Mostra del vincitore del Premio Internazionale per la Fotografia 2016
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Mostra del vincitore del Premio Internazionale per la Fotografia 2016
Comunicato stampa Mostra del vincitore del Premio Internazionale per la Fotografia 2016 Modena, Foro Boario, 6 marzo – 8 maggio 2016 Immagini per la stampa a disposizione su www.fondazionefotografia.org/press Modena – Dalla collaborazione tra Fondazione Fotografia Modena e Sky Arte HD è nato il Premio Internazionale per la Fotografia, un riconoscimento conferito ogni due anni a un fotografo vivente di chiara fama, che con la sua ricerca artistica abbia contribuito in maniera significativa allo sviluppo della cultura legata all’immagine contemporanea e alle sue molteplici declinazioni. Promosso in partnership con UniCredit, gruppo bancario da sempre impegnato in favore dell'arte e delle iniziative culturali nei territori dove è presente, il Premio è assegnato da una giuria internazionale, che si rinnova ad ogni edizione, così come il tema, sempre e comunque legato all’attualità e quindi particolarmente congeniale agli artisti contemporanei. In questa prima edizione, dedicata all’Identità, la giuria era composta da Christine Frisinghelli (fondatrice Camera Austria), Shinji Kohmoto (fondatore Parasophia Festival Kyoto), Simon Njami (co-fondatore Revue Noir), Thyago Nogueira (capo dipartimento di Fotografia Instituto Moreira Salles, Brasile) e Filippo Maggia (direttore di Fondazione Fotografia Modena). Tutte le fasi della selezione, dalla presentazione dei giurati alla proclamazione del vincitore, sono state documentate dalle telecamere di Sky Arte, che dedicherà al premio uno speciale televisivo in tre puntate. All’artista vincitore sarà inoltre dedicata una mostra personale in programma dal 6 marzo all’8 maggio 2016 al Foro Boario di Modena (via Bono da Nonantola 2), sede espositiva di riferimento di Fondazione Fotografia. I sei finalisti del Premio Internazionale per la Fotografia 2016 sono: Claudia Andujar (1931, Neuchâtel, Svizzera), artista svizzera naturalizzata brasiliana che ha dedicato l’intera sua vita a documentare e dare visibilità alla comunità degli Indios Yanomami, popolazione che vive nel cuore dell’Amazzonia. Scostandosi da un mero approccio antropologico, l’artista è riuscita a cogliere la ricchezza e la profonda spiritualità della vita di queste persone, mettendo il suo lavoro fotografico a disposizione dell’importante causa per il riconoscimento e la difesa della loro comunità. Rineke Dijkstra (1959, Sittard, Paesi Bassi), per il suo fondamentale contributo alla discussione sull’identità, tema che l’artista olandese ha indagato attraverso le diverse generazioni, dal mondo dell’infanzia a quello degli adulti, dalla dimensione privata e intima della casa alla discoteca, dall’immagine fissa al video. Il suo lavoro di oltre quindici anni è diventato un classico nella fotografia di ritratto ed è oggi un riferimento imprescindibile per chiunque si appresti a lavorare con questo genere. Jim Goldberg (1953, New Haven, USA), per l’approccio pionieristico con cui ha declinato la fotografia documentaria e per l’importante contributo fornito alla costruzione di una storia sociale della fotografia. Fin dagli esordi Goldberg ha posto al centro del suo lavoro la relazione tra fotografo e soggetto fotografato, limitando l’autorialità dell’artista e coinvolgendo il soggetto direttamente nella produzione delle opere con testi, commenti, autoscatti, passando da quelle che sono amicizie personali, famiglia, situazioni sociali, occupandosi di gruppi marginalizzati così come questioni sociali molto calde. Santu Mofokeng (1956, Johannesburg, Sudafrica), per il suo impegno instancabile nel testimoniare la realtà del suo Paese, raccontando la vita quotidiana dal periodo dell’Apartheid fino ai giorni nostri. Passando attraverso tematiche differenti e diversi approcci alla fotografia, ha mantenuto la questione dell’identità nera e