondenza:
Ruth Peters, Care of the Elderly,
Division of Medicine, Imperial
College London, South
Kensington Campus, London
SW7 2AZ, UK
[email protected]
Interpretazione Il trattamento antipertensivo nei pazienti anziani non riduce l’incidenza di demenza in modo statisticamente significativo. È possibile che questo risultato negativo sia da attribuire al breve follow-up, alla conclusione
anticipata dello studio o al modesto effetto del trattamento. Tuttavia, i risultati dello studio HYVET, quando inclusi
in una metanalisi, potrebbero essere a favore di un trattamento antipertensivo per ridurre la demenza incidente.
Finanziamento British Heart Foundation, Institute de Recherches Internationales Servier.
Introduzione
La pressione arteriosa, in particolare la pressione sistolica,
aumenta con l’età, con una conseguente netta prevalenza
di ipertensione negli anziani.1 Anche la prevalenza e
l’incidenza di demenza aumentano con l’età, con una
prevalenza stimata di circa il 20% nei soggetti di 80 anni,
che arriva al 40% a 90 anni.2 L’ipertensione arteriosa nei
soggetti di mezza età è predittiva di una futura demenza3 ed è stata inclusa in un punteggio di rischio per la
previsione di demenza in soggetti fino a 64 anni.4 Anche
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l’ipotensione arteriosa è associata a demenza incidente,5
sebbene possa essere una conseguenza della demenza
piuttosto che un fattore di rischio.5 Gli autori di una
revisione sistematica sulla relazione età-dipendente tra
pressione arteriosa, funzione cognitiva e demenza hanno
concluso che in persone anziane una pressione arteriosa
elevata potrebbe essere un fattore di rischio per demenza.6
Gli autori di un’altra revisione sistematica hanno riscontrato che una modesta riduzione della pressione arteriosa
(<5 mmHg per la sistolica e <3 mmHg per la diastolica) è
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Articoli
4761 valutati per l’eleggibilità
916 non soddisfacevano i criteri di inclusione
3845 randomizzati
509 non soddisfacevano i criteri di inclusione HYVET-COG
1687 assegnati casualmente a
1,5 mg di indapamide con o
senza 2-4 mg di perindopril
1649 assegnati casualmente a
placebo
343 hanno interrotto lo studio
132 deceduti
5 persi al follow-up
60 per ragioni amministrative
146 hanno deciso di non
proseguire
1649 analizzati
486 presentavano declino cognitivo
137 diagnosi di demenza
86 diagnosi di Alzheimer
43 diagnosi di demenza vascolare
8 diagnosi di demenza non classificabile
1163 senza declino cognitivo
Figura 1: Profilo dello studio
risultata associata a miglioramenti nei punteggi ottenuti al
mini-mental state examination (MMSE) e che la riduzione
della pressione arteriosa potrebbe limitare i meccanismi
che contribuiscono alla malattia di Alzheimer (MA), 7
anche se, nella pratica clinica, è difficile distinguere la
demenza vascolare dalla MA.8,9 I vantaggi della riduzione
della pressione arteriosa sono supportati dai risultati dello
studio Syst-Eur (Systolic hypertension in Europe), studio
in doppio cieco controllato con placebo condotto su giovani
anziani (≥65 anni) nei quali l’incidenza di tutti i tipi di
demenza si era ridotta del 50% dopo trattamento con un
calcio-antagonista.10 Tuttavia, altri ricercatori non hanno
ottenuto una risposta altrettanto chiara e gli autori di una
metanalisi dei risultati di quattro studi controllati con
placebo10-14 hanno calcolato un rischio relativo complessivo
di 0,80 (IC 95% 0,63-1,02) a favore del trattamento, anche
se questo risultato non era statisticamente significativo.11
Una Revisione Cochrane di tre studi che ha incluso
12.091 individui ipertesi (età media 72,8 anni) non ha
trovato dati convincenti che la riduzione della pressione
arteriosa possa prevenire la comparsa di demenza o di
decadimento cognitivo.15 Un’altra metanalisi ha incluso
uno studio in cui solo il 16% dei pazienti era in trattamento con placebo, non trovando alcuna differenza tra i
due gruppi randomizzati.13
Lo studio Hypertension in the Very Elderly Trial
(HYVET) è stato disegnato per valutare i rischi e i benefici relativi al trattamento dell’ipertensione arteriosa in
ali
ltre
na
to.
a. †Per
ente
ttia
iare
168
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Metodi
Pazienti
303 hanno interrotto lo studio
96 deceduti
5 persi al follow-up
1 ritirato su richiesta del ricercatore
1 codice rotto
59 per ragioni amministrative
141 hanno deciso di non proseguire
1687 analizzati
485 presentavano declino cognitivo
126 diagnosi di demenza
78 diagnosi di Alzheimer
41 diagnosi di demenza vascolare
7 diagnosi di demenza non classificabile
1202 senza declino cognitivo
soggetti di età pari o superiore a 80 anni, includendo la
valutazione della funzione cognitiva.16
È possibile che il trattamento antipertensivo nei pazienti molto anziani sia anche in grado di ridurre i casi di
demenza incidente. L’obiettivo dello studio HYVET-COG,
sottostudio dello studio in doppio cieco controllato con
placebo HYVET, è stato di valutare se il trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti di età pari o superiore
a 80 anni riducesse l’incidenza di demenza, demenza
vascolare e MA.
4761 pazienti sono stati reclutati da centri ospedalieri e
da ambulatori di medici di medicina generale in Europa
occidentale e orientale, Cina, Tunisia, sud-est asiatico e
Australia; 3845 pazienti sono stati randomizzati nello
studio HYVET tra febbraio 2001 e ottobre 2007. I criteri di
inclusione comprendevano età pari o superiore a 80 anni al
momento della randomizzazione e una pressione sistolica
media in posizione seduta compresa tra 160 mmHg e 200
mmHg, una pressione sistolica in ortostatismo uguale o
superiore a 140 mmHg e una pressione diastolica in posizione seduta inferiore a 110 mmHg. I soggetti partecipanti
allo studio sono stati esclusi se richiedevano assistenza
infermieristica continua, se avevano una condizione che
potesse limitare gravemente l’aspettativa di vita o se avevano una diagnosi clinica di demenza. I pazienti hanno
fornito un consenso informato scritto; per i pazienti non
sufficientemente alfabetizzati sono stati adottati provvedimenti in linea con i requisiti internazionali di buona pratica clinica. Un codice di randomizzazione è stato creato da
un generatore di numeri casuali e trasferito a un sistema
di risposta vocale interattivo (IVRS) indipendente prima
dell’inizio dello studio. I pazienti sono stati randomizzati
con l’IVRS e stratificati per età e sesso. I pazienti sono
stati trattati quotidianamente con 1,5 mg di indapamide a
lento rilascio o placebo, con la possibilità di aggiungere 2-4
mg di perindopril o placebo. Gli obiettivi da raggiungere
erano una pressione arteriosa sistolica di 150 mmHg e
una pressione arteriosa diastolica di 80 mmHg. Prima di
iniziare il protocollo o applicare eventuali emendamenti
sono state ottenute tutte le approvazioni nazionali e locali
per le questioni etiche e di regolamento, come richiesto
dalle leggi locali e internazionali.
Procedure
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a misurazioni basali
della pressione arteriosa durante il periodo di run-in e
prima della randomizzazione, e la loro funzione cognitiva è stata valutata con l’MMSE. L’MMSE è stato ripetuto
annualmente e il suo punteggio è stato calcolato dal personale dell’ufficio di coordinamento [LB e RPo], che era in
cieco rispetto al gruppo di trattamento. Poiché l’obiettivo
dello studio era di valutare la demenza e il declino cognitivo incidenti, i soggetti partecipanti allo studio sono stati
inclusi nell’analisi solo se avevano almeno un controllo
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Articoli
MMSE di follow-up, in modo da poter valutare eventuali
cambiamenti. Tutti i soggetti che hanno presentato una
riduzione del punteggio MMSE al di sotto di 24 o il cui
punteggio è diminuito di oltre tre punti in 1 anno sono
stati selezionati per un’ulteriore valutazione. I soggetti
con possibile demenza incidente sono stati valutati in
accordo al manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali IV edizione (DSM-IV), ai reperti di TC encefalo
e al punteggio ottenuto al modified Hachinski ischaemic
score (MHIS). Sono stati utilizzati i punteggi completi
ottenuti all’Hachinski ischaemic score (HIS) se non era
possibile effettuare una TC dell’encefalo, ad esempio se
il paziente rifiutava di sottoporsi a tale esame.
Un comitato di esperti (JT, RC, CR, AW e IW) in
psichiatria geriatrica, geriatria, neuroradiologia, ricerca
clinica o epidemiologia, che erano in cieco rispetto al
gruppo di trattamento, ha valutato tutti i possibili casi. La
diagnosi è stata raggiunta per consenso: almeno tre dei
cinque membri del comitato dovevano concordare su ogni
Trattamento
(n=1687)
Età (anni)
Donne
PAS basale in posizione seduta (mmHg)
Placebo
(n=1649)
83,5 (3,1)
83,5 (3,1)
1023 (61%)
994 (60%)
173,1 (8,5)
172,9 (8,5)
167,9 (10,9)
167,9 (10,9)
BMI (kg per m2)
24,6 (3,8)
24,7 (3,5)
Precedente ictus
108 (6%)
108 (7%)
Precedenti malattie cardiovascolari
187 (11%)
190 (12%)
Consumatori di alcool
313 (19%)
275 (17%)
PAS basale in ortostatismo (mmHg)
Fumatori attuali
Punteggio MMSE mediano
101 (6%)
101 (6%)
26 (15-30)
26 (15-30)
I dati sono medie (DS), numeri (percentuali), o mediane (range). PAS=pressione
arteriosa sistolica. BMI=indice di massa corporea. MMSE=mini-mental state examination (punteggio massimo=30).
Tabella 1: Caratteristiche dei pazienti al basale in relazione
al trattamento assegnato
Partecipanti con almeno
un follow-up MMSE
(n=3336)
diagnosi, e per ogni caso era necessario il voto favorevole
di almeno un membro con esperienza quotidiana nella
diagnosi di demenza. Ciò ha portato a due livelli di classificazione: i pazienti che avevano un punteggio MMSE che
era diventato inferiore a 24 punti o era diminuito di oltre
tre punti in 1 anno sono stati classificati come affetti da
declino cognitivo; oppure i pazienti sono stati classificati
come affetti da demenza dopo che la commissione aveva
esaminato tutte le informazioni diagnostiche. I soggetti
classificati come affetti da demenza hanno ricevuto,
se possibile, anche una diagnosi di MA (sulla base di
un declino cognitivo progressivo, di un’atrofia del lobo
temporale mediale, dei criteri del DSM-IV, dell’assenza
di lesioni vascolari alla TC o della storia clinica) o di
demenza vascolare (sulla base di un declino a gradini,
dei risultati della TC, dei punteggi MHIS o HIS e di una
storia di eventi vascolari prima o durante lo studio). Alla
commissione sono state fornite ulteriori informazioni
sui farmaci concomitanti, sulle comorbilità e sulla storia
clinica. Se il paziente acconsentiva, veniva somministrato un ulteriore questionario sulla qualità della vita (che
includeva lo short form [SF] 36 e un elenco di sintomi
associati all’ipertensione e ai farmaci antipertensivi); la
valutazione della commissione includeva anche i risultati
annuali ottenuti al test del disegno dell’orologio e alla geriatric depression scale. Tutte le valutazioni MMSE erano
fornite nella lingua locale e i ricercatori e il personale del
centro di coordinamento sono stati addestrati a utilizzare
gli strumenti e a spiegare il materiale dello studio nelle
lingue locali. I metodi completi per la raccolta dei dati,
la valutazione della funzione cognitiva e le valutazioni
per una possibile demenza incidente sono stati descritti
in un altro lavoro.17
Analisi statistica
Abbiamo calcolato che sarebbero stati necessari i dati di
8400 anni-paziente per individuare una riduzione del 33%
di demenza incidente (tutte le diagnosi di demenza) con
Partecipanti che non
soddisfacevano i criteri di
inclusione per lo studio
HYVET-COG (n=509)
Partecipanti con
declino cognitivo
incidente (n=971)
Partecipanti senza
declino cognitivo
incidente (n=2365)
Partecipanti con
demenza incidente
(n=263)
Età (anni) 83,5 (3,1) 83,3 (3,4) 83,8 (3,3) 83,4 (3,0) 83,5 (3,1) Donne 2017 (60%) 310 (61%) 608 (63%) 1409 (60%) 158 (60%) Precedente ictus 216 (7%) 45 (9%) 65 (7%) 151 (6%) 22 (8%) Fumatori attuali 202 (6%) 48 (9%) 55 (6%) 147 (6%) 18 (6%) Istruzione
Nessuna 915 (27%) 115 (23%) 281 (29%) 634 (27%) 76 (29%) Primaria 940 (28%) 163 (32%) 267 (27%) 673 (28%) 81 (31%) Secondaria 961 (29%) 141 (28%) 293 (30%) 668 (28%) 87 (33%) Universitaria 409 (12%) 80 (16%) 96 (10%) 313 (13%) 17 (6%) Post-universitaria 111 (3%) 10 (2%) 34 (4%) 77 (3%) 2 (1%) PAS basale in posizione seduta (mmHg) 173,0 (8,5) 173,1 (8,8) 173,3 (8,4) 172,9 (8,5) 172,8 (8,2) PAS basale in ortostatismo (mmHg) 167,8 (10,9) 168,8 (11,8) 168,3 (10,9) 167,6 (10,9) 168,2 (10,6) Punteggio MMSE mediano al basale 26 (15-30) 26 (1-30) 25 (15-30) 27 (15-30) 26 (16-30) Partecipanti senza
demenza incidente
(n=3073)
83,5 (3,1)
1859 (60%)
194 (6%)
184 (7%)
839 (27%)
859 (28%)
874 (28%)
392 (13%)
109 (4%)
173,0 (8,5)
167,8 (10,9)
26 (15-30)
I dati sono medie (DS), numeri (percentuali), o mediane (range). PAS=pressione arteriosa sistolica. mmHg=millimetri di mercurio. MMSE=mini-mental state examination.
Tabella 2: Caratteristiche basali dei pazienti con e senza declino cognitivo e demenza
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169
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Articoli
una significatività del 5% e una potenza dell’85% (a=0,05,
b=0,15). Erano previsti tassi di demenza incidente pari a 36
per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e 24 per 1000
anni-paziente nel gruppo di trattamento, con un totale
atteso di 252 casi incidenti. Il protocollo principale dello
studio prevedeva analisi ad interim basate su una misura
di esito legato all’ictus, che ha determinato l’interruzione
dello studio prima di quanto pianificato.16,17
Poiché l’incidenza di demenza è insidiosa e può essere individuata solo durante valutazioni periodiche, le
analisi di regressione complementare log-log sono le
più appropriate. Tuttavia, per facilità di esposizione, è
stato anche eseguito il consueto approccio di analisi di
sopravvivenza con un modello del rischio proporzionale
di Cox utilizzando come data di evento la data di riscontro
del declino cognitivo e il punto medio tra la prestazione
Declino cognitivo* Malattia di Alzheimer Demenza vascolare Tutte le demenze† Placebo Trattamento Rapporto di rischio
486 86 43 137 485 78 41 126 0,93 (0,82-1,05)
0,85 (0,63-1,15)
0,87 (0,57-1,34)
0,86 (0,67-1,09)
I dati sono i numeri di pazienti o il rapporto di rischio non corretto (IC 95%). *Definito
come riduzione del punteggio MMSE <24 o un declino >3 punti in un anno. †Malattia
di Alzheimer, demenza vascolare o altro (demenza non classificabile o classificata come
un tipo non elencato sopra).
Tabella 3: Effetti del trattamento antipertensivo sul declino cognitivo o
sulla demenza incidenti
Casi per 100 pazienti
Placebo
Attivo 1,5 mg di indapamide (2-4 mg di perindopril)
p=0,21; HR 0,86 (IC 95% 0,67-1,09)
Follow-up (anni)
Numero a rischio
Casi incidenti
Figura 2: Proporzione cumulativa di pazienti con demenza per gruppo di trattamento
170
02 Lancet.indd 170
cognitivamente integra e il declino cognitivo (definito in
conformità con il protocollo). Gli assunti del modello di
Cox sono stati valutati con un test supremo per le somme
cumulative dei residui martingala. Sebbene l’utilizzo del
punto medio come data di evento possa essere associato
a distorsioni, l’uso di intervalli inferiori a 2 anni potrebbe
aver contribuito a ridurre tali distorsioni; poiché molti
studi presentano questa informazione, l’abbiamo inclusa
per facilità di esposizione.
La sopravvivenza è stata analizzata con il modello del
rischio proporzionale di Cox. È stato anche esaminato
l’effetto del trattamento sui pazienti che hanno avuto
un ictus o una storia di ictus. L’analisi è stata fatta per
intenzione al trattamento (intention-to-treat). Tutte le
analisi statistiche sono state realizzate con il software
SAS versione 9.1.
Lo studio è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero
NCT00122811.
Ruolo della fonte di finanziamento
L’Imperial College è stato lo sponsor della sperimentazione
e ha richiesto accordi di riservatezza a tutti i membri della
commissione e ai ricercatori. L’analisi, l’interpretazione
dei dati, la stesura del manoscritto e la decisione di
inviare il lavoro per la pubblicazione sono state effettuate
indipendentemente dagli enti finanziatori (British Heart
Foundation e Institute de Recherches Internationales
Servier). L’autore principale ha avuto pieno accesso a tutti
i dati e la responsabilità finale per la decisione di inviare
il lavoro per la pubblicazione.
Risultati
Lo studio principale è stato interrotto precocemente perché
alla seconda analisi ad interim era stata dimostrata una
riduzione sostanziale di ictus e mortalità totale. Non tutti
i pazienti inclusi nello studio HYVET hanno raggiunto
almeno 1 anno di follow-up, come richiesto per la valutazione di eventuali cambiamenti della funzione cognitiva.
La Figura 1 mostra il profilo dello studio.
Le caratteristiche dei pazienti nei due gruppi di trattamento erano omogenee al basale (Tabella 1). I pazienti
sono stati valutati a intervalli di circa 1 anno, con una
media di 400 giorni (DS 55,2) tra le valutazioni (mediana
386 giorni [range 214-690]). La Tabella 2 mostra le caratteristiche dei pazienti al basale relative alla successiva
presenza o assenza di demenza o declino cognitivo incidenti. La Tabella 3 mostra il numero di casi e i rapporti di
tasso di rischio (hazard ratio) per il declino cognitivo, per
tutte le forme di demenza, per la MA e per la demenza
vascolare.
Nel gruppo di trattamento è stato segnalato un numero
inferiore di eventi avversi gravi (358 vs 448, p=0,0009). Solo
cinque di questi sono stati classificati dall’investigatore
locale come causati dal farmaco in studio: tre nel gruppo
placebo e due nel gruppo di trattamento.
1469 dei 3336 pazienti (44%) sono stati sottoposti alla
visita di follow-up a 2 anni. La riduzione media della presThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Articoli
sione arteriosa sistolica a 2 anni è stata di 14,6 mmHg (DS
18,5) nel gruppo placebo rispetto a 29,6 mmHg (15,3) nel
gruppo in trattamento, con una differenza di 15 mmHg;
p <0,0001. La riduzione media della pressione arteriosa
diastolica è stata di 7,2 mmHg (10,5) nel gruppo placebo
e di 13,1 mmHg (9,6) nel gruppo in trattamento, con una
differenza di 5,9 mmHg; p <0,0001.
La variazione media nel punteggio MMSE a 2 anni è stata
pari a –1,1 punti (DS 3,9) nel gruppo placebo rispetto a 0,7
punti (4,0) nel gruppo in trattamento; p=0,08. Il follow-up
a 2 anni è stato scelto per essere il più vicino possibile
al follow-up medio per gli esiti di funzione cognitiva e
demenza. I risultati sono stati analizzati in due modi: per
valutare l’effetto della riduzione della pressione arteriosa
sulla diagnosi di demenza (follow-up medio di 2,2 anni,
7400 anni-paziente) e per valutare l’effetto della riduzione
della pressione arteriosa sul declino cognitivo (follow-up
medio di 2 anni, 6680 anni-paziente).
Tutti i pazienti con punteggi MMSE seriali sono stati
inclusi nell’analisi e ogni segnalazione di declino cognitivo è stata valutata dal comitato, indipendentemente dal
decesso o da altri eventi. A 1 anno di follow-up 297 pazienti
(18%) nel gruppo placebo e 270 pazienti (16%) nel gruppo
di trattamento hanno presentato un punteggio MMSE
indicativo di declino cognitivo. In totale 971 pazienti
sono stati classificati come affetti da declino cognitivo e
fra di essi sono stati diagnosticati 263 casi di demenza.
164 pazienti sono stati classificati come affetti da MA, 84
da demenza vascolare e 15 da demenza non specificata. I
tassi di tutte le demenze incidenti diagnosticate erano pari
a 38 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e a 33 per
1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento.
La Figura 2 mostra l’analisi di sopravvivenza non corretta
per demenza incidente. La rianalisi effettuata stabilendo
il punto medio tra l’ultima prestazione con funzioni
cognitive integre e la prima con declino cognitivo non ha
modificato i risultati (HR non corretto 0,85 [IC 95% 0,671,09]). Le analisi di regressione complementare log-log
hanno portato a una stima ugualmente non significativa
di riduzione del rischio dell’11% (IC 95% 0,70-1,14).
L’analisi di regressione logistica ha mostrato un risultato
analogo. L’HR non corretto per il declino cognitivo è stato
pari a 0,92 (IC 95% 0,81-1,05); analogamente le analisi
di regressione complementare log-log hanno fornito un
risultato non significativo con una riduzione stimata del
rischio del 4%.
I risultati dell’analisi log-rank hanno mostrato che un
livello inferiore di istruzione, la regione in cui è avvenuto
il reclutamento e l’età avevano un effetto significativo
sul declino cognitivo, mentre il sesso non era rilevante.
I modelli di rischio proporzionale di Cox e le analisi di
regressione complementare log-log sono stati, pertanto,
corretti per istruzione rispetto a non istruzione, età e
regione in cui è avvenuto il reclutamento. L’HR corretto
(Cox) era pari a 0,85 (IC 95% 0,67-1,09) per la diagnosi di
demenza e a 0,93 (0,82-1,05) per il declino cognitivo; gli
HR corretti calcolati con la regressione complementare
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Rapporto
Attivo (N/n) Placebo (N/n)
di rischio (IC 95%)
PROGRESS RR12 3051/193 3054/217 0,89 (0,74-1,07)
Syst-Eur RR10 1238/11 1180/21 0,50 (0,25-1,02)
SHEP RR14 2365/37 2371/44 0,84 (0,55-1,30)
HYVET RR
1687/126 1649/137 0,90 (0,71-1,13)
Combinati (casualmente) 0,87 (0,76–1,00)
Q di Cochran=2,409; p=0,491
Test per l’effetto complessivo; p=0,045
A favore A favore
del trattamento del controllo
Figura 3: Forest plot degli studi controllati con placebo sul trattamento antipertensivo che hanno valutato
la demenza incidente
N=partecipanti totali. n=numero con demenza.
M
Et
Et
Se
De
Se
Se
Ele
Te
en
Te
ND=
Tab
log-log erano simili. Né gli ictus insorti prima o durante lo
studio, né il precedente trattamento antipertensivo o il tipo
di trattamento prima del reclutamento hanno modificato
i risultati. La maggior parte degli ictus verificatisi durante
lo studio HYVET ha avuto esito fatale.
I risultati delle analisi per sottotipo di demenza non
sono stati significativi e le analisi di Cox e le analisi
complementari log-log hanno fornito risultati simili. Per
la MA, i tassi rispettivi erano 20 per 1000 anni-paziente
nel gruppo di trattamento e 23 per 1000 anni-paziente
nel gruppo placebo (HR 0,85, IC 95% 0,63-1,15). Per la
demenza vascolare, i tassi erano 11 per 1000 anni-paziente
nel gruppo di trattamento e 12 per 1000 anni-paziente nel
gruppo placebo (HR 0,87, IC 95% 0,57-1,34). La ripetizione
delle analisi con tutti i pazienti, indipendentemente dal
fatto che avessero più di una valutazione della funzione
cognitiva, non modificava i risultati.
Quando i risultati dello studio HYVET sono stati
combinati in una metanalisi con gli altri tre studi clinici
controllati con placebo sul trattamento antipertensivo
che hanno valutato la demenza incidente – Syst-Eur,10
Perindopril Protection Against Recurrent Stroke Study
(PROGRESS) 12 e Systolic Hypertension in Elderly Patients
(SHEP)14 –, il rapporto di rischio complessivo aveva una
significatività borderline (con i modelli di effetti casuali),
rischio relativo 0,87 (IC 95% 0,76-1,00; p=0,045), mentre le
precedenti metanalisi non erano conclusive.11,15 La Figura
3 mostra il forest plot di questa analisi.
Discussione
Abbiamo trovato una riduzione non significativa dei
casi di demenza incidente nel gruppo di trattamento.
Combinando questi dati in una metanalisi con gli altri
studi controllati con placebo in doppio cieco sul trattamento antipertensivo, abbiamo osservato una riduzione
significativa della demenza incidente nei pazienti randomizzati a ricevere il trattamento antipertensivo.
Lo studio HYVET è stato interrotto prima del previsto a
causa dei risultati della seconda analisi ad interim (a priori), in cui i benefici del trattamento erano indicati da una
riduzione di mortalità, ictus e scompenso cardiaco. Ciò
significa che il follow-up medio per valutare la demenza
171
10-12-2008 20:11:14
Articoli
incidente è stato di soli 2,2 anni (7400 anni-paziente). Il
calcolo della potenza dello studio HYVET-COG era basato
su una riduzione del 33% della demenza incidente nel
gruppo di trattamento di oltre 8400 anni-paziente, con
tassi di 36 per 1000 anni-paziente nel gruppo placebo e
di 24 per 1000 anni-paziente nel gruppo di trattamento,
con 252 casi attesi. Anche se nello studio attuale sono
stati raccolti solo 7400 anni-paziente, sono stati identificati
263 casi di demenza incidente, con tassi di 38 e 33,2 per
1000 anni-paziente rispettivamente nei gruppi placebo
e di trattamento. È possibile che la riduzione prevista
del 33% sia stata troppo ottimista e si sia basata sui dati
disponibili al momento in cui è stato progettato lo studio
e avviato il reclutamento (1999-2001): una riduzione del
50% della demenza incidente in pazienti più giovani
(Syst-Eur)10 e una riduzione non significativa di demenza nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo placebo
(1,6% vs 1,9%), anche in pazienti più giovani (SHEP).14
Le nostre stime tenevano inoltre conto del fatto che lo
studio HYVET aveva utilizzato la stessa metodologia dello
studio Syst-Eur e aveva incluso solo pazienti molto anziani. I tassi di demenza incidente nel gruppo placebo sono
comunque stati vicini a quelli previsti e il breve follow-up
potrebbe anche avere avuto un effetto. Qualsiasi effetto
della riduzione della pressione arteriosa sulla demenza
incidente potrebbe richiedere tempo per essere identificabile e una media di 2,2 anni di follow-up potrebbe non
essere stata sufficiente, nonostante la differenza esistente
nella pressione arteriosa tra il gruppo di trattamento e il
gruppo placebo.
Un ulteriore fattore che potrebbe aver influenzato questi
risultati è la scelta del trattamento. I ricercatori nello studio
Syst-Eur hanno ottenuto la massima riduzione dei casi di
demenza incidente con un calcio-antagonista, a differenza
dei più modesti risultati con altri tipi di farmaci.10
L’ultimo punto da considerare in tutti gli studi è il
rischio di distorsioni; i pazienti con peggioramento della
funzione cognitiva potrebbero avere una maggiore probabilità di abbandonare uno studio, e se ciò si verifica in
modo sproporzionato in un gruppo l’esito potrebbe essere
sovrastimato o sottostimato. L’assenza di una differenza
significativa tra i gruppi di trattamento nello studio
SHEP potrebbe essere stata causata da differenze nella
permanenza nello studio, con una maggiore probabilità
di abbandonare lo studio da parte degli individui nel
gruppo placebo.18
Anche se è probabile che la riduzione del rischio nella
mezza età possa avere un effetto protettivo sulla vita futura,
non è sempre possibile intervenire in quel periodo di vita.
Inoltre, una percentuale elevata della popolazione è costituita da anziani con ipertensione non trattata. La nostra
metanalisi ha incluso dati provenienti da studi effettuati
su popolazioni più giovani; tuttavia, la maggior parte dei
soggetti erano giovani anziani. Lo studio SCOPE (Study
on Cognition and Prognosis in the Elderly)13 era focalizzato
sul declino cognitivo; tuttavia, i ricercatori hanno dovuto
modificare il protocollo nel corso dello studio, con il
172
02 Lancet.indd 172
risultato che l’84% del gruppo placebo ha assunto farmaci
antipertensivi. Per questo motivo, abbiamo deciso di non
includere questo studio nella metanalisi e di focalizzarci
solo sugli studi controllati con placebo.
Nello studio HYVET, il numero di casi di declino cognitivo era simile nei due gruppi. Ciò può essere dovuto alla
maggiore variabilità delle prestazioni ai test cognitivi o alla
specificità del MMSE in questa popolazione di pazienti.
Anche se una storia di ictus al basale prediceva in modo
indipendente la demenza incidente, l’inclusione di questa
covariata non ha alterato il rapporto di rischio nel gruppo
di trattamento. Le popolazioni meno istruite avevano
maggiore probabilità di sviluppare demenza incidente;
l’effetto del livello di istruzione era tuttavia meno chiaro
per il declino cognitivo.
La mediana del punteggio MMSE basale per tutti i
partecipanti nel dataset era di 26, e questo è coerente
con i punteggi previsti per un gruppo di soggetti molto
anziani con diversi livelli di istruzione.19 Non c’era differenza nel punteggio MMSE al basale nei pazienti che
avevano sviluppato demenza incidente e nei pazienti che
non avevano sviluppato tale disturbo.
Nello studio Syst-Eur10 una fase in aperto seguiva quella
in doppio cieco, e ciò ha fornito ulteriori informazioni
circa gli effetti del trattamento dell’ipertensione sulla
demenza incidente. Il precedente gruppo in trattamento
nello studio Syst-Eur è rimasto a un rischio inferiore del
precedente gruppo placebo, benché la maggior parte dei
partecipanti in entrambi i gruppi avesse ricevuto farmaci
antipertensivi nella fase di trattamento in aperto. Lo studio
HYVET sta proseguendo in aperto e i casi di demenza
incidente continueranno ad essere valutati. Ciò permetterà di rivalutare i risultati dello studio HYVET dopo un
follow-up più lungo.
In sintesi, i risultati del sottostudio HYVET su demenza
incidente e declino cognitivo sono in linea con le ricerche
eseguite in gruppi di età più giovane. I risultati dello
studio HYVET sostengono in parte l’utilità di trattare le
persone molto anziane con ipertensione al fine di ridurre la demenza incidente, soprattutto quando questa si
ottiene dopo un follow-up relativamente breve; tuttavia,
i risultati relativi al declino cognitivo incidente sono stati
non conclusivi. La metanalisi dello studio HYVET e di tre
studi simili ha dimostrato che la riduzione del rischio di
demenza associata alla riduzione della pressione arteriosa
può essere clinicamente significativa.
Contributi
RPe ha coordinato l’aspetto della funzione cognitiva dello studio
HYVET, analizzato i dati e compilato il manoscritto. NB ha coordinato
lo studio HYVET, è stato coinvolto nella stesura originale del protocollo
e ha commentato le analisi e il manoscritto. FF ha fornito consulenza
nel corso dello studio, è stato coinvolto nella stesura originale del
protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto. JT, RC, CR,
AW e IW erano membri del comitato di validazione della demenza,
hanno elaborato le procedure operative standard per la diagnosi di
demenza nello studio HYVET e commentato il manoscritto. RPo è
stato responsabile della gestione quotidiana della raccolta dei dati
sulla funzione cognitiva e della loro organizzazione, ha compilato
i programmi statistici per aiutare nell’analisi e commentato il
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
10-12-2008 20:11:15
Articoli
manoscritto. SM e MC hanno attivato i sistemi locali per il successo
del reclutamento, raccolto i dati sulla funzione cognitiva e la diagnostica
e commentato il manoscritto. LB ha lavorato con RPo per raccogliere
le informazioni diagnostiche e commentato il manoscritto. AF è stato
coinvolto nella stesura originale del protocollo e ha commentato le
analisi e il manoscritto. CB è stato coinvolto nella stesura originale del
protocollo e ha commentato le analisi e il manoscritto.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare per il suo lavoro C Nachev (membro del
comitato direttivo, coordinatore nazionale della Bulgaria e ricercatore
HYVET a partire dal 1998 fino alla sua morte nel 2005).
La consulenza statistica è stata fornita da L Thijs (membro del comitato
di monitoraggio dei dati) e da B North e W Banya (Imperial College,
Regno Unito).
Ricercatori HYVET
Australia–R Warne, I Puddey, M Woodward, R Penhall, C Inderjeeth,
S Roger, R Scholes, C Johnson. Belgio–H Celis, G Adriaens, W Onsea,
K Cornelli, D Vantroyen, P Cleen, P De Voogt. Bulgaria–V Stoyanovsky,
P Solakov, C Nachev, X Prokopova, E Mantova, D Smilkova, S Mantov,
K Yankulova, R Kermova, D Popov, V Sirakova, V Gergova,
D Kamenova, F Grigorov, T Vassileva, R Alahverdian, M Tzekova. Cina–
L Liu, H Ge, S Wang, J Wang, W Zhang, S Jin, L Ge, YF Lu,
S Ma, L Shen, J Guo, Z Lv, R Huang, X Li, B Guo, T Zhang, L Zhang,
J Feng, Z Egli, J Wang, L Deng, L Liu, D Yuan, F Zhang, H Li,
D Wang, K Yang, M Sun, H Liu, X Yan, F Ren, J Tang. Finlandia–
R Antikainen, T Strandberg, T Konttila, A Hynninen, M Jaaskivi,
J Airas, T Jaaskelainen, J Tuomilehto, H Litmanen. Francia–F Forette,
J Doucet, J Belmin, A Benetos, G Berrut, T Böge, M Bonnefoy, A Carre,
N Charasz, J Covillard, T Dantoine, M Escande, Y Francesca, X Joire,
C Jeandel, S Legrain, A Lion, M Maillet-Vioud, JP Escaillas, S Meaume,
P Tiftzenmeyer, M Puisieux, X Quercy, O Rodat, J Soubeyrand, B de
Wazieres, H Hindennach, L Lugassy, J Rossi, M Martel, JM Paladel, C
Ravier, A Visconti, JP Gallet, D Zygouritsas, D Charles, F Flamant, G
Grandmottet, M Grandmottetegermann, C Gevrey, PL Mesnier,
G Robert, C Prat-Besset, A Brousse, P Lafont, J Morelli, P Vernede,
A Volkmann, X Bodin, B Destrube, R Eoche, A Boye, M Seropian,
P Gernigon, D Meker, J Thomere, Y Thual, M Volný, E Grassart,
F Herent, D Lejay, JP Lopez, B Mannessier, G Pruvost, JC Urbina.
Irlanda-J Duggan. Nuova Zelanda–C Anderson, S Lillis, J Gommans.
Polonia–T Grodzicki, Z Chodorowski, Z Gaciong. Romania–D
Dumitrascu, M Comsa, V Sandru, G Prada, M Moisin-Dunca, D Jianu,
D Jinga-Lazar, V Enachescu, C Zaharia. Russia–Y Nikitin, A Kirichenko,
L Olbinskaya, A Martynov, V Zadionchenko, V Moiseev, G Storohzakov,
S Nedogoda, RS Karpov, O Barbarash, G Efremushkin, V Kostenko,
M Boyarkin, S Churina, T Tyurina, M Ballyuzek, L Ermoshkina,
A Timofeev, S Yakusheva, N Shilkina, V Barbarich. Tunisia–A Belhani,
E Boughzela, çSoraya, B YZ Ali, BKMH Houman, A Kheder Abida.
Regno Unito–C Rajkumar, M Wilkins, ND Pandita-Gunawardena,
J Potter, E Ekpo, F Prezzo, N de Kare-Silver, A Starczewski, S Chandran,
X Nasar, M Chaudhuri-Datta, T McCormack, N Majmudar, A Gordon
L Brawn, T Solanki.
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Comitati e coordinamento
Lead investigator–CJ Bulpitt. Co-investigator–A Fletcher. Trial coordinator–
NS Beckett. Deputy trial coordinator–R Peters. HYVET coordinating
team at Imperial College London (1999-2008). Steering committee–T
McCormack, J Potter, BG Extremera, P Sever, F Forette, D Dumitrascu,
C Swift, J Tuomilehto, J Coope (ritirato nel 2001). Data-monitoring
committee–J Staessen, L Thijs, R Clarke, K Narkiewicz. Endpoints
committee–C Davidson (ritirato nel 2003), J Duggan, G Leonetti,
N Gainsborough, MC De Vernejoul, J Wang, V Stoyanovsky. Dementia
validation committee–J Tuomilehto, R Clarke, A Waldman, I Walton,
C Ritichie. Ethics Committee–R Fagard, J Grimley Evans, B Williams.
Conflitti di interesse
Lo studio è stato sponsorizzato dall’Imperial College di Londra.
Gli stipendi sono stati forniti dall’Imperial College usando sovvenzioni
accademiche della British Heart Foundation e della Servier (NB,
RPe, RPo e LB). I rimborsi per la consulenza di CB sono stati forniti
dall’Imperial College dopo il suo pensionamento nel 2005 da una
sovvenzione accademica di Servier. I rimborsi dei ricercatori per coprire
le spese dello studio e le indagini, come le TC, sono stati pagati a SM
e MC dall’Imperial College. Nessuno degli altri autori ha ricevuto alcuna
remunerazione finanziaria.
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 173
173
10-12-2008 20:11:15
Articoli
Efficacia della telemedicina sito-indipendente nello studio
STRokE DOC: studio randomizzato, in cieco, prospettico
Brett C Meyer, Rema Raman, Thomas Hemmen, Richard Obler, Justin A Zivin, Ramesh Rao, Ronald G Thomas, Patrick D Lyden
Lancet Neurol 2008; 7: 787-95
Riassunto
Pubblicato Online
il 3 agosto 2008
DOI:10.1016/S14744422(08)70171-6
Premessa Per aumentare l’efficacia dell’uso dei trombolitici per l’ictus acuto, l’esperienza dei neurologi vascolari
deve essere più ampiamente diffusa. Abbiamo valutato prospetticamente quale fra la telemedicina (interpretazione
in tempo reale, a doppia via audio e video con immagini digitali e comunicazione in medicina [DICOM]) o il mezzo
telefonico fosse superiore nel processo decisionale delle consulenze di telemedicina in condizioni acute.
Department of Neurosciences
(B C Meyer MD, R Raman PhD,
T Hemmen MD, J A Zivin PhD,
R G Thomas PhD, P D Lyden MD)
e Department of Family and
Preventive Medicine (R Raman,
R G Thomas); Department of
Emergency Medicine, El Centro
Regional Medical Center, El
Centro, CA, USA (R Obler MD);
California Information
Telecommunications and
Technology (Cal(IT2)), San
Diego, CA, USA (R Rao, PhD);
Research Division, Department
of Veteran’s Affairs, San Diego,
CA, USA (P D Lyden)
Metodi Dal gennaio 2004 all’agosto 2007, pazienti di età superiore a 18 anni che presentavano sintomi di ictus
acuto in un centro remoto su quattro sono stati assegnati in modo casuale, attraverso un sistema basato sul web a
blocchi permutati, alla consulenza telefonica o a quella mediante telemedicina per valutare se fossero candidabili al
trattamento con trombolitici, basato su criteri standard. La misura di esito primario è stata se la decisione di dare
il trattamento trombolitico fosse corretta, valutata in base a un’assegnazione centrale. Gli esiti secondari sono stati
l’uso del trombolitico, gli esiti funzionali a 90 giorni (indice di Barthel [BI] e scala di Rankin modificata [mRS]),
l’incidenza di emorragia intracerebrale e osservazioni tecniche. L’analisi è stata di tipo intention-to-treat. Lo studio è
stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero NCT00283868.
