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L’usurarietà degli interessi moratori: metodi di calcolo e profili sanzionatori
A cura di SUSANNA BUFARDECI
Il Legislatore, con interpretazione autentica della l. 108/1996, (art. 1, d.l. 29 dicembre 2000, n. 394,
conv. in l. 28 febbraio 2001, n. 24 “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del c.p. e dell’art. 1815,
secondo comma, del c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla
legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal momento del loro pagamento” e, quindi, anche quelli moratori), ha messo
fine al dibattito sull’applicabilità o meno agli interessi di mora della disciplina antiusura,
pronunciandosi in senso positivo.
Tuttavia, rimane ancora poco chiaro quale sia il criterio di verifica dell’usurarietà degli interessi di
mora e quale siano le conseguenze sotto il profilo sanzionatorio.
I dubbi, sull’applicazione dei limiti d’usura agli interessi moratori, erano sorti sia in ragione del
fatto che gli stessi non concorrono a determinare il T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) in base
al quale viene stabilito trimestralmente dal MEF il tasso-soglia, sia per la differente funzione
risarcitoria che li distingue da quelli corrispettivi.
La giurisprudenza maggioritaria, successivamente a questa norma, non ha avuto dubbi nel
computare anche gli interessi moratori al fine di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo
dell’usura. Si è ritenuto che il ritardo colpevole non potesse giustificare un’obbligazione
eccessivamente onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge (Suprema Corte di
Cassazione, n. 5286/2000).
Continua, invece, a propendere per l’esclusione degli interessi moratori dall’applicazione della
normativa antiusura l’A.B.F. (collegio dell’arbitrato bancario finanziario), il quale sostiene che la l.
108/1996 abbia inteso disciplinare l’usurarietà dei soli oneri remunerativi individuando il rimedio
per l’eccessività del tasso di mora nella riduzione della penale ex art. 1384 c.c., eventualmente
adottando come parametro il tasso soglia (decisione, collegio di coordinamento n. 1875/2014).
Il principio secondo cui anche gli interessi di mora, ancorché non concorrano a determinare il
T.E.G.M., siano soggetti al rispetto delle soglie d’usura, da ultimo, è stato ribadito dallo stesso
giudice di legittimità nella sentenza n. 350/2013, sulla scia dell’orientamento della Corte
Costituzionale, n. 29/2002, la quale, seppur in un obiter dictum, aveva precisato che “Va in ogni
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caso osservato che il riferimento, contenuto nel comma 1 dell’art. 1, del d.l. 394/2000, agli interessi
a qualunque titolo convenuti rende plausibile l’assunto secondo cui il tasso di soglia riguarderebbe
anche gli interessi moratori”.
Proprio dalla sentenza del giudice di legittimità n. 350/2013 prende origine il dibattito, che sta
dividendo giudici, giuristi e avvocati di tutta Italia, legato alla modalità di calcolo degli interessi
passivi al fine della verifica del superamento dei limiti d’usura, con particolare riguardo ai contratti
di mutuo.
Le parole utilizzate dal Supremo collegio nel censurare la sentenza del Giudice di grado inferiore
per il fatto che questi avesse calcolato il tasso pattuito “..senza tenere conto della maggiorazione di
tre punti a titolo di mora…” , sono state oggetto di diverse interpretazioni.
Giurisprudenza minoritaria dal dictum della Cassazione ha tratto che, per calcolare l’eventuale
sforamento della soglia di usura, si debba sommare la cifra che indica il tasso di mora con la cifra
che indica il tasso corrispettivo e, a questo punto, confrontare tale somma aritmetica con il tasso
soglia del periodo; altra parte della giurisprudenza di merito, invece, ritiene che gli interessi di
mora debbano essere raffrontati al tasso soglia ma considerati isolatamente rispetto agli altri oneri
posti a carico del mutuatario; altra giurisprudenza ancora, ritiene che gli interessi di mora,
congiuntamente a quelli corrispettivi, vadano riferiti al capitale di credito previsto
contrattualmente, secondo il piano di ammortamento che risulta modificato all’eventuale
inadempimento della rata o del capitale a scadenza.
Conseguentemente, a seconda del criterio di calcolo dell’usura utilizzato, i Tribunali di merito,
riscontrato il superamento del tasso soglia, hanno previsto in alcune pronunce la sanzione della
nullità ex art. 1815, secondo comma, del c.c., per la sola clausola determinativa del tasso di mora; in
altre, hanno disposto la conversione del mutuo da usurario a gratuito.
Tra i vari criteri di calcolo prima menzionati, quello meno condiviso è risultato essere quello
consistente nella sommatoria nuda e cruda dei due tassi. Tale somma algebrica è apparsa non
corretta in ragione della loro disomogeneità funzionale e dei diversi momenti di applicazione dei
due tipi di interessi. Gli interessi corrispettivi sono espressi in percentuale sull’intero capitale del
mutuo e rappresentano il prezzo dell’operazione mutuo e il vantaggio che il mutuante trae dal
sinallagma; quelli moratori incidono per un periodo ridotto sulle sole rate scadute ed hanno
funzione riparatoria ove la parte mutuataria non paghi quanto dovuto per la restituzione del denaro
ricevuto in prestito.
