1.L`Assistenza spirituale diritto del malato

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1.L`Assistenza spirituale diritto del malato
CAP. 14 – PASTORALE DELLA SALUTE E SPIRITUALITA’
SCHEMA DEL CAPITOLO
1.L’Assistenza spirituale diritto del malato
2.La pastorale della salute
2.1. Definizione
2.2.Campi di azione e modalità d’attuazione della pastorale della salute
2.2.1Umanizzazione
2.2.2.Ascolto e relazione
2.2.3.Evangelizzazione
2.2.4.Sacramenti
3.La fede una risorsa per la malattia
1.L’Assistenza spirituale diritto del malato
Dalla Storia della Chiesa conosciamo la continua e ininterrotta presenza della
Chiesa nel settore sanitario mediante Opere proprie o prestando l’assistenza religiosa
mediante l’opera del cappellano che fino a qualche decennio fa aveva una posizione
marginale e secondaria rispetto alle altre competenze professionali. Infatti, il ruolo del
cappellano era limitato essenzialmente a quello sacramentale: celebrazione del
sacramento della Riconciliazione, distribuzione della santa Comunione, frettolosamente,
magari di primo mattino, presenza nell’imminenza della morte, richiesto dai parenti per il
famigliare moribondo e semi-incosciente. L’evoluzione moderna dell’ospedale e
l’importanza assunta da questa istituzione dove s’incontrano tutti gli strati della società,
anche quelli che non frequenteranno mai le istituzioni ecclesiali, hanno offerto nuovo
vigore alla pastorale sanitaria, di conseguenza anche al ruolo del cappellano, supportato
anche dall’iter legislativo-giuridico.
Nel 1968 fu affermata l’ufficialità della presenza del cappellano e l’obbligatorietà del
servizio di assistenza religiosa come concretizzazione della Costituzione della Repubblica
Italiana che riconosce la dignità della persona umana e ne garantisce le libertà e i diritti
inviolabili, compresi quelli riguardanti la sfera religiosa1.
Esaminiamo i testi legislativi più importanti.
-Legge 132 (1968) – cosiddetta “Legge Mariotti”.
Nell’articolo 19, comma 1, si dichiarava “il servizio di assistenza religiosa” un “requisito”
obbligatorio ai fini della classificazione fra gli “Enti ospedalieri”. La legge, precisava inoltre,
all’articolo 39, ultimo comma, che rientrava fra il personale degli enti ospedalieri anche
quello dedicato all’assistenza religiosa, costituito da ministri del culto cattolico per quanto
riguardava l’ assistenza agli infermi di confessione cattolica.
-Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128.
L’articolo 35, oltre che affermare l’obbligatorietà del servizio religioso, ha ulteriormente
disciplinato questo servizio, in particolare prevedendo che l’ordinamento “… del servizio di
assistenza religiosa cattolica è determinato dai regolamenti interni, deliberati dagli enti
1
Cfr. Costituzione Italiana, art. n. 2.
147
ospedalieri, d’intesa con gli Ordinari diocesani competenti per territorio”. Ha fissato, inoltre,
le modalità e le forme dello svolgimento.
-Legge 833 (1988) – Legge istitutiva del Servizio Sanitario nazionale.
Nell’articolo 17, comma 1, si affermava che tra i compiti istituzionali del Servizio Sanitario
Nazionale vi era anche quello dell’assistenza religiosa ai degenti nelle strutture di ricovero
pubblico2. Rimandiamo a S. Bambini, protagonista di quell’epoca, il commento di questo
provvedimento: “La legge accanto a garanzie giuridiche ed economiche ha offerto grandi
possibilità per un’attività pastorale creativa e collaborativa. Molte convenzioni, nello spirito
delle legge-quadro, chiamano l’assistenza religiosa a concorrere ai fini istituzionali del
servizio sanitario nazionale; al sostegno psicologico, umano e sociale del malato; alla
formazione del personale sanitario; all’organizzazione di attività pastorali e culturali, oltre,
ovviamente, alla celebrazione del culto divino e all’amministrazione dei Sacramenti” 3.
-Legge 121 (1985): Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato
a
Roma
il
18
febbraio
1984,
che apporta modifiche al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica
italiana e la Santa Sede (18 febbraio 1984).