dell’integrazione tra diverse comunità come un necessario punto focale dell’intero suo lavoro, creando un corpus di opere estremamente coerente ed esemplare per la capacità delle immagini di diventare racconti visivi. Yasumasa Morimura (1951, Osaka, Giappone), figura chiave dell’arte internazionale che fin dagli anni Novanta ha posto il tema dell’identità al centro della sua ricerca, rivisitando le icone e i personaggi chiave del XX secolo, dalla storia dell’arte fino alla cultura pop. Il trasformismo con cui interpreta e rimette in scena nei suoi autoritratti le immagini cult del secolo scorso ha molto da dire sul nostro rapporto con la Storia e sul legame tra Oriente e Occidente. Zanele Muholi (1972, Durban, Sudafrica), giovane attivista e artista sudafricana che ha fatto del suo lavoro una bandiera dell’affermazione e della difesa dei diritti della comunità omosessuale nera, nel suo Paese e non solo. Per Muholi la fotografia e la questione dell’identità hanno un valore altamente politico: negli anni ha costruito un archivio di ritratti capace di mappare e preservare la storia visiva della propria comunità, come testimonianza per le future generazioni. Il vincitore sarà proclamato in occasione dell’inaugurazione della mostra, domenica 6 marzo 2016, al Foro Boario di Modena. Oltre alla mostra personale, l’artista riceverà un premio in denaro del valore di 70 mila euro e vedrà entrare le sue opere nella collezione di fotografia contemporanea della Fondazione. Inoltre, sarà il protagonista dello speciale televisivo prodotto da Sky Arte HD. “Il Premio per la Fotografia Internazionale non si prefigge di celebrare artisti – spiega Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia Modena e presidente di giuria del Premio – quanto di insistere sull’importanza del linguaggio delle immagine nel contemporaneo e quindi sulle ricerche che ogni due anni meglio corrispondono al tema indicato”. In questa prima edizione la discussione attorno al nome del vincitore è stata coinvolgente e appassionante: “Da una parte artisti assolutamente noti a livello internazionale, molto apprezzati e affermati – Rineke Dijkstra e Yasumasa Morimura, ad esempio – dall’altra, autori che hanno speso la loro vita a sostegno di cause importanti – come Claudia Andujar, con la sua quarantennale attività tra gli Indios Yanomami dell’Amazzonia, o Zanele Muholi con il suo impegno nella difesa dei diritti di genere in Sudafrica -; infine artisti che avevano tutte le carte in regola per potersi affermare e che contaminando la fotografia con pratiche provenienti da altre discipline – come Jim Goldberg – o essendosi sempre mantenuti indipendenti rispetto al sistema dell’arte – come Santu Mofokeng – si ponevano come outsider. Questo è stato il punto di partenza del nostro confronto”. “Da parte di tutti – prosegue Maggia – si è avvertita la responsabilità di individuare un vincitore che non solo corrispondesse al tema indicato ma che desse anche un segnale forte di ciò che questo premio vuole diventare negli anni: non un premio fra tanti, ma un esempio di qualità: il “premio alla carriera” non è mai stata un’ipotesi da noi condivisa””. La mostra del vincitore del Premio Internazionale per la Fotografia 2016 è accompagnata da un catalogo edito da Skira. Per maggiori informazioni sul Premio Internazionale per la Fotografia: Fondazione Fotografia Modena, tel. 059 224418, [email protected] Ufficio Stampa Fondazione Fotografia Modena – Cecilia Lazzeretti [email protected] Tel 059.239888 – Cell 338.8596174 Ufficio Stampa Sky – Elena Basso [email protected] Tel 02.308015837 Isabella Ferilli – [email protected] Tel 02.308017526 MN – Cristiana Zoni – [email protected] Marilena D’Asdia – [email protected] Simona Pellino – [email protected] Tel 06.853763 Claudia Andujar Claudia Andujar, Senza Titolo, 1981 / Yanomami, dalla serie A Casa, 1974-1976, © l’artista “Emigrata negli Stati Uniti d’America per sfuggire al nazismo (molti suoi familiari sono invece deceduti nei campi di