“Lo sviluppo linguistico a scuola”. Il sistema verbale de

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“Lo sviluppo linguistico a scuola”. Il sistema verbale de
LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA
FORMAZIONE
Corso di laurea in service
“Lo sviluppo linguistico a scuola”. Il sistema
verbale dei bambini di seconda e di quinta di
una Scuola Primaria trentina.
Relatore
presentata da
Prof. SILVIA DAL NEGRO
CRISTIANA TELCH
Parole chiave: lingua parlata – lessico – scuola primaria
Sessione: estiva
Anno accademico: 2010-2011
A mamma, papà
Daniele e Sebastian.
PREMESSA
1. LA RICERCA: CONTENUTI E METODOLOGIE
1.1 COMUNICAZIONE E RELAZIONE
1.2 COMUNICAZIONE E RELAZIONE A SCUOLA
1.3 IL PANORAMA LINGUISTICO
1.4 CAPRIANA: IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
2. L’ANALISI DEI DATI
2.1 LA RACCOLTA DEI DATI
2.2 LE TRASCRIZIONI
2.3 IL CORPUS
2.4 I LEMMARI
2.5 IL PARLATO E LE CLASSI DI PAROLE
2.6 IL SISTEMA VERBALE
3. LE CONCLUSIONI
3.1 L’EDUCAZIONE LINGUISTICA
3.2 DAI DATI DELLA RICERCA ALLA PRASSI EDUCATIVA
3.3 I DOCUMENTI DI RIFERIMENTO E LA PROGRAMMAZIONE
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
APPENDICI
PREMESSA
Il lavoro che di seguito verrà presentato è frutto della ricerca effettuata in una piccola
Scuola Primaria del Trentino, ed ha come obiettivo quello di attirare l’attenzione degli
insegnanti sull’importanza di porre al centro della propria vita lavorativa il bambino, non
solo come soggetto apprendente, ma come persona con una propria identità, con proprie
competenze
e conoscenze. È necessario quindi conoscere in maniera approfondita
ciascuno dei bambini, per poter calibrare i propri interventi didattici per renderli proficui
e soprattutto per dare modo ai bambini di partire dalle proprie conoscenze che diventano
preziosi tasselli nel puzzle dell’apprendimento, di cui i bambini stessi sono protagonisti.
Ancora una volta quindi si sottolinea l’importanza di partire da dati concreti, reali, quanto
più spontanei possibile.
Con questi presupposti abbiamo avviato questa ricerca che ha visto coinvolti i bambini di
seconda e di quinta della Scuola Primaria di Capriana, piccolo paese in provincia di
Trento; sono stati collaboratori disponibili, sinceri e vivaci e per questo a loro e alle loro
famiglie va il mio più sincero ringraziamento. Hanno contribuito con estrema serietà alla
realizzazione delle registrazioni: qualcuno di loro ha addirittura voluto ripetere
l’esperienza, con modalità e obiettivi diversi. Questo aspetto mi ha molto colpito e mi ha
permesso di capire che rendere i bambini veri protagonisti della vita della scuola e
riservare all’insegnante il ruolo del coordinatore rimane la strada giusta per imparare, non
solo per gli alunni, ma anche e soprattutto per l’insegnante.
Oltre ai bambini, mi sento in dovere di ringraziare anche tutte le persone che hanno
percorso con me il cammino universitario. Porgo i miei più sinceri ringraziamenti
anzitutto alla Professoressa Silvia Dal Negro che con pazienza, professionalità e
competenza ha tracciato il sentiero che mi ha portata alla conclusione di questo lavoro,
che mi ha molto impegnata, ma altrettanto ripagata.
Un particolare pensiero va ai miei genitori, presenza costante, discreta e preziosissima
nella mia vita: il loro aiuto è stato indispensabile e la mia riconoscenza infinita.
Ringrazio anche Daniele e Sebastian che hanno supportato e sopportato una moglie e una
mamma spesso troppo impegnata, qualche volta nervosa, che ha “rubato” tempo ai giochi
e alle parole.
Infine ringrazio tutte le persone che in diversi modi mi hanno sostenuta anche nei
momenti difficili di questo percorso, che mi hanno dedicato il loro tempo, che mi hanno
ascoltata.
1. LA RICERCA: CONTENUTI E METODOLOGIE
La motivazione che ha condotto alla realizzazione questo lavoro di ricerca, affonda le
proprie radici nella responsabilità che quotidianamente gli insegnanti di italiano si
trovano a sostenere. L’educazione linguistica ricopre due importanti funzioni: se da
un lato deve insegnare agli alunni ad esprimersi in italiano, dall’altro deve anche
condurre i bambini alla conoscenza della grammatica intesa come categorie e regole
esplicite.
“Per molti essere colti significa saper leggere e scrivere. Siccome molti operai non
sanno leggere né scrivere, passano per ignoranti. Ma noi vediamo che i contadini e gli
operai fra di loro parlano. Essi conoscono lo strumento più antico e più facile per
comunicare fra di loro. Ma conoscono poche parole. Se dovessero parlare in consiglio
comunale i borghesi gli riderebbero in faccia. Se emigrano all’estero o si spostano da
una regione all’altra dell’Italia, né capiscono né si fanno capire. Allora stanno zitti:
finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200, questo sarà
oppresso da primo.
La parola ci fa uguali”. (Roberto Sardelli, Scuola 725, 13-14)
È indubbio quindi che l’educazione linguistica debba occuparsi non solo di
trasmettere conoscenze di tipo nozionistico sulla grammatica della lingua italiana, ma
anche di fornire agli alunni gli strumenti necessari per comunicare e garantire loro la
possibilità di creare una rete di comunicazioni con i propri simili con i quali
condividono una cultura e quindi anche una lingua. Il linguaggio dunque diventa
anche uno strumento di avanzamento sociale che la scuola dovrebbe occuparsi di
fornire a tutti gli alunni.
“È proprio nello studio della conversazione che troveremo la chiave per capire meglio
che cos’è realmente la lingua e come funziona” (Firth, 1957).
Con questa citazione di Firth è possibile riassumere i contenuti e le metodologie
utilizzate per svolgere la ricerca. Anzitutto il focus attorno al quale ruota il lavoro è
l’utilizzo della lingua italiana da parte di alunni di una Scuola Primaria trentina. Non
si tratta pertanto di un lavoro che si concentra sulle competenze individuali di un
parlante, né ci si pone quale obiettivo quello di indagare lo sviluppo del linguaggio
infantile, si cercherà piuttosto di individuare, le modalità di utilizzo della lingua
italiana analizzando il parlato di ciascuno dei bambini singolarmente e
complessivamente.
“Negli anni è cambiata […] l’idea di che cosa sia un linguaggio: da un sistema di
regole per generare un numero infinito di frasi, a un complesso sistema in cui
interagiscono, con pari dignità, componenti emotive, cognitive, referenziali, sociali
[…]” (Cimatti, 1998).
In questa definizione di Cimatti convergono diverse scuole di pensiero che hanno
caratterizzato la nascita e lo sviluppo della sociolinguistica, intesa come disciplina che
si occupa di lingua e comunicazione e soprattutto del loro legame con la società e la
cultura: lo strutturalismo, il funzionalismo e la grammatica generativa1.
Chomsky conclude un breve excursus alla ricerca della definizione di linguaggio
definendolo “[…] una priorità legata alla specie, una proprietà unica della specie
umana nella sua essenza e comune alla nostra dotazione biologica […]” (Chomsky,
1988/1991).
Parlare una lingua dunque non è solo possedere la padronanza delle regole
morfosintattiche, ma anche conoscere i principi che sottostanno alla comunicazione,
in quanto ciascuno di noi è inserito in una comunità linguistica intesa come l’insieme
delle persone che dispongono dello stesso repertorio linguistico e culturale.
Al contempo, ciascun soggetto possiede un repertorio linguistico individuale:
padroneggia cioè un insieme di lingue o le varietà di una lingua. Riguardo a questo
aspetto è opportuno sottolineare che i soggetti coinvolti nella ricerca sono bilingui,
nel senso che riescono a comunicare sia in italiano sia nella loro lingua materna, che è
il dialetto trentino, in particolare quello della Valle di Fiemme. Dal punto di vista
sociolinguistico, invece i bambini vivono una situazione di diglossia, che prevede la
presenza di due sistemi linguistici ben differenziati, italiano e dialetto ognuno dei
quali ha un contesto di utilizzo diverso: il primo trova spazio in contesti
maggiormente formali, come ad esempio, nel nostro caso specifico la scuola, il
secondo è vincolato ad ambienti più colloquiali, come una conversazione in famiglia o
fra amici.
1
La tesi centrale dello strutturalismo ruota attorno all’idea di considerare la lingua come
“ […]un sistema relazionale in cui tutto è collegato.” (Bazzanella, 2009). Per contrapposizione,
invece il funzionalismo definisce il linguaggio primariamente come “uno strumento di
interazione sociale fra individui” (Bazzanella, 2009). La scuola generativista, infine concentra
la propria attenzione sulla competenza esecutiva, ridefinendo il concetto di lingua come
“[…]sistema cognitivo di regole e principi che determinano la conoscenza della lingua madre
in ogni singolo individuo”. (Cinque, 1991).
Il concetto principale che riguarda l’aspetto metodologico al quale fa riferimento
anche Firth, si concretizza nell’utilizzo di conversazioni reali quali oggetti della
ricerca dato che “non si studia tutta la botanica facendo fiori artificiali” (Sinclair,
1991).
Ciò che importante sottolineare è che “ è aumentato recentemente il numero degli studiosi
[…] che insistono con sempre maggior forza e convinzione sulla necessità di analizzare la
lingua, e di costruire teorie, partendo dai dati reali” (Bazzanella, 1994). Questa opinione,
ormai condivisa è uno dei pilastri che sostiene il progetto della nostra ricerca. La raccolta
dei dati avviene attraverso la registrazione del parlato dei bambini, che è stato
successivamente trascritto ed analizzato. Uno dei punti critici di questa metodologia, che
permette di raccogliere dati legati al linguaggio verbale, è racchiuso nell’idea che esiste
un’ “[…] interdipendenza intrinseca fra pensiero e linguaggio. Il linguaggio è il mezzo
che consente di congiungere il pensiero al bisogno di comunicarlo a qualcun altro”.
(Anolli, 2006). Non sempre è però possibile o si vuole esprimere con le parole quanto si
pensa o si sente la necessità di comunicare. Il linguaggio infatti non è considerato soltanto
un sistema verbale, costituito cioè da parole, ma anche un sistema vocale, “[…] ossia
l’insieme delle variazioni, del tono, dell’intensità e della velocità del parlato” (Anolli,
2006), dove è possibile inserire anche l’aspetto del silenzio inteso come “[…] modo
strategico di comunicare”. Non è da trascurare neppure l’aspetto cinesico del linguaggio:
esso comprende i movimenti del corpo, del viso e degli occhi. Il viso in questo senso
ricopre un ruolo fondamentale nella comunicazione non verbale in quanto si pone come
interfaccia fra il sé interiore e il mondo. Infine il sistema prossemico costituisce una
componente importante della comunicazione, in quanto considera l’organizzazione e
l’utilizzo dello spazio da parte dei soggetti coinvolti nell’atto linguistico.
Già Sant’Agostino nelle sue Confessioni, precisamente nel libro I, considerava
l’importanza dell’aspetto non verbale della comunicazione, nell’intento di spiegare
l’apprendimento del linguaggio. Scriveva infatti:
“[…]Perché a forza di gemiti e gorgheggi e gesti mi sforzavo di manifestare i miei stati
d'animo, in modo da farmi obbedire: ma non riuscivo a esprimere tutto quello che volevo,
e neppure ci riuscivo con chi volessi. Ma la memoria era come prensile: quando gli adulti
menzionavano qualche oggetto e in base a quel suono protendevano il corpo nella sua
direzione, io osservavo e tenevo a mente che così, con quel suono, che emettevano
quando volevano indicare l'oggetto, essi lo chiamavano. E che fosse questo ciò che
volevano si capiva chiaramente dal movimento del corpo come pure da quella sorta di
linguaggio naturale di tutti i popoli, fatto di espressioni del volto e cenni degli occhi e di
gesti delle altre membra e di toni di voce, sintomi questi dei diversi affetti che
accompagnano lo sforzo di acquisire qualcosa o il suo possesso, la ripulsa o la fuga. Così
a poco a poco, a furia di udire le stesse parole ricorrere in una certa posizione in diverse
frasi, capivo quali fossero le cose di cui quelle parole erano segni, e ormai vi avevo
addestrato abbastanza gli organi della bocca per riuscire a formulare i miei desideri col
loro aiuto. E così arrivai a comunicare con le persone circostanti mediante i segni che
danno espressione verbale alla volontà, ed entrai più profondamente nella tempestosa
comunità della vita umana, senza cessar di dipendere dall'autorità dei genitori e dal
minimo cenno degli adulti.”
La proposta di Sant’Agostino è dunque quella di considerare il linguaggio non verbale,
soprattutto l’intonazione e lo sguardo alla stregua di quello verbale, che si pone
comunque come un linguaggio “dei segni” che permette al bambino di comunicare le
proprie intenzioni i propri desideri. Solo attraverso il linguaggio verbale, però il bambino
potrà entrare a far parte della “tempestosa comunità della vita umana”.
Una particolare attenzione, nell’analisi del linguaggio va dunque riservata all’aspetto non
verbale della conversazione. Per questo motivo la trascrizione delle registrazioni è stata
effettuata tramite un programma informatico specifico che, attraverso un sistema
convenzionale di segni e simboli permette di scrivere anche gli aspetti della
conversazione legati al sistema vocale e cinesico del linguaggio, proprio al fine di avere
una visione globale della comunicazione dei bambini.
1.1 COMUNICAZIONE E RELAZIONE
“Un ineluttabile dualismo è insito nell’essenza originaria del linguaggio: la possibilità del
parlare stesso è condizionata dal rivolgersi ad un altro e dal ricevere da un altro risposta”
(Humboldt, 1989).
Questa citazione racchiude il concetto che vede la comunicazione come una sorta di gioco
delle relazioni in quanto essa si articola su due piani distinti, la comunicazione, intesa
come il contenuto dell’atto linguistico e la metacomunicazione cioè la cornice in cui
interpretare quanto viene detto. Spostandosi sul piano metacomunicativo, nell’analisi
della comunicazione, si considera la relazione che intercorre fra i soggetti che partecipano
all’atto linguistico.
La relazione che sussiste fra comunicazione e relazione si propone come circolare: gli
enunciati prodotti sottostanno a relazioni personali e la comunicazione diventa costitutiva
dell’identità personale e sociale, dato che ciascun individuo è inserito in una rete di
relazioni, basate sugli atti comunicativi.
Dunque,
“la conversazione è un rituale, molto più di quanto si pensi. Quando uno vi parla voi vi
trovate in un contesto relativamente determinato (cioè determinato rispetto a specifiche
variabili) e non siete liberi di dire quello che volete (il contesto condiziona). Siamo nati
individui, ma per soddisfare le nostre esigenze dobbiamo diventare persone sociali”
(Firth, 1957).
Nel caso dei dati raccolti questo aspetto è di notevole importanza: il parlante è un alunno,
mentre il ricevente è l’insegnante. Questa situazione sviluppa dinamiche particolari che
conducono ad esempio all’utilizzo da parte dei bambini di una lingua diversa da quella
materna per comunicare con l’insegnante in un contesto istituzionalizzato, anche se
colloquiale, nonostante incontrino qualche difficoltà. Lo scopo del passaggio dalla
comunicazione in una lingua ad un’altra è quello di incrementare l’efficacia della
comunicazione e la comprensione del messaggio: Leer codificò questo aspetto nella
cosiddetta massima del tatto, secondo la quale “non è solo importante dire all’altro quello
che si pensa, si vuole o si sente. Altrettanto importante è tener presente quello che l’altro
pensa, vuole o sente riguardo a quello che viene detto” (Dirven, Verspoor, 1998/1999).
È inoltre importante considerare il contesto nel quale si svolge la conversazione quale
elemento costitutivo della conversazione stessa. Esso infatti, “[…] va concepito come
l’insieme delle condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali,
istituzionali e culturali per qualsiasi atto comunicativo” (Anolli, 2006). In sostanza
dunque il contesto non è precostituito ed universale, è diverso per ciascun atto
comunicativo ed è la risultante delle scelte effettuate dai soggetti coinvolti nell’atto
linguistico, in relazione alle opzioni offerte dall’ambiente, che chiaramente non si limita
al setting fisico, ma si estende anche a quello psicologico e sociale.
Scorrendo le trascrizioni in maniera attenta è individuabile un certo grado di variazione
diastratica della lingua, cioè legata alla identità sociale dei parlanti (escluso il ricercatore)
e delle loro famiglie. Questa variazione è minima e l’individuazione delle differenze
rispetto a questo aspetto, nella comunicazione dei bambini è legata alla conoscenza del
loro contesto familiare; in particolare i bambini che risultano avere un lessico più ricco
sono figli di genitori che hanno un livello scolare maggiormente elevato.
Un esempio a questo proposito potrebbe essere quello di Mil: entrambe i suoi genitori
sono laureati ed il nonno, ormai piuttosto anziano, è stato per lungo tempo il maestro di
Capriana.
Nella trascrizione della sua registrazione, di cui vengono riportati di seguito due esempi,
si possono notare sia termini che nessun altro bambino ha utilizzato (addirittura), sia l’uso
del passato remoto, piuttosto raro nelle altre conversazioni.
