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L’IMPEDIMENTO D’ IMPOTENZA NEL
MATRIMONIO CANONICO
Nel diritto romano classico l’impotenza era causa di ripudio e la Chiesa conservò il principio romanista
secondo cui l’impotenza era causa di divorzio. Se si considera l’impotenza nella sua fase storico-legislativa,
deve affermarsi che nel diritto romano l’impotenza non fosse considerata causa di nullità del matrimonio,
essendo stato ammesso il divorzio, anche sotto la forma di ripudio, in base al quale si scioglievano le unioni
nelle quali uno dei due coniugi fosse impotente.
Le fonti ecclesiastiche dei primi secoli non parlano dell’impotenza e ciò spiega il fatto che la prassi
ecclesiastica deve aver seguito su questo punto la legge romana scostandosene; questo principio passò nel
diritto canonico successivo e diventò regola generale ragion per cui la Chiesa accettò nella sua legislazione il
principio romanista di considerare l’impotenza quale motivo di divorzio. Nel IX sec. Incmaro da Reims
afferma che non ci si deve affrettare a pronunciare lo scioglimento appena si constata l’impotenza ma
bisogna accertarsi se essa sia naturale o se provenga da sortilegio; in questo secondo caso, siccome è a
causa dei peccati degli uomini che Dio permette al demonio di colpirli in questo modo, bisognerà, prima di
qualsiasi decisione, esortare i peccatori a fare penitenza mediante la confessione dei peccati con la
conseguenza che, una volta sperimentate inutilmente tali preghiere, si potrà pronunciare il divorzio.
Allora non restava altro che affidarsi a due soluzioni possibili: o fare dell’impotenza un impedimento e una
causa di nullità del matrimonio o negarle ogni valore.
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PIETRO LOMBARDO
•
CHIESA ROMANA
 si attenne alla prima soluzione, attribuendo all’impotenza la capacità di
rendere invalido il vincolo per un difetto di piena legittimità, purchè i coniugi non fossero
a conoscenza di tale impedimento all’atto dello scambio dei consensi;
 considerò tale defectus corporis come giuridicamente irrilevante.
Punto focale fu la distinzione tra:
o IMPOTENZA  impotente e quindi inabile al matrimonio era l’inabile alla copula;
o STERILITÁ  sterile e quindi abile alle nozze ma incapace alla generazione.
can. 1068 Codice piano - benedettino  il codice necessitava quindi di trovare un criterio per distinguere
l’impotenza dalla sterilità. Solo l’impotenza coëundi è quella che dirime il matrimonio ossia l’incapacità alla
congiunzione sessuale. La dottrina distingue poi tra actio humana e actio naturae delle quali solo la prima è
giuridicamente rilevante:

actio humana  penetrazione dell’uomo ed effusione di vero seme in vagina; tutto ciò costituisce
la copula perfecta cioè quella in cui l’atto copulativo vero e proprio risulta idoneo e ordinato alla
generazione.

actio naturae  passaggio del seme all’utero, fecondazione e maturazione del feto.
In realtà l’impotenza intesa come impedimento non è né quella coëundi né quella generandi ma a formare
il concetto contribuiscono elementi dell’una e dell’altra. Inoltre si presenta la questione se per porre
l’elemento consumativo del matrimonio sia sufficiente l’esistenza degli elementi fisici o se debba esigersi
anche l’elemento psichico, la cosiddetta voluntas copulandi.
Il Codice piano – benedettino del 1917 esige che l’impotenza presenti tre requisiti necessari:
1)
ANTERIORITÀ
 perché l’impotenza possa costituire impedimento è necessario che essa risulti essere
antecedente alla celebrazione del matrimonio. É difficile stabilire se l’impotenza sia antecedente o
susseguente al matrimonio: se il dubbio sorge immediatamente dopo celebrato il matrimonio e la
tentata consumazione, si presume che sia antecedente, laddove, se il dubbio nasce dopo parecchio
tempo, si presume che sia susseguente.
2)
PERPETUITÀ
3)
CERTEZZA
 quando per media naturalia licita l’impotenza non può essere sanata se non con
pericolo di morte laddove temporanea deve ritenersi quando cessa col decorrere del tempo o con
mezzi leciti, senza pericolo di vita e senza grave danno alla salute magari con operazione chirurgica.
A tal proposito si deve sottolineare che se l’impotenza è eliminabile con operazione chirurgica non
pericolosa per la vita del soggetto, questi è tenuto a subirla; al contempo si afferma che sussista
l’impedimento al matrimonio nel momento in cui l’impotenza debba essere eliminata con
operazione chirurgica dolorosa che metterebbe a rischio di vita il coniuge.
