ru486 e aborto - Associazione Luca Coscioni

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ru486 e aborto - Associazione Luca Coscioni
NOTIZIE RADICALI QUOTIDIANO - N.2
3 NOVEMBRE 2006
AUT. TRIB. ROMA 11673
DEL 13.07.1967 - DIR.
RESP. AURELIO
CANDIDO
VIA DI TORRE
ARGENTINA, 76 00186
ROMA
SPEDIZIONE IN ABB.
POSTALE ART.2 COMMA
20 C LEGGE 662/96
FILIALE DI ROMA
MENSILE DI INIZIATIVA POLITICA E NONVIOLENTA DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI, PER IL CONGRESSO MONDIALE PER LA LIBERTÀ DI RICERCA
Agenda Coscioni
Numero Due
Novembre 2006
Direttore Marco Cappato
MORS
MEA
VITA
MEA
PIERO WELBY:
POSSO MORIRE
SENZA CHE
MI SI CONDANNI
A SOFFRIRE?
Le autorevoli risposte
del Seminario
dell’Associazione
Coscioni con
Ignazio Marino
RU486 E ABORTO:
Medici di tutto il mondo al grande Congresso
FIAPAC. I fondamentalisti li attaccano.
I conformisti progressisti tacciono.
EUTANASIA: MOBILITAZIONE
STRAORDINARIA IL 18 E 19 NOVEMBRE
ISCRIZIONI: APERTA LA CAMPAGNA 2007
ABORTO E
RU486
Congresso Fiapac
2 3
Caso Viale
5
Proposta di legge
“Coscioni”
6 7
“La storia”
8
EUTANASIA
Seminario
“Welby:posso
morire senza
condanna a
soffrire?”
9-17
Emilio Vesce
18-21
ROSA NEL
PUGNO
Appello Landolfi
Lettera aperta
di Pannella a Prodi
22
POLITICA
Lidia Menapace
23
Bandinelli
24
Governo, sì terapie
anti-dolore
28
RICERCA
Staminali: “Una
domanda da 7,5
milioni di euro”
25 26
Dal mondo
27
IN AZIONE
Sms sordi
Storia di speranza
Cellule Coscioni
Mobilitazione
Iscrizioni
29-32
2
CONGRESSO
FIAPAC
:
RU486
E ABORTO
MEDICINA ANTI-IDEOLOGICA
L’incontro Fiapac ha ricollocato il dibattito sull’aborto quale pratica medica sottoposta al confronto scientifico
MIRELLA PARACHINI
Nel 2000 ricevetti una
telefonata di Emma Bonino che
mi chiese:”Conosci mica un
ginecologo interessato ad una
riunione sull’aborto a Parigi?”.
Confesso di averci dovuto
pensare un po’ prima di
rendermi conto che Emma mi
stava chiedendo di
occuparmene.
E ancora oggi non so se l’ho
mai ringraziata. È stato così che
ho avuto modo di conoscere
un “altro” mondo, un mondo
che apparteneva sì alla
medicina, ma che si occupava
di un tabù per la medicina che
frequentavo negli ospedali
italiani, un argomento che non
veniva praticamente mai
studiato. Gli unici dati “esatti”
sugli aborti erano le asettiche
cifre dei numeri che il Ministro
della Sanità dichiarava
annualmente davanti al
Parlamento, come da dettato
della legge 194. Cifre che
peraltro indicavano
invariabilmente che gli aborti,
in Italia, dall’applicazione della
legge in poi, andavano
diminuendo di anno in anno.
Ma quanto alle tecniche,
all’approccio con la paziente,
alle modalità organizzative, alle
innovazioni da proporre: zero.
Fermi al metodo Karman, nella
migliore delle ipotesi, quando
non addirittura al
raschiamento. Voglio
raccontare un episodio, a
questo proposito, dei primi
anni ottanta. Un giorno
ricoverai una paziente con un
aborto spontaneo in una
importante clinica romana,
gestita da personale religioso.
Dovevo sottoporla ad una
cosiddetta “revisione della
cavità uterina”, cioè allo
svuotamento del materiale
abortivo ritenuto in utero.
Quando, in sala operatoria,
chiesi una cannula per aspirare
il materiale per fare una
isterosuzione, mi risposero che
nella clinica non era
disponibile un isterosuttore.
Che dovevo fare un
raschiamento tradizionale. A tal
punto l’isterosuttore in
questione veniva equiparato
all’interruzione volontaria della
gravidanza che la clinica, per
non correre il rischio di
equivocare,non aveva proprio.
Quella paziente, che aveva
scelto un ambiente di sanità
privata, veniva così penalizzata
ad essere sottoposta ad un
intervento che rappresentava
un passo indietro rispetto
all’innovazione
dell’aspirazione... (da quel
momento non ho mai più
ricoverato una paziente con
aborto spontaneo in clinica
privata).
Questo è un esempio di
medicina “ideologica”. E nel
nostro paese l’aborto
volontario è ancora oggi un
IL CONGRESSO DI ROMA
“Nell’intero ambito della medicina non c’è
argomento che abbia creato maggiori
controversie, attraverso la storia, della
interruzione volontaria della gravidanza.”
Con queste parole Giuseppe Benagiano,
Professore di Ostetricia e Ginecologia
dell’Università degli Studi "La Sapienza" di
Roma, ha inaugurato il Settimo Congresso
della FIAPAC che si è tenuto a Roma nei giorni
13 e 14 Ottobre 2006.
Il congresso, patrocinato dall’Assessorato alle
Politiche per la semplificazione, la
comunicazione e le pari opportunità del
Comune di Roma e presentato alla stampa
dall’assessore Mariella Gramaglia, ha visto la
partecipazione, per la prima volta in Italia, di
più di 450 operatori provenienti da una
quarantina di Paesi, tra i quali Cina, Taiwan,
Stati Uniti, Nuova Zelanda, Russia, Tunisia,
Georgia, Canada, Sud Africa e Turchia. L’OMS
ha partecipato ai lavori con alcuni
rappresentanti delle proprie agenzie. La
stessa riunione due anni fa si era svolta a
atto medico sottoposto ad un
condizionamento di natura
esclusivamente ideologica: con
il risultato – paradossale - che
chi è contrario all’aborto detta
le condizioni del suo
svolgimento! esattamente
quello che è successo con la
procreazione medicalmente
assistita: un parlamento a
maggioranza contrario alla
PMA ne ha codificato le
modalità di esecuzione,
scavalcando ogni evidenza
scientifica di “buona pratica
clinica” e creando una legge
mostruosa da un punto di vista
medico.
Quella stessa resistenza di ieri
al metodo Karman continua
oggi con la resistenza
all’introduzione dell’aborto
farmacologico in Italia.
Battaglia che i radicali
perseguono sapete da quanto
tempo? Da venticinque anni!!
Così come negli anni Settanta i
radicali e il MLD (Movimento
di Liberazione della Donna)
avevano organizzato, nella
sede di via di Torre Argentina,
un seminario di
aggiornamento per i medici sul
metodo dell’aborto per
aspirazione, invitando il Signor
Karman, così nel 1981
presentavano, in una
Vienna, senza polemiche, e tra due anni si
svolgerà a Berlino.
Durante il convegno è stata ribadita la
sicurezza dei metodi medici e chirurgici per
l’aborto, nonché l’impegno per la diffusione
dei sistemi contraccettivi.
Per quanto riguarda l’aborto medico, si sono
confrontate le varie tecniche utilizzate nel
mondo e, pur nella diversità delle realtà
sanitarie, si è proseguito nello sforzo di
individuare protocolli più sicuri ed efficaci.
Particolare attenzione è stata data alla
questione dei decessi registrati in Nord
America (4 in California ed 1 in Canada) per il
Clostridiun Sordellii, che molto risalto hanno
avuto sui media. Tali decessi rimangono non
spiegati, non sono collegabili direttamente
alla Ru486 e non hanno riscontro negli altri
paesi, tra i quali la Cina, che da anni utilizzano
la RU486.Si è trattato di un convegno di alto
valore scientifico e di confronto su temi
difficili, sovente posti ai margini delle
politiche sanitarie dei governi.
La libertà dal pregiudizio, l'abbandono del
principio di autorità e l'apertura al
confronto critico sono all'origine della
scienza moderna
conferenza al Residence
Ripetta, Marc Bygdeman del
Karolinska Hospital di
Stoccolma, il ricercatore che
per primo aveva studiato la
possibilità di applicare le
prostaglandine nell’aborto
quale alternativa al metodo
chirurgico. Maurizio Mottola,
medico radicale, riassumeva
benissimo nel titolo di un
articolo la questione tuttora
aperta: “ Raschiamento,
aspirazione, ovuli di analoghi di
prostaglandina: un itinerario
tecnico per
l’autodeterminazione della
donna.”
Se mi appare del tutto evidente
la necessità di continuare
l’itinerario politico intrapreso
con i radicali, e oggi più che
mai con l’associazione
Coscioni, per l’affermazione del
principio di una scienza libera
dal pregiudizio, l’incontro con
la FIAPAC ha rappresentato la
sede dove ricollocare il
dibattito sull’aborto volontario
quale pratica medica, che in
quanto tale deve essere
sottoposta al confronto in
ambito scientifico, senza
condizionamenti e pregiudizi
ideologici, senza il complesso
della Cenerentola della
Ginecologia che ancora oggi
tanti operatori di questo settore
conoscono, e soprattutto
potendo recepire quello che la
medicina oggi propone:
l’aborto farmacologico quale
possibile scelta alternativa a
disposizione della donna
“paziente”.
Come dice Gilberto Corbellini
“La libertà dal pregiudizio,
l’abbandono del principio di
autorità quale strategia per
risolvere le controversie e
l’apertura al confronto critico
basato su esperienze
controllabili sono all’origine
della scienza moderna”.
DIECI ANNI
DI COMPETENZA SCIENTIFICA
La Fiapac è una organizzazione internazionale istituita con il duplice scopo di
perseguire la libertà per tutte le donne di decidere se
proseguire o meno la gravidanza e nel caso, di garantire gli standard migliori nella
pratica dell’aborto e della
contraccezione, al di fuori di
scopi commerciali. Sin dalla
sua fondazione, nel 1997, la
Fiapac ha promosso un dibattito qualificato sull’interruzione volontaria della gravidanza, con la realizzazione di convegni internazionali in cui vengono messe a
confronto le più importanti
esperienze cliniche e di ricerca in tema di aborto e di
contraccezione, restituendo
questo
particolarissimo
campo della ginecologia al
suo giusto ambito tecnicoscientifico. La Fiapac, anche
per la storia delle personalità che l’hanno fondata, a
partire
dalla
dott.ssa
Elisabeth Aubény, la ginecologa che, prima nel mondo, ha sperimentato il metodo dell’aborto farmacologico con il Mifepristone presso l’ospedale Broussais di
Parigi, rappresenta il luogo
più qualificato di approfondimento e di studio di que-
sto discusso argomento.
Inoltre, la peculiarità della
federazione di essere costituita non solo dagli operatori medici ma anche da tutte
le figure implicate nel processo decisionale e nello
svolgimento dell’intervento,
quali le figure assistenziali
del counselling, il personale
infermieristico, ostetrico,
psicologico, socio-sanitario
e non ultimo da esperti del
massimo livello nel campo
epidemiologico, rappresenta un laboratorio unico per
un approccio specifico e
completo della tematica.
CONGRESSO
FIAPAC
:
RU486
E ABORTO
3
RELIGIONI, ABORTO E INFANTICIDIO
Un punto di vista evoluzionistico e storico
GILBERTO CORBELLINI
Relazione al Congresso FIAPAC
Le religioni sono, oggi, le principali istituzioni socio-culturali che si oppongono all’aborto. Nella maggior parte dei paesi in
cui l’aborto è illegale, o in cui la sua legalità
è a rischio, le organizzazioni religiose sono
politicamente molto influenti.
Di fronte ai dogmi attraverso cui le diverse
dottrine religiose motivano la tesi circa l’illiceità dell’aborto, nessuna argomentazione razionale che dimostra i benefici della
legalizzazione dell’aborto risulta efficace.
Nondimeno, innumerevoli analisi antropologiche e storiche mostrano che l’aborto,
così come l’infanticidio, erano comuni sia
nelle società antiche sia in quelle moderne,
e che le religioni tolleravano comunque
queste pratiche – in determinate condizioni. La religione e l’aborto implicano una serie di comportamenti finalizzati a obiettivi
predeterminati. La religione serve a regolare le interazioni sociali. L’aborto è un metodo per controllare le nascite e quindi le dimensioni delle popolazioni umane. Da un
punto di vista sia evolutivo sia antropologico, la religione può essere definita come un
fenomeno sociobiologico basato su predisposizioni cognitive umane, utili per elaborare credenze che rafforzino la cooperazione sociale. Il che significa che le religioni
esisteranno fino a quando la nostra specie
calcherà il pianeta.
Tutte le dottrine religiose s’interessano ai
comportamenti riproduttivi, prescrivendo
una serie di comportamenti permessi e di
credenze riguardanti il sesso e l’allevamento della prole. Il forte interesse per i comportamenti collegata alla riproduzione riguarda le religioni di ogni parte del mondo,
e tutte stabiliscono in qualche modo quali
condizioni sono giuste o sbagliate per la
contraccezione, l’aborto e l’infanticidio.
Inoltre, ognuna di esse controlla la sessualità adolescenziale, regola il divorzio, il matrimonio, la possibilità di risposarsi e la vedovanza. Anche se la specifica giustificazione teologica differisce tra le varie religioni,
quasi tutte tentano di contrastare la contraccezione, l’aborto e l’infanticidio.
Le proibizioni religiose di pratiche naturali di controllo delle nascite, incluso l’aborto, probabilmente aiutarono le civiltà umane a risolvere i seri problemi demografici,
causati da una crescente mortalità infantile, conseguenti alla transizione da società
basate sulla caccia e la raccolta, a quelle basate sull’agricoltura. Conseguentemente, le
religioni giocarono un ruolo importante
nel permettere le espansioni demografiche
e successivamente geografiche, politiche e
culturali delle civiltà e società umane.
L’aumento dell’intolleranza verso pratiche
che erano relativamente tollerate nel passato dalla maggior parte delle religioni è
forse una conseguenza della dissonanza
tra i contesti socio-politici antichi e moderni che frequentemente trasformano le religioni in istituzioni umane che non sono in
grado di adattarsi al cambiamento dei tempi.
Quasi tutti gli studiosi concordano che l’infanticidio e/o l’aborto rappresentavano
delle concrete possibilità che venivano prese in considerazione nelle società di cacciatori-raccoglitori. Oggi l’aborto ad uno stadio avanzato della gestazione e l’infanticidio sono giudicati dalla maggior parte delle persone come qualcosa di orribile e ripu-
gnante. E il diritto, la moralità ed il costume
occidentale contemporaneo tracciano una
netta distinzione fra l’infanticidio e l’aborto. Anche in altre culture è spesso presente
una qualche distinzione fra l’omicidio illegale dei bambini e l’aborto legale dei feti,
ma la linea divisoria fra i due fenomeni può
aver luogo dopo la nascita, piuttosto che alla nascita stessa, cosicché la distinzione tra
aborto e infanticidio talvolta non è del tutto definita.
Da un punto di vista meramente pratico,
l’infanticidio ha una serie di vantaggi rispetto all’aborto, soprattutto dove non siano disponibili strumenti sterilizzati per
praticare l’aborto: è meno rischioso per la
madre, consente decisioni all’ultimo minuto, e permette valutazioni eugeniche riguardo alla qualità della progenie. Non è illogico avanzare l’ipotesi che con l’incremento delle conoscenze medico-empiriche riguardanti la gravidanza anche la fattibilità dell’aborto sia incrementata. In conseguenza a ciò, è stato possibile limitare sia
l’infanticidio che l’abbandono dei bambini, pratiche molto sofferte da parte delle
donne. Dobbiamo comunque essere consapevoli del fatto che esistono elevate percentuali di bambini e di feti, in tutte le popolazioni urbane contemporanee, che generalmente non sono incluse nelle statistiche di mortalità.
I tassi di aborto e di infanticidio, riportati e
non, dovrebbero essere conteggiati anche
nelle statistiche mediche delle società storiche e moderne, europee e americane.
L’infanticidio e l’abbandono dei minori cominciarono a decrescere quando le società
occidentali registrarono la transizione demografica che portò all’abbattimento della mortalità infantile a cui seguì il declino
della natalità. Il tasso di mortalità infantile
declinò prima di tutto a causa dei progressi dell’igiene e della medicina.
Inizialmente le religioni non poterono
osteggiare in modo eccessivo pratiche evolutesi nel corso di quasi un milione di anni.
Cosicché, per gran parte dell’evoluzione
storica del rapporto tra religione e aborto,
le religioni maggiormente organizzate tollerarono in qualche modo sia l’infanticidio
che l’aborto. Dallo studio degli antichi codici di diritto e dei primi testi medici emerge che l’aborto veniva condannato solo in
relazione ai danni causati alle donne e alle
economie famigliari. La condanna, cioè,
non si riferiva alla protezione del feto, ma
ai diritti dei genitori, soprattutto nei confronti del padre, il quale poteva decidere
che una donna interrompesse la gravidanza o abbandonasse il bambino. Inoltre, le
più antiche scuole mediche, fatta eccezione della setta di Ippocrate/Pitagora che formulò il cosiddetto giuramento di
Ippocrate, praticavano l’aborto e condannavano l’interruzione di gravidanza solo
quando la pratica era richiesta per evitare
le conseguenze di un adulterio o il suo impatto estetico.
Perché negli ultimi due secoli alcune religioni, in particolare quelle inserite nella tradizione cristiana, adottarono un’attitudine
spiccatamente proibizionista? Sarebbe importante capire perché, durante la seconda metà del XIX secolo, la teologia cattolica
decise di eliminare la differenza fra feti animati e inanimati e adottò un criterio immorale e criminale di giudizio affinché nessuna pratica di distruzione dei feti fosse
permessa; benché, addirittura, in alcuni
casi detto divieto significava la morte certa
sia per la madre che per il figlio. Si potrebbe
avanzare l’ipotesi che questo cambiamento trovi la sua origine nell’inadeguatezza
delle religioni a comprendere i nuovi contesti e le nuove forme di comportamento
riproduttivo umano, rese possibili dai progressi sociali, economici, scientifici e medici che promuovono decisioni basate più
sulle preferenze individuali che sulle convenienze della società. Inoltre, più recentemente, il progresso medico e la crescente
medicalizzazione della gravidanza hanno
permesso la costruzione sociale e culturale di immagini virtuali degli embrioni e dei
feti che confondo le idee, supportando
l’idea religiosa che essi siano in realtà dei
piccoli bambini.
ITALIA: I
REIETTI DELLA
GINECOLOGIA
Una organizzazione quale la Fiapac
assume nel nostro paese un ruolo inedito ed essenziale. Troppo spesso gli
operatori di questa branca “cenerentola” della Ginecologia – la interruzione volontaria della gravidanza- si sentono ingiustamente relegati in un terreno reietto, senza il dovuto riconoscimento verso lo svolgimento di una
procedura medico-chirurgica e come
tale sottoposta alle regole della “good
medical practice”.
Uno dei compiti svolti dalla Fiapac è
quello della formazione degli operatori. Se sul piano clinico e strumentale
questo può sembrare assimilabile al
ruolo di una qualsiasi società medicoscientifica, che in Italia comunque è
assente in quanto tale, quando ci si
sposta sull’aspetto emotivo, psicologico e motivazionale sia della paziente
che dell’operatore, allora il ruolo
“multiprofessionale” della Fiapac assume una funzione determinante per
la consapevolezza necessaria in un
momento tanto difficile quale quello
dell’interruzione volontaria di una
gravidanza.