Corrispondenza:
Brett C Meyer, Department of
Neurosciences, UCSD School of
Medicine Stroke Center (8466),
Third Floor, OPC, Suite 3,
200 West Arbor Drive, San Diego,
CA 92103-84466, USA
[email protected]
Risultati Sono stati valutati prospetticamente 234 pazienti. 111 pazienti sono stati randomizzati alla telemedicina e 111
alla consulenza telefonica; 207 hanno completato lo studio. Il punteggio medio alla National Institutes of Health Stroke
Scale all’esordio dell’ictus era di 9,5 (DS 8,1) punti (11,4 [8,7] punti nel gruppo della telemedicina rispetto a 7,7 [7,0] punti
nel gruppo della consulenza telefonica; p=0,002). Una consulenza di telemedicina è stata interrotta per ragioni tecniche,
ma è stata inclusa nelle analisi. Le decisioni terapeutiche sono state più spesso corrette nel gruppo della telemedicina
rispetto a quello della consulenza telefonica (108 [98%] rispetto a 91 [82%], odds ratio [OR] 10,9, IC 95% 2,7-44,6; p=0,0009).
I trombolitici per via endovenosa sono stati utilizzati con un tasso complessivo del 25% (31 [28%] nella telemedicina
rispetto a 25 [23%] nella consulenza telefonica, 1,3, 0,7-2,5; p=0,43). Gli esiti funzionali a 90 giorni non sono risultati
diversi per il BI (95-100) (0,6, 0,4-1,1; p=0,13) o per il punteggio mRS (0,6, 0,3-1,1; p=0,09). Non è stata riscontrata alcuna
differenza nella mortalità (1,6, 0,8-3,4; p=0,27) o nei tassi di emorragia intracerebrale dopo trattamento con trombolitici
(2 [7%] telemedicina rispetto a 2 [8%] consulenza telefonica, 0,8, 0,1-6,3; p=1,0). Tuttavia, vi erano più dati incompleti
nel gruppo della consulenza telefonica rispetto al gruppo della telemedicina (12% vs 3%, 0,2, 0,1-0,3; p=0,0001).
Interpretazione Gli autori di questo studio riferiscono che le consulenze di telemedicina nell’ictus esitano in un
processo decisionale più accurato rispetto alle consulenze telefoniche e possono servire come modello per l’efficacia
della telemedicina in altre specialità mediche. Le decisioni più appropriate, gli elevati tassi di uso di trombolisi, la
migliore raccolta dei dati, il basso tasso di emorragia intracerebrale, le ridotte complicanze tecniche e la favorevole
tempistica sostengono l’efficacia della telemedicina nell’assunzione delle decisioni terapeutiche e potrebbero rendere
possibile a più operatori l’uso di questo strumento nel trattamento quotidiano dell’ictus.
Finanziamento National Institute of Neurological Disorders and Stroke; California Institute of Telecommunications
Technology; Department of Veterans’ Affairs Research Division.
Introduzione
Pochi pazienti con ictus (2-3%) ricevono trombolitici,
benché la terapia sia stata approvata da oltre 10 anni.1 La
terapia trombolitica deve essere utilizzata rapidamente e
in modo adeguato se si vuole ridurre la disabilità dovuta
all’ictus.2 I precedenti approcci volti ad aumentare i tassi di
trattamento hanno fallito, in parte a causa dell’incompleta
diffusione delle competenze relative all’uso dei trombolitici e a restrizioni geografiche. La maggiore disponibilità
di specialisti sull’ictus dovrebbe aumentare l’uso degli
appropriati trattamenti e ridurre al minimo le violazioni di
protocollo.3,4 La telemedicina, che è già operativa in molte
specialità, potrebbe consentire la diffusione di competenze
sull’ictus per consulenze, formazione e ricerca.5-8
174
02 Lancet.indd 174
La telemedicina è una modalità affidabile per misurare
i deficit dovuti all’ictus.9-12 L’assistenza remota mediante
telefono,13 o telemedicina, aumenta l’uso di trombolitici;14-16
tuttavia, benché siano disponibili molti sistemi di telemedicina, sono stati effettuati pochi studi randomizzati17 e non è
nota l’efficacia del processo decisionale. Per valutare la correttezza del processo decisionale in un contesto sottoposto a
vincoli temporali come l’ictus acuto, abbiamo confrontato le
consulenze in telemedicina (audio o video remoti e riesame
radiologico) con quelle telefoniche, per valutare l’ipotesi che
la telemedicina aumenti l’efficacia del processo decisionale.
Se le decisioni assunte con la telemedicina fossero appropriate, questa tecnologia potrebbe essere immediatamente
resa operativa nella pratica quotidiana.
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10-12-2008 20:11:16
Articoli
Metodi
Pazienti
Tra il gennaio 2004 e l’agosto 2007, sono stati arruolati
234 pazienti e 222 sono stati assegnati casualmente a
consulenze mediante telemedicina o solo telefoniche
quando si erano presentati con sintomi di ictus acuto in
uno di quattro siti remoti (satelliti) che si trovavano da
30 a 350 miglia da un centro universitario di coordinamento. 11 pazienti run-in non sono stati randomizzati.
I criteri di inclusione erano un’età di almeno 18 anni, la
capacità di firmare il consenso (o di avere un parente che
potesse firmare per loro) e sintomi di ictus acuto. Non
vi erano specifici criteri di esclusione. Il consenso scritto
informato è stato ottenuto dal centro satellite e inviato
al centro consulente mediante fax internet prima della
randomizzazione.
Lo studio è stato approvato dagli Human Research
Protections Programs al centro coordinatore e ai centri
satelliti ed è stato registrato nel ClinicalTrials.gov, numero
NCT00283868.
i risultati della TC dell’encefalo, il consulente del centro coordinatore forniva una raccomandazione per il
trattamento trombolitico al medico del dipartimento di
emergenza del centro satellite.
L’obiettivo principale dello studio era stabilire l’efficacia delle consulenze di telemedicina per il processo
decisionale. L’esito primario dello studio era valutare se
la decisione di somministrare trombolitici fosse appropriata, secondo quanto stabilito da un rigoroso processo
223 valutati per l’eleggibilità
1 paziente escluso perché troppo giovane
222 pazienti assegnati casualmente
111 assegnati alla telemedicina
1 consulenza non riuscita
per cause tecniche
Procedure
Il centro coordinatore veniva contattato mediante un sistema cercapersone quando un paziente si presentava a un
centro satellite. I pazienti erano randomizzati con blocchi
permutati stratificati per sito di studio per evitare squilibri
tra i gruppi. La randomizzazione alla telemedicina o alla
sola consulenza telefonica era effettuata in tempo reale
con un sistema di randomizzazione basato sul web, che
eliminava le distorsioni legate alle preferenze del medico.
Per i pazienti randomizzati alla telemedicina, la consulenza iniziava con un accesso indipendente dal sito al
sistema di telemedicina. Il centro di consulenza attivava
la fotocamera e raccoglieva immediatamente l’anamnesi
eseguendo anche una valutazione neurologica con la
National Institutes of Health Stroke Scale (NIHSS). Le
altre componenti dell’esame obiettivo erano eseguite dal
consulente o a esso riferite, a seconda dei casi. Le immagini della TC dell’encefalo erano visualizzate in modalità di
imaging digitale e comunicazioni in medicina (DICOM).
Per i pazienti randomizzati alla consulenza telefonica, il
consulente del centro coordinatore interrogava il medico
del centro satellite su anamnesi, esame obiettivo, risultati
degli esami di laboratorio e referto TC del neuroradiologo
locale e guidava il medico locale nell’esecuzione dell’esame
NIHSS. Il consulente non vedeva direttamente né il video
né le immagini della TC dell’encefalo.
In entrambi i gruppi, il consulente compilava un modulo
predefinito. Il consulente era libero di ripetere le varie
sezioni dell’esame e poteva parlare con i familiari o i
testimoni disponibili. I deficit clinici e i punteggi della
scala funzionale (compresi la NIHSS e i punteggi della
scala di Rankin modificata [mRS] prima e dopo l’ictus)
erano calcolati dal consulente utilizzando le informazioni
fornite dal medico presente al letto del malato. Dopo la
revisione dell’anamnesi, dei reperti dell’esame obiettivo,
delle scale sull’ictus e di esito e dopo aver interpretato
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008 02 Lancet.indd 175
111 assegnati al telefono
110 hanno ricevuto una consulenza
mediante telemedicina
111 hanno ricevuto una consulenza
telefonica
6 persi al follow-up
104 hanno completato lo studio
1 ha ritirato il consenso
7 persi al follow-up
103 hanno completato lo studio
Figura 1: Profilo dello studio
Tutti i casi (n=222) Telemedicina (n=111) Telefono
(n=111) Stima
Età (anni) 69,7 (14,7) 70,4 (14,5) 69,0 (14,9) 1,40 (–2,5 a 5,3)*
Donne 114 (51%) 57 (51%) 57 (51%) 1,00 (0,59 a 1,69)†
Origine etnica Bianchi
211 (95%) 106 (96) 105 (95%) Neri
6 (3%) 4 (4%) 2 (2%) Isolani del Pacifico 4 (2%) 1 (1%) 3 (3%) Asiatici 1 (1%) 0 (0%) 1 (1%) Non ispanici 120 (54%) 60 (54%) 60 (54%) 1,00 (0,59-1,69)†
Peso (kg) 80,0 (20,5) 79,7 (18,8) 80,5 (36,7) –0,8 (–7,1 a 5,5)*
Fattori di rischio CAD 61 (28%) [6%] 37 (33%) [3%] 24 (22%) [10%] Infarto del miocardio 17 (8%) [14%] 12 (11%) [12%] 5 (5%) [15%] Storia di CVA 81 (37%) [5%] 40 (36%) [5%] 41 (37%) [5%] Fibrillazione atriale 29 (13%) [7%] 19 (17%) [5%] 10 (9%) [8%] Diabete 78 (35%) [4%] 43 (39%) [2%] 35 (32%) [5%] Ipertensione 164 (74%) [3%] 83 (75%) [5%] 81 (73%) [5%] Iperlipidemia 75 (34%) [15%] 45 (41%) [7%] 30 (27%) [23%] Storia familiare 23 (10%) [28%] 18 (16%) [18%] 5 (5%) [39%]
di ictus o TIA
Attuale uso di alcool 30 (14%) [22%] 15 (14%) [9%] 15 (14%) [34%] Attuale uso di tabacco 21 (10%) [20%] 13 (12%) [9%] 8 (7%) [31%] CAD=coronaropatia. CVA=attacco cardiovascolare. TIA=attacco ischemico transitorio. I dati sono medie (DS). *Odds ratio (IC
95%). †Differenza delle medie (IC 95%), numero (percentuale) [percentuale sconosciuta]. La percentuale dei dati mancanti è
inclusa perché potrebbe chiarire il significato del confronto.
Tabella 1: Caratteristiche demografiche e fattori di rischio dei pazienti
175
10-12-2008 20:11:17
Articoli
di assegnazione, a più stadi e in cieco, i cui dettagli sono
già stati pubblicati.18 Gli esiti secondari erano i tassi di
uso della terapia trombolitica, gli esiti a 90 giorni, i tassi
di emorragia intracerebrale, la completezza dei dati e
osservazioni tecniche.
La strumentazione includeva un computer portatile
collegato a internet, utilizzato da un gruppo di neurologi
specializzati nel vascolare in possesso di fellowship specifica, e dal sistema di telemedicina presso il dipartimento
di emergenza dei centri satelliti. Il software permetteva
l’accesso indipendente dal sito a un sistema audio a due vie
e a un video ad alta risoluzione, con connessione internet
standard (BF Technologies, San Diego, CA, USA).
Il comitato di assegnazione (SDAC) dello STRokE
DOC (Stroke Team Remote Evaluation using a Digital
Observation Camera) era costituito da medici specialisti formati nel trattamento dell’ictus acuto ed escludeva gli operatori appartenenti alle strutture satelliti.
L’assegnazione di livello 1 includeva la revisione da parte
del consulente del centro coordinatore, con lo SDAC in
cieco rispetto alla tecnica di consulenza. Per l’assegnazione di livello 2a, un monitor indipendente riesaminava le
cartelle del dipartimento di emergenza e del ricovero del
centro satellite e definiva l’assegnazione in relazione alla
correttezza della decisione di eseguire la trombolisi in
base ai criteri di inclusione o esclusione del NINDS.3,4 In
base ad approfondite discussioni, e ancora in cieco rispet-
MP (B)
molto
a
ecoge-
Tutti i casi (n=222) Telemedicina (n=111) Telefono
(n=111) mRS pre-ictus (scala completa) Dicotomizzata (0-1) 164 (75%) 78 (72%) 86 (78%) 0=nessun sintomo 141 (64%) 65 (60%) 76 (89%) 1=disabilità non significativa 23 (11%) 13 (12%) 10 (9%) 2=disabilità lieve
12 (6%) 8 (7%) 4 (4%) 3=disabilità moderata 27 (12%) 15 (14%) 12 (11%) 4=disabilità da moderata a grave 16 (7%) 8 (7%) 8 (7%) 5=disabilità grave 1 (1%) 0 (0%) 1 (1%) mRS al basale (scala completa) Dicotomizzata (0-1) 39 (18%) 14 (13%) 25 (23%) 0=nessun sintomo 12 (16%) 6 (6%) 6 (5%) 1=disabilità non significativa 27 (12%) 8 (7%) 19 (17%) 2=disabilità lieve 26 (12%) 15 (14%) 11 (10%) 3=disabilità moderata 34 (16%) 14 (13%) 20 (18%) 4=disabilità da moderata a grave 68 (31%) 35 (32%) 33 (30%) 5=disabilità grave 53 (24%) 31 (28%) 22 (20%) NIHSS 9,5 (8,1) [7,0] 11,4 (8,7) [10,5] 7,7 (7,0) [5,0] mNIHSS 7,3 (6,8) [5,0] 8,8 (7,4) [8,0] 5,9 (5,9) [4,0] TC al basale Normale 78 (36%) 29 (26%) 49 (45%) ICH primaria 17 (8%) 9 (8%) 8 (7%) TC in contraddizione 29 (14%) 17 (16%) 12 (11%) con i trombolitici
Sottogruppo NIHSS sottoposto 14,5 (7,2) 16,3 (7,4) 12,3 (6,3) a trombolisi
Sottogruppo mNIHSS sottoposto 11,4 (6,6) 12,7 (6,7) 9,8 (6,2) a trombolisi
Stima
0,73 (0,40 a 1,35)*
0,51 (0,25 a 1,04)*
3,70 (1,61 a 5,79)†
2,90 (1,13 a 4,67)†
0,44 (0,25 a 0,77)*
1,14 (0,42 a 3,06)*
1,48 (0,67 a 3,27)*
4,00 (0,22 a 7,78)†
2,90 (–0,59 a 6,39)†
Funzione pre-ictus dalla stima dei ricercatori della mRS prima dell’ictus e gravità post-ictus al basale stimata in base a mRS,
NIHSS e mNIHSS. mRS=punteggio della scala di Rankin modificata. ICH=emorragia intracerebrale. NIHSS=punteggio della
National Institutes of Health Stroke Scale. mNIHSS=punteggio della National Institutes of Health Stroke Scale modificata.
I dati sono numeri (percentuali). *Odds ratio (IC 95%). †Differenza delle medie (IC 95%), media (DS) [mediana].
Tabella 2: Valutazione dell’ictus al basale
176
02 Lancet.indd 176
to al gruppo di assegnazione, lo SDAC esprimeva una
valutazione separata dell’appropriatezza della decisione
dopo aver preso in considerazione tutte le informazioni
che sarebbero state disponibili al letto del malato. La
decisione di livello 2b era la misura primaria di esito.
Sono stati seguiti protocolli dettagliati per essere certi
che i membri dello SDAC rimanessero in cieco rispetto
al braccio di assegnazione.18 Il consulente e il monitor
non erano disponibili durante le votazioni.
Analisi statistica
È stato utilizzato un test c2 (2 code, a=0,05) per stimare
la potenza dello studio all’80%, assumendo un tasso
di decisioni corrette con la sola consulenza telefonica
dell’80%, una dimensione dell’effetto della telemedicina
del 10% e una dimensione del campione di 400. L’analisi
statistica per l’esito principale è stata eseguita con un
modello di regressione logistica per effetti casuali. 19
L’effetto della decisione di assegnazione è stato modellato come funzione del braccio di trattamento. Il sito è
stato incluso nel modello come un effetto casuale con
una struttura di correlazione scambiabile. A causa della
variabilità dei dati, per le analisi di sensibilità sono stati
usati il test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel stratificato
per sito e la regressione logistica con effetto fisso. Il test
c2 di Cochran-Mantel-Haenszel stratificato per sito e la
regressione logistica con effetto fisso sono stati usati per
tutti gli altri esiti di decisione corretta. Il test esatto di
Fisher è stato utilizzato per il tasso di uso della terapia
trombolitica, il tasso di emorragie intracerebrali, il tasso
di mortalità, il punteggio mRS a 90 giorni e l’analisi dei
dati mancanti. Il test della somma dei ranghi di Wilcoxon
è stato utilizzato per l’indice di Barthel (BI) a 90 giorni e
per il confronto dei punti temporali.
I dati di tre punteggi NIHSS erano incompleti, più
spesso nel gruppo assegnato alla consulenza telefonica.
Per confrontare in modo più accurato la gravità, il punteggio NIHSS è stato corretto escludendo le tre voci che
erano più frequentemente incomplete nella valutazione
NIHSS di entrambi i gruppi. È stato utilizzato un modello
di regressione logistica con effetto casuale, con un effetto
casuale per partecipante, per valutare i dati demografici e
NIHSS incompleti. Tutte le analisi sono state realizzate
con il software statistico R 2.1.1.
Lo studio non era limitato a una finestra di 3 ore, per
riprodurre le condizioni reali dell’ictus acuto, in cui il
tempo di insorgenza è inizialmente sconosciuto. I ricercatori non volevano ritardare le valutazioni o escludere
potenziali pazienti, chiedendo tassativamente che prima
di iniziare una consulenza si dovesse sapere con certezza
che erano passate meno di 3 ore dall’esordio. Tuttavia,
sono stati arruolati pazienti per i quali erano impossibili
divergenze di trattamento (ad es., i pazienti che si erano
presentati in ritardo [>3 ore dopo l’esordio dell’ictus]),
rafforzando in tal modo artificialmente la concordanza
in entrambi i bracci dello studio. Dopo l’arruolamento di
circa 200 pazienti, il comitato direttivo ha ipotizzato che
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
10-12-2008 20:11:17
Articoli
lo studio potesse avere una potenza inferiore al previsto
a causa di questo fatto e ha raccomandato un’analisi
di probabilità condizionale per la futilità o l’efficacia.
Il comitato direttivo non era a conoscenza dei risultati
quando ha espresso questa raccomandazione. Prima
che gli statistici facessero le analisi, sono stati definiti
un piano di analisi e linee guida a priori per la possibile
interruzione dello studio. Il comitato direttivo ha interrotto lo studio dopo che l’analisi di potenza condizionale
in cieco ha dimostrato che la probabilità che un gruppo
potesse risultare superiore all’altro per l’esito principale
alla fine dello studio era compresa tra 0,96 e 0,99, in base
ai dati raccolti fino a quel punto per tutta una gamma di
alternative future.
Ruolo della fonte di finanziamento
Gli sponsor dello studio non hanno avuto alcun ruolo
nella progettazione dello studio, nella raccolta, nell’analisi
e nell’interpretazione dei dati o nella stesura del manoscritto. L’autore principale ha avuto pieno accesso a tutti
i dati dello studio e ha avuto la responsabilità finale per
la decisione di inviarlo per la pubblicazione.
Risultati
Sono stati valutati 234 pazienti con sintomi di ictus acuto
– 11 partecipanti non randomizzati sono stati valutati
durante la fase di run-in – e 222 pazienti sono stati randomizzati (Figura 1). Non vi erano differenze demografiche
tra i gruppi. Per 218 (93%) pazienti erano disponibili gli
Tutti i casi (minuti) esiti a 90 giorni. I fattori di rischio per malattia coronarica
(p=0,026), iperlipidemia (p=0,003), storia familiare di ictus
o di attacco ischemico transitorio (TIA, p=0,0002), uso
attuale di alcool (p <0,0001) e di tabacco (p=0,0004) erano
superiori nel gruppo della telemedicina (Tabella 1).
La Tabella 2 mostra la gravità dell’ictus al basale. Il
punteggio medio NIHSS era inferiore nel gruppo della
consulenza telefonica rispetto al gruppo della telemedicina
(p=0,002) e nei pazienti trattati con trombolitici (p=0,044);
i pazienti nel gruppo della consulenza telefonica avevano
ictus meno gravi (punteggio mRS=0 o 1) al basale rispetto
al gruppo della telemedicina, ma questa differenza non
raggiungeva la significatività statistica (p=0,077). Inoltre,
un maggior numero di TC basali era normale nel gruppo
della consulenza telefonica che in quello della telemedicina (p=0,0048).
La Tabella 3 mostra i tempi di valutazione dei pazienti.
Il tempo dall’esordio dei sintomi all’arrivo in ospedale
era di 7,7 minuti più breve nel gruppo della consulenza
telefonica, anche se la differenza non era significativa
(p=0,352); il tempo dall’esordio alla decisione era più
breve nel gruppo della consulenza telefonica, benché in
modo non significativo (p=0,067). Il tempo dall’arrivo in
ospedale alla decisione non era diverso tra i gruppi (97,8
minuti), così come il tempo dalla chiamata al consenso
informato (33,7 minuti). Il tempo dal consenso alla decisione (durata della consulenza) era di 9,2 minuti più lungo
per il gruppo della telemedicina (p <0,0001). Il tempo dal
consenso alla trombolisi era di 6,4 minuti maggiore nel
Telemedicina (minuti) Telefono (minuti) Tempo dall’esordio Dall’esordio all’arrivo in ospedale 159,5 (215,7) (n=147) 163,2 (195,7) (n=77) 155,5 (237,2) (n=70) Dall’esordio alla chiamata 185,5 (225,9) (n=216) 192,9 (234,4) (n=108) 178,1 (217,8) (n=107) Dall’esordio dell’ECG 218,9 (220,2) (n=117) 220,6 (212,5) (n=59) 217,1 (229,7) (n=58) Dall’esordio al laboratorio 238,6 (240,5) (n=111) 227,0 (194,9) (n=57) 250,9 (282,2) (n=54) Dall’esordio alla decisione 244,2 (226,0) (n=216) 258,0 (229,9) (n=107) 230,6 (222,4) (n=109) Dall’esordio alla trombolisi* 150,7 (35,8) (n=55) 157,2 (37,3) (n=30) 143,0 (33,1) (n=25) Tempo dall’arrivo in ospedale Dall’arrivo alla valutazione da parte dal medico 7,6 (29,3) (n=124) 8,8 (36,5) (n=68) 6,2 (17,1) (n=56) Dall’arrivo alla chiamata 35,6 (51,1) (n=146) 31,7 (42,7) (n=78) 40,0 (59,4) (n=68) Dall’arrivo al consenso 71,8 (51,7) (n=146) 69,3 (43,2) (n=79) 74,8 (60,3) (n=67) Dall’arrivo all’ECG 61,8 (46,7) (n=82) 68,5 (47,6) (n=46) 53,3 (44,6) (n=36) Dall’arrivo al laboratorio 70,8 (62,3) (n=82) 70,8 (48,9) (n=46) 70,7 (77,0) (n=36) Dall’arrivo all’esame neurologico 70,1 (34,5) (n=142) 75,2 (32,8) (n=75) 64,4 (35,7) (n=67) Dall’arrivo alla lettura della TC 84,8 (59,8) (n=119) 84,3 (47,4) (n=69) 85,4 (74,1) (n=50) Dall’arrivo alla decisione 97,8 (54,0) (n=146) 99,8 (43,5) (n=77) 95,5 (64,1) (n=69) Tempo dalla chiamata Dalla chiamata al consenso 33,7 (26,4) (n=214) 33,6 (25,5) (n=109) 33,9 (27,4) (n=105) Dalla chiamata all’esame neurologico 36,7 (32,7) (n=216) 43,4 (29,6) (n=109) 30,0 (34,4) (n=107) Dalla chiamata alla decisione 60,0 (31,8) (n=216) 64,7 (29,1) (n=108) 55,2 (33,9) (n=108) Tempo dal consenso Dal consenso all’esame neurologico 4,7 (19,7) (n=214) 10,9 (15,2) (n=108) –1,6 (21,8) (n=106) Dal consenso alla decisione 27,5 (21,2) (n=214) 32,0 (17,3) (n=107) 22,9 (23,6) (n=107) Dal consenso alla trombolisi† 48,4 (19,6) (n=54) 51,2 (17,8) (n=30) 44,8 (21,4) (n=24) Dalla decisione alla trombolisi‡ 12,5 (9,6) (n=54) 10,0 (9,8) (n=30) 15,6 (8,5) (n=24) Per ulteriori informazioni sul
software statistico si veda
http://www.R-project.org
p
0,35
0,44
0,41
0,39
0,07
0,14
0,61
0,38
0,53
0,06
0,34
0,03
0,67
0,20
0,89
0,0005
0,03
0,0001
0,0001
0,16
0,02
Tempi rilevanti nel codice dell’ictus. I dati sono medie (DS) (numero di partecipanti). ECG=elettrocardiogramma. *Un paziente è stato escluso per la mancanza dei dati sul momento
del bolo. †Due pazienti sono stati esclusi per la mancanza dei dati sul momento del consenso e sul momento del bolo. ‡Due pazienti sono stati esclusi: uno per la mancanza dei dati
sul momento del bolo e uno per un dato negativo.
Tabella 3: Tempi di valutazione
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Articoli
Telemedicina‡ (n=110) Esito primario: decisione corretta complessiva
Livello 2b (SDAC) 108 (98%) Esito secondario: decisione corretta complessiva
Livello 1 (SDAC) 107 (97%) Livello 2a (MM) 106 (96%) Livello 3a (MM) 107 (97%) Livello 3b (SDAC) 107 (97%) Trattamento trombolitico IV complessivo 31 (28%) Emorragia intracerebrale post-
2 (7%) consulenza complessiva
Punteggio BI a 90 giorni (95-100)* 45 (43%) Punteggio mRS a 90 giorni* 36 (34%) (dicotomizzato 0-1)
Mortalità complessiva 21 (19%) Telefono
(n=111) Odds ratio p
91 (82%) 10,9 (2,7-44,6) 0,0009 (0,0001)
92 (83%) 103 (93%) 103 (93%) 92 (83%) 25 (23%) 2 (8%) 7,2 (2,1-24,6) 2,0 (0,6-6,9) 2,7 (0,7-10,5) 7,2 (2,1-24,6) 1,3 (0,7-2,5) 0,8 (0,1-6,3) 0,0009
0,40
0,24
0,0008
0,42
1,0†
56 (54%) 48 (47%) 0,6 (0,4-1,1) 0,6 (0,3-1,1) 0,13†
0,09†
14 (13%) 1,6 (0,8-3,4) 0,27†
Analisi primarie e secondarie per ciascun braccio dello studio. I risultati sono mostrati come complessivi dello studio. Sono
stati fatti vari livelli di assegnazione; l’esito primario era quello di livello 2b. I dati sono numeri (percentuale), odds ratio (IC
95%), valore di p calcolato mediante regressione logistica per effetto casuale, clusterizzata per sito (test c2 di Cochran-MantelHaenszel) per l’esito principale e test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel per l’esito secondario. L’analisi di regressione logistica per
effetto fisso ha dato risultati simili. SDAC=commissione di assegnazione dello STRokE DOC. MM=monitor medico. BI=indice di
Barthel. mRS=scala di Rankin modificata. *Totale analizzato nel gruppo della telemedicina=105; totale analizzato nel gruppo
del telefono=103. †Valori di p calcolati con il test esatto di Fisher. ‡Un paziente non ha completato la consulenza video a causa
di un problema tecnico e non è stato possibile assegnarlo.
Tabella 4: Analisi complessive primarie e secondarie
Telemedicina (n=31) Telefono
(n=25) Sottogruppo trombolisi: decisione corretta
Livello 1 (SDAC) 30 (97%) 20 (80%) Livello 2a (MM) 29 (94%) 19 (76%) Livello 2b (SDAC) 30 (97%) 19 (76%) Livello 3a (MM) 30 (97%) 21 (84%) Livello 3b (SDAC) 30 (97%) 21 (84%)
Emorragia intracerebrale post-trombolisi 2 (7%) 2 (8%) Punteggio BI a 90 giorni (95-100)* 10 (33%) 12 (48%) Punteggio mRS a 90 giorni (dicotomizzato 0-1)* 9 (30%) 8 (32%) Mortalità per sottogruppo 12 (39%) 3 (12%) Mortalità corretta per NIHSS basale Odds ratio 13,7† 4,6 (0,9-25,0) 7,4 (1,0-53,2) 10,2† 10,2† 0,8 (0,1-6,3) 0,5 (0,2-1,6) 0,9 (0,3-2,9) 4,6 (1,1-19,0) 3,4 (0,6-19)
p
0,11 0,10
0,05
0,12 0,26 1,0‡
0,29‡
1,0‡
0,03‡
0,17§
Analisi primarie e secondarie per ogni braccio dello studio. Sono mostrati i risultati per gruppo di trombolisi. Sono stati fatti
vari livelli di assegnazione; l’esito primario era quello di livello 2b.I dati sono numeri (percentuale), odds ratio (IC 95%), valore
di p calcolato con il test c2 di Cochran-Mantel-Haenszel. MM=monitor medico. BI=indice di Barthel. mRS=scala di Rankin modificata. *Totale analizzato nel gruppo di telemedicina=30; totale analizzato nel gruppo della consulenza telefonica=25. ‡IC non
incluso a causa della piccola dimensione del campione. ‡Valori di p calcolati con il test esatto di Fisher. §Valori di p calcolati con
regressione logistica.
Tabella 5: Analisi primarie e secondarie per i soli sottogruppi sottoposti a trombolisi
gruppo della consulenza telefonica, anche se la differenza
non era significativa (p=0,163). Il tempo dalla decisione
alla trombolisi era di 5,6 minuti maggiore per il gruppo
della consulenza telefonica (p=0,019).
Le decisioni terapeutiche corrette sono state effettuate
più spesso con la telemedicina che con la consulenza
esclusivamente telefonica, come dimostrato dalla misura di esito clinico primario (assegnazione di livello 2b)
nella Tabella 4 (OR 10,9, IC 95% 2,7-44,6; p=0,0009). I
consulenti del centro coordinatore hanno anche assunto
più spesso decisioni corrette con la telemedicina che
con la consulenza telefonica, ma solo quando valutati al
livello 1 (7,2, 2,1-24,6; p=0,0009). Non sono state osservate
differenze tra i gruppi nella percentuale di pazienti che
hanno raggiunto il BI (95-100) a 90 giorni, i punteggi mRS
a 90 giorni (dicotomizzati 0-1) o il decesso (Tabella 4).
178
02 Lancet.indd 178
Nel sottogruppo sottoposto a trombolisi, la decisione
terapeutica corretta è stata raggiunta più spesso nel gruppo
della telemedicina (30 [97%] vs 19 [76%], 7,4, 1,03-53,2;
p=0,047) che in quello della consulenza telefonica. Vi
era una differenza nella mortalità non corretta (39%
telemedicina vs 12% consulenza telefonica, 4,6, 1,1-19,0;
senza correzione p=0,034); tuttavia, dopo correzione per il
punteggio NIHSS sbilanciato al basale, la differenza non
era più significativa (p=0,17). Non sono state osservate
differenze nell’emorragia intracerebrale dopo trombolisi,
nel tempo fra decisione e decesso, nella percentuale di
decessi entro 2 giorni o nel decesso entro 7 giorni per
lo studio complessivo o per il sottogruppo sottoposto a
trombolisi (Tabella 5). Non vi era differenza tra i gruppi
nel trattamento degli ictus lievi (punteggio mRS 0-1)
con trombolitici (0% telemedicina vs 4% consulenza
telefonica; p=0,45).
Tutte le violazioni del protocollo al livello 2b sono
riportate nella Tabella 6. Le più comuni violazioni, in 6
pazienti nel gruppo della consulenza telefonica trattati con
trombolisi, includevano il trattamento più di 3 ore dopo
l’esordio dei sintomi o il trattamento quando i pazienti
stavano rapidamente migliorando o avevano sintomi
lievi. Le 2 violazioni nei pazienti nel gruppo della telemedicina trattati con trombolitici erano il trattamento di
un paziente che potrebbe essersi svegliato con vertigini
e il trattamento di un paziente senza aver escluso una
potenziale dissezione aortica. A 90 giorni, i 6 pazienti
del gruppo della consulenza telefonica hanno raggiunto
un punteggio medio di BI di 66, mentre i 2 pazienti del
gruppo della telemedicina hanno raggiunto un punteggio
medio di BI di 100.
In 14 consulenze telefoniche, l’opinione del gruppo
di assegnazione è stata che si sarebbe dovuto proporre
la terapia trombolitica (Tabella 6). I motivi includevano
sintomi lievi, meno di 3 ore dall’esordio, afasia isolata,
lievi alterazioni alla TC, sintomi fluttuanti, miglioramento
dei sintomi e insuccesso nel controllo della pressione
arteriosa. A 90 giorni, 12 pazienti nel gruppo della consulenza telefonica hanno raggiunto un punteggio medio
di BI di 89, 1 paziente è deceduto mentre per 2 pazienti
l’esito non era noto.
Le ragioni per una scelta appropriata di non trattare
erano un deficit lieve (n=25), un TIA o un rapido miglioramento dei sintomi (n=21), un’emorragia alla TC iniziale
(n=19), un quadro clinico che simulava un ictus (n=13),
crisi epilettiche all’esordio (n=3), una rilevante ipodensità
alla TC (n=2) e un aumento dell’International Normalized
Ratio (n=2).
L’analisi combinata delle caratteristiche demografiche
della NIHSS ha mostrato una differenza nella percentuale
di elementi non completati nelle cartelle cliniche (3%
telemedicina vs 12% telefono; OR 0,2, IC 95%, 0,1-0,3;
p <0,0001). Vi era una differenza nella quantità dei dati
mancanti per cinque fattori di rischio che potrebbero
influenzare l’esito del paziente: coronaropatia (3% telemedicina vs 10% telefono; p=0,05), iperlipidemia (7% vs
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Articoli
23%; p=0,002), storia familiare di ictus o TIA (18% vs
39%; p=0,0001), uso di alcool (9% vs 34%; p <0,0001) e
di tabacco (9% vs 31%; p <0,0001).
Per la NIHSS, vi erano differenze nei dati non completati
per le domande sulla perdita di coscienza (1% telemedicina
vs 10% telefono; p=0,005), mancata risposta agli ordini
(1% vs 8%; p=0,019), sguardo (1% vs 16%; p <0,0001),
campi visivi (1% vs 35%; p <0,0001), faccia (1% vs 8%;
p=0,019), arto inferiore sinistro (1% vs 7%; p=0,035),
atassia (1% vs 35; p <0,0001), sensibilità (1% vs 15%; p
<0,0001), disartria (1% vs. 9%; p=0,010) e neglect (1% vs
40%; p <0,0001).
Le valutazioni indipendenti dal sito sono stati fatte in
110 (99%) consulenze di telemedicina. Di queste, 15 (14%)
hanno utilizzato la tecnologia wireless – 802.11 (14) ed
EVolution, Data-Optimized (EV-DO) broadband wireless
(1) – e 99 (87%) la rete locale (local area network, LAN)
con accesso a internet.
Le consulenze sono state eseguite in modo uniforme
tra i siti, i medici dei dipartimenti di emergenza dei
centri satelliti e i consulenti. 31 (14%) consulenze sono
state eseguite al sito uno, 121 (55%) al sito due, 19 (9%)
al sito tre e 51 (23%) al sito quattro. 48 medici dei dipartimenti di emergenza dei centri satelliti hanno richiesto
le consulenze: 18 (38%) medici hanno avviato una sola
consulenza, mentre 34 (71%) hanno avviato tra una e cinque consulenze. Solo cinque medici (10%) hanno avviato
più di dieci consulenze e solo un medico (2%) ha avviato
più di 12 consulenze.
Gruppo Trombolisi Motivo del disaccordo 1
Telefono N
2
Telefono N
3
Telefono N
4
Telefono S
5
Telefono N
6
Telefono N
7
Telefono N
8
Telefono N
9
Telefono S
10 Telefono N
11 Telefono S
12 Telefono N
13 Telefono S
14 Telefono N
15 Telefono N
16 Telefono N
17 Telefono N
18 Telefono S
19 Telemedicina S
20 Telemedicina S
21 Telefono S
22 Telefono N
Il consulente uno del centro coordinatore ha eseguito
93 (42%) consulenze, il consulente due 67 (30%) e il
consulente tre 62 (28%).
In 12 (19%) teleconsulenze sono state rilevate problematiche tecniche. Solo una di esse (1%) non è stata risolvibile
a causa di un guasto tecnico, ma questo caso è stato incluso
nell’analisi intention-to-treat. Delle altre 11 osservazioni,
6 erano relative a problemi con l’interfaccia radiologica, 3
a difficoltà audio, 1 al mancato controllo della fotocamera
e 1 al ritardo nell’ottenere il consenso via fax.
Non vi erano differenze nella diagnosi. Solo 17 (8%)
pazienti sono stati dimessi dal dipartimento di emergenza con una diagnosi differente da ictus o TIA. Benché i
pazienti potessero essere esclusi per varie ragioni, le più
comuni cause di esclusione dalla trombolisi erano più di
3 ore dall’insorgenza (43% telefono vs 60% telemedicina;
senza correzione p=0,03), sintomi lievi o in risoluzione
(52% telefono vs 34% telemedicina; senza correzione
p=0,02), deficit non misurabile (42% telefono vs 33%
telemedicina; p=0,26) ed esordio non noto (28% telefono
vs 23% telemedicina; p=0,48).
