7 PRESENTAZIONE Questo volume pubblica i risultati di una

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7 PRESENTAZIONE Questo volume pubblica i risultati di una
PRESENTAZIONE
Questo volume pubblica i risultati di una vasta ricerca interuniversitaria – che ha coinvolto gli atenei di
Firenze, dell’Insubria e di Milano statale e che ha riunito alcuni dei migliori specialisti italiani e stranieri
delle tematiche affrontate – iniziata quando, qualche
anno fa, si era cominciato a porre, in diversi paesi europei, il problema della pubblica esibizione di segni,
indumenti e simboli di carattere religioso.
Parallelamente i «media» hanno registrato in tutta
Europa (ma anche oltreoceano) un rinnovato interesse
delle opinioni pubbliche e dei responsabili delle decisioni politiche per le religioni, in particolare per le maggiori (cattolicesimo, ortodossia, protestantesimo, ebraismo,
islam, induismo, buddismo), che raccoglierebbero circa
quattro dei sei miliardi di abitanti del pianeta. È recente, del resto, il nuovo, larghissimo e inconsueto – anche
se confuso – entusiasmo per il capo della religione cattolica romana, provocato dalla morte di Giovanni Paolo
II e dall’elezione di Benedetto XVI.
D’altro canto i giuristi più sensibili hanno colto immediatamente il senso di questi fenomeni, anche sul
piano degli ordinamenti confessionali, sollecitati dai
processi di crescente diversità culturale, ed hanno affrontato, con coraggio e originalità, lo studio del diritto comparato delle religioni (tra i molti ricorderei Silvio Ferrari e Marco Ventura).
Certo, se avessero avuto ragione i teologi protestanti
americani degli anni Sessanta che, con qualche imprudente anticipo, avevano celebrato la «morte di Dio»,
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oggi non ci troveremmo a dover risolvere, un po’ dappertutto, i problemi delle manifestazioni esterne e visibili dell’appartenenza confessionale (espressamente tutelate dalla normativa internazionale in materia, come
mostra il prezioso «Codice» della Scalabrino1), e a discutere se nei molti conflitti in corso nel mondo, le religioni siano tornate ad essere un motivo o uno strumento di guerra. L’uso strumentale della fede ha, certo, antichissime e profonde radici, ma, come ci ha ricordato di recente Marco Aime, «a incontrarsi o a
scontrarsi non sono culture, ma persone», mentre le
culture (di cui la religione è componente fondamentale) «se pensate come un dato assoluto,… diventano un
recinto invalicabile, che alimenta nuove forme di razzismo»2. Ed è ancora Aime a richiamare Appadurai e
Clifford Geertz, i quali hanno sottolineato che il passato
è finito per diventare «una specie di archivio culturale
del tempo, cui fare ricorso come meglio si crede» e che
il mondo in cui viviamo, nonostante l’abuso che si fa
delle dimensioni globali di esso, «ha ancora i suoi compartimenti stagni», anche se «i passaggi tra loro sono
molto più numerosi e meno attentamente protetti».
Le principali linee della articolata ricerca, di cui si
pubblicano alcuni risultati, attengono alle valenze che i
simboli religiosi possono assumere nelle diverse prospettive delle scienze umane, al significato dei simboli
religiosi all’interno degli ordinamenti confessionali e
dei simboli «civili» in quelli profani, alle discipline giuridiche in vigore in alcuni paesi, alle difficoltà che esse
sollevano, alle soluzioni possibili nella città multiculturale di oggi. I simboli, in altri termini, come modelli
della comunicazione umana che riconducono ad origini
comuni ed operano attraverso la memoria, la memoria
di un’identità che riunisce e rassicura, ma che può fa1 M. Scalabrino, International Code on Religious Freedom,
Leuven, Peeters, 2003.
2 Cfr. Eccessi di culture, Torino, Einaudi, 2004.
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vorire estraneità ed inimicizie: le rivendicazioni simboliche riguardano più il significato che la «strumentazione» della mondializzazione.