La legge riaffermava il principio che la Repubblica Italiana garantiva l’assistenza spirituale
ai cattolici degenti negli ospedali4 ai membri delle forze armate e ai carcerati; inoltre si
prevedeva che lo stato giuridico, l’organico e le modalità di svolgimento fossero stabiliti
d’intesa tra le autorità italiane e quelle ecclesiastiche.
-Intese Regionali
Per accelerare l’applicazione della legge e per le competenze legislative attribuite alle
regioni dalla Riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione 5, varie
Conferenze Episcopali Regionali stipularono con le Giunte Regionali delle “Intese
regionali” per la disciplina del servizio di assistenza religiosa cattolica negli Enti sanitari e
assistenziali pubblici e privati accreditati. Essendo, le Conferenze Episcopali Regionali,
Enti ecclesiastici legalmente riconosciuti, le “Intese regionali” sono atti subconcordatari
con valore di legge appartenenti al diritto particolare6.
2
“Presso le strutture di ricovero del servizio sanitario nazionale è assicurata l’assistenza religiosa nel rispetto della
volontà e della libertà di coscienza del cittadino”.
3
S. BAMBINI, Nuova presenza nel mondo della salute, in “Insieme per servire”, 1 (1989), pg. 12
4
“La Repubblica Italiana assicura che l’assistenza alle forze armate, alla polizia, o altri servizi assimilati, la degenza
negli ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar
luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento della pratiche di culto dei
cattolici” (Art. 11 n. 1).
5
Cfr.: Legge Costituzionale 11 novembre 2001, n. 3.
6
Riportiamo, come esempio, il protocollo d’intesa tra la Regione Lombardia e la Regione Ecclesiastica Lombarda
(CEL) firmato il 21 marzo 2005.
All’articolo 5 si evidenziano la finalità del servizio religioso e le azioni conseguenti: “Il servizio di assistenza religiosa
ha per oggetto le attività dirette all’amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali, alla cura delle anime, alla
catechesi e all’esercizio del culto.
Esso inoltre comprende: a) il sostegno al processo terapeutico della persona ammalata; b) la promozione di attività
culturali a carattere religioso; c) l’accompagnamento spirituale e umano e la relazione di aiuto; d) il contributo in
materia di etica e di umanizzazione nella formazione del personale e l’eventuale partecipazione nei comitati etici; e) la
promozione del volontariato, in particolare per l’umanizzazione delle strutture, dei servizi e dei rapporti interpersonali;
f) l’attenzione al dialogo interconfessionale e interreligioso; g) le prestazioni di carattere amministrativo per
l'organizzazione e le esigenze di ufficio (certificazioni, corrispondenza, archivio, custodia degli edifici di culto, degli
arredi e delle suppellettili sacre)”.
Nell’intesa si definiscono anche i doveri dei cappellani che coprono un pubblico impiego, il loro organico, le modalità
di servizio: orario, reperibilità e sostituzione, le strutture e beni in dotazione.
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Dalla normativa si deduce chiaramente il diritto del malato all’assistenza religiosa.
Di conseguenza, le amministrazioni sanitarie hanno l’obbligo di garantirla
indipendentemente dai “pareggi di bilancio” o dalle ristrettezze economiche, e gli operatori
sanitari devono facilitarla oltrepassando la loro religiosità o il loro ateismo.
2.La pastorale della salute
2.1. DEFINIZIONE
Con il termine “pastorale” s’intende “l’azione multiforme della comunità ecclesiale,
animata dallo Spirito Santo, per l’attuazione nel tempo del progetto di salvezza di Dio
sull’uomo e sulla sua storia, in riferimento alle concrete situazioni di vita”7. La pastorale
impegna ogni battezzato e coinvolge la parrocchia, la famiglia, la scuola, i mass-media, il
mondo del lavoro e della salute…; cioè tutti i campi d’azione della società.
La “pastorale della salute”, nella Nota della “Consulta Nazionale CEI per la
Pastorale della Sanità”: “La pastorale della salute nella Chiesa italiana” (1989) è descritta
in questi termini: “La presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia a
coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura”8. Un manuale di teologia pastorale
sanitaria del 1999 completa la definizione: “La pastorale della salute è la presenza e
l’azione della Chiesa finalizzate all’evangelizzazione del mondo sanitario attraverso
l’attualizzazione della presenza liberatrice, sanante e salvatrice di Cristo, nella potenza
dello Spirito Santo”9.