Discussione
I risultati di questo studio prospettico, in cieco, randomizzato, dimostrano che la telemedicina è efficace per
l’assunzione di decisioni mediche in condizioni acute. La
telemedicina dell’ictus è ampiamente utilizzata e discussa,8,14,18,20-23 ma nonostante la sua diffusione la sua efficacia
non era mai stata precedentemente dimostrata. I nostri
ICH Lo si sarebbe dovuto trattare, lieve ipostenia a un arto e NIHSS=3 N
Il paziente non si è svegliato con un deficit, ma lo ha notato in bagno; N
probabilmente nella finestra di 3 ore, lo si sarebbe dovuto trattare
Lo si sarebbe dovuto trattare, lieve deficit N
Decisione troppo affrettata; pressione arteriosa >185 mmHg e avrebbe dovuto N
essere rivalutato perché era ancora entro la finestra di 3 ore
Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi predominanti N
Non TIA; si sarebbe dovuta trattare l’afasia N
Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi lievi N
Lo si sarebbe dovuto trattare con ipodensità precoce (probabilmente solo N
alterazioni ischemiche precoci)
Non lo si sarebbe dovuto trattare; probabilmente >3 ore N
Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia (il paziente era un insegnante) N
Ferita aperta; si sarebbe dovuta attendere la misurazione della glicemia N
Sintomi fluttuanti; si sarebbe dovuto attendere di più N
Non lo si sarebbe dovuto trattare; >3 ore N
Non TC; lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi lievi N
Lo si sarebbe dovuto trattare, sintomi in miglioramento N
Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia e ipostenia N
Nessun tentativo di abbassare la pressione arteriosa e il paziente aveva deficit misurabili N Lievi deficit sensoriali isolati; non lo si sarebbe dovuto trattare N
Possibilità di dissezione aortica non completamente esclusa N
Tempo di esordio discutibile per un ictus della circolazione posteriore (paziente N
svegliatosi con vertigini)
Non lo si sarebbe dovuto trattare a causa del criterio di esclusione della pressione N
arteriosa
Lo si sarebbe dovuto trattare, afasia, disartria e perdita della sensibilità N
Esiti a 90 giorni
BI=100, mRS=0
Decesso
BI=100, mRS=0
BI=75, mRS=4
BI=100, mRS=0
BI=85, mRS=3
Consenso ritirato
BI=80, mRS=3
BI=100, mRS=0
BI=100, mRS=0
BI=10, mRS=5
Perso al follow-up
BI=100, mRS=2
BI=100, mRS=0
BI=100, mRS=1
BI=100, mRS=1
BI=100, mRS=0
BI=55, l’mRS=4
BI=100, mRS=0
BI=100, mRS=2
BI=75, mRS=4
BI=100, mRS=1
Motivi dei disaccordi di assegnazione a livello primario di assegnazione (livello 2b), che comprende il numero di disaccordo a tale livello. S=sì. N=no. NIHSS=punteggio della National
Institutes of Health Stroke Scale. ICH=emorragia intracerebrale. BI=indice di Barthel. mRS=punteggio della scala di Rankin modificata.
Tabella 6: Disaccordi di assegnazione
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Articoli
risultati sostengono l’uso della telemedicina nell’assunzione di decisioni urgenti relative al trattamento, come
l’uso della terapia trombolitica nell’ictus acuto.
Gli attuali tassi di uso della terapia trombolitica sono
bassi e potrebbero essere aumentati;1,24,25 i nostri dati
mostrano che ciò si potrebbe conseguire con una maggiore
disponibilità di specialisti dell’ictus. L’assistenza telefonica
aumenta i trattamenti,13 ma, come abbiamo dimostrato,
la telemedicina è preferibile perché migliora il numero di
decisioni corrette. I medici dei dipartimenti di emergenza
che esitano a eseguire il trattamento trombolitico, nonostante desiderino farlo e siano in grado di identificare i
pazienti che possono trarne beneficio, potrebbero sentirsi
più a proprio agio con il supporto della telemedicina.26-28
Nonostante l’elevato numero di decisioni corrette prese
in questo studio, gli esiti funzionali a 3 mesi (definiti
come percentuale di pazienti con punteggio del BI di
95-100 o punteggio dicotomizzato mRS [0-1]) non sono
risultati diversi tra i gruppi. L’elevato tasso di trattamento
con trombolitici nel gruppo della consulenza telefonica
potrebbe essere stato la ragione di tale assenza di differenza; ulteriori analisi dimostreranno se eventuali differenze
nella fase di assistenza dopo l’ictus hanno influenzato i
risultati. Sebbene questo studio non avesse la potenza per
dimostrare il miglioramento degli esiti funzionali, anche
la mancata dimostrazione di un vantaggio funzionale
per la telemedicina potrebbe essere stata determinata
dalla ridotta dimensione del campione (lo studio è stato
interrotto precocemente) e dai più gravi deficit al basale
nel gruppo assegnato alla telemedicina.
Nel gruppo della telemedicina ci potrebbe essere stato
un aumento della capacità di completare la NIHSS, in
particolare per i reperti più lievi, che ha portato a una
differenza nei punteggi NIHSS al basale non corretti tra
i due gruppi. L’incompleta acquisizione dei dati potrebbe
aver contribuito al minore punteggio NIHSS nel gruppo
sottoposto a consulenza telefonica. Il consulente era certificato per la NIHSS e ha diretto l’esame NIHSS in entrambi
i gruppi; tuttavia, ha parlato con medici che potrebbero
non essere stati certificati per la NIHSS. Queste caratteristiche sostengono l’uso della telemedicina per ottenere
un punteggio NIHSS più accurato, ma hanno reso più
difficili i confronti diretti dei punteggi NIHSS nello studio.
Per correggere in modo più rigoroso per gli squilibri della
gravità al basale, abbiamo adattato la NIHSS escludendo
dal punteggio NIHSS totale di entrambi i gruppi le tre
voci che erano più spesso incomplete. Dopo aver corretto
per le voci mancanti, il gruppo della telemedicina aveva
ancora un punteggio totale più elevato rispetto al gruppo
della consulenza telefonica. In base al punteggio NIHSS,
il gruppo della telemedicina aveva ictus più gravi. Un
risultato simile è stato osservato per il punteggio mRS
(0-1); ciò conferma ulteriormente la maggiore gravità
dell’ictus nel gruppo della telemedicina.
Lo STRokE DOC è stato disegnato per confrontare due
tecniche di consulenza, non per valutare l’efficacia dei
trombolitici. Il sottogruppo della telemedicina sottoposto
180
02 Lancet.indd 180
a trombolisi aveva un elevato punteggio NIHSS al basale
(media=16) e un’elevata percentuale di partecipanti con
coronaropatia (26%), diabete (32%) e ipertensione (32%),
che avrebbe potuto influenzare l’esito dei pazienti. La
mortalità a 90 giorni nel sottogruppo della telemedicina
sottoposto a trombolisi era superiore a quella di altri
lavori sull’uso della telemedicina su larga scala, che
avevano mostrato miglior esito funzionale e minore
mortalità.15,16
A causa del ridotto numero di pazienti sottoposti a terapia trombolitica nel gruppo della telemedicina, i risultati
delle analisi di mortalità del sottogruppo non corretti
dovrebbero essere considerati con cautela e potrebbero
essere dovuti al caso. Dopo correzione per lo sbilanciamento nel punteggio NIHSS basale, la differenza di
mortalità nel sottogruppo sottoposto a trombolisi non è
risultata significativa. Il risultato non era più significativo
anche dopo correzione per i confronti multipli. Siamo stati
rassicurati dal fatto che non vi era differenza nei tassi di
emorragia intracerebrale o di decesso precoce dopo terapia
trombolitica, e che gli esiti funzionali a 90 giorni non
erano diversi per il BI (95-100) o l’mRS. Il risultato per il
sottogruppo non corretto è in contraddizione con quello
di altri studi clinici: la mortalità non corretta dei pazienti
nel sottogruppo della consulenza telefonica trattati con
trombolitici è stata inferiore a quella per i pazienti trattati
con trombolitici nello studio NINDS,3 e la mortalità non
corretta nei pazienti nel sottogruppo della telemedicina
trattati con trombolitici è stata superiore a quella riportata
nei recenti ampi studi sulla telemedicina,15,16 che hanno
dimostrato una mortalità inferiore dopo terapia trombolitica guidata dalla telemedicina.
Non si dovrebbero fare confronti diretti tra studi con
diverse popolazioni di pazienti o diversi protocolli di
assistenza dopo l’ictus. Invece, studi più grandi con un
maggior numero di pazienti trattati con trombolitici dopo
consulenze di telemedicina potrebbero misurare in modo
più appropriato la mortalità a lungo termine dei pazienti
con ictus valutati mediante telemedicina.
Anche se non abbiamo specificamente valutato la
sicurezza dopo la trombolisi, sono stati analizzati i tassi
di emorragia intracerebrale post-trombolisi perché possono essere la conseguenza di un’inadeguata gestione
post-trombolitica e rappresentano il principale motivo
di preoccupazione. Il tasso di emorragia intracerebrale
(7-8%) era simile in entrambi i bracci dello studio ed era
compatibile con i tassi riportati negli studi precedenti;3,29
ciò fa pensare che il trattamento post-trombolisi sia stato
adeguato ed equilibrato.
Poiché i dati del gruppo della consulenza telefonica
erano meno completi, non abbiamo corretto per i più
gravi fattori di rischio né per il maggior numero di
reperti riscontrati alla TC nel gruppo della telemedicina.
I referti TC nel gruppo della consulenza telefonica erano
basati sull’iniziale interpretazione fornita dal radiologo
locale al dipartimento di emergenza. Nel braccio della
consulenza telefonica, nessuna immagine è stata vista
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Articoli
da un consulente; è possibile che eventuali anomalie lievi
successivamente riportate nel referto finale del radiologo
siano state omesse dal referto locale. La differenza nel
numero di TC normali potrebbe anche essere dovuta
alla più dettagliata lettura iniziale da parte del neurologo
vascolare nel gruppo della telemedicina. Pertanto, non
abbiamo corretto per il maggior numero di reperti riportati
alla TC nel gruppo della telemedicina perché potrebbero
essere degli artefatti. È in corso una revisione completa
centralizzata di tutte le immagini.
Non siamo intervenuti nel programma post-trombolisi o post-assistenza dei centri satelliti dello studio, ma
abbiamo valutato solo una singola variabile della consulenza tecnica. I ricercatori di altri studi stanno valutando
la combinazione di telemedicina e Stroke Unit.30 Una
percentuale più elevata di pazienti del gruppo della consulenza telefonica trattati con trombolitici è stata trasferita
al centro di coordinamento (18 su 31 nel gruppo della
telemedicina e 19 su 25 nel gruppo della consulenza
telefonica, OR 0,44, IC 95% 0,11-1,59; p=0,26). Anche se
non statisticamente significativi, questi dati indicano la
necessità di ulteriori studi.
La durata della consulenza è stata stimata considerando
gli intervalli di tempo registrati, indicando il momento
di inizio della consulenza come tempo del consenso. Nel
braccio della consulenza telefonica i tempi per arrivare
all’esame neurologico sembrano essere più brevi perché
l’esame effettuato dal medico del dipartimento di emergenza è stato talora riferito al momento della discussione
telefonica, mentre nel braccio della telemedicina il consulente ha completato personalmente l’anamnesi prima
di eseguire l’esame obiettivo.
Ottenere il consenso richiede una discussione e questo
elemento era essenziale in questo studio.31 Dopo aver
ottenuto il consenso, la consulenza mediante telemedicina è stata più lunga (10 minuti) rispetto alla consulenza telefonica, poiché il medico della telemedicina ha
raccolto l’anamnesi, eseguito l’esame obiettivo e rivisto
le immagini. Il miglioramento del processo decisionale
con la telemedicina potrebbe giustificare questa differenza
temporale, anche se sono necessari studi a lungo termine di esito dei pazienti. La favorevole quantità di tempo
necessaria per la consulenza di telemedicina (32 minuti) è
probabilmente inferiore a quella della consulenza al letto
del malato, con il vantaggio di eliminare il tempo necessario per gli spostamenti dei pazienti e dei medici.
I nostri risultati sottolineano l’esigenza di efficienti
politiche relative ai codici per l’ictus e di rapide strategie
di trattamento. I tempi dei codici per l’ictus non sono
risultati in genere diversi tra i gruppi. Se il consulente
fosse stato contattato immediatamente, senza la necessità
di ottenere un consenso, questi tempi sarebbero stati più
simili a quelli delle linee guida degli USA.32 Il più breve
tempo decisionale per il trattamento trombolitico (6 minuti
in meno per la telemedicina) indica che la telemedicina
potrebbe contribuire a ridurre quantitativamente la perdita
neuronale.33 Questa riduzione di tempo potrebbe essere
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derivata dalla costante presenza e dall’incoraggiamento del
medico della telemedicina durante questo periodo.
La telemedicina migliora la capacità dei consulenti di
ottenere informazioni prima di assumere le decisioni
terapeutiche. La completezza dei dati relativi ai principali
fattori di rischio e alle voci della NIHSS è stata maggiore
nel gruppo della telemedicina che nel gruppo della consulenza telefonica. Pur in presenza di un incoraggiamento
del medico del centro satellite a tornare al letto del malato
per rivalutare l’anamnesi e alcuni elementi dell’esame neurologico, la NIHSS era rimasta spesso incompleta. Le voci
della NIHSS che avevano più del 15% di dati mancanti nel
gruppo della consulenza telefonica sono anche le voci di cui
in precedenza era stata documentata la scarsa affidabilità
interosservatori (funzione visiva, campo visivo, atassia,
disturbi sensoriali e neglect).10,34,35 Non è noto quanto la
raccolta di dati incompleti influenzi direttamente il processo
decisionale, anche se potrebbe portare a errori.
Nonostante la complessità del sistema della telemedicina, i problemi tecnici non hanno influenzato il successo
del completamento dello studio. L’affidabilità dell’indipendenza del sito e della qualità della tecnologia dei servizi18
è dimostrata dal fatto che solo una consulenza non è stata
possibile a causa di un guasto tecnico.
Occorre considerate i limiti dello studio. Non è stato
possibile misurare l’aumento dell’uso dei trombolitici
perché non abbiamo raccolto dati relativi al periodo precedente lo studio. Tuttavia, durante l’anno che ha preceduto
l’inizio dello studio, solo in una struttura era presente un
neurologo nel dipartimento di emergenza e il trattamento
con trombolitici era raro. Un altro limite è che i codici
dell’ictus potrebbero non essere stati attivati per tutti i
pazienti con ictus che si sono presentati ai centri di riferimento; pertanto, il vero denominatore non è noto.
Abbiamo confrontato il braccio della telemedicina con
un braccio esclusivamente basato sulla consulenza telefonica perché molti medici dei dipartimenti di emergenza
tentano una discussione telefonica con gli specialisti
quando non è disponibile il consulente neurologo. Il
confronto della telemedicina con l’assenza di consulenza non sarebbe stato possibile ed è potenzialmente non
etico. Il disegno scelto, tuttavia, ha sottostimato il vero
beneficio della telemedicina perché non era confrontata
con placebo. Analogamente, il braccio della consulenza
telefonica non replica veramente una telefonata standard
informale perché i nostri consulenti sono stati meticolosi nel determinare il tempo di esordio (ad es., hanno
interpellato i testimoni), compilando schede dettagliate
e inserendo le raccomandazioni nella cartella clinica. È
possibile che queste caratteristiche, che sono insite in
uno studio clinico ma rare nella pratica clinica, abbiano
portato a consulenze più complete e a un minor numero
di disaccordi telefonici. L’uso del telefono nel mondo reale
avrebbe potuto essere meno efficace che nel nostro braccio
della consulenza telefonica.
Abbiamo messo in atto procedure per ridurre la possibilità di perdita della cecità da parte del comitato di asse181
10-12-2008 20:11:19
Articoli
gnazione. Queste regole hanno limitato il voto quando si
temeva che qualche membro dello SDAC avesse dedotto la
randomizzazione. Il consulente era il solo membro dello
SDAC che sapeva in quale braccio della randomizzazione
fosse stato incluso un paziente ed è stato fatto uscire
dalla stanza durante il voto al fine di ridurre al minimo
il rischio di perdita della cecità. I dati erano bloccati, e i
membri del gruppo sono rimasti in condizione di cecità
fino al completamento di tutte le assegnazioni. Anche
la possibilità di vedere personalmente le immagini TC
potrebbe in parte spiegare il miglioramento del processo
decisionale: riteniamo che la teleradiologia sia una parte
integrante della telemedicina e pertanto non abbiamo
separato le due componenti.
Abbiamo scelto un disegno intraospedaliero randomizzato per limitare gli effetti di apprendimento o Hawthorne
a un solo braccio dello studio o a una sola struttura,
che potrebbero non essere stati adeguatamente appaiati
fra di loro. Questo studio ha analizzato una variabile,
l’aggiunta della telemedicina alla valutazione dell’ictus,
senza modificare alcun protocollo assistenziale, per
evitare che si potesse ipotizzare che eventuali vantaggi
fossero dovuti al miglioramento dell’assistenza. 48 medici
dei dipartimenti di emergenza dei centri satelliti hanno
attivato le consulenze a partire da quattro diversi centri,
e la maggior parte dei medici è stata coinvolta solo in 1-5
consulenze. I numerosi siti e il limitato coinvolgimento
di un medico di un singolo dipartimento di emergenza
hanno ridotto al minimo qualsiasi effetto sostanziale di
apprendimento.
In sintesi, lo studio STRokE DOC ha stabilito il beneficio
della telemedicina rispetto alla consulenza telefonica, in
particolare per il processo decisionale medico in condizioni di acuzie. Poiché i trombolitici riducono la disabilità
correlata all’ictus quando somministrati correttamente,3,33,36
aumentarne l’uso in modo rapido e appropriato si tradurrà
in un beneficio per la salute pubblica. La telemedicina è
una soluzione valida che si può ora aggiungere alle opzioni
terapeutiche dell’ictus, poiché consente a un numero maggiore di medici di trattare l’ictus rapidamente e in modo
efficace, indipendentemente dal luogo in cui operano.
Tuttavia, è ancora necessario replicare questi risultati ed
eseguire studi a lungo termine sull’esito dei pazienti.
Contributi
BCM e PDL hanno ideato e progettato lo studio, partecipato
all’acquisizione, all’analisi e all’interpretazione dei dati, all’elaborazione
e alla revisione del manoscritto, fornito sostegno amministrativo,
tecnico e materiale e hanno eseguito la supervisione dello studio. PDL
ha ottenuto il finanziamento. RR ha partecipato alla progettazione
dello studio, all’analisi e all’interpretazione dei dati, alla revisione del
manoscritto e all’analisi statistica. TH ha partecipato all’acquisizione,
all’analisi e all’interpretazione dei dati e alla revisione del manoscritto.
RO ha partecipato all’acquisizione dei dati e alla revisione del
manoscritto e ha eseguito la supervisione dello studio. JAZ ha ideato
e progettato lo studio, partecipato all’analisi e all’interpretazione dei
dati, rivisto il manoscritto, fornito sostegno amministrativo, tecnico e
materiale e ha eseguito la supervisione dello studio. RR ha partecipato
alla revisione del manoscritto e fornito sostegno amministrativo, tecnico
e materiale. RGT ha partecipato all’analisi e all’interpretazione dei dati,
alla revisione del manoscritto, all’analisi statistica e alla supervisione
182
02 Lancet.indd 182
dello studio. Tutti gli autori hanno visionato e approvato la versione
definitiva del manoscritto.
Conflitti di interesse
Non abbiamo conflitti di interesse.
Ringraziamenti
Questo lavoro è stato sostenuto dal National Institute of Neurological
Disorders and Stroke (NINDS) (P50NS044148), dal California Institute
of TelecommunicationsTechnology (Cal(IT)2), e dal Department
of Veterans’ Affairs Research Division. La strumentazione per la
telemedicina (AccessVideoTM) è stata fornita da BF Technologies.
Ringraziamo le strutture partecipanti (Pioneers Memorial Hospital,
El Centro Regional Medical Center, Palomar Medical Center e Twin
Cities Memorial Hospital) e i centri di ricerca che hanno collaborato:
Mayo-Scottsdale (strutture partecipanti Yuma Regional Medical Center
e Kingman Regional Medical Center) e Columbia University (strutture
partecipanti Pallisades Hospital e New Milford Hospital). Vogliamo
ringraziare i medici dei centri satelliti (Michael Berger, George
Rodriguez, George Lum e Jaime Rivas) e quelli del centro coordinatore
(Bart Demaerschalk e Chong Ji). Vorremmo anche ringraziare per la
sostanziale assistenza fornita Lama Al-Khoury, John Beer, Aitziber Aleu
Bonaut, Marcus Chacón, Yu Cheng, Jim Dunford, Karin Ernstrom,
Chris Fanale, Ron Fellman, Kama Guluma, Greg Haase, Thilo
Hoelscher, Christy Jackson, Matt Jensen, Julie Jurf, Scott Olson, Justin
Sattin, MaryAnn F Stewart e Janet D Werner.
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183
10-12-2008 20:11:20
Rassegne
RM nella sclerosi multipla: stato attuale e prospettive future
Rohit Bakshi, Alan J Thompson, Maria A Rocca, Daniel Pelletier, Vincent Dousset, Frederik Barkhof, Matilde Inglese, Charles R G Guttmann,
Mark A Horsfield, Massimo Filippi
Lancet Neurol 2008; 7: 615-25
Center for Neurological
Imaging, Partners Multiple
Sclerosis Center, Departments
of Neurology and Radiology,
Brigham and Women’s
Hospital, Harvard Medical
School, Boston, MA, USA
(R Bakshi MD, C R G Guttmann
MD); Department of Brain
Repair and Rehabilitation,
NMR Unit, Institute of
Neurology, University College
London, London, UK
(A J Thompson MD);
Unità di Neuroimmagini,
Istituto Scientifico e
Università
Ospedale San Raffaele, Milano
(M A Rocca MD, M Filippi MD);
Department of Neurology,
University of California San
Francisco, San Francisco, CA,
USA (D Pelletier MD);
Laboratory of the
Neurobiology of Myelin
Diseases, Victor Segalen
University, Bordeaux, France
(V Dousset MD); Department
of Radiology, VU University
Medical Centre, Amsterdam,
Netherlands (F Barkhof MD);
Department of Radiology,
New York University School of
Medicine, New York, NY, USA
(M Inglese MD); and
Department of Cardiovascular
Sciences, University of
Leicester, Leicester, UK
(M A Horsfield PhD)
Corrispondenza:
Massimo Filippi,
Unità di Neuroimmagini,
Dipartimento di Neurologia,
Istituto Scientifico
e Univeristà Ospedale
San Raffaele,
via Olgettina 60, 20132, Milano
[email protected]
Sono recentemente emersi, o sono in fase di sviluppo o di perfezionamento, molti promettenti approcci di RM per la
ricerca o la gestione clinica della sclerosi multipla (SM). È necessario valutare i metodi avanzati di RM per determinare
se consentano una diagnosi più precoce o una migliore identificazione dei fenotipi. Il miglioramento della fase di postelaborazione dovrebbe permettere un’estrazione più efficiente e completa di informazioni dalle immagini. La sensibilità
e la specificità della spettroscopia con risonanza magnetica dovrebbero migliorare con l’uso di campi più elevati e permettere di individuare una più ampia gamma di metaboliti. Le immagini in diffusione si stanno avvicinando all’obiettivo
di definire la connettività strutturale e, di conseguenza, di determinare il significato funzionale delle lesioni in sedi
specifiche. Sembra ora possibile eseguire studi di immagine cellula-specifici con i nuovi mezzi di contrasto della RM.
Le immagini della frazione d’acqua della mielina prospettano la speranza di fornire una misura specifica del contenuto
di mielina. La RM a campi molto alti ha una maggiore sensibilità, ma comporta anche nuove sfide tecniche. In questo
articolo, esaminiamo i recenti sviluppi della risonanza magnetica per la SM e analizziamo anche i perfezionamenti delle
immagini del midollo spinale e del nervo ottico, della perfusione con RM e della RM funzionale. I progressi nella RM
dovrebbero migliorare la nostra capacità di diagnosticare, monitorare e conoscere la fisiopatologia della SM.
Introduzione
La RM sta svolgendo un ruolo sempre più rilevante nella
ricerca scientifica e nella gestione clinica della sclerosi
multipla (SM). Tuttavia, sono emersi numerosi limiti,
come la bassa sensibilità della RM convenzionale per il
coinvolgimento della sostanza grigia e per i danni diffusi
della sostanza bianca. Inoltre, la RM convenzionale è solo
parzialmente correlata alle condizioni cliniche. Poiché si
stanno sviluppando nuovi usi per la RM convenzionale
e continuano a comparire nuove metodiche di RM non
convenzionale, stiamo acquisendo informazioni sulle varie
alterazioni tissutali presenti nei pazienti con SM. Tuttavia,
è necessario rifinire le tecniche e validare clinicamente gli
strumenti disponibili per poterli applicare più correttamente.
Il nostro obiettivo è di riesaminare i più promettenti approcci
della RM nella SM recentemente emersi o attualmente in
fase di sviluppo. Spiegheremo come queste nuove tecniche colmeranno i vuoti nell’attuale conoscenza della SM
e miglioreranno la capacità di diagnosticare, monitorare e
definire la fisiopatologia della malattia. Gli argomenti discussi includeranno la diagnosi e la classificazione dei pazienti,
i nuovi usi dei dati ottenuti con la RM convenzionale, la
spettroscopia del protone con risonanza magnetica (1HMRS), le immagini con trasferimento di magnetizzazione, le
immagini in diffusione, la risonanza magnetica funzionale,
le immagini del nervo ottico, le immagini del midollo spinale, le immagini della frazione d’acqua della mielina (MWF,
myelin water fraction), la perfusione con RM e la RM con
intensità di campo superiori a 1,5 T. Le sezioni inizieranno
con un breve riassunto dello stato attuale, seguito da una
discussione dei bisogni insoddisfatti e delle nuove tecniche
o approcci per fare fronte a tali esigenze.
Stato attuale e futuro prossimo
Diagnosi e classificazione
Negli ultimi anni è stato pubblicato un numero senza precedenti di articoli che hanno affrontato i criteri diagnostici
184
03 Rassegne okok.indd 184
della SM, soprattutto a seguito del crescente uso della RM,
portando ad accettare che la RM può fornire indicazioni
sulla diffusione sia spaziale sia temporale,1 oltre al suo ruolo
stabilito di escludere le condizioni clinicamente simili alla
SM.2 Con l’avvento della RM, i ricercatori hanno prudentemente garantito che i criteri diagnostici avessero un’elevata
specificità, spesso a scapito della sensibilità.3 Il cambiamento fondamentale in questi ultimi anni è stato diretto alla
semplificazione dei criteri diagnostici, per renderli più facili
da usare aumentandone la sensibilità e mantenendone la
specificità.4,5 Pertanto, i criteri di McDonald modificati del
20051 hanno un approccio più semplice relativamente alla
diffusione temporale e, più recentemente, è stata proposta un’ulteriore semplificazione in termini di diffusione
temporale e spaziale.6,7 Questi criteri più recenti si sono
dimostrati lievemente più sensibili rispetto ai criteri originali
di McDonald del 20013 e a quelli rivisti del 2005,1 pur mantenendo un’elevata specificità.6,7 In particolare potrebbero
consentire una diagnosi affidabile di SM durante l’anno
successivo all’esordio di una tipica sindrome clinicamente
isolata suggestiva di SM. Il principale vantaggio dei nuovi
criteri è che non richiedono l’uso di mezzi di contrasto, con
un conseguente risparmio di tempo e costi.6 Lo svantaggio è
la lieve perdita di informazioni per la diagnosi differenziale;
di conseguenza, i nuovi criteri devono essere impiegati con
cautela nei pazienti più anziani.
Le sfide da affrontare comprendono la raccolta di migliori
evidenze ai fini della determinazione del preciso ruolo delle
lesioni che si osservano alla RM convenzionale del midollo
spinale e la valutazione dell’utilità di questi criteri diagnostici in studi prospettici in centri non specializzati. Ulteriori
contributi della RM potrebbero provenire dalla possibilità
di misurare l’entità delle lesioni dei tessuti, comprese le
alterazioni diffuse della sostanza bianca di aspetto normale,
e dalla possibile maggiore sensibilità dei sistemi a campi più
elevati per lesioni più modeste.8 Abbiamo anche bisogno di
sapere se i metodi avanzati di RM siano in grado di fornire
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Rassegne
una migliore valutazione del rischio di conversione da una
sindrome clinicamente isolata alla SM rispetto a quella che
si può ottenere con i metodi convenzionali di immagine.
Nei pazienti con SM stabilita è difficile fare una classificazione effettuata in base ai quadri RM di coinvolgimento
del SNC, e la differenziazione tra una sindrome clinicamente isolata, la SM recidivante-remittente (RRMS) e la
SM secondaria progressiva viene vista come poco più di un
aumento graduale del carico lesionale, una riduzione del
volume cerebrale e un aumento diffuso delle alterazioni nel
tessuto cerebrale di aspetto normale. Vi è accordo generale
sul fatto che i pazienti con SM primaria progressiva hanno
un minor numero di lesioni nell’encefalo e forse una
minor presa di contrasto nel SNC,9 anche se si tratta di una
differenza più relativa che assoluta. A mano a mano che
le tecniche di RM diventeranno più specifiche dal punto
di vista patologico potranno offrire la possibilità di verificare la classificazione patologica proposta da Lassmann e
collaboratori.10 Benché sia improbabile che le tecniche di
RM progrediscano nel prossimo futuro fino a consentire
una classificazione biologica accurata e diretta della SM,
la RM fornirà vari approcci per correlare il fenotipo dei
pazienti con SM a queste classificazioni biologiche.
Nuovi impieghi dei dati della RM convenzionale
Misure basate sulle lesioni
La valutazione con RM convenzionale delle lesioni rilevate
con immagini pesate in T1 e T2 senza mezzo di contrasto e con quelle pesate in T1 con gadolinio rappresenta
un’importante modalità per monitorare il decorso della
malattia.11 Tuttavia, i limiti della RM convenzionale comprendono la debole associazione con le condizioni cliniche
e la mancanza di sensibilità per altri reperti clinicamente
rilevanti, come le lesioni della sostanza grigia e il danno
diffuso della sostanza bianca.12,13
Sono emersi nuovi approcci nel campo della gestione
dei dati e della post-elaborazione. Un approccio implica
l’analisi seriale di immagini per studiare modificazioni
di segnale pixel-wise dinamiche relative all’evoluzione
della lesione.14 Attraverso questo approccio, i cambiamenti
nella modalità di progressione all’interno delle singole
lesioni potrebbero indicare uno spostamento globale
della malattia da processi patologici più infiammatori a
processi patologici più degenerativi, preannunciando infine la comparsa di atrofia e di disabilità clinica correlata.14
Un altro approccio connesso, noto come sottrazione di
immagini, visualizza i cambiamenti nel tempo tra due
scansioni in una singola mappa.15 Questo metodo presenta
una maggiore sensibilità per l’evoluzione delle lesioni
rispetto alle analisi qualitative (Figura 1). Infine, le misure
basate sulla lesione possono essere combinate con misure
effettuate mediante tecniche avanzate di RM di integrità
dei tessuti, come la 1H-MRS, le immagini in diffusione e
quelle con trasferimento di magnetizzazione, utilizzando
mappe di probabilità voxel-wise e approcci di distribuzione
spaziale. Queste tecniche RM avanzate saranno discusse
successivamente in modo più dettagliato.
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Figura 1: Cambiamento delle lesioni nella SM nel corso del tempo mediante l’uso di un metodo di sottrazione
che comporta la normalizzazione delle immagini, la correzione delle disomogeneità e la co-registrazione
Una nuova lesione juxtacorticale (freccia) in una donna di 44 anni con SM recidivante-remittente che è stata
esaminata al basale e dopo 3 anni. La lesione juxtacorticale è difficile da apprezzare nelle immagini native spinecho densità protonica, confrontando le scansioni basali (A) e del follow-up (B), ma è chiaramente visibile nelle
immagini con sottrazione (C). In tutte le immagini il cranio è stato rimosso. Si vedono minimi artefatti sul bordo
esterno della superficie del cervello dovuti a lievi errori di registrazione. Adattata, per gentile concessione della
American Society of Neuroradiology.15
Misure basate sull’atrofia
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rapida crescita
di interesse per la misurazione dell’atrofia del SNC nella
SM. Questi sviluppi sono stati alimentati dall’uso di tecniche RM che permettono di determinare la topografia e
l’entità dell’atrofia, con la possibilità di visualizzare questo
processo con un’accuratezza inferiore a un voxel (Figura
2).16 Gli approcci basati sulla RM consentono di misurare
in un periodo di tempo relativamente breve variazioni
del volume cerebrale ben correlate alla compromissione
cognitiva.17 Un interessante sviluppo è l’esplorazione delle
associazioni tra quadri regionali di atrofia e specifiche
compromissioni funzionali usando la morfometria basata
sui voxel.18,19 Per andare oltre i semplici volumi di tessuto
danneggiato, abbiamo bisogno di capire, ad esempio,
i rapporti tra atrofia regionale e danno delle vie della
sostanza bianca e il loro impatto clinico. Se con la RM con
Figura 2: Guadagno o perdita di volume cerebrale, determinato da scansioni
RM seriali
Usando un software basato sulla registrazione si possono determinare il volume
di guadagno (rosso) o perdita (blu) cerebrale con un’accuratezza inferiore a un
voxel da scansioni RM seriali. Attualmente è difficile prevedere perché alcuni
pazienti (sinistra) hanno poca atrofia (0,29% di perdita di volume cerebrale
all’anno), mentre altri (a destra) hanno un elevato tasso di atrofia (2,2% di
perdita di volume cerebrale all’anno).
185
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tensore di diffusione fosse possibile eseguire una mappa
dettagliata dell’architettura della sostanza bianca,20 allora
dovrebbe essere possibile integrare misure quantitative
di danno tissutale lungo fasci di fibre di significato funzionale noto per ottenere una valutazione clinicamente
più rilevante del carico di malattia.
La distribuzione topografica della perdita di volume
cerebrale è emersa come una fondamentale sfida da
affrontare. Nei pazienti con SM la perdita di tessuto sembra
colpire la sostanza grigia più di quella bianca; inoltre, tra
le strutture della sostanza grigia, i gangli della base e il
talamo sono quelle più suscettibili all’atrofia.16 Restano da
determinare i migliori metodi per la segmentazione e la
caratterizzazione dell’atrofia della sostanza grigia. Uno dei
problemi è l’errata classificazione delle lesioni della sostanza bianca come lesioni della sostanza grigia, che richiede
una correzione manuale. Un’altra variabile è la gamma dei
metodi disponibili per determinare l’atrofia regionale della
sostanza grigia, come la segmentazione completamente
automatizzata (ad es., la morfometria basata sui voxel)18,19
e quella semi-automatica (basata su atlanti).21,22
Gli studi clinici stanno ora includendo la misurazione del volume cerebrale per determinare l’efficacia dei
trattamenti sperimentali.16,23 Tuttavia, benché si ritenga
che le variazioni del volume cerebrale siano indicative
di atrofia cerebrale, elementi confondenti sono gli effetti
degli agenti osmotici (ad es., l’alcool) e dei fattori che
modificano il naturale processo di invecchiamento, come
lo stato di APOE.16 Recenti studi terapeutici hanno dimostrato una riduzione del volume cerebrale dopo l’inizio
del trattamento immunomodulante con corticosteroidi,
natalizumab, interferone beta o dopo immunoablazione
seguita da trapianto di cellule staminali.16,23-25 Tali modificazioni a breve termine potrebbero essere in parte dovute a
effetti osmotici e antinfiammatori, condizione nota come
pseudoatrofia. È necessario lavorare ancora per riuscire a
differenziare l’atrofia vera dalla pseudoatrofia, forse con
l’uso di sequenze avanzate di risonanza magnetica in
grado di distinguere la perdita assonale dai cambiamenti
transitori del contenuto di acqua.
Una domanda più sostanziale è: “che cosa induce l’atrofia cerebrale?”.26 Il numero e il volume delle lesioni focali
visibili nelle immagini pesate in T2 hanno una certa correlazione con il grado di atrofia, ma, ancora più importante,
la perdita di volume cerebrale sembra essere determinata
dai cambiamenti che si verificano nella sostanza bianca e
nella sostanza grigia di aspetto normale.27,28 È necessario
eseguire altri studi per comprendere l’interrelazione tra
demielinizzazione, perdita neuronale o assonale, neurodegenerazione e volume cerebrale (alterazioni) prima di
poter utilizzare in modo affidabile questa misura di RM
per assumere decisioni terapeutiche e gestionali.
Nuovi mezzi di contrasto
Figura 3: Disaccoppiamento tra gadolinio e particelle ultrapiccole di ossido di
ferro (USPIO) in una lesione acuta in un paziente con SM
La lesione è iperintensa all’immagine in T2 spin-echo (A), ma non assume
gadolinio nell’immagine in T1 (B). Nell’immagine in T2 dopo USPIO (C),
l’assunzione di USPIO porta a una diminuzione dell’intensità del segnale
(accorciamento T2) dovuta al ferro. Tuttavia, la lesione assume contrasto dopo
somministrazione di USPIO nell’immagine in T1 (D). Riprodotta per gentile
concessione della American Society of Neuroradiology.29
186
03 Rassegne okok.indd 186
Alle scansioni di RM convenzionale, la presa di contrasto
delle lesioni dopo iniezione di gadolinio indica l’accumulo
del mezzo di contrasto nello spazio interstiziale dovuto
alla maggiore permeabilità della barriera emato-encefalica.
Attualmente è in corso un notevole sforzo per identificare
marcatori biologici della SM, in particolare sottopopolazioni di cellule e molecole importanti per la fisiopatologia
della SM. Nuovi mezzi di contrasto della RM costituiti
da particelle di ferro, particelle ultrapiccole di ossido di
ferro o particelle di ossido di ferro superparamagnetiche
sono stati utilizzati in pazienti con SM per identificare
i macrofagi (Figura 3).29,30 Due studi RM di pazienti con
RRMS che hanno utilizzato particelle di ossido di ferro
ultrapiccole e gadolinio hanno confermato una discordanza della presa di contrasto, indicativa di eterogeneità della
sottostante patologia.29,30 Le informazioni complementari
fornite dall’individuazione dei macrofagi con particelle
di ferro potrebbero svolgere un ruolo particolare nel
monitoraggio dell’efficacia dei farmaci diretti verso le
componenti cellulari dell’infiammazione.
Altri marcatori di infiammazione o disfunzione neuronale potrebbero essere l’obiettivo dei nuovi mezzi
di contrasto.31 L’attività mieloperossidasica nei tessuti
infiammati può essere rilevata e marcata in vivo da una
sonda di immagine molecolare “intelligente” sensibile alla
mieloperossidasi.32 Un altro nuovo mezzo di contrasto
RM a base di gadolinio, il Gadofluorine M, si accumula
selettivamente nelle fibre nervose in degenerazione
walleriana e appare iperintenso nelle immagini pesate
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in T1.33 La sicurezza di questi nuovi mezzi di contrasto
deve essere correttamente validata e valutata prima che
possa esserne determinato il ruolo nel monitoraggio
della malattia.
RM non convenzionale
1
H-MRS
La 1H-MRS può essere usata per misurare metaboliti come
l’N-acetil-aspartato. Una riduzione dell’N-acetil-aspartato
si associa a danno o disfunzione assonale/neuronale.
I composti contenenti colina sono spesso aumentati
nel corso della distruzione della mielina, della rimielinizzazione e dell’infiammazione. La concentrazione di
creatina aumenta con la densità delle cellule. L’aumento
di mioinositolo, che si trova soprattutto nelle cellule gliali,
è indicativo di proliferazione gliale e astrogliosi. Si possono anche misurare gli aminoacidi che agiscono come
neurotrasmettitori, come il glutammato, la glutammina
e il GABA (acido gamma-aminobutirrico).
Nelle lesioni attive di SM che assumono contrasto si
osservano aumenti di creatina, colina, mioinositolo e
glutammato, mentre l’N-acetil-aspartato può essere basso
o solo leggermente diminuito. Nella sostanza bianca di
aspetto normale si può osservare un quadro simile di
metaboliti anormali. Nelle tipiche lesioni croniche che non
assumono contrasto l’N-acetil-aspartato è notevolmente
ridotto, il mioinositolo è aumentato e le concentrazioni
di glutammato sono normali.34,35
Le opportunità offerte dai progressi nella 1H-MRS sono
le seguenti: (1) spettroscopia a breve tempo di echo, che
dovrebbe permettere l’individuazione di più metaboliti; (2)
intensità di campo superiori a 1,5 T per aumentare la risoluzione e il rapporto segnale-rumore; (3) miglioramento
nei metodi di quantificazione assoluta dei metaboliti per
evitare effetti di confondimento dell’analisi di rapporto
e (4) standardizzazione delle tecniche di acquisizione,
calibrazione, ricostruzione e quantificazione tra i diversi
tipi di scanner per studi clinici multicentrici.36
Sono in corso di studio altri metaboliti rilevanti per la
SM, come il glutatione, il GABA, l’acido ascorbico (vitamina C), e anche segnali macromolecolari (di sfondo). Tali
macromolecole, che possono essere meglio identificate
usando sequenze di inversion recovery,37 comprendono
valina, alanina, leucina, isoleucina e treonina, che insieme
rappresentano fino al 60% del contenuto della mielina.