L’incapacità sessuale si considera giuridicamente perpetua anche quando essa risulti determinata
da certe condizioni antigiuridiche; è bene precisare allora cosa si intenda per mezzi straordinari e
mezzi illeciti: i primi sono al tempo stesso sia i mezzi soprannaturali (miracolo) sia i mezzi umani
fortuiti invece nei secondi si ricomprendono tutti quei mezzi moralmente illeciti e peccaminosi,
identificando l’illecito giuridico appunto con l’illecito morale.
 l’impotenza deve essere certa dunque se vi è dubbio sull’esistenza dell’impedimento di
impotenza il matrimonio non può essere impedito.
L’impotenza si distingue in:
•
impotenza coëundi  incapacità a compiere la copula perfecta;
•
impotenza generandi  inettitudine alla generazione della prole;
•
impotenza organica  assenza o difetto di conformazione degli organi genitali;
•
impotenza funzionale  semplice perturbazione del loro funzionamento;
•
impotenza naturalis  deriva da un vizio naturale;
•
impotenza accidentalis  deriva da un infortunio;
•
impotenza assoluta  impedisce la congiunzione sessuale con qualsiasi persona di sesso diverso;
•
impotenza relativa  impedisce la congiunzione sessuale con l’altra parte.
IMPOTENZA MASCHILE
L’uomo ha bisogno di compiere un triplice atto perché possa dirsi idoneo alla copula coniugale:
erezione – penetrazione – eiaculazione.
La impotentia coëundi nell’uomo può essere di natura organica o funzionale:
a) natura organica  è dovuta alla mancanza totale della verga o congenita o
in seguito ad amputazione; la mancanza parziale è dovuta o a sviluppo
incompleto o a mutilazioni che comportano la riduzione del membro. Non è
necessaria una penetrazione completa e totale, essendo sufficiente che
essa sia tale da permettere la seminazione anche parziale in vagina. Si ha
impotenza nel caso di perpetua atrofia dei testicoli.
È nullo il matrimonio in caso di fecondazione artificiale, perche l’oggetto del contratto matrimoniale è la
copula perfecta, che non può aversi in modo naturale per incapacità del coniuge alla penetrazione quindi la
fecondazione artificiale non costituisce consumazione del matrimonio .
b) natura funzionale  si ha quando l’incapacità all’erezione o alla
penetrazione non deriva da difetti organici ma da difetti di funzionalità o da
semplici cause nervose di natura psichica che inibiscono l’atto sessuale.
Si ha impotenza maschile anche nel caso in cui sia incapace di elaborare e di eiaculare il verum semen.
IMPOTENZA FEMMINILE
Qualunque difetto o anomalia degli organi genitali femminili, anteriore al matrimonio e perpetua, il quale
non consenta la penetrazione del membro virile nella vagina e l’effusione del verum semen, pone in essere
un’impotenza della donna in senso giuridico canonistico.
Le forme di impotenza femminile possono raggrupparsi in due diverse categorie:
1. difetti prevaginali  costituiti da certe affezioni midollari, difetti del bacino o processi
infiammatori; non ha alcuna rilevanza giuridica la frigidità della donna nonché l’assenza di orgasmo
durante l’amplesso. Non si richiede la voluntas copulandi della donna fra i fattori necessari alla
copula perfecta. Tra i casi di impotenza muliebre si ricorda il vaginismo.
2. difetti della vagina  comporta impotenza la mancanza della vagina o se essa sia occlusa e
impenetrabile dal pene maschile
L’IMPOTENZA NELL’ATTUALE MATRIMONIO CANONICO
In base al can. 1015 del Codice piano – benedettino, l’atto consumativo del matrimonio era stato definito
un concetto giuridico anche se tendeva ad adeguarsi, per quanto possibile, all’ordine naturale delle cose.
Dopo la Costituzione Gaudium et spes si è scoperta e consacrata una nuova figura coniugii assai più
adeguata alla sua natura sacramentale rispetto a quella classica poiché pone l’accento sulla intima
communio vitae et amoris tra l’uomo e la donna.
La disciplina dell’impedimento di impotenza risente in misura più appropriata del cambiamento di
prospettiva operato dal Codice del 1983 in quanto dà rilevanza alla dimensione personale del rapporto
coniugale.
can. 1084 Codice 1983  l’impotenza costituisce un impedimento dirimente, sia da parte dell’uomo sia da
parte della donna, se è antecedente al matrimonio e perpetua e non necessita di assolutezza, bastando
anche che sia relativa. L’impotenza deve essere antecedente al matrimonio con la conseguenza che non ha
rilevanza un’impotenza sopravvenuta e perpetua. Ne deriva che anche per il nuovo Codice i requisiti sono
sempre tre: antecedenza - perpetuità - certezza. Si precisa fin dall’inizio che si tratta di impotenza coëundi
che non deve confondersi con quella generandi. Il Concilio Vaticano II sostiene che il matrimonio non è
stato istituito solo per la procreazione e quindi anche se la prole, molto spesso desiderata, non c’è il
matrimonio perdura come rapporto e comunione di tutta la vita.
can. 1060 - principio del “favor iuris”  un matrimonio celebrato con un’impotenza dubbia non può essere
dichiarato nullo finché sussista il dubbio quindi esso gode di tale principio fino a che non sia provato il
contrario.