Basti pensare alla totale carenza, nelle
scuole di specializzazione di
Ostetricia e Ginecologia del nostro
paese, di corsi specifici destinati alla
formazione di chi si troverà ad affrontare questa delicatissima tematica.
Dietro al pur legittimo schermo dell’obiezione di coscienza della stragrande maggioranza dei docenti, si
nasconde l’assoluta mancanza di indicazioni per gli operatori che vengono privati dei più elementari strumenti professionali. Viene pertanto lasciato all’iniziativa del singolo operatore il
compito di acquisire la pratica necessaria e il dovuto aggiornamento professionale, con la conseguenza di veder applicati, per lo stesso tipo di atto
medico, i comportamenti più disparati, a volte privi di qualsiasi evidenza
scientifica quando non in disaccordo
con le linee guida internazionali.
In conclusione, esistono numerose prove
di una morale umana largamente diffusa
che considera pragmaticamente la scelta
dell’aborto per evitare una sofferenza riguardante la gravidanza, il parto o il rapporto genitoriale. Tuttavia, benché possiamo rafforzare l’adeguatezza di questa morale con una serie di argomenti empirici e
razionali, e mostrare che nessun codice religioso ha mai garantito o potrebbe garantire le condizioni sufficienti per una convivenza civile come risce a fare una legge secolare, le religioni continuano a influenzare le politiche concernenti l’aborto. E questo, semplicemente, perché i nostri comportamenti e caratteristiche cognitive non
furono selezionate biologicamente per
avere a che fare con le società moderne e
per promuovere il nostro benessere individuale, ma sulla base di un vantaggio
adattativo nel conteso dell’evoluzione darwiniana. E, in qualche modo, le religioni
sono istintivamente percepite come più
utili a questo scopo rispetto al pensiero razionale.
Appartiene a questa drammatica
mancanza di considerazione professionale dell’aborto volontario in Italia
la resistenza all’introduzione dell’aborto farmacologico, a partire innanzitutto da coloro deputati a “governare” la sanità nel nostro paese.
Come se, in un paese in cui l’aborto è
stato legalizzato da ormai quasi trenta
anni, il dibattito politico-ideologico
sulla liceità della interruzione volontaria della gravidanza si fosse spostato
dal diritto alla scelta dell’aborto al diritto alla scelta del metodo dell’aborto.
L’introduzione dell’aborto farmacologico con il Mifepristone - o RU 486 –
rappresenta in modo paradigmatico
un dibattito grossolanamente sottratto alla sua sede naturale, quella sull'uso “delle tecniche più moderne, più
rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per
l'interruzione della gravidanza” (non a
caso cito l’articolo 15 della legge 194),
a favore di una polemica tutta ideologica ed antiscientifica.
4
:
LA SCELTA
DELLA DONNA
RU486
E ABORTO
ABORTO, PIÙ CHE “SI O NO?”
LA DOMANDA È “COME?”
MARIO CAMPOGRANDE
Direttore Dipartimento I (Ginecologia e
Ostetricia) Ospedale infantile Regina
Margherita/S. Anna di Torino
Un aborto volontario è sempre
motivo di sofferenza per la
donna, che per lo più arriva a
questa scelta con un vissuto di
ambivalenza nei confronti
della nuova condizione
biologica e psicologica.
Tuttavia, ogni anno, tra il 2-3%
di tutte le donne in età
riproduttiva hanno una
interruzione volontaria di
gravidanza (Ivg).
Dal 1978, l’aborto chirurgico è
l’intervento chirurgico più
ricovero la donna assume il
mifepristone. Il protocollo
proposto dall’Ospedale S.
Anna prevede la
somministrazione di una delle
due posologie in fase di
controllo, consistenti o in una
compressa da 200 mg, oppure
in tre analoghe compresse.
Dallo studio su eventuali
differenze di risultato sulle 400
donne che avranno assunto
200 o 600 mg di RU486 si
potranno avere indicazioni
utili, al fine di ridurre, a parità
di risultati, la quantità di
farmaco da assumere. Nel 56% dei casi si possono avere
perdite ematiche e già anche
Perchè le donne
scelgono l’aborto
farmacologico
Può essere fatto precocemente
Assenza di intervento chirurgico
Assenza di anestesia generale
Preferisce essere cosciente
Non vuole dipendere dal medico
Cattiva esperienza con il raschiamento
Altro
68%
59%
52%
16%
4%
3%
4%
Christian Fiala
Congresso FIAPAC ROMA 2006
diffuso nei nostri ospedali,
come unico metodo per la Ivg
nel primo trimestre.
L’intervento è una delle
operazioni chirurgiche più
sicure e il rischio di mortalità
per aborto legale è inferiore a 1
su 100.000 operazioni. È
tuttavia vero che la pratica
chirurgica della Ivg è vissuta
da alcune donne come
un’intrusione pesante nella
propria intimità personale. Dal
momento che l’esperienza
internazionale sull’aborto
farmacologico ha portato ad
acquisire una grande mole di
dati rassicuranti su milioni di
casi, dal 2001 è stata proposta
una sperimentazione in Italia.
Non è corretto banalizzare,
sostenendo che si tratta di un
metodo molto più semplice,
molto meno impegnativo per
la donna, privo di dolore, con
assenza assoluta di
controindicazioni, con assenza
assoluta di rischi.
Oltre alle procedure legali preaborto (le stesse da farsi per
l’aborto chirurgico, per
l’aborto medico, che richiede
sempre un’accurata raccolta
della storia clinica della
paziente) occorrono
un’ecografia per la corretta
datazione della gravidanza e
un minor numero di esami di
laboratorio; non serve la visita
anestesiologica. In regime di
un aborto completo dopo la
sola somministrazione di
RU486. Nel 94-95% delle
donne sarà necessaria la
somministrazione, dopo 36-48
ore, sempre in regime di
ricovero ospedaliero, del
secondo farmaco, il
misoprostol, una sostanza che
induce l’espulsione del
prodotto del concepimento,
determinando contrazioni
dell’utero. Con una o due
somministrazioni di questo
farmaco si verifica l’aborto nel
95-98% dei casi. Il 2-5% di
donne dovrà comunque essere
sottoposto a revisione
chirurgica della cavità uterina.
Nella fase di espulsione vi
possono essere nausea e
vomito transitori, che
richiedono farmaci soltanto
nel 3% dei casi.
Le perdite ematiche sono
analoghe a quelle successive a
un aborto chirurgico e
possono persistere per una
media di 8-9 giorni. In una
percentuale intorno all’1-3% si
rende necessaria una revisione
chirurgica a scopo emostatico.
Nella maggior parte dei casi le
donne, pur avvertendo dolore
di tipo mestruale, non
richiedono analgesici. Un
numero telefonico di un
medico e il Pronto soccorso
dell’ospedale, con medici
informati sul protocollo
assistenziale, sono a
disposizione 24 ore su 24. E’
previsto sempre un controllo
clinico ed ecografico, dopo
circa 14 giorni dalla
somministrazione del secondo
farmaco.
Per quanto riguarda i rischi,
mentre l’aborto chirurgico
comporta, tra le più frequenti
complicazioni, le infezioni
uterine, al contrario
l’endometrite è una
complicazione rarissima con
l’aborto medico.
Recentemente la Fda
americana ha segnalato un
rischio di mortalità per sepsi di
1 su 100.000 donne trattate.
Circa il 90% delle donne che lo
hanno utilizzato, secondo uno
studio francese, sceglierebbero
nuovamente l’aborto medico
nell’eventualità di dover
ricorrere ancora alla Ivg.
Perché? Le espressioni più
comunemente riferite in
proposito sono: si evita
l’intervento chirurgico e
l’anestesia, eventi vissuti come
aggressivi; sembra un evento
meno medicalizzato, la donna
segue l’evento e si prende cura
di sé, con una maggiore
intimità; si può effettuare
entro le 7 settimane.
Oggi, in Francia, il 26% degli
aborti entro le 7 settimane si
effettua con i farmaci; il Royal
College e l’American College of
Obstetricians and
Gynaecologists indicano come
questa debba essere
un’opzione offerta alle donne.
E’ questa l’opinione della
maggior parte dei ginecologi
italiani, che attraverso la
rappresentanza delle
associazioni professionali
(Aogoi, Augui, Sigo) hanno
chiesto la continuazione della
sperimentazione. La domanda
non è, ovviamente: “Aborto sì,
aborto no?”. E’ piuttosto:
“Aborto come?”. Sembra
doveroso lasciare la risposta
alle donne, correttamente
informate sulle diverse opzioni
possibili.
DOVE SI USA LA RU486
ABORTO: NEL MONDO SI MUORE ANCORA
Circa il 61% della popolazione mondiale vive in paesi
in cui l’aborto volontario è consentito, con un range
più o meno ampio di restrizioni, ma nel 26% dei paesi
del mondo l’aborto non è riconosciuto legalmente. Per
il persistere della pratica dell’aborto illegale,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorre alla
definizione di "unsafe abortion" (aborto in condizioni
di non sicurezza) quale “ quella procedura di
interruzione di una gravidanza indesiderata espletata
da persone prive della necessaria esperienza, e/o in
ambienti privi dei minimi standards medici." L’OMS
stima in almeno 20 milioni ogni anno il numero degli
“unsafe abortions", 19 milioni nei paesi in via di
sviluppo e il resto soprattutto nei paesi dell’Europa
dell’Est, con una mortalità di ottanta mila donne ogni
anno, pari al 13% delle morti legate alla gravidanza.
D’altra
parte
una
legislazione
permissiva
sull’interruzione volontaria della gravidanza non è una
garanzia sufficiente alla pratica dell’aborto in
condizioni di sicurezza.
In molti paesi europei con legislazioni restrittive si
continua a praticare il cosiddetto “turismo abortivo”,
come per esempio dall’Irlanda verso il Regno Unito,
l’Olanda o il Belgio; da Malta verso l’Italia, la Spagna,
il Belgio e l’Olanda; dal Portogallo verso la Spagna;
dalla Polonia verso la Germania, la Repubblica Ceca o
l’Olanda.
Una esperienza molto particolare per far fronte alle
situazioni di illegalità dell’aborto in paesi con una
legislazione restrittiva quale il Portogallo o l’Irlanda, è
quella di una associazione olandese, Women on
Waves, regolarmente registrata nei Paesi Bassi, che
ha ideato una “clinica galleggiante” dove l’equipe
medica opera a bordo di una nave in acque
extraterritoriali. (http://www.womenonwaves.org)
“Il Sole 24 Ore” – Sanità, 4-10
ottobre 2005
Viagra®
Mifepristone
(RU486)
Tempi di approvazione
Qualche mese
> 10 anni
Indicazione
Medicalmente
non importante
Evento importante
nella vita
con conseguenze definitive
Effetti collaterali
Molte morti riportate
Pochi casi di morte;
scarsi effetti collaterali
Disponibilità
Ovunque
Non disponibile in Canada
e nella maggior parte dei paesi
eccetto Europa Occidentale e USA
Media
Report frequenti:
pubblicità libera
Report emotivi,
controversie su pillola abortiva
Laws and practises in abortion care, C. Fiala
(Presidente in carica della FIAPAC) Roma 2006
IL CASO
VIALE
:
RU486
E ABORTO
5
IL “CASO VIALE”:
SPERIMENTAZIONE ALLA SBARRA
Il 9 luglio 2004 il Ministero della
Salute autorizza di fatto la
sperimentazione della RU486
all’Ospedale Sant’Anna, trasmettendo
un parere del Consiglio Superiore di
Sanità.
La sperimentazione coinvolgerà 400
donne per le quali saranno utilizzati
dosaggi differenti.
La richiesta, sponsorizzata da
cinquanta ginecologi dell’ospedale,
viene consegnata nel 2002 al
Comitato etico regionale da Silvio
Viale, Mario Campogrande, Marco
Massobrio e Franco Mascherpa.
Un risultato soddisfacente,
nonostante i tempi lunghi.
L’Ordine dei Medici di Torino esprime
parere favorevole e sostiene che non
esista alcuna ragione per impedirne la
registrazione anche in Italia e
l’equivalenza morale tra aborto
medico e aborto chirurgico. Resta
categorico il veto dei medici obiettori
di coscienza.
La sperimentazione, iniziata a
settembre, viene bloccata dal Ministro
Storace il 21 settembre 2005
(Ordinanza contingibile ed urgente
relativa alla interruzione volontaria di
gravidanza con Mifepristone
(RU486)).
Il 22 settembre Storace afferma
addirittura (La Stampa) che il parere
del Consiglio Superiore di Sanità di un
anno e mezzo prima (quello che
autorizzava la sperimentazione) era
stato «un parere negativo».
Il Sant’Anna appronta il nuovo
protocollo di sperimentazione, che
accoglie le richieste del Ministro
(come il ricovero ospedaliero), pur di
poter riprendere gli interventi di
aborto medico.
Il 4 ottobre, il Comitato regionale per
le Sperimentazioni Cliniche,
presieduto dall’Assessore Valpreda,
esaminato il nuovo protocollo, dà il
via libera alla ripresa della
sperimentazione. Essendo la
competenza nel valutare i rischi per la
salute e le diverse controindicazioni
proprie del Comitato, non esistono
più elementi per mantenere
l’ordinanza di sospensione.
La ripresa della sperimentazione,
però, è gravata da varie disavventure e
ritardi postali: il plico postale è
inviato il 10 ottobre, soltanto il 23 il
Ministero dichiara di averlo ricevuto,
viene protocollato il 27 e infine il 2
novembre un fax annuncia
l’imminente recapito della ricevuta in
originale, che richiede ancora qualche
giorno…
Alla fine di ottobre il Sant’Anna
comunica che il 7 novembre
ricomincerà la somministrazione
dell’RU486. La maggioranza delle
donne escluse dall’ordinanza del
Ministro, dopo un mese di
sospensione, non farà più in tempo a
ricorrere all’aborto medico.
Con l’obbligo di ricovero per i tre
giorni del trattamento, la carenza di
posti letto impone di trattare un
numero inferiore di pazienti ogni
settimana; tempi previst: due anni.
Il 21 dicembre il Consiglio Superiore
di Sanità prende atto della regolarità
delle procedure di sperimentazione al
• SILVIO VIALE
49 anni, Medico. Ginecologo all'Ospedale S.Anna
di Torino. Dal 1993 al 2001 capogruppo dei Verdi
al Comune di Torino. Membro della Direzione
Nazionale della Rosa nel Pugno, del Comitato
Nazionale di Radicali Italiani, del Consiglio
Generale dell'Associazione Luca Coscioni e del
Consiglio Generale e Comitato Scientifico di EXITItalia. Presidente dell'Associazione radicale
Adelaide Aglietta.
Silvio Viale:
La propaganda
degli anti-abortisti
contro la RU486
giunge ad esaltare
l’aborto chirurgico, visto come una
sorta di male
minore, l’aborto
«buono», contrapposto a quello del
«Maligno»,
stigmatizzato
come «chimico»
Sant’Anna di Torino, smentendo di
fatto il Ministro Storace.
Aubény: “Tre giorni?” Mi sembra molto.
Elisabeth Aubény è la ginecologa
francese che ha sperimentato per la
prima volta nel mondo l’aborto
farmacologico presso l’ospedale
Broussais di Parigi, ormai vent’anni
fa. È presidente della Federazione
internazionale degli operatori
dell’aborto e della contraccezione
(FIAPAC).
Le è stato chiesto un parere circa
“Sarebbe bene
considerare la RU
semplicemente
come una nuova
tecnica abortiva”
l’indagine che coinvolge quattro
medici per non aver trattenuto in
ospedale tre giorni le donne che si
sottopongono a aborto medico.
“Tre giorni? Beh, mi sembra molto,
anche se ritengo che un paese
debba essere cauto quando decide
di introdurre queste novità. In
Francia continuiamo, dopo tanti
anni, a prestare ancora una grande
attenzione. Ma dopo la
somministrazione della Ru486, le
donne possono tornare a casa e
rientrare in ospedale quando
devono assumere le prostaglandine.
Anche da noi, comunque, quando è
stata introdotta la pillola c’è stato
un dibattito simile, ma il Comitato
etico nazionale stabilì che per
«aborto» bisogna considerare la
somministrazione del farmaco, e
non l’espulsione del feto”.
E ancora: perché l’introduzione di
questo farmaco si porta sempre
dietro una scia di polemiche?
“Credo che ciò dipenda dalla paura
dei medici di perdere il controllo sul
corpo della donna. Con la RU486 è
la donna a essere protagonista in
prima persona e responsabile.
Sarebbe bene considerare la RU
semplicemente come una nuova
tecnica abortiva. D’altronde in tutti
i campi sanitari si cerca di
privilegiare la medicalizzazione alla
sala operatoria”.
(La ginecologa francese: «Lasciate
libertà di scelta», “Il Manifesto”, 14
ottobre 2006).
Nel febbraio 2006 il Presidente della
Exelgyn, Alexandre Lumbroso,
comunica all’Associazione dei
Consumatori ADUC di voler avviare
ufficialmente la procedura europea
centralizzata di mutuo
riconoscimento.
Il Policlinico di Modena dichiara che
attiverà le procedure di importazione
come previsto da una recente
circolare dell’Assessorato regionale
alla Sanità.
Nel giugno 2006 la Procura di Torino
sottopone ad indagine Silvio Viale per
la sperimentazione su RU486 che
sarebbe stata condotta, secondo
l’ipotesi accusatoria, in modo
difforme rispetto al protocollo (l’80%
delle donne avrebbero usufruito di
permessi ed alcune espulsioni
abortive si sarebbero verificate al di
fuori delle mura dell’ospedale). Nel
registro degli indagati sono iscritti i
quattro sperimentatori principali ed il
Direttore Generale dell’azienda
ospedaliera.
Nell’agosto 2006 Valpreda annuncia la
decisione di sospendere la
sperimentazione della RU486, anche
in assenza di rischi per le pazienti
(come dichiarato dallo stesso
Valpreda).
E così, quando mancavano solo 38
donne sulle 400 previste dalla
sperimentazione, si chiude
definitivamente la sperimentazione
della RU486 in Italia.
6
IN
PARLAMENTO
.
RU486
E ABORTO
ABORTO: PROPOSTA
DI LEGGE “COSCIONI”
Tempi, metodi, strutture sanitarie: scelga la donna
Primo firmatario
ON. MAURIZIO TURCO
Tesoriere dell’Associazione Coscioni, Deputato della Rosa nel Pugno
Relazione
Onorevoli Colleghi,
la presente proposta di legge elaborata in
collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni per
la libertà di ricerca scientifica considera la relazione
annuale al Parlamento del Ministro della Salute che
indica, per il 2005, rispetto al 2004, una riduzione del
numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG)
del 6,2%. Dal 1982, anno con il più alto numero di
IVG segnalate, la riduzione è stata del 44,8%. Se si
considerano solo le donne con cittadinanza italiana
la riduzione sale al 57,3%, con una cifra attuale
inferiore alle 100.000 IVG. Questo significa che oggi
solo una donna su quattro avrà un aborto volontario
nell’arco della sua vita riproduttiva, mentre agli inizi
degli anni ’80 era di due su tre.