La quantificazione di un così ampio profilo neurochimico
in vivo usando un unico metodo dovrebbe fornire informazioni sul ruolo della neurodegenerazione, della riparazione dei tessuti, della terapia antiossidante e dello stress
ossidativo nella SM. È in corso di sviluppo la 13C-MRS
iperpolarizzata, che può migliorare il segnale della RM
fino a 100.000 volte, per lo studio del metabolismo.38
mento di magnetizzazione (MTR), in cui un basso MTR è
indicativo di danni alla mielina e alle membrane assonali.39
Studi post-mortem hanno dimostrato in modo inequivocabile che l’MTR è fortemente associato alla percentuale di
assoni residui e al grado di demielinizzazione nelle lesioni
visibili in T2 e nel tessuto cerebrale di aspetto normale nei
pazienti con SM.40,41 Nelle lesioni SM acute e croniche sono
stati osservati vari gradi di riduzione dell’MTR.42 Questi
cambiamenti sono più netti in lesioni che appaiono come
ipointense in T1 e possono precedere la formazione delle
lesioni visibili in T2.42 La riduzione dell’MTR è stata anche
rilevata nella sostanza bianca e nella sostanza grigia di
aspetto normale dei pazienti con SM,43,44 e queste anomalie
sono più pronunciate nei pazienti con la forma progressiva
di SM e tendono a peggiorare nel tempo.42
Anche se sono stati compiuti sforzi significativi per
standardizzare l’acquisizione dei dati di trasferimento
di magnetizzazione tra i vari scanner,45 la RM con trasferimento di magnetizzazione è stata utilizzata solo in
alcuni studi e in gruppi selezionati di pazienti.42 Studi
preliminari hanno dimostrato che la RM con trasferimento di magnetizzazione ha un’utilità prognostica per la
successiva evoluzione della malattia42 e pertanto si mostra
promettente come strumento paraclinico aggiuntivo in
studi longitudinali su larga scala.
Sono stati sviluppati diversi approcci basati sui voxel,
che consentono di valutare la localizzazione anatomica della diminuzione dell’MTR. Più di recente, questi
approcci sono stati applicati anche al monitoraggio della
demielinizzazione e della rimielinizzazione nelle singole
lesioni della SM,46 e devono ora essere utilizzati in studi
trasversali e longitudinali in pazienti con caratteristiche
cliniche eterogenee per migliorare la comprensione dei
cambiamenti alla base dell’accumulo di disabilità irreversibile. In studi longitudinali sono stati anche usati
approcci basati su atlanti per monitorare l’evoluzione dei
cambiamenti dell’MTR nelle lesioni visibili in T2.47 Ciò
dovrebbe consentire di classificare le lesioni in ordine
cronologico, generando mappe di lesioni nuove, stabili e
in risoluzione, in tal modo migliorando potenzialmente le
correlazioni tra le manifestazioni cliniche della malattia e
permettendo il monitoraggio degli effetti del trattamento
sulla riparazione della mielina e sulla neuroprotezione. Per
superare alcuni dei limiti delle semplici misurazioni MTR,
che sono sequenze di impulsi e dipendono dall’hardware,
è stata proposta una più completa caratterizzazione del
fenomeno del trasferimento di magnetizzazione, che può
essere fatta con l’acquisizione di una più ampia serie di
dati ed estraendo i dati relativi alle proprietà di risonanza
magnetica dei protoni e del loro ambiente chimico locale.
Il metodo è stato denominato “immagini di trasferimento
di magnetizzazione quantitativo”,48,49 ed è stato applicato
in alcuni studi preliminari su pazienti con SM.49-51
RM con trasferimento di magnetizzazione
La RM con trasferimento di magnetizzazione misura le
interazioni tra i protoni nei liquidi liberi e i protoni legati
a macromolecole mediante l’uso del rapporto del trasferiThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Diffusione con RM
La tecnica di diffusione sensibilizza le scansioni RM al
movimento microscopico browniano delle molecole di
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acqua. Questo movimento è ostacolato dalle strutture
cellulari, come le membrane cellulari e il citoscheletro
assonale. Sono state osservate anomalie di diffusione
sia nelle lesioni focali della SM sia nella sostanza bianca
di aspetto normale. Applicando i gradienti di campo
magnetico di diffusione in molte direzioni si può dedurre
l’orientamento degli assoni e ricostruire le vie dei principali fasci di sostanza bianca mediante la RM con tensore
di diffusione e il cosiddetto fiber tracking.52,53
La ricostruzione di fasci di fibre nervose attraverso le
lesioni SM è difficile a causa della distruzione del tessuto
(Figura 4), ma gli approcci basati su atlanti potrebbero
permettere di superare questo problema.54 I collegamenti
fra sostanza grigia e sostanza grigia hanno un significato
funzionale diretto e la sostanza bianca fornisce il cablaggio.
Tuttavia, siamo ancora lontani dal determinare la connettività,55 un termine che a volte è usato approssimativamente
per indicare il grado di confidenza secondo il quale due
regioni della sostanza grigia sono considerate collegate. È
difficile seguire i fasci di fibre nella regione sottocorticale
a causa delle complesse connessioni; dovrebbero essere di
aiuto i significativi miglioramenti nella risoluzione delle
immagini che sono stati realizzati con intensità di campo
magnetico molto più elevate, soprattutto per definire le
connessioni sottocorticali, un’area che è stata trascurata
nelle valutazioni RM della SM. Vi è inoltre la possibilità di
integrare le misure di connettività con la RM funzionale
(fMRI) e i dati della magnetoencefalografia per capire
meglio come i cambiamenti patologici all’interno delle
lesioni della SM possano influenzare la velocità della
trasmissione nervosa, la riserva funzionale e la plasticità
cerebrale.56 L’esame della connettività potrebbe anche
portare a un nuovo tipo di segmentazione di immagine
basato sul significato funzionale piuttosto che sul tipo di
tessuto e sull’intensità del segnale, migliorando così la
conoscenza della patologia e della riorganizzazione che
sono alla base del deficit clinico.
Diversi gruppi stanno lavorando sulla rilevazione diretta
con RM dell’attivazione neuronale, mediante le immagini
Figura 4: Immagine composita che mostra le informazioni da diverse
scansioni RM sequenziali di un paziente con SM
La superficie trasparente del cervello mostra la localizzazione delle lesioni (rosso),
determinata da un’immagine in T2. Il tracciamento delle fibre con tensore
di diffusione è stato iniziato nella capsula interna destra, e la presenza delle
lesioni ha causato la deviazione dei tratti dalla via motoria attraverso il corpo
calloso. Differenti approcci alla trattografia potrebbero consentire di eseguire il
tracciamento anche in aree di grave danno assonale.
in diffusione, o per l’effetto che le correnti neuronali
hanno sul campo magnetico locale applicato esternamente
(B0) o sulla forza sul neurone.57,58 Questa ricerca potrebbe
fornire spunti affascinanti sulla salute neuronale, sul
decorso dell’infiammazione, sulla demielinizzazione e
la rimielinizzazione e sull’impatto di questi fattori sulla
funzione cognitiva e motoria.
fMRI
La fMRI si basa su un meccanismo di contrasto denominato
BOLD (blood-oxygenation-level-dependent), che è secondario
a differenze nella concentrazione di deossiemoglobina nel
Corteccia
prefrontale
Corteccia
cingolata
anteriore
Giro frontale
inferiore
sinistro
Giro frontale
inferiore destro
Corteccia
sensorimotoria
secondaria
sinistra
Cervelletto
destro
Figura 5: Aree di aumentata attivazione in pazienti con SM benigna rispetto a controlli sani durante l’analisi della condizione di interferenza Stroop
(A,B) I pazienti con SM benigna hanno un aumento dell’attività in diverse aree situate bilateralmente nei lobi frontali e parietali, tra cui la corteccia cingolata anteriore, il solco frontale superiore, il giro
frontale inferiore, il precuneo, la corteccia sensorimotoria secondaria, la corteccia visiva e il cervelletto. (C) L’analisi della connettività funzionale, mediante l’uso di modellizzazione causale dinamica,
ha mostrato diverse forze di connettività tra i pazienti con SM benigna e i controlli: le connessioni significative all’interno del gruppo, con un test t a un campione, sono indicate come frecce nere in
controlli sani e come frecce tratteggiate nei pazienti con SM. Le frecce e i valori di p risultanti dai confronti del test t tra gruppi sono mostrati in rosso in caso di aumento della forza di connessione nei
pazienti rispetto ai controlli e in blu in caso di riduzione della forza di connessione nei pazienti rispetto ai controlli (due valori di p sono mostrati per tutte le associazioni bi-direzionali). Riprodotta per
gentile concessione di John Wiley and Sons.64
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sangue nelle aree attivate in conseguenza di variazioni
dell’attività neuronale.59 Gli studi fMRI delle reti visive,
cognitive e motorie nei pazienti con SM hanno mostrato un
alterato reclutamento delle regioni normalmente dedicate
alla prestazione di un determinato compito e/o un reclutamento di ulteriori aree rispetto a individui sani.60 Le correlazioni che si trovano tra le misure di anormale attivazione
e misure RM di danni strutturali indicano che la plasticità
cerebrale potrebbe contribuire a limitare le conseguenze
cliniche di un danno tissutale ampio. Questi cambiamenti
funzionali corticali variano tra i pazienti in diverse fasi di
malattia, dopo una ricaduta acuta e in pazienti clinicamente
stabili.60,61 Una modalità anormale di attivazione cerebrale
è stata anche correlata alla fatica.60
Diversi studi hanno tentato di sviluppare approcci statistici sofisticati per stabilire la forza di attivazione e la
sincronia tra aree specifiche del cervello attraverso l’analisi
della connettività funzionale e reale.62 L’ottimizzazione
dei metodi di analisi, così come il confronto di modelli
di attivazione tra i pazienti con SM e controlli, potrebbero
contribuire a spiegare le anomalie della funzione di specifiche reti cerebrali e la loro relazione con sintomi clinici.
È probabile che la combinazione di misure di connettività
funzionale con misure di danno strutturale all’interno di
specifici fasci di sostanza bianca migliori la conoscenza del
rapporto tra anomalie strutturali e funzionali, come suggerito da due studi su pazienti con RRMS e SM benigna
(Figura 5).63,64 Deve essere ancora completamente esplorato
il ruolo degli studi fMRI longitudinali e multi-sito nella
SM. Dati precedenti hanno sostenuto l’uso della fMRI in
studi longitudinali su larga scala per monitorare l’effetto
della riabilitazione motoria e cognitiva o delle terapie
farmacologiche per il rafforzamento di eventuali effetti
positivi della plasticità corticale adattativa.60,65 Altri aspetti
da considerare sono lo sviluppo di paradigmi fMRI non
distorti dalle differenze tra pazienti con SM e controlli
nelle prestazioni e nei compiti, che potrebbero rendere
fattibile la valutazione dei pazienti con grave disabilità, e
lo sviluppo di protocolli di acquisizione specificamente
adattati alle immagini di funzione e struttura di regioni relativamente piccole, ora che sono maggiormente
disponibili scanner ad alto campo in grado di fornire una
migliore risoluzione spaziale.
Oltre le neuroimmagini
Immagini del nervo ottico
Gli studi di immagine dei nervi ottici sono impegnativi,
perché tali nervi sono molto piccoli e soggetti ad artefatti da movimento. La differenziazione strutturale dai
tessuti circostanti e gli effetti di suscettibilità magnetica
rappresentano un problema. Tuttavia, la neurite ottica è
un eccellente modello con cui studiare la fisiopatologia
del danno e della riparazione nella SM.
È possibile quantificare con precisione l’area trasversale
del nervo ottico e la lunghezza della lesione, consentendo
correlazioni cliniche ed elettrofisiologiche; tali valutazioni
hanno correlato l’infiammazione acuta al blocco di conduThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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zione nella neurite ottica.66 Più di recente, le alterazioni
individuabili all’MTR dinamico sono state correlate al
danno e alla riparazione della mielina,67 e la RM con tensore di diffusione ha dimostrato una riduzione dell’integrità
strutturale dei nervi68 a causa della degenerazione assonale
e della demielinizzazione. Infine, la nuova tecnica della
tomografia a coerenza ottica si dimostra promettente come
marcatore surrogato non invasivo di perdita assonale.69
Restano da affrontare importanti questioni sulla fisiopatologia della neurite ottica e sul ruolo delle neuroimmagini
nel monitoraggio longitudinale. I contributi relativi di
infiammazione, edema, gliosi e alterazioni mieliniche e
assonali ai processi di danno e riparazione nella neurite
ottica non sono del tutto noti. La 1H-MRS ha la potenzialità
di mostrare il decorso temporale delle alterazioni infiammatorie, della gliosi e della perdita assonale. Le immagini
con tensore di diffusione e trasferimento di magnetizzazione sono in grado di mostrare l’integrità assonale e il
contenuto di mielina del nervo ottico, ma ci sono ancora
ostacoli tecnici da superare. Inoltre, è necessario eseguire
correlazioni tra la RM e l’istologia per identificare in quale
modo ciascuna misura di RM si riferisca direttamente a
una specifica alterazione tissutale.
Immagini del midollo spinale
Nei pazienti con sindrome clinicamente isolata il valore
della RM convenzionale del midollo spinale nel mostrare
la diffusione spaziale delle lesioni e il suo contributo
nell’esclusione di altre condizioni che possono simulare
la SM sono stati formalmente riconosciuti nei criteri
diagnostici internazionalmente accettati.1 Sono state
sviluppate e applicate in diversi pazienti con differenti
fenotipi di malattia sequenze RM convenzionali sensibili
ai danni della SM.70 Tuttavia, gli sviluppi tecnici sono per
lo più focalizzati sulle immagini della porzione cervicale
del midollo e si dovrebbero fare maggiori sforzi per
migliorare la RM dell’intero midollo.
Lo sviluppo di sofisticate bobine riceventi per risonanza
magnetica e di tecniche di raccolta veloce delle immagini
hanno portato a immagini del midollo spinale più affidabili, compreso l’uso di tecniche quantitative. Nel midollo
cervicale dei pazienti con SM sono stati dimostrati una
ridotta MTR e anormali parametri RM con tensore di diffusione; tali alterazioni sono più pronunciate nei pazienti
con fenotipi di malattia progressiva.71 Tuttavia, resta da
stabilire il valore prognostico del trasferimento di magnetizzazione e delle misure di RM con tensore di diffusione
in studi longitudinali con lunghi periodi di follow-up.
Le recenti metodiche di RM, come il trasferimento di
magnetizzazione quantitativo e la trattografia diffusionale,
così come altri metodi che sono ampiamente utilizzati per
visualizzare i danni cerebrali in questi pazienti, come la
1
H-MRS e la fMRI, sono stati applicati in studi preliminari
del midollo cervicale in piccoli gruppi di pazienti.72-74 Nel
midollo spinale dei pazienti con recidiva a livello cervicale
sono state dimostrate una riduzione dell’N-acetil-aspartato, una minore connettività strutturale e un’inferiore
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anisotropia in diffusione rispetto ai controlli. Queste
misure si sono dimostrate correlate alle disabilità.74 Ciò
indica che la valutazione del danno regionale nel midollo
cervicale può essere utilizzata per chiarire quali siano
i fattori associati allo sviluppo della disabilità in questi
pazienti, come dimostrato da un recente studio RM con
trasferimento di magnetizzazione sui danni alla sostanza
grigia del midollo, che ha riportato una correlazione tra
MTR della sostanza grigia cervicale e grado di disabilità
nei pazienti con RRMS.75
a 3 T. Si sta attivamente cercando di sviluppare l’acquisizione volumetrica tridimensionale, che consentirebbe
la copertura dell’intero encefalo. Nonostante il più lungo
tempo di acquisizione, tempi di echo più lunghi (più di 1
s) con una serie di echi fino a 48 si sono dimostrati utili
per caratterizzare le lesioni della SM e la sostanza bianca di
aspetto normale, mentre si sta valutando il pool di protoni
dell’acqua libera intracellulari ed extracellulari.82 Infine, il
T2 multicomponente ha anche la potenzialità di valutare
l’integrità della mielina nel midollo spinale.
Futuro più lontano
Perfusione con RM
Immagini della mielina
Con l’uso della RM è ora possibile valutare la perfusione
del tessuto cerebrale in vivo. Le lesioni acute della SM
sono caratterizzate da un aumento della perfusione,
mentre la sostanza bianca e la sostanza grigia di aspetto
normale sono caratterizzate da ridotta perfusione. 83-85
L’ipoperfusione cerebrale può indicare vari processi
sottostanti, come ipometabolismo, ischemia, lesioni dei
tessuti o distruzione dei tessuti. Le tecniche di perfusione
con RM possono utilizzare sia traccianti esogeni, come i
chelati del gadolinio (infusione del tracciante in bolo) sia
l’acqua arteriosa endogena (marcatura degli spin arteriosi).
Queste tecniche hanno i seguenti vantaggi rispetto alla
PET e alla TC a emissione di singoli fotoni, che sono
state inizialmente utilizzate per valutare la perfusione
cerebrale: più alto rapporto segnale/rumore e contrasto/
rumore, migliore risoluzione spaziale e anatomica, brevi
tempi di acquisizione, nonché la possibilità di evitare
l’uso di materiale radioattivo.84 Inoltre, la sensibilità e la
risoluzione sia della RM con il tracciante-bolo gadolinio
(Figura 6) sia dei metodi di marcatura degli spin arteriosi
sono potenziate usando bobine riceventi multicanale e
intensità di campo molto elevate,85,86 consentendo così
di analizzare regioni della sostanza bianca e di piccole
dimensioni, come le lesioni.
Sia il tracciante-bolo sia la marcatura degli spin arteriosi
dovranno essere ulteriormente sviluppati per migliorare la
quantificazione del flusso e del volume ematico cerebrale.
In generale è necessario studiare ulteriormente l’affidabilità e la riproducibilità delle misure assolute di perfusione
cerebrale. Inoltre, è necessario stabilire la sensibilità e la
rilevanza clinica delle scansioni di perfusione con RM nell’individuazione delle alterazioni SM longitudinali prima
che tale tecnica possa essere usata per il monitoraggio
dell’evoluzione della SM e dell’efficacia del trattamento
in studi clinici multicentrici.
La MWF, derivata da misurazioni precise del tempo di
rilassamento trasversale, si è dimostrata specifica per il
contenuto e l’integrità della mielina. Alcuni studi hanno
individuato un rilassamento T2 multicomponente nei
tessuti biologici, dimostrando che è dovuto alla compartimentalizzazione.76 Il segnale dell’acqua può essere
suddiviso in tre componenti: (1) una componente a T2
lungo (>1,5 s) dovuta al liquor; (2) una componente
intermedia (circa 100 ms) che deriva dall’acqua intracellulare ed extracellulare e (3) una componente a T2 breve
(20-50 ms) dovuta all’acqua racchiusa tra il doppio strato
della mielina.77 La somma delle tre componenti T2 è il
contenuto totale di acqua visibile alla RM. Il rapporto tra
l’acqua della mielinica (T2 breve) e il segnale totale dà
la MWF. Moore e collaboratori78 hanno dimostrato che
la MWF è strettamente correlata alla distribuzione della
mielina cerebrale e hanno notato la diminuzione della
componente con T2 breve nelle placche croniche di SM
nei cervelli di SM fissati in formalina.
Studi cerebrali in vivo hanno dimostrato che nella
sostanza bianca si osserva una elevata MWF, mentre nella
sostanza grigia si può rilevare solo una piccola frazione.
Nelle lesioni della SM si osserva una riduzione del 30-50%
nella MWF e nella sostanza bianca di aspetto normale della
SM si osserva una riduzione del 7-15%.79,80 Le immagini
MWF nelle regioni di sostanza bianca sopratentoriali di
aspetto normale sono risultate sufficientemente sensibili
per individuare le alterazioni nei pazienti entro 5 anni
dall’esordio della malattia. La riduzione della MWF nella
sostanza bianca di aspetto normale nella SM è dominata
dalla perdita dell’integrità della mielina piuttosto che da
un aumento dell’edema o dall’infiammazione.80
Tuttavia, le immagini MWF rimangono una sfida tecnica.
Il decadimento T2 è stato tradizionalmente misurato utilizzando un read-out multi-eco, come una sequenza spin
echo a 32 echi su una singola fetta. I tempi di scansione
lunghi e una limitata copertura cerebrale rendono questo
approccio meno fattibile sul piano clinico. Recentemente,
dataset bidimensionali multi-sezione a 12 echi non
spazialmente lineari hanno fornito stime di MWF della
sostanza bianca e della sostanza grigia di qualità simile a
quella dei dataset a 32 echi.81 L’uso di bobine in array di
fase fornisce mappe di MWF più uniformi e regolari di
quelle ottenute con bobine cerebrali standard, soprattutto
190
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Intensità di campo superiori a 1,5 T
Gli scanner RM a campi alti (tipicamente 3,0 T) e molto alti
(≥ 7,0 T) hanno la potenzialità di rivoluzionare la ricerca
nella SM. I dati disponibili mostrano che i magneti che
operano a 3,0-4,0 T individuano un maggior numero e un
più ampio volume di lesioni cerebrali iperintense in T2
(Figura 7) e di lesioni che assumono gadolinio rispetto a
quelli che operano a 1,5 T.11,87 Inoltre, il loro uso potrebbe
migliorare la diagnosi precoce di SM.8 Sia la RM a campi
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Rassegne
Figura 6: RM assiale gradient-echo echo-planare che mostra il flusso e il volume ematico cerebrale in un paziente con SM
(A) RM assiale gradient-echo echo-planare, (B) mappa cromatica del flusso ematico cerebrale e (C) mappa cromatica del volume ematico cerebrale di un paziente con
SM. La barra cromatica indica il flusso ematico cerebrale (ml/100 g/min) e il volume ematico cerebrale (ml/100 g).
Figura 7: Confronto della RM a 1,5 T e 3,0 T in due pazienti con SM
Vengono mostrate scansioni RM a (A) 1,5 T e (B) 3,0 T di una donna di 48 anni
con SM secondaria progressiva, e scansioni RM a (C) 1,5 T e (D) 3,0 T di un
uomo di 21 anni con SM recidivante-remittente. (A) La scansione assiale a 1,5
T fast fluid inversion recovery (FLAIR) e (C) la scansione coronale a gradiente
dell’encefalo e le immagini a 3,0 T (B, D) delle stesse regioni con equivalenti
sequenze di impulsi in entrambi i pazienti mostrano il miglioramento della
sensibilità nella capacità di individuare le lesioni (frecce) e nella risoluzione dei
tessuti (differenziazione tessuto-liquor e sostanza grigia-sostanza bianca), dello
scanner a 3,0 T. Riprodotta per gentile concessione di Elsevier.
elevati sia quella a campi molto elevati hanno una particolare utilità nell’individuazione delle lesioni corticali
della SM88 e possono migliorare gli studi di 1H-MRS, RM
con trasferimento di magnetizzazione, RM con tensore
di diffusione, perfusione con RM, fMRI e relassometria
nella SM.11,35,79,85,86,89,90 A causa dei maggiori gradienti di
campo magnetico causati dalla suscettibilità magnetica,
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l’uso di campi elevati e molto elevati si traduce in un nuovo
meccanismo di contrasto di immagine che sta diventando
evidente ed è stato definito “immagine di suscettibilità di
fase”. Il contrasto è correlato all’ossigenazione del sangue,
alla vascolarizzazione e all’attività dei macrofagi e ha già
mostrato un’interessante eterogeneità in quelle che altrimenti apparirebbero come lesioni SM diffuse.91 Un altro
interessante sviluppo è lo studio di immagine del sodio a
elevate intensità di campo,92 che potrebbe fornire importanti informazioni per la conoscenza della fisiopatologia
della malattia. Potrebbe anche essere possibile visualizzare
lo stato di integrità degli assoni mediante l’uso di metodi
RM per monitorare il gradiente di concentrazione del sodio
che esiste attraverso lo spazio intracellulare/extracellulare
negli assoni integri.92
La RM a intensità di campo più elevate potrebbe essere
importante per lo studio del deposito di ferro nella sostanza grigia dei pazienti con SM. Come rivisto recentemente,93
molte aree della sostanza grigia, come il talamo, il nucleo
dentato, i gangli della base e la corteccia rolandica, comunemente mostrano ipointensità nelle immagini pesate in
T2 in pazienti con SM. Si ritiene che il deposito di ferro
sia una causa di questa ipointensità, poiché riduce i tempi
di rilassamento in T2 e viene individuato in quantità
eccessive e patologiche nell’encefalo di pazienti con SM.93
L’ipointensità della sostanza grigia in T2 è correlata alla
compromissione clinica nei pazienti con SM, con una
maggiore correlazione a 3 T rispetto a 1,5 T.94,95 Rimane
poco chiaro se il deposito di ferro contribuisca alla neurotossicità nella sostanza grigia o sia semplicemente un
epifenomeno. Altri metodi utilizzati a 3,0 T e a campi
ancora superiori, come la relassometria in T2, T2*, T2’ o
T2-rho e le immagini di correlazione del campo magnetico, dovrebbero aumentare la sensibilità e la specificità
dell’individuazione della neurodegenerazione correlata al
ferro nella sostanza grigia e aumentare la conoscenza del
ruolo del ferro nella fisiopatologia della SM.96
191
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Rassegne
Nel contesto delle immagini a campi elevati occorre
ricordare che le immagini di risonanza magnetica hanno
una scala di luminosità arbitraria e sono soggette a molti
artefatti. La sfida per la RM è la caratterizzazione e la
quantificazione dei processi patologici che si verificano
nell’encefalo in degenerazione. Per questo abbiamo
bisogno di metodi di acquisizione delle immagini più
accurati e affidabili affinché le immagini possano essere
convertite in valori fisicamente significativi, come T1 e
T2 assoluti.11,97 L’avvento degli scanner a campi elevati con
bobine array riceventi rende questa considerazione ancora
più imperativa, a causa della minore uniformità delle
immagini. Un accordo e una standardizzazione dei metodi
di acquisizione tra i produttori di scanner darebbero un
notevole impulso alle immagini quantitative.
Rimangono molte altre sfide relative all’uso di queste
nuove tecnologie.98 Fra queste vanno ricordati i costi
elevati (installazione e manutenzione), il grande ingombro dell’hardware, i problemi relativi al gradiente e alla
progettazione delle bobine di frequenza radio, la minore
omogeneità dei campi, il peggioramento della sensibilità,
gli artefatti da spostamento chimico e gli effetti dielettrici.
L’intera gamma delle sequenze di impulsi disponibili a
1,5 T potrebbe non funzionare bene a 3,0 T e oltre. Si
devono affrontare gli aspetti relativi alla sicurezza del
paziente e al suo comfort, come la deposizione di energia
a radiofrequenza, la compatibilità con le protesi metalliche e i sintomi sensoriali avvertiti durante la scansione.
Ad esempio, il raddoppio dell’intensità del campo da 1,5
a 3,0 T quadruplica il tasso di assorbimento specifico a
parità di tutte le altre condizioni. Ciò può condurre a un
aumento dei tempi di scansione, alla necessità di fare
delle pause per consentire il raffreddamento del paziente
e a una riduzione del numero di sezioni ottenute per il
tempo di ripetizione.
Conclusioni
L’ampia applicazione delle tecniche di risonanza magnetica
convenzionali e moderne per lo studio della SM ha indubbiamente migliorato la nostra capacità di diagnosticare e
monitorare la malattia, così come la nostra conoscenza della
fisiopatologia della malattia. Tuttavia persistono molte sfide.
È necessario raffinare e validare le nuove tecniche prima
di poterle adeguatamente integrare nella ricerca clinica e
pratica. I nuovi schemi di acquisizione e le nuove procedure di analisi devono essere standardizzati e ottimizzati
per poter essere utilizzati in un ambito multicentrico, sia
in studi di storia naturale sia in trial terapeutici. Dai dati
disponibili è evidente che la combinazione di diverse tecniche di risonanza magnetica, che sono sensibili ai diversi
aspetti della patologia SM, è un promettente metodo per
incrementare ulteriormente la conoscenza dei meccanismi
alla base dell’accumulo di disabilità irreversibile. Infine, la
crescente disponibilità di RM a elevata intensità di campo
(≥3,0 T) comporta nuove sfide tecniche che richiederanno
ampi perfezionamenti nel corso dei prossimi anni. Uno
dei compiti più importanti per il futuro è stabilire come
192
03 Rassegne okok.indd 192
questi progressi nella tecnologia RM possano contribuire
a una migliore correlazione tra reperti clinici e quadri RM
e, pertanto, fornire informazioni rilevanti per migliorare
la prognosi e predire la risposta terapeutica.
Strategia di ricerca e criteri di selezione
I riferimenti bibliografici per questa revisione sono stati individuati tramite una ricerca in PubMed dal gennaio 1985 all’aprile
2008, mediante l’utilizzazione dei termini “MR” o “imaging” e
“sclerosi multipla”. Per questa revisione sono stati presi in considerazione gli articoli derivati da tale ricerca e i riferimenti citati in
tali articoli. Gli articoli scelti sono quelli focalizzati sui più recenti
e promettenti progressi in questo campo. Gli articoli sono stati
individuati anche attraverso una ricerca negli archivi degli autori.
Sono stati rivisti solo gli articoli pubblicati in inglese.
Contributi
RB e MF hanno coordinato la revisione. RB ha preparato la stesura
iniziale di introduzione, della sezione sui nuovi usi dei dati di RM
convenzionale (misure basate sulla lesione), della sezione sulla RM
a campi molti elevati e delle conclusioni. AJT ha preparato la stesura
iniziale delle sezioni sulla diagnosi/classificazione e sulle immagini del
nervo ottico. MAR ha preparato, con MF, la prima stesura delle sezioni
relative al trasferimento di magnetizzazione, alla risonanza magnetica
funzionale e alle immagini del midollo spinale. PS ha preparato la
prima stesura delle sezioni sulla spettroscopia protonica a RM e sulle
immagini della mielina. VD ha preparato la prima stesura della sezione
sui nuovi mezzi di contrasto. FB ha preparato la prima stesura della
sezione sull’atrofia. MI ha preparato la prima stesura della sezione sulle
immagini di perfusione. CRGG ha preparato, con RB, la prima stesura
della sezione sui nuovi impieghi dei dati di RM convenzionale (misura
basata sulla lesione). MAH ha preparato, con MF, la prima stesura
della sezione sulle immagini di diffusione e ha redatto i paragrafi sui
metodi di post-elaborazione. MF ha preparato la prima stesura delle
sezioni sul trasferimento di magnetizzazione, immagini di diffusione,
risonanza magnetica funzionale, immagini del midollo spinale e sulle
conclusioni. Tutti gli autori hanno collaborato in tutte le fasi successive
della preparazione del manoscritto.
Conflitti di interesse
RB ha ricevuto onorari per conferenze e spese di viaggio ed emolumenti
per consulenze come ricercatore in precedenti e attuali trial da Biogen
Idec, Genentech, Merck-Serono, Teva Neuroscience e Pepgen. AJT
partecipa ad advisory board per Novartis e Genentech, presiede il data,
safety and monitoring committee di Teva per lo studio sul GA nella SLA
e ha ricevuto onorari per conferenze da Bayer-Schering e Merck-Serono.
MAR ha ricevuto compensi personali come oratore da Merck-Serono e
Biogen-Dompé. PS ha ricevuto compensi personali come oratore e per
servizi di consulenza da Biogen Idec, Teva Neuroscience, Inc Synar, e
Genentech. VD ha ricevuto onorari da Biogen e Guerbet per conferenze
e spese di viaggio. FB ha ricevuto compensi personali per servizi di
consulenza da Merck-Serono, Bayer-Schering, Biogen Idec, Novartis,
Aventis, Wyeth e Teva. MI ha ricevuto onorari per conferenze da Teva
Neuroscience. CRGG ha ricevuto onorari per conferenze e spese di
viaggio ed emolumenti per consulenza come ricercatore in precedenti
e attuali trial di Biogen Idec, Merck-Serono, Teva Neuroscience e
Pepgen. MAH ha ricevuto onorari per consulenza per aver lavorato in
precedenti e attuali trial di Teva, Merck-Serono e Bayer-Schering. MF ha
ricevuto onorari per conferenze e spese di viaggio ed emolumenti come
ricercatore per precedenti e attuali trial di Teva, Merck-Serono, BayerSchering, Biogen-Dompé, Genmab e Pepgen.
Ringraziamenti
RB ha ricevuto fondi di ricerca da parte degli US National Institutes
of Health (NIH; 1R01NS055083-01) e della National Multiple Sclerosis
Society (RG3705A1; RG3798A2). MI ha ricevuto fondi di ricerca dai NIH
(5R01NS051623-03). CRGG ha ricevuto fondi dai NIH (P41RR13218-01)
e dalla National Multiple Sclerosis Society (RG3574A1). Le immagini
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Rassegne
della Figura 2 sono state gentilmente fornite da Bas Jasperse, VU
University Medical Center, Amsterdam. Siamo grati a Sophie Tamm per
l’assistenza fornita nella preparazione del manoscritto.
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Rassegne
La trattografia nei disturbi neurologici: concetti, applicazioni
e sviluppi futuri
Articolo accreditato per corso di
formazione a distanza (FAD)
6 crediti (totali per 4 articoli)
Olga Ciccarelli, Marco Catani, Heidi Johansen-Berg, Chris Clark, Alan Thompson
La trattografia consente la ricostruzione grafica delle vie della sostanza bianca nell’encefalo e nel midollo spinale
degli esseri umani in vivo. Questa tecnica ha molte applicazioni cliniche potenziali, come lo studio dell’ictus, della
sclerosi multipla, dell’epilessia, delle malattie neurodegenerative e dei disturbi del midollo spinale, e permette di
testare ipotesi che precedentemente non era possibile considerare negli esseri umani in vivo. Questa revisione delineerà i limiti della trattografia, ne descriverà le attuali applicazioni cliniche nelle più comuni malattie neurologiche
ed evidenzierà le opportunità future.
Introduzione
La trattografia è una tecnica che permette di rappresentare
le vie cerebrali in vivo utilizzando immagini pesate in
diffusione; negli ultimi anni è aumentato il numero di
ricercatori che hanno utilizzato la trattografia per studiare
i disturbi neurologici. Per interpretare correttamente i
risultati degli studi clinici pubblicati è essenziale conoscere
i principi di base della trattografia (Tabella). Inoltre, la
conoscenza delle informazioni che la trattografia è in grado
di fornire ai medici insieme a una nozione approfondita
dei limiti della tecnica sono i presupposti per far avanzare
le applicazioni cliniche della trattografia. In questa revisione forniamo una panoramica delle attuali applicazioni
cliniche della trattografia, dei suoi limiti tecnici e delle
sue applicazioni future. In primo luogo, descriveremo la
metodologia e i limiti della trattografia. Successivamente,
riesamineremo i lavori che hanno applicato la trattografia
allo studio delle più comuni malattie neurologiche. Infine,
discuteremo gli sviluppi futuri della trattografia e le sue
applicazioni più promettenti.
Trattografia diffusionale
La trattografia è una tecnica basata sul movimento direzionale dell’acqua, che è determinato dalla microstruttura
cerebrale e visualizzato con immagini di risonanza magnetica pesate in diffusione1-3 per generare rappresentazioni
virtuali tridimensionali dei fasci di fibre della sostanza
bianca (Riquadro).4-7 La capacità di rappresentare le vie
della sostanza bianca in una modalità non invasiva è il
motivo per cui la trattografia ha generato tanto entusiasmo
e così elevate attese.8 I metodi convenzionali per visualizzare i fasci di fibre e analizzare le connessioni cerebrali, come
quelli usati in studi con traccianti, seguono le proiezioni
neuronali a partire dalla sede di iniezione del tracciante,
ma queste tecniche sono invasive e limitate ai primati.
Le tecniche trattografiche, tuttavia, seguono la direzione
preferenziale dell’acqua fornita dal tensore di diffusione9
in ciascun voxel di immagine (pixel volumetrico) da
una regione di partenza (seed), aprendo la possibilità di
studiare l’organizzazione e le connessioni della sostanza
bianca negli esseri umani in vivo. Inoltre, il metodo di
RM utilizzato per fornire le informazioni necessarie per
il processo trattografico può essere facilmente eseguito su
sistemi RM standard, con tempi di acquisizione che di
solito vanno da 3 a 20 minuti, a seconda della qualità dei
dati di immagine richiesta. I principali assunti che sottendono alla trattografia sono che la direzione dominante
del movimento dell’acqua – l’asse principale del tensore
di diffusione – è allineata con l’orientamento prevalente
delle fibre in un voxel di immagine.1
Il tensore di diffusione è una descrizione matematica
della grandezza e della direzione (anisotropia) del movimento delle molecole d’acqua in uno spazio tridimensionale.10 Nella sostanza bianca cerebrale, la diffusione è
direzionale (anisotropa) lungo le fibre perché le molecole
Spiegazione
Volume della via Il volume delle vie ottenute con la trattografia (mm3 o cm3)
Anisotropia frazionaria (FA) Una misura della deviazione dall’isotropia che mostra il grado in cui il tensore di diffusione è “anisotropico”. Elevate FA si trovano in regioni dell’encefalo che contengono fibre di sostanza bianca perché le molecole d’acqua si spostano più facilmente in modo parallelo alle fibre
Diffusività media (MD)
Moto molecolare medio, indipendente dalla direzione del tessuto
Diffusività parallela Diffusività parallela alle fibre assonali (diffusività assiale)
Diffusività radiale
Diffusività perpendicolare alle fibre assonali, che viene calcolata dalla grandezza media della diffusione lungo due direzioni perpendicolari
in posizione ortogonale alla direzione della massima diffusione globale
Un indice fornito da algoritmi probabilistici della trattografia a ogni singolo voxel che indica la probabilità di connessione al punto
di partenza
Connettività basata sui voxel Lancet Neurol 2008; 7: 715-27
Department of Brain Repair
and Rehabilitation, Institute of
Neurology, University College
London, Queen Square,
London, UK (O Ciccarelli PhD,
A Thompson FRCP); Centres for
Neuroimaging Sciences and
Brain Maturation, Department
of Psychological Medicine,
Institute of Psychiatry, King’s
College London, London, UK
(M Catani PhD); Centre for
Functional Magnetic
Resonance Imaging of the
Brain, University of Oxford,
Oxford, UK
(H Johansen-Berg PhD);
Institute of Child Health,
University College London,
Queen Square, London, UK
(C Clark PhD)
Corrispondenza:
Olga Ciccarelli, Institute of
Neurology, Queen Square,
London WC1N 3BG, UK
[email protected]
Tabella: Misure derivate dalla diffusione e derivate dalla trattografia comunemente riportate negli studi clinici
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Rassegne
Riquadro: Informazioni utili su metodi e applicazioni
della trattografia
Software e atlanti
https://www.mristudio.org
http://www.fmrib.ox.ac.uk/fsl/
http://www.cs.ucl.ac.uk/research/medic/camino/
http://lbam.med.jhmi.edu/
http://graphics.stanford.edu/projects/dti/
http://www.nitrc.org/projects/vmagnotta/
http://cmrm.med.jhmi.edu/DTIuser/DTIuser.asp
http://www.dtiatlas.org/
http://www.natbrainlab.com
si muovono più facilmente parallelamente alle fibre nervose e sono per la maggior parte ostacolate o limitate nel
loro movimento perpendicolare alle fibre stesse. Pertanto,
il tensore di diffusione fornisce due importanti tipi di
informazioni in ogni immagine di voxel: la grandezza
dell’anisotropia di diffusione e l’orientamento di massima
diffusione. Gli algoritmi della trattografia usano queste
informazioni per monitorare interi fasci di fibre della
sostanza bianca deducendo l’architettura dei fasci di fibre
da voxel a voxel;4-6 cioè, la direzione di massima diffusione
in un determinato voxel è seguita in un voxel adiacente
(Figura 1). Se l’angolo tra le due direzioni è inferiore a
un angolo predeterminato, allora i due voxel sono connessi e il processo viene ripetuto seguendo la via nervosa
(streamline), attraverso la sostanza bianca nell’immagine
cerebrale. Tuttavia, se l’angolo tra le direzioni di massima
diffusione è superiore alla soglia scelta, la streamline è
interrotta in quel punto. Le soglie angolari possono essere
usate in questo modo per evitare percorsi non plausibili,
come quelli che voltano a 90°. Tuttavia, non tutti gli algoritmi usano questa soglia. Una seconda soglia, “la soglia
di anisotropia”, assicura che le streamline continuino
in zone dell’encefalo dove è ben definita la direzione di
massima diffusione. Poiché l’incertezza della direzione
di massima diffusione diminuisce con l’aumentare dell’anisotropia in un voxel,11 la streamline procede solo se
l’anisotropia in ciascun voxel è superiore a un valore di
soglia predeterminato. Pertanto, i risultati che otteniamo
dalla trattografia dipendono da diversi fattori che sono
sotto il controllo del ricercatore, come la soglia angolare e
la soglia di anisotropia e la regione di interesse che viene
utilizzata per iniziare la trattografia.