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Non è mancato chi, tuttavia, di recente, abbia appoggiato tale metodo di calcolo, come, a titolo
esemplificativo, il Tribunale fallimentare di Parma (sentenza 25 luglio 2014).
L’indagine sui criteri di verifica dell’usurarietà degli interessi di mora e dei risvolti sanzionatori,
non può che essere accompagnata dalla menzione di alcune pronunce della giurisprudenza di merito
dimostrative dello stato di confusione che domina la materia.
Come sopra accennato, il Tribunale fallimentare di Parma ha aderito al criterio consistente nella
sommatoria dei due tassi, seppur in presenza di determinate condizioni.
Il giudice delegato ha ritenuto che occorra considerare le concrete pattuizioni contenute nel
regolamento negoziale. Laddove il contratto di mutuo preveda che, in caso di inadempienza, gli
interessi moratori si calcolino sulla sola rata capitale, sostituendosi agli interessi corrispettivi, non
occorrerà che verificare il solo tasso moratorio.
Diversamente, nel caso in cui il contratto preveda che la mora si applichi sulle rate scadute
comprensive degli interessi corrispettivi, per il raffronto con la soglia d’usura occorrerà sommare i
due tassi. Il giudice, quindi, dovrà computare entrambe le voci nel T.E.G. (tasso effettivo globale)
traendo da tale sommatoria le opportune conclusioni e qualora il saggio complessivo superi la soglia
consentita dovrà trovare applicazione la sanzione contenuta nell’art. 1815 ultimo comma c.c.,
quindi, conversione forzosa del mutuo usurario in gratuito.
Molti Tribunali di merito hanno escluso che dall’applicazione della legge antiusura discenderebbe
la mera sommatoria algebrica del tasso degli interessi corrispettivi e quello degli interessi moratori.
Così il Tribunale di Milano, ordinanza 28 del Gennaio 2014, ha affermato “La circostanza che nella
fattispecie all’esame della Corte, il tasso fosse pattuito in termini di maggiorazione percentuale del
tasso corrispettivo, non equivale di certo ad affermare che tasso corrispettivo e tasso di mora vadano
comunque e sempre cumulati, al fine della verifica del rispetto del tasso soglia, essendo palese che
la maggiorazione cui si riferisce la Corte riguardava unicamente le modalità di pattuizione di quel
tasso di mora che, così calcolato, risultava usurario”.
L’applicazione del tasso di mora non si cumula con il tasso corrispettivo, risultando il primo
sostitutivo del secondo, dal momento della scadenza della rata o del capitale rimasti impagati.
Dalla differente natura dell’interesse corrispettivo (remunerativa) e di quello moratorio (risarcitoria)
discende che a quest’ultimo vada riconosciuta natura sostitutiva e non additiva del tasso
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corrispettivo. Gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori sono alternativi, se si applicano i
primi non si applicano i secondi.
Dal punto di vista sanzionatorio, IL Tribunale di Milano, ha ritenuto che in caso di superamento del
tasso soglia relativamente all’interesse moratorio in sé considerato, la sanzione prevista dall’art.
1815, comma 2, c.c. vada circoscritta esclusivamente agli interessi di mora, quindi, la nullità del
tasso moratorio non travolge il tasso corrispettivo che sarà sempre dovuto sulle rate a scadenza.
(Si ricordano nello stesso senso: Tribunale di Trani del 10 marzo 2014; Tribunale Treviso dell’11
aprile 2014; Tribunale Napoli del 15 aprile 2014; Tribunale Verona del 27 aprile 2014).
La teoria secondo cui la verifica dell’usura vada ricondotta al costo complessivo che il credito
subisce a seguito dell’eventuale morosità, che può intervenire in una o più rate o nel capitale a
scadenza, è stata sostenuta dal Tribunale di Udine.
Quest’ultimo, con pronuncia del 26 settembre 2014, ha precisato che il tasso di mora è solo una
delle tante voci che integra il tasso corrispettivo e concorre ad individuare il costo effettivo del
credito. Non ha alcun senso il semplice confronto della mora con la soglia di usura. Il tasso di mora
costituisce un tasso semplice, riferito alla rata e/o al capitale scaduto, mentre quello che, al
momento pattizio, occorre riferire alla soglia è il tasso effettivo annuo del credito erogato, sia nello
scenario del pieno rispetto del piano di ammortamento pattuito, che di ogni possibile scenario nel
quale, a seguito di inadempimento ad una o più scadenze, con l’applicazione del maggiore interesse
di mora e il mutamento del piano di rimborso, si modifica il tasso effettivo annuo del credito
erogato.
In questo modo l’usurarietà viene a dipendere dall’intero costo del credito concesso, ivi compresi
gli interessi corrispettivi, risultandone pregiudicata l’autonomia della clausola di mora.
Dal punto di vista sanzionatorio, ne discende, secondo il Tribunale di merito, che una volta
constatato il superamento della soglia di usura da parte del T.E.G., debba applicarsi l’art. 1815,
comma 2, c.c., derivandone la gratuità dell’intero negozio e di conseguenza la restituzione del solo
capitale mutuato.