L’aumento delle IVG delle donne straniere è in
relazione al rapido aumento del numero di donne
immigrate in età feconda, le quali hanno
complessivamente tassi di abortività e di natalità da
due a quattro volte superiori a quelli delle donne
italiane. Pur esistendo differenze significative tra le
varie comunità, il tasso di abortività specifico non
sembra essere in aumento, a testimonianza che il
progressivo processo di integrazione tende a fare
PROPOSTA
DI LEGGE
Modifiche alla
Legge 22 maggio 1978, n. 194,
in materia di tutela sociale della
maternità e
di interruzione
volontaria della
gravidanza
ART. 1. 1. Dopo il secondo comma dell’articolo 1 della Legge 22
maggio 1978, n. 194, sono inseriti
i seguenti: « Lo Stato garantisce la
salute della donna e la sua libertà
di pianificare le proprie gravidanze nel numero, nei modi e nei
tempi ritenuti più opportuni dalla donna stessa. Nessuna donna
può essere obbligata a portare
avanti una gravidanza e ad affrontare i rischi fisici, psichici,
economici e sociali connessi o
conseguenti, sia per la donna
stessa che per la sua famiglia.
Compito dello Stato, delle Regioni
e degli enti locali è quello di con-
tribuire a rimuovere le cause che
possono indurre all’interruzione
della gravidanza nel rispetto della libera valutazione della donna
». 2. Il terzo comma dell’articolo 1
della Legge 22 maggio 1978, n.
194, è sostituito dal seguente: « Lo
Stato, le Regioni e gli enti locali
promuovono e sviluppano i servizi sociosanitari e garantiscono
la possibilità di accesso ai mezzi
per il controllo delle nascite, ai
metodi contraccettivi ordinari ed
a quelli di emergenza in condizioni di efficacia e di sicurezza ».
ART.2.1. Al secondo comma dell’articolo 2 della Legge 22 maggio
1978, n. 194, dopo la parola: « nascita » sono aggiunte le seguenti:
« e collaborare nelle attività di prevenzione primaria delle gravidanze indesiderate ». 2. Dopo il
secondo comma dell’articolo 2
della legge 22 maggio 1978, n. 194,
come modificato dal presente articolo, è inserito il seguente: «È
abolito l’obbligo di ricetta medica
per i farmaci registrati per la contraccezione d’emergenza ». 3. Il
terzo comma dell’articolo 2 della
Legge 22 maggio 1978, n. 194, è
sostituito dal seguente: « La prescrizione e la fruizione dei mezzi
necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile sono consentite anche ai minori ».
ART.3.1.L’articolo 4 della legge 22
maggio 1978, n. 194, è sostituito
dal seguente: « ART. 4. – 1. Per l’in-
terruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna si rivolge a un consultorio pubblico istituito ai sensi
dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975, n. 405, o a un
medico ».
ART. 4. 1. L’articolo 5 della Legge
22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 5. – 1. Il
consultorio, o il medico, oltre a
dover garantire i necessari accertamenti medici, ha il compito,
qualora la donna lo richieda, di
esaminare con la donna e, qualora la donna lo consenta ed egli accetti, con la persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni ai problemi proposti per aiutarla a superare quelle
cause che, se rimosse, potrebbero indurla a non interrompere la
gravidanza, prospettandole gli
aiuti di cui potrà con ragionevole
certezza usufruire durante la gravidanza, al momento del parto e
successivamente per l’assistenza
del nucleo familiare. 2. Il consultorio e il medico informano la
donna sulle procedure e sui metodi di interruzione della gravidanza appropriati per il suo specifico caso e sulle strutture esistenti presso le quali potere praticare l’intervento per l’interruzione della gravidanza, nonché sui
mezzi per il controllo delle nascite. 3. Quando il medico riscontra
l’esistenza di condizioni tali da
rendere urgente l’interruzione
della gravidanza, rilascia imme-
assumere le caratteristiche riproduttive delle donne
italiane. Questa osservazione non riguarda solo le
donne provenienti dai paesi dell’Est, dove l’aborto è
storicamente più diffuso, ma anche le donne che
provengono da quei paesi, africani, latini ed asiatici,
dove l’aborto clandestino è molto più comune,
nonostante i divieti legislativi. Per molte di queste
donne, che tendono a rifiutare la contraccezione,
l’aborto è un fattore culturale di limitazione delle
nascite come lo era in Italia prima delle Legge 194. È
prevedibile che la possibilità di avere l’aborto legale
induca nelle donne immigrate gli stesi
comportamenti virtuosi che hanno favorito la
riduzione delle IVG tra le donne italiane, come
conferma il fatto che, per tutte le comunità, il tasso di
abortività è inferiore a quello del paese di origine.
Purtroppo, nonostante questi risultati storicamente
positivi, la realtà italiana è caratterizzata dal
persistere di alcuni elementi critici. Non solo si
mantiene una quota di 20.000 aborti clandestini, circa
il 15% del totale, di cui il 90% al Sud, ma dalla metà
degli anni Novanta la curva di riduzione tende verso
un plateau. La Legge 194 è applicata in modo
parziale, contraddittorio e territorialmente
disomogeneo. Ne sono esempi le diverse
interpretazioni per l’aborto dopo i 90 giorni, il
cosiddetto aborto terapeutico, i tempi di attesa, le
difficoltà ad ottenere un aborto chirurgico precoce
(entro i 49 giorni) e le resistenze all’introduzione
dell’aborto medico con la RU486, sebbene la
diatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza, con il
quale la donna può presentarsi
presso una delle sedi autorizzate
e iniziare subito l’intervento abortivo. 4. Se non viene riscontrato il
caso di urgenza, il medico rilascia
alla donna un documento, firmato anche dalla donna, attestante
lo stato di gravidanza e l’avvenuta
richiesta di interruzione. Con tale
documento la donna può presentarsi presso una delle sedi autorizzate per effettuare l’intervento
abortivo più indicato per l’epoca
gestazionale e per i desideri della
donna stessa, tenuto fermo il
principio della minore invasività.
L’intervento deve essere effettuato entro quattordici giorni dalla
data in cui è stato redatto il documento o, in alternativa, entro sette giorni dalla data in cui la donna
presenta il documento presso la
sede autorizzata ».
ART.5.1.La lettera b) dell’articolo
6 della Legge 22 maggio 1978, n.
194, è sostituita dalle seguenti: «b)
quando la gravidanza implichi un
grave pericolo per la salute fisica
o psichica della donna; b-bis)
quando siano accertati importanti anomalie o malformazioni
che possano compromettere in
modo rilevante la qualità della
vita del nascituro; b-ter) quando siano accertate condizioni
personali e sociali per cui il proseguimento della gravidanza
possa comportare gravi pericoli
per il benessere sociale della
donna o per la sua famiglia, non
superabili con gli interventi sociali ed economici di cui la donna potrà ragionevolmente usufruire ».
ART.6.1. Il terzo comma dell’articolo 7 della Legge 22 maggio
1978, n. 194, è sostituito dal seguente: «Quando sussiste la
possibilità di vita autonoma del
feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo
nei casi di cui alla lettera a) o di
cui alla lettera b-bis) dell’articolo 6, quando vi siano gravi malformazioni o anomalie che
comportino una presumibile
grave compromissione della
qualità della vita. I casi di cui alla citata lettera b-bis) dell’articolo 6 sono accertati da una
commissione di tre medici, di
cui uno con competenze di
neonatologia, e la decisione viene presa a maggioranza, dopo
avere valutato il caso insieme alla madre e a colui che è indicato
come il padre del concepito ».
ART.7.1.. L’articolo 8 della Legge
22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 8. – 1.
Per l’interruzione della gravidanza la donna si rivolge ad una
azienda ospedaliera o ad una
azienda sanitaria locale, le quali sono tenute ad occuparsi della richiesta della donna, nel rispetto della dignità e della riservatezza, procedendo all’intervento direttamente o mediante
IN
PARLAMENTO
relazione del Ministro della Salute ne riferisca per la
prima volta. Vi è poi il dato di un elevato livello di
obiezione di coscienza, spesso strumentale, che in
alcune regioni rischia di mettere a rischio
l’erogazione del servizio, senza che la legge preveda
un adeguato meccanismo di tutela.
Per questi motivi, per proseguire nel solco positivo
avviato dalla legalizzazione dell’aborto, occorre
aggiornare la Legge 194, partendo dall’esperienza
maturata ed invertendo la propensione al
disinteresse, che ha relegato le IVG ai margini delle
attenzioni degli amministratori della sanità, benché
sia stato il più diffuso intervento chirurgico
femminile, superato soltanto recentemente
dall’incremento dei tagli cesarei.
Con le modifiche proposte si promuovono le attività
di prevenzione, soprattutto quelle riferite alla
prevenzione primaria, per garantire il “diritto alla
procreazione cosciente e responsabile”, proclamato
nell’art. 1. In particolare si tutela la contraccezione
per le minori e viene abolita la ricetta per la
contraccezione di emergenza che, come hanno
documentato parecchie inchieste giornalistiche, è
fonte di inutili calvari per le donne che incappano
nell’incidente di doverla richiedere.
Nel nuovo testo viene soppresso l’articolo 4, un tipico
esempio di ipocrisia legislativa, essendo le
motivazioni e la loro dimostrazione assolutamente
irrilevanti ai fini di ottenere l’IVG, mentre si pone
un’attenzione particolare alle implicazioni
psicologiche e sanitarie. È infatti dimostrato che
l’informazione, la scelta del metodo, l’esecuzione
precoce ed un ambiente non giudicante sono
fondamentali per ridurre il dolore. Nonostante la
legge prescriva che l’intervento per l’interruzione
della gravidanza debba essere praticato
“immediatamente”, in caso di certificazione di
urgenza, e “alla scadenza dei sette giorni”, in caso di
procedura ordinaria, oggi trascorrono mediamente
oltre 21 giorni da quando la donna chiede il primo
appuntamento ed in circa un quarto dei casi
addirittura il mese. Le procedure per l’IVG nei primi
accordi con altri enti. 2. Le
aziende ospedaliere e le aziende
sanitarie locali sono tenute a garantire entrambi gli interventi,
medici e chirurgici, per le interruzioni della gravidanza, i quali
possono essere praticati anche
presso i consultori e le strutture
territoriali. 3. Per l’interruzione
volontaria della gravidanza la
donna può rivolgersi, altresì,
agli studi medici e alle strutture
sanitarie autorizzati dalla regione. 4. La regione stabilisce e aggiorna annualmente le tariffe
per le varie tecniche di interruzione della gravidanza e definisce gli onorari di riferimento per
tutte le procedure di pagamento
e di rimborso. 5. Le regioni, nell’ambito di un piano regionale,
possono individuare le sedi
ospedaliere e territoriali ove sono praticate le interruzioni della
gravidanza, garantendo che tra
la sottoscrizione del documento di richiesta dell’intervento di
cui all’articolo 5 e l’intervento
stesso non trascorrano, di norma, più di quindici giorni. 6. Gli
interventi per l’interruzione volontaria della gravidanza sono
praticati da un medico ostetrico
ginecologo. 7. In qualsiasi momento, anche quando gli atti
medici o chirurgici finalizzati a
interrompere la gravidanza sono già in atto, se la donna lo richiede, si deve sospendere la
procedura in corso garantendo
l’assistenza conseguente ».
.
RU486
E ABORTO
“La legge 194 è applicata
in modo parziale,
contradditorio e
territorialmente
disomogeneo"
“L’informazione, la
scelta del metodo, la
rapidità ed un ambiente
non giudicante sono
fondamentali per
ridurre il dolore”
“L’obiezione di
coscienza viene
confermata, ma viene
individuato un
meccanismo di garanzia
che ponga l’obbligo di
avere almeno il 50% di
personale non
obiettore”
ART. 8. 1. L’articolo 9 della legge
22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 9. – 1.
Lo Stato riconosce la possibilità
di sollevare obiezione di coscienza sulla base di un convincimento morale interiorizzato,
ma garantisce comunque l’esecuzione dell’interruzione della
gravidanza a tutela della salute
della donna e della salute collettiva della popolazione. 2. Il personale sanitario ed esercente le
attività ausiliarie che solleva
obiezione di coscienza non deve prendere parte alle procedure e alle attività specificamente
e necessariamente dirette a provocare l’interruzione della gravidanza, ma è tenuto a garantire l’assistenza durante e dopo
l’esecuzione dell’aborto. 3. Il
personale obiettore non può comunque esimersi dall’intervento di assistenza quando vi è un
pericolo imminente per la vita
della donna o, comunque, un
grave rischio per la sua integrità
fisica e psichica. 4. Le convinzioni personali che determinano l’obiezione di coscienza non
devono pregiudicare in alcun
modo, diretto o indiretto, la presa in cura della donna o recarle
danno nella tutela sanitaria della sua scelta. L’obiezione di coscienza viene comunicata alla
regione tramite il direttore sanitario o il dirigente sanitario
competente all’atto dell’assunzione, della stipulazione di una
convenzione o dell’abilitazione
ed è immediatamente efficace.
Può essere comunicata successivamente in qualunque momento e la sua efficacia o la sua
revoca inizia dal mese successivo. 5. La comunicazione di obiezione è un atto pubblico e annualmente la regione pubblica
l’elenco dei medici obiettori e
dei medici non obiettori, suddiviso per azienda sanitaria locale
ed ospedaliera, per presidio
ospedaliero e per divisione o
servizio di ostetricia e ginecologia. Le aziende sanitarie locali e
le aziende ospedaliere aggiornano annualmente gli elenchi
dei propri medici, esponendoli
all’entrata degli ospedali, dei
poliambulatori, dei consultori e
dei reparti di ostetricia e ginecologia con indicata la eventuale
condizione di obiettore. 6. Se chi
ha sollevato obiezione di coscienza prende parte a procedure abortive volontarie al di fuori
dei casi previsti dal presente articolo, oltre alla revoca immediata, indipendentemente da
ogni altra implicazione penale e
civile, viene sottoposto a procedimento disciplinare presso la
struttura sanitaria e l’ordine
provinciale competente, con la
previsione di una sospensione
dall’esercizio della professione
di almeno sei mesi. 7. Al fine di
assicurare l’applicazione della
presente legge, nelle divisioni
ove si praticano le interruzioni
volontarie della gravidanza deve essere garantito che il 50 per
7
novanta giorni vengono meglio definite, stabilendo
tempi certi nei confronti della struttura sanitaria che
è tenuta ad effettuare l’intervento.
Il limite di novanta giorni per l’IVG non viene
modificato, anche se in altri paesi europei esso è
superiore, mentre sono meglio pecisate le circostanze
in cui è possibile procedere all’IVG oltre i novanta
giorni a tutela della salute della madre e della qualità
della vita del nascituro.
L’obiezione di coscienza viene confermata, ma viene
individuato un meccanismo di garanzia per
l’applicazione delle previsioni della legge, con
l’obbligo di avere almeno il 50% di personale non
obiettore. A riguardo è opportuno osservare come
nessuna legge non sia prevista l’obiezione di
coscienza per la diagnosi prenatale, che ha lo scopo
di individuare gli embrioni ed i feti da avviare alle
procedure abortive e che viene consigliata e praticata
da molti medici che poi obiettano sulle procedure
abortive. Considerandolo giustamente un lavoro
stressante, per le implicazioni etiche e psicologiche,
viene riconosciuto il disagio per gli operatori
impegnati negli interventi.
.Una particolare attenzione è rivolta alle minori in
coerenza con la normativa che emancipa i maggiori
di 14 anni per quanto concerne i rapporti sessuali. La
contraccezione diventa pienamente accessibile ai
minori ed in caso di richiesta di IVG è il medico che
decide, sulla base di specifiche valutazioni
professionali, se le circostanze suggeriscano di
informare i genitori. Il consenso dei genitori, o
l’assenso del giudice tutelare, rimane necessario per
le minori di 14 anni.
Con questa proposta di legge l’IVG potrà essere
eseguita da medici anche in strutture private,
autorizzate dalla Regione, come accade per qualsiasi
altro intervento sanitario.
In sintesi, questa proposta di Legge mantiene
l’impianto della Legge n. 194 del 1978, ma la sua
approvazione permetterà di tutelare meglio la salute
fisica e psichica della donna, proteggendola nel
percorso decisionale, assicurando che l’IVG sia
praticata nel modo più sicuro e rispettoso della scelta
della donna e promuovendo la contraccezione.
cento del personale sia non
obiettore, anche mediante procedure di trasferimento e di mobilità . Sono assicurate indennità specifiche per il disagio connesso alla pratica degli interventi per l’interruzione volontaria della gravidanza ».
ART. 9.1. Al primo comma dell’articolo 11 della legge 22 maggio 1978, n. 194, le parole: «
L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali
l’intervento è stato effettuato
sono tenuti ad inviare al medico
provinciale » sono sostituite dalle seguenti: « Le aziende ospedaliere, le aziende sanitarie locali e le strutture autorizzate
nelle quali l’intervento e` stato
eseguito sono tenute ad inviare
alla regione tramite il dirigente
sanitario ».
ART. 10. 1. Dopo il primo comma dell’articolo 12 della legge 22
maggio 1978, n. 194, sono inseriti i seguenti: « Se la donna è di
età superiore a quattordici anni
può rivolgersi al consultorio o al
medico, e richiedere l’interruzione della gravidanza senza bisogno dell’assenso di chi esercita la patria potestà o la tutela. Se
la donna è di età inferiore a diciotto anni, il consultorio o il
medico, avvalendosi eventualmente di specialisti, valuta con
la donna stessa se le circostanze
consentono di informare chi
esercita la patria potestà o la tu-
tela ». 2. Al secondo comma dell’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, le parole: « inferiore ai diciotto anni » sono sostituite dalle seguenti: « inferiore ai quattordici anni ». 3. Al terzo comma dell’articolo 12 della
legge 22 maggio 1978, n. 194,
dopo la parola: « salute » sono
inserite le seguenti: « , fisica o
psichica, ».
ART.11.1. Al primo comma dell’articolo 15 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «
L’aggiornamento professionale
di cui al presente comma deve
essere previsto annualmente in
modo separato e specifico ». 2.
All’articolo 15 della legge 22
maggio 1978, n. 194, come modificato dal presente articolo, è
aggiunto, in fine, il seguente
comma: « La partecipazione alle procedure previste dalla presente legge non deve determinare alcun pregiudizio per la
carriera e la crescita professionale del medico e del personale
esercente le arti ausiliari ».
ART. 12. 1. Al secondo comma
dell’articolo 19 della legge 22
maggio 1978, n. 194, le parole: «
fino a lire centomila » sono sostituite dalle seguenti: « fino a
mille euro ».
8
LA
STORIA
;
RU486
E ABORTO
DALLA NONVIOLENZA RADICALE
ALLA LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO
Il dibattito sulla necessità di
intraprendere una battaglia
per la depenalizzazione del
reato d’aborto e la sua
legalizzazione fu affrontato
per la prima volta nel 1973
nella sede del partito radicale
di Via di Torre Argentina
contestualmente a quello sul
movimento mondiale di
liberazione della donna.
L’occasione fu fornita da una
conferenza di Massimo
Teodori, autore di un libro La
nuova sinistra americana, che
riferiva della molteplicità dei
movimenti per i diritti civili
esplosa negli Usa dopo il ’68
accanto alle lotte per
l’emancipazione degli
afroamericani e alla forte
opposizione all’intervento
militare nel Vietnam. Nacque
quasi subito l’ M.L.D. con
caratteristiche assai diverse
dalle organizzazioni
femminili dei partiti
tradizionali, federato al PR,
2/1/1975: Arresto di Gianfranco
Spadaccia (segretario PR) che si
era autoaccusato di aver organizzato le pratiche abortive con il
metodo Karman.
ma con una forte impronta
autonoma per iniziativa di
alcune radicali (Wanda Raheli
Roccella, Alma Sabatini,
Liliana Ingargiola) e con la
partecipazione di molte
donne non iscritte al partito.
Per scissioni successive –
determinate dal prevalere del
separatismo che esigeva la
costituzione di associazioni
di sole donne - il movimento
dette vita alla maggior parte
delle associazioni femministe
romane.