La Nota pastorale della “Commissione Episcopale per il Servizio della Carità e la Salute”:
“Predicate il vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute”
(2006), riprende entrambe le definizioni integrandole fra loro.
Alcuni elementi che caratterizzano la pastorale della salute:
- è continuazione dell’azione sanante di Cristo;
- è finalizzata all’evangelizzazione e alla costruzione del Regno;
- è compito di tutta la comunità cristiana;
- si svolge mediante la parola e l’azione caritativa in un determinato contesto storico e
culturale come risposta alle necessità del mondo della salute.
Il vescovo F. Montenegro nell’introduzione alla Nota del 2006, scrive: “Dare attuazione
convincente al comando di Gesù che mandò i suoi discepoli ‘ad annunciare il regno di Dio
e a guarire gli infermi’ (Lc. 9,2), è oggi una fra le più urgenti forme di evangelizzazione”10.
Guardando al modello esemplare di Gesù che ha incontrato, curato e guarito gli ammalati
del suo tempo, troviamo l’illuminazione e l’incoraggiamento per comprendere e valorizzare
la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo della salute come via privilegiata e urgente
di evangelizzazione. Infatti, esiste un forte legame tra evangelizzazione e mondo della
salute rispondente al comando del Signore Gesù di annunciare la lieta notizia dell’amore
misericordioso di Dio, portando a tutti salute e salvezza.
7
R. TONELLI, Pastorale giovanile. Dire la fede in Gesù Cristo nella vita quotidiana, LAS, Roma 1987, pg. 16.
CONSULTA NAZIONALE CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana, 1989,
n. 19.
9
A. BRUSCO – S. PINTOR, Sulle orme di Cristo medico, EDB, Bologna 1999, pg. 37.
10
COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL SERVIZIO DELLA CARITÀ E DELLA SALUTE, Predicate il vangelo e curate i malati. La
comunità cristiana e la pastorale della salute, EDB, Bologna 2006, pg. 5.
8
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La pastorale della salute, perciò, è la risposta evangelizzante che la Chiesa,
sacramento di salvezza, offre come comunità sanante, a chi è malato o disabile e a coloro
che, in vari modi, se ne prendono cura.
Per raggiungere gli obiettivi propri di questo settore della pastorale non bastano i
documenti del Magistero, la buona volontà di pochi “addetti ai lavori”, i centri accademici di
formazione…; è urgente che sia assunta come incombenza da tutta la comunità cristiana
nella varietà dei suoi membri. Ogni cristiano perciò deve percepire e attuare il comando
del Maestro: “Annunciate il regno di Dio, curate gli infermi” (Lc. 9, 2).
2.2. CAMPI DI AZIONE E MODALITÀ DI ATTUAZIONE DELLA PASTORALE DELLA
SALUTE
L’assistenza religiosa in ospedale è animata dall’assistente spirituale (cappellano) o
dalla cappellania ospedaliera11.
Oltre l’assistenza religiosa dei malati, dei loro parenti e degli operatori sanitari, in quali
settori si attua la pastorale della salute?
2.2.1.UMANIZZAZIONE
Nel mondo della salute è sempre più forte la domanda di umanizzazione. Anzi,
secondo la Nota della CEI, “la Chiesa ritiene che l’umanizzazione del mondo sanitario sia
un compito urgente e perciò la include nell’ambito dell’azione pastorale, convinta della
valenza evangelizzatrice di ogni iniziativa volta a imprimere un volto più umano
all’assistenza e cura dei malati”12.
Il termine “umanizzazione” è presente nell’ambito socio-assistenziale da oltre
quarant’anni, da quando ci si è accorti che la prassi medica e l'efficienza tecnico-scientifica
avevano preso il sopravvento rispetto ai bisogni globali del sofferente.
“Umanizzazione” significa “prendersi cura” in maniera esemplare del malato nella
sua globalità in un contesto di sempre maggiore frazionamento e specializzazione.
E, “prendersi cura”, è diverso da “curare”!