Dato che il Decreto del 1 marzo 1914 della S. Congregazione del Santo Offizio non specificava né la natura
né l’origine del seme da eiaculare e questo doveva essere appunto il seme elaborato dai testicoli
dimodocchè ove fosse assente tale seme specifico, affermava la Rota Romana, la copula coniugale doveva
ritenersi carente di uno degli elementi essenziali. In passato si diceva che vi fosse impotenza non solo in
caso di impossibilità di penetrazione ma anche in caso di mancata effusione del verum semen, cioè del
seme elaborato nei testicoli.
L’antica dottrina di Ippocrate partiva dall’idea che si potesse giungere al concepimento con la compresenza
del seme femminile per cui la consumazione del matrimonio avveniva con la fusione del seme maschile e di
quello femminile.
Cum frequenter di Sisto V (27 giugno 1587)  la questione era sorta verso la seconda metà del sec. XVI in
Spagna, dove gli eunuchi e gli spadoni, nonostante la invalidità dei matrimoni da essi contratti, avevano
continuato a contrarre matrimonio con la tolleranza della Chiesa. Lo scandalo fu tale che il nunzio
apostolico si rivolse al pontefice Sisto V per sollevare il problema ed averne una definitiva risposta.
In base a tale breve si sottolinea il criterio discriminativo fra il verum semen e l’humor quidam similis semini
con la conseguenza che il verum semen presuppone l’esistenza anatomica e funzionale delle ghiandole
testicolari. Si trattava dunque di risolvere la questione relativa all’ammissibilità degli eunuchi e degli
spadoni al matrimonio canonico ed in proposito si espresse il papa Sisto V il quale dichiarava che gli eunuchi
e gli spadoni erano inabili alle nozze e prescriveva che i matrimoni da essi contratti fossero nulli.
Invero il breve non costituisce un atto infallibile ma un semplice provvedimento a carattere disciplinare di
diritto naturale, la cui applicazione peraltro riguardava la sola nazione spagnola. Vi erano due ragioni
fondamentali per proibire il matrimonio agli eunuchi e agli spadoni: 1) perché impotenti al rapporto
coniugale; 2) perché da questi matrimoni non proviene alcuna utilità.
I contrasti nell’interpretazione del breve sistino si sono aggravati col tempo perché agli inizi del secolo
ventesimo un illustre canonista mise fine alla disputa, osservando che per aversi la consumazione del
matrimonio e quindi per perfezionare la copula, da parte dell’uomo era necessario il semen in testiculis
elaboratum.
SACRA ROMANA ROTA
 ha sempre affermato che il seme dell’uomo privo di spermatozoi non può dirsi vero
seme per cui sono incapaci alla copula e quindi al matrimonio coloro che non sono in grado di produrre ed
emettere seme elaborato nei testicoli.
SACRA CONGREGAZIONE DEL SANT’OFFIZIO
 sostiene che nel caso di sterilizzazione sia dell’uomo che della donna, il
matrimonio non si doveva impedire; inoltre si ammettono al matrimonio non solo i vasectomiati ma anche i
castrati.
Si può ben comprendere che esistesse un netto contrasto tra le due istituzioni per cui doveva essere
sancito un nuovo principio dottrinale. Si avvertiva il bisogno di un superamento della concezione storico –
giuridica del matrimonio al fine di istituire una nuova concezione impostata non più sulla ordinatio ad
prolem ma piuttosto su quella intima communio vitae et amoris.
Decreto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (13 maggio 1977)  risolve per sempre la
questione dei vasectomiati e di coloro che si trovano nella stessa situazione. Si compone in sostanza di una
breve premessa e di due decisioni. Nella premessa si fa riferimento alla prassi da sempre seguita ovvero il
non impedimento a contrarre matrimonio da parte dei vasectomiati; dopodiché si passa alle decisioni:
1. l’impotenza che rende nullo il matrimonio consiste nell’incapacità, antecedente e perpetua, sia
assoluta sia relativa, di compiere la copula coniugale;
2. per la copula coniugale non si richiede necessariamente il seme elaborato nei testicoli quindi ai fini
di una copula perfecta si deve avere una seminatio ordinaria.
Il decreto ha inoltre eliminato la disuguaglianza tra impotenza maschile e impotenza femminile ed ha
efficacia anche per gli infedeli e i non battezzati.
Con esso la Chiesa ha voluto interpretare e dichiarare quando il diritto divino impedisce o dirime il
matrimonio e la conclusione è che per diritto naturale, è sufficiente la seminazione ordinaria e non quella
testicolare per compiere un vero atto copulativo.
Il decreto ha valore retroattivo.