concentramento), Claudia Andujar ha speso tutta la sua vita nella difesa degli indios Yanomami, un’importante società indio che vive in Amazzonia, al confine fra Brasile e Venezuela. Dal 1958 innanzi ha documentato la loro vita e la loro lotta per la sopravvivenza minacciata dal “progresso”, prima con la costruzione della Rodovia Transamazonica e poi con gli insediamenti dovuti alle nuove miniere di oro e diamanti. Le sue immagini, tanto forti quanto emblematiche ed essenziali, superano il classico reportage pur documentando nel dettaglio la condizione degli indios. Il suo lavoro, elegante e profondo, invita al rispetto non solo dell’essere umano, quanto della cultura delle tribù Yanomami, dei loro costumi e tradizioni, della loro appartenenza a una terra con la quale, da secoli, esiste un rapporto di simbiosi primitivo e puro, arcaico e unico. Non è solo la difesa di un’identità sociale o culturale, antropologica, quanto la difesa di un sistema eco-ambientale di cui l’uomo è regista, interprete e beneficiario.” (Filippo Maggia, Fondazione Fotografia Modena) Nota biografica Claudia Andujar è nata nel 1931 a Neuchâtel (Svizzera) e ha trascorso la sua infanzia in Romania e in Ungheria. Nel 1956 emigra in Brasile, dove inizia la sua carriera da fotoreporter con un progetto di documentazione della vita quotidiana delle popolazioni Carajà, situate nel Brasile centrale. Il suo lavoro è stato pubblicato su numerosi magazine brasiliani e internazionali, come Life, Look, Fortune, Aperture, Realidade, Setenta. Nel corso degli anni, l’artista ha utilizzato il mezzo fotografico per celebrare la ricca cultura degli Indios Yanomami, nel bacino amazzonico del Nord del Brasile. Le sue fotografie hanno fornito al mondo esterno uno sguardo sul complesso mondo magico e spirituale di questa popolazione. Nel 1998, ha pubblicato il libro Yanomami: The House, The Forest, The Invisible con 85 fotografie. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale, sia all’interno di mostre collettive sia con personali. Le sue opere sono entrate nelle collezioni di importanti musei come il Museum of Modern Art di New York, la Eastman House di Rochester (Usa), l’Amsterdam Art Museum. Ha contribuito a numerose pubblicazioni, documentari e mostre fotografiche dedicate all’Amazzonia e alle popolazioni indigene. Claudia Andujar è tra i membri fondatori del Committee For the Creation of the Yanomami Park (CCPY), associazione nata a difesa della vita, del territorio e della cultura degli Indios Yanomami in Brasile. Rineke Dijkstra Rineke Dijkstra, Kolobrzeg, Poland, July 26, 1992 / Hilton Head Island, S. C., USA, June 24 1992 / Odessa, Ukraine, August 4 1993, © l’artista, courtesy l’artista e Marian Goodman Gallery “Per oltre 20 anni, Rineke Dijkstra ha contribuito a ridefinire la fotografia di ritratto. La sua forza risiede nell’abilità di rivelare il sé dietro all’identità proiettata con apparente sicurezza, mentre l’ingannevole oggettività di rappresentazione e lo sguardo diretto del soggetto cercano di produrre nell’osservatore una reazione viscerale, chiamandolo a riconsiderare la sua propria percezione di sé. Attraverso austeri ritratti a figura intera, sullo sfondo di paesaggi o fondali indistinguibili, l’artista spesso ritrae i suoi soggetti nel momento di una transizione fisica o psicologica. Mostrando il difficile rito di passaggio dall’adolescenza nell’acclamata serie Beach Portraits (1992-1998), seguendo un giovane rifugiato bosniaco nella sua nuova vita nell’Ovest in Almerisa (1994-2005), o documentando lo sviluppo di un giovane uomo nel suo arruolamento nella Legione Straniera in Olivier Silva (2000-2003), i suoi ritratti colpiscono per il modo in cui le identità vengono simultaneamente costruite e smantellate. Paradossalmente il lavoro di Rineke Dijkstra possiede aspetti freddamente tassonomici, reminiscenti del lavoro di August Sander, quanto aspetti più poetici e psicologici in grado di catturare con brutale onestà le imperfezioni uniche e