*MIL: dopo +++ ha[/] gli ha dato da mangiare i suoi occhi le noci che facevano da occhi
e dopo pian piano gli ha dato a[/] addirittura la zucca che gli faceva da testa +++ e per
tanto che lo mangiava alla fine lo spaventapasseri nel posto dove era non c'era più […].
*MIL: dopo un po' fu l'ora della ++ carota che faceva da na::so e se la mangiò […].
Anche a livello psicologico la teoria della dipendenza fra lo sviluppo del linguaggio e
l’ambiente in cui il bambino nasce e trascorre i primi anni della propria vita, è supportata
dal fatto che
“[…]il neonato elabora con l’adulto di riferimento precisi e importanti processi
comunicativi preverbali che riguardano l’allattamento e le altre routine quotidiane.
Attraverso tali processi si raggiunge la costruzione e la condivisione di significati e
l’attribuzione di senso agli eventi da parte di entrambe i protagonisti. Nella trama
quotidiana […] sono attivati la sequenza temporale, le prime manifestazioni di referenza,
le forme semplici di predicazione, le inferenze delle intenzioni comunicative, nonché la
regolazione dei turni.” (Anolli, 2006)
È pertanto inevitabile considerare il contesto familiare e l’ambiente di provenienza dei
bambini nell’analizzare la padronanza lessicale da essi posseduta, non per supportare la
tesi ambientalista, che sostiene che l’acquisizione del linguaggio avviene passivamente in
base alle esperienze personali del bambino, ma piuttosto per sottolineare l’importanza
della fase prelinguistica nel conseguente sviluppo del linguaggio del bambino. Infatti “il
linguaggio degli adulti […]riempie di contenuti verbali i contesti interattivi familiari: […]
il bambino può conoscere le parole e riconoscerne il significato […]. (Di Blasio, 1995).
1.2 COMUNICAZIONE E RELAZIONE A SCUOLA
La struttura dell’interazione verbale in classe è particolare e diversa da qualsiasi altro tipo
di atto comunicativo. Anzitutto si può notare una certa ricercatezza nel linguaggio: nel
nostro caso alcuni bambini faticano a comunicare in italiano corretto perciò è evidente la
mancanza di spontaneità nelle interazioni verbali che avvengono normalmente in un
contesto informale, dove si utilizza la lingua materna, cioè il dialetto come canale
comunicativo (vedi es. 1).
(1)
*DAV: dopo l’uccellino si è riff[/] rifugito te la ++ te la giacca e::: ++++ e dopo ++ e::
XX
Nell’esempio citato, DAV applica al participio passato del verbo fuggire quello che viene
definito conguaglio analogico. Questo è un tipico errore commesso dai bambini o dagli
apprendenti l’italiano come L2, per cui si tende ad uniformare anche le eccezioni alle
regole.
Molto probabilmente infatti, il verbo in questione è stato allineato a fuggire, che al
participio passato flette in -ito, (fuggire-fuggito).
Una seconda peculiarità dell’interazione verbale in classe è la massiccia presenza di
domande, effettuate soprattutto dall’insegnante, che sono spesso funzionali alla “[…]
necessità pedagogica di appurare le conoscenze effettivamente acquisite dagli studenti”
(Ghezzi, Grassi, 2002). Nel caso delle registrazioni effettuate è possibile però attribuire
alle domande poste dall’insegnante anche un’altra funzione. Spesso nei dialoghi le
cosiddette “display questions”, cioè domande che l’insegnante pone agli alunni e delle
quali già conosce la risposta, si collocano in corrispondenza di pause più o meno lunghe,
permettono di riprendere il filo del racconto e stimolano il parlante a proseguire con la
narrazione (vedi es 2).
(2)
*ALI: lo spaventapasseri gli dà gli::[/] il naso
*RES: che cos’era questo naso il suo naso?
*ALI: XX carota
* RES: una carota. e l’uccellino?
*ALI: +++++ [si sentono voci in lontananza]
*RES: cosa fa l’uccellino con la carota?
*ALI: se la mangia
Negli scambi comunicativi che avvengono in aula, l’insegnante dunque assume la
funzione del “regista” (Orletti, 2000), porta avanti la conversazione, conferisce i turni di
parola. In questo caso specifico l’insegnante-ricercatore-regista ha svolto, con i propri
interventi una funzione più di supporto, di incoraggiamento.
È però opportuno precisare che la ricerca viene effettuata solamente sul parlato dei
bambini, nonostante la presenza degli interventi dell’insegnante ricercatore non sia da
considerarsi marginale, poiché essa è costante, con quantità variabile nelle
conversazioni, determina lo svolgimento degli atti linguistici e diversifica le tipologie
di relazione che si costituiscono sulla base dei dialoghi.
Nel grafico che segue sono stati inseriti i nomi degli alunni e il numero degli interventi
dell’insegnante durante la registrazione:
interventi researcher
60
40
20
0
mar dav lor ali mil aur emi edo
I primi sei bambini trascritti ed analizzati sono di classe seconda, mentre gli ultimi due
frequentano la classe quinta. Dal grafico emerge che la quantità degli interventi del
ricercatore, che nel nostro caso è anche l’insegnante, non dipende dall’età degli alunni o
dal grado di scolarizzazione, anche se ai due estremi si collocano un alunno di quinta, che
necessita poco dell’intervento del ricercatore per portare a termine il racconto, e dall’altra
parte una alunna di seconda che ha bisogno di continui stimoli.
Spesso nella scuola, soprattutto in quella Secondaria di Primo e Secondo Grado, “[…]
prevale un parlato di tipo transazionale, funzionale alla trasmissione delle informazioni, a
scapito di un parlato di tipo interazionale, che privilegia l’ascoltatore e ha invece un
chiaro scopo sociale” (Dal Negro, Molinelli, 2002). Diverso è invece il discorso nella
scuola Primaria, dove la funzione dell’Istituzione Scolastica non è solo quella di
effettuare un passaggio di contenuti e di informazioni, ma anche di promuovere il pieno
sviluppo della persona, la capacità di operare delle scelte autonome, la capacità di
giudizio costruttivo, di imparare ad imparare, di valorizzare l’unicità della persona per sé
e per gli altri, di gestire le proprie emozioni, di sviluppare senso di responsabilità, di
creare condizioni di comunicazione e di riflessione. Per creare le condizioni adeguate a
costruire una comunicazione proficua sotto ogni punto di vista l’insegnante-regista
utilizza, più o meno intenzionalmente un canale comunicativo, chiamato teacher talk
che, per definizione è una “varietà di lingua qualche volta utilizzata dai docenti durante il
processo dell’insegnamento. Nel tentativo di comunicare con i discenti, gli insegnanti
spesso semplificano il loro discorso, dando ad esso molti stili semplificati indirizzati
all’apprendente”(traduzione mia dal Longman Dictionary of language teaching and
Applied Linguistics). Nonostante questa definizione sia specificatamente legata alle
modalità di comunicazione insegnante-alunno in classi di L2, è possibile adattarla anche
alla quotidianità della didattica di italiano nel caso di classi con alunni ed insegnanti
italofoni. In entrambe i casi infatti il docente utilizza un linguaggio adeguato
all’interlocutore che ha di fronte per favorire la comunicazione. Il teacher talk, può
essere considerato un registro, con le sue caratteristiche specifiche, formali e linguistiche.
Rappresenta pertanto una varietà diafasica dell’italiano.
Come ultima considerazione in merito agli interventi dell’insegnante durante le
conversazioni registrate e trascritte, è interessante osservare come il ricercatore accolga
all’inizio e saluti alla fine i bambini, senza partire direttamente con la conversazione o
chiudere il dialogo con la fine del racconto.(vedi ess. 3, 4)
(3)
*RES: grazie. Tutto bene?
*AUR: sì
*RES: ok. Stavate cantando?
*AUR: e:: sì stavamo cantando.
(4)
*EMI: vola
*RES: dove?
*EMI: via
*RES: via. Grazie emi sei stato gentilissimo.
È stata ribadita più volte l’importanza del contesto all’interno del quale si svolge uno
scambio comunicativo, ed è stato anche sottolineato come siano gli attori a costituire il
contesto, ma forse è opportuno precisare come i contesti siano anche “creati con le
parole” (Heritage, 1984). L’accoglienza assume dunque un’importanza notevole per la
successiva gestione dell’intero dialogo, crea il clima, annuncia il registro attraverso il
quale avverrà la comunicazione, distribuisce i ruoli.
1.3 IL PANORAMA LINGUISTICO
“La conversazione è un rituale, molto più di quanto si pensi. Quando uno vi parla voi
vi trovate in un contesto relativamente determinato (cioè determinato rispetto a
specifiche variabili) e non siete liberi di dire quello che volete (il contesto
condiziona). Siamo nati individui, ma per soddisfare le nostre esigenze dobbiamo
diventare persone sociali” (Firth, 1957). Con queste parole il linguista Firth
riconosceva
l’importanza
del
contesto
di
situazione
ricalcando
le
orme
dell’antropologo Malinowsky che fu il primo a parlare esplicitamente di contesto di
situazione appunto. Risulta pertanto indispensabile fornire una panoramica del
contesto socioculturale all’interno del quale i bambini coinvolti nella nostra ricerca
sono inseriti: è necessario calarsi nei panni dell’etnografo per cercare di
contestualizzare l’utilizzo della lingua, dato che in ogni caso il contesto, in ogni sua
prospettiva, condiziona. Come riferisce De Mauro, nella “Storia linguistica dell’Italia
unita”, nel 1861 nella neonata Italia vi era una bassissima percentuale (circa 1%) di
persone che parlava e scriveva in italiano, mentre il resto della popolazione si
esprimeva nel proprio dialetto regionale. Quindi esistevano due sistemi linguistici
diversi, il cui uso era ben differenziato in domini alti (italiano) e in domini bassi
(dialetto). Nel corso di 150 anni di storia l’aspetto del nostro Paese da un punto di
vista linguistico si è modificato: le due guerre hanno favorito uno spostamento della
popolazione da una regione all’altra, soprattutto da Sud verso Nord, ma anche da Est
verso Ovest, così come lo sviluppo economico ha mosso i contadini verso l’ambiente
della città e così le lingue si sono mescolate e l’uso della lingua italiana è “sceso”
anche ai contesti bassi, mescolandosi al dialetto. Il paesaggio linguistico italiano è
perciò estremamente vario non solo per la presenza dei dialetti regionali, ma anche di
quelle che vengono definite “alloglossie” cioè lingue diverse dall’italiano e dai suoi
dialetti che sono per lo più presenti nella zona alpina, ma anche nel Sud Italia.
L’italiano e il dialetto sono caratterizzati da due diverse grammatiche che fanno di essi
due lingue diverse o per meglio dire due sistemi linguistici diversi; basti pensare ad
esempio nel dialetto ai casi del soggetto espletivo (es 3) e della negazione
contemporaneamente pre- e postverbale.
(3)
El piove – piove - (dialetto trentino)
(4)
No l’è miga lontan (sempre dialetto trentino).
Un’altra sostanziale differenza che sussiste fra italiano e dialetto consiste nel fatto che
il primo è appreso spontaneamente, mentre il secondo necessita di contesti formali per
l’insegnamento e l’apprendimento. Per i bambini in questa ricerca, come per molti
bambini in Italia il dialetto può essere considerato la lingua madre, cioè quella che si
apprende attraverso la relazione con i genitori, i familiari. Al giorno d’oggi i bambini
dialettofoni entrano presto in contatto con la lingua italiana anche grazie ai mezzi di
comunicazione di massa quali la radio e la televisione. Si può affermare con una certa
sicurezza che i bambini che entrano alla Scuola dell’Infanzia e che hanno in media tre
anni di età, conoscono l’italiano che viene quindi appreso non solo in contesti formali.
1.4 CAPRIANA: IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
Capriana è un paese appartenente al Comprensorio C1, provincia di Trento, nella
regione Trentino Alto Adige: è oggi uno dei più piccoli Comuni della Valle di
Fiemme. Conta circa 607 abitanti e si trova all'estremità sud-occidentale della Val di
Fiemme ai confini con la Valle di Cembra.
Il comune è composto da numerose frazioni più o meno vicine al centro.
La posizione del paese di Capriana è piuttosto isolata: dista circa 17 km dal centro di
Cavalese, e una quarantina di km da Trento, ma non si trova sulla strada principale.
L’accesso all’abitato e alle sue frazioni (che si trovano nella parte alta del paese) è
consentito attraverso un’unica strada. La situazione di “isolamento”, nella quale si
trovano gli abitanti del paese, ha favorito il sorgere di numerose associazioni culturali che
organizzano feste ed attività destinate a tutta la popolazione. Questo aspetto della realtà di
paese, ha favorito la nascita di un piccola, ma autosufficiente comunità culturale, sociale
ed economica. Da un punto di vista strettamente linguistico questo aspetto ha favorito la
conservazione del dialetto, che diventa la lingua di comunicazione quotidiana ed
elemento di coesione della comunità.
Ripercorrendo le tappe principali della storia di questo piccolo comune si nota, come per
molto tempo, anche in epoche diverse, esso sia stato “penetrato” dalla cultura tedesca:
infatti già nel X- XII secolo si insediarono nella zona i cosiddetti “roncadores” , gente di
origine germanica, che si occupava del dissodamento e della messa in coltura del terreno,
in modo da renderlo coltivabile e redditizio.
Durante l’era fascista Benito Mussolini, ordinò l’unione del comune di Capriana con il
limitrofo comune di Anterivo: paesi diversi, l’uno italiano, l’altro tedesco. L’unione non
durò molto, e con la fine della guerra nel 1946, i due comuni tornarono alla loro primitiva
identità. In effetti ancora oggi vi sono delle persone, soprattutto anziane, che conoscono
profondamente la cultura germanica e che utilizzano la lingua tedesca come principale
mezzo di comunicazione.
Gli abitanti di Capriana sono stati sin dall’inizio agricoltori e proprietari terrieri di pascoli
e boschi. Nella frazione di Carbonare, era inoltre fiorente la produzione di carbone (ecco
la derivazione del nome della frazione) attraverso l’utilizzo della legna di rovere.
Attualmente tutti questi lavori sono pressoché scomparsi ed hanno lasciato il posto ad una
discreta presenza di attività che ruotano attorno al turismo in relazione alla vicinanza del
paese con la Valle di Fiemme. L’evoluzione demografica dell’ultimo secolo non fornisce
particolari informazioni, dato che dopo il 1921, anno in cui i censiti erano 996, si registra
un graduale calo che ha portato la popolazione a stabilirsi, a partire dal 1981 sui 560
abitanti, con una graduale ripresa negli ultimi 20 anni che ha portato a 600 il numero dei
residenti. La presenza di Cittadini di origine straniera è piuttosto bassa in relazione al
fatto che non esistono a Capriana particolari sbocchi lavorativi: e come si evince dai dati
relativi all’andamento demografico, l’immigrazione non ha inciso in maniera significativa
sull’equilibrio della comunità. I dati forniti dall’ufficio anagrafe del Comune parlano di
46 residenti provenienti da diversi Paesi: 5 rumeni, un ucraino, un russo, un bosniaco una
cittadina statunitense e 37 macedoni che costituiscono il numero maggiore di Cittadini
stranieri residenti nel comune. Questa presenza così elevata rispetto alle altra nazionalità
e probabilmente legata alla vicinanza fra l’Italia del Nord e il loro Paese d’origine. Il
numero dei cittadini macedoni è equamente diviso fra maschi e femmine. Anche se non
abbiamo a che fare con grandi numeri, possiamo dire che a Capriana esiste una “pluralità
di lingue e culture” (Berretta, 1994). Le famiglie di immigrati presenti sono dunque poche
e comunque molto ben inserite nel paese. I bambini che frequentano la Scuola Primaria e
la scuola dell’infanzia appartengono tutti a quelle che vengono definite “seconde
generazioni”, sono cioè nati in Italia da famiglie immigrate.
Dal punto di vista sociolinguistico, il repertorio linguistico di questa comunità si
concretizza nella lingua nazionale termine con il quale si definisce “ […]sistema
linguistico adoperato da una comunità nel suo insieme” (Berrutto, Berretta, 1988) e nel
dialetto, sistema linguistico utilizzato da una parte di questa comunità.
La situazione del rapporto fra italiano e dialetto in Italia attualmente potrebbe essere
quella che Berruto definisce di dilalìa, condizione per la quale i due sistemi linguistici
presenti in un determinato repertorio si permeano ed in una conversazione è possibile la
coesistenza di italiano e dialetto (fig. B). Non solo, ma l’ambito di utilizzo dell’italiano si
estende anche ai contesti maggiormente colloquiali, lasciando sempre minor spazio al
dialetto. Questa condizione risulta essere l’evoluzione della situazione di diglossia per la
quale nello stesso repertorio, convivono due sistemi linguistici ben differenziati, uno
utilizzato nei contesti formali, quali ad esempio gli usi amministrativi e nell’educazione
scolastica, l’altro maggiormente informale (il dialetto) utilizzato nelle situazioni
colloquiali. Ogni sistema linguistico viene dunque impiegato in ambiti precisi e la
sovrapposizione non è ammessa (fig. A).
Questo cambiamento è frutto del mescolamento della popolazione che durante i 150 anni
di esistenza dello Stato Italiano si è spostata, modificando il proprio repertorio linguistico
sia a livello individuale sia di comunità.
Volendo rappresentare le due situazioni potremmo utilizzare questi semplici grafici in cui
la parte grigia rappresenta il dialetto, mentre la parte bianca rappresenta l’italiano.
a
m
b
i
t
i
a
m
b
i
t
i
comunità
comunità
Fig. A
Fig. B
Se questi due schemi possono essere rappresentativi della situazione a livello generale in
Italia, per la comunità linguistica di Capriana è opportuna un’ulteriore specifica analisi.