Limiti della trattografia
I traccianti iniettati possono seguire singole terminazioni
neuronali, mentre la trattografia segue l’asse principale del
tensore di diffusione, che è la media del segnale RM in un
voxel, con una tipica risoluzione di 2,5 mm3.12 Le discrepanze tra la scala del diametro assonale e la dimensione
delle immagini voxel (cioè, la bassa risoluzione spaziale),
il rumore contenuto nei dati di diffusione13 e gli artefatti
di immagine rappresentano la maggior parte dei limiti
196
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associati alla trattografia. La trattografia con tensore di
diffusione presuppone che le fibre visualizzate in ogni
voxel siano ben descritte da una singola stima di orientamento; pertanto la tecnica funziona male nelle regioni in
cui vi è più di una popolazione di fibre o dove le fibre si
incrociano, si accostano, convergono o divergono. Questi
limiti potrebbero portare a seguire vie che non esistono
(falso positivo) o a non seguire adeguatamente vie che
esistono (falso negativo); pertanto, l’interpretazione dei
dati della trattografia richiede esperienza e conoscenza
a priori. Sono ora disponibili sviluppi della trattografia
basati sull’HARDI (immagini di diffusione a elevata
risoluzione angolare)14 e sull’appropriata elaborazione di
profili di diffusione multi-picco in grado di evidenziare
fibre che si incrociano.15-18 Tuttavia, i metodi più complessi
di analisi possono essere anche più complessi dal punto
di vista del calcolo e necessitano di tempi più lunghi di
elaborazione.
Altri limiti includono l’incapacità di distinguere le connessioni anterograde da quelle retrograde, di individuare la
presenza di sinapsi o di determinare se una via è funzionale.19 Finora, pochi ricercatori hanno validato i risultati della
trattografia con traccianti neuronali20,21 o eseguito analisi
di riproducibilità sull’uomo.22-24 Un convincente confronto
della trattografia con i risultati della dissezione smussa è
stato pubblicato da Lawes e collaboratori.25
Sono stati descritti vari algoritmi della trattografia, ma
non vi è consenso su quale sia il più efficace. La mancanza di un modo obiettivo per valutare la prestazione di
un algoritmo rispetto a un altro, poiché non può essere
determinata l’esatta anatomia dei fasci di fibre nell’encefalo umano, ha reso questo problema insolubile. Occorre
ottimizzare le soglie e gli altri parametri della trattografia
e ciò verosimilmente causerà disaccordi fra i ricercatori.
Applicazioni cliniche della trattografia
Ictus
Le immagini pesate in diffusione vengono utilizzate
di routine nei pazienti con ictus acuto per visualizzare
la lesione, che viene quantificata dall’aumento della
diffusività nella sede di un infarto. Le immagini con
tensore di diffusione (DTI) possono fornire ulteriori
informazioni circa la dipendenza direzionale del segnale
di diffusione. Riduzioni dell’anisotropia frazionaria
con aumenti meno pronunciati della diffusività identificano le regioni di degenerazione walleriana lungo
le vie a valle della regione colpita dall’ictus.26 Le analisi
dell’anisotropia frazionaria possono essere effettuate
all’interno di regioni di interesse definite manualmente
o per ciascun voxel nell’encefalo dopo la registrazione di
tutte le immagini dei pazienti per ottenere un’immagine
standard dello spazio cerebrale. Tali analisi non necessitano della trattografia. Alcuni gruppi, tuttavia, hanno
eseguito analisi con la trattografia per individuare una
via di interesse, di solito il tratto corticospinale, e poi
ottenere misure quantitative lungo specifiche vie27,28 o
misure di sovrapposizione tra il volume della lesione e
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Figura 1: Diagramma schematico di un approccio di trattografia con linee di
corrente (streamline)
È generata una linea continua collegando pixel adiacenti sulla base della
somiglianza direzionale della loro massima direzione di diffusione. La massima
direzione di diffusione a ciascun voxel è indicata dalla freccia e si presume che si
allinei con l’orientamento assonale predominante. Il tracciamento viene iniziato
dal pixel centrale. Adattata da Mori e van Zijl4 per gentile concessione di Wiley.
il coinvolgimento della via,29 da correlare all’esito clinico
o a specifici punteggi funzionali.30 Questi studi hanno
dimostrato che una diminuzione dell’integrità strutturale
del tratto corticospinale, come misurato da una riduzione
dall’anisotropia frazionaria, è associata a un esito peggiore, valutato da specifici punteggi neurologici.30 Ciò è
in linea con precedenti lavori secondo i quali l’integrità
funzionale del tratto corticospinale è di fondamentale
importanza nel determinare l’esito clinico.31 Benché tali
osservazioni siano state utili, è discutibile se l’uso della
trattografia per definire il tratto corticospinale sia un
passo fondamentale in tali analisi.
Un danno strutturale alle vie motore efferenti non
solo predice il recupero motorio ma potrebbe anche
predire la riorganizzazione funzionale. Nelle scimmie
il recupero dopo una lesione corticale motoria indotta
sperimentalmente è risultato associato a rimappaggio
locale32 e distale33 al sito lesionale.Nei pazienti che hanno
avuto un ictus si osserva comunemente una maggiore
attività in aree motorie non primarie34 e in aree motorie
dell’emisfero non lesionato,35 che potrebbe avere un ruolo
nel recupero, almeno in alcuni pazienti.36,37 Per valutare
l’entità secondo cui il danno strutturale delle vie motorie
efferenti predice la riorganizzazione funzionale, Newton
e collaboratori38 hanno usato la trattografia in individui
sani per definire una mappa probabilistica delle vie
corticofugali da molte aree motorie. Nei pazienti che
hanno avuto un ictus, è stato proposto che l’entità della
sovrapposizione tra la lesione e la via probabilistica sia
correlata al grado di iperattivazione delle aree motorie
non primarie. Anche se Newton e collaboratori hanno
usato la trattografia per definire un modello di fascio
di fibre, non è chiaro se questi fasci corticospinali definiti mediante trattografia comportino una sensibilità
sostanzialmente maggiore rispetto ai precedenti modelli
di fasci corticospinali basati sull’anatomia della sostanza bianca.39 Studi successivi hanno utilizzato analisi
basate sulla trattografia per quantificare i danni alla via
corticospinale; ad esempio, Schaechter e collaboratori40
hanno dimostrato che l’aumento del danno del fascio
corticospinale nell’emisfero lesionato, quantificato dal
numero delle fibre di trattografia ricostruite per questa
via, era correlato a una maggiore risposta funzionale
nella corteccia sensorimotoria controlesionale (Figura
2) e nelle regioni ventrali della corteccia sensorimotoria
ipsilesionale.40 Questi risultati concordano con le osservazioni nei modelli animali di recupero dell’ictus, che
hanno dimostrato che il grado di rimappaggio funzionale
si correla con le dimensioni della lesione ischemica nella
corteccia motoria primaria.33
151 fibre
75 fibre
Trattografia
Morfometria
Trattografia + morfometria
% di cambiamento del segnale BOLD
Emisfero opposto alla lesione
Integrità CST ipsilesionale
Figura 2: Correlazione tra integrità strutturale e riorganizzazione funzionale dopo un ictus
(A) La ricostruzione basata sulla trattografia del tratto corticospinale (CST) in ciascun paziente è stata utilizzata per calcolare la sua asimmetria strutturale (“fibre”
si riferisce alle vie tracciate attraverso i dati di diffusione e non indica il numero di assoni sottostanti). (B) Le aree in cui la fMRI è correlata con la trattografia si
sovrappongono alle aree in cui la fMRI è correlata a misure morfologiche di asimmetria della via corticospinale (volume del peduncolo cerebrale). (C) Correlazione
tra segnale fMRI BOLD (blood-oxygen-level-dependent) e misura di integrità del CST basata sulla trattografia. Adattata da Schaechter e collaboratori40 per gentile
concessione di Elsevier.
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La trattografia ha offerto un utile contributo allo studio
dell’ictus, fornendo nuove informazioni sull’anatomia
dell’encefalo umano.19 La precisa determinazione di quali
vie della sostanza bianca sono state interrotte da un ictus
può spiegare i sintomi; ad esempio, gli ictus dell’arteria
cerebrale posteriore causano neglect visuospaziale solo
quando le lesioni comprendono la regione della sostanza
bianca attraverso la quale viaggiano le connessioni dal
giro paraippocampale al giro angolare.41 Analogamente,
la trattografia delle vie del linguaggio aiuta a spiegare le
modalità dei deficit in diversi tipi di afasia.42
Una futura applicazione della trattografia potrebbe
essere la visualizzazione di modificazioni potenzialmente
adattative nella struttura della sostanza bianca dopo un
ictus.43 La deduzione della presenza o dell’assenza di una
via mediante la sola trattografia deve essere eseguita con
attenzione perché la tecnica è soggetta a falsi positivi e
falsi negativi e può dare risultati spuri in presenza di
danni o degenerazione.26 Tuttavia, prove assolute di un
ricablaggio (rewiring) sono state viste in casi estremi, come
la disgenesia callosale44 o l’emisferectomia.45 La trattografia
ha identificato fibre longitudinali aberranti in pazienti
con disgenesia callosale, come il fascio di Probst,44,46 che è
già stato descritto in studi neuropatologici. È stata anche
identificata una via precedentemente non descritta che
sembra collegare il lobo frontale alla corteccia occipitale
controlaterale.44 Un ulteriore esempio di ricablaggio si
osserva nei pazienti sottoposti a emisferectomia, un
trattamento chirurgico per l’epilessia intrattabile che può
causare “visione cieca” in alcuni pazienti. La trattografia dal
collicolo superiore dei pazienti che hanno subito un’emisferectomia e presentano visione cieca può visualizzare
vie che attraversano l’emisfero intatto; queste vie non si
osservano nei pazienti trattati che hanno subito un’emisferectomia ma che non hanno visione cieca o nei controlli.45
Ciò solleva la possibilità che danni localizzati, come l’ictus,
possano portare a ricablaggio di specifici percorsi neuronali. I risultati di studi condotti su animali indicano che
dopo un ictus47 o dopo l’apprendimento di abilità48 può
verificarsi un ricablaggio cortico-corticale drammatico.
L’individuazione di tali cambiamenti in pazienti che hanno
avuto un ictus costituisce una sfida, ma potrebbe essere
possibile con la crescente sensibilità dell’acquisizione dei
dati e gli approcci di modellamento.15
Sclerosi multipla
La trattografia è stata utilizzata in pazienti con sclerosi
multipla (SM) per rispondere a quattro domande. La
trattografia può essere utilizzata per valutare i processi
patologici nelle vie della sostanza bianca? La trattografia
migliora la concordanza tra i reperti radiologici e la
disabilità clinica? L’indice di connettività derivato dalla
trattografia può essere correlato alla disabilità in modo
migliore e indipendente rispetto all’anisotropia frazionaria? La trattografia rileva le alterazioni strutturali che
contribuiscono a cambiamenti funzionali adattativi?
Qualsiasi studio in pazienti con SM che usi la trattografia
198
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deve considerare le lesioni della sostanza bianca e i loro
possibili effetti sui risultati dell’esame. In particolare, il
valore anisotropico frazionario nei voxel che includono
le lesioni è inferiore a quello della sostanza bianca dei
soggetti sani e l’anisotropia frazionaria della sostanza
bianca al di fuori delle lesioni (o della sostanza bianca di
aspetto normale) è inferiore a quella della sostanza bianca
normale.49 Questa anisotropia frazionaria così marcatamente bassa può erroneamente far terminare l’algoritmo
per la ricostruzione della traccia o causare una deviazione
dei fasci a livello delle lesioni. Un approccio per superare
questi problemi è quello di creare una mappa di probabilità
di una particolare via con la trattografia deterministica in
soggetti di controllo e poi applicare la mappa di probabilità
ai pazienti, per ottenere gli indici di diffusione lungo il
fascio di fibre.50,51 Con questo approccio, i pazienti con
forme remittenti-recidivanti di SM e sindromi motorie
clinicamente isolate presentano indici di diffusione
anomali nel tratto corticospinale rispetto ai controlli e
ai pazienti senza sintomi motori.50,51 Queste anomalie di
diffusione e la loro correlazione con il carico lesionale
del tratto corticospinale confermano i processi patologici
in corso nel tratto corticospinale, come la degenerazione
walleriana o l’infiammazione diffusa.
La ricerca ha dimostrato la rilevanza clinica degli indici
di diffusione derivati dalla trattografia nei pazienti con SM.
Gli autori dei tre studi50,52,53 pubblicati dallo stesso gruppo
hanno riferito che si può ottenere un miglioramento delle
correlazioni tra misure RM e disabilità focalizzandosi
su specifici sistemi cerebrali, come i sistemi motori o
cognitivi, e usando un algoritmo trattografico che gli
autori ritengono appropriato per la SM, in cui le traiettorie non sono interrotte da valori soglia dell’anisotropia
frazionaria.54
Finora la trattografia è stata utilizzata per segmentare le
vie in esame (ad es., per ottenere una regione di interesse
tridimensionale rappresentativa della via e da cui possono
essere calcolati gli indici delle intere vie). Lo sviluppo di
un metodo per calcolare parametri normalizzanti rispetto
alla lunghezza ha apportato un miglioramento nella ricostruzione del fascio corticospinale: tale metodo consente
di eseguire confronti anatomici tra i partecipanti di ogni
segmento del fascio corticospinale.55 Questo metodo,
che ha il vantaggio di eliminare parzialmente le possibili differenze esistenti tra i partecipanti agli studi nelle
dimesioni dei fasci di fibre, è stato utilizzato per studiare
gli anormali indici di diffusione nel fascio corticospinale
di pazienti con forme recidivanti di neuromielite ottica.55
Tuttavia, a causa dei ben noti limiti del metodo streamline
per individuare le fibre che si incrociano, in particolare
nel ponte dove il fascio corticospinale incrocia le fibre
trasverse pontine, non è stato possibile individuare l’intero
tratto corticospinale.
Un ulteriore obiettivo della ricerca trattografica nei
pazienti con SM è stato quello di introdurre misure
quantitative indicative della patologia in corso che causa
disabilità. Abbiamo esaminato i pazienti 1 anno dopo
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Hole peg test medio (sec)
Rassegne
Connettività media dei cordoni posteriori
Figura 3: Cordoni posteriori del midollo spinale in un soggetto di controllo e relazione tra la loro connettività media e la disabilità
Cordoni posteriori (verde) sovrapposti su immagini di anisotropia funzionale del midollo spinale assiale (A) e sagittale (B). Le scale di colore di tutti i cordoni mostrati
indicano il valore di connettività basato sui voxel: i colori più chiari indicano valori più alti di connettività (o maggiore probabilità di connessione). (C), Diagramma
della connettività media dei cordoni posteriori rispetto al tempo per completare il test nine-hole peg, che indica la funzione degli arti superiori. Adattata da Ciccarelli e
collaboratori57 per gentile concessione di Oxford University Press.
l’insorgenza di neurite ottica acuta e abbiamo rilevato
che vi era una ridotta connettività basata sui voxel nelle
radiazioni ottiche rispetto ai controlli, mentre l’anisotropia frazionaria di queste vie non differiva tra i gruppi.56
Una possibile spiegazione di questa osservazione è che
la minore connettività nei pazienti con neurite ottica sia
dovuta alla degenerazione degli assoni nella radiazione
ottica secondaria alla perdita di fibre nel nervo ottico
a causa di degenerazione transinaptica. Abbiamo poi
reclutato pazienti all’esordio di una recidiva a livello del
midollo spinale e monitorato le principali vie della sostanza bianca che passano attraverso il midollo cervicale57
con un approccio probabilistico.58 La connettività media
e l’anisotropia frazionaria delle vie corticospinali laterali
e dei cordoni posteriori erano più basse nei pazienti con
SM rispetto ai controlli. Solo la connettività media dei
cordoni posteriori era correlata alla disabilità, indipendentemente dalle altre misure, dall’età e dal sesso, ed
era inferiore nei pazienti con maggiore disabilità agli
arti superiori (Figura 3). Questi dati indicano che negli
studi clinici la connettività può essere utilizzata come
complemento dell’anisotropia funzionale, poiché la connettività potrebbe evidenziare altre caratteristiche, come
la geometria e la lunghezza delle vie, ed essere correlata
alla disabilità meglio dell’anisotropia frazionaria e indipendentemente da questa. Anche se i processi patologici
che stanno alla base delle modificazioni nella connettività
sono sconosciuti, i processi patologici che contribuiscono
ai cambiamenti dell’anisotropia frazionaria sono stati
studiati.59,60 Un’analisi delle fibre del corpo calloso61 con
trattografia probabilistica62 ha dimostrato che era possibile
evidenziare una minore connettività nei pazienti con SM
che avevano una maggiore atrofia callosale (cioè, un’area
callosale più piccola). Poiché si ritiene che l’area callosale
sia una misurazione in vivo della perdita assonale, questa
osservazione indica che la connettività potrebbe essere
una misura del numero di assoni.
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Una questione importante in pazienti con SM è se i
cambiamenti strutturali indicati da indici di diffusione
anormali contribuiscono alla riorganizzazione funzionale del cervello. Audoin e collaboratori63 hanno portato
contributi sulle connessioni della sostanza bianca che
costituiscono il sistema della memoria di lavoro.63 Queste
connessioni, quando segmentate con la trattografia, 64
mostravano indici anomali di diffusione, che includevano un aumento delle connessioni tra aree come
il talamo sinistro e quello destro e una diminuzione
delle connessioni tra le altre aree.63 Tuttavia, quando si
interpretano tali risultati, occorre tenere presente che il
numero di connessioni visualizzate con la trattografia
non rappresenta il numero effettivo di fibre. Gli autori di
due studi65,66 hanno dimostrato che vi erano correlazioni
tra gli indici di diffusione ottenuti con la trattografia e le
misure di connettività funzionale ottenute con un software
di mappatura parametrica statistica (SPM2); ciò indica
che i danni alle fibre della sostanza bianca potrebbero
indurre modificazioni adattative funzionali che limitano
le conseguenze cliniche del danno.65,66
Per maggiori informazioni
sul software SPM2 si veda
http://www.fil.ion.ucl.ac.uk/
spm/software/spm2/
Epilessia
La trattografia è stata usata per studiare i pazienti con
epilessia con quattro obiettivi:67 valutare l’effetto fisiopatologico dell’epilessia cronica, o della patologia a essa
sottostante, sui fasci di fibre nervose della sostanza bianca;
indagare l’effetto dell’epilessia del lobo temporale sulla
riorganizzazione delle funzioni linguistiche; valutare i
cambiamenti strutturali causati da procedure chirurgiche
e prevedere gli effetti degli interventi chirurgici.
Widjaja e collaboratori68 hanno studiato bambini con
malformazioni dello sviluppo corticale trovando che
nella maggior parte dei pazienti con displasia corticale
focale affetti da epilessia non potevano essere ricostruiti
i fasci della sostanza bianca che proiettavano dalla o
verso la malformazione corticale. Ciò indica una perdita
199
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Rassegne
Figura 4: Distruzione del loop di Meyer dopo intervento di resezione del lobo
temporale anteriore in un paziente con quadrantopsia superiore omonima
La radiazione ottica destra preoperatoria è sovrapposta a immagini sagittali
non pesate in diffusione (a sinistra) e a immagini postoperatorie (a destra). Le
radiazioni ottiche preoperatorie ottenute con la trattografia sono sovrapposte
al lobo temporale anteriore resecato (a destra), soprattutto nella sua parte
anteriore (cioè, il confine anteriore del loop di Meyer). La barra colorata indica
le misure di probabilità di connessione o la confidenza di connessione al punto
di inizio. Adattata da Powell e collaboratori74 per gentile concessione della
American Academy of Neurology.
dell’organizzazione e dell’orientamento delle fibre della
sostanza bianca sottocorticale a causa delle crisi epilettiche o della displasia corticale. Gli effetti dell’epilessia
del lobo temporale sulle strutture correlate alla memoria
sono stati valutati da Concha e collaboratori,69 che hanno
reclutato pazienti con epilessia del lobo temporale farmacoresistente e sclerosi temporale mesiale unilaterale,
segnalando un’inattesa riduzione bilaterale simmetrica
dell’anisotropia frazionaria nelle immagini trattografiche70
del fornice e del giro cingolato adiacenti all’ippocampo,
suggestiva di degenerazione walleriana. Non è noto se
queste anomalie del lobo limbico siano il risultato di
crisi ricorrenti o se siano dovute a un fattore che predispone allo sviluppo della sclerosi temporale mesiale.
Gli autori hanno calcolato la variabilità intraosservatori
nella rappresentazione dei fasci di fibre e hanno tracciato
più regioni di interesse quando i fasci non riuscivano
a raggiungere le due regioni di interesse inizialmente
stabilite per la selezione dei fasci. Tuttavia, il numero di
pazienti valutati in questi due studi era piccolo e poiché
l’algoritmo della trattografia non teneva conto dei voxel
che avevano un’anisotropia frazionaria inferiore a 0,3
come seed voxel, è possibile che la gravità dell’anomalia
tissutale sia stata sottovalutata. Tuttavia, l’uso della trattografia deterministica e il disegno manuale delle regioni
di interesse per la selezione del fascio di fibre hanno il
vantaggio di focalizzarsi su vie separate scelte a priori e
riducono il rischio di falsi positivi.
Powell e collaboratori71 hanno esaminato la riorganizzazione dei circuiti neuronali del linguaggio in 14 pazienti
con epilessia del lobo temporale e sclerosi ippocampale. I
pazienti con epilessia del lobo temporale destro e i controlli
mostravano una modalità di attivazione del linguaggio
e connessioni della sostanza bianca lateralizzate a sinistra, mentre i pazienti con epilessia del lobo temporale
sinistro avevano attivazioni funzionali più simmetriche e
più collegamenti nell’emisfero destro integro rispetto ai
controlli. Gli autori di questo studio hanno confrontato la
risonanza magnetica funzionale (fMRI) con la trattografia. In particolare, la fMRI è stata utilizzata per definire
200
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i punti di partenza per la trattografia probabilistica, e ciò
ha richiesto la stima di mappe di attivazione in tutti i
partecipanti (controlli e pazienti) e la trasformazione di
queste mappe nello spazio nativo di ciascun individuo.
Anche se questo metodo ha il vantaggio di ridurre la
variazione intraosservatori quando si posizionano i voxel di
partenza e di studiare tutte le connessioni cerebrali senza
restrizioni, ha anche dei limiti. Ad esempio, le mappe di
attivazione dei pazienti e dei controlli combinate, anziché
una mappa fMRI separata per ciascun partecipante, hanno
ridotto la sensibilità nell’individuare le differenze tra gli
individui. Inoltre, la co-registrazione di fMRI e DTI può
essere inadeguata, portando a distorsioni nell’ottenere i
voxel di partenza, e lo smoothing spaziale delle scansioni
fMRI porta ad attivazioni che includono la sostanza grigia e quella bianca. Tuttavia, i risultati di questo studio
hanno dimostrato che la riorganizzazione strutturale si
realizza in presenza di plasticità funzionale, secondaria
all’epilessia del lobo temporale. Studi futuri dovranno
chiarire se fattori come l’età di insorgenza, la gravità e la
dominanza emisferica siano associati alla lateralizzazione
dei fasci e alla plasticità funzionale.
Le modificazioni indotte chirurgicamente a livello delle
radiazioni ottiche e delle strutture limbiche sono state
ampiamente studiate. Concha e collaboratori72 hanno
esaminato il fornice e il cingolo dei pazienti con epilessia
del lobo temporale e sclerosi temporale mesiale unilaterale
prima dell’intervento di resezione chirurgica delle strutture temporali mesiali e un anno dopo l’intervento. I pazienti
prima dell’intervento presentavano anomalie diffusionali
preoperatorie (cioè, ridotta anisotropia frazionaria e
aumento della diffusività media), diventate più evidenti
dopo l’intervento chirurgico, indicative di degenerazione
walleriana delle fibre della sostanza bianca interessate
dalla chirurgia. Anche gli indici di diffusione delle vie
controlaterali, che non erano direttamente interessate dalla
chirurgia, non si normalizzavano nei pazienti liberi da
crisi epilettiche; ciò è indicativo di anomalie irreversibili
della sostanza bianca.72 Tuttavia, poiché è stata utilizzata la
soglia abituale dell’anisotropia frazionaria di 0,3,69 potrebbero essere state sottovalutate anomalie locali. Gli stessi
ricercatori hanno fatto un’analisi longitudinale degli indici
di diffusione del ginocchio e del corpo calloso in pazienti
che erano stati sottoposti a callosotomia, riscontrando
modificazioni dinamiche dei parametri di diffusione, quale
la diffusività parallela e radiale, come conseguenza degli
eventi patologici sottostanti successivi alla transezione
assonale chirurgica.73 I limiti di questo studio sono il
piccolo campione studiato (sono stati inclusi nello studio
solo tre pazienti) e l’utilizzo di scansioni preoperatorie
non pesate in diffusione come modello su cui sono state
co-registrate e ri-sezionate le corrispondenti immagini
postoperatorie, che potrebbe avere introdotto errori nelle
misurazioni della diffusione. Tuttavia, il coefficiente di
variabilità negli indici di diffusione dello splenio del
corpo calloso, che non è stato transezionato, era inferiore
al 5% nei tre pazienti e in un controllo, il che implica
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Rassegne
l’affidabilità della tecnica. Questi risultati suggeriscono
che un’applicazione della trattografia diffusionale rappresenta la valutazione in vivo dei cambiamenti strutturali
microscopici conseguenti a danno assonale; ciò potrebbe
essere esteso ad altri modelli in vivo di degenerazione e
rigenerazione assonale e mielinica.
Un’altra interessante applicazione della trattografia è la
sua capacità di prevedere le complicanze della chirurgia
dell’epilessia refrattaria. Di conseguenza, la trattografia
potrebbe essere utilizzata come ausilio per la pianificazione preoperatoria e per prevenire il danno delle funzioni
corticali. Powell e collaboratori74 hanno dimostrato che la
trattografia probabilistica può essere utilizzata per valutare
l’estensione e la localizzazione del loop di Meyer e per
prevedere la comparsa di quadrantopsia superiore controlaterale che comunemente consegue a una resezione
del lobo temporale anteriore. Gli autori hanno dimostrato
che la traiettoria della radiazione ottica era interrotta in
un paziente con un difetto del campo visivo, mentre un
paziente senza interruzione di tale traiettoria non aveva
alcun deficit. Quando la radiazione ottica di destra prima
dell’intervento era sovrapposta alle immagini non pesate
in diffusione postoperatorie del paziente con la quadrantopsia, la radiazione ottica corrispondeva al lobo temporale
anteriore resecato (Figura 4). Nilsson e collaboratori75
hanno esteso tali risultati mediante l’uso della trattografia
deterministica per ricostruire la radiazione ottica e hanno
misurato le distanze tra la parte più anteriore del loop di
Meyer e il corno del polo temporale. Essi hanno dimostrato
l’alterazione del loop di Meyer in un paziente con quadrantopsia postoperatoria dopo resezione del lobo temporale,
mentre il loop di Meyer era integro in un paziente senza
difetto del campo visivo dopo l’intervento. La differenza
tra i due pazienti era che la distanza dal loop di Meyer
alla punta del corno temporale era più breve di circa 5
mm in quello con quadrantopsia postoperatoria; ciò suggerisce che il rapporto tra queste due strutture potrebbe
essere utile per predire il rischio di sviluppare un difetto
del campo visivo dopo resezione del lobo temporale per
epilessia farmacoresistente. Powell e collaboratori76 hanno
combinato la fMRI e la trattografia probabilistica nello
studio di pazienti sottoposti a resezione del lobo temporale
anteriore dell’emisfero dominante per il linguaggio. Una
maggiore lateralizzazione dei fasci di fibre dell’emisfero
dominante prima dell’intervento chirurgico è risultata
associata a un maggiore declino nel postoperatorio della
funzione di denominazione; ciò suggerisce che questa
tecnica può predire i deficit postoperatori del linguaggio.
Tuttavia, questi risultati sono preliminari perché è stato
studiato solo un piccolo campione di pazienti.
Una futura applicazione della trattografia nei pazienti
con epilessia è correlata alla RM intraoperatoria, che
potenzialmente è in grado di ridurre il rischio di complicanze chirurgiche ed eventualmente di visualizzare
le connessioni della sostanza bianca che devono essere
transezionate per disconnettere funzionalmente il focus
epilettico. A questo riguardo, la combinazione di trattoThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Fibre fronto-parietali
Fibre frontali
Arcuato
Cingolo
Fornice
Uncinato
Fascicolo longitudinale inferiore
Afasia progressiva primaria e degenerazione corticobasale
Demenza fronto-temporale e demenza semantica
Malattia di Alzheimer
Figura 5: Ricostruzione trattografica delle principali vie di sostanza bianca
coinvolte nelle più frequenti malattie neurodegenerative che colpiscono la
funzione cognitiva
Adattata da Catani e collaboratori80 per gentile concessione di Elsevier.
grafia, elettroencefalogramma e fMRI può delineare le
vie attraverso cui si propaga l’attività epilettica.77 Benché
sia stato descritto un solo caso e la trattografia non possa
distinguere tra vie afferenti ed efferenti, tali risultati
sottolineano la potenzialità della tecnica di identificare le
interazioni funzionali delle regioni coinvolte nelle scariche
epilettiformi intercritiche e i loro correlati strutturali.
Malattie neurodegenerative
Demenze degenerative
La perdita di neuroni corticali nei disturbi cognitivi di tipo
neurodegenerativo è invariabilmente accompagnata da
degenerazione assonale lungo specifiche vie della sostanza
bianca. Il processo degenerativo può colpire diversi fasci
di fibre a seconda dell’eziologia della patologia, del profilo sintomatologico e della gravità della malattia (Figura
5).78-80 Le immagini con tensore di diffusione forniscono
un approccio di rete ai disturbi neurocognitivi e possono
individuare le modificazioni cerebrali in una fase precoce del processo neurodegenerativo.81 Ad esempio, una
ridotta anisotropia funzionale è stata trovata nel cingolo,
nell’ippocampo e nella parte posteriore del corpo calloso
di individui cognitivamente sani, ma con aumentato
rischio genetico di demenza (ad es., individui portatori
di APOEe4).82 Analogamente, alterazioni della diffusione
nelle connessioni cortico-sottocorticali sono state individuate in soggetti presintomatici portatori della mutazione
genetica per la malattia di Huntington e in pazienti con
malattia di Huntington in fase iniziale.83 La trattografia può
migliorare la sensibilità e la specificità delle misurazioni
in diffusione localizzando i cambiamenti di specifici fasci
di fibre nervose.81 Ad esempio, nei pazienti con malattia
di Alzheimer sono state dimostrate modificazioni dell’anisotropia frazionaria nelle fibre associative a lunga
201
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Rassegne
distanza del lobo temporale coinvolte nelle funzioni di
memoria, ma non sono state osservate modificazioni nelle
radiazioni ottiche, di solito risparmiate in questi pazienti.84
Dati preliminari suggeriscono che le alterazioni rilevate
con le tecniche di diffusione rappresentino la gravità
della sottostante patologia della sostanza bianca. Xie e
collaboratori85 hanno dimostrato significative associazioni
tra valori di anisotropia frazionaria, volumi dell’ippocampo
e punteggi del mini-mental state examination in pazienti
con malattia di Alzheimer. In un topo transgenico che
iperesprime la proteina precursore della beta-amiloide, i parametri di diffusione erano significativamente
correlati alla gravità della patologia Alzheimer-simile
della sostanza bianca.86 Englund e collaboratori87 hanno
eseguito in parallelo esami neuropatologici post mortem
e quantificazione dell’anisotropia frazionaria cerebrale di
due individui con demenza e hanno riportato che l’entità
della patologia della sostanza bianca era significativamente
associata a ridotti valori di anisotropia frazionaria in 15
regioni di interesse.
In sintesi, i risultati degli studi preliminari indicano
che le immagini con tensore di diffusione sono sensibili nell’individuazione di alterazioni microstrutturali
in regioni vulnerabili della sostanza bianca di persone a
elevato rischio genetico per disturbi cognitivi, anche in
fasi presintomatiche o precliniche. La trattografia è stata
usata per localizzare la degenerazione lungo specifici fasci
di fibre nei pazienti con demenza associata a malattia di
Alzheimer. Tuttavia, le immagini con tensore di diffusione
hanno attualmente limitate applicazioni cliniche e, malgrado il loro potenziale, il numero di studi pubblicati che
hanno usato la trattografia è basso. Ciò potrebbe essere
legato alle difficoltà di eseguire studi con la trattografia
in pazienti anziani in cui la variabilità interindividuale,
soprattutto a causa di alterazioni correlate all’età (ad es.,
atrofia o iperintensità), riduce la possibilità di trovare differenze significative tra pazienti e controlli (falsi negativi).
Tuttavia, le alterazioni atrofiche della sostanza bianca e
della corteccia dei pazienti con demenza possono causare
effetti di volume parziale e di conseguenza aumentare la
probabilità di falsi positivi.
Sclerosi laterale amiotrofica
La trattografia è stata utilizzata nei pazienti con sclerosi
laterale amiotrofica per tracciare una mappa del fascio
corticospinale, che viene poi utilizzata come guida per
collocare le regioni di interesse. Ad esempio, Aoki e
collaboratori88 hanno ricostruito i fasci corticospinale e
corticobulbare in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica
e in controlli e posizionato le regioni di interesse lungo
queste vie con modalità semi-automatica. Anche se ciò
non risolve completamente il problema della variabilità
interpartecipanti e intraosservatori, questi autori hanno
trovato differenze significative nell’anisotropia frazionaria
tra pazienti e controlli e tra i pazienti con sclerosi laterale
amiotrofica a insorgenza bulbare e quelli con esordio a
livello degli arti; ciò indica che questa tecnica è in grado
202
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Figura 6: Distorsione delle vie motorie dovuta a un tumore
La distorsione della via motoria dovuta a un tumore è visualizzata con la
trattografia e sovrapposta a una mappa coronale MD; è facilmente individuabile
la vicinanza delle vie motorie al tumore.
di rilevare i sottili cambiamenti che contribuiscono alle
caratteristiche cliniche della malattia. Tuttavia, la posizione
dei fasci corticospinali e corticobulbari presenta variazioni
interindividuali e la posizione del fascio corticobulbare
cambia all’interno della capsula interna a seconda del
suo livello. Pertanto, non è possibile confermare che le
misure siano state ottenute da tale via. Abbiamo usato
la trattografia probabilistica per segmentare il fascio corticospinale, dalla capsula interna alla corteccia motoria,
e quantificare l’anisotropia frazionaria e la connettività
basata sui voxel per tutta la sua lunghezza.89 Nei pazienti
con sclerosi laterale amiotrofica la connettività è risultata associata alla velocità di progressione della malattia,
mentre l’anisotropia frazionaria non ha presentato alcuna
correlazione con la disabilità. Abbiamo cercato di limitare
l’effetto dell’atrofia cerebrale sulle nostre misurazioni
calcolando la frazione individuale della sostanza bianca
e includendola nell’analisi; tuttavia, questo studio non
è esente da limiti, inclusi quelli dovuti alle fibre che si
incrociano e gli effetti di volume parziale che derivano
dalla sostanza grigia dei voxel in cui termina il fascio
corticospinale ricostruito.
Sindromi parkinsoniane
Le modificazioni della diffusione in un piccolo numero
di pazienti con malattia di Parkinson idiopatica, atrofia
multisistemica o paralisi sopranucleare progressiva sono
state studiate con trattografia.90 La tecnica potrebbe essere
in grado di distinguere tra questi disturbi parkinsoniani
perché ciascuno di essi mostra anomalie della diffusione in
vie differenti.90 Tuttavia, il numero di pazienti studiati era
troppo piccolo per consentire eventuali analisi statistiche
o giungere a una conclusione definitiva, e le strutture
oggetto di indagine erano colpite da atrofia, il che ha
impedito di eseguire la trattografia in alcuni pazienti.
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Rassegne
I ricercatori che hanno utilizzato la trattografia per studiare le connessioni corticali e sottocorticali del nucleo
pedunculopontino91 e del nucleo subtalamico,92 che sono
obiettivi di stimolazione per il trattamento della malattia di
Parkinson avanzata, suggeriscono che questa tecnica può
essere utilizzata prima di un intervento per ottimizzare
l’inserimento degli elettrodi di stimolazione. Anche se la
trattografia può essere utilizzata per determinare in modo
non invasivo i collegamenti e la topografia di queste piccole
strutture di sostanza grigia, si dovrebbero considerare
diversi limiti metodologici, come la mancanza di dati sulla
direzione della via (ad es., retrograda o anterograda), la
sua funzione (ad es., inibitoria o eccitatoria) e la difficoltà
di individuare vie piccole o più complesse.
Applicazioni neurochirurgiche
La potenzialità della trattografia per la mappatura delle
vie eloquenti della sostanza bianca per la pianificazione
neurochirurgica e la neuronavigazione è stata chiara fin
dai primi sviluppi della tecnica.93-95 La corteccia motoria
primaria è una sede comunemente studiata per la pianificazione di un intervento neurochirurgico e i primi
tentativi di utilizzare la trattografia per questo scopo si
sono focalizzati sulla mappatura della via corticospinale.
In genere la mappatura è stata ottenuta scegliendo una
regione di interesse nei peduncoli cerebrali e un’ulteriore regione di interesse vicina alla corteccia motoria,
per ottenere una trattografia streamline con una soglia
di anisotropia frazionaria di 0,1. Potrebbe essere facile
identificare l’interruzione o la distorsione della via motoria
a causa di un effetto massa (Figura 6).94 La completezza
della ricostruzione della via motoria ha rappresentato un
problema nei primi studi, perché si riuscivano a ottenere
solo parziali connessioni dall’homunculus motorius, ed
erano presenti nella ricostruzione solo le porzioni più alte
della via, corrispondenti agli arti inferiori e al tronco.