personali. Nel corso della sua carriera ha dato un contributo unico al linguaggio della fotografia, rappresentando una modalità visione che è divenuta punto di riferimento.” (Eline Van Der Vlist, curatrice alla Fondazione Darat Al Funun, Amman, Giordania) Nota biografica Nata nel 1959 a Sittard, nei Paesi Bassi, Rineke Dijkstra vive e lavora ad Amsterdam. Completa la sua formazione alla Rietveld Academie di Amsterdam diplomandosi nel 1986. Commissionata da una rivista olandese di rappresentare il concetto di estate, nei primi anni Novanta scatta una serie di fotografie a bagnanti adolescenti. Queste immagini daranno origine al progetto Beach Portraits (1992-1994), una lunga serie di ritratti di teenager e preadolescenti - stampati a grandezza naturale - realizzati tra USA, Polonia, Regno Unito, Ucraina e Croazia. La serie guadagna presto rilievo internazionale: nel 1997 è inclusa nella mostra annuale del MoMA di New York sulla nuova fotografia e nel 1999 il museo presenta una fotografia dalla serie a fianco di un ritratto di bagnante di Cézanne. Seguono numerosi altri lavori, presentati l’artista sia in forma di fotografie che di video-installazioni. Le opere di Rineke Dijkstra sono state allestite nel corso di numerose rassegne internazionali, tra cui la Biennale di Venezia (1997 e 2001), la Biennale di San Paolo (1998), la Biennale internazionale di Fotografia di Torino (1999) e la Triennale di Fotografia e Video all’International Center for Photography di New York. Esposizioni personali del suo lavoro sono state organizzate presso il Museum fur Moderne Kunst di Francoforte (2013), il Guggenheim Museum di New York (2012), il Fotomuseum Winterthur, in Svizzera (2005), e l’Art Institute of Chicago (2001). Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Kodak Award Nederland (1987), l’Art Encouragement Award Amstelveen (1993), il Werner Mantz Award (1994), il Citibank Private Bank Photography Prize (1998) e il Macallan Royal Photography Prize (2012). Jim Goldberg Jim Goldberg, dalla serie Rich and Poor: USA. San Francisco. 1977-1985, © l’artista courtesy l'artista e Pace/MacGill Gallery, NY “Se la crisi della fotografia documentaria è stata in parte una crisi di identità – compreso il rapporto del fotografo con le comunità di cui si ergeva a portavoce – allora uno degli autori che si è impegnato con maggiore successo in questa problematica è Jim Goldberg. Dalle sue prime opere di metà anni Settanta – in particolare un progetto sugli ospiti temporanei del Mission District, a San Francisco – ha iniziato a chiedere alle persone fotografate di scrivere commenti alle immagini scattate. Facendo ciò Goldberg incoraggiava un processo di riconoscimento attraverso la rappresentazione di sè. Questo espediente divenne una pratica consolidata che nel tempo lo portò a collaborare con gruppi sociali marginalizzati, realizzando lavori confluiti in numerosi libri fotografici ormai divenuti classici: Rich and Poor (1985, nuova edizione 2014), Raised by Wolves (1995) e Open See (2009). Goldberg ha costeggiato le problematiche della soggettività nella fotografia documentaria, mettendo continuamente la sua pratica in connessione con questioni di prominenza sociale. Nel perseguire una politica rappresentativa di autoriconoscimento nelle immagini, ha inoltre indagato i confini con l’uso privato della fotografia, esplorando ad esempio le specificità sociali negli scatti tra migranti. Se la fotografia è un atto di scambio tra il fotografo e il fotografato, il lavoro di Goldberg ha sempre cercato sia di bilanciare che di rendere complessa questa relazione.” (Duncan Forbes, direttore Fotomuseum Winterthur, Svizzera) Nota biografica Nato a New Haven, Connecticut nel 1953, Jim Goldberg si è laureato in Fotografia e Scienze dell’Educazione alla Western Washington University di Bellingham nel 1975, conseguendo successivamente un master presso il San Francisco Art Institute nel 1979. Ha iniziato a esplorare una modalità sperimentale di storytelling