“L’aborto era
un diritto
esclusivo e
insindacabile
della donna
come
pretendevano
i nascenti
movimenti
femministi”
Il dibattito sull’aborto si
trasferì nelle sedi statutarie
del partito radicale. Era
opportuno scegliere un
nuovo terreno di scontro
ideale e politico quando era
ancora in corso la lotta per
l’aborto che si sarebbe
conclusa con la vittoria nel
referendum solo nella
primavera del 1974? E
l’aborto era un diritto
esclusivo e insindacabile
della donna come
pretendevano i nascenti
movimenti femministi che,
anche all’interno del P.R.,
avevano adottato lo slogan
“l’utero è mio e lo gestisco
io”? Il P.R. rifiutò ogni
impostazione ideologica,
partendo dalla constatazione
della piaga dell’aborto
clandestino effettuato senza
alcun controllo medico cui
erano costrette a ricorrere
ogni anno centinaia di
migliaia di donne. Da subito
si cominciò a pensare a un
referendum abrogativo dell’
articolo del Codice Rocco che
definiva e puniva il reato
d’aborto. In quegli anni del
resto l’Inghilterra e l’Olanda
lo avevano già legalizzato.
Quanto all’altra obiezione si
ritenne che la battaglia per
l’aborto non avrebbe potuto
causare alcun intralcio a
quella per il divorzio mentre,
al contrario, la vittoria nel
referendum sul divorzio
avrebbe potuto facilitare lo
scontro sull’aborto.
Loris Fortuna, primo
firmatario della proposta di
1975. Manifestazione radicale. Con Adele Faccio ed Emma Bonino
legge sul divorzio approvata
dal Parlamento nel 1970 e
confermata dal referendum
del maggio 1974, presenta in
Parlamento la prima proposta
di legge che legalizza
l’interruzione volontaria della
gravidanza. Sempre nel 1974
nasce il CISA (centro italiano
sterilizzazione e aborto),
fondato da Adele Faccio con
il dichiarato proposito di
promuovere e organizzare la
disubbidienza civile contro il
reato d’aborto, dapprima
esercitata con
l’organizzazione di viaggi
presso cliniche inglesi e
olandesi, successivamente
con consultori e ambulatori
in Italia che avrebbero sfidato
la legge. Nel novembre del
1994, il congresso del PR dà
mandato ai nuovi organi
statutari di promuovere un
referendum contro l’articolo
del Codice Rocco e di
sostenere con le sue sedi e la
sua organizzazione l’azione
di disobbedienza civile del
CISA, che in quel congresso si
federa al partito radicale.
Negli ultimi mesi del 1974 un
medico fiorentino, Giorgio
Conciani, mette a
disposizione del CISA la sua
attività professionale. Nasce a
Firenze il primo ambulatorio
a cui il centro decide di
accomapagnare le donne che
prima dovevano
intraprendere il viaggio
all’estero per affrontare
l’intervento. L’attività del
CISA, dei suoi consultori e
ora del suo ambulatorio
fiorentino non sono
clandestine ma pubbliche,
quindi conosciute in tutta
Italia dalle autorità di
pubblica sicurezza e della
magistratura. Un giornale
neofascista (Il becco giallo),
diretto dal senatore del MSI
Giorgio Pisanò orchestra una
campagna di stampa
scandalistica conto il CISA e il
Partito Radicale. Nel gennaio
1975, su ordine del P.M. Carlo
Casini, futuro fondatore del
Movimento della vita e
attuale eurodeputato
dell’UDC, la polizia fa
irruzione nell’ambulatorio
del CISA, allestito in una sede
che formalmente risulta del
Partito Radicale, arrestando il
medico Giorgio Conciani, i
suoi infermieri, molte donne
che vi si trovavano in attesa
di intervento e le loro
accompagnatrici.
Il segretario del Partito
Radicale Gianfranco
Spadaccia rivendica la piena
responsabilità politica e
organizzativa di quella azione
di disubbidienza civile. Il
giorno successivo viene
arrestato nella sua abitazione
romana e tradotto, dopo un
notte a Regina Coeli, nel
carcere fiorentino de Le
Murate.
Contemporaneamente
vengono spiccati ordini di
cattura nei confronti di Adele
Faccio e di Emma Bonino.
Marco Pannella, Loris
Fortuna, il Partito Radicale, il
1975: Arresto di Emma Bonino
CISA, il Movimento di
liberazione della donna
indicono di lì a pochi giorni
una grande manifestazione al
teatro Adriano di Roma,
durante la quale Adele Faccio,
presidente del CISA, tiene un
discorso e subito dopo si
consegna alla polizia. Nel
corso della manifestazione
viene annunciata
ufficialmente la raccolta delle
firme per il referendum
abrogativo del reato d’aborto.
Il settimanale L’Espresso, con
Eugenio Scalfari e con il
direttore Livio Zanetti,
accetta di essere uno dei
promotori e finanziatori
dell’iniziativa referendaria.
Fece scandalo una sua
copertina con un donna
incinta immolata su una
croce. Fra i partiti della
sinistra, l’unico a schierarsi, a
parte i movimenti
extraparlamentari, fu il PSI di
Nenni e De Martino, di
Mancini e Lombardi, di
Bettino Craxi.
Nei mesi successivi si
costituiscono comitati del
referendum in tutta Italia si
moltiplicano i consultori e gli
ambulatori del CISA in
1975. Aborto: una
tragedia italiana. Copertina del
l’Espresso
adempimento di una
disubbidienza civile che, al di
fuori di Firenze, non
incontrerà altri interventi
repressivi e altre iniziative
giudiziarie. Gianfranco
Spadaccia e Adele Faccio
“Il P.R. rifiutò
ogni
impostazione
ideologica,
partendo
dalla
constatazione
della piaga
dell’aborto
clandestino
effettuato
senza alcun
controllo
medico”
rimasero in carcere per oltre
un mese. La loro
scarcerazione avrebbe dovuto
essere subordinata
all’impegno, naturalmente
rifiutato, di sospendere le
attività del CISA e del P.R. La
detenzione di Giorgio
Conciani durò più a lungo, gli
altri imputati furono invece
quasi subito liberati. Alla
vigilia della consegna delle
firme in Cassazione, nel mese
di giugno Emma Bonino, che
aveva sostituito Adele Faccio
nell’organizzazione del CISA,
si fece arrestare mentre
votava per le elezioni
regionali del Piemonte nella
sua sezione elettorale di Bra.
L’anno successivo il
referendum non si potrà
svolgere a causa delle elezioni
politiche anticipate del 1976
nelle quali il P.R: per la prima
volta vede eletti quattro suoi
deputati (Marco Pannella,
Adele Faccio, Emma Bonino e
Mauro Mellini). L’anno
successivo il Parlamento, pur
di non far svolgere il
referendum, approva la
discutibile legge 194.
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
;
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
9
WELBY: POSSO MORIRE SENZA
CONDANNA A SOFFRIRE?
Welby: “È mia ferma decisione rinunciare alla
ventilazione polmonare assistita, staccare la spina mi
porterebbe a una agonia lunga e dolorosa, e anche una
sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una
morte immediata e senza dolore. Chiedo: è possibile che
mi sia somministrata una sedazione terminale che mi
consenta di staccare la spina senza dover soffrire?”
TESTI NON RIVISTI
DAGLI AUTORI
MARCO CAPPATO
Il nostro invito è volto a cercare
insieme di dare una risposta alla
domanda di Piergiorgio Welby copresidente dell'Associazione Luca
Coscioni. A seguito della risposta del
presidente Napolitano che chiedeva
non fosse eluso il dibattito posto da
Welby, abbiamo sentito da molte parti
parlare della necessità di un
confronto che non fosse ideologico.
Credo che nessuno, tanto meno
Welby, ha voluto un confronto
ideologico ma un confronto concreto
e pragmatico sulle possibilità di
ciascuno su scelte concretissime,
drammatiche, a volte tragiche che
riguardano la fine della vita. Ecco
perché, senza pronunciare parole che
definiscano in un modo o nell'altro le
scelte di fine vita, Piergiorgio fa
questa domanda: "È possibile che mi
sia somministrata una sedazione
terminale che mi consenta di staccare
la spina senza dover soffrire?" In
questa domanda abbiamo tre
questioni: la prima è sulle condizioni
di salute nelle quali si trova Piero. La
seconda è quella sulla legislazione e
sulla giurisprudenza esistente, per far
sapere al medico se sta facendo il suo
dovere di medico, se questo verrà
riconosciuto tale da tutti, anche dai
giudici, o se ci sono rischi, e allora
quali e quanti, di incorrere in quello
che il Codice Rocco del 1930 definisce
"omicidio di persona consenziente" e
che prevede da 6 a 15 anni di
reclusione. La differenza non è poca,
e lo dico per quelli che nell'invitare a
non fare il dibattito ideologico hanno
accompagnato questo invito dicendo
che non si legiferasse su una materia
così delicata. La terza delle questioni,
e questo seminario ci può consentire
di trarre importanti valutazioni sulla
reale situazione giuridica e pratica
vissuta nel nostro paese, è quale
riforme sono possibili e occorrono. Il
seminario deve rispondere intanto
alla domanda precisa di Piero sulla
sua condizione personale. Iniziamo, il
nostro seminario dando la parola al
Dott. Federico Sciarra, pneumologo e
che da molti anni ha in cura Piero.
LA CONDIZIONE DI
PIERGIORGIO
FEDERICO SCIARRA
Parlare di Piero è difficile, raccontare
una storia di 10 anni di malattia. Io ho
conosciuto Piero in maniera
abbastanza casuale. Faccio lo
pneumologo, lavoro per una
Associazione (UILDM), e Piero è
affetto da una distrofia che provoca,
tra i vari problemi, anche uno di
natura respiratoria. Ma la sua distrofia
fortunatamente è meno grave di tante
altre, per cui lui ha vissuto una gran
parte della sua vita senza avere
rapporti con i medici ed è tornato in
UILDM nel 97, perché si è accorto che
stavano iniziando dei problemi
respiratori che poi lo hanno portato
alla situazione attuale. Io l'ho visto in
ambulatorio e la proposta fu quella di
utilizzare un respiratore non invasivo:
cioè non fare la tracheotomia ma
usare un respiratore collegato con
una mascherina nasale, una modalità
che utilizzano molti pazienti che
hanno problemi respiratori. Lo scopo
è evitare di fare una tracheostomia
ma comunque supportare la
respirazione di questi pazienti.
Purtroppo nei giorni seguiti a quel
primo incontro, necessari ad avere la
macchina, proprio il giorno che io
avrei dovuto andare a casa di Piero a
provare il respiratore la prima volta, la
notte lui si è sentito male è stato
portato in ospedale ed è iniziata la
sua storia. Nonostante rapporti con i
rianimatori che lo hanno tenuto in
cura, Piero è stato tracheostomizzato
perché la ventilazione non era
sufficiente ed è iniziato il suo periodo
di ventilazione invasiva assistita con
ventilatore polmonare. Io ricordo
bene che questi problemi si sono
posti appena era tornato a casa. Ne
parlammo con la nostra psicologa: era
caduto in una profonda depressione,
perché ha visto cambiare la sua vita;
lui, che aveva già delle grosse
limitazioni funzionali e motorie,
aveva dovuto sopportare questa
ulteriore limitazione respiratoria. La
domanda che si poneva era molto
simile a quella che pone ora, la
volontà di ricorrere all'eutanasia. Le
sue condizioni di salute e la voglia di
recuperare un rapporto con il mondo
supporto, con quello delle psicologhe
HANNO PARTECIPATO
Ignazio Marino, Presidente della
Commissione Sanità al Senato
Federico Sciarra, Medico
pneumologo di Piergiorgio Welby
Ignazio Marcozzi Rozzi,
Presidente dell’Agenzia Comunale
per le Tossicodipendenze
Franco Henriquet, Fondatore della
Fondazione Gigi Ghirotti per
l’assistenza ai malati di cancro
Mario Sabatelli, Ricercatore
dell’Istituto di Neurologia
dell’Università Cattolica di Roma
Carlo Flamigni, Ordinario
di Ginecologia e Ostetricia
dell’Università di Bologna
Gilberto Corbellini, Ordinario
di Storia della Medicina
all’Università La Sapienza di
Roma
Demetrio Neri, Ordinario
di Bioetica all’Università
di Messina
Luciano Di Nepi, Medico
Mirella Parachini, Medico
Luigi Montevecchi, Medico
Pietro Moretti, ADUC
Vivere&Morire
Giuseppe Rossodivita, Avvocato
Vittorio Angiolini, Ordinario di
Diritto Costituzionale
all’Università Statale di Milano
Claudia Moretti, Avvocato, ADUC
Vivere&Morire, Associazione
Coscioni
Giorgio Carta, Avvocato
Marco Pannella,
Europarlamentare radicale
Marco Cappato, Europarlamentare
radicale, Segretario Associazione
Coscioni
Furio Colombo, Senatore Ulivo
Federico Enriques, Senatore Ulivo
Antonio Paravia, Senatore AN
10
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
e grazie alla moglie, che è la persona
che in questi anni è stata il punto di
riferimento di Piero, abbiamo iniziato
a far fare una seconda parte di
cammino di vita diverso. Piero ha
iniziato a interessarsi a tutta una serie
di situazioni attraverso internet che lo
hanno portato ad avere rapporti con
l'Associazione e con i radicali. Questo
periodo è stato a mio parere molto
proficuo anche se chiaramente le sue
condizioni di salute sono andate
peggiorando nel tempo, ma questa è
una condizione, per il momento
improcrastinabile per quella che è la
sua patologia. I suoi muscoli pian
piano hanno iniziato a fermarsi e
quindi sia dal punto di vista motorio
che respiratorio ventilatorio le sue
condizioni sono andate sempre un
peggiorando, anche se lentamente.
Un periodo in cui riusciva a parlare e
una nutrizione accettabile, un
periodo successivo in cui la
nutrizione è diventata scarsa: ha
avuto bisogno di un supporto
alimentare tramite sondino
nasogastrico, alimentazione assistita
con prodotti preparati in maniera
industriale che gli garantissero un
adeguato supporto di proteine e
grassi visto che non riusciva a ingerirli
per via naturale. L'assistenza del
ventilatore polmonare che nei primi
tempi era solo notturna, ora è
necessaria per 24 ore al giorno. Fino
ad arrivare a quest'ultimo periodo nel
quale le necessità di assistenza sia
nutrizionali sia riguardanti la
respirazione sono diventate sempre
maggiori. Oggi Piero non riesce a
stare staccato dal ventilatore neanche
pochi minuti né riesce ad alimentarsi
per vie naturali. Ha bisogno di farlo
solo con prodotti industriali
utilizzando vie di accesso alternative.
Questo è stato il momento in cui si è
accorto di non riuscire a fare più
quelle che erano le sue azioni normali
di vita, seppur particolari, e questo
credo abbia fatto maturare in lui le
cose che ha scritto nella lettera al
Presidente Napolitano. Una
valutazione etica morale è sempre
difficile; io assito moltissimi pazienti
in queste condizioni e con diverse
patologie. Ho fatto il mio lavoro da
medico in maniera distaccata,
impersonale, cercando di portare solo
un supporto scientifico, ma poi uno si
trova a confrontarsi con quello che è
l'animo del paziente. Ci sono pazienti
che hanno una ferma volontà di
;
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
proseguire questo cammino e
pazienti che invece si accorgono di
non avere più ragioni e fanno scelte
diverse. Questo è un discorso difficile,
ognuno di noi ha un'idea diversa
giustificata, corretta, per quello che
può essere la propria idea di vita.
Questo vale anche per i malati. Credo
che la richiesta di Piero sia
intenzionalmente pensata e
supportata; quanto sia giusta non so
dirlo, ma indubbiamente fa parte del
suo percorso di vita come fa parte del
percorso di vita di ciascuno di noi
arrivare a prendere decisioni felici o
infelici, giuste o sbagliate, ma che
sono decisioni che vengono da quella
che è tutta la nostra vita precedente.
Da questo punto di vista mi sembra di
capirlo, anche se forse da qualche
altro non mi sento di condividerlo in
tutti gli aspetti.
utile a riprendere la memoria di quelli
che erano stati i problemi e anche i
dilemmi della situazione di Luca.
COSA
SIGHIFICHEREBBE
"STACCARE LA
SPINA"?
MARCO CAPPATO
Cosa può significare oggi per Piero
"staccare la spina", visto che anche i
tempi delle conseguenze possono
avere delle ricadute diverse in termini
di diritto. Un conto sono persone che
in conseguenza di una sedazione, e
staccati dai "trattamenti", possono
avere una certezza di speranza di vita
di pochi minuti, un altro quello di
persone che sono rimaste in quelle
condizioni per anni. Cosa vuol dire
per Piero, di fatto, staccare la spina?
FEDERICO SCIARRA
Piero è in una situazione di coscienza
estrema, non è una persona che è li e
non sappiamo se è cosciente o meno.
SLS significa spegnere il respiratore,
non assistere in maniera continua la
respirazione di Piero. Questa sarebbe
una cosa insopportabile: immaginate
di tappare il naso e rimanere cosi per
uno, due, tre minuti. Immaginate la
sofferenza che può provocare,
sarebbe un'agonia cattivissima, una
cosa che non si può assolutamente
pensare. O si usano situazioni diverse
nelle quali, come dice la sua
domanda, si faccia qualcosa per
renderlo non cosciente e allora è
pensabile, o altrimenti è
inimmaginabile staccare la spina e
Federico Sciarra
aspettare il momento fatale. Per la
sofferenza che procureremmo, e che
si procurerebbe, sarebbe veramente
una cosa non pensabile, non può
rientrare tra le possibilità. Qui forse
c'è qualcuno più bravo di me per
spiegare questi meccanismi, forse in
una persona che ha una soglia di
coscienza diversa sarebbe diversa la
risposta, ma nel caso di Piero è
impensabile, semplicemente
improbabile.
MARCO CAPPATO
Nel caso in cui si rendesse Piero non
cosciente, e gli fosse somministrato
un farmaco con il solo effetto di
metterlo nelle condizioni di
incoscienza, immaginando di staccare
a quel punto il respiratore e
interrompere ogni trattamento, quali
sono le conseguenze probabili o le
diverse conseguenze, e quale grado di
possibilità che si verifichino. Abbiamo
la quasi certezza di una morte quasi
immediata o abbiamo la possibilità
concreta di un protrarsi dell'agonia
per x ore, o x giorni?
FEDERICO SCIARRA
Nel caso in cui si somministrasse
qualcosa per rendere incosciente
Piergiorgio, si staccasse il respiratore e
si interrompesse la nutrizione
assistita, le ore potrebbero essere
molto lunghe; non è detto che
succeda dopo pochi minuti, anzi è
molto probabile che non succeda
dopo pochi minuti, perché a meno
che questo farmaco non sia un
farmaco che deprima il respiro in
maniera importante, lui una minima
capacità di ventilare ce l'ha e questa
la potrebbe avere per un periodo di
tempo che non posso quantificare,
ma che sicuramente è più di pochi
secondi.