In senso contrario alla appena citata sentenza del Tribunale di Udine, il Tribunale di Venezia
(ottobre n. 2163 del 2014) ha sostenuto che gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono
profondamente differenti dal punto di vista funzionale. Tali clausole hanno una propria autonomia
contrattuale e possono essere valutate singolarmente, con la conseguenza che, in ipotesi di
usurarietà degli interessi moratori, solo questi ultimi non saranno dovuti ex art. 1815, comma 2, c.c.
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Il Tribunale di Reggio Emilia (sentenza n. 304/2015) sulla stessa lunghezza d’onda del Tribunale di
Venezia, afferma che la verifica del superamento del tasso soglia deve essere fatta autonomamente
con riguardo alle rispettive categorie di interessi senza che si sommino tra loro. Nel caso in cui si
giunga a constatare che siano da ritenere usurari i soli interessi moratori, il giudice dovrà decidere
in merito a questi ultimi. Quindi, la sanzione della nullità ex art. 1815, secondo comma, del c.c.
potrà essere applicata ai soli interessi moratori, senza che vengano coinvolti quelli corrispettivi.
Esclude l’estensione della sanzione della nullità del tasso di mora usurario a quello corrispettivo
anche il Tribunale di Taranto (ordinanza 17 ottobre 2014), il quale ha affermato che trattasi di
istituti aventi causa diversa, quindi, non necessariamente dall’invalidità dell’uno deriva anche
quella dell’altro.
Gli interessi moratori assolvono ad una funzione risarcitoria forfettizzata e preventiva del danno da
ritardo nel pagamento di una somma esigibile, quelli corrispettivi implicano la regolare esecuzione
del rapporto e rappresentano il corrispettivo del prestito. Nell’ipotesi in cui vi sia un ritardo nella
corresponsione degli interessi corrispettivi e la banca pretenda in sua vece quello moratorio,
rivelatosi usurario, la sanzione non può colpire anche il tasso corrispettivo. Infatti, ex art. 1224,
comma 1, c.c., in caso di mancata espressa pattuizione, come interesse di mora deve applicarsi
quello corrispettivo lecito. Mancando un’apposita norma che disponga l’estensione della sanzione
della nullità del tasso di mora usurario a quello corrispettivo, quest’ultimo si conserva.
Diversamente, la Corte di Appello di Venezia (18 febbraio 2013, n. 342), dal riferimento
indifferenziato dell’art. 1815 c.c. agli interessi, senza alcuna distinzione della relativa natura, fa
discendere l’applicazione della sanzione prevista a tutti gli interessi, sia corrispettivi che moratori.
Secondo il giudice di II grado “l’art.1815, comma 2, c.c. esprime un principio giuridico valido per
tutte le obbligazioni pecuniarie e prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in gratuito, in
ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie,
connotata dall’abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore
del limite oggettivo della soglia, di cui all’art. 2, comma quarto, L. 108/1996”.
Per qualsiasi finanziamento il parametro che meglio esprime il costo per il mutuatario e il ricavo per
il mutuante è il rendimento effettivo annuo. A tale parametro è riferita la soglia di usura nei termini
e modalità fissate dalla l 108/1996.
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Una volta convenuto il tasso effettivo e determinato il piano di ammortamento in funzione dei
parametri contrattuali, ossia, durata, periodicità delle rate, tipo di ammortamento, risulta definito
quanto corrispondere a ciascuna scadenza a titolo di interesse e a titolo di capitale.
La soglia di usura viene distinta dalla legge in funzione della natura del credito ed è riferita alla
fisiologia non alla patologia del credito. La mora intervenendo in una fase di criticità che esula
dall’ordinaria fisiologia, non viene ricompresa nella rilevazione del tasso medio di mercato, ma va
comunque inclusa nella verifica del rispetto dei limiti d’usura.
Essendo una componente eventuale del costo del credito, come tale, congiuntamente alle altre
componenti, deve rientrare nei limiti di soglia della categoria del credito a cui è riferita.
L’obbligazione originatasi con il mutuo è unica e alla stessa vanno congiuntamente riferiti i costi
corrispettivi e moratori senza discriminazione alcuna fra la fase fisiologica e quella patologica.
Dal quadro giurisprudenziale richiamato si evince la grande confusione che regna sul tema ed è
legittimo osservare come, in realtà, sebbene la normativa sull’usura oggettiva (intervenuta ad opera
della l. 108/1996, che ha riscritto gli artt. 644 c.p. e 1815 c.c. non richiedendo più il presupposto
soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno, ma semplicemente il superamento del tasso
soglia), sia nata proprio per contenere la discrezionalità sulla valutazione dell’usura soggettiva,
oggi, sembra esporsi al medesimo rischio sotto il profilo oggettivo e le pronunce dei Tribunali di
merito citate ne sono testimonianza.
Da una parte la rilevanza sociale della questione, dall’altra esigenze di uguaglianza sostanziale,
rendono auspicabile un intervento chiarificatore dell’Organo nomofilattico.
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