e le potenzialità delle combinazioni tra testi e immagini con Rich and Poor (1977-1985), un lavoro nel quale accosta i residenti di un centro di accoglienza sociale con persone dell’alta società ritratte nei loro eleganti appartamenti, indagando così la natura del mito americano su classi, potere e felicità. In Raised by Wolves (1985-1995) ha lavorato a stretto contatto con adolescenti scappati di casa di San Francisco e Los Angeles, creando un libro e una mostra che combinavano fotografie originali, testi, istantanee, immagini di film, disegni e stralci di diari personali, così come video, sculture, oggetti trovati e altri elementi tridimensionali. Nel 1984 il MoMA ha incluso opere da Rich and Poor in una mostra collettiva a fianco di Robert Adams e Joel Sternfeld, consacrandolo tra i grandi fotografi documentari. Dal 2006 è membro ufficiale dell’Agenzia Magnum. Attualmente insegna presso il California College of Arts and Crafts. Jim Goldberg ha ricevuto tre National Endowment for the Arts Fellowships (1980, 1989 e 1990), una Guggenheim Fellowship (1985), l’Henri Cartier-Bresson Award (2007) e il Deutsche Börse Photography Prize (2011). Le sue opere sono entrate nelle collezioni dei più importanti musei americani, tra cui Museum of Modern Art di New York, il LACMA di Los Angeles, il J. Paul Getty Museum, il Whitney Museum of Art di New York, il SFMOMA di San Francisco e il Museum of Fine Arts di Houston. Santu Mofokeng Santu Mofokeng, Comrade-Sister, White City Jabavu (c.1985)/ Easter Sunday Church Service (1996), © l’artista “Santu Mofokeng è forse uno dei fotografi più acuti e profondi del suo Paese e, ancora oggi, il suo lavoro non è così conosciuto come invece dovrebbe essere. A fianco dei suoi importanti progetti fotografici, ha rivolto il suo impegno nel raccontare la storia della popolazione nera del Sudafrica attraverso la ricerca di fotografie storiche d’archivio che ha raccolto nel corso degli anni presentandole poi nel progetto The Black Photo Album. Attraverso l’intera sua carriera, Mofokeng è stato in grado di catturare la vera essenza e natura dell’umanità, divenendo un prezioso testimone del suo tempo.” (Tania Silvia Gianesin, Lettera 27, Milano) Nota biografica Santu Mofokeng è nato nel 1956 a Johannesburg, dove attualmente vive e lavora. Ha iniziato la sua carriera come fotografo di strada di Soweto. Tra i più rispettati fotografi degli anni della lotta contro l’Apartheid (prima come membro dell’Afrapix Collective, 1985-1992, e poi come fotogionalista per il quotidiano locale New Nation, 1987-1988), Mofokeng ha focalizzato non solo la durezza del periodo dell’Apartheid ma anche la spensieratezza della vita mondana, registrando la vita quotidiana degli abitanti nelle township. Uno degli aspetti più importanti del lavoro di Mofokeng è il fatto che le immagini sono molto di più che la semplice registrazione di un momento. Ogni fotografia è intrinsecamente collegata alla ricerca di comprendere l’identità, la spiritualità e la responsabilità umana. Dal 1988 al 1998 ha lavorato come fotografo documentario e come ricercatore all’Università di Witwatersrand di Johannesburg. Il suo lavoro di ricerca è sfociato nella creazione di un archivio di foto delle classi nere lavoratrici sudafricane tra il 1890 e il 1950, poi raccolto col titolo The Black Photo Album/Look At Me. Con questo progetto, Mofokeng ha salvato la memoria di questi ritratti famigliari d’inizio Novecento, offrendo una nuova prospettiva sulle comunità nere delle città, sulle loro aspirazioni e la storia sociale. Mofokeng ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 1991 ha vinto l’Ernest Cole Scholarship, grazie al quale ha ottenuto una borsa di studio presso l’International Centre for Photography di New York; nel 1992 il Mother Jones Award; nel 1998 la Künstlerhaus Worpswede Fellowship e nel 2001 la DAAD Fellowship, entrambe in Germania. Nel 2009 è stato nominato Prince Claus Fund Laureate for Visual Arts. La prima retrospettiva