Il “curare” si riferisce a una concezione di medicina in cui prevale il dato biologico e
l’ammalato è ritenuto un “oggetto”; il “prendersi cura” fa riferimento alla “concezione
olistica” del paziente in cui sono valutate anche le componenti psicologiche, religiose e
sociali del malato inteso come “soggetto”.
Il malato, per la filosofia dell’umanizzazione, è il principale interlocutore, un soggetto
responsabile e non unicamente un passivo fruitore di servizi al quale è tolta ogni
autonomia.
L'umanizzazione riguarda tutti gli aspetti e tutte le fasi dell'assistenza e della cura:
dal ricovero alle dimissioni (situazione alberghiera, prestazioni sanitarie, qualità della vita
del degente, aspetti relazionali...).
11
Così la Nota “La pastorale della salute nella chiesa italiana” definisce la Cappellania Ospedaliera: è un “espressione
del servizio religioso prestato dalla comunità cristiana nelle istituzioni sanitarie”(n. 79). Essa può essere composta “da
uno o più sacerdoti cui possono essere aggregati anche diaconi, religiosi e laici”(n. 80). Nel Documento “Predicate il
Vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute” si specifica ulteriormente il significato: “La
cappellania permette di valorizzare la partecipazione e la collaborazione di diaconi, consacrati e consacrati e laici,
accanto alla figura irrinunciabile del sacerdote. Questa varietà di presenze e di carismi contribuisce a favorire uno
svolgimento più articolato dei diversi compiti pastorali, dando spazio non solo alla celebrazione dei sacramenti ma
anche ad altre attività di evangelizzazione e servizio”(n. 66).
12
Predicate il vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute, op. cit., n. 20
150
Non è sentimentalismo, ma il sentimento da porre accanto all'intelligenza e alla
volontà nell'esercizio dell'arte sanitaria; perciò assume una forte valenza culturale.
Dunque, l'umanizzazione, non è un’operazione di facciata, ma un’ identità culturale e uno
stile di comportamento che coinvolge tutti coloro che, a vario titolo, operano in sanità13.
2.2.2.ASCOLTO E RELAZIONE
Nella pastorale della salute la relazione umana riveste un ruolo importante e gli
assistenti spirituali e gli operatori pastorali, spesso occupano un posto unico nella vita di
varie persone che si trovano ad affrontare la sofferenza, la malattia e la morte. Alcune
volte sono gli accompagnatori più idonei ed efficaci in un percorso difficile; a loro possono
essere rivolte innumerevoli domande e richieste d’aiuto. Perciò, sono chiamati ad offrire un
servizio che, normalmente, si esprime con una relazione.
Un autentica relazione, e in particolare una “relazione di aiuto”14, esige innanzitutto
la capacità d’ascolto. E, l’ascolto, è un atteggiamento difficile; presuppone il silenzio,
domanda di concentrarsi sull’altro, dimenticando se stesso e il proprio mondo interiore.
Non è esagerato affermare che il vero ascolto impone un cambiamento, una
“conversione”, con cui si rinuncia a se stessi per porre completamente l’ attenzione
sull’altro15. G. Colombero parla di ascolto come di un “atto spirituale”, impossibile “se
l’interiorità è assente …. Il vero ascolto è possibile solo nel silenzio di tutto il resto”16.
2.2.3.EVANGELIZZAZIONE
Secondo il dizionario della lingua italiana “Devoto – Oli”, il termine
“evangelizzazione” significa: “la conversione al Cristianesimo mediante la predicazione del
Vangelo e l'applicazione dei suoi principi”17.
Nel mondo della salute “evangelizzare” è innanzitutto “annunciare il regno di Dio e a
guarire gli infermi” (Lc. 9,2) con la testimonianza e i gesti di assistenza e di cura. Quando
è un credente a compiere questi gesti, “non solo pone le premesse per l’evangelizzazione”
del mondo della salute, “ma già realizza un’attività evangelizzatrice”18.
Oggi, nel mondo della salute, l’assistente spirituale e l’operatore pastorale, sono il primo
sacramento della “vicinanza misericordiosa ed evangelizzatrice di Cristo”.