Per quanto riguarda la situazione sociolinguistica di questo piccolo paese, è opportuno
approfondire gli ambiti d’utilizzo della lingua italiana e del dialetto. Possiamo affermare
che nella in questa realtà esistono due lingue, italiano e dialetto della Valle di Fiemme,
che coesistono e che, secondo la definizione di diglossia vengono utilizzati in ambiti
diversi: il dialetto in contesti colloquiali, mentre l’italiano in quelli maggiormente
formali.
Nello schema presentato di seguito possiamo notare come il dialetto sia in realtà la lingua
predominante, l’unica nei contesti colloquiali. L’italiano viene invece utilizzato a scuola,
tra insegnanti ed alunni, ma anche fra colleghi, dato che gli insegnanti in servizio presso
la scuola, provengono da diverse regioni italiane, ciascuna con il proprio dialetto e quindi
la lingua italiana diventa elemento uniformante. L’altro contesto formale contemplato
nella tabella corrisponde agli uffici comunali. Va precisato che l’utenza dei servizi erogati
dal comune è principalmente costituita dagli abitanti di Capriana e gli stessi impiegati
sono residenti nel paese. È naturale pertanto che le conversazioni negli uffici avvenga in
dialetto.
LINGUA
CONTESTO
UTILIZZATA
in famiglia
dialetto
a scuola
italiano
fra colleghi
italiano
fra bambini
dialetto
in negozio
dialetto
per strada
dialetto
negli uffici comunali
dialetto
La comunità linguistica di Capriana può essere considerata inoltre come una comunità
plurilingue. Ripercorrendo la sua storia si noterà che più volte gli abitanti di questo
piccolo paese sono venuti in contatto con la lingua e la cultura tedesca e tuttora ne
risentono l’influsso. Potremmo allora parlare di alloglossia tradizionale, intesa come la
presenza nella comunità di minoranze linguistiche storico-territoriali, dato che a tutt’oggi
alcune persone, specialmente anziane e per lo più residenti nelle frazioni limitrofe al
comune di Anterivo, utilizzano un dialetto tedesco per comunicare fra di loro
quotidianamente. L’utilizzo di questa lingua è circoscritto all’ambito familiare e limitato
al territorio ai confini con la Provincia di Bolzano.
La presenza seppur ridotta di persone di origine straniera ha permesso anche la creazione
di una situazione di “nuova alloglossia”: queste nuove minoranze linguistiche si sono
diffuse nel nostro Paese quale conseguenza dell’immigrazione e nel caso specifico si
tratta sostanzialmente del macedone.
È interessante sottolineare che gli immigrati a Capriana, come nelle altre comunità
prevalentemente dialettofone, si trovano in una situazione di “duplice estraniamento”
(Berrutto, Berretta, 1988) in quanto, se da un lato devono imparare l’italiano per poter
espletare le questioni burocratiche ed accedere all’utilizzo scritto della lingua, dall’altro è
necessario per loro imparare contemporaneamente il dialetto per potersi integrare nella
vita quotidiana di una comunità prevalentemente dialettofona.
Recuperando i precedenti schemi e adattandoli alla comunità linguistica di Capriana, si
noterà come la situazione sia in un certo senso capovolta rispetto a quella nazionale,
infatti non solo siamo in presenza di diglossia, per cui italiano e dialetto sono impiegati in
ambiti diversi, l’uno formale e l’altro colloquiale, ma si inverte anche la posizione del
dialetto rispetto all’italiano. Infatti se, a livello nazionale l’utilizzo del dialetto è
circoscritto agli ambiti colloquiali, viceversa in comunità come quella di Capriana gli
ambiti di utilizzo dell’italiano sono minimi.
Immaginando una panoramica su uno spaccato di vita quotidiana, emerge una realtà quasi
totalmente dialettofona: sia nelle attività informali, quali fare la spesa, dialogare per
strada, sia in quelle maggiormente formali quali ad esempio richiedere e fornire
informazioni negli uffici comunali o alla posta. Riferendosi a questo ultimo punto è
possibile riallacciarsi alla funzione di orientamento cognitivo attribuita all’atteggiamento
linguistico da Katz (1960). Secondo questa teoria “Gli atteggiamenti linguistici
presuppongono sempre una certa componente cognitiva, in qualche modo legata
all’accesso alla cultura, alla conoscenza ed alla comprensione della realtà che ci
circonda.” (Dal Negro, Guerini, 2007). Infatti se gli utenti di un ufficio amministrativo
sono dialettofoni, le informazioni fornite nel sistema linguistico da loro parlato, sono
maggiormente comprese. Inoltre gli impiegati degli uffici comunali e della posta sono
residenti a Capriana, dove sono nati e cresciuti.
È opportuno a questo punto aprire una piccola finestra sulle stagioni estiva ed invernale
durante le quali il paese si popola di turisti provenienti da diverse regioni d’Italia. Gli
ambiti di utilizzo dell’italiano in paese si ampliano, grazie alla necessità di uniformare il
codice linguistico attraverso il quale parlanti provenienti da regioni italiane diverse,
possono comunicare anche nella quotidianità. Come sappiamo in Italia, oltre ai dialetti,
sono particolarmente diffusi i cosiddetti italiani regionali, che si differenziano
dall’italiano medio sia dal punto di vista fonetico, sia da quello lessicale. Questa
temporanea situazione modifica la collocazione specifica degli atti linguistici e ribadisce
l’importanza del contesto. In questo caso la socializzazione consiste nell’uniformazione
del sistema linguistico che richiede uno sforzo da parte di ciascuno dei parlanti.
Ecco che allora in negozio, per strada, così come in luoghi maggiormente formali quali
l’ufficio postale o quello comunale, si cerca di utilizzare l’italiano piuttosto che il dialetto.
L’analisi della situazione sociolinguistica a questo punto deve dunque percorrere un altro
sentiero, addentrandosi nella dimensione diatopica della lingua, che “riguarda l’origine
spaziale, la distribuzione geografica e l’area di appartenenza dei parlanti” (Bazzanella,
2009).
2. ANALISI DEI DATI
2.1 LA RACCOLTA DEI DATI
Il filosofo austriaco Wittgenstein, scriveva negli anni Quaranta:
“il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di
strade e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi
diversi; e tutto circondato da sobborghi con strade diritte e regolari e case uniformi”.
Per poter esplorare questa “vecchia città”, entrare nei suoi vicoli, scoprire la struttura
delle case vecchie e nuove, è indispensabile partire dall’analisi dei “parlati”, in questo
caso dai parlati di un gruppo di bambini, dalla spontaneità del loro linguaggio, anche se,
in questa sede è vincolata ad un argomento proposto dall’insegnante.
La metodologia utilizzata per raccogliere i dati si concretizza nelle registrazioni delle voci
dei bambini e nella trascrizione dei file audio.
Gli alunni registrati e trascritti frequentano la classe seconda e la classe quinta della
Scuola Primaria di Capriana, piccolo paese al confine fra la Valle di Cembra e la Valle di
Fiemme, in provincia di Trento. È opportuno sottolineare che le conversazioni hanno
avuto lo stesso setting, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista psicologico. La
ricercatrice è la stessa persona ed è per tutti i soggetti registrati già nota, in particolare
un’insegnante, nel caso dei bambini di seconda, la maestra di italiano, per i ragazzi più
grandi, la docente di matematica. Le conversazioni si sono tenute in una piccola aula
della scuola che funge da sala audiovisivi, dunque in un contesto pressoché quotidiano.
Gli attori coinvolti sono sempre stati solo due: il ricercatore-insegnante e l’alunno, a porte
chiuse. Casualmente anche l’ora delle registrazioni è più o meno la stessa per tutti, cioè
immediatamente successiva alla ricreazione mattutina.
È senza dubbio importante considerare il contesto all’interno del quale avviene la
conversazione, che non si limita al setting fisico, ma si estende anche a quello culturale e
psicologico. “In linea di massima il contesto, va concepito come l’insieme delle
condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e
culturali per qualsiasi atto comunicativo” (Anolli, 2006). In sostanza dunque il contesto
non è precostituito ed universale, è diverso per ciascun atto comunicativo ed è la
risultante delle scelte effettuate dai soggetti coinvolti nell’atto linguistico, in relazione
alle opzioni offerte dall’ambiente. Il contesto inoltre influenza l’evolversi della
conversazione stessa: l’emittente e il ricevente condividono un mondo e una cultura che si
concretizzano nell’utilizzo di un lessico appropriato e nel nostro caso specifico, anche di
un codice preciso. Più approfonditamente, il registro utilizzato negli atti comunicativi
che vedono protagonisti gli alunni e l’insegnante-ricercatore, rappresenta una varietà
diafasica, che dipende dal ruolo assunto dal parlante e dal ricevente. L’italiano utilizzato è
dunque almeno nelle intenzioni quello standard, visto che ci troviamo a scuola, in una
varietà non molto formule dal momento che gli interlocutori si conoscono. Per quanto
riguarda invece l’aspetto del sottocodice, intesto come varietà della lingua dipendente dal
topic della conversazione, non è individuabile alcun tipo di linguaggio specifico, se non
l’uso da parte dei bambini di lemmi pertinenti alla storia quali ad esempio “mangiare” e
“spaventapasseri”.
A questo proposito è rilevabile una certa adeguatezza da parte dei bambini, non tanto
identificabile come la capacità di utilizzare un sottocodice ed un registro adeguati alla
situazione, quanto piuttosto, legata alla padronanza d’uso della lingua italiana in bambini
prevalentemente dialettofoni.
In alcune conversazioni sono comunque rilevabili alcuni elementi dialettali, anche se
italianizzati: ciò dimostra la volontà del parlante di adeguarsi al registro e al codice del
ricevente per incrementare l’efficacia della propria comunicazione e la comprensione del
messaggio (vedi es. 1).
(1)
*DAV: dopo è:: ha detto ‘l spaventapasseri che si poteva rifugiare te la sua giacca che era
un vecchio:: +++ vestito da ballo.
L’articolo determinativo italiano “il” è reso in dialetto attraverso la forma ‘l peraltro
presente nel sistema dell’italiano, ma inadeguata qui, così come la preposizione articolata
“nella” si esprime attraverso la forma te la.
I soggetti coinvolti nella comunicazione e di conseguenza nella relazione che da essa
scaturisce, sono sei alunni di classe seconda, tre maschi e tre femmine e due ragazzi di
sesso maschile frequentanti la classe quinta. La scelta delle classi non è casuale, ma è il
nodo centrale della ricerca: il focus è infatti quello di individuare analogie e differenze
sul lessico, in particolare sul sistema verbale in alunni di età scolare e dunque anche
anagrafica diversa, in particolare all’inizio e alla fine del percorso della Scuola Primaria.
Il contesto socioculturale nel quale questi bambini vivono e frequentano la scuola è
uguale per tutti: risiedono infatti tutti nel comune di Capriana, alcuni di loro nel paese,
altri nelle frazioni limitrofe che distano poco dall’abitato principale.
Nonostante i bambini facciano parte della stessa comunità linguistica e culturale,
scorrendo le trascrizioni in maniera attenta, è individuabile una certa variazione
diastratica, cioè legata all’identità sociale dei parlanti e delle loro famiglie. Questa
variazione è minima e l’individuazione delle differenze rispetto a questo aspetto, nella
comunicazione dei bambini è legata alla conoscenza del loro contesto familiare. I due casi
in cui si nota una maggiore ricchezza di varietà sono due bambini figli di insegnanti, che
hanno un livello culturale maggiore rispetto al resto dei genitori che sono per la maggior
parte impiegati nel settore terziario o in attività legate al turismo.
Anche a livello psicologico la teoria della dipendenza fra lo sviluppo del linguaggio e
l’ambiente in cui il bambino nasce e trascorre i primi anni della propria vita, è supportata
dal fatto che
“[…]il neonato elabora con l’adulto di riferimento precisi e importanti processi
comunicativi preverbali che riguardano l’allattamento e le altre routine quotidiane.
Attraverso tali processi si raggiunge la costruzione e la condivisione di significati e
l’attribuzione di senso agli eventi da parte di entrambe i protagonisti. Nella trama
quotidiana […] sono attivati la sequenza temporale, le prime manifestazioni di referenza,
le forme semplici di predicazione, le inferenze delle intenzioni comunicative, nonché la
regolazione dei turni.” (Anolli, 2006)
È pertanto inevitabile considerare il contesto familiare e l’ambiente di provenienza dei
bambini nell’analizzare la padronanza lessicale da essi posseduta, non per supportare la
tesi ambientalista, che sostiene che l’acquisizione del linguaggio avviene passivamente in
base alle esperienze personali del bambino, ma piuttosto per sottolineare l’importanza
della fase prelinguistica nel conseguente sviluppo del linguaggio del bambino. Infatti “il
linguaggio degli adulti […]riempie di contenuti il verbali i contesti interattivi familiari:
[…] il bambino può conoscere le parole e riconoscerne il significato […]. (Di Blasio,
1995).
Concretamente, ai fini di ottenere dati che possano essere quanto più genuini possibili, è
stato chiesto a ciascun bambino individualmente di rielaborare a livello orale una piccola
storia letta in aula all’intera classe da parte dell’insegnante-ricercatore, che ha raccolto i
dati attraverso un registratore audio.
La storia dalla quale parte la ricerca, è intitolata “lo spaventapasseri” ed è tratta ed
adattata dall’omonima novella di Bruno Ferrero, inserita nella raccolta “cerchi
nell’acqua”, edita da ElleDici. La scelta non è stata casuale. L’idea era quella di
individuare un racconto che fosse breve, in modo che per i bambini fosse semplice da
rielaborare e che nello stesso tempo potesse attirare la loro attenzione, individuando
personaggi e contesti vicini al loro vissuto. In un primo momento, proprio per dare
fondamento all’aspetto del coinvolgimento emotivo, si era pensato di utilizzare una fiaba
o una leggenda legata al territorio Trentino, ma i possibili testi vagliati uscivano dai
canoni che aderivano all’ideale pensato per il progetto. Le leggende sono infatti piuttosto
lunghe e talvolta il linguaggio utilizzato per la narrazione è alquanto difficile ed
articolato. A questo proposito anche per la favola scelta si è pensato di apportare delle
modifiche alla versione originale di Ferrero, proprio per facilitare la comprensione del
testo e quindi la sua conseguente memorizzazione. Dopo un’accurata lettura del testo
originale, si è pensato di cambiare il termine “cardellino”, considerato specifico, con il
più generico “uccellino”, maggiormente padroneggiato dai bambini. Considerevole
importanza è stata data inoltre all’utilizzo dei tempi verbali nel racconto, considerato il
fatto che uno dei punti dai quali partirà una delle riflessioni scaturite della ricerca, è
proprio l’utilizzo del sistema verbale da parte dei bambini: dopo la rielaborazione il
tempo di narrazione è dall’inizio alla fine il passato, realizzato attraverso le forme del
passato remoto e dell’imperfetto, mentre per quanto riguarda i dialoghi che intercorrono
fra i personaggi all’interno della storia, i verbi sono utilizzati al presente indicativo.
Il luogo in cui è ambientato il racconto è dunque quello agreste, che è ben conosciuto dai
bambini in quanto nell’abitato in cui risiedono fiorisce l’attività contadina che spesso
diventa un punto d’incontro generazionale fra nonni e nipoti.
Come ultimo aspetto riguardante la scelta della storia, è opportuno citare anche l’aspetto
pedagogico del testo concretizzato nella morale, che per altro è stata colta da tutti i
bambini ascoltati. L’attività di raccolta dei dati non rimane pertanto fine a se stessa, ma
può essere considerata il punto di partenza per un’attività che potrebbe essere inserita in
quella che nei Piani di Studio Provinciali di Trento viene definita “Cittadinanza Attiva”,
che identifica la scuola in una comunità educativa che guida il bambino alla costruzione
del sé, alla conoscenza e al rapporto con l’altro nel rispetto di valori positivi che stanno
alla base del vive insieme.
2.2 LE TRASCRIZIONI
Il linguaggio dunque come una città, con le sue strade, le sue case, i suoi edifici, tutti
diversi e tutti da esplorare. Molti in passato si sono fatti esploratori di questa città: si sono
occupati di linguaggio, del suo sviluppo e dello sviluppo del pensiero del singolo
individuo in relazione al linguaggio.
Si apre dunque un’importante questione sulla possibilità di raccogliere dati sul linguaggio
che possano tenere in considerazione anche questi aspetti della comunicazione, che
rimangono di fondamentale importanza.
Una delle tecniche utilizzate prima degli anni Cinquanta, fra l’altro sulla scia dei lavori
scientifici di Charles Darwin, è stata quella del diario. Darwin infatti registrò
quotidianamente appunti precisi sullo sviluppo del proprio figlio, dimostrando come
attraverso questi diari fosse possibile in un secondo momento costruire delle biografie che
documentino lo sviluppo umano. I limiti di questa tecnica, però appaiono evidenti: anche
il più abile e veloce trascrittore, difficilmente riesce a stare al passo con lo scorrere veloce
delle attività quotidiane, e se si concentra sull’intento di cogliere ogni cosa che avviene,
facilmente trascura dettagli che ai fini della ricerca possono risultare importanti.
Nel 1950 compaiono i primi registratori audio e successivamente quelli audio-video.
L’innovazione portata dalle nuove tecnologie è senza dubbio funzionale: è possibile
registrare in tempo reale quanto accade, non solo catturando le parole, ma anche
l’intonazione, i silenzi e quindi il sistema vocale, e nel caso delle registrazioni video
anche tutto quel che riguarda i sistemi cinesico e prossemico.
