La tregua di Natale
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La tregua di Natale
! La tregua di Natale! Una canzone dalle note tristi, un intreccio confuso di voci che esprimono il loro turbamento: così ha inizio lo spettacolo di Marco Pizzino, in un’atmosfera di semplicità e quotidianità. Lo spettatore, a partire da questo momento, viene trasportato nella mente di un uomo segnato e sconvolto dai lunghi conflitti della Prima Guerra Mondiale: quest'ultimo, nell'ambiente spartano della sua cucina, tenta di ricostruire con lucidità gli scenari della guerra e di ritrovarvi anche solo una parvenza di razionalità. La totale mancanza di logica negli scontri che per cinque lunghi anni distrussero l'Europa lo trascina però sempre di più verso la follia. Il monologo vuole raccontare infatti la follia di una delle peggiori guerre mai combattute: nove milioni di militari uccisi, sette milioni di vittime civili, venti milioni di feriti e centinaia di migliaia di persone affette da demenza traumatica post-combattimento. Quest'inevitabile follia è descritta innanzitutto in modo diretto attraverso la proiezione di immagini forti e toccanti: soldati che, distrutti dall'esperienza nelle trincee, soffocati dall'odore putrido che ne proveniva, dalla vista di compagni e nemici mutilati, da anni trascorsi a vivere sottoterra col il fucile puntato, da incubi notturni, porteranno per sempre i segni di una mente devastata. I loro occhi sono completamente assenti, le mani tremano, le gambe non riescono più a reggere il peso del corpo e la lingua è ammutolita. Allo stesso tempo, però, anche colui che tenta di descrivere con chiarezza gli eventi della Grande Guerra viene travolto da una quotidiana follia: indossa un tutù e comincia a danzare intorno al tavolo, si versa un bicchiere di vino e lo sorseggia mentre continua il suo racconto, canta a squarciagola su una melodia allegra, si cosparge le mani e le braccia di rosso. Ogni suo gesto sottolinea la forza di una pazzia che colpisce chiunque sia vicino alla guerra. L'evento più folle dell'intero conflitto avvenne però la notte di Natale del 1914: come sul palco il narratore accende una ad una decine di lucine, così allora, nelle trincee delle Fiandre, francesi, inglesi e tedeschi abbandonarono le loro postazioni e corsero uno verso altro nella terra di nessuno, portando fra le mani una candela. Quella notte, al grido di “Buon Natale inglesi! Buon Natale tedeschi!”, di fronte alla disumanità della realtà, i soldati scelsero di dichiarare spontaneamente una tregua con un gesto allo stesso tempo folle e coraggioso: la sincerità delle loro intenzioni è sottolineata nel monologo scritto da Monica Iannessi nel modo più semplice ed efficace, tenendo come punto di riferimento quanto affermato da Gandhi: “Finché la pace sarà una pace insaziata e finché non avremo sradicato dalla nostra civiltà la violenza il Cristo non sarà nato”. Al termine della rappresentazione, lo spettatore porta con sé una maggior consapevolezza e una piccola pallina, con cui il giorno di Natale potrà dedicare un pensiero a coloro che cent’anni prima lo trascorsero nelle trincee e accesero migliaia di candele nella speranza di poter festeggiare il Natale successivo in serenità con le proprie famiglie.