I risultati dei primi confronti fra trattografia delle vie
motorie e stimolazione elettrocorticale intraoperatoria
sono stati deludenti a causa dei limiti a quel tempo
associati alla trattografia,96 come l’uso di metodi basati
su tensore che non consentono di visualizzare le vie che
si incrociano (e potrebbero pertanto sottorappresentare
i collegamenti dell’area della mano e del viso dell’homunculus), nonché la necessità di identificare le soglie
dell’anisotropia frazionaria che forniscono la ricostruzione
più completa della via. Kinoshita e collaboratori96 hanno
utilizzato una soglia relativamente alta (0,3) di anisotropia
frazionaria, che potrebbe avere in parte contribuito alla
loro osservazione che la trattografia sottovaluta le dimensioni delle vie motorie. Berman e collaboratori97 hanno
dimostrato che si possono usare le sedi di stimolazione
per la mappatura elettrocorticale per definire l’origine
della trattografia delle vie motorie discendenti, e hanno
raggiunto con successo il peduncolo cerebrale in 16 dei
27 siti di stimolazione nei pazienti con glioma.97 L’edema
ha causato traiettorie incomplete o deviate per cinque siti;
ciò sottolinea il fatto che l’espansione dello spazio extraThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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cellulare riduce l’anisotropia ed è quindi un importante
fattore confondente da considerare.94
I successivi confronti fra trattografia delle vie motorie
e stimolazione elettrocorticale intraoperatoria hanno
fornito risultati più favorevoli.98-103 Questi studi hanno
anche utilizzato la trattografia con tensore; pertanto, è
probabile che qualsiasi miglioramento sia stato correlato
all’uso di adeguate soglie di anisotropia frazionaria e
alla crescente esperienza relativa all’applicazione degli
algoritmi della trattografia. Ad esempio, Berman e collaboratori103 hanno trovato che la distanza media tra i siti di
stimolazione sottocorticale e la via motoria derivata dalla
trattografia era di 8,7±3,1 mm per 16 siti di stimolazione
in nove pazienti con glioma. Nel più grande studio finora
pubblicato, Mikuni e collaboratori100 hanno confrontato
la stimolazione elettrocorticale con la trattografia in 40
pazienti sottoposti a intervento chirurgico per il trattamento di tumori cerebrali in prossimità delle vie motorie.100
In 18 pazienti su 20, i potenziali evocati motori sono
stati elicitati dall’area sottocorticale entro 1 cm dalla via
motoria ricostruita; in altri 20 pazienti la distanza tra la
via motoria e l’area sottocorticale stimolata era superiore a
1 cm, ma i potenziali evocati motori sono stati individuati
solo in tre pazienti. Questi risultati sottolineano che la
trattografia e la stimolazione elettrocorticale intraoperatoria sono tecniche complementari che possono portare
a risultati migliori di quelli ottenuti con la stimolazione
elettrocorticale104-106 o la trattografia107,108 da sole. Inoltre,
la trattografia può essere utilizzata per identificare i siti
iniziali per la stimolazione elettrocorticale, permettendo
di localizzare le aree corticali eloquenti più velocemente
durante l’intervento.
L’integrazione della trattografia con i sistemi di neuronavigazione è stata descritta in diversi studi.99,109-111 Nimsky
e collaboratori110 hanno dimostrato che fasci di fibre della
sostanza bianca, come la capsula interna, si spostavano tra
–8 mm e 15 mm in una serie di 37 pazienti sottoposti a
intervento di asportazione di glioma. Questi risultati sottolineano l’importanza di un aggiornamento intraoperatorio
dei sistemi di navigazione durante la resezione di tumori
profondi posti in vicinanza ad aree cerebrali eloquenti.
Nel loro studio sulle vie motorie, Nimsky e collaboratori111
hanno trovato una variabilità intra- e interosservatori fino
a 1 mm e 2,3 mm, rispettivamente, nel volume del fascio.
Questi valori erano paragonabili all’errore di registrazione
del target, che era di 1 mm.
Le radiazioni ottiche sono un altro importante fascio
di sostanza bianca che può essere visualizzato con la
trattografia ai fini della pianificazione neurochirurgica.
In una serie di 10 pazienti con malformazioni arterovenose, Kikuta e collaboratori112 hanno riscontrato che la
ricostruzione incompleta delle radiazioni ottiche è risultata
associata a perdita del campo visivo. È stato descritto il
confronto intraoperatorio dei potenziali evocati visivi
con la trattografia delle radiazioni ottiche in un paziente
con glioblastoma multiforme.98 I potenziali evocati visivi non erano più rilevabili quando era stata raggiunta
203
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Rassegne
la radiazione ottica e gli autori hanno concluso che la
radiazione ottica è stata verificata elettrofisiologicamente
con un monitoraggio mediante potenziali evocati visivi.
La trattografia delle radiazioni ottiche è stata inoltre integrata retrospettivamente in un sistema radiochirurgico
con gamma knife, fornendo una prova di principio della
modificazione del piano terapeutico con l’obiettivo di
ridurre i danni da raggi alle radiazioni ottiche.113
Il linguaggio è un’altra importante funzione che deve
essere considerata quando si pianifica un intervento neurochirurgico. Il fascicolo arcuato, che collega le regioni
frontale e temporale, è coinvolto nella funzione del linguaggio, e l’anatomia e l’organizzazione di questa struttura sono aree di ricerca che hanno tratto benefici dalla
trattografia.42,114 Henry e collaboratori115 hanno utilizzato
la trattografia in un uomo di 40 anni per studiare quali
vie avevano inizio nelle sedi della stimolazione corticale
intraoperatoria associate al linguaggio e alla denominazione. Kamada e collaboratori115 hanno descritto in una
serie di 22 pazienti la trattografia del fascicolo arcuato,
generata con attivazioni fMRI con un compito di generazione di parole e la magnetoencefalografia con un compito
di lettura.116 Per due dei 22 pazienti, i dati di immagine
sono stati importati in un sistema di neuronavigazione, e
la posizione del fascicolo arcuato è stata confrontata con
la stimolazione elettrocorticale della zona di attivazione
identificata dalla fMRI; i punti dello stimolo erano posti
entro 6 mm dal fascicolo arcuato. È stata anche descritta
la distruzione da parte di gliomi delle vie del linguaggio,
in particolare il fascicolo longitudinale superiore e vari
altri tratti della sostanza bianca.117
La trattografia deve ancora affrontare diverse sfide nel
campo della pianificazione degli interventi neurochirurgici: i problemi tecnici che riguardano la combinazione
dei dati fMRI con la trattografia,95,118-120 i miglioramenti
dell’integrità geometrica delle immagini con tensore di
diffusione utilizzate per generare la trattografia, la sua
accurata importazione nei sistemi di neuronavigazione e i
miglioramenti nella visualizzazione e nell’uso delle informazioni ottenute con la trattografia. Lo e collaboratori121
hanno proposto di usare tecnologie di realtà virtuale per
migliorare la consapevolezza spaziale dell’informazione
tridimensionale. Un’ulteriore considerazione è la garanzia
della qualità, anche se finora vi è stata poca attenzione
verso questo tema perché la maggior parte dei gruppi di
ricerca è stata più interessata a studi di prova di principio che a studi per indagare una serie di fasci di fibre
eloquenti e di patologie.
In sintesi, sta crescendo l’importanza della trattografia
nel campo della pianificazione degli interventi neurochirurgici e la trattografia viene sempre più utilizzata nei
dipartimenti di neurochirurgia di tutto il mondo. Tuttavia,
gli attuali usi della trattografia sono limitati a istituzioni
specializzate che possiedono le infrastrutture (supporto
tecnico locale da parte di fisici e specialisti nel campo delle
neuroimmagini) necessarie per consolidare una tecnica
valida e clinicamente utilizzabile. Nonostante ciò, grazie
204
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ai miglioramenti della metodologia, alla ricerca di una
più ampia gamma di fasci, a una migliore comprensione
delle interazioni tra patologia e trattografia e alla crescente
esperienza nell’uso della trattografia, in molti centri nei
prossimi anni il metodo verrà utilizzato routinariamente
in ambito clinico.
Disturbi del midollo spinale
Pochi autori hanno applicato la trattografia allo studio del
midollo spinale. Questa carenza è dovuta soprattutto alle
difficoltà e ai limiti tecnici correlati alla visualizzazione
di una struttura così piccola122 che è circondata da liquido
cerebrospinale in movimento ed è adiacente a ossa e a
strutture che si muovono con la respirazione e la deglutizione. I risultati dei pochi studi eseguiti hanno dimostrato
che la trattografia può aiutare a diagnosticare malattie
infiammatorie del midollo spinale,123 a individuare la sede
di un astrocitoma124 e il punto di compressione del midollo
spinale,125 a caratterizzare la deformazione e l’interruzione
delle fibre locali causate da malformazioni arterovenose126
e altre patologie127 e che è in grado di fornire una misura
di connettività correlata alla disabilità nei pazienti con
SM.57 Tuttavia, i limiti della trattografia correlati alla bassa
risoluzione delle immagini e agli artefatti possono essere
maggiori nel midollo spinale che nell’encefalo. Inoltre,
per confermare se le vie in studio sono state ricostruite
correttamente si possono usare solo le conoscenze anatomiche. Pertanto, i risultati degli studi qualitativi su singoli
pazienti sono più affidabili degli studi quantitativi su gruppi di individui. I processi che sono alla base dei risultati
della trattografia nei tumori o nelle lesioni infiammatorie
midollari sono difficili da commentare perché un basso
valore di anisotropia frazionaria, che interrompe il fascio
se è inferiore alla soglia dell’anisotropia frazionaria, può
essere dovuto a edema extracellulare o a degenerazione
delle fibre della sostanza bianca.
Future applicazioni della trattografia del midollo spinale
saranno quelle di indagare il ruolo della tecnica nella
gestione dei pazienti e nella pianificazione degli interventi
chirurgici. Le prime esperienze dimostrano che la trattografia può essere usata per confermare l’integrità delle
fibre dopo lesioni del midollo spinale, che rappresenta un
fattore determinante per il successo degli impianti.128
Conclusioni
Le attuali applicazioni della trattografia ai disturbi neurologici dimostrano che questa tecnica ha la potenzialità di
migliorare la conoscenza dei danni e del recupero nelle
malattie dell’encefalo e del midollo spinale. Dal punto
di vista clinico, la trattografia può essere usata come
strumento per la diagnosi e la gestione dei pazienti,
soprattutto coloro che sono sottoposti a un intervento
chirurgico. L’importazione della tecnica nei sistemi
di neuronavigazione permette di guidare l’intervento
mediante la trattografia. Gli studi rivisti in questo lavoro
forniscono prove che le misure derivate dalla trattografia
sono correlate con la disabilità, sono sensibili ai cambiaThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Rassegne
Strategie di ricerca e criteri di selezione
La bibliografia per questa revisione è stata identificata
attraverso PubMed dal 1994 al gennaio 2008, con la ricerca
dei termini “tractography”, “tracking”, “stroke”, “recovery”,
“multiple sclerosis”, “epilepsy”, “tumour”, “neuronavigation”,
“dementia”, “frontotemporal dementia”, “Huntington”,
“Alzheimer”, “corticobasal degeneration”, “Parkinson”,
“amyotrophic lateral sclerosis” e “spinal cord”. Sono stati rivisti
solo i lavori pubblicati in lingua inglese. L’elenco finale dei
lavori è stato selezionato dagli autori in base alla rilevanza per
l’argomento.
menti patologici che si verificano nelle fasi precoci del
processo di malattia, cambiano col tempo mostrando
la progressione clinica e predicono gli esiti clinici. In
quanto tali, queste misure potrebbero avere un ruolo
importante come marcatore surrogato in futuri studi
clinici, soprattutto se si dimostrerà che sono sensibili alla
terapia farmacologica. Un’applicazione della trattografia è
la valutazione indiretta della neurodegenerazione e della
demielinizzazione nei pazienti con disturbi neurologici,
in modo da dirigere i trattamenti e sviluppare terapie
dirette nei confronti di tali processi. Un’altra promettente
applicazione della trattografia è di indagare la relazione
tra funzione e struttura in encefali sani e malati e valutare
se le misure fMRI dell’attività corticale sono correlate con
gli indici di integrità strutturale delle sottostanti vie della
sostanza bianca.129
La metodologia della trattografia è ormai un settore
maturo della ricerca che ha fornito notevoli progressi
nella descrizione dell’architettura delle fibre complesse e
ha portato a un miglioramento della ricostruzione della
sostanza bianca. I futuri sviluppi nell’acquisizione delle
immagini e nelle applicazioni a campi alti e altissimi
potrebbero permettere di disporre in ambito clinico di
immagini ad alta risoluzione. Questi sviluppi dovrebbero
portare a studiare l’anatomia in modo più dettagliato e
consentiranno una maggiore accuratezza e precisione
nel tracciare le vie della sostanza bianca, con un minor
numero di risultati falsi positivi e falsi negativi. Di conseguenza, un numero crescente di studi clinici utilizzerà la
trattografia per valutare nuove ipotesi e ottenere nuove e
importanti informazioni sull’organizzazione del cervello
e sull’effetto dei disturbi cerebrali.
Poiché si avranno progressi in altre modalità di neuroimmagine, si dovrà confrontare la trattografia con le tecniche
alternative, o in combinazione a esse. Tali tecniche includono le scansioni con trasferimento di magnetizzazione,
che è sensibile al contenuto di mielina130 e alla densità degli
assoni,131 e la PET con ligandi del recettore periferico delle
benzodiazepine, per studiare l’attivazione microgliale che
si verifica dopo un danno neuronale.132
Contributi
OC ha avuto l’idea di scrivere questa revisione e ha scritto
l’introduzione, le conclusioni e le sezioni sulla sclerosi multipla,
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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l’epilessia, la sclerosi laterale amiotrofica, le sindromi parkinsoniane e le
malattie del midollo spinale; ha visto e approvato la versione definitiva.
MC ha scritto la sezione sulle demenze degenerative cognitive e ha visto
e approvato la versione definitiva. HJ-B ha scritto la sezione sull’ictus e
ha visto e approvato la versione definitiva. CC ha scritto la sezione su
applicazioni neurochirurgiche, metodologia e conclusioni, e ha visto e
approvato la versione definitiva. AJT ha redazionato il manoscritto e ha
visto e approvato la versione finale
Conflitti di interesse
MC, HJ-B e CC non hanno conflitti di interesse. OC ha ricevuto
da Biogen un finanziamento per un viaggio per partecipare a una
conferenza internazionale nel 2006. AJT fa parte di comitati di
consulenza di Novartis e Genentech, presiede il comitato di Teva per
la sicurezza e il monitoraggio per lo studio sul glatiramer acetato nella
sclerosi laterale amiotrofica e ha ricevuto onorari da Schering, Serono,
La Roche, Novartis e Teva per viaggi e conferenze. Questa revisione non
è stata sostenuta da alcuno sponsor aziendale.
Ringraziamenti
OC e HJ-B sono finanziati dal Wellcome Trust. MC è finanziato dal
Medical Research Council (UK) e dalla rete AIMS.
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The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Punto di vista
Cellule B e sclerosi multipla
Diego Franciotta, Marco Salvetti, Francesco Lolli, Barbara Serafini, Francesca Aloisi
L’espansione clonale delle cellule B e la produzione di IgG oligoclonali nell’encefalo e nel liquor dei pazienti con
sclerosi multipla (SM) sono state a lungo interpretate come una prova circostanziale della patogenesi immunomediata
della malattia e indicano una possibile causa infettiva. Lavori estensivi sugli anticorpi prodotti in sede intratecale non
hanno ancora chiarito se essi siano patogeneticamente rilevanti. Indipendentemente dalla specificità degli anticorpi,
tuttavia, i processi della sintesi degli anticorpi nel SNC dei pazienti con SM stanno diventando sempre più chiari.
Analogamente, l’uso delle cellule B come obiettivo potrebbe essere terapeuticamente rilevante nella SM e in altre
malattie autoimmuni che si ritiene siano determinate soprattutto dalle cellule T. Si stanno accumulando evidenze
che indicano che nella SM, similmente all’artrite reumatoide, le cellule B si aggregano in strutture simil-linfoidi
nell’organo bersaglio. Il processo di aggregazione è mediato dall’espressione delle chemochine che influenzano l’homing linfoide. Nell’encefalo di un paziente con SM, i follicoli di cellule B ectopiche aderiscono preferenzialmente
alla membrana piale all’interno dello spazio subaracnoideo. Recenti osservazioni indicano che sostanziali quantità
di cellule B infettate dal virus di Epstein-Barr (EBV) si accumulano in questi follicoli intrameningei e nelle lesioni
della sostanza bianca; queste cellule sono probabilmente l’obiettivo di una risposta immunitaria citotossica. Questi
dati, che attendono conferma, potrebbero essere una spiegazione della continua attivazione di cellule B e T nella
SM ma sollevano dubbi sulla possibile patogenicità degli autoanticorpi. Andando al di là del dogma degli anticorpi
antimielina, i dati indicati sopra giustificano un ulteriore lavoro su vari meccanismi correlati alle cellule B, come lo
studio delle funzioni regolatorie ed effettorie delle cellule B, la definizione della consistenza della colonizzazione
del SNC da parte di cellule B infettate dal virus di Epstein-Barr e la comprensione dei meccanismi alla base della
formazione e della persistenza di tessuti linfoidi terziari nei pazienti con SM e altre malattie croniche autoimmuni
(sindromi follicolari ectopiche). Questo lavoro stimolerà modalità nuove e non convenzionali di riflessione sulla
patogenesi della SM.
Introduzione
La sclerosi multipla (SM) è una malattia demielinizzante infiammatoria del SNC caratterizzata da persistente
sintesi intratecale di immunoglobuline, soprattutto IgG
oligoclonali, e reclutamento di cellule T attivate e macrofagi nel SNC. Gli stimoli antigenici che danno inizio
o perpetuano questa reattività immune anormale sono
ancora oggetto di intensa ricerca e dibattito. Negli ultimi
anni, è stato messo in dubbio il concetto della SM come
malattia autoimmunitaria mediata dalle cellule T reattive
nei confronti della mielina ed è in corso la rivalutazione
del ruolo delle cellule B nella patogenesi della malattia.1,2
Tre serie di nuovi dati – la caratterizzazione delle strutture
follicolo-simili di cellule B nelle meningi cerebrali dei
pazienti con SM,3-5 che estende la precedente descrizione
di tessuto linfoide nelle lesioni SM;6 l’osservazione che
una sostanziale proporzione di cellule B o plasmacellule
che si accumulano in questi follicoli e nelle lesioni della
sostanza bianca è infettata dal virus di Epstein-Barr (EBV);7
i risultati di uno studio clinico con l’anticorpo anti-cellule
B rituximab8 – forniscono ora un supporto concettuale
reciproco sulla rilevanza del ruolo delle cellule B nella
patogenesi della SM e aprono un possibile scenario che
collega l’attivazione delle cellule B anormali all’immunopatologia mediata dalle cellule T.
Recenti sviluppi
Fattori che scatenano l’attivazione delle cellule B
Tradizionalmente, le cellule B sono state implicate nella
SM per la loro capacità di produrre anticorpi patogeni o
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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autoanticorpi che possono distruggere il tessuto reclutando
macrofagi che esprimono il recettore Fc e attivando la via
del complemento. I risultati di studi istopatologici indicano che gli anticorpi possono avere un ruolo importante
nella genesi della placca9 e nella demielinizzazione nei
pazienti con SM stabilita.10 L’elenco degli antigeni patogeni
candidati nella SM si è recentemente allungato; oltre agli
antigeni della mielina, per i quali non sono disponibili
prove conclusive,11 alcuni antigeni non mielinici sono
giunti al centro dell’attenzione. L’interesse per la piccola
heat-shock protein ab-cristallina è stato riacceso dall’osservazione che questa proteina ha attività antinfiammatoria e
che gli anticorpi anti-ab-cristallina sono stati individuati
nel liquor di pazienti con SM.12 Nel modello patogenetico
proposto, le risposte delle cellule B che hanno come obiettivo la ab-cristallina possono esacerbare l’infiammazione
sopprimendo il ruolo immunosoppressivo di questa proteina.12 Aggiungendosi ai dati precedenti sulla presenza
di anticorpi nei confronti di proteine assonali (soprattutto
neurofilamenti) nei pazienti con SM,13,14 Mathey e collaboratori15 hanno trovato un aumento delle concentrazioni di
anticorpi contro la neurofascina – una proteina neuronale
concentrata nei nodi di Ranvier delle fibre mielinizzate
– nel siero di pazienti con SM secondariamente progressiva. L’iniezione di anticorpi anti-neurofascina nel
topo con encefalomielite autoimmune sperimentale ha
inibito la conduzione assonale secondo una modalità
dipendente dal complemento.15 Benché il concetto che
gli autoanticorpi possono esacerbare l’infiammazione e
la neurodegenerazione nei pazienti con SM sia interes-
Lancet Neurol 2008; 7: 852-58
Laboratorio di
Neuroimmunologia, IRCCS
Istituto Neurologico
‘C Mondino’, via Mondino 2,
27100, Pavia
(D Franciotta MD); Dipartimento
di Neurologia e Centro
Neurologico Terapia
Sperimentale (CENTERS),
Ospedale S. Andrea, Università
di Roma ‘La Sapienza’, via di
Grottarossa 1035, 00189,
Roma (M Salvetti MD);
Dipartimento di Scienze
Neurologiche e Psichiatriche,
Università di Firenze, viale
Morgagni 85, 50134, Firenze
(F Lolli MD); Dipartimento
di Biologia Cellulare e
Neuroscienze, Istituto
Superiore di Sanità, viale
Regina Elena 299, 00161,
Roma (B Serafini PhD,
F Aloisi PhD)
Corrispondenza:
Dr Diego Franciotta, Istituto
Neurologico
‘C. Mondino’, via
Mondino 2, 27100 Pavia
[email protected]
209
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Punto di vista
Riquadro: Glossario dei termini
Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un g-herpes virus che infetta in modo persistente oltre il 90% degli individui nel mondo.
Le cellule B sono la principale riserva cellulare del virus: nel sangue periferico di individui sani, tra 1 e 50 cellule B per milione sono
infettate dall’EBV. Poiché l’EBV può trasformare o immortalizzare le cellule B, è necessario uno stringente controllo immunologico
per prevenire i tumori associati all’EBV, in particolare il carcinoma nasofaringeo, il linfoma di Burkitt e la malattia di Hodgkin.
La mononucleosi infettiva, un’infezione primaria da EBV, è associata a un aumento di rischio di SM;17 le due malattie hanno notevoli
somiglianze epidemiologiche e la sieropositività e i titoli anticorpali per l’EBV sono più elevati nei pazienti con SM che negli individui
sani.17 La sierologia positiva per l’EBV è sempre più associata a molte malattie autoimmuni.18 L’autoimmunità potrebbe essere
scatenata da diverse caratteristiche biologiche specifiche dell’EBV: le proteine latenti e litiche dell’EBV sono potenti immunogeni
che inducono forti risposte delle cellule B e T; le risposte immuni specifiche dell’EBV possono cross-riconoscere autoantigeni; la latent
membrane protein 1 (LMP1) dell’EBV induce l’espressione del fattore di attivazione delle cellule B della famiglia TNF (BAFF) e un
ligando induttore della proliferazione (APRIL) che stimola la sopravvivenza delle cellule B e la produzione di anticorpi indipendente
dalle cellule T; vi sono anche evidenze sperimentali secondo cui il BAFF potrebbe salvare le cellule B autoreattive.19
I follicoli linfoidi ectopici si sviluppano da cellule immunitarie che infiltrano cronicamente tessuti infiammati e si organizzano in
strutture che ricordano il tessuto linfoide; mostrano diverse caratteristiche dei centri germinativi, comprese le cellule B proliferanti
e una rete centrale di cellule dendritiche stromali/follicolari. I centri germinativi sostengono le risposte immunitarie umorali nei
confronti degli organismi infettivi promuovendo l’homing delle cellule B, la loro espansione e la differenziazione in plasmacellule che
producono anticorpi ad alta affinità.
Il sistema CXCL13-CXCR5 è un’associazione ligando-recettore. Il CXCL13, una chemochina prodotta dalle cellule dendritiche
stromali/follicolari, ha un ruolo vitale nella formazione e nel mantenimento dei follicoli di cellule B negli organi linfoidi secondari e
terziari.
Le chemochine agiscono legandosi al recettore CXCR5, che è espresso sulle cellule B e su sottogruppi di cellule T, e attraendo queste
cellule nei follicoli.
Le IgG oligoclonali sono i prodotti delle plasmacellule oligoclonali che secernono immunoglobuline, che migrano come bande
discrete dopo separazione elettroforetica. Queste bande possono essere individuate nel liquor della maggior parte (>95%) dei
pazienti con SM, persistono per tutto il decorso della malattia e sono un marcatore diagnostico della malattia; tuttavia, la loro
specificità antigenica è quasi del tutto sconosciuta. Le IgG oligoclonali si trovano anche nel liquor dei pazienti con altre malattie
neurologiche. Nelle infezioni acute e croniche del SNC, le IgG oligoclonali intratecali sono transitorie e sono principalmente dirette
contro il patogeno causativo, mentre nelle sindromi neurologiche paraneoplastiche riconoscono antigeni onconeurali. Accoppiando
i trascrittomi delle immunoglobuline delle cellule B con i corrispondenti trascrittomi delle immunoglobuline in campioni di liquor
di pazienti con SM, Obermeier e collaboratori43 hanno fornito una prova diretta che le cellule B del liquor sono la fonte delle
immunoglobuline oligoclonali nei pazienti con SM.
La reazione MRZ tiene conto della produzione intratecale di anticorpi nei confronti dei virus del morbillo, della rosolia e della varicella
zoster, calcolati a partire dai rispettivi indici di anticorpi virus-specifici. Una reazione MRZ positiva, definita come la combinazione
di almeno due indici anticorpali positivi su tre, è presente in circa il 90% dei pazienti con SM, senza replicazione attiva dei tre virus.
Tuttavia, la produzione intratecale di anticorpi verso uno specifico organismo infettivo di solito è conseguente a una replicazione
attiva di tale patogeno nel SNC.
Il rituximab è stato approvato dalla FDA nel 1997 per alcuni linfomi a cellule B e per l’artrite reumatoide resistente al trattamento
ed è stato usato fuori indicazione per trattare le forme gravi di altre malattie mediate da autoanticorpi. Il farmaco è un anticorpo
monoclonale umanizzato diretto verso l’antigene CD20 sulle cellule B circolanti e, forse, su quelle associate al tessuto linfoide
attraverso citotossicità cellulomediata e dipendente dal complemento ed effetti proapoptotici. Poiché le plasmacellule non
esprimono il CD20, non sono deplete dal rituximab; ciò implica che le concentrazioni di anticorpi sierici e le IgG oligoclonali
nel liquor potrebbero non essere influenzate dal farmaco nei pazienti con SM.
sante, non è ancora noto quali antigeni siano riconosciuti
dalle IgG oligoclonali intratecali e come venga indotta la
risposta autoimmune.
Gli organismi infettivi sono stati a lungo considerati
come trigger candidati dell’autoimmunità nella SM,
forse attraverso il meccanismo della mimicry molecolare
o l’attivazione in qualità di semplici spettatori.16 Questa
idea ha ricevuto nuovo impeto dai risultati di studi sieroepidemiologici e immunologici che hanno ampliato
210
03 Rassegne okok.indd 210
le evidenze su un’alterata immunoreattività all’EBV17-19
(si veda il glossario, Riquadro) nei pazienti con SM.16,20
I risultati di studi longitudinali hanno dimostrato che
aumenti nei titoli di anticorpi anti-EBV si manifestano
molto prima dell’esordio della SM, a indicare che l’aumento dell’immunoreattività all’EBV è un evento precoce
nella SM, piuttosto che una conseguenza della malattia.21
Cepok e collaboratori22 hanno isolato IgG oligoclonali che
riconoscono antigeni EBV dal liquor di pazienti con SM,22
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Punto di vista
e diversi studi hanno riportato un aumento delle risposte
delle cellule T agli antigeni EBV, soprattutto l’EBNA1, nel
sangue di pazienti.22-24 Malgrado il ravvivato interesse per
l’EBV come mediatore eziologico della SM, i meccanismi
che legano l’infezione da HBV alla patologia della SM
restano sconosciuti. Indizi per chiarire questo problema
vengono dall’analisi degli infiltrati delle cellule infiammatorie nell’encefalo dei pazienti con SM.
Nel corso della ricerca sui meccanismi molecolari dell’attrazione e della sopravvivenza delle cellule B su tessuti
cerebrali post mortem, Serafini e collaboratori3 hanno
identificato follicoli linfoidi ectopici (Riquadro) ricchi di
cellule B e plasmacellule nelle meningi di un sottogruppo
di pazienti con SM secondariamente progressiva. Benché
apparentemente limitata alle fasi tardive della malattia,
la presenza di strutture linfoido-simili negli encefali di
pazienti con SM potrebbe fornire un microambiente in cui
può avvenire l’espansione e la maturazione delle cellule
B, e di conseguenza la produzione locale di immunoglobuline. Magliozzi e collaboratori5 hanno sottolineato
la localizzazione preferenziale dei follicoli ectopici nello
spazio subaracnoideo nei solchi cerebrali (Figura 1) e
hanno correlato la loro presenza a una grave patologia
corticale e a un decorso clinico aggressivo. Questi dati
sollevano la possibilità che alcuni tipi di cellule che sono
parte dei follicoli ectopici possano rilasciare anticorpi
patogeni o altri fattori citotossici. Considerati insieme
alle precedenti osservazioni secondo cui il rapporto fra
plasmacellule produttrici di immunoglobuline e cellule
T è inferiore nelle lesioni SM precoci rispetto a quelle
tardive,25,26 i reperti prima riportati indicano che l’evidente
infiltrazione di cellule B e l’organizzazione linfoide nell’encefalo di soggetti con SM potrebbero avere un ruolo
nell’aggravare le lesioni tissutali cerebrali.
L’accumulo di cellule B e la formazione di tessuto linfoide ectopico con distinte aree di cellule T e follicoli di
cellule B (neogenesi linfoidea) sono anche caratteristici di
altre malattie autoimmuni, come la miastenia gravis,27 la
tiroidite autoimmune e l’artrite reumatoide.4,28 Una forte
attivazione immunitaria è comune a tutte queste malattie e produce neogenesi linfoidea negli organi bersaglio
infiammati, benché il ruolo preciso di questo processo
nello sviluppo della malattia e la sua relazione con l’attività
della malattia siano largamente sconosciuti. I risultati di
recenti studi in pazienti con artrite reumatoide sostengono
l’associazione di tessuto linfoide ectopico sinoviale con
gravità della malattia e minore risposta alla terapia.29
La CXCL13 (Riquadro), una chemochina coinvolta
nell’organogenesi linfoidea attraverso la regolazione dell’homing delle cellule B ai tessuti linfoidi, è una molecola
importante nello sviluppo del tessuto linfoide ectopico in
varie malattie infiammatorie.4,30,31 Nei pazienti con SM,
l’espressione della CXCL13 è stata individuata nei follicoli intrameningei3,5 e nelle lesioni attive,32 e un’elevata
concentrazione di chemochine è stata rilevata nel liquor,32
associata a follicoli a cellule B.33 Altre chemochine (ad es.,
CCL19, CCL21 e CXCL12) e molecole di adesione (ad es.,
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VCAM1 e PNAd), costitutivamente espresse negli organi
linfoidi secondari e indotte durante l’infiammazione, sono
state implicate nella migrazione delle cellule B e nell’organizzazione dei follicoli a cellule B in organi bersaglio,
soprattutto nei pazienti con artrite reumatoide.4
L’identificazione di follicoli di cellule B ectopici nei
pazienti con SM ha portato a ipotizzare che la loro formazione possa essere la manifestazione di una patologia
associata all’EBV. Il razionale alla base di questa ipotesi
era che l’EBV avesse la peculiare capacità di indurre
un’infezione latente nelle cellule B, portando alla loro
proliferazione e maturazione, e di riattivarle, inducendo una potente risposta immunitaria citotossica.34 Con
l’ibridazione in situ per piccoli mRNA nucleari codificati
dall’EBV e le tecniche immunoistochimiche con anticorpi
contro proteine virali latenti e litiche, Serafini e collaboratori7 hanno identificato un anormale accumulo di cellule
infettate da EBV nei tessuti cerebrali post mortem di 21
pazienti su 22 con SM. L’infezione perturbata dall’EBV
nell’encefalo è risultata indipendente dallo stadio o dalla
forma della malattia (acuta-precoce, cronica-tardiva,
remittente-recidivante, secondariamente progressiva o
primariamente progressiva), non è apparsa correlata alla
terapia immunosoppressiva o immunomodulante cronica
(solo 4 dei 22 pazienti con SM avevano ricevuto tali terapie) ed è risultata specifica della SM, perché non è stata
trovata in pazienti con altre malattie infiammatorie del
SNC che avevano un sostanziale accumulo di cellule B (ad
es., infezioni virali e micotiche o vasculite primaria). La
mancata individuazione in due precedenti studi di cellule
B infettate dall’EBV nell’encefalo di pazienti con SM35,36
potrebbe essere conseguente a differenze metodologiche,
degradazione del tessuto o entrambe. Serafini e collaboratori7 hanno trovato che i marcatori dell’infezione latente
da EBV erano costantemente espressi in una sostanziale
percentuale di cellule B o plasmacellule che si accumulavano nelle meningi, soprattutto all’interno dei follicoli
ectopici, e nei manicotti perivascolari delle lesioni demielinizzanti acute e croniche. L’espressione delle proteine
EBV associate al ciclo litico precoce era invece confinata
ai follicoli ectopici e alle lesioni acute degli encefali con
maggiore infiltrazione, correlando la riattivazione virale
all’attività infiammatoria.7 Queste osservazioni indicano
che i follicoli ectopici di cellule B potrebbero derivare
dall’espansione incontrollata di cloni di cellule B infettate dall’EBV e potrebbero essere importanti siti occulti
di persistenza e riattivazione dell’EBV durante gli stadi
tardivi della malattia.
L’immunoreattività alterata all’EBV18-24 e l’assenza di un
rilevante aumento dei titoli di DNA dell’EBV nel sangue
e nel liquor dei pazienti7,24,37 suggeriscono fortemente
l’esistenza di un’infezione da EBV persistentemente sregolata e prevalente a livello del SNC nella patogenesi della
SM. La cross-reattività tra EBV e antigeni mielinici38,39 e
l’immortalizzazione dei cloni di cellule B che producono
autoanticorpi40 sono state proposte come plausibili meccanismi mediante cui l’EBV scatenerebbe l’autoimmunità. In
211
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Punto di vista
Sostanza grigia
Sostanza bianca
Membrana
basale
Astrocita
Pedicello astrocitario
Glia limitante
Cellula
perivascolare
Sangue
Spazio
subaracnoideo
Pericita
Membrana
basale
Endotelio
Venula intracerebrale
Sangue
Venula meningea
Liquor
Figura 1: Infiltrati di cellule infiammatorie nell’encefalo di un paziente con SM
(A) Le cellule immunitarie si accumulano soprattutto nelle regioni perivascolari (spazi di Virchow-Robin) nelle lesioni della sostanza bianca. (B) I follicoli linfoidi ectopici sono usualmente localizzati
vicino alle venule meningee e aderenti alla membrana piale all’interno dei solchi cerebrali. Anche le cellule dendritiche mieloidi e le cellule dendritiche plasmocitoidi infiltrano l’encefalo dei pazienti con
SM. Le cellule dendritiche mieloidi hanno un ruolo importante nella presentazione dell’antigene e nell’attivazione delle cellule T, mentre le cellule dendritiche plasmocitoidi producono grandi quantità
di interferone di tipo 1, una citochina antivirale. Le molecole di adesione, come il lymphocyte function-associated antigen-1 (LFA-1) e il very-late antigen 4 (VLA-4 [a4b1-integrina]) permettono lo
stravaso di linfociti in entrambi i siti. Le cellule dendritiche stromali/follicolari, che formano una rete nei follicoli, secernono la chemochina CXCL13 che determina l’homing delle cellule B. La presenza di
cellule B proliferanti nei follicoli è indicativa della formazione di un centro germinativo.4 Nelle aree perivenulari e meningee, le cellule B o le plasmacellule infettate dal virus di Epstein-Barr potrebbero
diventare il target delle cellule T CD8+ citotossiche.7 PC=plasmacellule. T=cellule T. B=cellule B. Mj=macrofagi. e=eritrocita. mDC=cellula dendritica mieloide. pDC=cellula dendritica plasmocitoide.
PM=membrana piale. S/FDC=cellula dendritica stromale/follicolare. PB=plasmablasto. LLP=cellula plasmatica a lunga vita.
alternativa, o in aggiunta, l’encefalo potrebbe essere uno
spettatore innocente, piuttosto che l’obiettivo diretto della
risposta immunopatologica scatenata dal virus; in altre
malattie associate all’EBV è noto che ciò rappresenta un
fattore negativo.41 Coerentemente con questa idea, cellule
T CD8+ attivate, che presentano segni di citotossicità nei
confronti delle cellule B o delle plasmacellule, sono state
identificate nelle principali sedi di infezione da EBV nell’encefalo di soggetti con SM.7 Ciò suggerisce un tentativo
da parte del sistema immunitario di eradicare le cellule
infettate dall’EBV dal SNC. Depositi anomali di EBV e
cellule T CD8+ EBV-specifiche sono stati trovati nei tessuti
e nel liquido sinoviale di pazienti con artrite reumatoide,
ma la loro rilevanza patologica è incerta.42 Pertanto, in
individui geneticamente predisposti, e probabilmente
con il contributo di altri fattori ambientali, compresi altri
virus, l’infezione da EBV potrebbe essere controllata in
modo subottimale dal sistema immunitario dell’ospite,
risultando in un’espansione di cellule B infettate nelle
nicchie extralinfatiche.
Le cellule B e le plasmacellule infettate dall’EBV nello
spazio subaracnoideo e negli spazi di Virchow-Robin
contigui al compartimento subaracnoideo-ventricolare
indicano che nei pazienti con SM le IgG oligoclonali43
(Riquadro) potrebbero essere un prodotto collaterale di
un’infezione da EBV sregolata che causa l’attivazione cronica delle cellule B, piuttosto che il risultato di un processo
indotto da antigeni. Le IgG sintetizzate in sede intratecale potrebbero essere prodotte da cellule B di memoria
infettate a caso dall’EBV e, di conseguenza, sarebbero
eterogenee e non specifiche per la SM, in accordo con dati
storici.44 La possibilità che le cellule B infettate dall’EBV
212
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producano anticorpi nonsenso si accorda bene con i dati
riportati da Mattson e collaboratori45 secondo cui le IgG
da singole placche di SM hanno pattern distinti, mentre
le IgG ottenute da aree cerebrali diverse di pazienti con
panencefalite sclerosante subacuta hanno pattern IgG
identici. Poiché la panencefalite sclerosante subacuta è
una complicanza dell’infezione da virus del morbillo, cioè
si tratta di una malattia causata da un singolo patogeno,
gli autori hanno sospettato che i pattern nelle placche
della SM potessero derivare da anticorpi nonsenso patogeneticamente irrilevanti.45 Owens e colllaboratori46 hanno
usato una RT-PCR a singola cellula per trovare ulteriori
indicazioni sui clonotipi IgG somaticamente mutati ed
espansi nel liquor di pazienti con SM. Hanno anche
mostrato un arricchimento preferenziale dei plasmablasti
con segmenti funzionalmente riarrangiati del gene VH4,
che codificano per le parti variabili delle catene pesanti
delle immunoglobuline. Questi dati sono stati interpretati
come l’evidenza che nell’encefalo di pazienti con SM si
ha una risposta delle cellule B altamente ristretta, che
è probabilmente determinata da una limitata serie di
antigeni. Occorre studiare la possibilità che l’espansione
intratecale ipotizzata delle cellule B infettate dall’EBV
concordi con i dati di Owens e collaboratori46 (restrizione
clonale delle cellule B) e con le osservazioni di Mattson
e collaboratori45 (differenti pattern di IgG oligoclonali in
differenti placche di singoli pazienti).