La sofferenza, il dolore e la malattia sono situazioni di sfida per l’uomo sia nella
dimensione fisica che psichica e, perciò, anche in quella spirituale, mettendo in crisi le
convinzioni più profonde anche del credente. Dio, quasi sempre, almeno in un primo
tempo, viene considerato il responsabile diretto della situazione che può essere vissuta
come “punizione” per una colpa commessa. Anche la stessa esistenza di Dio può essere
messa in discussione. E poi troviamo la frequente domanda: “Perché proprio a me?”, che
non è unicamente un quesito, ma una richiesta di aiuto e un grido di dolore.
In questi momenti è difficoltoso pronunciare una parola di aiuto, di consolazione e di
speranza; si ha la sensazione che esse siano inutili e senza senso. Ma è proprio in quella
situazione, spesso drammatica, che si accompagna la persona nel cammino di
13
Per approfondire questi aspetto di rimanda al capitolo 16 di questo Manuale.
Per “relazione di aiuto” si intende la comunicazione attraverso cui l’aiutante (operatore pastorale, religioso…),
mediante le sue attitudini e l’uso di tecniche appropriate favorisce la crescita dell’aiutato (malato, famigliare…).
15
Cfr.: A. BRUSCO, La relazione pastorale di aiuto: camminare insieme, Camilliane, Torino 1993, pagg. 78-79.
16
G. COLOMBERO, Dalle parole al dialogo, Paoline, Milano, 1987, pag. 207.
17
DEVOTO - OLI, Dizionario lingua italiana – on line
18
Cfr. Predicate il vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute, op. cit., n. 26
14
151
evangelizzazione, proponendo un rinnovato rapporto con Dio. Per questo è essenziale che
l’assistente spirituale o l’operatore pastorale testimoni che Dio è amore, e per Lui, ogni
persona è unica e irrepetibile. Una testimonianza, questa, che trova un valido punto di
riferimento nella parabola lucana del “Buon Samaritano” (cfr. Lc. 10, 29-37).
L’Evangelizzazione, nella sua pluralità di contesti ed elementi, nel mondo della
salute è strettamente collegata alla “diaconia della carità evangelica, espressa attraverso
gesti concreti di accoglienza, di condivisione, di cura e di solidarietà”19.
2.2.4.SACRAMENTI
La celebrazione dei sacramenti è un cardine della pastorale della salute.
Oltre l’Eucarestia, due sacramenti sono particolarmente di guarigione: “la Riconciliazione”
liberando il malato dai peccati e rendendolo disponibile ad unire le sue sofferenze alla
passione redentrice di Cristo e “l’Unzione degli infermi”.
Il sacramento dell'Unzione degli infermi ha un'origine antichissima e trova la sua
fondazione nella lettera di san Giacomo quando afferma: “Chi è malato, chiami a sé i
presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l'olio, nel nome del
Signore. E la preghiera, fatta con fede, salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha
commesso dei peccati, gli saranno perdonati” (Gc. 5,13-15).
L’Unzione degli Infermi che nei primi secoli della storia della Chiesa accompagnò
numerosi malati, e fu definita dal Concilio di Trento un “sacramento istituito da Cristo
nostro Signore e promulgato dal beato Giacomo apostolo”, a causa di eventi storici e
sociali, per un tempo prolungato, fu configurato il sacramento dei moribondi, assumendo
l’erronea definizione di “estrema unzione”.
Il Concilio Vaticano II e la Riforma Liturgica gli restituirono il significato originario:
“L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, unzione degli infermi, non
è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita” 20. Fu determinato chi doveva
riceverla: “l tempo opportuno per riceverla si ha certamente già quando il fedele, per
malattia o per vecchiaia, comincia ad essere in pericolo di morte” 21. Concetto ripreso da
papa Paolo VI: “quei fedeli il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per
malattia o per vecchiaia”22.
Dunque, come chiarifica il rituale, l’Unzione degli Infermi può essere somministrata
prima di un intervento chirurgico rischioso, agli anziani con indebolimento accentuato delle
loro forze, agli ammalati gravi, a chi giace in stato di incoscienza e si ritiene che come
credenti, nel possesso delle facoltà, essi stessi avrebbero chiesto il sacramento. Perciò, i
destinatari dell’Unzione, sono “i malati e non i moribondi”; coloro che possono chiamare i
presbiteri mostrando la loro piena libertà ed adesione.