LA SCELTA DI LUCA
NON E' STATA
EUTANASIA
Ignazio Marino,
Marco Cappato,
Gilberto Corbellini
MARCO CAPPATO
Nel dare la parola al professor
Sabatelli, che ha avuto in cura anche
Luca Coscioni, ci potrà essere anche
MARIO SABATELLI
Comincio proprio con il ricordare
Luca. Luca l'ho conosciuto quando
ero un giovane neurologo del
Policlinico Gemelli, Università
Cattolica dove lavoro, quando aveva
semplicemente un problema ad una
mano, e poi via via l'ho seguito nella
sua storia, fino ad arrivare ai giorni
che hanno preceduto la sua morte. Mi
interesso quindi di SLA, seguo quasi
tutti i pazienti del Lazio, che sono
nell'ordine delle centinaia, mentre
alcuni pazienti con distrofia
muscolare arrivano a questo
problema della insufficienza
ventilatoria, tutti i pazienti con la SLA
in tempi diversi arrivano a questo
problema. Io vorrei cominciare subito
col dire che se vogliamo aiutare
Piergiorgio, e quanti hanno la SLA,
noi dobbiamo fare una prima cosa:
togliere la parola eutanasia da questo
contesto, questa non è eutanasia. Se
vogliamo arrivare a legiferare perché
questo è il problema, in questo
argomento, dobbiamo scorporare la
parola eutanasia da questo contesto.
Adesso cercherò di spiegare il perché:
vedete queste malattie, per esempio
la SLA, sono malattie molto
particolari. Quando a Luca ho parlato
negli ultimi giorni, gli ho detto: "Luca,
sei arrivato ad una situazione in cui
ormai il respiro è veramente
difficoltoso. Ti do due possibilità: o
stai fermo così, non facciamo niente,
oppure io ti posso aiutare e ti assicuro
che respirerai immediatamente
meglio con una tracheotomia; ma il
problema appunto è che la
tracheostomia ti permetterà di
vivere". Quello che dico sempre ai
pazienti. I pazienti stanno molto
meglio con la trachesotomia, perché
la sofferenza della mancanza di
ossigeno è drammatica. Bene questa è
una situazione particolare, cioè c'è
una situazione in cui la scelta di
vivere o morire la fa il paziente ed io
ogni volta, è prassi quotidiana, non
scomodo bioetica o politici per sapere
cosa fare. In questo caso il paziente
era Luca, e lui stesso mi ha guardato e
ha detto: "Sono disperato - questa è
l'ultima parola che mi ha detto - ma
non la voglio fare". Quindi il paziente
decide se vivere o morire: se il
paziente decide di vivere faccio
qualunque cosa, se il paziente decide
di morire non faccio nulla. Bene, il
paziente, mettiamo, e sono soltanto
una minoranza, sceglie di essere
tracheostomizzato, e vorrei che fosse
chiaro a tutti, quale è la situazione del
tracheostomizzato, perché la malattia
va avanti, e si arriva a condizioni in
cui la persona non muove
assolutamente nulla, se non solo gli
occhi. Questa è una condizione
assolutamente fuori dal pensiero
umano, perché la persona viene a
trovarsi rinchiusa nella più piccola
prigione che la mente possa
immaginare, quella del proprio corpo.
Alcuni la scelgono e altri dicono no.
Qui c'è la dottoressa Semeraro. Suo
marito, il professor Giorgio Recchia, si
è fatto tracheostomizzare: è affetto da
SLA, da quando è stato
tracheostomizzato, continua a
dirigere il suo studio legale, si è
sposato, ha fondato insieme a me
l'associazione x lo studio per la
ricerca sulla SLA. Per me, medico,
dare questa terapia non è
accanimento terapeutico, perché io
do qualcosa che lui vuole; a volte mi
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
Mario Sabatelli
sfiora l'idea che sia il paziente ad
ostinarsi a legarsi alla vita in questa
maniera, ma è una sua scelta ed io la
rispetto. Attenzione, una quota di
persone, ad un certo punto, non
tollerano più questa condizione. E'
facile immaginarlo. Non c'è bisogno
di scomodare né destra e né sinistra,
né cattolici, né non cattolici, siamo
tutti d'accordo perché non la
tollerano: all'inizio riuscivano a
parlare, riuscivano a comunicare, e a
un certo punto ci si rinchiude in
questa prigione totale. Si può capire
che una persona dica basta, e quando
una persona dice basta, non gli sto
dando più una terapia, ma gli sto
prolungando una sofferenza inaudita.
E che questo possa essere sospeso
non lo dico io, io cito un
pronunciamento del magistero della
Chiesa, iure bone del 1980, in cui si
dice che si è lecito sospendere i
trattamenti che procurerebbero
anche soltanto un prolungamento
precario e penoso della vita. Che
quindi questo sia etico e lecito,
perché in questo momento io mi sto
accanendo contro la sua volontà, non
solo è sicuro ma è anche doveroso. È
doveroso da parte mia, non staccare
la spina a tutti, ma a chi me lo chiede,
perché non tollera una situazione di
sofferenza assolutamente
impensabile".
MARCO CAPPATO
a domanda che Pannella faceva fuori
microfono è sul fatto che Piero ci
chiede come potere realizzare questa
volontà senza essere costretto a
soffrirne magari per lunghi giorni.
MARIO SABATELLI
Guardi il problema stranamente non
è etico ma è legislativo. Non sono un
bioetico ma sono un neurologo che
lavora sul campo giorno per giorno.
Tre mesi fa un paziente affetto da SLA
mi ha fatto questa stessa domanda.
Mi ha detto basta non ne posso più, io
voglio staccarmi. Quando gli ho detto
è possibile, lui mi ha guardato ed era
sorridente, a quel punto si è posto il
problema, come facciamo. Allora è
chiaro una cosa del genere va fatta
esclusivamente con sedazione, è
;
inimmaginabile che io per non fare
un atto attivo, stacchi il respiratore;
ma non se ne parla per niente. Il
paziente va assolutamente sedato,
non ho pensiero diverso da questo. Il
problema è come fare. Io mi ero
offerto di andare a casa del paziente
di sedarlo, e di staccare la spina.
Ovviamente non è stata una mia
decisione così, io ho raccolto anche
nell'ambito dell'università Cattolica per dirvi come ci sia un accoglimento
- della eticità di questo. Ho riunito
bioetici e altro. L'unica resistenza non
è stata etica, qualcuno ha detto, ma
guarda che se qualcuno ti fa qualche
cosa tu rischi, in base anche a quello
che diceva Cappato, rischi cinque e
più anni di galera, sei anni di galera.
Io ho detto, non mi importa, me le
prendo io le responsabilità. Eravamo
pronti per fare questo, quando il
paziente è deceduto. Ma che si faccia
questa considerazione e che sia
possibile farla, io non ho nessun
dubbio. A livello politico ci dovete
aiutare a fare una legge, perché la
resistenza è questa. La parola
eutanasia significa dare
deliberatamente la morte ad un
paziente. E' un problema che va
discusso e non voglio parlarne,
perché è separato. Sospendere una
terapia è un atto doveroso nel
momento in cui è il paziente che lo
sceglie. Perché la procedura
terapeutica che gli stavo proponendo
non era doverosa da parte mia, cioè
quando un mio paziente ha la
peritonite è mio dovere, vuole o non
vuole, operarlo per salvargli la vita. Se
un paziente io lo attaccassi al
respiratore la cosa non doverosa
rimane dopo, e quindi la sospensione
non configura assolutamente il fatto
di dare, è la malattia stessa che gli sta
procurando la morte, io non faccio
nulla per dargli la morte".
LA SEDAZIONE
TERMINALE E' A
RISCHIO REATO?
DEMETRIO NERI
In realtà ho poco da dire perché quasi
tutto quello che avrei voluto dire è
stato detto prima da chi è
intervenuto, che ha fatto per quanto
mi riguarda dell'ottima bioetica.
Volevo però appunto andare un po'
oltre: sono perfettamente d'accordo
sul fatto che in questo caso noi non
violiamo nessuna legge né etica e
diciamo neanche così giuridica, per
certi aspetti, ma su questo ritornerò.
Mi risulta tra l'altro, me lo diceva
qualche settimana fa a Milano un
neurologo, che la sedazione terminale
più il distacco del respiratore è una
pratica che a lui risulta che può
avvenire tranquillamente. Qual è,
dunque, il problema? Il problema non
è bioetico e neanche etico in generale.
Io non ho mai sentito nessuno tranne
qualche editorialista dell'Avvenire,
che si sia dichiarato contrario a
queste forme con le quali viene
rispettata la volontà del paziente.
Anche in forma anticipata. Per il
Codice medico deontologico è
scontato, nell'articolo 34 già nel '98, il
Codice medico ha recepito l'articolo 9
della Convenzione di Oviedo. Forse
c'è una piccola contraddizione nel
Codice che andrà risolta, perché
all'articolo 37 dove si dice appunto
che in caso di prognosi infausta
raggiunta nella fase terminale il
medico può limitarsi all'assistenza
morale e alle terapie atte a
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
risparmiare sofferenze inutili,
avrebbero dovuto aggiungere il
riferimento all'articolo 34, tenendo
però conto dei desideri che esprime il
paziente. Come si dovrà poi tener
conto, appunto dipenderà dalla legge
sul testamento biologico che è in
discussione. Il problema sta
nell'articolo 37 dove si dice che in
caso di compromissione della
coscienza, le terapie di sostegno vitale
vanno mantenute finché
ragionevolmente utili, ma - e questo è
il punto - fino all'accertamento della
perdita irreversibile delle funzioni
encefaliche, in relazione alla
dichiarazione di morte. Questa è una
grossa contraddizione perché
qualcuno potrebbe dire che quando il
paziente venga posto in condizione di
sedazione terminale, è in uno stato di
compromissione della coscienza. A
questo punto, indipendentemente da
quello che lui ha desiderato in
precedenza, o magari l'ha anche
scritto, io devo mantenere il sostegno
vitale, fino alla cessazione irreversibile
delle funzioni encefaliche. E' una
contraddizione che abbiamo spesso
rilevato, io stesso in qualche riunione
con la federazione dell'Ordine dei
medici. Mi auguro che nella nuova
versione questa contraddizione venga
risolta dicendo "salvo quanto previsto
dall'articolo 34", o se intanto la legge
“In materia di
protezione
dell’esercizio dei
diritti della persona
malata, c’è una
larghissima
incertezza giuridica
e non da ora, a
causa della quale i
medici
preferiscono la via
più sicura dal
punto di vista
legale, che di solito
è la via più
tormentosa per il
paziente”
verrà fatta, "quanto previsto dalla
legge sul testamento biologico".
Questo è il vero problema. Il Dott.
Sabatelli citava poco fa il fatto che in
questi casi molti medici, molto
spesso, preferiscono attenersi a quella
che loro considerano la strada più
sicura da un punto di vista delle
conseguenze legali. In questa materia,
e in generale in materia di protezione
dell'esercizio dei diritti della persona
malata, c'è una larghissima incertezza
giuridica e non da ora. Io ricordo un
documento del Comitato Nazionale di
Bioetica del 1995 che riguardava tutte
le questioni etiche di fine vita e che
esordiva proprio deprecando
l'esistenza di questa larga aria di
incertezza giuridica, a causa della
quale i medici preferiscono la via più
sicura dal punto di vista legale, che di
solito è la via più tormentosa per il
paziente. Non scelgono la via che il
loro stesso codice deontologico gli
suggerisce: chi viola il codice
deontologico potrà avere un
11
Franco Enriquet
rimprovero dall'ordine dei medici, chi
eventualmente venga messo sotto
processo da un giudice invece
potrebbe passare i suoi guai. Ecco
perché l'esigenza di questa normativa
sul testamento biologico che io mi
auguro però, non arrivi al punto, non
voglio entrare su questo argomento
poiché c'è il Presidente Marino, da
farne un documento che in molti casi
sarà veramente inutile. In una pagina
che ho mandato alla Commissione io
faccio una semplice domanda: in
relazione ad un altro trattamento ma
siamo sempre nell'ambito dei
trattamenti di sostegno vitale, la
nutrizione e l'idratazione artificiale.
Dovremmo pure chiederci noi italiani,
che ci autonominiamo sempre come i
più furbi e i più sapienti del mondo,
come mai in nessuna delle leggi sulle
direttive anticipate che esistono al
mondo si preveda che il paziente non
possa lasciare disposizioni circa
l'interruzione dell'idratazione e
dell'alimentazione artificiale.
Certamente questo è un argomento,
può darsi che tutti sbaglino e solo noi,
o almeno una parte di noi abbiano
ragione. Però in questo caso un po' di
umiltà per capire che se in tutto il
mondo le cose stanno così qualcosa
di buono ci deve pur essere. Il punto
ulteriore è effettivamente
quell'ulteriore cosa che preoccupa
Piergiorgio Welby e che oggi nessuno
è in grado di garantirgli. Al di là degli
atti che sono stati descritti entriamo
nel campo di pertinenza dei giuristi,
dell'articolo 579, mi pare, del codice
penale. Se avviene un atto ulteriore
che provoca la morte del paziente. Lo
ricorderete l'ingegnere Forzatti: è
stato assolto perché si è detto nella
sentenza, non era possibile accertare
che vi fosse una diretta relazione di
causalità tra quello che ha fatto e la
morte del paziente. Questo, si citava il
codice Rocco, è un filo conduttore di
tutto il novecento. Il codice Rocco
introdusse questo articolo perché
come disse il guardasigilli Rocco nel
presentare il Codice, i nostri giudici
col vecchio ordinamento, era mi pare
il codice Zanardelli, non riescono a
convincersi a punire severamente un
medico, o anche altre persone, che
12
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
commettano un omicidio pietoso,
perché non hanno nessun altro
strumento se non: o assolverli per
incapacità mentale oppure punirli per
omicidio gravissimo e chiederlo tra
l'altro con numerose aggravanti. Ecco
perché hanno introdotto
quell'articolo, che però è costruito in
un modo tale da non consentirgli una
giusta. applicazione. Credo che
questo sarà l'oggetto della battaglia
futura. Indubbiamente effettuare un
atto di questo genere, Piergiorgio
probabilmente ha contemplato
questo, con il rischio poi di restare
con una sedazione che protrae la sua
vita in quella condizione di distacco
della coscienza per un tempo
indefinito e indefinibile. Credo che
questo lo spaventi molto. Ma qui
entriamo in un altro campo.
MARIO SABATELLI
Piccolissima precisazione. Un altro
atteggiamento che noi possiamo
avere nei confronti dei pazienti affetti
da distrofia muscolare ma soprattutto
con SLA, quando decidono di non
attaccarsi al respiratore, nel caso di
Luca non c'è stato bisogno perché
l'anidride carbonica via via è salita e
ha funzionato da narcotico, in alcuni
casi in cui c'è una chiara sofferenza
da parte del paziente, noi siamo
assolutamente autorizzati
deontologicamente, eticamente,
anche dal magistero della Chiesa, a
fare una sedazione terminale. Quando
cioè il paziente soffre io lo sedo, cioè
lo narcotizzo con morfina e
benzodiazepine, e il paziente va in
uno stato di coma farmacologico
finché non si spegne. Quindi dal
punto di vista pratico, io sospendo la
macchina, do la sedazione. Ci sono
grandissime possibilità che il decesso
avvenga in pochi minuti o ore, se non
dovesse succedere noi siamo nella
stessa situazione in cui al paziente
venga staccata la spina senza
sedazione, per cui io sono autorizzato
a continuare la sedazione terminale
finché nel giro di poche ore la
situazione non vada al suo termine.
Su questo penso non ci siano né
problemi etici, né giuridici. Ma mi
dovete dare gli strumenti per
staccarla, perché quando si è deciso
come fare, i risvolti medico-legali
sono quelli che paralizzano i medici,
risvolti che bloccano anche i medici
che possono essere d'accordo.
IGNAZIO MARINO
Intervengo più da tecnico che da
politico perché credo di aver capito il
senso della domanda di Marco
Pannella. La medicina oggi offre
strumenti di sedazione che possono
essere utilizzati per settimane, ma
anche mesi. Nella mia esperienza - io
mi occupo di trapianto di fegato - di
fronte a situazioni veramente
complicate e che richiedono una
sedazione permanente del paziente,
vi sono dei farmaci che permettono di
sopprimere lo stato di coscienza del
paziente in maniera permanente e
che sono metabolizzati, in modo tale,
dal nostro organismo, da poter essere
quasi capaci di stabilire quando il
paziente deve essere in stato di
assoluta incoscienza (e quindi non
sente nessun dolore, non percepisce
nulla, non ha nessun rapporto con il
mondo esterno). Se fosse necessario
sospendendo il farmaco lo stato di
coscienza può essere ripreso. Io ad
esempio comunemente, anche per
questo tipo di situazione, uso un
farmaco che si chiama Diprivan
Propofol che è a diffusione continua e
assolutamente pone il paziente in una
!
Demetrio Neri
condizione che è assolutamente
uguale a quella di una anestesia
generale: se uno volesse potrebbe fare
anche dei piccoli interventi chirurgici.
Quindi, se questa è la preoccupazione
e capisco che il problema è molto più
vasto - la mia è solo una risposta
tecnica - esistono farmaci che se
infusi a me in vena il mio fisico
continua a svolgere le sue funzioni,
ma il mio stato di coscienza è
completamente soppresso e non c'è
possibilità finché mi viene infuso quel
farmaco che io mi risvegli. Ecco
questa è la risposta che io volevo dare.
FRANCO ENRIQUET
Secondo me siamo in questa
situazione: c'è un codice Rocco che
dice che si incorre nell'omicidio del
consenziente e quindi da 6 a 15 anni.
Ma nello stesso tempo c'è una legge,
una normativa, la Costituzione che ti
dà la possibilità di scegliere e magari
il testamento biologico che andrà
verso questa direzione. E questa è la
domanda che chiama in causa il
giurista: ma allora come si concilia la
possibilità di scegliere le cure e quindi
accettarle o rifiutarle con la legge del
1930 di Rocco che ti può accusare? Il
medico si trova in una situazione che
potremmo chiamare limbo giuridico:
non definizione, non certezza di poter
essere nella legittimità.
LA LEGGE E LE
INTERPRETAZIONI IN
MATERIA
AVV. ANGIOLINI
Intervengo per aver studiato questi
problemi con il mio studio sul caso
Eluana Englaro, anche se il caso di
Eluana ha poco a che vedere con il
caso Welby: si tratta, infatti, di due
casi fondamentalmente diversi dal
punto di vista medico e giuridico. Dal
punto di vista medico la differenza che è una bella differenza - riguarda il
fatto che qui abbiamo a che fare con
una persona cosciente in grado di
decidere. Quindi il discorso cambia
totalmente. Allora il problema
dell'omicidio del consenziente perché questo è un problema - sarei
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
molto cauto anche sul piano del
giudizio sulla norma, perché non è
solo una norma del codice Rocco.