In poco tempo le nuove tecnologie permettono di raccogliere enormi quantità di dati che
però non sono da tutti condivisibili in quanto privi di regole comuni che possano rendere
accessibili i corpora dei dati raccolti. Era necessario dunque individuare un sistema di
codifica dei dati che fosse in qualche modo comprensibile a tutti e continuamente
aggiornabile, seguendo regole comuni. Così nel 1981 nasce l’idea del CHILDES (Child
Language Data Exchange System) Project: un corpus di trascrizioni digitalizzate e
raccolte in file di testo. Le trascrizioni in file inserite nel progetto hanno tutte la stessa
configurazione e le stesse regole. I pilastri sui quali si regge il progetto sono
sostanzialmente tre: il formato di trascrizione denominato CHAT, il secondo è il
programma di analisi CLAN e la terza colonna portante è il database2.
Anche nel nostro caso, la metodologia utilizzata per trascrivere i file audio dei bambini
registrati è l’utilizzo del formato di trascrizione CHAT disponibile on line e scaricabile in
versione gratuita. Questo formato permette al ricercatore di dare un assetto scientifico e
omogeneo alle proprie trascrizioni e nello stesso tempo permette ai dati così trascritti, di
entrare in una rete e di essere accessibili. Il formato di trascrizione utilizzato si attiene a
regole ben precise e universalmente condivise dagli esperti del settore o da chi si occupa
anche brevemente, come nel nostro caso di trascrizioni di file audio contenenti dati di
parlato.
Uno dei vantaggi maggiori dell’utilizzo di questa metodologia è senza dubbio quello di
poter trascrivere oltre alle parole, anche il linguaggio non verbale, attraverso l’utilizzo di
una serie di simboli convenzionali (vedi ess 2, 3)
(2)
*LOR: sì poi un altro giorno +++ dice lo spaventapasseri [!]mangia la mia carota[!] che è
++ piena di vitamine
(3)
*MIL: e sullo spaventapasseri che era molto genti::le:: ++ e dopo lo spaventapasseri gli
ha detto +++ [!]chi sei?[!] e lui gli ha risposto che era un uccellino che cercava da
mangiare e che non aveva un posticino e lo spaventapasseri gli ha detto di andare dentro
la sua ++ cravatta a dormire [sussurra].
In entrambe gli esempi citati sono evidenziate alcune delle principali convenzioni di
trascrizione inserite nel formato CHAT: i punti esclamativi inseriti fra le parentesi quadre
indicano un innalzamento del tono della voce, ad indicare l’enfasi che si percepisce nel
2
I programmi citati sono scaricabili gratuitamente alla pagina web www.childes.psy.cmu.edu.
parlato. I due punti successivi alle vocali all’interno o alla fine di una parola indicano un
trascinamento del suono precedente, in cui il parlante dimostra una certa incertezza. I
segni + invece stanno al posto delle pause, indicativamente ogni segno corrisponde ad
un secondo di silenzio. Infine è possibile introdurre dei commenti o delle
puntualizzazioni inserendo quanto si vuole riferire fra parentesi quadre, è il caso di
sussurra alla fine del secondo esempio.
Un altro aspetto uniformante di questo tipo di codifica è l’introduzione di ogni
trascrizione che contiene, in codice le informazioni generali sulla registrazione effettuata,
che corrisponde al file audio. (vedi es 4).
(4)
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch)AUR
@Date: November, 2010
@Location: Trento
@Duration: 02:52
@Filename: Aur.19.chat
@Audio
@Transcriber: Cristiana Telch
@First revision
Il caso dell’esempio citato apre tutti i files di trascrizione e contiene per ciascuno di essi
tutte le informazioni indicate. Questo incipit permette ai possibili fruitori dei dati di
conoscere la lingua in cui si svolge la comunicazione, i partecipanti e il luogo. Questa
ultima informazione è particolarmente importante nell’ottica della condivisione dei
materiali, nel momento in cui si intende analizzare alcune varietà della lingua, quelle ad
esempio legate allo studio dei dialetti regionali. Le altre informazioni contenute
nell’introduzione alla trascrizione riguardano aspetti maggiormente tecnici: ad esempio la
rintracciabilità del file originale dal quale è tratta la trascrizione, la sua durata e il nome
del ricercatore. I partecipanti sono caratterizzati da una sigla che viene poi recuperata dal
programma in fase di trascrizione e che serve ad identificare in modo sicuro e automatico
il parlato dei singoli partecipanti.
Alla luce dell’esperienza fatta utilizzando questo tipo di metodologia è opportuno ribadire
l’importanza della qualità della trascrizione. La richiesta in termini di tempo, legata alla
trascrizione è piuttosto elevata, ma effettuare il lavoro con precisione è di indubbia utilità
ai fini dell’elaborazione dei dati, sia quantitativi sia qualitativi.
2.3 IL CORPUS
Le trascrizioni dei file audio vanno a costituire un piccolissimo corpus di italiano parlato
che conta in totale 2279 parole diverse: 1383 risultano essere la somma dei tokens degli
otto bambini registrati, mentre 896 sono le parole dell’insegnante-ricercatore. L’obiettivo
del nostro lavoro di ricerca è quello di studiare la ricchezza lessicale e in particolare del
sistema verbale dei bambini: il punto di partenza è costituito dalle trascrizioni del loro
parlato: è dunque necessario effettuare i calcoli sui dati trascritti omettendo gli interventi
del ricercatore, che non sono però da considerarsi un aspetto marginale, poiché la
quantità variabile degli stessi determina lo svolgimento della conversazione e diversifica
le diverse tipologie di relazione che si costituiscono sulla base dei differenti atti
linguistici.
Partendo da un’analisi a livello generale è interessante osservare la quantità di parole
utilizzate da ciascun bambino registrato. Per analizzare i dati raccolti nelle trascrizioni è
stato utilizzato il programma CHAT, che coerentemente con la definizione di parola,
fornisce la quantità di espressioni trascritte, per ciascuno dei file (vedi tab. A).
Tabella A: CONTEGGIO PAROLE
Mar.14
II
Dav.1
Lor.1
Ali.1
Mil.1
Aur.1
Emi.2
Edo.2
5
6
7
8
9
0
1
II
II
II
II
II
V
V
113
92
107
118
110
79
60
Ric.
Numero
totale di 87
896
parole
La tabella A ci presenta una visione d’insieme della quantità di tutte le parole prodotte da
ognuno dei bambini e dalla ricercatrice. Limitandoci al conteggio generale, potremmo
valutare il grado di sviluppo lessicale giudicandolo in base al numero delle parole dette,
basandoci cioè soltanto su un dato di tipo quantitativo. Se intendiamo fondare le nostre
osservazioni solo su questo tipo di informazione, per interpretare i dati a nostra
disposizione, potremmo considerare il parlato di Mil.18 II come il maggiormente ricco, e
collocare Edo.21 V all’estremità opposta. Questo computo risulta piuttosto limitante in
quanto non viene esplicitata la tipologia delle entrate lessicali dei bambini e soprattutto
non viene esplicitato l’aspetto della ripetizione: se all’interno della trascrizioni un
vocabolo viene ripetuto ad esempio per tre volte, questo verrà conteggiato per tre volte e
dunque andrà ad incidere sul conteggio finale fornendo un dato che non è trasparente, nel
senso che il lessico risulterà ricco in termini di quantità, ma non vario in termini di qualità
che è comunque l’indicatore della ricchezza.
Per questo motivo è necessario procedere alla stesura dei lemmari: uno per ciascun
bambino in modo da poterli confrontare fra loro, e uno generale per avere una visione
d’insieme del parlato dei bambini.
2.4 I LEMMARI
Prima di tutto sembra importante chiarire che cosa sia un lemmario e quale sia la sua
funzione nell’ottica dell’analisi dei dati, che a questo punto diventa anche qualitativa.
Il Sabatini-Coletti definisce il lemmario come l’ “insieme delle voci di un’enciclopedia o
di un dizionario”. È chiaro che dal nostro punto di vista questo termine richiede
un’accezione più ampia. Anzitutto va puntualizzato che non bisogna confondere i lemmi
con le parole, che sono molto più numerose: ad esempio nel dizionario possiamo trovare
il lemma mangiare, ma non troviamo tutte le varie forme di questo verbo, come
“mangiai” o “mangerò”3 che sono appunto definite parole. Se prendiamo il caso di un
verbo, ad esempio “sorridere”, la voce all’infinito costituisce il lemma ed è ciò che noi
cerchiamo e troviamo nel dizionario, mentre tutte le voci verbali ad esso correlate,
costituiscono le parole Le modalità della costruzione del lemmario sono diverse a
seconda della funzione che si vuole attribuire a questo strumento. Nel caso della nostra
ricerca, il lemmario ci permette di identificare non solo la quantità delle entrate lessicali,
3
Esempio tratto da De Mauro:(www.educational.rai.it).
ma anche la tipologia delle parole pronunciate. Sarà dunque costituito da tre colonne:
nella prima, all’estrema sinistra saranno posizionati tutti i lemmi in ordine alfabetico,
nella seconda i TYPES cioè le forme diverse per ciascun lemma e nella terza i TOKENS,
cioè il numero delle volte che quel lemma è stato utilizzato, attraverso i diversi TYPES
(vedi es. 5).
(5)
MAR.14 II
LEMMA TYPES TOKENS
inverno
1
2
mangiare 2
2
Nel lemmario di MAR.14 II ad esempio, il lemma “inverno” ha un TYPE e due
TOKENS, questo sta a significare che MAR. ha utilizzato la parola “inverno” solo in una
forma e per due volte raccontando la storia. Per “mangiare”, invece, la situazione è
differente: i TYPES contati per questo lemma sono due perciò questo verbo, nel racconto
di MAR, è presente con due forme diverse, per la precisione “mangiargli”4 e “mangiato”,
ed è stato quindi successivamente contato due volte.
Per costruire i lemmari, si è partiti dal conteggio delle parole che il programma di analisi
CLAN effettua in automatico, fornendo una lista di tutti i TOKENS presenti nella
trascrizioni, in ordine alfabetico. Il programma individua perciò i TOKENS, basandosi
sulla definizione di parola secondo la quale essa è la sequenza di lettere inserita fra due
spazi bianchi. Questa definizione risulta però stridere ad esempio con i casi dei pronomi
enclitici e delle preposizioni articolate che vengono considerate un’unica parola
nonostante le due parti che le compongono, appartengano a due classi differenti di parole:
“nella”, ad esempio è costituita dalla preposizione semplice “in” e dall’articolo “la”, così
come “mangiargli” dall’infinito del verbo “mangiare” e dal pronome “gli”. Per ovviare a
questo problema, nella costruzione del lemmario, le due parti costituenti delle parole
composte, saranno separate e inserite nella classe di appartenenza, quindi mangiare
4
Va precisato che “mangiargli”, nel conteggio generale, viene considerato come due diversi
lemmi: l’infinito “mangiare” e il pronome “gli”.
costituirà un TYPE e un TOKEN del lemma “mangiare” e “gli” altrettanto per il lemma
“gli” appunto.
Ecco che allora il lemmario offre una visione completa dei dati raccolti: se da un lato
troviamo l’aspetto quantitativo, inserito nella colonna dei TOKENS, abbiamo anche la
possibilità di sondare l’aspetto qualitativo analizzando i TYPES legati ad uno specifico
lemma e quindi possiamo a questo punto valutare anche la ricchezza lessicale dei bambini
ascoltati.
Come si diceva, nel nostro percorso sono state costruite due tipologie diverse di lemmari:
uno generale e uno per ognuno dei bambini (entrambe riportati in appendice): è stato così
possibile effettuare conteggi diversi uno a livello generale di parole pronunciate e uno
personalizzato per ciascun alunno, che ci ha permesso di riflettere sulla ricchezza
lessicale individuale.
Un aspetto interessante, a questo proposito è quello della TYPES TOKEN RATIO (d’ora
in poi TTR), una voce fornita anch’essa in automatico da CLAN. In sostanza questo dato
è il risultato del rapporto fra i TYPES e i TOKENS, che è sempre compreso fra 0 e 1:
quanto più il risultato dell’operazione è vicino a 1, tanto più vario sarà il tipo di lessico
utilizzato dal parlante, mentre se il quoziente è maggiormente vicino allo 0, la varietà del
lessico del parlante si riduce. Nella tabella B possiamo vedere le TTR di ciascuno degli
otto bambini coinvolti nella nostra indagine.
Tabella B: TYPES TOKEN RATIO (TTR)
Mar.14 Dav.15 Lor.16 Ali.17 Mil.18 Aur.19 Emi.20 Edo.21
II
II
II
II
II
II
V
V
0.588
0.502
0.503
0.480
0.459
0.466
0.653
0.577
TTR (TYPES
TOKEN
RATIO)
A questo punto della ricerca, l’analisi dei dati diventa maggiormente approfondita. È
infatti possibile effettuare un confronto fra i risultati descritti nella tabella A, che sono ti
tipo quantitativo, definiscono cioè la quantità delle parole computate nei lemmari, e quelli
che leggiamo nella tabella B, che sono invece qualitativi, ossia vanno a sondare il
linguaggio dei bambini in profondità, valutandone la ricchezza. A questo proposito scrive
Gustav Herdan: “si può caratterizzare lo stile mediante un rapporto costante tra
uniformità e diversità delle frequenze delle parole” (Herdan, 1971).
Come spiegato, il risultato del rapporto fra TYPES e TOKENS è sempre compreso fra 0 e
1 e quindi la media si può situare intorno allo 0.5. Tre degli otto bambini si collocano
sotto questa media: Mil., Aur. e Ali e uno di loro, per la precisione Mil. aveva il
punteggio più elevato nel conteggio delle parole, cioè 118. Questo caso può essere
considerato esplicativo della tesi secondo la quale non è sufficiente contare i TOKENS
per valutare la ricchezza linguistica. Probabilmente, dunque questo bambino avrà nel suo
lemmario personale più TOKENS di un lemma rispetto a quanti siano i TYPES legati allo
stesso.
I dati vengono dunque stravolti se utilizziamo questa misura: il lessico più ricco risulta
essere quello di Emi.20 V, mentre quello meno variegato è quello di Mil.18 II: si può
affermare che i risultati siano ribaltati. Infatti nel conteggio delle parole Mil. aveva
ottenuto il punteggio più elevato, mentre Emi. che stava al penultimo posto, per quanto
riguarda l’aspetto quantitativo, raggiunge ora il punteggio massimo per quanto riguarda
l’aspetto qualitativo.
2.5 IL PARLATO E LE CLASSI DI PAROLE
Il lessico, in quanto struttura è costituito da una serie di elementi organizzati. Uno degli
elementi costitutivi della struttura lessicale, è quello delle classi delle parole.
Una classe di parole è intesa come “[…] l’insieme delle parole di un lessico i cui membri
condividono una o più caratteristiche dal punto di vista del comportamento morfologico o
sintattico.” (Jezek, 2005). In una lingua il numero delle classi di parole è variabile. In
italiano le classi possono essere suddivise in classi variabili, in cui possono avvenire delle
modificazioni: a questa categoria appartengono nomi, verbi, articoli, aggetti e pronomi; le
classi invariabili e quindi statiche, non soggette a mutazioni morfologiche, includono
invece avverbi, preposizioni, congiunzioni e interiezioni.
È interessante proporre uno spaccato dei parlati analizzati costruendo una tabella che ci
permetta di individuare quali classi di parole siano maggiormente utilizzate dai bambini
individuandone i TYPES (ty) e i TOKENS (to) (vedi tabella C).
Tabella C CONTEGGIO TYPES E TOKENS
ARTICOLI
23
8
33
AVVERBI
21
10
21
NOMI
27
20
46
21
6
11
16
0
4
7
0
CONGIUNZION
I
PREPOSIZIONI
PRONOMI
AGGETTIVI
ty
2
2
1
1
6
2
8
to
ty
to
ty
to
ty
to
ty
to
ty
to
ty
28
19
44
26
76
29
47
29
32
21
22
15
317
36
10
24
7
35
8
32
10
18
9
21
8
222
10
5
28
8
35
8
33
7
5
3
17
5
170
47
27
44
24
33
20
33
21
27
21
26
4
283
20
3
27
8
38
8
0
0
21
10
10
6
2
2
139
16
15
11
7
5
9
13
5
8
4
2
6
19
14
8
8
7
5
22
11
5
6
6
4
13
29
13
6
8
8
5
12
4
4
5
4
3
2
5
1
1
4
102
104
54
Le parole utilizzate con maggiore frequenza e varietà da tutti i bambini sono nomi e
verbi. In
Totale
tokens
44
Edo.21V
15
Emi.20V
24
Aur.19II
VERBI
Mil.18II
to
Ali.17II
ty
Lor.16II
Dav.15II
Mar.14II
to
merito ai nomi, quelli più presenti, in termini quantitativi, sono
specificatamente legati alla storia raccontata, come ad esempio “spaventapasseri”, e sono
pertanto vincolati al contesto e al topic della conversazione. Questo aspetto è una
particolarità dello stile narrativo: è infatti necessario nominare ad esempio i personaggi
del racconto, così come le varie parti del corpo dello spaventapasseri che l’uccellino
consuma durante l’inverno per sopravvivere. La stessa storia originale contiene numerosi
nomi, ed è pertanto naturale che i bambini ne utilizzino un quantitativo considerevole
nella narrazione individuale. Come si diceva la classe dei verbi è la seconda classe di
parole maggiormente presente nel parlato dei bambini. Le parti del discorso quali ad
esempio gli articoli, sia determinativi, sia indeterminativi, nelle loro varie declinazioni
sono presenti nel parlato di tutti i bambini, così come in misura diversa le preposizioni
semplici o articolate. A questo proposito è opportuno aprire una parentesi per
approfondire il diverso apporto che differenti tipologie di parole possono fornire ad una
conversazione.