Furono illustrati inoltre gli effetti: “questo sacramento conferisce al malato la grazia
dello Spirito Santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato
dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della
morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo, e
conseguire la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il
19
Sulle orme di Cristo medico, op. cit., pag. 111
CONCILIO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 73.
21
Sacrosanctum Concilium, op. cit. n. 73.
22
PAOLO VI, Costituzione Apostolica Sacram Unctionem infirmorum, 1972, n. 8.
20
152
sacramento, dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il
cammino penitenziale del cristiano”23.
Il sacramento che genera due tipologie di conseguenze, la “salute fisica”(qualora ne
derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale) e la “salvezza spirituale”, non è un
atto magico come già aveva precisato nel IV secolo san Cesario di Arles (cfr Sermone 13),
ma agisce vantaggiosamente sulle dimensioni fisico-psico-spirituale del ricevente,
sostenendolo nell’accettare il male fisico e morale che l’opprime, causandogli ansia e
angoscia.
Di fronte a questi benefici, scaturisce l’ invito, quando le circostanze lo permettono,
a celebrarlo comunitariamente al letto del malato con la presenza dei famigliari e degli
operatori sanitari. Tutti insieme si invocherà il Signore Gesù: “Guarda benigno questo tuo
fratello che attende da Te la salute del corpo e dello spirito: nel Tuo nome noi gli abbiamo
dato la santa Unzione, Tu donagli vigore e conforto, perché ritrovi le sue energie e vinca
ogni male”24.
3.La fede una risorsa per la malattia25
Nella società si riscontra, soprattutto negli ultimi anni, un aumentata domanda di
spiritualità e di religiosità nonostante il tentativo di eclissare il sacro con l'avvento della
secolarizzazione, del relativismo e dell'ateismo sia teorico (negazione di Dio mediante il
ragionamento) che pratico (l'agire come se Dio non esistesse).
Questa domanda, e di conseguenza la richiesta di approfondimento e di riflessione,
è presente anche nel contesto socio-sanitario.
Da parte del malato, che magari dopo anni di indifferenza, nel periodo del dolore
percepisce dentro di sé il desiderio di ricercare delle risposte agli interrogativi fondamentali
della vita, di capire il “perché” di quella sofferenza e quindi sente l'esigenza di rapportarsi
nuovamente con il Trascendente.
Da parte di operatori sanitari che adottano l’ indirizzo olistico26. o unitotalitario
nell’assistenza e nella cura, convinti dell’importanza dell’aspetto spirituale o religioso nel
23
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramento della penitenza e unzione degli infermi, 1974, n.
6.
24
Dalla liturgia.
Tre riferimenti presenti in questa parte: spiritualità, religiosità, fede.
SPIRITUALITÀ: “La spiritualità comprende la religiosità ma non coincide con questa. La spiritualità è un concetto più
ampio, non connesso con una particolare fede religiosa, anche se tende ad essere vista come tale, almeno nella cultura
occidentale. La spiritualità è una dimensione umana universale che si esprime attraverso le relazioni interpersonali, la
creatività, l'affettività, i valori, le convinzioni religiose” (F. CARETTA – M. PETRINI, Ai confini del dolore, Città Nuova,
Roma 1999, pg. 54).
RELIGIOSITÀ: “Quando lo spirituale (i grandi interrogativi, le aspirazioni profonde) trova la sorgente o la risposta nella
fede e nella relazione con Dio, e si esprime attraverso un particolare sistema di credenze, simboli, riti, persone che
fanno da mediazione tra Dio e l’uomo, possiamo parlare di religiosità” (A. BRUSCO, L’accompagnamento spirituale del
morente, in “Camillianum” 13 (1996), pg. 25).
FEDE: “Atteggiamento esistenziale. La fede ci dà la convinzione di essere amati, ci libera dalla solitudine e
dall’angoscia del nulla, ci dispone ad accettare noi stessi e ad amare gli altri, ci dà il coraggio di sfidare l’ignoto” (n.
87). “La fede è adesione totale dell’uomo a Dio, affidamento di sé, del proprio futuro a lui. Dono di Dio che opera per
mezzo della carità” (n. 95) (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Catechismo degli adulti, Roma 1995).
In altre parole, la fede è l’adesione libera a Dio che io incontro nella storia.
26
Da olismo che deriva dal greco ὅλος cioè "tutto, intero, totale".