Ricordiamoci cosa ha detto la Corte
europea dei diritti dell'uomo nel caso
Pretty contro Regno Unito. Ha detto:
guardate che salvo i casi in cui
effettivamente ci possa essere - e non
è questo il caso in cui giudichiamo una lesione della dignità umana la
Corte non se la sente di dire che uno
Stato non può vietare di uccidere uno
che lo chiede. Quello è un problema
grosso, molto diverso peraltro dal
problema che si può porre nel caso
Welby. Sotto questo profilo io non
avrei dubbi che si tratti di omicidio
del consenziente. Nel caso in cui
venga irrogato un trattamento che
viene irrogato per provocare
direttamente la morte. E voglio dire la
sedazione può essere portata ad un
certo livello e portare la morte: in
questo caso realizza una ipotesi tipica
di omicidio del consenziente: per
essere molto chiari. Mi pare che
invece il problema sia tutto diverso
nell'ipotesi, che mi pare quella fatta
da molti, che è una ipotesi che non ha
nulla a che vedere con i problemi che
normalmente ricadono sotto
l'etichetta eutanasia, ma non hanno
nulla a che vedere neppure con
Quando il paziente
dà il consenso
decide lui, questo è
il principio. Quindi
non è il medico a
fare la scelta. Se
non ci sono
trattamenti tesi a
provocare la morte,
il paziente sceglie
liberamente ed in
modo informato di
staccare una
macchina e poi
avere un
trattamento di
sedazione.
l'accanimento terapeutico. Qui
abbiamo di fronte una persona
cosciente: quando si dice che ha il
diritto di scegliere sulla vita o la morte
si dice una cosa giuridicamente
inesatta, perché qui a mio avviso
viene fatta un'altra scelta: se essere
sottoposto o non essere sottoposto a
determinati trattamenti. che è
problema diverso. Un anno e mezzo,
forse due anni fa, c'è stato un caso
che è passato sotto silenzio perché in
realtà non è sfociato in atti giudiziari:
una signora ha rinunciato
all'amputazione di un arto e la
diagnosi chiara e poi purtroppo
verificatasi era che se non si
amputava l'arto la signora moriva. È
stato sollecitato il Sindaco che sotto
convalida del magistrato avrebbe
potuto imporre un trattamento, ed il
Sindaco ha detto: non lo posso
imporre. Perché ha seguito la linea
più garantista nell'interpretazione
dell'articolo 32 della Costituzione che
lo interpreta nel senso non solo che ci
vuole il consenso informato del
paziente per irrogare un trattamento
sanitario, ma che i trattamenti
sanitari possono essere imposti
soltanto - non nell'interesse del
paziente che è libero di interpretare il
suo interesse, qui stiamo parlando
sempre di persone dotate di
coscienza e volontà - ma possono
essere imposti solo a tutela della
salute pubblica. Quel caso si è risolto
a mio avviso correttamente, seguendo
una linea dettata da molti
costituzionalisti, come Pace. A me
pare che il problema sia molto
semplice fino in fondo se lo si guarda
da questo punto di vista, se si esclude
l'ipotesi di un trattamento che sia
teso a provocare la morte: se il
problema è il distacco della macchina
seguita da sedazione, qui a me pare
che l'unico problema sia che il
medico debba mettere il paziente in
condizioni di effettuare una scelta
cosciente, cioè deve informarlo fino
in fondo di ciò che può accadere. Però
al di là di questo a me pare che il
rischio qui non ci sia. È chiaro che
l'omicidio può realizzarsi anche in
forme omissive, ma qui siamo di
fronte all'esercizio di un diritto. È vero
anche che i giuristi sono ancora
arretrati in questa materia. A me pare
che i medici non abbiano ancora
capito una cosa: quando il paziente
gli dà il consenso decide lui, questo è
il principio. Quindi il medico non fa
lui la scelta; da quando soprattutto il
consenso è diventato consenso
informato. E questo a mio avviso
elimina il problema del
coordinamento tra le due norme: io
non avrei dubbi quindi che se non ci
sono trattamenti tesi a provocare la
morte, qui si tratta di un paziente che
sceglie liberamente ed in modo
informato di staccare una macchina e
poi avere un trattamento di
sedazione. Lo stesso problema che c'è
nei confronti dello stacco della
macchina c'è anche nel caso della
sedazione. Si tratta di un trattamento
che deve essere effettivamente
proposto per quello che è, spiegato
per come è, e poi accettato o non
accettato dal paziente. Io ritengo
esattamente che nel caso in cui ci sia
un distacco, anche fatto dal medico
su indicazione di Welby, e poi un
trattamento di sedazione che sia
voluto dal paziente il problema
dell'omicidio del consenziente non si
pone, perché in realtà qui abbiamo di
fronte una persona, che è un medico,
che agisce in base ad un consenso
informato. Qui il medico fa
integralmente il suo dovere: quello
che deve fare. Non vedo cosa ci sia... il
rischio diventa grosso sul piano della
giurisprudenza esistente qualora
venga irrogato un trattamento che
porti alla morte.
GIUSEPPE ROSSODIVITA
Brevemente per portare ad ulteriori
conseguenze un ragionamento fatto
dal professore Angiolini. Nel caso di
Welby, c'è la necessità di un doppio
consenso informato o meglio di una
doppia volontà. Nel caso del rifiuto di
queste terapie, che trovo sia
assolutamente legittimo anche allo
stato attuale, il medico deve staccare
la ventilazione, sulla base del
inconcepibilità della vita, art. 32 della
Costituzione: problemi che mi
sembrano ampiamente superati e
superabili. Per quanto riguarda
invece, il consenso ai trattamenti di
sedazione, qui la situazione si fa un
po' più complicata perché, a mio
avviso, anzitutto è necessario, come
ha ricostruito il professore Angiolini,
il fatto che questa situazione non sia,
parlo da un punto di vista giuridico,
in termini astratti; poi, i problemi
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
sedazione, è un problema medicolegale, è il problema di cui parlava il
professore e che poi porta a bloccare
certe iniziative, e i processi possono
andare in tanti modi, dal punto di
vista astratto, questa è per me la
situazione.
!
IL TESTAMENTO
BIOLOGICO E IL
CONSENSO
INFORMATO
Vittorio Angiolini
relativi all'accertamento in fase
processuale, sono problemi altri, sono
problemi concreti, sono problemi che
si pongono sul caso specifico e che
possono portare all'assoluzione come
sul caso citato dal Professore Neri.
Però in termini astratti se questa
sedazione viene effettuata, con tutte
le cautele da parte del medico e con
tutte le proporzioni relative al caso, ed
è finalizzata esclusivamente alla
sedazione, e dunque alla terapia del
dolore, che ha avuto riconoscimento
giuridico in Italia nel 2001, il medico
rispettando tutte le regole della legge,
non può andare incontro
oggettivamente a responsabilità. Ma
se il medico si pone anche in termini
di eventualità il rischio, quindi parlo
di dolo eventuale, e lo accetta, ovvero
che attraverso la sua sedazione, possa
poi determinarsi la morte, purtroppo
“Al Senato ci sono
otto disegni di
legge e speriamo
nel 2007 speriamo
di arrivare ad un
testo condiviso il
più possibile”
poi, pur non condividendo
assolutamente questo tipo di
situazione dello stato attuale della
giurisprudenza, al momento, in
termini astratti, penso che porterebbe
ad un accertamento della
responsabilità del medico. Ripeto su
questo è necessario allora che il
legislatore vada avanti in modo
determinato, condivido anche la
necessità di evitare di utilizzare il
termine eutanasia per portare avanti
questo tipo di battaglia, di
prospettiva, però ecco se io dovessi
dare un parere in relazione alla
domanda di Welby in questo
momento, mi sento di dover fare
questa distinzione. Poi il problema
dell'accertamento della causa, della
IGNAZIO MARINO
Certo i temi sono veramente vasti e
Articolati, ed è difficile fare una sintesi
e dare una risposta, ma vorrei cercare
di fare un disegno generale
esplicitando quello che penso
personalmente, sia come medico che
ha avuto a che fare in diverse
situazioni con momenti di fine vita e
trattamenti terminali, sia come
persona che ha oggi delle
responsabilità politiche. Io vorrei
iniziare con quello che è secondo me
il punto fondamentale. Vittorio
Angiolini ha detto in maniera così
volutamente provocatoria che i
medici non hanno compreso che nel
momento in cui si chiede il consenso
informato è il paziente che decide. Io
questo lo accetto come una
provocazione che serve per chiarire,
perché credo che questo sia il punto
di partenza dell'importante dibattito
che stiamo facendo oggi. L'individuo
ha oggi finalmente un diritto
riconosciuto che è quello di decidere
quello che vuole o che non vuole sia
fatto su di lui. L'idea che anche un
Sindaco possa intervenire
nell'imposizione di un trattamento è
qualcosa che interrompe questo
principio, mi sembra un passaggio da
una medicina di tipo paternalistico,
dove chi ti dà una medicina ha un
ruolo in qualche modo superiore al
tuo (cosa che io non accetterei in
nessun caso), ad una situazione di
assoluta giustizia dove chi deve avere
un trattamento o una procedura
diagnostica, oggi, se qualcuno deve
fare una gastroscopia comunque deve
essere informato di tutti i rischi e deve
dire se vuole o non vuole farlo. Il caso
citato, di quella donna che qualche
tempo fa decise di non farsi amputare
un arto, mi pare che lo dimostri in
maniera molto chiara. Se oggi avessi
necessità per continuare a vivere di
un trapianto di cuore e so che senza
un trapianto morirei, posso lo stesso
dire "non voglio essere messo in liste,
non voglio il trapianto di cuore", non
è possibile che qualcuno venga e mi
costringa, anche se qualche
tentazione forse c'è. Vi faccio anche
un esempio: a metà degli anni '80
prima di andare negli Stati Uniti, dove
sono rimasto 18 anni, lavoravo qui a
Roma, e mi ricordo una discussione
drammatica in cui venni coinvolto dal
direttore sanitario dell'ospedale sul
caso di un paziente che non voleva
più essere collegato alla macchina
dell'emodialisi. Ma è un elemento
esterno, quello, non fa parte della vita
naturale e uno può decidere. Tutto
questo non viene molto
pubblicizzato, ma se si fa un'indagine
di quanti pazienti dopo diversi anni
decidono di non presentarsi più al
centro dialisi, e quindi in 7-8 giorni
lasciarsi morire, sono un numero non
altissimo, ma che fa meditare. Faccio
questo esempio perché secondo me
tutto discende dal principio del
consenso informato, cioè di decidere
quello che voglio che venga fatto e
quello che non voglio che venga fatto
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
su di me. Questo porta al secondo
punto, chiaramente discusso prima
da Mario Sabatelli: la differenza tra
scelta delle terapie, eventuale
rinuncia alle terapie ed eutanasia.
Sono concetti e condizioni
completamente distinti e credo che
tutti quelli che scrivono o parlano
utilizzando termini come eutanasia
passiva, eutanasia attiva, creano
soltanto confusione e usano dei
termini che non dovrebbero essere
utilizzati perché la differenza è tra
consenso informato, eventuale
rinuncia all'accanimento terapeutico
e eutanasia. Sono cose
completamente diverse. È così chiaro:
chi ha necessità, per continuare a
vivere, di qualcosa che non faccia
parte della quotidianità, di
strumentazioni esterne, di
apparecchiature come un respiratore
automatico, di una nutrizione o
idratazione artificiale, di farmaci che
ne mantengano il battito o la
pressione sanguigna, insomma di
tutte quelle possibilità che oggi la
medicina, la tecnologia, la scienza ci
offrono, e decide di non voler più
questo tipo di terapie, può rinunciare
e questo dovrebbe essere accettato da
tutti e credo che in effetti sia
abbastanza accettato da tutti. Cosa
diversa è l'eutanasia che significa che
io decido per qualche motivo, perché
“Venendo alla
situazione di
Piergiorgio Welby:
credo che qui
rientriamo
addirittura in una
condizione in cui i
disegni di legge di
cui ci stiamo
occupando in
Parlamento, sono
per situazioni
diverse da quella in
oggetto"
soffro o perché ho altri problemi (ha
fatto notizia la storia di un musicista
che è diventato sordo, si è rivolto alla
clinica "Dignitas" di Zurigo, hanno
esaminato il caso e sono stati
d'accordo con lui che la sua vita non
fosse più degna di essere vissuta e
quindi gli hanno fatto un'iniezione
letale di cloruro di potassio ed è stato
soppresso che è lo stesso modo che si
usa nel braccio della morte in Texas
dove non si usa la sedia elettrica ma
l'iniezione letale e il cloruro di
potassio che tutti i medici lo sanno,
nel giro di pochi secondi arresta il
cuore e si ha la morte) di togliermi la
vita. Quindi sono due situazioni
completamente diverse. Io non sto
spendendo parole a favore
dell'eutanasia ma semplicemente
spiegando quanto diverse siano
queste situazioni. Venendo alla
situazione di Piergiorgio Welby. Credo
che qui rientriamo addirittura in una
condizione in cui i disegni di legge di
cui ci stiamo occupando in
Parlamento, sono per situazioni
diverse da quella in oggetto. Welby ne
potrebbe probabilmente beneficiare,
anche se in situazioni di questo
genere usare un tale termine sembra
13
davvero fuori luogo, in modo
indiretto. Welby è nella situazione in
cui siamo tutti noi in questo
momento: possiamo dire "io voglio
essere sottoposto a questo
trattamento" o meno, cioè indicare
quello che vorrei o non vorrei venisse
fatto su di me. Ora, è chiaro qui c'è un
effetto emotivo importante. Io mi
sono trovato, non centinaia di volte
per fortuna, ma sicuramente decine
di volte negli ultimi diciotto anni in
situazioni di fine vita come questa. La
differenza reale qui, dal punto di vista
di chi si trova intorno, assiste, dai
familiari ai medici, è se il paziente sia
in uno stato di vita vegetativa o di
incoscienza e allora si decide di
staccare tutto perché non si ritiene di
andare avanti oppure davanti ad un
paziente che sia cosciente. Dal punto
di vista emotivo è molto diverso:
andare a staccare il respiratore ad uno
che è cosciente implica delle decisioni
e delle emozioni che sono differenti.
Per chi l'ha fatto sa come me che
sono cose diverse. Vi posso raccontare
la storia di una donna che qualche
mese fa, meno di un anno fa, nel mio
centro trapianti l'abbiamo portata in
sala operatoria per sottoporla ad un
trapianto di fegato, cosa che succede
raramente grazie alle tecnologie
diagnostiche a disposizione, ma ci
siamo resi conto aprendo l'addome
che il tumore di cui era affetta aveva
invaso altri organi e non era
trapiantabile. Abbiamo richiuso, e
questa signora si è risvegliata
assolutamente cosciente
nell'immediato post operatorio con il
figlio maggiorenne accanto a lei ma
senza alcuna possibilità. La donna era
cosciente e ha chiesto che non
venisse più fatto nulla. Visto che in
quelle condizioni, dopo
un'operazione così il paziente ha
bisogno di tutta una serie di farmaci
per non spegnersi. Nonostante questo
ragazzo fosse disperato e io stesso
avessi difficoltà - pensiamo al medico
che istintivamente è portato ad
assistere un paziente forse perché fa
parte del nostro modo di essere (è più
facile pensare a un'esistenza che porti
a vivere piuttosto che a spegnersi in
tranquillità anche se secondo me
razionalmente anche quella è
assistenza) - comunque bisognava
fare una scelta e la scelta è stata non
somministrare più nulla e quella
signora si spense nel giro di due
giorni. Queste sono situazioni diverse
da quelle che richiedono di colmare
un vuoto legislativo che è quello
appunto delle direttive anticipate di
vita, dove la persona comunque dà il
consenso informato perché io oggi
posso dire "non voglio essere
mantenuto in rianimazione per più di
un mese" in una situazione dove la
mia vita dipende da delle macchine.
Se staccano quelle macchine io non
vivrei, quindi "dopo trenta giorni
staccate la spina". Questo oggi in
Italia non è possibile perché quello
staccare la spina in quella condizione
è stato già detto, si configurerebbe la
pena di omicidio volontario. Un reato
molto grave, ed è la stessa identica
esatta situazione degli USA nel 1986
col caso di una ragazza che aveva
avuto un incidente automobilistico ed
era in coma da molti mesi nel New
Jersey: i genitori erano convinti che
era un accanirsi l'andare avanti con
queste terapie, i medici
condividevano questa posizione, ma
non potevano fare nulla perché
sapevano che potevano essere
arrestati per omicidio. E la corte del
New Jersey si pronunciò e diede con
una sentenza (sapete che la
14
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
Claudia Moretti
giurisprudenza americana è differente
da quella europea perché fa
giurisprudenza) in cui veniva
specificato che nessuno poteva essere
accusato di omicidio in questa
situazione. Questo però sollevò un
grande dibattito pubblico e infatti alla
fine se ne occupò la Corte del
Wisconsin, e siccome la questione
non sembrava risolvibile nemmeno in
un Paese dove le sentenze fanno
giurisprudenza, se ne occupò la Corte
Suprema degli Stati Uniti e un atto del
Presidente degli Stati Uniti nel 1990
pose fine a tutte queste questioni e da
allora divenne possibile per tutti
quello che volevano per se stessi,
scrivendo un testamento biologico,
cioè delle direttive anticipate di vita.
Per rassicurare, io ho sentito molta
confusione su questo, non significa
che uno deve scrivere "dovete
staccare" questo o quello, potete
scrivere anche "io non voglio che
venga staccato nulla". E voglio essere
mantenuto finché o sono in morte
cerebrale o si ferma il cuore, perché li
è chiaro che se uno è in morte
cerebrale è clinicamente morto e
quindi il discorso è diverso, ma uno
può anche scrivere di voler essere
mantenuto perché ritiene che in
quella situazione vuole essere
assistito. Ancora una volta sulla base
del principio del consenso informato,
si dà la scelta all'individuo. È questo
quel che si sta tentando di fare al
Senato, dove vi sono otto disegni di
legge e devo dire che al di là del fatto
estremamente importante che Welby
abbia scritto al Presidente della
Repubblica e che il Presidente abbia
risposto, il Senato se ne stava già
occupando dall'inizio della
Legislatura. Già a giugno avevo
presentato il mio disegno di legge,
altri senatori avevano presentato i
loro disegni di legge e avevamo
immediatamente messo in calendario
come primo punto dell'attività
legislativa questa importantissima
problematica. Durante il mese di
agosto avevamo individuato tutti i
soggetti da audire, circa 37. Siamo
circa ad oltre un terzo delle audizioni
completate, speriamo per dicembre di
averle completate tutte, e speriamo
?
nel 2007 di arrivare con un testo
condiviso il più possibile, e anche
questo ritengo che sia importante
perché su questi argomenti penso
davvero, è un pensiero personale, che
non si debba procedere con un voto o
due voti di maggioranza. È un
argomento dove dobbiamo cercare di
spiegare con chiarezza tutti i punti.
Così facendo potremmo arrivare ad
una larga condivisione, come state
facendo molto bene anche voi questa
mattina. Credo che la maggior parte
dei parlamentari, come dei cittadini
italiani, ritengano che sia un diritto di
tutti rinunciare a delle terapie che
ciascuno di noi nell'intimo della
propria coscienza ritiene per se stesso
inappropriate o fuori dall'ordinario.
Ritengo per concludere che la
situazione di Piergiorgio Welby si
distacchi un po' da questo. Ci
troviamo di fronte alla situazione di
una persona che di fatto potrebbe
decidere e potrebbe richiedere una
terapia di sedazione e chiedere che
tutto il resto venisse sospeso e
probabilmente questo lo porterebbe a
spegnersi. Ripeto questo non è un
uccidere una persona, non è un
omicidio, è semplicemente scegliere
di rinunciare a delle terapie che per
noi stessi riteniamo inappropriate.
Scusate ma davvero io credo che
questo sia un principio che se
spiegato bene è largamente condiviso.
Sicuramente da quelli che sono qui
oggi ma possiamo arrivare fino al
Cardinale Barragan che è prefetto
della Congregazione per la Salute
della Chiesa Cattolica e ci ha scritto
un libro su questo, e in quel libro, se
qualcuno lo va a prendere, c'è scritto
proprio che ognuno può stabilire
quali siano le terapie che per se stesso
ritiene inappropriate. Il principio mi
sembra molto chiaro.
“In Italia non esiste
una legge che
stabilisca
precisamente come
si gestisce il
consenso
informato”
LA SEDAZIONE
TERMINALE
GILBERTO CORBELLINI
Io vorrei fare solo delle precisazioni
sulle cose che sono state dette e
vanno a rinforzare alcune posizioni.
Anzitutto quella del Senatore Marino,
che ha giustamente precisato cosa
significhi consenso informato, ovvero
per il paziente avere il diritto di
decidere su una serie di opzioni, avere
il diritto di rinunciare e di rifiutare dei
trattamenti, decidere su certe opzioni
che sono presentate dal medico; ma
attenzione, non può chiedere un
paziente in base al consenso
informato che un medico faccia
qualcosa che sia contro la buona
pratica clinica. Questo è un concetto
base. Il ruolo del medico nell'etica e
nella normativa del consenso
informato non viene diminuito, anzi.