“Dal punto di vista del loro significato, le parole che compongono il lessico di una lingua
si distinguono in due grandi gruppi: da un lato ci sono le parole contenuto, dall’altro le
parole funzione” (Jezek, 2005). Nel primo gruppo, quello delle parole lessicali, possiamo
inserire parole quali verbi, nomi, aggettivi, mentre nel secondo, definito delle parole
grammaticali si collocano articoli, pronomi e congiunzioni. La sostanziale differenza che
sussiste fra queste due categorie di parole sta nel fatto che le parole lessicali forniscono il
contenuto della conversazione, mentre le parole grammaticali svolgono una funzione,
nello specifico quella creare e far vivere le relazioni fra le parole presenti nel discorso.
Entrambe sono pertanto indispensabili ai fini della conversazione: se togliamo le parole
lessicali, mancherebbe la sostanza, il contenuto, se eliminiamo le parole funzione non
sarebbe possibile chiarire i rapporti fra le parole all’interno della frase che sarebbe privata
del suo significato.
La ricchezza lessicale è solo uno degli indici dello stile individuale. Numerosi studi si
sono concentrati su diversi aspetti del parlato, quali ad esempio la lunghezza della frase o
il rapporto aggettivo verbo. A tal proposito alcuni studi hanno
“[…]osservato delle correlazioni tra emotività e usi verbali e aggettivali, altri invece,
hanno notato che la presenza di un numero maggiore o minore di aggettivi o di verbi
dipende piuttosto dal tipo di testo e dal canale utilizzato (scritto/parlato) che
dall’emotività dei singoli individui. Queste conclusioni, a cui erano arrivati studiosi degli
anno ’40-’50, europei e d’oltreoceano (cfr. Busemann, 1925; Stern, 1902; Boder, 1940),
sono state poi ampiamente confermate da studi quantitativi successivi, condotti su testi
scritti e su testi parlati in lingua italiana.” (De Mauro, Chiari, 2005)
In merito all’utilizzo degli aggettivi nelle narrazioni degli otto alunni registrati, è
possibile notare come essi siano poco presenti e nel caso si individui qualche forma
aggettivale, esse sono spesso limitate ai possessivi “mio” o “mia” mentre sembrano
mancare aggettivi qualificativi qualificativi, ad esempio. Negli esempi che seguono viene
riportato un passo del racconto originale e successivamente la stessa parte raccontata da
AUR. (es 6)
(6)
*STORIA ORIGINALE: Un freddo mattino, mentre cercava qualcosa da mettere nel
becco, l’uccellino si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto,
grande amico di gazze, cornacchie ed ad altri uccelli.
*AUR: […] e una volta si è appoggiato su uno spaventapasseri e gli ha detto 'l
spaventapasseri ma ma cosa fai uccellino?
La differenza fra queste due frasi ci permette ancora una volta di individuare
l’essenzialità del parlato, rispetto alla maggiore elaborazione che si può vedere nello
scritto. Indubbiamente la presenza degli aggettivi sottolinea ed in qualche modo enfatizza
le caratteristiche del personaggio del quale si parla nel breve estratto del racconto: lo
spaventapasseri viene presentato attraverso una sorta di biglietto da visita che si identifica
con gli aggettivi qualificativi “distinto” e “grande”. Nel parlato invece interviene ancora
una volta l’elemento deittico: AUR sembra non aver bisogno di inquadrare il protagonista
del racconto perché è consapevole che il suo interlocutore conosce il personaggio al quale
si riferisce e ne conosce le caratteristiche. Rispetto al testo originale, i racconti dei
bambini restano quindi estremamente essenziali, i discorsi diretti lasciano spazio alla
narrazione; quanto detto dai personaggi viene riassunto o omesso, mentre si lascia
maggior spazio alla narrazione dei fatti.
Se entriamo maggiormente nello specifico dei lemmari, analizzandoli da un punto di vista
quantitativo, e quindi teniamo quale punto di riferimento il lemmario generale che
comprende tutti i TOKENS di ciascuno degli otto bambini, è interessante notare che le
parole presenti in tutte le colonne, cioè effettivamente pronunciate da tutti, sebbene in
quantità diverse, per ogni alunno, siano in totale soltanto dieci.
Nella tabella D sono state inserite queste dieci parole e i relativi TOKENS per ciascun
bambino.
Tabella D: PAROLE PRESENTI IN TUTTI I LEMMARI
Mar 14 Dav 15 Lor 16 Ali
Mil 18 Aur 19 Emi 20 Edo 21
II
II
II
V
V
II
II
17
II
che5
1
1
6
4
12
8
6
2
di
6
5
8
2
3
6
2
3
e
14
15
12
19
18
17
4
12
essere
6
3
8
5
19
14
7
7
il
20
27
24
19
25
25
12
18
mangiare
2
4
5
2
8
10
2
1
non
3
2
1
2
3
2
1
2
spaventapasseri
3
8
5
7
9
9
3
5
un
5
5
8
6
8
6
5
5
zucca
1
2
2
1
1
1
1
1
5
Nella maggioranza dei casi utilizzato come congiunzione.
Come si diceva poco sopra, in riferimento alla tabella C, le parole maggiormente
utilizzate sembravano essere i nomi e verbi. La tabella D offre invece una versione più
particolareggiata che propone uno spaccato diverso e che contrasta con quanto affermato.
Infatti se per la tabella C, che si limita ad illustrare il semplice quantitativo di parti del
discorso a livello generale, i lemmi maggiormente utilizzati sono nomi e verbi, nella
tabella D, sono molto più presenti le parole cosiddette grammaticali, cioè articoli,
pronomi e congiunzioni. Infatti si possono contare in totale due verbi utilizzati da tutti,
cioè “essere” e “mangiare” e due nomi “spaventapasseri” e “zucca”. Per supportare la
correttezza dei dati raccolti ed espressi nella tabella C, è interessante vedere che la
frequenza di utilizzo dei nomi e dei verbi è comunque più alta rispetto alle altre parti del
discorso. (ved ess. 6a e 6b)
(10 a)
Mar 14 Dav 15 Lor 16
I
II
II
Mil 18 Aur 19 Emi 20 Edo 21
Ali 17
II
II
V
V
13
0
6
3
II
avere
2
0
1
18
(10 b)
Mar 14 Dav 15 Lor 16 Ali
Mil 18 Aur 19 Emi 20 Edo 21
II
II
II
V
V
6
7
3
0
II
II
17
II
dire 3
1
3
1
Nei due esempi (ess 7a e 7b) è possibile rilevare la frequenza di due verbi all’interno
delle conversazioni. Per quanto riguarda l’ausiliare “avere” solo due bambini su otto non
lo hanno utilizzato, ma in due casi questa parola ha un elevato numero di TOKENS (Ali.
e Mil.); analogo è il caso di “dire”: sebbene il numero di TOKENS non sia elevato, è
stato utilizzato da tutti tranne che da Edo.
(7 a)
Mar 14 Dav 15 Lor 16 Ali
Mil 18 Aur 19 Emi 20 Edo 21
II
II
II
V
V
1
0
1
1
II
II
17
II
carota 1
2
2
1
(7 b)
Mar 14 Dav 15 Lor 16 Ali
Mil 18 Aur 19 Emi 20 Edo 21
II
II
II
V
V
2
0
1
2
II
II
17
II
denti 2
2
2
1
Anche per quanto riguarda i due nomi citati negli esempi, “carota” e “denti”, sono
presenti in quasi tutte le trascrizioni, ad eccezione di una sola bambina.
Per quanto riguarda gli articoli, che hanno una quantità di TOKENS di gran lunga
superiore alle altre parole, è utile puntualizzare che il lemma “il” comprende tutte le
declinazioni dell’articolo determinativo quindi anche il femminile “la”, i plurali “gli” e
“le” e la forma “lo”, e questo vale anche per l’articolo indeterminativo: “un” comprende
infatti anche il femminile “una”.
La congiunzione “e” risulta essere la parola con il maggior numero di TOKENS al suo
attivo. È un elemento tipico dell’italiano parlato e spesso, nel caso soprattutto delle
conversazioni registrate, si tratta di una sorta di riempitivo, pronunciato frequentemente
con un prolungamento in corrispondenza di pause più o meno lunghe (vedi es. 8).
(8)
*MAR: e il na::so di carota e dopo e::: quando e:: era esta + te s’è mangiato anche la
testa e non c’era più lo spaventapasseri.
Per quanto riguarda “che” è opportuno, nei casi in cui i TOKENS presenti siano più di
uno, sondare la quantità di TYPES per questo lemma: infatti esso può essere utilizzato sia
come pronome relativo, sia come congiunzione; analogo è il caso di “di”, che può avere
due TYPES, uno come preposizione semplice e l’altro come parte della preposizione
articolata, che va unita all’articolo.
Effettuando un’ulteriore scrematura sui dati raccolti, ma rimanendo comunque entro
l’aspetto quantitativo, è interessante andare a contare quante parole siano presenti solo nel
lemmario di uno degli otto bambini, con quantità di TOKENS diverse (vedi es. 9)
(9)
Mar14 Dav15 Lor16 Ali17 Mil18 Aur19 Emi20 Edo21
addirittura 0
0
0
0
1
0
0
0
adesso
0
0
2
0
0
0
0
0
Questi lemmi sono in tutto 108 suddivisi in 31 verbi, 67 nomi, 12 aggettivi , 7 avverbi
una preposizione. Ancora una volta, dunque i dati ci dimostrano che le parole lessicali,
intese come verbi, nomi e aggettivi che trasmettono il contenuto della conversazione,
sono più varie, mentre le parole funzione come articoli, pronomi e congiunzioni che
hanno il compito di sostenere le relazioni che avvengono tra le varie parti del discorso
all’interno della frase, sono presenti in numero minore. Ecco che allora è possibile in un
certo senso motivare il largo uso degli articoli sia determinativi, sia indeterminativi da
parte di ciascuno dei bambini: nella lingua italiana infatti l’articolo è legato al nome con il
quale concorda il genere e il numero, dunque se elevato è il numero dei nomi presenti,
altrettanto sarà quello degli articoli. Un aspetto che può essere interessante in merito agli
articoli riguarda il loro uso all’interno della narrazione. (vedi es. 10)
(10)
*EDO: c’era una volta un uccellino che stava morendo di freddo e di fame e volò e trovò
uno spaventapasseri e lo spaventapasseri gli chiese come [/] cos’ha::i uccellino? E
l’uccellino rispose che non ha ta[/] aveva freddo e aveva fame e allora lo spaventapasseri
lo faceva dor[/] fece dormire sotto la giacca e gli fece magiare la sua testa e i suoi denti e
dopo quando è arrivata la primavera i::l[/] lo spaventapasseri non c’era più però
l’uccellino era vivo.
L’esempio citato è particolarmente interessante anche perché la storia viene raccontata
tutta in un solo turno. Gli articoli sono, come si diceva, all’inizio indeterminativi perché
introducono un nuovo referente nel discorso. Nella stessa frase, l’articolo”“un” riferito a
“spaventapasseri” diventa “lo”: questa operazione indica una certa condivisione del
contenuto del testo da parte di entrambe gli interlocutori: l’emittente ha introdotto il
personaggio principale della storia accompagnato dall’indeterminativo, dal momento in
cui questo è conosciuto dal ricevente, necessita di un articolo che conferisca specificità al
termine al quale si riferisce. Si può dunque dire che le parole grammaticali gestiscono le
relazioni fra le parti del discorso all’interno della frase, ma il loro utilizzo modifica in un
certo senso anche il messaggio,
implicando la corrispondenza biunivoca dell’atto
comunicativo, cioè il coinvolgimento attivo anche del ricevente che in quel momento
ascolta, ma condivide il messaggio dell’emittente.
2.6 IL SISTEMA VERBALE
Uno degli aspetti di maggior interesse della nostra ricerca è come abbiamo più volte
accennato, il sistema verbale dei bambini e dunque la gamma dei tempi e dei modi verbali
presenti nel loro parlato, che nel nostro caso sono in realtà una breve narrazione.
L’interesse della ricerca si concentra sull’aspetto qualitativo dei verbi utilizzati e
soprattutto sull’aspetto morfologico.
La morfologia è intesa come disciplina che studia la struttura della parola e descrive le
varie forme che le parole assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo,
tempo e persona. Se i primi due aspetti si riferiscono alla categoria nominale, cioè al
nome, il modo, il tempo e la persona sono aspetti espressi dalla categoria verbale, cioè dai
verbi. Oltre a queste caratteristiche, le coniugazioni verbali contengono anche l’aspetto
della diatesi esprimono cioè la maniera in cui la persona soggetto partecipa all’evento
descritto dal verbo, se è cioè agente o paziente.
Nella lingua italiana, il sistema verbale possiede un’ampia gamma di paradigmi temporali
e modali. L’utilizzo di tempi e modi è strettamente legato alle varietà diatopiche e
diastratiche dell’italiano utilizzato per comunicare; infatti il passato prossimo, ad esempio
è maggiormente utilizzato nel Nord Italia, mentre il passato remoto si riscontra
maggiormente in contesti comunicativi del Meridione, così come questo tempo verbale è
utilizzato da parlanti colti o negli scritti formali (vedi es. 11). Nel parlato comune, invece
è maggiormente utilizzato il passato prossimo (vedi es. 11a)
(11)
Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 e morì a Ravenna nel 1321.
(11a)
Mia nonna è morta a 76 anni nel 1992.
Per quanto riguarda il futuro semplice, invece è opportuno sottolineare che questo tempo
nell’italiano parlato è spesso sostituito dal presente (vedi es. 12).
(12)
Domani vado in biblioteca6
6
Esempio tratto da Bazzanella, 1994.
Come passo iniziale nell’indagine sul sistema verbale dei bambini è stato effettuato il
conteggio dei modi e dei tempi dei verbi da loro utilizzati. Successivamente,
è
interessante procedere ad un confronto fra i risultati considerando la variabile dell’età
anagrafica e perciò anche scolastica dei parlanti. Questo ci permette di riflettere
sull’aspetto della conoscenza da parte dei bambini degli strumenti linguistici a loro
disposizione. Arrivati all’ultimo anno di frequenza della Scuola Primaria, i bambini
conoscono esplicitamente per intero il sistema verbale, mentre l’utilizzo dei tempi e dei
modi verbali dei bambini di classe seconda si limita a quella che la teoria psicologicagenerativista di Chomsky, definisce conoscenza implicita della lingua materna che
consente ad ogni bambino di costruire frasi grammaticalmente corrette e gli permette di
decidere della grammaticalità, intesa come accettabilità di ciò che sentono dire attorno a
sé. Secondo una proposta avanzata da Bialystok nel 1988, esistono diversi livelli di
conoscenza della lingua: il primo livello, livello minimo si limita ad un apprendimento
della lingua di tipo routinario, legato all’imitazione: anche nelle situazioni di povertà di
stimolo, i bambini generano la propria grammatica che pare quindi strutturata già in
tenera età. Chomsky però sostiene che: “[…] l’acquisizione del linguaggio non è (corsivo
mio) un processo di tipo induttivo, e non avviene per imitazione (corsivo mio) degli
stimoli linguistici a disposizione nell’ambiente.” (Levorato, in Di Blasio, 1995). Infatti,
nella comunicazione con i bambini gli adulti semplificano spesso il linguaggio e non
utilizzano per intero la competenza linguistica che hanno a disposizione. Dunque il
bambino ha un ruolo attivo nel processo che gli permette di imparare le regole che stanno
alla base della propria lingua dato che “non tutto è innato e infatti il bambino deve
imparare i suoni della propria lingua, le parole, le effettive realizzazioni morfosintattiche,
che differiscono fra una lingua e l’altra”( Levorato, in Di Blasio, 1995). A questo punto si
passa al secondo livello della conoscenza linguistica in cui la essa “[…] è analizzata e
scomposta, quindi scomposta e riconosciuta nei suoi elementi costitutivi, ma ancora
implicita, cioè non consapevole, né verbalizzata e in alcun modo verbalizzabile, cioè
traducibile in parole”. (Lo Duca, 2005). Durante il percorso scolastico il bambino
dovrebbe essere guidato verso il terzo livello della conoscenza linguistica, maggiormente
esplicito e strutturato, in cui l conoscenza diventa piena consapevolezza.
È interessante inoltre aprire una piccola parentesi sulla realtà linguistica in cui è stata
svolta la ricerca. Come è stato più volte precisato i bambini ai quali si fa riferimento sono
per lo più dialettofoni, per tanto la loro lingua materna, quella che apprendono dai
genitori e che utilizzano maggiormente è il dialetto trentino, più precisamente quello della
Valle di Fiemme. Per raccogliere i dati è stato chiesto agli alunni di utilizzare una lingua
diversa da quella materna di cui posseggono la grammatica. È opportuno precisare però
che “[…] la struttura profonda delle diverse lingue, e cioè la loro grammatica, presenta
delle notevoli somiglianze strutturali in quanto le variazioni fra le lingue sono contenute
entro limiti molto ristretti”. (Levorato, in Di Blasio, 1995). Inquadrare il background
linguistico dei bambini è importante perché esso può incidere sul loro parlato; nel dialetto
trentino e dunque anche in quello della Valle di Fiemme, il passato remoto non viene mai
utilizzato e quindi è possibile che gli alunni non abbiano mai sentito questo tipo di voci
verbali e pertanto fatichino ad utilizzarlo nel loro parlato.