internazionale dedicata a Santu Mofokeng ha aperto nel 2011 a Jeu de Paume di Parigi ed è stata presentata successivamente alla Kunsthalle Bern, alla Bergen Kunsthall e al Wits Art Museum di Johannesburg. Nel 2002 ha partecipato a Documenta Kassel e nel 2013 alla Biennale d’Arte di Venezia, nel Padiglione Germania. Yasumasa Morimura Yasumasa Morimura, A Requiem: Laugh at the Dictator, 2007, © l’artista “Nella sua lunga carriera Yasumasa Morimura ha investigato il tema dell’identità attraverso il mezzo dell’autoritratto. Le sue serie sulla storia dell’arte e sulle attrici mettono in discussione aspetti di genere, nazionalità e differenze culturali tra la società occidentale e orientale. Guardando le sue opere si può sentire a disagio, dato che le opere sono perfettamente identiche all’originale eppure totalmente diverse per la presenza dell’artista al posto del protagonista. Per la serie Requiem ha usato la fotografia giornalistica come soggetto, cercando l’identità come uomo o come potere. A volte inganna la stessa figura rappresentata, ribaltando l’identità del soggetto nella sua stessa identità.” (Yoshiko Isshiki, curatrice e sale consultant, Giappone) “Dai primi autoritratti basati sulle opere dei grandi maestri della pittura occidentale come Manet, Rembrandt, Man Ray o Duchamp, Yasumasa Morimura continuò a ritrarsi nei panni di cantanti pop come Madonna o Michael Jackson, dando vita successivamente alla serie Actress con i personaggi di Audrey Hepburn, Marlene Dietrich, etc., e producendo un enorme corpo di opere che è stato ampiamente apprezzato sia in Giappone che a livello internazionale. Il suo metodo di espressione – nonostante sia basato sulla fotografia – ha via via incorporato anche pittura, scultura, grafiche digitali, performance, narrazioni e video, spostandosi senza difficoltà tra questi diversi media. Confondendo i confini tra arte ufficiale e cultura pop, Morimura ha scosso la gerarchia del mondo dell’arte.” (Michiko Kasahara, chief curator del Tokyo Metropolitn Museum of Photography) Nota biografica Yasumasa Morimura (nato nel 1951 a Osaka, Giappone) lavora da oltre trent’anni come artista concettuale e film-maker. Attraverso l’uso di arredi scenici, costumi, trucco e manipolazione digitale, l’artista si trasforma in soggetti riconoscibili, spesso icone della cultura occidentale. Tra i soggetti del proprio lavoro vi sono dipinti di Frida Kahlo, Vincent Van Gogh, e Diego Velázquez, così come immagini tratte da materiali storici, mass media e dalla cultura pop. Il riadattamento dell’artista delle icone fotografiche e dei capolavori della storia dell’arte sfidano le normali associazioni tra l’osservatore e il soggetto, lanciando uno sguardo sul modo in cui l’Oriente percepisce l’Occidente. Attraverso la riproposizione di personaggi femminili, Morimura ribalta la concezione di “sguardo maschile”, sovvertendo in ogni immagine sia la nozione di identità che lo scopo tradizionale dell’autoritratto. Le sue opere sono state ampiamente presentate in tutto il mondo. Nel 2013 l’artista ha avuto un’ampia retrospettiva all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, all’Hara Museum di Tokyo e alla Shiseido Gallery di Tokyo. Di recente è stato Direttore Artistico alla Triennale di Yokohama nel 2014. Le sue opere sono incluse nelle collezioni di importanti musei internazionali, tra cui il Whitney Museum of American Art di New York, il San Francisco Museum of Modern Art, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Museum of Fine Arts di Boston, il Museum of Contemporary Art di Chicago, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles e il Carnegie Museum of Art di Pittsburgh. Zanele Muholi Zanele Muholi, immagini dalla serie Faces & Phases, da sinistra: Phila Mbanjwa, Pietermaritzburg, KwaZulu Natal, 2012 / Gazi T Zuma, Umlazi, Durban, 2010 / Tash Dowell, Harare, Zimbabwe, 2011, © l’artista, courtesy l’artista e Stevenson Gallery, Cape Town “Zanele Muholi è un’attivista fotografa e per oltre 10 anni