Il medico è tenuto alla conoscenza di
tutte quelle che sono le opzioni della
buona pratica clinica e quindi a
fornirle al paziente. E la buona pratica
clinica vedremo che torna sulla
questione della sedazione terminale.
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
specificare.
IGNAZIO MARINO
Volevo solo specificare che, è chiaro
che non stiamo parlando di
terminologie che non sono molto
allegre, ma il termine che viene usato
comunemente in America, anche
nella sua traduzione italiana,
interpreta molto bene quello che si fa:
è il cosiddetto "terminal weaning",
cioè il distacco terminale. Se uno
entra in un'istituzione americana
adesso, e c'è qualcuno in "terminal
weaning", si sa esattamente cosa si
deve fare: la sedazione che è
generalmente 4 o 10 volte superiore a
quella che si usa normalmente e il
distacco di tutto.
Giuseppe Rossodivita
Per quanto riguarda poi l'esempio
della signora che ha rifiutato
l'amputazione, io vorrei ricordare (è
difficile in questi casi usare termini
come "fortunato" in situazioni
drammatiche, tragiche) che il marito
ha in qualche modo garantito che
potesse continuare a prendere queste
decisioni. Lo dico perché negli stessi
giorni in Liguria un'altra signora è
stata dichiarata incapace di intendere
e di volere su richiesta dei parenti ed
è stata sottoposta ad amputazione.
Quindi ci sono delle cose ancora
incerte da questo punto di vista. In
Italia esiste tutta una normativa,
esiste la Costituzione, esistono delle
sentenze della Cassazione sul
consenso informato, ma a parte
recentemente la Direttiva Europea,
non esiste una legge che stabilisca
precisamente come si gestisca il
consenso informato. Io insegno in
una Facoltà di medicina e quando
spiego il consenso informato dico una
cosa, il medico legale ne dice una
diversa e gli studenti mi chiedono, ma
scusi chi ha ragione? Io dico:
guardatevi quello che ci sta scritto
nelle sentenze e decidete voi, o nella
Costituzione e decidete voi. Un altro
punto che mi sembra importante è il
problema del linguaggio. Sono
d'accordo con il Senatore Marino: va
tolto il termine eutanasia, anche se è
molto difficile nel linguaggio comune.
Il linguaggio medico lo ha già tolto
perché se noi andiamo a fare una
ricerca su Pubmed, la banca dati
bibliografica di medicina, da un po' di
anni a questa parte difficilmente
troviamo la parola eutanasia, ma
troviamo una locuzione che è "end of
life - decision making". Si parla ormai
di scelte di fine vita, perché
l'eutanasia è una cosa che ha vari
aspetti, ma siccome è carica di
significati storici, di usi in contesti in
cui poi diventa difficile fare capire a
tutti che non è pertinente usare certi
episodi storici per fare
argomentazioni e propaganda
ideologica, allora è meglio parlare di
scelte di fine vita, perché sono tante,
quindi si tratta di decisioni riguardo a
come le persone ritengono di voler
morire. Quindi è giusto secondo me
GILBERTO CORBELLINI
La domanda che fa Piergiorgio è
molto precisa e sono d'accordo che
non è molto pertinente rispetto alla
questione delle direttive anticipate
che riguardano la messa in atto di una
procedura quando non sono più
cosciente. Da questo punto di vista
parlo ancora un momento delle
direttive anticipate e poi passo allo
specifico di Welby: vorrei aggiungere a
quello che ha detto il Senatore Marino
sul "Patient self determination act"
del 1991 in USA che questo è stato un
processo che è durato effettivamente
15 anni e ha avuto bisogno del caso
Nancy Cruzan, che non è un caso
uguale a quello di Karen Qinn, che
pur staccando il respiratore è andata
avanti. Nel caso di Nancy Cruzan la
Corte Suprema stabilì il diritto di
interrompere l'alimentazione
artificiale, e quindi riconobbe che
alimentazione e idratazione artificiale
sono trattamenti medici, cosa che da
lì in poi si diffuse in quasi tutto il
mondo, come diceva Demetrio Neri.
In Italia c'è qualche incertezza, si
riconosce che una persona può
rifiutare tutti i trattamenti ma
qualcuno non riconosce che
alimentazione e idratazione artificiale
vadano ritenuti dei trattamenti
medici. Sul caso Piergiorgio Welby,
credo che per quanto riguarda la
questione della sedazione terminale,
il linguaggio conta. Esistono
protocolli di vari enti che hanno
proposto linguaggi alternativi come
"sedazione palliativa", per togliere il
termine "terminale". La questione
della sedazione terminale, per quanto
ho capito io, che non sono un medico,
leggendo le riviste New England,
Jama, Lancet, mi sembra sia un
protocollo, abbastanza standardizzato
dal punto di vista medico. Insomma
noi stiamo discutendo di qualcosa
che ha già una sua configurazione
persino in termini di buona pratica
clinica. Si sa quali farmaci usare,
quando utilizzarli ecc e nei casi di
sedazione palliativa o sedazione
totale è abbastanza chiaramente
previsto che questo trattamento possa
essere messo in atto quando si sa che
non c'è alcun esito, nel momento in
cui il paziente sceglie di rinunciare ad
un trattamento il cui inevitabile
decorso è la morte, non c'è alcun
nesso causale: si sa che uno non
muore per la sedazione. Nel caso della
sedazione può essere indicata, leggo
dalla letteratura, la sospensione
dell'alimentazione e la sospensione
dell'idratazione. Per quanto riguarda
poi la questione di Welby, una volta
che si entra in sedazione terminale, è
possibile mantenere la sedazione
terminale fino al momento in cui
sopraggiunge il decesso. E non mi
sembra che da questo punto di vista
si possa mettere in discussione la
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
?
terminale? Perché credo che questo
abbia un rapporto con la
precondizione che Welby pone a
qualsiasi decisione, quella che sia una
scelta, la migliore possibile, rispetto a
se stesso, cioè del non soffrire e
probabilmente anche del non
rimanere indefinitamente appeso ad
una situazione seppure sedato. Questa
è la migliore pratica medica?
Antonio Paravia
questione se c'è o non c'è coscienza.
Non abbiamo una spiegazione
neurobiologica della coscienza così
come la abbiamo del battito cardiaco.
Però abbiamo delle conoscenze
abbastanza dettagliate di quelle che
sono le strutture soprattutto a livello
talamo corticale che sono necessarie
per la coscienza, e una volta che
queste strutture sono disconnesse,
con una quantità enorme di casi
clinici, di studi ecc la coscienza non
c'è, non si riprende e il discorso si
chiude lì. Da un punto di vista
tecnico-clinico, anche se non sono un
tecnico clinico, la letteratura, come
dice in modo preciso anche Sabatelli,
consente di compiere tutta una serie
di azioni allo stesso tempo non si
rientra secondo me nel caso di
omicidio del consenziente proprio
perché nell'atto di sedare, che è
prescritto dal punto di vista clinico,
non c'è come conseguenza di
quell'atto il sopraggiungere della
morte, del decesso.
MARCO CAPPATO
Siccome questo seminario serve a
Welby per decidere, mi permetto di
riattualizzare la domanda iniziale in
questo modo: so perché Piero e noi
parliamo di eutanasia quando
parliamo della battaglia politica, però
non è questo un seminario
sull'eutanasia, e non mi voglio
addentrare su una battaglia
terminologica; visto che si può fare
nelle condizioni di Piero e nell'attuale
tecnica della sedazione, una
sedazione certa, anche protratta nel
tempo, oggi, il medico che faccia
questo è certo - e fino a che punto è
certo, o ragionevolmente certo - di
non andare incontro a 6-15 anni di
carcere? La seconda domanda è al
Presidente Marino: negli Stati Uniti
quando si parla di "terminal weaning"
si tratta di una sedazione da 6 a 10
volte superiore a quella standard. Io
accendo un campanello che
accenderebbe Piero: perché è una
sedazione da 5 a 10 volte superiore?
Qual è il bisogno di fare una
sedazione da 5 a 10 volte superiore se
la sedazione oggi consente di fare una
sedazione e di protrarla fino all'atto
IGNAZIO MARINO
La domanda è molto chiara. Non c'è
scritto su nessun testo di medicina che
la sedazione di distacco terminale quando si decide di sospendere
qualunque terapia e di lasciare che il
paziente si spenga - debba essere 5-10
volte superiore. Perché è chiaro che da
un punto di vista medico dovrebbe
bastare il dosaggio che di quel farmaco
si deve somministrare. Non ho nessun
timore di essere smentito, basta entrare
in qualunque rianimazione almeno nei
paesi in cui ho lavorato: Francia,
Inghilterra. Lì non c'è bisogno di
precisarlo agli infermieri della terapia
intensiva, perché sanno di dover
somministrare un dosaggio che sia 510 volte superiore. Questo l'ho sempre
detto: è più per noi stessi che vogliamo
essere assolutamente certi, al di là della
ragione, che quella persona siano in
una condizione in cui non ci sia
nessuna possibilità che percepiscano
dolore, sofferenza. C'è il mondo
anglosassone, a forte impronta
calvinista, che ha anche delle
definizioni che sono molto efficaci, e
quando si arriva a questo tipo di
situazioni nella cartella clinica si scrive
la parola "terminal weaning" cioè
"distacco permanente". E ci sono altre
due frasi molto sintetiche: "do not
resuscitate", cioè non procedere in
nessuna circostanza a manovre di
rianimazione, e "comfort measures
only", cioè soltanto farmaci che
rendano confortevole il passaggio di
questo particolare paziente che è
arrivato al termine. È molto scarno,
però è altrettanto drammaticamente
chiaro, cioè si tratta di assistere una
persona nella fase finale della sua vita e
si danno soltanto farmaci che servono
per assisterlo in modo che quel
passaggio sia il più tranquillo e il più
lontano da sofferenza fisica o psichica
possibile. Volevo però fare una
precisazione a quanto ha detto Gilberto
Corbellini: è vero, il caso successivo a
quello di Nancy Cruzan ha permesso di
fare un passo legislativo importante
negli Stati Uniti. Però vorrei si dicesse
con molta chiarezza, e non so per
quale motivo non viene detto, che
innanzitutto sono stati banalizzati dai
media alcuni aspetti: noi nella vita
normale non ci facciamo le iniezioni di
pane e companatico. Noi andiamo,
compriamo il pane, la frutta e la
verdura e le altre cose che vogliamo
mangiare. lo so che sono argomenti
drammatici, ma vanno affrontati con
questa chiarezza. E il mettere un
sondino naso-gastrico non significa
tutto questo, un pasto naturale: una
volta mi sono ammalato e mi hanno
messo un sondino naso-gastrico e
regolarmente fermavo la mano del
medico che me lo metteva, perché fa
male, esce anche un po' di sangue; ci
vuole, dunque, un consenso informato
perché ti infilino una sonda giù dal
naso che arrivi fino allo stomaco.
Figuriamoci poi mettere una PEG, cioè
un tubo chirurgicamente inserito nella
pancia che entra nello stomaco. Questi
sono mezzi naturali? Non lo so, io
credo di no. Se poi aggiungiamo che
non credo esista nessun paziente che
faccia, per essere mantenuto in una
condizione di vita biologica, solo
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
15
l'idratazione e la nutrizione enterale:
molto spesso c'è una terapia
quotidiana per l'epilessia, perché se il
paziente ha avuto un trauma cranico,
avrebbe una crisi epilettica una due o
tre volte al giorno, e andrebbe in
arresto respiratorio o cardiaco; la
GIUSEPPE ROSSODIVITA
Il problema è che il medico legale si
troverà di fronte al quesito: è stato un
esercizio di buona pratica medica
quello di somministrare, rispetto al
consenso dato dal paziente, 5-10 volte
di più il quantitativo standard?
“Nella vita normale
non ci facciamo le
iniezioni di pane e
companatico.
Mettere un sondino
naso-gastrico fa
male. Ci vuole un
consenso
informato perché ti
infilino una sonda
giù dal naso”
VITTORIO ANGIOLINI
Mi pare molto più rilevante che il
medico informi il paziente e lo avverta
del rischio. Perché se il paziente si
sottopone ad una operazione ad
altissimo rischio, ed è stato avvertito, la
cosa cambia. È lui che decide di
accettare anche il rischio di un
trattamento medico.
terapia dei decubiti; la terapia della
ginnastica passiva e attiva; lo
smottamento intestinale che deve
essere fatto con farmaci altrimenti non
avviene; la terapia antibiotica, perché
sicuramente se voi mettete un corpo
immobile a letto per mesi prima gli
viene la polmonite e poi l'infezione
urinaria oppure gli vengono tutti e due;
è tutto quello che normalmente noi
facciamo o è una terapia che ognuno di
noi può chiamare inappropriata per se
stesso?
LA SEDAZIONE
TERMINALE
SI POTREBBE FARE
IN ITALIA?
GIUSEPPE ROSSODIVITA
Occorre per ogni singola situazione
andare a verificare due elementi che
costituiscono reato: profilo della
condotta ed il profilo dell'elemento
soggettivo; se sotto il profilo della
condotta c'è stata una negligenza,
imprudenza o imperizia - nel senso che
non si sono rispettate le regole per una
buona sedazione - se c'è il consenso
siamo nel caso di omicidio colposo; se
manca il consenso siamo nell'omicidio
volontario, e ci sarebbe l'aggravante
della premeditazione e questo
potrebbe far alzare la pena fino
all'ergastolo. Nel caso di cui parlavo
prima a mio avviso è necessario, e qui
mi pongo alcuni dubbi per quello che
ha detto il prof. Marino in relazione alla
dose 4, 5 o 10 volte superiore del
sedativo, perché poi tutto si gioca sulla
consulenza medico-legale, la perizia, e
allora cosa andrebbe a dire il medico
rispetto ad un accertamento autoptico
a proposito di ciò? Forse che è stata
quella dose a causare la morte, oppure
no? Perché le conseguenze giuridiche
sarebbero evidentemente diverse.
VITTORIO ANGIOLINI
Su quest'ultimo punto bisogna stare
attenti; se io ho capito bene questa
sedazione quattro, cinque o dieci volte
superiore non significa che la
sedazione non persegua il fine proprio
della sedazione. Bisogna stare attenti al
nesso causale; non è perché uno viene
operato a cuore aperto, essendo
l'intervento più pericoloso, che il
medico risponde di più. Perché
altrimenti per il medico diviene una
corsa ad ostacoli.
MARCO CAPPATO
Ho sette richieste di "precisazione",
segno che forse abbiamo toccato un
punto molto delicato...
IGNAZIO MARINO
Personalmente quando mi sono
trovato in una situazione di
accompagnare un paziente nella fase
terminale della sua vita, di staccarlo
quindi da macchine o apparecchiature
o farmaci che gli davano un supporto
vitale, e rendere questo passaggio il più
tranquillo possibile dal punto di vista
fisico, personalmente ho sempre
utilizzato un dosaggio 5 o 10 volte
superiore a quello ordinario; il mondo
americano in cui ho lavorato, molto più
pragmatico, dà la possibilità al medico
di scegliere il dosaggio che vuole. Io mi
sento anche emotivamente più
tranquillo in quella situazione, e questo
é assolutamente rispettato e negli USA
si può fare questo con qualsiasi tipo di
farmaco, senza che il tribunale entri in
questo tipo di problematica. Non é
però su questo che dobbiamo
incentrare il dibattito; che si usi il
dosaggio appropriato per quella
situazione e quell'individuo, e basta.
GIUSEPPE ROSSODIVITA
Presidente Marino, qui siamo a Roma,
in Italia, e sono convinto che i tribunali
andrebbero invece a verificare questo
tipo di situazione. Non ritengo sia un
cavillo andare a distinguere se
attraverso la propria condotta il
medico ha acconsentito alla morte di
sopraggiungere, oppure se il medico ha
aiutato la morte a sopraggiungere,
perché questo segna il discrimine tra
lecito ed illecito nel nostro
ordinamento così com'é oggi.
DEMETRIO NERI
La precisazione é che quello detto dal
Senatore Marino é assolutamente vero;
negli USA é diventata pratica comune
quella che é stata ribattezzata
"eutanasia da doppio effetto", che é
giocata tutta sulla intenzionalità.
Qualche teologo italiano afferma che
negli USA si darebbe
un'interpretazione un po' disinvolta di
questo principio, e per fortuna,
aggiungo io. Le preoccupazioni
espresse sino ad ora non sono
irrilevanti; in Olanda il dibattito
sull'eutanasia partì da un caso
giudiziale, quello della dottoressa
Postma, che su sua madre
consenziente applicò una dose sempre
crescente di morfina finché decise di
saltare una certa dose nella
progressione. Ed il Tribunale proprio
per quest'ultima mancanza la
condannò. In fondo sono semmai più
simpatetico con l'atteggiamento del
Prof. Marino, questi sono spesso cavilli,
e d'altronde la stessa bioetica italiana é
cavillosa quasi quanto la teologia
italiana. Però bisogna in questa sede
fare anche l'avvocato del diavolo, cioè
mandare un messaggio al medico
16
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
&
volenteroso che vorrà corrispondere
alla richiesta di Welby del tipo "vai
tranquillo, non ti succederà nulla". Una
volta ho avuto una discussione molto
bella con il giudice Nordio; alla fine mi
disse "si, ha ragione lei, ma tutto
dipende dal Pubblico Ministero che c'é
di turno". Come dicevo prima, questa
incertezza giuridica in materia
veramente é terribile.
MARIO SABATELLI
Solo per dire: é vero che questa é una
discussione teoricamente giusta, ma
che nella pratica clinica non ha nessun
senso. Chi come me fa la sedazione
terminale ai pazienti Sla, sono pazienti
che mi chiedono di essere
accompagnati a morire, con il
consenso di tutti, e gli si dà una terapia
il cui fine é togliere la sofferenza della
morte, non ammazzarlo. Se come
effetto collaterale io provoco la morte,
non c'é nessun giudice che mi
condannerà, perché lo faccio
quotidianamente; con le dosi che io
prescrivo, il paziente sicuramente va a
morire prima, ed io lo dico a tutti.
Quindi non c'é nessun problema.
Concludo con un'altra esperienza
personale: da giovane, alla mia prima
sedazione terminale, ho prescritto oltretutto ad una collega - un dosaggio
di quelli intermedi, e questa persona
poco dopo si é risvegliata. Da allora
altro che quattro volte, do 5-7 volte il
dosaggio. Il mio scopo é togliere la
sofferenza della morte, il resto non
importa.
IGNAZIO MARINO
Questo é quello esattamente ciò cui mi
riferivo; queste non sono tra l'altro
situazioni piacevoli, perché é chiaro
che un medico tende sempre a voler
curare o guarire, ma in quei frangenti
anche io ho sempre somministrato
dosaggi maggiori per essere sicuro che
quel paziente fosse il più sereno e
tranquillo possibile da un punto di
vista psichico e fisico.
IL CONTRASTO
DELLA LEGGE
CLAUDIA MORETTI
Io vorrei fare proprio l'avvocato del
diavolo. Ciò che é stato detto é secondo
me molto incoraggiante, soprattutto
quello che ha detto lei, Prof. Marino, ci
incoraggia perché lei é l'uomo giusto al
momento giusto. Purtroppo però
bisogna fare il conto anche con la
giurisprudenza che é molto indietro,
anche rispetto alle domande di Welby,
che dà già per scontato di poter
staccare la spina legalmente. Cosa che
é tutto fuorché scontata. Io non so se i
colleghi hanno fatto una panoramica
delle recenti sentenze della cassazione;
vi si scoprono cose agghiaccianti, in cui
il consenso informato é tutt'altro che
legato all'art.13 e non é vero che la vita
é incoercibile secondo quanto detto da
Rossodivita, ma ancora la si fonda
sull'art.50 del codice penale. (L'art. 13 é
quello che sancisce la libertà
individuale e la ritiene inviolabile ed in
combinato all'art.32 della Costituzione
si crea questa legge speciale rispetto
alla legge generale del codice Rocco).