La tabella E rappresenta i modi del sistema verbale italiano e per quanto riguarda
l’indicativo sono stati considerati anche i tempi maggiormente utilizzati nell’uso medio e
cioè presente, passato prossimo, trapassato prossimo, passato remoto, imperfetto.
Tabella E: UTILIZZO TEMPI VERBALI NEL PARLATO DEI BAMBINI
INDICATIVO
CONGIUNTIVO
IMPERATIVO
CONDIZIONALE
INFINITO
FUTURO ANT.
FUTURO
SEMPLICE
PRESENTE
IMPERFETTO
P. PROSSIMO
TRAP.
PROSSIMO
P. REMOTO
Mar 14 II
0
1
1
5
9
0
0
3
0
0
0
Dav 15 II
0
0
13
8
7
0
0
3
0
0
0
Lor 16 II
3
2
0
7
10
0
0
2
0
3
0
Ali 17 II
0
0
9
10
6
0
0
6
0
0
0
Mil 18 II
2
2
16
15
1
1
0
7
0
1
0
Aur 19 II
0
2
15
11
6
0
0
4
0
3
0
Emi 20 V
0
2
1
10
9
0
0
0
0
3
0
Edo 21 V
6
1
2
7
2
0
0
2
0
0
0
0
0
18
8
4
0
5
0
2
1
Testo della 14
favola
Analizzando i dati, è interessante notare come il modo maggiormente utilizzato da tutti i
bambini sia l’indicativo. I tempi individuabili nelle trascrizioni, si limitano al presente, ai
passati perfettivi (passato prossimo e passato remoto), all’imperfetto, al futuro semplice e
al trapassato prossimo. Tutti gli alunni, ad eccezione di uno hanno utilizzato nei loro
racconti l’infinito, qualcuno di loro l’imperativo e nessuno i modi condizionale e
congiuntivo.
Se osserviamo la tabella orizzontalmente possiamo avere un’idea dei tempi utilizzati nel
racconto da ciascuno degli otto alunni: il bambino che ha una gamma più ampia di tempi
verbali utilizzati risulta essere Mil 18 che frequentata la classe seconda (vedi es 13).
(13)
INDICATIVO
1
CONGIUNTIVO
0
IMPERATIVO
7
CONDIZIONALE
0
INFINITO
1
FUTURO ANT.
1
FUTURO
SEMPLICE
15
PRESENTE
16
IMPERFETTO
2
P. PROSSIMO
2
TRAP.
PROSSIMO
P. REMOTO
Mil 18 II
0
In particolare Mil. dimostra di saper utilizzare con contributi quantitativi diversi, tutti i
tempi dell’indicativo, eccezion fatta per il futuro anteriore. Nessuno degli alunni, così
come Mil., utilizza il condizionale e il congiuntivo.
L’ultima riga della tabella E contiene infine, il conteggio dei tempi verbali utilizzati nella
favola raccontata dall’insegnante ai bambini. Come già accennato, il testo originale è
stato modificato e l’attenzione nel compiere questa operazione si è concentrata
maggiormente sulla facilitazione di alcuni termini e sull’uniformare l’utilizzo dei tempi
verbali all’interno del racconto: la narrazione è effettuata utilizzando il passato remoto e
l’imperfetto, mentre gli scambi dialogici fra i personaggi sono al presente. È interessante
notare come esista una certa corrispondenza a livello quantitativo nel caso di certi tempi
verbali, come ad esempio il presente, l’imperfetto e l’infinito. Il divario maggiore da
questo punto di vista, si riscontra nell’utilizzo del passato prossimo; tutti i bambini ad
eccezione di Lor. lo hanno usato nel raccontare la favola, mentre l’insegnante non ha reso
alcuna voce verbale in questo tempo. Il passato prossimo è infatti un tempo verbale
maggiormente utilizzato nel parlato.
È comunque opportuno precisare che la storia rimane comunque un testo scritto, anche se
letto dall’insegnante, mentre il parlato dei bambini è spontaneo. Il parlato è caratterizzato
dall’immediatezza,
“[…] motivata e giustificata dal fatto che quello che si dice non sia ben organizzato, ci
siano autocorrezioni, cambiamenti di discorso, imprecisioni di lessico, ecc.; nello scritto
invece, dove è possibile la cancellazione, ed il tempo di formulazione è estensibile a
piacere, il testo deve essere non solo coerente a livello semantico, ma coeso a livello
linguistico, ben articolato ecc.” (Bazzanella 1994).
Sostanzialmente, dunque “lo scritto è meno naturale, richiede cura e sforzo analitico;
inoltre a causa delle sue situazioni d’uso tipiche, diviene storicamente depositario di
prestigio sociale e di codificazione normativa; l’opposto vale per il parlato” (Beretta,
1994a). Proprio per questo motivo, si può individuare nel racconto dell’insegnante
l’utilizzo di un congiuntivo, modo che generalmente viene sostituito nel parlato
dall’indicativo; mentre nel parlato dei bambini vi è una massiccia presenza di voci verbali
rese all’imperfetto e al passato prossimo.
La riflessione centrata sul sistema verbale dei bambini con diverse età scolari, ci porta a
considerare come non sussistano particolari differenze fra i due livelli di scolarità
indagati; infatti i tempi utilizzati dagli alunni di classe quinta sono pressoché gli stessi dei
bambini più piccoli, nonostante il percorso scolastico. Infatti se tutti i bambini coinvolti
nella ricerca, posseggono una conoscenza implicita della grammatica della loro lingua
materna, che viene analizzata, scomposta e riconosciuta nei suoi elementi costitutivi, ma è
ancora inconsapevole, i bambini più grandi dovrebbero possedere un livello
maggiormente elevato di conoscenza, articolata ed esplicita che è divenuta consapevole.
Le aspettative in merito alla conoscenza e alla padronanza d’uso dei del sistema verbale,
sono diverse in base al grado di scolarità raggiunto dai soggetti analizzati. In sostanza
dunque il percorso scolastico sembra non incidere sulle scelte dei bambini in merito
all’utilizzo dei tempi e dei modi verbali.
3. CONCLUSIONI
La motivazione che ha portato alla realizzazione di questa ricerca trova il proprio
fondamento nella riflessione sulla didattica della lingua italiana, ai contenuti che essa
deve avere e soprattutto alle finalità che l’insegnante deve porsi rispetto agli obiettivi da
proporre ai propri alunni. A titolo personale questa questione ha sempre risvegliato un
notevole interesse, dal momento che ogni insegnante deve fare i conti con un programma
didattico caratterizzato da obiettivi propri e soprattutto dei bambini.
Spesso risulta difficile per noi insegnanti, ma anche per i bambini comprendere l’effettiva
utilità del sapere che viene trasmesso a scuola e ci si chiede se non sia più utile dare un
senso a questo sapere, collocarlo nella quotidianità dei bambini piuttosto che prendere
atto della sua sterilità. È necessario che il sapere scolastico esca dai confini delle aule e
diventi duraturo, spendibile lungo tutto l’arco della vita.
La Scuola dovrebbe perciò rivedere i ruoli dei propri personaggi ed interpreti:
l’insegnante è invitato a rinunciare al ruolo del protagonista che gestisce la scena
didattica, per lasciare il posto al bambino, che diventa sempre più il costruttore della
proprio sapere, guidato dall’insegnante, che diventa regista. Questa nuova idea pone in
essere un’altra questione legata all’aspetto metodologico.
Emerge con forza la necessità di introdurre la ricerca e la sua metodologia all’interno
della Scuola, come strumento volto ad allargare la conoscenza disciplinare e alla
conquista di un sapere plurale, che considera differenti punti di vista.
3.1 L’EDUCAZIONE LINGUISTICA
Il “Quadro comune di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento,
valutazione” (Consiglio d’Europa 1996-2001)7 sottolinea che “[…] l’apprendimento
grammaticale non deve ridursi ad un’acquisizione mnemonica e automatica di
determinate regole morfologiche e sintattiche ma deve strettamente connettersi allo
sviluppo di una competenza metalinguistica che consenta di riflettere consapevolmente
7
Sito di consultazione: http://culture.coe.fr/lang; ed. italiana 2002, a cura di Bertocchi, Quartapelle.
sui meccanismi e sulle strutture della lingua”. (Andorno, Bosc, Ribotta, 1999). Questa
affermazione conduce ad una visione dell’educazione linguistica a scuola che da un lato è
ancorata all’aspetto formale e quindi legata alla grammatica, mentre dall’altro evidenzia
l’importanza della […] competenza metalinguistica, che ha come oggetto di riflessione la
lingua e la comunicazione.” (Andorno, Bosc, Ribotta, 1999).
Già dai tempi antichi, l’educazione linguistica affondava le proprie radici nella
convinzione che ai fini dell’apprendimento di una qualsiasi lingua, fosse necessario
impararne la grammatica, la forma: spesso dunque la conoscenza di una lingua si fondeva
con la padronanza delle regole grammaticali. L’approccio metodologico era
sostanzialmente di tipo trasmissivo: si partiva con
la presentazione delle regole
fonologiche, morfologiche e grammaticali, per arrivare agli esercizi: l’alunno si
impratichiva sulle regole apprese attraverso compiti mirati.
Intorno agli anni Quaranta questo sistema iniziò ad essere bersaglio di critiche che si
fondavano sulle teorie dei glottodidatti secondo le quali era necessario percorrere strade
diverse per rendere proficua la riflessione sulla lingua. Questa idea che comunque resiste
tutt’oggi, è supportata anche dalle teorie di Noam Chomsky:
“Io penso che dalla nostra conoscenza dell’organizzazione della lingua e dei principi che
determinano la sua struttura non si possa costruire direttamente un programma didattico.
Possiamo solo suggerire che un programma didattico sia concepito in modo da dare libero
gioco a quei principi creativi che gli esseri umani utilizzano nel processo
dell’apprendimento linguistico, e presumo nell’apprendimento di qualsiasi altra cosa.
Penso che dovremo probabilmente tentare di creare un ricco ambiente linguistico per
l’euristica intuitiva che l’essere umano possiede automaticamente” (Chomsky 1968, in
Corder, 1983).
Anche in Italia le critiche al modello grammaticale tradizionale sono state piuttosto
accese; intorno agli anni Settanta nasce il GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel
Campo dell’educazione Linguistica) che nel suo documento costitutivo8 oltre a
8
“Le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica (pubblicate in varie sedi, tra cui Ferreri,
Guerriero, 1998 pp. 81-92) sono un testo collettivo, preparato dal linguista Tullio De Mauro,
discusso e approvato nell’inverno e primavera del 1975 dai sci del GISCEL[…]” (Lo Duca 2005).
“Le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica” sono consultabili al sito:
http://www.giscel.org/dieciTesi.htm.
sottolineare i punti critici della didattica linguistica tradizionale, propone delle nuove
metodologie legate alla riflessione grammaticale.
Nonostante questi continui attacchi il modello classico di educazione linguistica sembra
non aver subito alcune modificazioni e a tutt’oggi vi sono molti insegnanti che
propongono una pedagogia della lingua che centra la propria attenzione sul possesso da
parte degli alunni di norme dell’ortografia, di classificazione logica delle parti della frase
e di abilità nella produzione scritta.
L’obiettivo dell’insegnamento grammaticale tradizionale rimane perciò una “[…]
conoscenza da parte dell’allievo di ciò in cui consiste la capacità linguistica” (Parisi
1974), e non l’acquisizione di corrette abitudini linguistiche. Il carattere formativo
dell’educazione linguistica moderna è invece diverso: “[…]l’importanza della riflessione
linguistica risiede –soprattutto – nella sua capacità di attivare processi di “pensiero”. La
lingua […] offre un terreno particolarmente idoneo ad esercizi di operazioni come
l’osservazione, il riconoscimento di analogie e di differenze autorizzanti classificazioni,
l’”ordine”, la generalizzazione e l’astrazione concettuale” (Altieri Biagi, 1978).
3.2 DAI DATI DELLA RICERCA ALLA PRASSI EDUCATIVA
I dati raccolti attraverso la ricerca effettuata offrono uno spaccato piccolissimo della più
grande realtà scolastica italiana. Anche nel nostro caso, (soprattutto per quanto riguarda
gli alunni di classe quinta, dato che in seconda non è ancora iniziata l’educazione
linguistica in senso stretto), i bambini sono stati guidati allo studio della lingua italiana
attraverso il modello tradizionale e le sue modalità di trasmissione del sapere
grammaticale. Ci è permesso quindi a questo punto riflettere sull’efficacia di questo
modello, dato che non vi sono differenze nel parlato dei bambini di quinta rispetto a
quello dei bambini di seconda.
Un pedagogia linguistica efficace deve porsi obiettivi più ampi rispetto all’insegnamento
della grammatica di una lingua in senso stretto, ampliando i propri orizzonti e
focalizzando la propria attenzione sul linguaggio verbale, che rimane di fondamentale
importanza nella vita individuale e sociale di una persona. “[…] Lo sviluppo delle
capacità linguistiche affonda le sue radici nello sviluppo di tutt’intero l’essere umano
[…], nell’equilibrio dei rapporti affettivi nell’accendersi e maturarsi di interessi
intellettuali e di partecipazione alla vita di una cultura e comunità”. Queste parole sono
riportate nella tesi II delle Dieci Tesi redatte dal GISCEL e ci conducono all’idea che la
Scuola deve considerare il bambino non soltanto come uno scolaro, quanto piuttosto
come un individuo dotato di personalità propria, che va inserito in un contesto sociale e
culturale.
Da un punto di vista strettamente linguistico, la Scuola deve dunque offrire agli alunni la
possibilità di intendere (capacità ricettiva) e farsi intendere attraverso un uso corretto del
linguaggio verbale.
L’educazione linguistica efficace deve dunque considerare ogni aspetto del linguaggio: il
suo parallelismo con lo sviluppo fisico, intellettuale e sociale dell’individuo e il suo
indissolubile legame con la comunicazione, che viene spesso trascurata a favore della
produzione scritta.
Il metodo proposto per il raggiungimento di questi obiettivi è piuttosto diverso da quello
tradizionale, trasmissivo. Si suggerisce infatti una metodologia che vede il bambino
protagonista della costruzione della propria conoscenza che scaturisce dal suo sapere
osservativo, e che attraverso l’esperienza diretta lo conduce a compiere “studi” sulla
lingua. Queste analisi devono essere effettuate attraverso un metodo che sia quanto più
scientifico possibile: che parta da un’attenta osservazione dei fenomeni linguistici, che
susciti ipotesi differenti e che si concluda con considerazioni che possono essere anche
contrastanti con quelle tradizionalmente e universalmente condivise.
Il ruolo che assume l’insegnante in questa metodologia didattica consiste nel dare libero
gioco a quei principi creativi che gli esseri umani utilizzano in ogni processo di
apprendimento. Il programma di insegnamento della lingua così come di ogni altra
disciplina, abbandona l’idea di una conoscenza “passiva” a favore dell’insegnamento del
“[…] processo di pensiero, inteso complessivamente come insieme di abilità, conoscenze,
procedure, strategie specifiche e generali” (Santi, 1995). Il concetto di questa nuova
metodologia di didattica linguistica ruota intorno alla necessità di guidare gli alunni
attraverso un percorso di scoperta della propria conoscenza grammaticale implicita, di
cui avevamo già parlato nel capitolo introduttivo, per portarli alla scomposizione di
questa conoscenza “[…] nelle sue strutture, studiata nelle sue connessioni, verificata nella
sua coerenza, confrontata con altre competenze e infine riassunta e fatta propria sulla base
di una ben diversa maturità e consapevolezza” (Lo Duca, 2005).
La metodologia utilizzata nella ricerca effettuata nella scuola di Capriana permette
un’ulteriore breve riflessione sull’importanza di considerare il parlato e quindi il
linguaggio verbale come punto di partenza per le attività di insegnamento apprendimento.
Anzitutto indagare sulla competenza comunicativa degli alunni permette all’insegnante di
avere chiaro gli strumenti a disposizione dei bambini e nello stesso tempo permette agli
alunni di considerare la “propria” lingua come oggetto di studio. L’aderenza della
didattica al vissuto del bambino è ormai considerata imprescindibile per attirare
l’attenzione su tematiche spesso poco stimolanti, come ad esempio la grammatica
considerata nell’immaginario collettivo come “[…] una materia arida e noiosa” (Lo Duca,
2005). Condurre i bambini ad un’attenta riflessione sul proprio modo di comunicare
costruendo attività di problem solving su queste basi, stimola la curiosità degli alunni
anche e soprattutto perché trovano un fondamento concreto dal quale partire.
È inoltre interessante riflettere sull’importanza di condurre gli alunni a “[…]
“confrontare” le loro conoscenze con i fenomeni, cioè con i fatti di lingua parlata e scritta
cui hanno accesso” (Lo Duca, 2005 p. 39). Ecco che allora un’altra pietra sulla quale
basare il lavoro di scoperta dei bambini può diventare, nel nostro caso, ad esempio il testo
originale della favola dello spaventapasseri, che offre la possibilità di paragonare il
parlato allo scritto, di rilevarne le differenze e di fungere da punto di riferimento
“grammaticale”.
In sostanza dunque questa educazione linguistica si accompagna a “[…] procedure
euristiche o di scoperta” con le quali l’insegnante accompagna i bambini “[…] alla
formulazione di ipotesi che, una volta sottoposte a verifica, vengono […] da loro stessi
scartate o accettate” (Giunchi 1990a).
Un’ultima breve osservazione merita la figura dell’insegnante e la sua formazione
personale. Anzitutto va precisato che “[…] la conoscenza dei contenuti disciplinari da
parte dell’insegnante deve essere approfondita e aggiornata” (Lo Duca 2005) soprattutto
per poter individuare le tematiche da affrontare con i bambini e calibrare le attività alla
loro maturità linguistica e culturale.