Ci sono nuovi dati sulla risposta policlonale intratecale
delle cellule B nelle malattie demielinizzanti infiammatorie idiopatiche del SNC. La cosiddetta reazione MRZ
(Riquadro) – la sintesi intratecale di IgG antimorbillo,
antirosolia e antivaricella zoster – è osservata nella magThe Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Punto di vista
gior parte dei pazienti con SM ma è rara nei pazienti
con encefalomielite acuta disseminata47 o con malattia di
Devic.48 Questi dati indicano che la reazione MRZ aiuta
a discriminare tra la SM e due malattie infiammatorie
demielinizzanti del SNC che possono essere clinicamente indistinguibili dalla SM all’esordio. Dal punto di
vista dell’EBV, il fenomeno potrebbe essere interpretato
come evidenza che quando l’obiettivo è il pool di cellule
B periferiche, il virus ha maggior probabilità di infettare
le cellule B di memoria che sono state attivate da virus
neurotropici comuni rispetto alle cellule B di memoria
che sono state attivate da altri antigeni.
Il fatto che alcuni pazienti con SM sono negativi per
le IgG oligoclonali solleva la possibilità che lo sviluppo
della malattia in questi pazienti dipenda dalla persistenza
di un numero inferiore di cellule B policlonali nel SNC e
da nessuna espansione oligoclonale (oppure da un’espansione non individuabile). In realtà, i pazienti veramente
negativi per le IgG oligoclonali sono rari e hanno una
prognosi migliore.49 Ipoteticamente, i sistemi immunitari
di questi pazienti potrebbero affrontare un’infezione da
EBV nell’encefalo in modo più efficiente di quelli dei
pazienti con IgG oligoclonali. Nel contesto di un gioco
dinamico ospite-EBV, con il progresso della malattia
nuovi cloni di cellule B potrebbero espandersi, mentre
altri potrebbero scomparire; questo fenomeno potrebbe
spiegare i cambiamenti dei pattern di IgG oligoclonali
visti nei pazienti con SM sottoposti a ripetute analisi
liquorali nel tempo.50
sarebbe più efficace nel migliorare i sintomi della malattia
di quanto attualmente riportato.52 Tuttavia, questi studi
avevano una potenza ridotta e sono stati eseguiti quando
la metodologia degli studi della SM era ancora primitiva.
Di conseguenza, il rituximab potrebbe inibire funzioni
delle cellule B diverse da quelle coinvolte nella sintesi delle
immunoglobuline, come la presentazione dell’antigene e
la produzione di citochine proinfiammatorie53 (Figura 2).
Il rituximab, che è utilizzato nei disturbi linfoproliferativi
da cellule B associati all’EBV,54 potrebbe determinare
un’efficace deplezione delle cellule infettate dall’EBV nel
sangue e nel liquor, benché non sia ancora noto se agisca
sul pool di cellule B che infiltrano il SNC.
Niino e collaboratori55 hanno trovato che le cellule B di
memoria possono esprimere elevate concentrazioni della
molecola di adesione very-late antigen (VLA)-4, che si lega
alla vascular-cell adhesion molecule-1 sulle cellule endoteliali (Figura 1). La componente a4-integrina della VLA-4
è il target del natalizumab, un altro farmaco in grado di
ridurre l’attività di malattia e il tasso di recidive nei pazienti
con SM.56 Il natalizumab riduce l’espressione del VLA-4
sulle cellule immunitarie circolanti55 e inibisce l’ingresso
delle cellule B e T nel SNC, il che può spiegarne l’effetto
positivo nei pazienti con SM. Tuttavia, anche l’ablazione
immunitaria totale non eradica i linfociti dall’encefalo dei
pazienti con SM; l’88% dei pazienti sottoposti a trapianto di
midollo osseo mostrava persistenza di bande oligoclonali
nel liquor e deterioramento clinico.57
L’attivazione delle cellule B è patogeneticamente
rilevante?
Dopo anni di impasse, nuovi dati sulle cellule B stanno
stimolando modalità non convenzionali di ragionamento
sulla patogenesi della SM. L’identificazione di anticorpi
nei confronti di antigeni neuronali fornisce indizi sui
meccanismi alla base del danno del tessuto cerebrale
e merita ulteriori ricerche. L’identificazione di follicoli
ectopici di cellule B come nicchia per la genesi di cellule B e plasmacellule nell’encefalo dei pazienti con SM
rinforza il concetto che l’immunità umorale ha un ruolo
nelle alterazioni patologiche e solleva importanti questioni sull’assenza di efficacia delle attuali terapie nella
soppressione della sintesi intratecale di IgG nei pazienti
con SM. Questi dati meritano di essere ancora esplorati
attraverso ulteriori studi indipendenti sulle funzioni
effettorie e regolatorie delle cellule B, al di là del dogma
degli anticorpi antimielina, e studi di conferma della
consistenza della colonizzazione del SNC da parte delle
cellule B infettate dall’EBV.
La conoscenza dei meccanismi alla base della formazione, della correlazione con l’attività di malattia o del
suo esito e della modulazione da parte della terapia dei
tessuti linfoidi terziari nei pazienti con SM e altre malattie autoimmuni croniche (collettivamente tali malattie
potrebbero essere classificate come “sindromi follicolari
ectopiche”) potrebbe condurre allo sviluppo di farmaci
più specifici ed efficaci.
Non è noto se l’EBV abbia un ruolo primario o secon-
Il crescere delle prove che le cellule B hanno un ruolo
patogenetico in molte malattie autoimmuni indica che
potrebbero essere utili i farmaci diretti all’immunità
umorale, come il rituximab (Riquadro). In uno studio
di fase II, pazienti con SM remittente-recidivante hanno
ricevuto 1 g di rituximab per via endovenosa o placebo il
giorno 1 e il giorno 15.8 I pazienti trattati con rituximab
hanno presentato una sostanziale riduzione del numero
totale di lesioni che assumevano gadolinio, riduzione che
era ancora evidente a 48 settimane di follow-up, metà del
numero di recidive cliniche rispetto ai pazienti trattati con
placebo e frequenti eventi indesiderati da lievi a moderati
(78%) correlati all’infusione, senza aumento dell’incidenza
di infezioni.8 I risultati di un altro ampio studio sul rituximab nei pazienti con artrite reumatoide attiva51 hanno
dimostrato l’efficacia di questo farmaco nel migliorare la
qualità di vita. Di conseguenza, l’efficacia del rituximab
nei pazienti con SM o artrite reumatoide sostiene indirettamente il coinvolgimento dell’immunità umorale in
entrambi i disturbi. Tuttavia, l’assenza di una riduzione
delle concentrazioni totali di anticorpi nei pazienti con
SM trattati con rituximab indica che una riduzione dei
potenziali anticorpi patogeni non può spiegare i rapidi
effetti del farmaco.8 Inoltre, se la deplezione anticorpale
fosse cruciale per il trattamento della SM, la plasmaferesi
The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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Il futuro e le conclusioni
213
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Punto di vista
Organo linfoide primario
Midollo osseo
Cellula B precursore
Tessuti linfoidi terziari
Meningi, sinovia
Organi linfoidi secondari e altri tessuti
Milza, linfonodi, sangue
Cellule B naïve
Cellule B di memoria
Cellule B attivate
Cellula pre-B
Plasmacellule
Plasmacellula a
lunga vita
Macrofago
Citochine,
citotossicità
Figura 2: Linee di cellule B in differenti compartimenti dell’organismo
Il rituximab ha come target l’antigene CD20, che è assente sui precursori delle cellule B, sui plasmablasti e sulle plasmacellule; pertanto, queste cellule possono
resistere al rituximab nel midollo osseo e nei tessuti linfoidi ectopici. In particolare, le plasmacellule generate (o reclutate) nei follicoli ectopici e nelle lesioni della
SM potrebbero sostenere la produzione delle immunoglobuline oligoclonali intratecali, che generano meccanismi potenzialmente negativi. A causa della rapidità
della sua efficacia, il rituximab potrebbe causare la deplezione del pool di cellule B di memoria che possono secernere molecole proinfiammatorie come il TNF e che
sono espanse nei pazienti con SM.53 Il pool di cellule B naïve secerne soprattutto la citochina antinfiammatoria IL-10 e potrebbe essere ridotto nei pazienti con SM.53
Il rituximab potrebbe anche indurre la deplezione del pool di cellule B infettate dall’EBV, riducendo gli effetti negativi dell’immunità da cellule T specifica dell’EBV.
B=cellula B. PC=plasmacellula. 10=interleuchina 10. Ag=antigene. TNF=tumor necrosis factor. Th=cellula T helper. APC=cellula che presenta l’antigene. pCD=cellula
dendritica plasmocitoide. S/FDC=cellula dendritica stromale/follicolare. PB=plasmablasto. Forma verde=CD20. Forma rossa=rituximab.
Strategie di ricerca e criteri di selezione
I riferimenti bibliografici sono stati identificati mediante una
ricerca su PubMed, tra il gennaio 2006 e il marzo 2008, con
i termini “B cells”, “rituximab”, “natalizumab” e “multiple
sclerosis”. Sono stati inclusi anche articoli identificati negli
archivi degli autori. Sono stati inclusi solo lavori scritti in
lingua inglese, ulteriormente selezionati in base all’originalità e
all’importanza in relazione all’argomento di questo contributo.
dario in questo scenario. Poiché la maggior parte degli
adulti è sieropositiva per l’EBV e portatrice di genomi
EBV latenti, il rompicapo è capire che cosa potrebbe
convertire un’infezione di solito ben tollerata in una
malattia tessuto-specifica. La possibilità che un’infezione
da EBV sregolata possa essere associata allo sviluppo di
caratteristiche autoimmuni è solo un passo iniziale in un
processo di miglioramento delle conoscenze che dovrebbe integrare ciò che attualmente sappiamo dei fattori
genetici, immunologici e ambientali nelle varie malattie
autoimmuni. Nel lavorare lungo queste linee si dovranno
fare ulteriori ricerche per comprendere appieno il ruolo
delle cellule B e degli anticorpi nella SM.
Contributi
DF ha coordinato il lavoro, disegnato le figure e scritto la prima stesura
di questo contributo. DF e FL hanno eseguito la ricerca nella letteratura.
FA, MS, FL e BS hanno contribuito sostanzialmente al contenuto e
alla stesura del contributo. Tutti gli autori hanno visto e approvato la
versione finale.
214
03 Rassegne okok.indd 214
Conflitti di interesse
DF ha ricevuto un onorario da Merck Serono per un handbook of
laboratory neuroimmunology. MS ha ricevuto fondi di ricerca da Bayer
Schering, Sanofi Aventis e Merck Serono. FL, BS e FA non hanno
conflitti di interesse.
Ringraziamenti
MS, FA e DF sono sostenuti dalla FISM – Fondazione Italiana Sclerosi
Multipla – Cod. 2007/R/17/C3. FA è sostenuto dal sesto Programma
Quadro dell’Unione Europea NeuroproMiSe LSHM-CT-200501863. FL è sostenuto da PRIN 2006, MIUR, protocollo 2006064219
(“Immunità umorale nella sclerosi multipla: attivazione dei linfociti B
e demielinizzazione”). DF ha ricevuto fondi RC2007 dal Ministero della
Salute Italiano per la Fondazione Mondino. DF ringrazia Sara Pizzi per
l’iconografia storica.
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Punto di vista
8
9
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Hauser SL, Waubant E, Arnold DL, et al. B-cell depletion with
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The Lancet Neurology – Edizione italiana – Vol. 3 n. 3 dicembre 2008
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3*"446/50%&--&$"3"55&3*45*$)&%&-130%0550
%&/0.*/";*0/&%&-.&%*$*/"-&
AZILECT 1 mg compresse.
$0.104*;*0/&26"-*5"5*7"&26"/5*5"5*7"
Ogni compressa contiene 1 mg di rasagilina (mesilato).
Per gli eccipienti vedere paragrafo 6.1.
'03."'"3."$&65*$"
Compressa. Compresse di colore bianco-biancastro, rotonde, piatte e
smussate ai bordi, lisce su un lato e recanti le scritte in rilievo “GIL” e
“1” sull’altro.
*/'03.";*0/*$-*/*$)&
*OEJDB[JPOJUFSBQFVUJDIFAZILECT è indicato nel trattamento della
malattia di Parkinson sia in monoterapia (senza levodopa) sia come terapia in associazione (con levodopa) nei pazienti con fluttuazioni di fine
dose. 1PTPMPHJBFNPEPEJTPNNJOJTUSB[JPOFRasagilina è somministrata per via orale alla dose di 1 mg, una volta al giorno, associata
o non associata a levodopa. Può essere assunta sia a digiuno che a stomaco pieno. "O[JBOJnon è necessario un aggiustamento della dose nei
pazienti anziani. #BNCJOJFBEPMFTDFOUJBOOJ
non è raccomandato l’uso poiché non sono state stabilite sicurezza ed efficacia in questa
popolazione di pazienti. 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BFQBUJDBè controindicato l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza epatica grave (vedere paragrafo 4.3). Evitare l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza
epatica moderata. Usare cautela all’inizio del trattamento con rasagilina
in pazienti con insufficienza epatica lieve. Interrompere il trattamento
con rasagilina in caso di evoluzione dell’insufficienza epatica da lieve a
moderata (vedere paragrafo 4.4). 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BSFOBMFnon
è necessario un aggiustamento della dose nei pazienti con insufficienza renale. $POUSPJOEJDB[JPOJ Ipersensibilità verso il principio attivo
o uno qualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). Trattamento
concomitante con altri inibitori delle monoaminoossidasi (MAO) o petidina (vedere paragrafo 4.5). Attendere almeno 14 giorni tra l’interruzione del trattamento con rasagilina e l’inizio della terapia con inibitori delle MAO o petidina. L’uso di rasagilina è controindicato in pazienti con
insufficienza epatica grave. "WWFSUFO[FTQFDJBMJFPQQPSUVOFQSF
DBV[JPOJEJNQJFHP Evitare l’uso concomitante di rasagilina e fluoxetina o fluvoxamina (vedere paragrafo 4.5). Attendere almeno cinque settimane dall’interruzione del trattamento con fluoxetina prima di iniziare
la terapia con rasagilina. Attendere almeno 14 giorni tra l’interruzione
del trattamento con rasagilina e l’inizio del trattamento con fluoxetina o
fluvoxamina. Si sconsiglia l’uso concomitante di rasagilina e destrometorfano o simpaticomimetici, inclusi i decongestionanti nasali e orali e i
farmaci contro il raffreddore contenenti efedrina o psudoefedrina (vedere paragrafo 4.5). Durante il programma di sviluppo clinico della rasagilina sono stati osservati alcuni casi di melanoma che potrebbero suggerire una possibile associazione con la rasagilina. I dati raccolti tuttavia
indicano che la malattia di Parkinson, e non un farmaco in particolare, è
associato con un rischio più elevato di tumore cutaneo (non solo melanoma). In caso di lesione cutanea sospetta consultare uno specialista.
Usare cautela all’inizio del trattamento con rasagilina in pazienti con insufficienza epatica lieve. Evitare l’uso di rasagilina in pazienti con insufficienza epatica moderata. Interrompere il trattamento con rasagilina in
caso di evoluzione dell’insufficienza epatica da lieve a moderata (vedere paragrafo 5.2). *OUFSB[JPOJDPOBMUSJNFEJDJOBMJFEBMUSFGPSNF
EJOUFSB[JPOF Esistono un certo numero di interazioni note tra inibitori
non selettivi delle MAO e altri prodotti medicinali. Rasagilina non deve
essere somministrata in associazione con altri inibitori delle MAO poiché esiste il rischio di un’inibizione non selettiva delle MAO con possibile insorgenza di crisi ipertensive (vedere paragrafo 4.3). Reazioni avverse gravi sono state segnalate con l’uso concomitante di petidina e
inibitori delle MAO, così come con altri inibitori selettivi delle MAO-B. È
controindicata la somministrazione concomitante di rasagilina e petidina (vedere paragrafo 4.3). Evitare l’uso concomitante di rasagilina e
fluoxetina o fluvoxamina (vedere paragrafo 4.4). L’uso concomitante di
inibitori delle MAO, così come di altri inibitori selettivi delle MAO-B e medicinali simpaticomimetici ha dato luogo a fenomeni di interazione farmacologica. Quindi, data l’attività di inibizione delle MAO della rasagilina, si sconsiglia la somministrazione concomitante di rasagilina e
simpaticomimetici, come quelli presenti decongestionanti nasali e orali
e i farmaci contro il raffreddore contenenti efedrina o psudoefedrina (vedere paragrafo 4.4). Sono state riferite interazioni farmacologiche in caso di uso concomitante di destrometorfano e inibitori non selettivi delle
MAO. Quindi, data l’attività di inibizione delle MAO della rasagilina, si
sconsiglia l’uso concomitante di rasagilina e destrometorfano (vedere
paragrafo 4.4). Reazioni avverse gravi sono state segnalate con l’uso
IV di cop.indd 217
concomitante di inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI),
antidepressivi triciclici e tetraciclici e inibitori delle MAO così come con
altri inibitori selettivi delle MAO-B. Data l’attività di inibizione delle MAO
della rasagilina, si consiglia, quindi, di usare cautela in caso di trattamento con antidepressivi. Nei pazienti con malattia di Parkinson, in trattamento cronico con levodopa, quale farmaco di associazione, non è
stato riportato alcun effetto clinico significativo della levodopa sulla
clearance della rasagilina. Studi in vitro sul metabolismo hanno mostrato che il citocromo P4501A2 (CYP1A2) è il principale enzima responsabile del metabolismo della rasagilina. La somministrazione concomitante di rasagilina e ciprofloxacina (un inibitore di CYP1A2) ha prodotto un
aumento dell’83% dell’AUC della rasagilina. La somministrazione concomitante di rasagilina e teofillina (un substrato del CYP1A2) non ha
avuto effetti sulla farmacocinetica dei due prodotti. Quindi, gli inibitori
potenti del CYP1A2 possono alterare i livelli plasmatici di rasagilina e
devono essere somministrati con cautela. In pazienti fumatori esiste il rischio di diminuzione dei livelli plasmatici della rasagilina dovuta all’induzione dell’enzima metabolico CYP1A2. Studi in vitro hanno dimostrato che concentrazioni di rasagilina pari a 1 μg/ml (equivalente a un
livello 160 volte la Cmax media di ~5,9-8,5 ng/ml nei pazienti affetti da
malattia di Parkinson dopo dosaggio multiplo di rasagilina 1 mg), non
hanno inibito gli isoenzimi del citocromo P450 CYP1A2, CYP2A6,
CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6, CYP2E1, CYP3A4 e CYP4A. Questi risultati mostrano che è improbabile che le concentrazioni terapeutiche di
rasagilina possano interferire in modo clinicamente significativo sui substrati di questi enzimi. La somministrazione contemporanea di rasagilina ed entacapone ha determinato un aumento del 28% nella clearance orale della rasagilina. *OUFSB[JPOF UJSBNJOBSBTBHJMJOB I risultati di
quattro studi di stimolazione con tiramina (in volontari e pazienti con malattia di Parkinson) insieme con i dati derivanti dal monitoraggio quotidiano della pressione sanguigna dopo i pasti (in 464 pazienti trattati con
0,5 mg/die o 1 mg/die di rasagilina o placebo come terapia di associazione con levodopa per sei mesi senza restrizioni di tiramina), e l’assenza di segnalazioni di interazione tra tiramina e rasagilina negli studi clinici condotti senza restrizioni di tiramina, indicano che la rasagilina può
essere usata in modo sicuro e senza restrizioni dietetiche per la tiramina. (SBWJEBO[BFEBMMBUUBNFOUPNon sono disponibili dati clinici
sull’uso della rasagilina in gravidanza. Gli studi su animali non indicano
effetti dannosi diretti o indiretti sulla gravidanza, sviluppo embrionale/fetale, sul parto e nello sviluppo post-natale (vedere paragrafo 5.3). È necessaria prudenza nel prescrivere il medicinale a donne in stato di gravidanza. I dati sperimentali indicano che la rasagilina inibisce la
secrezione di prolattina e quindi potrebbe inibire la lattazione. Non è noto se la rasagilina venga escreta nel latte materno. Particolare attenzione dovrà essere prestata nella somministrazione del farmaco in donne
in allattamento. &GGFUUJTVMMBDBQBDJUÆEJHVJEBSFWFJDPMJFTVMMVTP
EJNBDDIJOBSJNon sono stati effettuati studi sulla capacità di guidare
veicoli e sull’uso di macchinari. &GGFUUJJOEFTJEFSBUJ Nel programma
di sviluppo clinico della rasagilina un totale di 1360 pazienti è stato trattato con rasagilina pari a 2017 anni-paziente. In studi in doppio cieco
controllati verso placebo, sono stati trattati con rasagilina 1 mg/die un
totale di 529 pazienti pari 212 anni-paziente mentre hanno ricevuto placebo 539 pazienti pari a 213 anni-paziente. .POPUFSBQJBDi seguito
sono elencate le reazioni avverse riportate, con maggiore incidenza, in
studi controllati verso placebo in pazienti trattati con 1 mg/die di rasagilina (gruppo rasagilina n=149, gruppo placebo n=151). Le reazioni avverse con almeno 2% di differenza rispetto al placebo sono riportate in
corsivo Il numero tra parentesi (% di pazienti) indica l’incidenza della
reazione avversa nel gruppo rasagilina vs. placebo, rispettivamente. Le
reazioni avverse sono state classificate secondo la frequenza usando le
convenzioni seguenti: molto comuni (>1/10), comuni (>1/100, <1/10),
non comuni (>1/1000, <1/100), rare (>1/10000, <1/1000), molto rare
(<1/10000) compresi i casi isolati. 4JTUFNJDIF molto comuni: cefalea
(14,1% vs. 11,9%) comuni: sindrome influenzale (6,0% vs. 0,7%), malessere (2,0% vs. 0%), dolore cervicale (2,0% vs. 0%), reazioni allergiche (1,3% vs. 0,7 %), febbre (2,7% vs. 1,3%). 4JTUFNBDBSEJPWBTDPMBSF
comuni: angina pectoris (1,3% vs. 0%) non comuni: accidenti cerebrovascolari (0,7% vs. 0%) infarto del miocardio (0,7% vs. 0%). "QQBSBUP
EJHFSFOUFcomuni: dispepsia (6,7% vs. 4%), anoressia (1,3% vs. 0%).
4BOHVFFTJTUFNBMJOGBUJDPcomuni: leucopenia (1,3% vs. 0%). "QQBSB
UPNVTDPMPTDIFMFUSJDPcomuni: artralgia (7,4% vs. 4%), artrite (2,0% vs.
0,7%). 4JTUFNBOFSWPTPcomuni: depressione (5,4% vs. 2%), vertigini
(2,0% vs. 0,7%). "QQBSBUPSFTQJSBUPSJPcomuni: rinite (2,7% vs. 1,3%).
"MUSJPSHBOJEJTFOTPcomuni: congiuntivite (2,7% vs. 0,7%). $VUFFBO
OFTTJcomuni: dermatite da contatto (1,3% vs. 0%) eritema vescicolobolloso (1,3% vs. 0%), carcinoma cutaneo (1,3% vs. 0,7%). "QQBSBUP
VSPHFOJUBMFcomuni: urgenza urinaria (1,3% vs. 0%). 5FSBQJBEJBTTP
DJB[JPOFDi seguito sono riportate le reazioni avverse riscontrate con
maggiore incidenza negli studi controllati verso placebo in pazienti in
trattamento con 1 mg/die di rasagilina (gruppo con rasagilina n=380,
gruppo con placebo n=388). Il numero tra parentesi (% di pazienti) indica l’incidenza della reazione avversa nel gruppo con rasagilina vs.
placebo, rispettivamente. Le reazioni avverse con almeno 2% di differenza rispetto al placebo sono riportate in corsivo. Le reazioni avverse
sono state classificate secondo la frequenza usando le convenzioni seguenti: molto comuni (>1/10), comuni (>1/100, <1/10), non comuni
(>1/1000, <1/100), rare (>1/10000, <1/1000), molto rare (<1/10000)
compresi i casi isolati. 4JTUFNJDIF comuni: dolore addominale (3,9%
vs. 1,3%), infortunio accidentale (specialmente cadute) (8,2% vs. 5,2%),
dolore cervicale (1,6% vs. 0,5%). 4JTUFNB DBSEJPWBTDPMBSF comuni:
ipotensione posturale (4,7% vs. 1,3%) non comuni: angina pectoris
(0,5% vs. 0%), accidenti cerebrovascolari (0,5% vs. 0,3%). "QQBSBUPEJ
18-12-2008 18:02:45
HFSFOUFcomuni: costipazione (4,2% vs. 2,1%), vomito (3,4% vs. 1,0%),
anoressia (2,1% vs. 0,5%), secchezza delle fauci (3,4% vs. 1,8%). 4J
TUFNBNVTDPMPTDIFMFUSJDPcomuni: atralgia (3,2% vs. 1,3%), tenosinovite (1,3% vs. 0%). .FUBCPMJTNP"MJNFOUB[JPOFcomuni: calo ponderale (4,2% vs. 1,5%). 4JTUFNBOFSWPTPmolto comuni: discinesia (10,3%
vs. 6,4%) comuni: distonia (2,4% vs. 0,8%), sogni anormali (2.1% vs.
0.8%), atassia (1,3% vs. 0,3%), allucinazioni (2,9% vs. 2,1%), non comuni: confusione (0,8% vs. 0,8%). $VUFFBOOFTTJcomuni: rash (2,6%
vs. 1,5%) non comuni: melanoma cutaneo (0,5% vs. 0,3%). Altri eventi
avversi importanti segnalati in altri studi clinici con rasagilina (con diversa dose o in studi senza controllo verso placebo) verificatisi ciascuno in
due pazienti sono stati rabdomiolisi (entrambi i casi legati a caduta e immobilizzazione prolungata) e secrezione inappropriata di ormone antidiuretico (ADH). La natura complessa di questi casi non permette di determinare quale ruolo abbia eventualmente avuto la rasagilina nella loro
patogenesi. La malattia di Parkinson è associata a sintomi quali allucinazioni e confusione. Nell’esperienza post marketing questi sintomi sono stati osservati anche in pazienti con malattia di Parkinson trattati con
rasagilina. 4PWSBEPTBHHJPNel corso degli studi clinici non sono
stati segnalati casi di sovradosaggio. In teoria, il sovradosaggio potrebbe causare una significativa inibizione delle MAO-A e MAO-B. Volontari sani sono stati trattati con 20 mg/die di prodotto in uno studio a singola dose, oppure con 10 mg/die, in uno studio della durata di dieci giorni.
Gli eventi avversi osservati sono stati valutati come lievi o moderati e
non correlati al trattamento con rasagilina. In uno studio con aumento
progressivo delle dosi, condotto in pazienti in terapia cronica con levodopa e trattati con 10 mg/die di rasagilina sono stati riportati effetti indesiderati cardiovascolari (inclusa ipertensione e ipotensione posturale)
che sono scomparsi all’interruzione del trattamento. Tali sintomi sono simili a quelli osservati per gli inibitori non selettivi delle MAO. Non esiste
un antidoto specifico. In caso di sovradosaggio, monitorare i pazienti e
intervenire con un’adeguata terapia sintomatica e di supporto.
13013*&5©'"3."$0-0(*$)&
1SPQSJFUÆGBSNBDPEJOBNJDIF Categoria farmacoterapeutica: farmaci antiparkinsoniani, inibitori delle monoaminoossidasi-B. Codice
ATC: NO4BD02. .FDDBOJTNPEB[JPOFLa rasagilina ha dimostrato di
essere un potente ed irreversibile inibitore selettivo delle MAO-B, che
può determinare un aumento dei livelli extracellulari di dopamina nello striato. L’aumento dei livelli di dopamina ed il conseguente aumento dell’attività dopaminergica possono essere responsabili degli effetti benefici osservati con la rasagilina nei modelli di disfunzione motoria
su base dopaminergica. L’1-Aminoindano è il maggiore metabolita attivo della rasagilina e non è un inibitore delle MAO-B. 4UVEJDMJOJDJL’efficacia della rasagilina è stata documentata dai risultati di tre studi: in
monoterapia nello studio I e in terapia di associazione negli studi II e III.
.POPUFSBQJBNello studio I, 404 pazienti sono stati randomizzati e trattati per 26 settimane con placebo (138 pazienti) con rasagilina 1 mg/
die (134 pazienti) o rasagilina 2 mg/die (132 pazienti), senza altro famaco di confronto attivo. In questo studio, l’obiettivo primario di efficacia era la variazione rispetto al basale del punteggio totale del Unified
Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS, parti I-III). La differenza tra
la variazione media tra il valore basale e quello alla 26 settimana/fine del
trattamento (LOCF, Last Observation Carried Forward) è risultata statisticamente significativa (UPDRS, parti I-III: per rasagilina 1 mg in confronto a placebo -4,2, 95% CI [-5,7 -2,7], p<0,0001; mentre per rasagilina 2 mg versus placebo l’effetto osservato è risultato modesto -3,6, 95%
CI [-5,0 -2,1], p<0,0001) (UPDRS Motorio, parte II: per rasagilina 1 mg
in confronto a placebo -2,7, 95% CI [-3,87 -1,55], p<0,0001; per rasagilina 2 mg in confronto a placebo -1,68, 95% CI [-2,85 -0,51], p=0,0050).
L’effetto era evidente, malgrado la sua entità fosse modesta in questa
popolazione con malattia lieve. Si è osservato un significativo e positivo
effetto sulla qualità di vita (valutata mediante la scala PD-QUALIF).5F
SBQJBEJBTTPDJB[JPOFNello studio II i pazienti sono stati randomizzati e trattati per 18 settimane con placebo (229 pazienti) o con rasagilina 1 mg/die (231 pazienti) o con entacapone 200 mg (227 pazienti), un
inibitore della catecol-O-metiltransferasi (COMT), assunto insieme alla
dose programmata di levodopa (LD)/inibitore della decarbossilasi. Nello studio III i pazienti sono stati randomizzati e trattati per 26 settimane
con placebo (159 pazienti), rasagilina 0,5 mg/die (164 pazienti) o rasagilina 1 mg/die (149 pazienti). In entrambi gli studi la principale misura
di efficacia era la variazione tra il basale e il periodo di trattamento nel
numero medio di ore trascorse in stato “off” durante il giorno (stabilito
sulla base di diari redatti a casa per 24 ore e compilati per tre giorni prima di ogni visita di valutazione). Nello studio II la differenza media nel
numero di ore trascorse in stato “off” rispetto al placebo è stata di -0,78
ore, 95% CI [-1,18 -0,39], p=0,0001. La riduzione media totale giornaliera del tempo in “off” osservata nel gruppo con entacapone (-0,80 ore,
95% CI [-1,20 -0,41], p<0,0001) è stata simile a quella riscontrata nel
gruppo con rasagilina 1 mg. Nello studio III la differenza media rispetto a placebo è risultata -0,94 ore, 95% CI [-1,36 -0,51], p<0,0001. Anche il gruppo trattato con rasagilina 0,5 mg ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo rispetto al gruppo placebo, tuttavia
di minore entità. La consistenza di questi dati è stata confermata in una
batteria di modelli statistici aggiuntivi ed è stata dimostrata in tre coorti
(ITT, per protocollo e per pazienti che hanno completato il trattamento).
Le misure di efficacia secondari prevedevano la valutazione globale del
grado di miglioramento effettuata dall’esaminatore, il punteggio delle
sottoscale del Activities of Daily Living (ADL) in stato “off” e il punteggio
UPDRS in stato “on”. Rispetto al placebo, il trattamento con rasagilina
ha determinato un beneficio statisticamente significativo. 1SPQSJF
UÆGBSNBDPDJOFUJDIF"TTPSCJNFOUPLa rasagilina viene assorbita rapi-
IV di cop.indd 218
damente, raggiungendo la concentrazione plasmatica di picco (Cmax) in
circa 0,5 ore. La biodisponibilità assoluta di rasagilina in dose singola
è di circa il 36%. Il cibo non influisce sul Tmax della rasagilina, anche se
vi è una diminuzione di Cmax e dell’esposizione (AUC) di circa il 60% e
20%, rispettivamente, se il farmaco viene assunto con un pasto ad alto
contenuto di grassi. Poiché l’AUC non viene modificata in modo sostanziale, rasagilina può essere assunta sia a stomaco pieno che a stomaco vuoto. %JTUSJCV[JPOFIl volume medio di distribuzione della rasagilina
dopo iniezione endovenosa di una dose singola è di 243 l. Il legame alle proteine plasmatiche dopo dose orale singola di rasagilina marcata
con 14C è circa 60%-70%. .FUBCPMJTNPPrima di essere escreta, rasagilina subisce una biotrasformazione quasi completa a livello epatico. Le
vie metaboliche principali della rasagilina sono due: N-dealchilazione e/
o idrossilazione con formazione di: 1-Aminoindano, 3-idrossi-N-propargil-1 aminoindano e 3-idrossi-1-aminoindano. Gli esperimenti in vitro indicano che entrambe le vie metaboliche della rasagilina dipendono dal
sistema del citocromo P450; CYP1A2 è il principale isoenzima coinvolto
nel metabolismo della rasagilina. È stato inoltre riscontrato che la coniugazione della rasagilina e dei suoi metaboliti è una delle principali vie di
eliminazione con formazione di glucuronidi. &TDSF[JPOFDopo somministrazione orale di rasagilina marcata con 14C, il farmaco è stato eliminato principalmente attraverso l’urina (62,6%) e attraverso le feci (21,8%)
con un recupero totale dell’84,4% della dose su un periodo di 38 giorni. Meno dell’1% di rasagilina è escreto nelle urine come farmaco immodificato. -JOFBSJUÆOPOMJOFBSJUÆLa farmacocinetica della rasagilina è
lineare per dosi comprese nel range 0,5 e 2 mg. La sua emivita finale
è di 0,6-2 ore. $BSBUUFSJTUJDIFOFJQB[JFOUJ 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[B
FQBUJDB in soggetti con insufficienza epatica lieve, l’AUC e Cmax erano
aumentate dell’80% e 38%, rispettivamente. In soggetti con insufficienza epatica moderata, l’AUC e Cmax erano aumentate del 568% e 83%,
rispettivamente (vedere paragrafo 4.4). 1B[JFOUJDPOJOTVGGJDJFO[BSFOB
MF la farmacocinetica di rasagilina in soggetti con insufficienza renale
da lieve (CLcr 50-80 ml/min) a moderata (CLcr 30-49 ml/min) è risultata
simile a quella dei soggetti sani. %BUJQSFDMJOJDJEJTJDVSF[[BI dati
preclinici non rivelano rischi particolari per gli esseri umani sulla base di
studi convenzionali di sicurezza, tossicità per somministrazioni ripetute
e tossicità riproduttiva. La rasagilina non presenta potenziale genotossico in vivo ed in numerosi sistemi in vitro utilizzanti batteri e/o epatociti. In presenza di metaboliti attivi, la rasagilina induce un aumento delle
aberrazioni cromosomiche a concentrazioni eccessivamente citotossiche che non sono utilizzate nelle condizioni di uso clinico. La rasagilina
non è risultata carcinogena nei ratti ad esposizione sistemica che risulta
84-339 volte maggiore della concentrazione plasmatica attesa nell’uomo con la dose di 1 mg/die. Nel topo è stato osservato un aumento nell’incidenza di adenoma e/o carcinoma bronchiolo/alveolare associato,
con un’esposizione sistemica di 144-213 volte maggiore della concentrazione plasmatica attesa nell’uomo con la dose di 1 mg/die.
*/'03.";*0/*'"3."$&65*$)&
&MFODPEFHMJFDDJQJFOUJMannitolo, Amido di mais, Amido di mais
pregelatinizzato, Silice colloidale anidra, Acido stearico, Talco. *O
DPNQBUJCJMJUÆNon pertinente. 1FSJPEPEJWBMJEJUÆBlister: 2 anni.
Flaconi: 3 anni. 4QFDJBMJQSFDBV[JPOJQFSMBDPOTFSWB[JPOFNon
conservare a temperatura superiore ai 25°C. Conservare nella confezione originale. /BUVSBFDPOUFOVUPEFMDPOUFOJUPSF. #MJTUFSblister in
alluminio/alluminio, confezioni da 7, 10, 28, 30, 100 o 112 compresse.
'MBDPOJflacone bianco, in polietilene ad alta densità con o senza tappo
di sicurezza a prova di bambino contenente 30 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. Istruzioni per l’impiego e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare.
5*50-"3&%&--"6503*;;";*0/&"--*..*44*0/&
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Teva Pharma GmbH. Kandelstr 10 - D-79199 Kirchzarten - Germania.
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"--*..*44*0/&*/$0..&3$*0
EU/1/04/304/001-007.
%"5"%&--"13*.""6503*;;";*0/&3*//070
%&--"6503*;;";*0/&
21-02-2005.
%"5"%*3&7*4*0/&%&-5&450
02/04/2007
Lundbeck Italia SpA è la rappresentante
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Confezioni in commercio:
28 compresse da 1 mg in blister, AIC numero 36983024/E.
Prezzo al pubblico: € 135,55 (dopo il taglio dei prezzi). Classe A.
Medicinale soggetto a prescrizione medica RR.
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N06DX01
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
Ebixa 10 mg compresse rivestite con film.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Ogni compressa rivestita con film contiene 10 mg di memantina idrocloruro (equivalente a 8,31
mg di memantina). Eccipienti: ogni compressa rivestita con film contiene 166 mg di lattosio
monoidrato, vedere paragrafo 4.4. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Compresse rivestite con film. Compresse rivestite con film di colore bianco, tendenti al bianco
sporco, rastremate verso il centro oblunghe, biconvesse, con una singola linea di rottura su
entrambi i lati. La compressa può essere divisa in due metà uguali.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche. Trattamento di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata
a grave.
4.2 Posologia e modo di somministrazione. Il trattamento deve essere iniziato e controllato da un medico esperto nella diagnosi e nel trattamento della demenza di Alzheimer. La terapia
deve essere iniziata esclusivamente se, una persona che assiste il paziente, si rende disponibile
a monitorare regolarmente la somministrazione del farmaco al paziente. La diagnosi deve essere effettuata seguendo le linee guida attuali. Ebixa deve essere somministrata una volta al giorno
e deve essere assunta ogni giorno alla stessa ora. Le compresse possono essere assunte vicino
o lontano dai pasti. Adulti. Titolazione della dose. La dose massima giornaliera è di 20 mg. Per
ridurre il rischio di effetti indesiderati la dose di mantenimento si raggiunge aumentando di 5 mg
per settimana per le prime 3 settimane come segue: Prima settimana (giorno 1-7): Il paziente
deve assumere mezza compressa da 10 mg rivestita con film (5 mg) una volta al giorno per 7
giorni. Seconda settimana (giorno 8-14). Il paziente deve assumere una compressa da 10 mg
rivestita con film (10 mg) una volta al giorno per 7 giorni. Terza settimana (giorno 15-21): Il
paziente deve assumere una compressa e mezza da 10 mg rivestita con film (15 mg) una volta
al giorno per 7 giorni. Dalla quarta settimana in poi: Il paziente deve assumere due compresse
da 10 mg rivestita con film (20 mg) al giorno. Dose di mantenimento. La dose di mantenimento
consigliata è di 20 mg al giorno. Anziani. Sulla base degli studi clinici, la dose consigliata per
i pazienti oltre i 65 anni di età è di 20 mg al giorno (due compresse una volta al giorno) come
descritto sopra. Bambini e adolescenti. L’uso di Ebixa non è raccomandato nei bambini al di
sotto di 18 anni a causa della mancanza di dati sulla sicurezza ed efficacia. Alterazione della
funzionalità renale. Nei pazienti con funzionalità renale lievemente compromessa (clearance
della creatinina 50-80 ml/min) non è necessario alcun aggiustamento della dose. Nei pazienti
con funzionalità renale moderatamente compromessa (clearance della creatinina 30-49 ml/
min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Se ben tollerata dopo almeno 7 giorni
di trattamento, la dose può essere aumentata fino a 20 mg al giorno, attenendosi allo schema di
titolazione standard. Nei pazienti con compromissione severa della funzionalità renale (clearance
della creatinina 5-29 ml/min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Alterazione
della funzionalità epatica. In pazienti con funzionalità epatica lievemente o moderatamente
compromessa (Child-Pugh A e Child-Pugh B) non è necessario alcun aggiustamento della dose.