25
153
processo di terapeutico o di adattamento a situazioni invalidanti o nell’accompagnamento
alla morte.
Studi e ricerche27, condotte prevalentemente nel mondo anglosassone, hanno
evidenziato, a partire dagli anni ’80 del XX secolo, che la fede, la spiritualità e la religiosità
influiscono positivamente sullo stato di salute e nel processo terapeutico; tutto ciò è stato
giustificato con metodologie e osservazioni empiriche.
Molti sono i risultati pubblicati riguardanti “sperimentazioni” su queste tematiche; noi, come
esempio, ne riportiamo alcune riguardanti persone sane, ammalati e la prima, e forse
unica, condotta in Italia.
Una ricerca della “California Public Health Foundation di Berkeley”, che ha seguito
per 30 anni 5.000 adulti sani, ha dimostrato che un’assidua partecipazione alle funzioni
religiose riduce il rischio di mortalità del 36%. Alla stessa conclusione è giunto uno studio
dell’Università del Texas condotta su 20mila arruolati. Il costante impegno nei servizi
religiosi ha allungato la loro vita fino a 14 anni in più rispetto a chi era disinteressato allo
spirituale e al religioso. Infine, 42 studi, seguiti dall’Università di Miami su un campione di
126mila persone ha messo in luce che quelle religiosamente attive avevano il 29% di
probabilità in più di sopravvivenza rispetto al resto della popolazione.
Per quanto riguarda la persona affetta da malattia un importante studio fu condotto
nel 1988 dal dottor R. Byrd, cardiologo al San Francisco General Hospital28. Lo ricerca ha
coinvolto 400 pazienti ricoverati nell’unità coronarica dell’ospedale e assegnati in modo
casuale a due gruppi, quindi con la metodologia che in campo sperimentale è denominata
“doppio cieco”. Per un periodo di dieci mesi alcuni fedeli cristiani (non solo cattolici) furono
incaricati di pregare per i membri del primo gruppo che non conoscevano ma
possedevano unicamente il nome ed erano al corrente della patologia che soffrivano. Il
risultato dimostrò che i pazienti per i quali si era pregato avevano avuto meno problemi
medici rispetto al gruppo per il quale non si era pregato. Un altro studio fu condotto
all’Università del Texas dove sono stati riscontrati in 84 donne con carcinoma mammario
effetti positivi a seguito della preghiera sia sul benessere fisico che psicologico delle
pazienti. .
In Italia, l’unico caso conosciuto, è uno studio pilota coordinato dall’oncologo Paolo
Lissoni dell’ospedale san Gerardo di Monza e pubblicato sulla rivista “In Vivo”. Lissoni ha
dimostrando che l’approccio psico-spirituale al trattamento del cancro aumentò l’efficacia
della chemioterapia migliorando il decorso clinico della neoplasia e la maggiore
sopravvivenza di un gruppo di 50 pazienti con tumore al polmone, stimolando
significativamente la risposta immunitaria anticancro mediata dai linfociti.
Tutto questo ha fatto molto discutere e sorgere pareri contrastanti tra chi ha
giudicato negativamente qualsiasi legame tra preghiera e salute, e di conseguenza,
27
Si evidenziano i più significativi: H. HURNARD, La scuola del sacro prodigio. Per imparare a guarire chi soffre,
Gribauldi, Torino 1987; L. DOSSEY, Un viaggio illuminante per colmare il varco tra scienza e religione, Sperling &
Kupfer, Milano 1991, ID, Il potere curativo della preghiera. Fede, spiritualità e scienza medica: una nuova alleanza?
Red, Como 1996; ID, Guarire con la preghiera e la meditazione, Rizzoli, Milano 1996; ASSOCIAZIONE MEDICI
CATTOLICI ITALIANI, La preghiera: medicina dell’anima e del corpo, San Paolo, Alba (Cn) 2008; Faith and Healing, in
“Time” 24 giugno 1996; Autoguarigione. Chi prega non si ammala, in “Riza psicomatica” 195 (1997); E. PELLEGRINO,
L’insegnamento della spiritualità, in “American Journal of Public Health, marzo 1997; W. R. MILLER – J. E. MARTIN
(ED), Behavior therapy and religion. Integrating spiritual and religion. Integrating spiritual and behavioral approaches
to change, Sage, Newbury Park (California) 1988; R. C BYRD, Positive therapeutic effects of intercessory prayer in a
coronary cary unit population, in “Southern Medical Journal”, 97 (1988), pp. 826-829; P. SLOAN et Al, Religion,
spirituality, and medicine, in The Lancet, 335 (1999), pp. 664-667..