3.3 DOCUMENTI DI RIFERIMENTO E PROGRAMMAZIONE
Esistono degli aspetti imprescindibili che ogni insegnante deve tenere in considerazione
nel proprio lavoro. Nell’ottica del sistema formativo integrato l’insegnante è solo una
delle figure che concorrono allo sviluppo cognitivo, sociale e culturale del bambino. La
famiglia in primis ha il diritto-dovere costituzionale di “[…] mantenere, istruire ed
educare i figli”9; l’Istituzione dal canto suo garantisce un’istruzione democratica in
quanto “la scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è
obbligatoria e gratuita”10. Il contesto culturale nel quale i bambini vivono e vanno a
scuola offre infine numerose proposte formative che si costituiscono agenzie educative
informali e che incarnano l’idea di un apprendimento che è dovunque e per sempre.
A fronte di queste molteplici possibilità di acquisizione delle conoscenze, la scuola deve
essere in grado di rispondere alla domanda dei bambini, affiancando al compito
tradizionale della trasmissione di saperi e competenze, un percorso che li aiuti a costruire
un progetto personale di vita.
La finalità educativa della scuola rimane vincolata allo sviluppo armonico ed integrale
della persona sia a livello personale sia a livello sociale.
È chiaro che ogni singola disciplina scolastica concorre dunque all’acquisizione degli
obiettivi di carattere generale, ciascuna secondo le proprie caratteristiche.
In Provincia di Trento il documento al quale ogni insegnante fa riferimento al momento
della progettazione della propria attività didattica, sono i Piani di Studio Provinciali che
“[…] definiscono gli obiettivi generali del processo formativo, gli standard formativi, gli
obiettivi specifici di apprendimento, i percorsi del primo e del secondo ciclo, in coerenza
con i livelli essenziali definiti dalla normativa statale per il riconoscimento dei titoli”11.
Accanto ai più essenziali Piani di Studio si collocano poi le più specifiche linee guida
redatte dalle reti nate dall’unione dei diversi Istituti Comprensivi raggruppati secondo la
vicinanza geografica, che hanno elaborato un curriculum verticale (dalla Scuola Primaria
alla Scuola Secondaria di Secondo Grado) per ciascuna delle discipline.
9
Art. 30 della Costituzione italiana.
10
Art. 34 della costituzione italiana.
11
Art. 55 della legge provinciale 5 del 2006.
L’impalcatura dei Piani di studio Provinciali si regge sul concetto di competenza intesa
come patrimonio personale che permette di leggere la realtà da un punto di vista
individuale, ma anche sociale e personale.
“Una competenza si manifesta quando un soggetto riesce ad attivare e coordinare
conoscenze, abilità e disposizioni interne stabili (come atteggiamenti, valori, motivazioni,
ecc.) per affrontare, valorizzando se necessario anche opportune risorse esterne, una
tipologia di compiti o problemi da risolvere. Di conseguenza una competenza può essere
più o meno elevata in relazione alla tipologia di compiti da svolgere o ai problemi da
affrontare. Non solo, ma ogni competenza subisce uno sviluppo e si intreccia con altre
competenze. Esiste quindi certamente un aspetto soggettivo della competenza, ma anche
uno sociale, nel senso che una competenza può essere riconosciuta attraverso le sue
manifestazioni pubbliche o prestazioni” (Caroli, 2008).
I curricola verticali delle discipline sono dunque progettati per competenze; se vogliamo
fare riferimento alla lingua italiana nello specifico, le competenze sono suddivise in
quattro categorie: ascoltare, parlare, leggere e scrivere, alle quali è possibile oggi
aggiungere anche “interagire”. Infatti la competenza nella lingua madre viene identificata
con l’abilità di esprimere e interpretare pensieri, sentimenti e fatti sia in forma orale, sia
scritta (ascoltare, parlare, leggere e scrivere) e di interagire linguisticamente in maniera
appropriata nei contesti sociali e culturali sia in situazioni strutturate e formali sia in
contesti maggiormente colloquiali.
L’attenzione si rivolge ancora una volta all’aspetto comunicativo della lingua,
all’interazione verbale e alla conseguente necessità degli alunni di saper comunicare in
modo appropriato in ogni contesto. Non compare alcun riferimento esplicito alla
conoscenza delle strutture grammaticali della lingua, anche se rimane comunque
sottointesa la necessità di padroneggiare il corretto utilizzo della lingua e quindi anche
delle sue regole ai fini comunicativi.
La nostra ricerca ha inoltre dimostrato che nonostante il percorso scolastico ormai
concluso dei bambini di classe quinta sia stato caratterizzato da un apprendimento della
grammatica di tipo tradizionale, non si rilevano particolari differenze nello stile
comunicativo fra i ragazzi più grandi e i bambini che frequentano la classe seconda.
La scuola che cambia sente forte l’esigenza di essere per i propri alunni non soltanto un
pozzo dal quale attingere conoscenza sterile, ma piuttosto una guida, un supporto: deve
riuscire a fornire loro competenze spendibili nella quotidianità e soprattutto
consapevolezza rispetto a queste conoscenze.
Riprendendo le parole del sociologo francese Edgar Morin è “meglio un testa ben fatta
che una testa ben piena”.
“[…] Cosa significa una “testa ben piena” è chiaro: è una testa nella quale il sapere è
accumulato, ammucchiato, e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione
che gli dia senso.
Una “testa ben fatta” significa che invece di accumulare il sapere è molto più importante
disporre allo stesso tempo di un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi ed i
principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e dare loro un senso” (Morin,
2000).
Ecco allora che il cerchio inizia a chiudersi intorno alla rivoluzione della didattica della
lingua: si apre sempre più larga la strada verso un’educazione che punta maggiormente
alla comunicazione, all’interazione, che non deve prescindere da una conoscenza della
lingua a livello formale, ma che deve essere quanto più possibile ancorata alla
quotidianità, per dare la possibilità agli alunni di crescere e maturare come individui
sociali, consapevoli del proprio sapere personale.
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SITOGRAFIA
www.childes.psy.cmu.edu
www.educational.rai.it
www.giscel.org/diecitesi.htm
APPENDICE
1.TRASCRIZIONI
@Begin
@Languages: italiano
@Participans: RES (Cristiana Telch) MAR
@Date:
@Locations: Trento
@Duration: 01:56
@Filename: Mar.14.chat
@Audio:
@Transcriber: Cristiana Telch
@First revision:
*RES : vai m dimmi
*MAR: e:: c'era una volta un uccellino che è: volava: s:: dopo un cacciatore lo prende
alla:: ala
*RES: mhm
*MAR: e poi ++++ lui non ce la fa fa ancora a vivere finchè non trova p[/] più l'inverno
*RES: mhm
*MAR: e dopo ++ l'inverno si ri:: [/] si riposa sopra un pavent[/] lo spaventapasseri
*RES: uno spaventapasseri. e dove stava questo spaventapasseri?
*MAR: in un orto
*RES: in un orto
*MAR: e::: lui era era là e lo spaventapasseri gli dice di rifugiarsi sottola sua v:[/] giacca
e po[/] e poi gli dice di mangiargli i denti el'uccellino gli dice !ma no se no resti senza
bocca!
*RES: ma di che cosa erano fatti i denti di questo spaventapasseri?
*MAR: erano fatti i denti di::: come si chia[/] !mais!
*RES: !mais! mmm
*MAR: poi:::
*RES: e l'u [/] l'uccellino li mangia?
*MAR: sì
*RES: mhm
*MAR: do::po l::po poco tempo s[/] stessa cosa col na::so: e con gli o:cchi:: dopo po
quando ritorna l'estate::
*RES: e di che cosa erano fatti gli occhi?
*MAR: di noce
*RES: di noce
*MAR: e il na::so di carota e dopo e::: quando e:: era esta + te s'è mangiato anche la testa
e non c'era più lo spaventapasseri.
*RES: e di che cosa era fatta la testa?
*MAR: di zucca
*RES: di zucca e quindi? l'uccellino si era mangiato
*MAR: anche la testa
*RES: la testa ma lo spaventapasseri era contento di essere mangiato
*MAR: sì
*RES: sì ok grazie m
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) DAV
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 03:11
@Filename:Dav.15.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*DAV: c'era una volta un uccellino che era stato colpito dal cacciatore a un'ala ++ dopo
+++ si è f[/] e::am l'inverno è:: arrivato e:m:: era tutto infreddolito dopo ha trova[/] si è
appoggiato su uno spaventapasseri ++ e lo spaventapasseri ++ ha::detto::
*RES: riesci a ricordarti com'era questo spaventapasseri?
*DAV: sì co::n la bo:cca con i denti di s[/] di semi::
*RES: mhm
*DAV: do:po il naso con una carota::
*RES: mhm
*DAV: gli occhi con delle noci:: ++ dopo lo spaventapasseri
*RES: e la sua testa?
*DAV: di zucca
*RES: era una zucca bene
*DAV: dopo è:: ha detto 'l spaventapasseri che si poteva rifugiare te la sua
che era un vecchio:: +++ vestito da ballo
*RES: mhm XX
giacca
*DAV: dopo lì in giro passavano le:: razz[/] le:: gazze
*RES: mhm
*DAV: e altri uccelli simili
*RES: sì
*DAV: dopo l'uccellino si è rif[/] rifugito te la ++ te la giacca e::: ++++ e dopo ++ e:: XX
*RES: viene l'inverno
*DAV: viene l'inverno e non c'aveva più niente da mangiare
*RES: gius
*DAV: e lo spaventapasseri aveva de[/] dice che può mangiare la:: [/] i suoi denti
*RES: e l'uccellino li mangia giusto?
*DAV: sì
*RES: poi?
*DAV: dopo due tre giorni che è:: sempre d'inverno:: lo spaventapasseri li
il suo naso::
*RES: mhm che era una
*DAV: carota
*RES: una carota
*DAV: dopo altri:: giorni
*RES: passano ancora un po' di giorni
*DAV: ni e si mangia anche ++ le noci
*RES: gli occhi che erano delle noci
dà anche
*DAV: dopo ++ ancora due tre giorni si è mangiato la testa di zucca:: ++ e dopo che è
arrivata primavera:: +lo spaventapasseri non c'era più::e l'uccellino è volato:: e:: dopo lo
spaventapasseri e:: ++ per il suo amico gli ha dato tutta la sua roba
*RES: eh sì
*DAV: e dopo:: è morto
*RES: eh certo non c'era più lo spaventapasseri
*DAV: e:: e l'uccellino è:: volato felice tel cie::lo
*RES: nel cielo. Ti è piaciuta questa storia D?
*DAV: all'inizio quando gli ha sparato [ride]
*RES: [ride] la cosa bella è stata lo [!]sparo[!] del cacciatore. [!]Bene[!] Grazie D.
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) LOR
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 04:01
@Filename:Lor.16.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*RES: allora lor ti è piaciuta questa storia?
*LOR: sì
*RES: cos'è che ti piaciuto in particolare?
*LOR: allora: ++++[si sentono delle voci non chiare in lontananza] qua::ndo il[/]
l'uccellino si nascò++ se dentro la giacca del ++++
spaventapasseri [ride]
*RES: e ti ti sembra divertente questa cosa?
*LOR: [annuisce]
*RES: e perchè si è nascosto nella giacca dello spaventapasseri?
*LOR: perchè era freddo::
*RES: perchè aveva freddo era arrivata quale stagione?
*LOR: e: inverno:::
*RES: inverno [!]bene[!] [!]dai[!] allora me la riracconti questa storia?
*LOR: sì che +++ che ++ il uccellino aveva freddo, fame e un giorno arrivava inverno e
c'era+++il spaventapasseri che parlava
*RES: parlava [!]che cosa strana[!] e come era fatto questo spaventapasseri?
*LOR: +++ di[/] grani di mais
*RES: cos'erano i grani di mais?
*LOR: +++
*RES: dove stavano i grani di mais nello spaventapasseri?
*LOR: X i denti
*RES: erano i suoi denti [!]bene[!] poi?
*LOR: poi le noci per gli occhi e una carota per il naso
*RES: e la sua testa?
*LOR: di zucca
*RES: una zucca [!] molto bene[!] allora lo spaventa[/] m:: l'uccellino si nasconde nella
giacca dello spaventapasseri, poi?
*LOR:++ e poi +++ e poi un un altro giorno uscì:::
*RES: sì:::
*LOR: e mangiò la:: il mais gli dice il spaventapasseri di mangiare i suoi denti
*RES: ok e lui li mangia
*LOR: sì poi un altro giorno +++ dice lo spaventapasseri [!]mangia la mia
carota[!]
che è ++ piena di vitamine
*RES: [!]bravissima[!] piena di vitamine
*LOR: poi gli dice un altro giorno lo spa+ventapasseri [!]mangia i::[/] gli occhi di noce
++ e poi un altro giorno anche [!]mangia la mia zucca[!]
*RES: la tua [/] la sua zucca. e alla fine?
*LOR: che arriva primavera e l'uccellino è vivo
*RES: ma lo spaventapasseri invece?
*LOR: non c'era più::
*RES: non c'era più era stato tutto mangiato
*LOR: eh: +++
*RES: però l'uccellino era vivo e felice
*LOR: sì e era arrivata la primavera
*RES: [!]una bellissima stagione[!] vero la primavera. Ti piace la primavera?
*LOR: quasi di più l'inverno [ride]
*RES: perchè ti piace di più l'inverno?
*LOR: perchè c'è il mio complea::nno::: poi c'è babbo natale e::: arriva santa lucia
[sussurra]
*RES: [!]quindi ti piace ricevere regali?[!]
*LOR: sì poi perchè posso fare una casetta con la neve che l'aviamo costruita l'anno
scorso io e il papà però da sola quasi tutta da sola senza tetto
*RES: certo era un[/] era igloo perchè le casette di ghiaccio e di neve si chiamano igloo.
[!]bene[!] grazie lor puoi andare
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) ALI
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 04:43
@Filename: Ali.17.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*RES: allora ali dimmi cosa[/] ti è piaciuta la storia?
*ALI: sì::
*RES: sì? co:sa ti è piaciuto della storia che hai sentito?
*ALI:e:: che ++ che il il spaventapasseri ha +++ aiutato l'uccellino
*RES: ha aiutato l'uccellino beX allora mi mi fai un un racconto di quello che hai sentito?
*ALI: sì sentito che iniziava spaventapasseri poi c'era lo spaventapasseri ne::l nel emm in
un orto in un prato
*RES: sì:
*ALI: e poi con l'uccellino dopo è venuto freddo e l'uccellino aveva fame
anche e::
avev[/] ha avuto freddo e allora dopo lo spaventapasseri l'ha l'ha aiutato e gli ha detto
vieni dentro nella m[/] nel mio cappotto
*RES: nel suo cappotto e l'uccellino è entrato?
*ALI: sì
*RES: si è fidato ed è entrato dentro il cappotto dello spaventapasseri
*ALI: poi:: anche il spaventapasseri +++
*RES: ma stava bene l'uccellino adesso?
*ALI: sì
*RES: stava al caldo, però::
*ALI: però solo che aveva tanta fame
*RES: mmm e come si fa?
*ALI: allora dopo lo spaventapasseri ha trovato qualcosa da mangiare e gliel'ha dato
*RES: ha trovato qualcosa da mangiare e gliel'ha dato. Cos'era questo qualcosa?
*ALI: +++++ non mi ricordo
*RES: cos'era questo qualcosa i suoi
*ALI: occhi
*RES: [!]occhi::[!] ok. cos'erano gli occhi dello spaventapasseri in realtà?
*ALI: noci
*RES: delle noci e allora lo spaventapasseri le offre all'uccellino
*ALI: e::: dopo:::
*RES: e lui?
*ALI: e lui adesso è:: e dopo lui e adesso XX lui è contento
*RES: era contento. e gli è passata tutta la fame?
*ALI: sì
*RES: con le noci, solo?
*ALI: no
*RES: no aveva ancora fame:: e allora lo spaventapasseri::?
*ALI: lo spaventapasseri gli dà gli::[/] il naso
*RES: che cos'era questo naso, il suo naso?
*ALI: XX carota
*RES: una carota. e l'uccellino?
*ALI: +++++ [si sentono voci in lontananza]
*RES: cosa fa l'uccellino con la carota?
*ALI: se la mangia
*RES: se la mangia ed è tutto contento
*ALI: sì
*RES: e gli è passata tutta la fame
*ALI: sì
*RES: sì? finisce così?
*ALI: no
*RES: no cosa mangia poi?
*ALI: i denti
*RES: [!]i denti[!] s[/] erano denti veri? I denti dello spav[/]
*ALI: no
*RES: com'erano?
*ALI: +++++
*RES: erano dei?
*ALI: +++
*RES: erano dei chicchi di
*ALI: di cocco
*RES: [!]chicchi di cocco?![!]
*ALI: [ride] no
*RES: chicchi di ma...
*ALI: mais
*RES: mais allora l'uccellino mangia anche i chicchi di mais. e quindi lo spaventapasseri
è rimasto senza...
*ALI: occhi
*RES: senza
*ALI: naso
*RES: che cosa è rimasto dello spaventapasseri?
*ALI: +++
*RES: la sua?
*ALI: testa
*RES: che era una?
*ALI: zucca
*RES: e l'uccellino allora?
*ALI: e l'uccellino e::: e contento [sussurra]
*RES: è contento, gli è passata anche la fame. non gli mangia anche la testa?
*ALI: no:::
*RES: non la mangia la zucca?
*ALI: [scuote la testa]
*RES: ok ascolta, ma e:::m +++ perchè abbiamo detto che:: che questa storia
è[/] ci insegan qualcosa?