ha documentato la comunità nera di lesbiche e transessuali del Sudafrica. Queste immagini non sono soltanto ritratti espressivi ma sono da intendersi come parte di un progetto più ampio, l’archivio di una comunità, che comprende anche testi scritti e interviste. È la stessa artista a dichiarare: Volevo coprire un vuoto nella storia visuale del Sudafrica, che a oltre dieci anni dalla caduta dell’Apartheid continuava a escludere la nostra stessa esistenza. Queste immagini sono la prova visiva dell’esistenza di una comunità. Nonostante il Sudafrica si sia dotato di una costituzione molto liberale, la legge è di rado applicata per i crimini di genere. Molte delle persone ritratte da Muholi sono state vittime di violenza, alcune sono state uccise. I ritratti inclusi nella serie Faces & Phases sono chiare e dirette, non hanno bisogno di sotterfugi o di teatralità, sono persone comuni. C’è una vitalità e una consapevolezza di sé, nonostante alcune indossino abiti maschili. Non sono sprezzanti, presentano se stesse per quello che sono. Come lei stessa ha detto, l’artista immagina il Paese in cui vorrebbe vivere.” (Sandra S. Phillips, chief curator SFMOMA, San Francisco) “Con Faces & Phases Muholi rivendica con forza la libertà e il diritto di vivere come donna lesbica in un Sudafrica postapartheid dove la comunità LBTG è ancora soggetta a incredibile violenza. Zanele Muholi è fotografa e attivista visiva sudafricana. Il suo lavoro focalizza la molteplicità dell’identità e sessualità umana. Dall’inizio della sua carriera ha creato nel suo Paese un archivio della comunità LGBT. Essendo anche lei parte della comunità ottiene la fiducia delle persone che ritrae, che posano nelle immagini con naturalezza e piene di dignità. Muholi raffigura il corpo femminile con onestà e i suoi ritratti di amanti sono incontri intimi, belli e teneri. Il suo approccio è aperto e diretto, gioioso e pieno di energia, ma allo stesso tempo critico e impegnato. Una delle sue installazioni più impressionanti è Mo(u)rning, una griglia di ritratti da cui mancano alcuni pezzi: le immagini che sono andate perdute durante un furto nella casa dell’artista nel 2014 e le persone che Muholi non ha potuto fotografare perché vittime di violenza.” (Hripsimé Visser, curatrice Stedelijk Museum, Amsterdam) Nota biografica Zanele Muholi è nata nel 1972 a Durban in Sudafrica. Vive e lavora a Johannesburg. Lavora come attivista dei diritti civili della comunità LGTB. Ha fondato e collaborato con la piattaforma online Behind the Mask, nel 2002 ha fondato il Forum for the Empowerment of Women e nel 2009 Inkanyiso, una organizzazione di tutela legale. Ha studiato fotografia al Jarket Photo Workshop di Johannesburg, dove ha incontrato David Goldblatt, famoso fotografo documentario. Ha conseguito un master alla Ryerson University di Toronto e ha partecipato a numerose mostre internazionali, tra cui la Biennale di Venezia, Documenta, Les Rencontres de Bamako in Mali, e mostre organizzate presso il San Francisco Museum of Modern Art, la Walther Collection di Ulm, in Germania, e il Carnagie International di Pittsburgh. Scheda tecnica mostra Premio Internazionale per la Fotografia 2016 periodo 6 marzo – 8 maggio 2016 sede Foro Boario Modena, Via Bono da Nonantola, 2 promossa da Fondazione Fotografia Modena Fondazione Cassa di Risparmio di Modena in partnership con UniCredit press preview venerdì 4 marzo 2016 inaugurazione domenica 6 marzo 2016 orari di apertura mercoledì-venerdì 15-19 sabato-domenica 11-19 chiuso lunedì e martedì biglietto d’ingresso € 5,00 ingresso libero tutti i mercoledì informazioni Fondazione Fotografia Modena Via Emilia Centro 283, Modena tel. 059 239888 – 335 1621739 [email protected] www.fondazionefotografia.org ufficio stampa Fondazione Fotografia Modena Cecilia Lazzeretti tel. 059 239888 - fax 059 238966 [email protected] facebook.com/fondazionefotografiamodena twitter.com/fondfoto vimeo.com/fondazionefotografia instagram.com /fondazionefotografiamodena