28
Cfr. Positive therapeutic effects of intercessory prayer in a coronary cary unit population, op. cit.
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l’attenzione del medico all’aspetto spirituale del paziente fu ritenuto uno sconfinamento del
sanitario in competenze non proprie e un’intrusione nella privacy del malato e chi ritenne
che la preghiera eserciti un effetto positivo sulla guarigione. Perciò, il medico, deve
valorizzare anche questo elemento. Ad esempio, negli Stati Uniti, la maggior parte
dell’opinione pubblica è convinta che la fede può favorire la guarigione e molti pazienti
ricoverati in ospedale, tra il 48% e il 77 %, sostengono che il medico dovrebbe interessarsi
della loro spiritualità e pregare con loro. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, almeno sessanta
facoltà di medicina su centoventisei prospettano agli studenti corsi di spiritualità29.
Affermava E. Pellegrino docente alla Georgetown University di Washington:
“L'insegnamento della spiritualità è essenziale se si vede la guarigione come un processo
che unisce tutte le energie del soggetto in una visione olistica della malattia”30. E A. Carrel,
premio Nobel per la medicina e la fisiologia, ribadiva: “L’uomo ha bisogno di Dio, come ha
bisogno d’acqua e di ossigeno. Come medico ho visto uomini uscire dalla malattia e dalla
depressione attraverso le sforzo sereno della preghiera, quando ogni medicina aveva
fallito”31.
A questo punto tentiamo di valutare queste esperienze internazionali e anche
chiederci: la conoscenza della spiritualità o della religiosità del paziente deve interessare
anche gli itinerari comunicativi medico-paziente al di là delle proprie convinzioni religiose?
Per prima cosa serve rilevare che il fenomeno religioso è molto complesso intrecciandosi
varie dimensioni: dalla religiosità alla spiritualità, dalla fede alla preghiera, come pure che
la metodologia sperimentale seguita nella conduzione dei vari studi rileva solo in parte
l’esperienza spirituale vissuta dai singoli partecipanti soggetta a varie interferenze,
essendo questa il più delle volte strettamente personale e condizionata da più fattori, a
partire dall’idea che il singolo si è creato di Dio e di Gesù Cristo.
Ben convinti che l’essere religioso è ininfluente al fine di riconoscere al medico o
all’operatore sanitario la preparazione scientifica e i requisiti indispensabili per esercitare
queste professioni, e di conseguenza la libertà della coscienza di fede del medico va
sempre rispettata, e al di là dei risultati che ognuno può attribuire alle singole ricerche, è
positivo il fatto di un cambio di rapporti tra medicina e religione, come pure l’aver colto che
una cura olistica richiede attenzione anche alla sfera spirituale della persona perché su
questo siamo certi: la fede è una risorsa nella malattia. E per non sprecare questa risorsa,
“quando il medico si trova di fronte a questo tipo di richiesta è bene che tenga presente la
possibilità di fare ricorso, a qualunque stadio dell’evoluzione, a qualcuno che abbia
maggiore famigliarità con le domande teologiche e spirituali che la sofferenza suscita e
con le abilità comunicative convenienti. Per questo i cappellani negli ospedali hanno una
preparazione specifica. Ed è possibile orientare il paziente a loro senza che questo
significhi abbandonarlo: ci sono molti modi di continuare a fargli sentire la propria
vicinanza e il proprio sostegno”32.
29
Cfr.: G. KOENIG et Al, Religion, spirituality, and medicine: A rebuttal to skeptics, in Int’L. Journal of Psychiatry in
Medicine, 29 febbraio (1999), pg. 123.
30
L’insegnamento della spiritualità, op. cit., pg. 6.
31
A. CARREL, L’uomo, questo sconosciuto, Luni editore, Milano 2006, pg. 86.
32
C. CASALONE, La preghiera è terapeutica? Una questione controversa che va oltre la medicina, in La preghiera:
medicina dell’anima è del corpo, op. cit., pg. 78.
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