*ALI: e::: ++ perchè +++ ci insegna qualcosa a trattarci bene e a volerci bene
*RES: e soprattutto a ...
*ALI: a dare agli[/] tipo se c'hai una scatola di patatine a offrirne anche agli altri se hanno
fame
*RES:
*ALI: aiutare gli altri se hanno fame o freddo
*RES: bene
*ALI: tipo una volta mio fratello era in maniche corte e io c'avevo una giacca e una
maglia sotto e mio fratello voleva anche i guanti ma io non ce li avevo i guanti però gli ho
dato la maglia perchè aveva freddo
*RES: [!]brava[!] grazie ali.
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) MIL
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 03:21
@Filename:Mil.18.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*RES: se ti è piaciuta la storia
*MIL: e::: mo::lto
*RES: mo:lto ti è piaciuta. e perchè ti è piaciuta molto?
*MIL: e:: anche perchè ++ c'era il[/] lo spaventapasseri::
*RES: mhm
*MIL:++++ e dopo l' [/]che l'uccellino l'ha mangiato::
*RES: [!]l'ha magiato?![!]
*MIL: sì però a pe[/] a pezzettini
*RES: dai allora raccontamela tutta bene questa storia
*MIL: ++ allo:: allora c'era un uccellino che era stato ferito da un
cacciatore e no[/]
e dopo si si sentiva male e pian piano è successo che è arrivato l'inverno e non trov[/] e
un giorno sta[/]va
cercando qualcosa da mettere sotto i denti:: e ha[/]si è posato
sopra uno spaventapasseri::
*RES: mhm
*MIL: e sullo spaventapasseri che era molto genti::le::++ e dopo lo spaventapasseri gli
ha detto +++ [!]chi sei?[!] ++ e lui gli ha risposto che era un uccellino che cercava da
mangiare che non aveva un posticino e lo spaventapasseri gli ha detto di andare dentro la
sua ++ cravatta a dormire [sussurra].
*RES: mhm e quindi l'uccellino ha trovato un riparo
*MIL: sì
*RES: e aveva risolto tutti i suoi problemi
*MIL: no
*RES: no. perchè?
*MIL: gli mancava il cibo da nutrirsi
*RES:mhm
*MIL: e allora un giorno lo spaventapasseri gli ha detto di mangiare i suoi
però l'uccellino ha detto ma rimarrai senza bocca ma lo
denti
spaventapasseri ha detto
[!]mangiali sono molto buoni[!] e se li è mangiati
*RES: mhm
*MIL: dopo un po' fu l'ora della ++ carota che faceva da na::so e se la mangiò
*RES: l'uccellino ha mangiato anche la carota
*MIL: per[/] perchè anche lo spaventapasseri gli ha detto che era molto nutriente
*RES: giusto
*MIL: do::po +++
*RES: allora abbiamo detto che ha mangiato i denti, che ha mangiato il naso
*MIL: dopo +++ ha[/] gli ha dato da mangiare i suoi occhi le noci che facevano da occhi
e dopo pian piano gli ha dato a[/] addirittura la zucca che gli faceva da testa +++ e per
tanto che lo mangiava alla fine lo spaventapasseri nel posto dove era non c'era più [si
sentono voci in lontananza]
*RES: però l'uccellino?
*MIL: era::: vivo
*RES: e dove è volato l'uccellino?
*MIL: e::m è volato via
*RES: bene. ti ringrazio mil per il tuo aiuto
*MIL: in primavera
*RES: in primavera?
*MIL: [ride] no però in primave::ra è::: volato
*RES: è passato tutto l'inverno giusto. Bene puoi tornareXXX
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) AUR
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 02:52
@Filename:Aur.19.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*RES: grazie. tutto bene?
*AUR: sì
*RES: ok. stavate cantando?
*AUR: sì e:: sì stavamo cantando
*RES: dai che facciamo in fretta. Dimmi allora tutto
*AUR: allora c'era [RES la interrompe]
*RES: ti è piaciuta intanto questa storia?
*AUR: sì
*RES: perchè ti è piaciuta?
*AUR: perchè era bella perchè l'uccellino alla fine si è salvato e:: il
spaventapasseri
gli ha fatto gli ha fatto gli ha fatto un grande piacere perchè se no lui moriva.
*RES: sarebbe morto. eh già. Ecco! Vai dimmi tutto.
*AUR: c'era un uccellino che ++ un cacciatore gli ha sparato all'uccellino
l'uccellino finchè sopravviveva mangiava
e::
quello che mangiav[/] quello che trovava
mangiava
*RES: mhm
*AUR: e una volta si è appoggiato su uno spaventapasseri e gli ha detto 'l spaventapasseri
ma ma cosa fai uccellino? e:: gli ha detto io non sto tanto bene e allora il
spaventa[/]passeri gli ha detto mettiti fra la la mia giacca e così si è m[/] si è messo nella
giacca e il
giorno dopo lui aveva tanta fame allora gli ha detto il spaventapasseri di
mangiare la sua bocca
*RES: XX perchè la sua bocca? come era fatta la sua bocca?
*AUR: di:: ++ di:: chicchi di mais
*RES: di chicchi di mais e l'uccellino
*AUR: gli ha mangiati
*RES: li ha mangiati e allora era bello sazio, al caldo
*AUR: e al ca[/] e poi il giorno dopo gli ha detto mangia i miei ++ occhi
*RES: che erano
*AUR: che erano le:: ++ noci
*RES: le noci e lu[/] l'uccellino
*AUR: li ha magiati
*RES: li ha mangiati poi?
*AUR: poi gli ha detto i::l il spaventapassera[/] il spaventapasseri mangia ++ il mio naso
che è ++ che fa bene e è:: che fa bene perchè è molto sano e poi il giorno dopo gli ha
detto di mangiare la sua testa.
*RES: che era
*AUR: una zucca
*RES: una zucca e l'uccellino
*AUR: lo ha mangiata
*RES: l'ha mangiata. E alla fine dell'inverno
*AUR: dell'inverno era sopravvissuto
*RES: l'uccellino
*AUR: e il spaventapasseri era t[/] non c'era più
*RES: non c'era più. Bella vero questa storia?
*AUR: [annuisce]
*RES: cosa ci ha insegnato questa storia?
*AUR: che e:: si può aiutare i compagni e t[/] gli animali e XX chi ne ha bisogno
*RES: ok puoi tornare dal maestro graXX
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) EMI
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 02:27
@Filename:Emi.20.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*RES: vai!
*EMI: vado? c'era un uccellino 'somma una volta che:::'somma ++
*RES: chi era, che cosa era successo poveretto all'uccellino?
*EMI: 'somma era rimasto senza ca::sa e arrivava l'inverno.Un cacciatore gli aveva
sparato.
*RES: gli aveva sparato bene. e poi lui poverino?
*EMI: aveva freddo, tanto freddo e tanta fame
*RES: bene
*EMI: un giorno arriva, vola su uno spaventapasseri
*RES: e che cos[/] com'è vestito?
*EMI: co::n +++
*RES: tutto
*EMI: +++ distinto
*RES: bra::vissimo!
*EMI:+++
*RES: e anche[/] dentro il vestito che cosa c'era?
*EMI: era imbottito di 'spetta +++ paglia
*RES:paglia. cosa gli dice lo spaventapasseri a questo uccellino?
*EMI: che lo vede infreddolito e che aveva fame +++ così dopo gli dice ++++
*RES: quindi apre la giacca e gli dice
*EMI: vieni qui che ti riscaldo
*RES: bravissimo
*EMI: +++++
*RES: e l'uccellino era a posto
*EMI: sì dopo aveva [/] aveva sempre fame
*RES: fame
*EMI: così lo spaventapasseri gli dice all'inizio mangiami ++ i denti ++
*RES: cos'erano i denti?
*EMI: 'speta +++ il grano
*RES: e lui?
*EMI: li ha sgranocchiati
*RES: bravissimo
*EMI: +++
*RES: e quindi lo spaventapasseri è rimasto
*EMI: senza bocca dopo la carota
*RES: cos'era la carota dello spaventapasseri?
*EMI: il naso e gli diceva che era ricca di vitamine
*RES: benissimo bravo
*EMI: dopo+++ gli occhi che erano le noci
*RES: bene e quindi l'uccellino
*EMI: mangia anche gli occhi dopo la testa che era la zucca
*RES: mhm e alla fine allora
*EMI: lo spaventapasseri non c'è più
*RES: e l'uccellino?
*EMI: sì
*RES: e dove va?
*EMI: vola
*RES: dove?
*EMI: via
*RES: via. grazie emi sei stato gentilissimo
@Begin
@Languages: italiano
@Participants: RES (Cristiana Telch) EDO
@Date:
@Location: Trento
@Duration: 01:02
@Filename:Edo.21.chat
@Åudio:
@Transcriber:Cristiana Telch
@First Revision:
*EDO: c'era una volta un uccellino che stava morendo di freddo e di fame e volò e trovò
uno spaventapasseri e lo spaventapasseri gli chiese come[/] cos'ha::i uccellino? e
l'uccellino rispose che non ha ta[/]
aveva
freddo
e
aveva
fame
alora
lo
spaventapasseri lo faceva dor[/]fece dormire sotto la giacca e gli fece mangiare la sua
testa e i suoi e i suoi denti e dopo quando è arrivata la primavera i::l[/] lo spaventapasseri
non c'era più però l'uccellino era vivo
*RES: e cos'erano i denti e la testa e quello che si era man %RES interrottada EDO%
*EDO: la testa era una zucca e i denti erano ++ semi di mais
*RES: sì grani di mais e:: il naso?
*EDO: una carota
*RES: e gli occhi?
*EDO: due noci
*RES: due noci e alla fine mi dicevi che non c'era più
*EDO: lo spaventapasseri e l'uccellino è volato via
*RES: ok grazie mille
2.
LEMMARI INDIVIDUALI PER CIASCUN BAMBINO
Mar.14
Types Tokens
A
ala
Anche
Ancora
Bocca
ci
Cacciatore
Carota
Ce
Che
Come
con
Cosa
Denti
Di
dire
Dopo
E
Essere
estate
Fa
Fare
Finchè
Giacca
gli
Il
in
inverno
Mangiare
Naso
No
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
7
1
1
2
1
1
2
1
2
1
1
2
1
1
1
1
1
2
1
2
6
3
5
14
6
1
2
1
1
1
4
20
1
2
2
2
2
Noce
Non
Occhi
Orto
Più
Poco
Poi
Prendere
Quando
Restare
rifugiare
Riposare
Ritornare
Senza
Si
Sopra
Sotto
Spaventapasseri
Stessa
Sua
Te
Tempo
Testa
Trovare
Uccellino
Un
vivere
Volare
Volta
Zucca
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
3
1
1
2
1
3
1
2
1
1
1
1
1
4
1
1
3
1
1
1
1
2
1
2
5
1
1
1
1
Dav 15
types Tokens
A
Ala
Altri
Amico
Anche
Ancora
Appoggiare
Arrivare
Avere
Ballo
Bocca
Cacciatore
Carota
Che
Cielo
Colpire
Con
Da
Dare
Denti
Di
Dire
Dopo
Due
E
Essere
Felice
Gazze
Giacca
Giorni
Giro
Gli
Il
In
Infreddolito
Inverno
Lì
Mangiare
Morire
Naso
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
17
1
1
1
1
1
2
8
1
1
1
1
3
1
1
2
1
2
1
2
1
1
2
2
1
1
1
2
1
1
1
4
3
2
2
5
1
14
2
15
3
1
1
2
3
1
3
27
1
1
2
1
4
1
2
Niente
Noci
Non
Occhi
Passare
Per
Più
Potere
Primavera
Potere
Quando
Rifugiare
Roba
Semi
Sempre
Si
Simili
Sparare
Spaventapasseri
Stare
Su
Sua
Suo
Suoi
Sì
Testa
Tre
Trovare
Tutta
Tutto
Uccelli
Uccellino
Un
Vecchio
Vestito
Venire
Volare
Volta
zucca
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
3
1
1
1
1
1
1
1
2
2
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
6
1
1
8
1
1
2
2
1
2
1
2
1
1
1
1
4
5
1
1
1
2
1
2
Lor. 16
types
tokens
Fare
1
1
Allora
1
1
Freddo
1
2
Altro
1
4
Giacca
1
1
Anche
1
1
Giorno
1
5
Arrivare
3
3
Gli
2
4
Grani
1
1
Il
7
24
inverno
1
1
Lucia
1
1
Mais
1
2
Mangiare
3
5
mia
1
2
Mio
1
1
Avere
1
1
Babbo
1
1
Ci
1
3
Carota
1
2
Casetta
1
1
Che
2
6
Complea
nno
1
1
Con
1
1
Naso
1
1
Costruire
1
1
Natale
1
1
Neve
1
1
Noce
1
1
Noci
1
1
Non
1
1
Occhi
1
2
Papà
1
1
Parlare
1
1
Per
1
2
Perché
1
3
Da
1
2
Denti
1
2
Dentro
1
1
Di
2
8
Dire
1
3
E
1
12
Essere
2
8
Fame
1
1
Però
1
1
Sì
1
1
Piena
1
1
Sola
1
2
Più
1
2
Spaventa
passeri
1
5
Poi
1
8
Suoi
1
1
Potere
1
1
Tetto
1
1
Primaver
a
1
2
Tutta
1
1
Quando
1
1
Uccellino
1
3
Quasi
1
2
Un
2
8
Santa
1
1
Uscire
1
1
Scorrere
1
1
Vitamine
1
1
Se
1
1
Vivere
1
1
Senza
1
1
zucca
1
2
Si
1
1
Ali. 17
Types Tokens
Carota
1
1
A
2
4
Ce
1
1
Adesso
1
2
Che
2
4
Aiutare
2
3
Ci
1
1
Allora
1
2
Cocco
1
1
Altri
1
2
Contento
1
2
Anche
1
4
Corte
1
1
Avere
3
18
Da
1
1
Bene
1
2
Dare
3
4
Cappotto
1
1
Denti
1
1
Dentro
1
1
No
1
5
Di
1
2
Noci
1
1
Dire
1
1
Non
1
2
Dopo
1
5
Occhi
1
2
E
1
19
Offrire
1
1
Essere
2
5
Orto
1
1
Fame
1
4
Patatine
1
1
Fratello
1
2
Perché
1
2
Freddo
1
4
Però
1
2
Giacca
1
1
Poi
1
3
Gli
1
4
Prato
1
1
Guanti
1
2
Qualcosa
1
1
Il
9
19
Ricordare
1
1
In
2
7
Scatola
1
1
Iniziare
1
1
Se
1
4
Insegnare
1
1
Sentire
1
1
Lui
1
3
Sì
1
7
Ma
1
1
Solo
1
1
Maglia
1
2
Sotto
1
1
Mais
1
1
Spaventapasseri 1
7
Mangiare
2
2
Tanta
1
1
Maniche
1
1
Testa
1
1
Mi
1
1
Tipo
1
2
Mio
1
1
Trattare
1
1
Naso
1
2
Trovare
1
1
Un
2
6
Volta
1
1
Venire
2
2
zucca
1
1
Volere
2
2
Types Tokens
Denti
1
2
A
2
6
Dentro
1
1
Addirittura
1
1
Di
2
3
Allora
1
2
Dire
1
6
Anche
1
2
Dopo
1
7
Andare
1
1
Dormire
1
1
Arrivare
1
1
E
1
18
Avere
2
13
Essere
4
19
Bocca
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5. LO SPAVENTAPASSERI
(Storia tratta e adattata da Bruno Ferrero)
Una volta un uccellino fu ferito a un’ala da un cacciatore. Per qualche tempo riuscì a
sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno. Un
freddo mattino, mentre cercava qualcosa da mettere nel becco, l’uccellino si posò su uno
spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze,
cornacchie ed ad altri uccelli. Lo spaventapasseri aveva il corpo infagottato in un vecchio
abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione e i denti erano granelli di mais.
Per naso aveva una carota e due noci per occhi.
“Che ti succede piccolino? “, chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
“Va male!” Sospirò l’uccellino.” Fa davvero molto freddo e io non ho un rifugio. Per non
parlare del cibo… Penso che non rivedrò la primavera”
“Non aver paura! Rifugiati qui sotto la mia giacca. La mia paglia è asciutta e calda …”
Così l’uccellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Restava il
problema del cibo: era sempre più difficile per l’uccellino trovare bacche o semi. Un
giorno in cui faceva particolarmente freddo, lo spaventapasseri disse dolcemente
all’uccellino:
“Mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais!”
“Ma tu resterai senza bocca!”
“Sembrerò molto più saggio!”
Così lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico
vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce. Dopo qualche giorno fu la volta del naso di
carota: “mangialo! È ricco di vitamine!” Diceva lo spaventapasseri all’uccellino. Toccò
poi alle noci che servivano da occhi.
“Mi basteranno i tuoi racconti!” diceva lui. Infine lo spaventapasseri offrì all’uccellino
anche la zucca che gli faceva da testa.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più, ma l’uccellino era vivo e
prese il volo nel cielo azzurro.
Dichiarazione
Il/la sottoscritto/a, Cristiana Telch, dichiara sotto la propria responsabilità ai sensi
dell’articolo 47 del D.P.R. 445/2000 di aver elaborato la presente tesi autonomamente. I
pensieri e le formulazioni riprese da fonti non proprie sono debitamente evidenziati.
Il presente lavoro, in forma uguale o simile, non è stato fino ad ora presentato ad altra
commissione d’esame nonché pubblicato.
Sono consapevole delle conseguenze legali che una falsa dichiarazione può comportare.
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Data
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Firma dello/a studente