Persino la «Croce Rossa» si trova, oggi, a dibattere il
suo bel problema simbolico: se si debbano sostituire
gli emblemi tradizionali riferiti ad alcune confessioni e
usati in pace e in guerra (la rossa croce, appunto, o la
mezzaluna o la stella di Davide, etc.) con una figura
geometrica (cristallo o diamante o rombo) di colore
rosso, per non ferire la suscettibilità di credenti di altre religioni o di non-credenti.
Nel momento in cui questo volume viene pubblicato, in vari paesi sono ancora acute alcune delle situazioni analizzate dagli autori. A parte gli effetti della
legge francese sui simboli religiosi ad un anno dalla
sua approvazione, in Italia il Ministro della giustizia,
Castelli, vuole perseguire «chi va in giro mascherato»,
il ministro dell’istruzione, Moratti, vuole, invece, continuare a consentire il velo islamico (e, ovviamente, i veli
delle religiose) nelle scuole, a Drezzo (Como) un vigile
ha multato un’italiana di religione islamica che girava
con il volto coperto, all’Università di Cagliari vietano
l’ostensione degli ombelichi nelle aule, a Ivrea esiliano
le maestre velate, a Novara si impongono nelle mense
scolastiche cibi rispettosi delle prescrizioni religiose,
nei ristoranti ebraici delle grandi città si incontrano
sempre più giovani con il copricapo: insomma i temi
che questo volume tratta con grande competenza e con
rigoroso distacco scientifico, sono sempre più diffusi
ed attuali. Alla loro difficile soluzione, ci si augura che
questa ricerca possa fornire un contributo meditato
per la riflessione e per le soluzioni che i responsabili
della politica dovranno adottare. E non so proprio se
l’imminente istituzione in Italia di una Consulta islamica, di stampo «bonapartista», da parte del Ministro
dell’interno, Pisanu, vada nella buona direzione.
Per chiudere queste pagine di presentazione formale
(per quella sostanziale rinvio al saggio introduttivo di
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un caro collega e vecchio amico, Luigi Lombardi Vallauri, che ha fatto l’onore di unirsi al gruppo di più
giovani autori e che voglio ancora ringraziare), vorrei
esprimere gratitudine al Miur e alle università che hanno consentito di svolgere le ricerche e di pubblicare il
volume in questa collana; al Cnr che – nell’ambito del
programma «Promozione Ricerca 2004: l’identità culturale come fattore di integrazione» – ha finanziato il
progetto di ricerca di Vincenzo Pacillo dal titolo «I
simboli religiosi: problematiche giuridiche nella società
multiculturale»; a Giovanna Zincone che con un riuscito seminario al suo Fieri (Torino) ha permesso un primo confronto tra alcuni degli autori ed alcuni specialisti i quali hanno voluto collaborare alla messa a punto
delle ricerche; e, soprattutto, a tre giovani amici, Edoardo Dieni, Alessandro Ferrari e Vincenzo Pacillo – curatori dell’opera –, due dei quali, nel corso di questa
impresa (che produrrà anche altri volumi), sono anche
diventati dei nuovi e cari colleghi.
Né posso non ricordare che, nello stesso periodo,
sono usciti importanti e significativi contributi (per
tutti menziono «I segni della discordia», di Paolo Cavana, Giappichelli, Torino, 2004, e alcuni dei saggi
raccolti da Enrico Vitali nel volume «Problematiche attuali del diritto di libertà religiosa», Cuem, Milano,
2005) che mostrano, con i saggi contenuti in questo
volume, come il diritto ecclesiastico italiano sia in grado di battere nuove vie e di aprire orizzonti scientifici
ben più ampi delle tradizionali tematiche d’interesse
dei suoi cultori.
FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO
Settembre 2005
Mi corre l’obbligo di precisare che i contributi per la stampa
connessi dall’Università di Firenze hanno gravato sia su fondi
Miur (ex 40%), sia su contributi dell’Ateneo (ex 60%), nel quadro
delle attività della Sezione di studi sulle relazioni Stato-Confessioni religiose del Dipartimento di Studi sullo Stato.
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