Non sono disponibili dati sull’utilizzo di memantina in pazienti con compromissione severa della
funzionalità epatica. La somministrazione di Ebixa è sconsigliata in pazienti con funzionalità
epatica gravemente compromessa.
4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Si raccomanda cautela in pazienti
con epilessia, precedente storia di convulsioni o pazienti con fattori predisponenti per l’epilessia. Evitare l’uso concomitante di antagonisti-N-metil-D-aspartato (NMDA) quali amantadina,
ketamina, o destrometorfano. Questi composti agiscono sullo stesso sistema recettoriale di
memantina, quindi le reazioni avverse (principalmente a livello del sistema nervoso centrale –
SNC) possono essere più frequenti o più evidenti (vedere anche paragrafo 4.5). Alcuni fattori
che possono aumentare il pH delle urine (vedere paragrafo 5.2 “Eliminazione”) richiedono un
accurato controllo del paziente. Questi fattori includono drastici cambiamenti di alimentazione,
ad esempio da una dieta a base di carne ad una vegetariana, o una eccessiva ingestione di
soluzioni tampone alcalinizzanti per lo stomaco (antiacidi). Anche il pH delle urine può aumentare
a causa di acidosi tubulare renale (RTA) o gravi infezioni del tratto urinario da Proteus. Nella
maggior parte degli studi clinici, sono stati esclusi i pazienti con infarto miocardico recente,
insufficienza cardiaca congestizia non compensata (NYHA III-IV), o ipertensione non controllata.
Di conseguenza, è disponibile un numero limitato di dati ed i pazienti con tali condizioni cliniche
vanno tenuti sotto controllo. Eccipienti: Le compresse contengono lattosio monoidrato. I pazienti
con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento
di glucosio-galattosio non devono assumere questo medicinale.
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. A causa degli effetti
farmacologici e del meccanismo di azione di memantina possono verificarsi le seguenti interazioni:
• La modalità d’azione suggerisce che gli effetti di L-dopa, agonisti dopaminergici e anticolinergici possono essere aumentati durante il trattamento concomitante di antagonisti-NMDA, come
memantina. Gli effetti di barbiturici e neurolettici possono essere ridotti. La somministrazione
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caratteristiche di prodotto
COMPRESSE
concomitante di memantina con agenti antispastici, dantrolene o baclofene, può modificare i
loro effetti rendendo necessario il cambiamento del dosaggio. • Evitare l’uso concomitante di
memantina e amantadina, a causa del rischio di psicosi farmacotossica. Entrambi i composti
sono chimicamente associati a quelli del tipo antagonisti-NMDA. Lo stesso dicasi per ketamina e
destrometorfano (vedere paragrafo 4.4). Esiste solamente un caso riportato pubblicato sul possibile rischio della associazione tra memantina e fenitoina. • Altri principi attivi come cimetidina,
ranitidina, procainamide, chinidina, chinina e nicotina, che utilizzano lo stesso sistema di trasporto renale cationico dell’amantadina, possono interagire anche con memantina, portando ad
un potenziale rischio di aumento dei livelli plasmatici. • Vi può essere la possibilità di ridotti livelli
serici di idroclorotiazide in caso di somministrazione concomitante di memantina con idroclorotiazide o con prodotti contenenti associazioni con idroclorotiazide. • Durante l’esperienza postmarketing sono stati segnalati casi isolati di aumento del Rapporto Internazionale Normalizzato
(INR) in pazienti in trattamento concomitante con warfarin. Per quanto non sia stato stabilito un
rapporto causale, si consiglia uno stretto monitoraggio del tempo di protrombina o dell’INR nei
pazienti in trattamento con anticoagulanti orali. In studi di farmacocinetica a dose singola (PK),
in soggetti giovani sani, non sono state osservate interazioni principio attivo-principio attivo rilevanti tra memantina e gliburide/metformina o donepezil. In uno studio clinico in volontari giovani
sani non si sono osservati effetti rilevanti di memantina sulla farmacocinetica di galantamina. La
memantina non ha inibito CYP 1A2, 2A6, 2C9, 2D6, 2E1, 3A, monossigenasi contenente flavina,
idrolasi epossidica o sulfatazione in vitro.
4.6 Gravidanza e allattamento. Non esistono dati disponibili in relazione all’assunzione
di memantina in gravidanza. Studi su animali indicano che esiste una possibile riduzione della
crescita intrauterina per livelli di esposizione al farmaco identici o lievemente più alti dei livelli
di esposizione umana (vedere paragrafo 5.3). Non si conoscono rischi potenziali per gli esseri
umani. Non assumere memantina in gravidanza a meno che non sia esplicitamente necessario.
Non è noto se memantina sia escreta con il latte materno, ma considerata la lipofilia della
sostanza, è probabile che tale passaggio avvenga. Le donne che assumono memantina non
devono allattare.
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Generalmente
la malattia di Alzheimer di grado da moderato a severo può compromettere la capacità di guidare e di utilizzare macchinari. Poiché Ebixa altera in modo da lieve a moderato la capacità di
guidare veicoli o usare macchinari, è necessario informare i pazienti ambulatoriali della necessità di prestare attenzione.
4.8 Effetti indesiderati. Negli studi clinici nella malattia di Alzheimer da lieve a severa, che
hanno coinvolto 1.784 pazienti trattati con Ebixa e 1.595 pazienti trattati con placebo, l’incidenza globale di reazioni avverse nei trattati con Ebixa non differiva da quelli trattati con placebo;
le reazioni avverse erano generalmente di gravità da lieve a moderata. Le reazioni avverse
che si sono manifestate con una più elevata incidenza nel gruppo trattato con Ebixa rispetto a
quello trattato con placebo sono stati capogiri (6,3% vs 5,6% rispettivamente), cefalea (5,2%
vs 3,9%), stipsi (4,6% vs 2,6%), sonnolenza (3,4% vs 2,2%) e ipertensione (4,1% vs 2,8%).
Le reazioni avverse riportate nella tabella seguente derivano dagli studi clinici con Ebixa e dalle
segnalazioni dopo la sua introduzione in commercio. All’interno di ciascuna classe di frequenza,
gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Le reazioni avverse sono
state classificate in accordo alla classificazione sistemica organica e secondo la convenzione
sulla frequenza: molto comuni (≥ 1/10), comuni (≥ 1/100 a ≤ 1/10), non comuni (≥ 1/1.000 a
≤ 1/100), rari (≥ 1/10.000 a ≤ 1/1.000), molto rari (≤ 1/10.000), non note (non valutabili dai
dati disponibili).
Alterazioni del sistema nervoso Patologie gastrointestinali
Comuni
Capogiri
Non comuni
Disturbi dell’andatura
Molto rare
Convulsioni
Comuni
Stipsi
Non comuni
Vomito
Non note
Pancreatite2
Infezioni ed infestazioni Non comuni
Infezioni fungine
Patologie vascolari Comuni
Ipertensione
Non comuni
Trombosi venosa/
tromboembolismo
Patologie sistemiche e condizioni Comuni
Cefalea
relative alla sede di somministrazione
Non comuni
Fatica
Disturbi psichiatrici Comuni
Sonnolenza
Non comuni
Confusione
Non comuni
Allucinazioni1
Non note
Reazioni psicotiche2
1
Le allucinazioni sono state osservate principalmente nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer
di grado severo.
2
Casi isolati riportati durante l’esperienza post-marketing.
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Riassunto delle
caratteristiche di prodotto
COMPRESSE
La malattia di Alzheimer è stata associata a depressione, ideazione suicidaria e suicidio. Durante
l’esperienza post-marketing questi eventi sono stati riportati in pazienti trattati con Ebixa.
4.9 Sovradosaggio. Solo una limitata esperienza circa il sovradosaggio è disponibile dagli
studi clinici e dall’esperienza post-marketing. Sintomi. Sovradosaggi relativamente alti (rispettivamente 200 mg e 105 mg al giorno per 3 giorni) sono stati associati a sintomi di stanchezza, debolezza e/o diarrea o a nessun sintomo. Nei casi di sovradosaggio con dose inferiore a
140 mg o sconosciuta, i pazienti hanno mostrato sintomi a carico del sistema nervoso centrale
(confusione, senso di eccessiva stanchezza, sonnolenza, vertigini, agitazione, aggressività, allucinazioni e disturbi dell’andatura) e/o di origine gastrointestinale (vomito e diarrea). Nel caso più
estremo di sovradosaggio, il paziente è sopravissuto all’assunzione orale di un totale di 2000 mg
di memantina con effetti sul sistema nervoso centrale (coma per 10 giorni, ed in seguito diplopia
ed agitazione). Il paziente ha ricevuto un trattamento sintomatico e plasmaferesi. Il paziente è
guarito senza riportare postumi permanenti. Anche in un altro caso di elevato sovradosaggio, il
paziente è sopravissuto e si è rimesso. Il paziente ha assunto per via orale 400 mg di memantina. Il paziente ha manifestato sintomi a carico del sistema nervoso centrale quali irrequietezza,
psicosi, allucinazioni visive, proconvulsività, sonnolenza, stupore e incoscienza. Trattamento. In
caso di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico. Non esiste un antidoto specifico
per l’intossicazione o il sovradosaggio. Devono essere utilizzate, quando appropriate, le procedure cliniche standard di rimozione del principio attivo, quali, ad esempio, lavanda gastrica,
medicinali a base di carbone attivo (interruzione del potenziale ricircolo entero-epatico), acidificazione delle urine, diuresi forzata. In caso di segni e sintomi di sovrastimolazione generale del
sistema nervoso centrale (SNC), deve essere preso in considerazione un attento trattamento
clinico sintomatico.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapica: altri farmaci anti-demenza,
codice ATC: N06DX01. Esistono evidenze sempre maggiori che il malfunzionamento della neurotrasmissione glutamatergica, in particolare quella mediata dai recettori NMDA, contribuisca sia
alla manifestazione dei sintomi sia alla progressione della malattia nella demenza neurodegenerativa. Memantina è un antagonista non competitivo dei recettori NMDA voltaggio-dipendente, a
moderata affinità. Essa modula gli effetti dei livelli tonici patologicamente elevati di glutammato
che possono comportare una disfunzione neuronale. Studi Clinici. Uno studio con memantina
in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da moderata a grave [punteggio
totale Mini Mental State Examination (MMSE)] al basale compreso tra 3 e 14 ha incluso 252
pazienti. Lo studio ha dimostrato l’efficacia del trattamento con memantina nei confronti del
placebo a 6 mesi [analisi dei casi osservati Clinician’s Interview Based Impression of Change
(CIBIC-plus): p=0,025; Alzheimer’s Disease Cooperative Study – Activities of Daily Living (ADCSADLsev): p=0,003; Severe Impairment Battery (SIB): p=0,002]. Uno studio con memantina in
monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale
MMSE al basale compreso tra 10 e 22) ha incluso 403 pazienti. I pazienti trattati con memantina
hanno mostrato un migliore effetto statisticamente significativo rispetto al placebo sull’endpoint
primario: Alzheimer’s Disease Assessment Scale (ADAS-cog) (p=0,003) e CIBIC-plus (p=0,004)
alla 24a settimana (last observation carried forward – LOCF). In un altro studio in monoterapia
nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al basale compreso tra 11 e 23) sono stati randomizzati 470 pazienti. Nell’analisi primaria definita
prospetticamente, non è stata raggiunta la significatività statistica all’endpoint primario di efficacia alla ventiquattresima settimana. Una metanalisi di pazienti con malattia di Alzheimer da
moderata a grave (punteggio totale MMSE < 20) relativa a sei studi di fase III, controllati con
placebo, della durata di sei mesi, (includendo studi in monoterapia e studi in pazienti trattati
con dosi stabili di inibitori dell’acetilcolinesterasi) hanno mostrato che era presente un effetto
statisticamente significativo in favore del trattamento con memantina per i dominii cognitivi,
globali e funzionali. Quando i pazienti sono stati identificati relativamente al peggioramento concomitante in tutti e tre i dominii, i risultati hanno mostrato l’effetto statisticamente significativo di
memantina nel prevenire il peggioramento; il doppio dei pazienti trattati con placebo ha mostrato
un peggioramento in tutti e tre i dominii (21% vs. 11%, p<0,0001) rispetto ai pazienti trattati
con memantina.
5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento. Memantina ha una biodisponibilità assoluta pari a circa il 100%. Il tmax è compreso tra 3 e 8 ore. Non vi sono indicazioni relative
all’influenza del cibo sull’assorbimento di memantina. Distribuzione. Dosi giornaliere di 20
mg hanno portato a concentrazioni plasmatiche steady-state di memantina comprese tra 70
e 150 ng/ml (0,5-1 µmol) con notevoli variazioni tra i singoli individui. Con la somministrazione
di dosi giornaliere comprese tra 5 e 30 mg, è stato calcolato un rapporto medio di liquido
cefalo-rachidiano LCR/siero di 0,52. Il volume di distribuzione si aggira intorno ai 10 l/kg. Circa
il 45% di memantina si lega alle proteine plasmatiche. Biotrasformazione. Nell’uomo, circa
l’80% del materiale in circolo rapportabile a memantina è presente come composto principale. I
principali metaboliti umani sono N-3,5-dimetil-gludantano, la miscela isomerica di 4-6-idrossimemantina, e 1-nitroso-3,5-dimetil-adamantano. Nessuno di questi metaboliti mostra un’attività antagonista-NMDA. In vitro non è stato rilevato alcun metabolismo catalizzato da citocromo
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P 450. In uno studio con 14C-memantina somministrata per via orale, in media l’84% della
dose è stata recuperata entro 20 giorni, con oltre il 99% ad escrezione renale. Eliminazione.
Memantina viene eliminata in maniera monoesponenziale con un t½ terminale compreso tra le
60 e le 100 ore. In volontari con funzionalità renale normale, la clearance totale (Cltot) è pari a
170 ml/min/1,73 m2 e parte della clearance renale totale avviene tramite secrezione tubulare. La
gestione al livello renale coinvolge anche il riassorbimento tubulare, probabilmente mediato da
proteine di trasporto cationico. La percentuale di eliminazione renale di memantina in presenza
di urine alcaline può essere ridotta di un fattore compreso tra 7 e 9 (vedere paragrafo 4.4).
L’alcalinizzazione delle urine può risultare da modifiche drastiche nel regime dietetico, ad esempio da una dieta carnivora ad una vegetariana, oppure dalla ingestione massiccia di soluzioni
tampone gastriche alcalinizzanti. Linearità. Studi su volontari hanno dimostrato una farmacocinetica lineare nel dosaggio compreso tra 10 e 40 mg. Rapporto farmacocinetico/farmacodinamico. Ad una dose di memantina di 20 mg al giorno i livelli di LCR corrispondono al valore
ki (ki = costante di inibizione) di memantina, pari a 0,5 µmol nella corteccia frontale umana.
5.3 Dati preclinici di sicurezza. In studi a breve termine sui ratti, memantina, come altri
antagonisti-NMDA, ha indotto vacuolizzazione neuronale e necrosi (lesioni di Olney) solo in seguito a dosi che portano a concentrazioni sieriche di picco molto elevate. Atassia ed altri segni
preclinici hanno preceduto la vacuolizzazione e la necrosi. Dal momento che gli effetti non sono
stati osservati in studi a lungo termine su roditori e animali diversi, la rilevanza clinica di queste
osservazioni non è nota. Alterazioni oculari sono state rilevate in maniera inconsistente in studi
di tossicità ripetuta nei roditori e nei cani, ma non nelle scimmie. Specifici esami oftalmoscopici
negli studi clinici con memantina non hanno evidenziato alcuna alterazione oculare. Nei roditori
è stata osservata fosfolipidosi nei macrofagi polmonari causata da accumulo di memantina
nei lisosomi. Questo effetto è noto da altri principi attivi con proprietà amfifiliche cationiche.
Esiste una possibile correlazione tra questo accumulo e la vacuolizzazione osservata nei polmoni. Questo effetto è stato rilevato esclusivamente a dosi elevate nei roditori. La rilevanza
clinica di queste osservazioni non è nota. Non è stata osservata alcuna genotossicità dopo test
di memantina in analisi standard. Non c’è evidenza di cancerogenicità in studi che durano tutta
la vita nei topi e nei ratti. Memantina non era teratogena nel ratto e nel coniglio, anche a dosi
tossiche per la madre, e non sono stati notati effetti avversi di memantina sulla fertilità. Nel ratto
è stata osservata una riduzione della crescita fetale a livelli di esposizione identici o leggermente
superiori rispetto all’esposizione umana.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti. Nucleo compressa: Lattosio monoidrato, Cellulosa microcristallina, Acido silicico colloidale anidro, Talco, Magnesio stearato. Rivestimento compressa: Acido
metacrilico-copolimero etil acrilato (1:1), Sodio lauril solfato, Polisorbato 80, Talco, Triacetina,
Emulsione di simeticone.
6.2 Incompatibilità. Non pertinente.
6.3 Periodo di validità. 4 anni.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna speciale condizione di conservazione.
6.5 Natura e contenuto del contenitore. Confezioni blister da 7, 10, 14 o 20 compresse
per strip di blister. Vengono presentate confezioni da 14, 28, 30, 42, 49 x 1, 50, 56, 56 x
1, 70, 84, 98, 98 x 1, 100, 100 x 1, 112, 980 (10 x 98) o 1000 (20 x 50) compresse. Le
confezioni 49 x 1, 56 x 1, 98 x 1 e 100 x 1 compresse rivestite con film sono in blister in dosi
unitarie. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
H. Lundbeck A/S
Ottiliavej 9 – DK-2500 Valby – Danimarca
8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
EU/1/02/219/001-3
EU/1/02/219/007-012
EU/1/02/219/014-021
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
Data della prima autorizzazione: 15/05/2002
Data dell’ultimo rinnovo: 15/05/2007
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
05/2008
Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web
della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu
Confezioni da 56 compresse (10 mg)
Prezzo al pubblico 128,72 euro
Rimborsabilità: classe C
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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
Ebixa 10 mg/g gocce orali, soluzione.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
1 g di soluzione contiene 10 mg di memantina idrocloruro (equivalente a 8,31 mg di memantina).
Una goccia di soluzione è equivalente a 0,5 mg di memantina idrocloruro. Eccipienti: 1 g di soluzione contiene 100 mg di sorbitolo E420 e 0,5 mg di potassio, vedere paragrafo 4.4.
Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Gocce orali, soluzione.
La soluzione è trasparente e da incolore a tendente al giallo chiaro.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche. Trattamento di pazienti con malattia di Alzheimer da moderata
a grave.
4.2 Posologia e modo di somministrazione. Il trattamento deve essere iniziato e controllato da un medico esperto nella diagnosi e nel trattamento della demenza di Alzheimer. La
terapia deve essere cominciata esclusivamente se, una persona che assiste il paziente, si rende
disponibile a monitorare regolarmente la somministrazione del prodotto medicinale al paziente.
La diagnosi deve essere effettuata seguendo le linee guida attuali. Ebixa deve essere somministrato una volta al giorno e deve essere assunto ogni giorno alla stessa ora. Le gocce possono
essere assunte vicino o lontano dai pasti. Adulti. Titolazione della dose. La dose massima
giornaliera è di 20 mg. Per ridurre il rischio di effetti indesiderati la dose di mantenimento si raggiunge aumentando 5 mg per settimana per le prime 3 settimane come segue: Prima settimana
(giorno 1-7): Il paziente deve assumere 10 gocce (5 mg) al giorno per 7 giorni. Seconda settimana (giorno 8-14). Il paziente deve assumere 20 gocce (10 mg) al giorno per 7 giorni. Terza
settimana (giorno 15-21): Il paziente deve assumere 30 gocce (15 mg) al giorno per 7 giorni.
Dalla quarta settimana in poi: Il paziente deve assumere 40 gocce (20 mg) una volta al giorno.
Dose di mantenimento. La dose di mantenimento consigliata è di 20 mg al giorno. Anziani.
Secondo studi clinici la dose consigliata per i pazienti oltre i 65 anni di età è di 20 mg al giorno
(40 gocce una volta al dì) come descritto sopra. Bambini e adolescenti. L’uso di Ebixa non è
raccomandato nei bambini al di sotto dei 18 anni di età a causa della mancanza di studi sulla
sicurezza ed efficacia. Alterazione della funzionalità renale. Nei pazienti con funzionalità renale lievemente compromessa (clearance della creatinina 50-80 ml/min) non è necessario alcun
aggiustamento della dose. Nei pazienti con funzionalità renale moderatamente compromessa
(clearance della creatinina 30-49 ml/min) la dose giornaliera deve essere di 10 mg al giorno. Se
ben tollerata dopo almeno 7 giorni di trattamento, la dose può essere aumentata fino a 20 mg al
giorno, in accordo allo schema di titolazione standard. Nei pazienti con compromissione severa
della funzionalità renale (clearance della creatinina 5-29 ml/min) la dose giornaliera deve essere
di 10 mg al giorno. Alterazione della funzionalità epatica. In pazienti con funzionalità epatica
lievemente o moderatamente compromessa (Child-Pugh A e Child-Pugh B) non è necessario
alcun aggiustamento della dose. Non sono disponibili dati sull’utilizzo di memantina in pazienti
con compromissione severa della funzionalità epatica. La somministrazione di Ebixa non è consigliata in pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa.
4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Si raccomanda cautela in pazienti con
epilessia, precedente storia di convulsioni o pazienti con fattori predisponenti per l’epilessia.
Evitare l’uso concomitante di altri antagonisti-N-metil-D-aspartato (NMDA) quali amantadina,
ketamina, o destrometorfano. Questi composti agiscono sullo stesso sistema recettoriale di memantina, quindi le reazioni avverse (principalmente a livello del sistema nervoso centrale – SNC)
possono essere più frequenti o più evidenti (vedere anche paragrafo 4.5). Alcuni fattori che
possono aumentare il pH delle urine (vedere paragrafo 5.2 “Eliminazione”) richiedono un accurato controllo del paziente. Questi fattori includono drastici cambiamenti di alimentazione, ad
esempio da una dieta a base di carne ad una vegetariana, o una eccessiva ingestione di soluzioni
tampone alcalinizzanti per lo stomaco (antiacidi). Anche il pH delle urine può aumentare a causa
di acidosi tubulare renale (RTA) o gravi infezioni del tratto urinario da Proteus. Nella maggior
parte degli studi clinici, sono stati esclusi i pazienti con infarto miocardico recente, insufficienza
cardiaca congestizia non compensata (NYHA III-IV), o ipertensione non controllata. Di conseguenza, è disponibile un numero limitato di dati ed i pazienti con tali condizioni cliniche vanno
tenuti sotto controllo. Eccipienti: Le gocce orali contengono sorbitolo. I pazienti con rari problemi
ereditari di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale.
4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. A causa degli effetti farmacologici e del meccanismo di azione di memantina possono verificarsi le seguenti
interazioni: • La modalità d’azione suggerisce che gli effetti di L-dopa, agonisti dopaminergici
e anticolinergici possono essere aumentati durante il trattamento concomitante di antagonistiNMDA, come memantina. Gli effetti di barbiturici e neurolettici possono essere ridotti. La somministrazione concomitante di memantina con agenti antispastici, dantrolene o baclofene, può
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Riassunto delle
caratteristiche di prodotto
GOCCE
modificare i loro effetti rendendo necessario il cambiamento del dosaggio. • Evitare l’uso concomitante di memantina e amantadina, a causa del rischio di psicosi farmacotossica. Entrambi
i composti sono chimicamente associati a quelli del tipo antagonisti-NMDA. Lo stesso dicasi
per ketamina e destrometorfano (vedere paragrafo 4.4). Esiste solamente un caso riportato
pubblicato sul possibile rischio della associazione tra memantina e fenitoina. • Altri principi attivi
come cimetidina, ranitidina, procainamide, chinidina, chinina e nicotina, che utilizzano lo stesso
sistema di trasporto renale cationico dell’amantadina, possono interagire anche con memantina,
portando ad un potenziale rischio di aumento dei livelli plasmatici. • Vi può essere la possibilità
di ridotti livelli serici di idroclorotiazide in caso di somministrazione concomitante di memantina
con idroclorotiazide o con prodotti contenenti associazioni con idroclorotiazide. • Durante l’esperienza post-marketing sono stati segnalati casi isolati di aumento del Rapporto Internazionale
Normalizzato (INR) in pazienti in trattamento concomitante con warfarin. Per quanto non sia
stato stabilito un rapporto causale, si consiglia uno stretto monitoraggio del tempo di protrombina o dell’INR nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali. In studi di farmacocinetica a
dose singola (PK), in soggetti giovani sani, non sono state osservate interazioni principio attivoprincipio attivo rilevanti tra memantina e gliburide/metformina o donepezil. In uno studio clinico
in volontari giovani sani non si sono osservati effetti rilevanti di memantina sulla farmacocinetica
di galantamina. La memantina non ha inibito CYP 1A2, 2A6, 2C9, 2D6, 2E1, 3A, monossigenasi
contenente flavina, idrolasi epossidica o sulfatazione in vitro.
4.6 Gravidanza e allattamento. Non esistono dati disponibili in relazione all’assunzione
di memantina in gravidanza. Studi su animali indicano che esiste una possibile riduzione della
crescita intrauterina per livelli di esposizione al farmaco identici o lievemente più alti dei livelli
di esposizione umana (vedere paragrafo 5.3). Non si conoscono rischi potenziali per gli esseri
umani. Non assumere la memantina in gravidanza a meno che non sia esplicitamente necessario. Non è noto se memantina sia escreta con il latte materno, ma considerata la lipofilia della
sostanza, è probabile che tale passaggio avvenga. Le donne che assumono memantina non
devono allattare.
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Generalmente la
malattia di Alzheimer di grado da moderato a severo può compromettere la capacità di guidare
e di utilizzare macchinari. Poiché Ebixa altera in modo da lieve a moderato la capacità di guidare
veicoli o usare macchinari, è necessario informare i pazienti ambulatoriali della necessità di
prestare attenzione.
4.8 Effetti indesiderati. Negli studi clinici nella malattia di Alzheimer da lieve a severa, che
hanno coinvolto 1.784 pazienti trattati con Ebixa e 1.595 pazienti trattati con placebo, l’incidenza
globale di reazioni avverse nei trattati con Ebixa non differiva da quelli trattati con placebo; le reazioni avverse erano generalmente di gravità da lieve a moderata. Le reazioni avverse che si sono
manifestate con una più elevata incidenza nel gruppo trattato con Ebixa rispetto a quello trattato
con placebo sono stati capogiri (6,3% vs 5,6% rispettivamente), cefalea (5,2% vs 3,9%), stipsi
(4,6% vs 2,6%), sonnolenza (3,4% vs 2,2%) e ipertensione (4,1% vs 2,8%). Le reazioni avverse
riportate nella tabella seguente derivano dagli studi clinici con Ebixa e dalle segnalazioni dopo
la sua introduzione in commercio. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Le reazioni avverse sono state classificate
in accordo alla classificazione sistemica organica e secondo la convenzione sulla frequenza:
molto comuni (≥ 1/10), comuni (≥ 1/100 a ≤ 1/10), non comuni (≥ 1/1.000 a ≤ 1/100), rari
(≥ 1/10.000 a ≤ 1/1.000), molto rari (≤ 1/10.000), non note (non valutabili dai dati disponibili).
Alterazioni del sistema nervoso Patologie gastrointestinali
Comuni
Capogiri
Non comuni
Disturbi dell’andatura
Molto rare
Convulsioni
Comuni
Stipsi
Non comuni
Vomito
Non note
Pancreatite2
Infezioni ed infestazioni Non comuni
Infezioni fungine
Patologie vascolari Comuni
Ipertensione
Non comuni
Trombosi venosa/
tromboembolismo
Patologie sistemiche e condizioni Comuni
Cefalea
relative alla sede di somministrazione
Non comuni
Fatica
Disturbi psichiatrici Comuni
Sonnolenza
Non comuni
Confusione
Non comuni
Allucinazioni1
Non note
Reazioni psicotiche2
1
Le allucinazioni sono state osservate principalmente nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer
di grado severo.
2
Casi isolati riportati durante l’esperienza post-marketing.
3-07-2008 11:52:33
Riassunto delle
caratteristiche di prodotto
GOCCE
La malattia di Alzheimer è stata associata a depressione, ideazione suicidaria e suicidio. Durante
l’esperienza post-marketing questi eventi sono stati riportati in pazienti trattati con Ebixa.
4.9 Sovradosaggio. Solo una limitata esperienza circa il sovradosaggio è disponibile dagli
studi clinici e dall’esperienza post-marketing. Sintomi. Sovradosaggi relativamente alti (rispettivamente 200 mg e 105 mg al giorno per 3 giorni) sono stati associati a sintomi di stanchezza, debolezza e/o diarrea o a nessun sintomo. Nei casi di sovradosaggio con dose inferiore a
140 mg o sconosciuta, i pazienti hanno mostrato sintomi a carico del sistema nervoso centrale
(confusione, senso di eccessiva stanchezza, sonnolenza, vertigini, agitazione, aggressività, allucinazioni e disturbi dell’andatura) e/o di origine gastrointestinale (vomito e diarrea). Nel caso più
estremo di sovradosaggio, il paziente è sopravissuto all’assunzione orale di un totale di 2000 mg
di memantina con effetti sul sistema nervoso centrale (coma per 10 giorni, ed in seguito diplopia
ed agitazione). Il paziente ha ricevuto un trattamento sintomatico e plasmaferesi. Il paziente è
guarito senza riportare postumi permanenti. Anche in un altro caso di elevato sovradosaggio, il
paziente è sopravissuto e si è rimesso. Il paziente ha assunto per via orale 400 mg di memantina. Il paziente ha manifestato sintomi a carico del sistema nervoso centrale quali irrequietezza,
psicosi, allucinazioni visive, proconvulsività, sonnolenza, stupore e incoscienza. Trattamento. In
caso di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico. Non esiste un antidoto specifico
per l’intossicazione o il sovradosaggio. Devono essere utilizzate, quando appropriate, le procedure cliniche standard di rimozione del principio attivo, quali, ad esempio, lavanda gastrica,
medicinali a base di carbone attivo (interruzione del potenziale ricircolo entero-epatico), acidificazione delle urine, diuresi forzata. In caso di segni e sintomi di sovrastimolazione generale del
sistema nervoso centrale (SNC), deve essere preso in considerazione un attento trattamento
clinico sintomatico.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapica: altri farmaci anti-demenza,
codice ATC: N06DX01. Esistono evidenze sempre maggiori che il malfunzionamento della neurotrasmissione glutamatergica, in particolare quella mediata dai recettori NMDA, contribuisca sia
alla manifestazione dei sintomi sia alla progressione della malattia nella demenza neurodegenerativa. Memantina è un antagonista non competitivo dei recettori NMDA voltaggio-dipendente, a
moderata affinità. Essa modula gli effetti dei livelli tonici patologicamente elevati di glutammato
che possono comportare una disfunzione neuronale. Studi Clinici. Uno studio con memantina
in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da moderata a grave (punteggio totale
Mini Mental State Examination – MMSE al basale compreso tra 3 e 14) ha incluso 252 pazienti.
Lo studio ha dimostrato l’efficacia del trattamento con memantina nei confronti del placebo a 6
mesi [analisi dei casi osservati Clinician’s Interview Based Impression of Change (CIBIC-plus):
p=0,025; Alzheimer’s Disease Cooperative Study – Activities of Daily Living (ADCS-ADLsev):
p=0,003; Severe Impairment Battery (SIB): p=0,002]. Uno studio con memantina in monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale MMSE al
basale compreso tra 10 e 22) ha incluso 403 pazienti. I pazienti trattati con memantina hanno
mostrato un migliore effetto statisticamente significativo rispetto ai pazienti trattati con placebo
sull’endpoint primario: Alzheimer’s disease assessment scale (ADAS-cog) (p=0,003) e CIBICplus (p=0,004) alla 24a settimana [last observation carried forward (LOCF)]. In un altro studio in
monoterapia nel trattamento della malattia di Alzheimer da lieve a moderata (punteggio totale
MMSE al basale compreso tra 11 e 23) sono stati randomizzati 470 pazienti. Nell’analisi primaria
definita prospetticamente, non è stata raggiunta la significatività statistica all’endpoint primario
di efficacia alla ventiquattresima settimana. Una metanalisi di pazienti con malattia di Alzheimer
da moderata a severa (punteggio totale MMSE < 20) relativa a sei studi di fase III, controllati
con placebo, della durata di sei mesi, (includendo studi in monoterapia e studi in pazienti trattati
con dosi stabili di inibitori dell’acetilcolinesterasi) hanno mostrato che era presente un effetto
statisticamente significativo in favore del trattamento con memantina per i dominii cognitivi,
globali e funzionali. Quando i pazienti sono stati identificati relativamente al peggioramento concomitante in tutti e tre i dominii, i risultati hanno mostrato l’effetto statisticamente significativo di
memantina nel prevenire il peggioramento; il doppio dei pazienti trattati con placebo ha mostrato
un peggioramento in tutti e tre i dominii (21% vs 11%, p<0,0001) rispetto ai pazienti trattati
con memantina.
5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento. Memantina ha una biodisponibilità assoluta pari a circa il 100%. Il tmax è compreso tra 3 e 8 ore. Non vi sono indicazioni relative
all’influenza del cibo sull’assorbimento di memantina. Distribuzione. Dosi giornaliere di 20 mg
hanno portato a concentrazioni plasmatiche steady-state di memantina comprese tra 70 e 150
ng/ml (0,5-1 µmol) con notevoli variazioni tra i singoli individui. Con la somministrazione di
dosi giornaliere comprese tra 5 e 30 mg, è stato calcolato un rapporto medio di liquido cefalorachidiano LCR/siero di 0,52. Il volume di distribuzione si aggira intorno ai 10 l/kg. Circa il 45%
di memantina si lega alle proteine plasmatiche. Biotrasformazione. Nell’uomo, circa l’80% del
materiale in circolo rapportabile a memantina è presente come composto principale. I principali
metaboliti umani sono N-3,5-dimetil-gludantano, la miscela isomerica di 4-6-idrossi-memantina,
RCP 1/7/08.indd 4
e 1-nitroso-3,5-dimetil-adamantano. Nessuno di questi metaboliti mostra un’attività antagonista-NMDA. In vitro non è stato rilevato alcun metabolismo catalizzato da citocromo P 450. In uno
studio con 14C-memantina somministrata per via orale, in media l’84% della dose è stata recuperata entro 20 giorni, con oltre il 99% ad escrezione renale. Eliminazione. Memantina viene
eliminata in maniera monoesponenziale con un t1/2 terminale compreso tra le 60 e le 100 ore. In
volontari con funzionalità renale normale, la clearance totale (Cltot) è pari a 170 ml/min/1,73 m2
e parte della clearance renale totale avviene tramite secrezione tubulare. La gestione al livello
renale coinvolge anche il riassorbimento tubulare, probabilmente mediato da proteine di trasporto cationico. La percentuale di eliminazione renale di memantina in presenza di urine alcaline
può essere ridotta di un fattore compreso tra 7 e 9 (vedere paragrafo 4.4). L’alcalinizzazione
delle urine può risultare da modifiche drastiche nel regime dietetico, ad esempio da una dieta
carnivora ad una vegetariana, oppure dalla ingestione massiccia di soluzioni tampone gastriche
alcalinizzanti. Linearità. Studi su volontari hanno dimostrato una farmacocinetica lineare nel
dosaggio compreso tra 10 e 40 mg. Rapporto farmacocinetico/farmacodinamico. Ad una
dose di memantina di 20 mg al giorno i livelli di LCR corrispondono al valore ki (ki = costante di
inibizione) di memantina, pari a 0,5 µmol nella corteccia frontale umana.
5.3 Dati preclinici di sicurezza. In studi a breve termine sui ratti, memantina, come altri
antagonisti-NMDA, ha indotto vacuolizzazione neuronale e necrosi (lesioni di Olney) solo in seguito a dosi che portano a concentrazioni sieriche di picco molto elevate. Atassia ed altri segni
preclinici hanno preceduto la vacuolizzazione e la necrosi. Dal momento che gli effetti non sono
stati osservati in studi a lungo termine su roditori e animali diversi, la rilevanza clinica di queste
osservazioni non è nota. Alterazioni oculari sono state rilevate in maniera inconsistente in studi
di tossicità ripetuta nei roditori e nei cani, ma non nelle scimmie. Specifici esami oftalmoscopici
negli studi clinici con memantina non hanno evidenziato alcuna alterazione oculare. Nei roditori
è stata osservata fosfolipidosi nei macrofagi polmonari causata da accumulo di memantina
nei lisosomi. Questo effetto è noto da altri principi attivi con proprietà amfifiliche cationiche.
Esiste una possibile correlazione tra questo accumulo e la vacuolizzazione osservata nei polmoni. Questo effetto è stato rilevato esclusivamente a dosi elevate nei roditori. La rilevanza
clinica di queste osservazioni non è nota. Non è stata osservata alcuna genotossicità dopo test
di memantina in analisi standard. Non c’è evidenza di cancerogenicità in studi che durano tutta
la vita nei topi e nei ratti. Memantina non era teratogena nel ratto e nel coniglio, anche a dosi
tossiche per la madre, e non sono stati notati effetti avversi di memantina sulla fertilità. Nel ratto
è stata osservata una riduzione della crescita fetale a livelli di esposizione identici o leggermente
superiori rispetto all’esposizione umana.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti. Potassio sorbato, Sorbitolo E420, Acqua purificata.
6.2 Incompatibilità. Non pertinente.
6.3 Periodo di validità. 4 anni. Una volta aperto, utilizzare il contenuto del flacone entro
3 mesi.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione. Conservare a temperatura non superiore ai 30 °C.
6.5 Natura e contenuto del contenitore. Flaconi in vetro scuro (classe idrolitica III) con
contagocce contenente soluzione da 20, 50, 100 o 10 x 50 g.
È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
H. Lundbeck A/S
Ottiliavej 9 – DK-2500 Valby – Danimarca
8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
EU/1/02/219/004-6
EU/1/02/219/013
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
Data della prima autorizzazione: 15/05/2002
Data dell’ultimo rinnovo: 15/05/2007
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
05/2008
Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web
della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu
Flaconi da 50 g (10 mg/g)
Prezzo al pubblico 114,93 euro
Rimborsabilità: classe C
3-07-2008 11:52:33
Per il trattamento della
Malattia di Alzheimer
da moderata a grave
Depositato presso l’AIFA in data 11/11/08
Monosomministrazione giornaliera
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3-12-2008 10:03:36
M a l at t i a d i Pa r k i n s o n
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Monosomministrazione
giornaliera
Semplicemente efficace