Cosa vuol dire fondare il consenso
informato del trattamento medico su
questo articolo che é tratto dal codice
penale parte generale, e che riguarda in
generale i delitti? Vuol dire metterlo di
pari grado alle fonti quali il codice
civile all'art.5 che dispone
l'indisponibilità del proprio corpo.
Quindi o il giudice compie
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
legislazione americana. Se lei la ascolta,
poi può dare a me o a noi delle
opinioni, visto che noi vorremmo
scrivere una legge che sia innanzitutto
applicabile.
Carlo Flamigni
un'operazione ermeneutica ("Bene, la
Costituzione é legge sopravvenuta e
che ha stravolto i principi del codice
Rocco ponendo al centro una istanza
individualistica da proteggere, e allora
si applica la Costituzione - art. 13 ed
art. 32 - cioè la possibilità di rifiutare
trattamenti sanitari) oppure, come fa la
Cassazione ancora oggi, 2001, fonda la
liceità dell'attività medica sull'art.50 del
codice penale, con i limiti derivanti
dall'art. 5 del codice civile, cioè con
l'indisponibilità del proprio corpo, fino
a dire - nel 1997 - che la "liceità
dell'attività medica trova
giustificazione non tanto nel consenso
dell'avente diritto, che incontrerebbe
spesso l'ostacolo di cui all'art.5
(indisponibilità del proprio corpo,
quanto alla sua intrinseca legittimità,
quale strumento di tutela di un bene,
come la salute, costituzionalmente
garantito). Ora non ci nascondiamo
dietro il fatto che nonostante la
dottrina maggioritaria abbia oramai
superato questa impostazione, così sia
anche per la giurisprudenza, che
attualmente é ancora su quelle
posizioni. Io ho trovato una sola
sentenza nella quale il consenso
informato é direttamente derivante
dalla Costituzione, cioè salta a pie' pari
codice civile e codice penale (omicidio
del consenziente, istigazione al
suicidio...). Un giudice in assenza di
leggi é costretto a scegliere quale tra
queste due interpretazioni scegliere.
Non é un caso che la giurisprudenza
più datata non prendesse nemmeno in
considerazione l'art.13, figuriamoci
l'art.32, per il semplice fatto che negli
anni '50 e '60 la Costituzione era
ancora considerata una fonte morbida,
cioè non direttamente applicabile. Non
é nella cultura giuridica, e tanto più si
va in altro nei gradi, tanto peggio é;
questo per ragioni di conservatorismo
di una tradizione giuridica che ha
ancora difficoltà ad accettare la libertà
individuale e la autodeterminazione.
IGNAZIO MARINO
Il 9 novembre avremo al Senato
l'audizione del Prof. Coleman, la
persona che ha scritto gli articoli della
CLAUDIA MORETTI
Quindi, per ricapitolare, non é
assolutamente detto che in un
eventuale giudizio non si trovi un
giudizio che sia contro la nostra tesi
della derivazione del concetto di
consenso informato dalla Costituzione.
Non conta il fatto "la spina la stacca da
sé, la stacco io, la sedazione la prende
da sé, la do io..."; l'omicidio, come ha
ricordato il prof. Angiolini, é un reato
che si può concludere anche mediante
omissione. Sarebbe un rifiuto del
trattamento, ma tutta questa
questione del trattamento é una legge
speciale che si inserisce proprio a
partire dalla Costituzione. La causalità
del reato é fatta di tutte le condizioni
che causano la morte, tranne quelle
eccezionali. Per quanto riguarda
l'alimentazione e l'idratazione
artificiale, anche lì mi rivolgo al Prof.
Marino e dico che é vero, sembra a
tutti una cosa impossibile; mi
perforano la pancia, ed io dovrei
ritenere si tratti di un atto di carità. Ma
questo é quello che é stato scritto dal
Comitato Nazionale di Bioetica, e
questo é quello che é stato scritto e
“Il codice Rocco
prevede da 6 a 15
anni per l’omicidio
del consenziente.
Ma l’art. 13
sancisce la libertà
individuale e la sua
inviolabilità. Il
medico si trova in
un limbo giuridico”
ripetuto dalla Corte d'Appello di
Milano nel caso Englaro (2002), che
dopo aver riconosciuto la Corte tutte
le evoluzioni per cui il consenso
informato deriva dal diritto enunciato
all'art. 13 della Costituzione, dice
anche però: "Nel caso di specie il
giudice non autorizza la cessazione
alla nutrizione ed idratazione con
sonda nasogastrica, soltanto perché
non é pacifica la qualificazione in
termini di terapia". Il problema
dunque c'é, e c'é nella giurisprudenza
e nella risoluzione del contrasto
normativo. Quindi un legislatore quale
é lei, mi rivolgo al Senatore Marino,
dovrebbe davvero fare una legge
speciale che tolga dall'applicazione
generale degli anni '30 la materia del
trattamento sanitario. Concludo sulla
sedazione. Non credo che il problema
della sedazione sia un problema
effettivo; la sedazione é comunque da
parte del medico un mezzo per cui si
allevia il dolore. Se non é idonea a
causare morte, e se anche lo fosse lo
dimostri il pubblico ministero, non c'é
alcuna censura penale! Il diritto di
Piero ad avere una sedazione la più
pesante che sia, la più comatosa ed
artificiale, si usi il termine che si
desidera, é un diritto pieno, e su
questo non si deve assumere
nemmeno un granello di
responsabilità nei confronti di chi
gliela dà.
CARLO FLAMIGNI
Io naturalmente sono qui per un atto di
solidarietà, ma anche di affetto e di
riconoscenza nei confronti di Welby,
perché non so se ci rendiamo conto
tutti che chi decide di richiamare su di
sé i riflettori nel momento in cui deve
prendere queste decisioni fa anche una
rinuncia, che è quella nei confronti
della grande ipocrisia italiana, che
l'eutanasia l'ha sempre fatta ma
silenziosamente, di nascosto, senza
dirlo: nello stesso momento in cui si
accende un riflettore, chi fino al
momento prima era disponibile a farlo,
non la farà più. Quindi si rinuncia a
qualcosa e lo si fa evidentemente non
per sé: lo si fa come atto oblativo, lo si
fa per gli altri e questo mi sembra un
grandissimo gesto; gli dobbiamo
riconoscenza come uomini, come
appartenenti allo stesso tessuto sociale
e noi, che qui siamo prevalentemente
dei laici, siamo contraddistinti
soprattutto da questo forte senso di
solidarietà nei confronti degli altri,
chiaramente anche e soprattutto nei
confronti di chi soffre. Detto questo,
però, io non nascondo il mio
pessimismo. Sono d'accordo con chi
qui si è dimostrato più pessimista dico
una cosa (non voglio assolutamente
offendere nessuno la sottopongo alla
vostra attenzione): penso che certi atti
che noi compiamo per il semplice fatto
che non hanno evidentemente
nessuna rilevanza penale, sono
immuni alla condanna; in realtà sono
semplicemente tralasciati dalla
magistratura, che è una cosa diversa.
Ignorati, tralasciati: è conveniente
ignorarli e tralasciarli. Scusami Marino
(Ignazio Marino, presidente
Commissione Sanità al Senato, ndr), lo
dico soprattutto a te: io ho studiato
endocrinologia in Inghilterra e ho
partecipato in qualche modo a questo
grande pragmatismo anglosassone;
quando parliamo di bioetica con i
nostri colleghi anglosassoni
semplicemente non ci capiscono,
perché non capiscono quale è il peso di
tutte le miricaccole attorno alle quali
noi organizziamo un congresso. Però
questa è l'Italia, è l'Italia e l'Italia è
molto differente. Allora io credo che
qui noi abbiamo sì da risolvere subito
una serie di problemi pratici, ma
abbiamo ancora da affrontare i grandi
problemi teorici che in questo Paese
bisogna per forza da affrontare. Tra
l'altro io sono andato a cercare questi
problemi teorici, sono andato a cercarli
in un fascicolo delle scienze perché
cercavo un articolo di Demetrio Neri
scritto dieci anni fa, nel 1996 (tra l'altro
lo lascerò a voi perché ve ne facciate
fotocopie perché è un bellissimo
articolo sull'eutanasia), ma ho trovato
subito dopo un articolo di Spagnolo,
che è un eminente, intelligente,
sensibile bioeticista cattolico; egli dice
però delle cose che mi hanno molto
agitato perché - diciamo così - critica la
nostra concezione del dolore, dice che
è assurdo e anche maleducato nei
confronti dei cattolici affermare che il
dolore non ha significato, che è
un'affermazione irrispettosa nei
confronti di quelli che al dolore invece
danno un senso e che il dolore è
salvifico, secondo un'interpretazione
molto diffusa. Poi Spagnolo in questo
articolo spiega la sua concezione di
persona e naturalmente dice che la
persona non scompare fino a che non
arriva la morte e prima che arrivi la
morte la persona è presente con tutta
la sua dignità. Alla fine di questo
CASO PIERO WELBY:
IL SEMINARIO
articolo mi sono reso conto che c'era
una cosa che mi disturbava e l'ho
rapidamente focalizzata in questo:
Spagnolo dice la grande differenza che
c'è tra un bioeticista laico e un
bioeticista cattolico; Spagnolo ha
deciso di pensare anche per me. E io
questo lo accetto con grande difficoltà.
Credo che non ci sia niente di
irrispettoso nei confronti del mondo
cattolico se io penso che per alcuni
cittadini il dolore non ha senso, non ha
nessun significato salvifico, anzi mi
pone dei grandissimi problemi nel
momento in cui diventa l'unica attesa
della mia vita. E quello che ho trovato
peculiare è che Spagnolo non si
accorge neppure della difficoltà, dico
quasi dell'impossibilità per una
persona non credente di affidare agli
altri la definizione della propria dignità.
Perché se c'è una cosa che io devo
definire è che cosa penso io che sia la
mia dignità; non la posso lasciare
nemmeno a Corbellini che
probabilmente la pensa come me.
Faccio un altro esempio recentissimo:
ero ad un convegno sul corpo l'altro
giorno e il prof. Mantovani ha parlato
di eutanasia e ha parlato di suicidio e
della richiesta di assistenza al suicidio.
In quella occasione il prof. Mantovani
ha detto una cosa, anche questa
difficile da trangugiare: ha detto che la
maggior parte o la totalità delle
persone che vogliono suicidarsi e
chiedono l'assistenza al suicidio è
gravemente depressa e chi è
gravemente depresso non è ascoltabile,
non è credibile, deve essere pertanto
trattato con tutti i mezzi possibili e i
farmaci gli restituiranno... Io chiedo
veramente il diritto ad essere depresso!
Se sono in un letto di morte non ho
speranza, sono pieno di dolori, vivo
nelle mie feci, la mia dignità se ne sta
andando a catafascio, ma perché non
debbo essere depresso? Credo qui si
abbia la stessa differenza che c'è tra il
complesso di persecuzione ed essere
realmente perseguitato: sono
differenze così evidenti che in qualche
modo mi disturbano. Finisco
abbastanza in rapidità perché avete
detto già moltissime cose sicché le mie
aggiungerebbero ben poco. Io ho fatto
più volte una considerazione molto
semplice su tutto questo, ho detto: io
non sono molto interessato a sapere di
chi è la vita. La vita è un fenomeno
molto diffuso: posso darne delle
definizioni biologiche, ma non è
questo. La vita non appartiene a
nessuno. Io credo di avere il diritto di
ritenere che l'esistenza è la mia e se
l'esistenza è la mia fa parte di questo
diritto anche quello di decidere come
io voglio terminare questa esistenza e
fa parte fondamentale di questo mio
diritto anche di considerarla nei due
momenti fondamentali: iniziale e
finale. E voglio considerarla secondo
due principi: la vita deve darmi una
speranza e la vita deve avere una
qualità. Entrambe le cose si
riconducono al problema della mia
dignità e la dignità è - è difficile darne
una definizione ma - la dignità è
qualcosa come la cenestesi dello
spirito, come il pudore: mi rendo conto
di averlo solo quando lo perdo e
qualcuno lo insidia. Lo stesso vale per
la mia dignità. Io ho visto persone che
si rendevano conto di perdere la
propria dignità e pensavano
continuamente a questo: "Cosa rimane
di me nel ricordo dei miei cari? Qual è
l'ultima cosa che ricorderanno di me?
L'ultima cosa che hanno vista? Questa
cosa oramai senza dignità"... E nel
momento in cui lo pensavano, penso
&
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
che decidessero anche che era forse il
momento di lasciarlo quel corpo. E la
stessa cosa è anche al di là delle
persone per il corpo delle persone: noi
siamo abituati a pensare agli altri come
persone tenendo conto del fatto che
ragionano, si mettono in relazione con
altre persone, sono capaci di
autocritica, soffrono piangono ridono.
Nel momento in cui tutte queste cose
sono tolte la persona non abita più lì,
"il signor Rossi non è più in casa", il
suo corpo ha diritto di non essere
massacrato e disturbato, ha diritto di
essere lasciato in pace. Ecco io credo
che tutti questi siano diritti e che noi
dobbiamo cominciare purtroppo a
ragionare sul piano della teoria,
“Mentre noi ci
aggiriamo in
questo giardino
labirintico delle
ipotesi giuridiche e
della pratica
medica comparata,
qui c’è una persona
che sta morendo e
non può morire”
chiedendo cose semplici: la prima è
che venga restituita la morte alla
malattia, perché gliela stanno togliendo
e non è giusto; la seconda è che si dia,
certo, grande rilievo al dolore, non si
parla altro di questo: le terapie ecc. ma
grandissimo rilievo va dato anche alla
dignità perché la dignità personale può
anche significare questo (lo vediamo
quotidianamente, mi sembra una cosa
di straordinario rilievo): serenamente,
semplicemente rinunciare alla propria
esistenza, possibilmente con l'aiuto
degli altri e sennò da soli. Ma se
qualcuno ritiene di poter assistere alle
mie sofferenze o alla mia perdita di
dignità e di impormi questa perdita di
dignità, io credo che non ho
certamente io la possibilità di fare
qualcosa per impedirglielo. Dichiaro
fin da questo momento che gli assicuro
tutto il mio disprezzo.
LE SCELTE
DELLA POLITICA
FURIO COLOMBO
Penso che chi ci ascolta sarà grato per
questo evento di stamattina. Questo é
un fortino in un territorio di
giurisprudenza disastrato, di pratica
medica incerta e di soloni biomedici
che circondano tutte le attività
ovunque, in compagnia di folle di
teologi sempre pronti ad intervenire. Il
caso drammatico di cui stiamo
parlando corrisponde ad una
situazione rinvenibile in tutto il
mondo, ma il paesaggio di cui dicevo, e
che circonda il caso drammatico, non
corrisponde a ciò che é riscontrabile in
tutto il mondo. Le voci di questo
fortino hanno indicato che uscendo di
qui si trova un labirinto che quasi
dovunque porta a dei vicoli ciechi, a
tremende alternative che sono
praticamente insolubili. Una fortuna
aver potuto ascoltare alcune delle voci
che abbiamo ascoltato questa mattina;
ha detto benissimo l'ultimo oratore che
é una fortuna che Ignazio Marino sia
17
ma anche per Welby.
Furio Colombo
l'uomo giusto al posto giusto. E' questa
Associazione Luca Coscioni che ha
creato una insopportabile distonia tra
la serenità mindless della vita italiana e
situazioni drammatiche come queste
che si preferisce ignorare. Welby ci sta
ascoltando ed ha posto la domanda,
cercando una risposta. Bisogna essere
utili; abbiamo parlato di seminario, ma
se dovessimo raccontarlo a degli
Americani, questa é una riunione di
amici ed esseri umani preoccupati
intorno al letto di una persona che ha
posto la domanda che Welby ha posto.
Non possiamo rimanere ai casi di
scuola ed alle rappresentazioni astratte
del seminario, deve anche trascendere
dal livello delle prese di posizione
teoriche al letto di Welby. Noi abbiamo
detto molte cose importanti su come
difendere medici e giuristi, ma ora
siamo dalla parte del paziente; da qui
deve venire una risposta. Io mi scuso
con coloro che parleranno dopo di me
perché non sarò ad ascoltarli. Io
continuerò ad ascoltare da Radio
Radicale; Welby invece - pensavo - non
se ne può andare. Guardavo lo scorrere
dei minuti nella mattina e pensavo che
cos'é ognuno di quei minuti per Welby.
Ogni minuto che passa ha un peso
sconfinato ed incommensurabile,
mentre noi ci aggiriamo in questo
giardino labirintico delle ipotesi
giuridiche e della pratica medica
comparata, qui c'é una persona che
allo stesso tempo sta morendo e non
può morire, e alla quale siamo costretti
- proprio per la essenza stessa di questa
associazione così difforme dalla
omologazione delle altre strutture
politiche e sociali del paese - a dare
una risposta. Io quello che chiedo é che
ci ricordiamo di essere intorno al
capezzale di Welby, siamo qui per
rispondere ad una domanda e siamo
qui per difendere Welby, prima ancora
che i medici, gli avvocati o i giudici. In
un paese che tende a inventarsi degli
altri drammi, ma che quelli veri della
vita di tutti i giorni non li vuole
condividere, questo dibattito é stato di
una qualità educativa altissima; ora
dobbiamo muoverci verso qualcosa
che sia un beneficio non solo per noi,
ANTONIO PARAVIA
Ero venuto per ascoltare più che
parlare e quindi sarò telegrafico. Tra i
tantissimi dubbi che ho e le molte
certezze, ci sono due profonde
convinzioni: la prima riguarda
l'eutanasia, la seconda la libertà di
ricerca. Ecco perché faccio parte
dell'Associazione Luca Coscioni, ho
una posizione netta e precisa,
favorevole ad entrambe le
problematiche. Questo mi nasce da
esperienze personali, familiari e
amicali che mi hanno toccato e che mi
hanno spinto a pensarla in questo
modo. Sarò quindi disponibile
nell'ambito del mio ruolo di
parlamentare, di membro del Senato a
dare come ho già fatto in precedenza,
quando sono state votate le mozioni
sulle cellule staminali - dove mi sono
astenuto sulla mozione presentata dal
mio gruppo politico - e ho votato
contro quella che mi sembrava
comunque un compromesso
assolutamente insufficiente. Chiarita
questa posizione qualche giorno fa ho
assunto un'iniziativa che credo forse
vada coltivata perché all'appello di
Piergiorgio Welby non è che deve esser
data una sola risposta da parte del
Presidente della Repubblica, ma
devono essere date molte risposte,
innanzitutto ovviamente da parte di
noi parlamentari. Io personalmente
non è che abbia grande fiducia in gran
parte della magistratura, credo
pertanto che siano necessari degli
interventi legislativi per risolvere la
materia e non per lasciarla al buon
cuore del PM o ad altri. E quindi
chiudo l'intervento dicendo che
qualche giorno fa ho preso
un'iniziativa forse irriverente facendo
un comunicato stampa e chiedendo
"Eutanasia per i senatori a vita". Cosa
volevo dire? Spiego un attimo
soprattutto agli ascoltatori che non
potendomi vedere potrebbero
rimanere perplessi rispetto a questa
mia affermazione. In realtà il
comunicato stampa diceva "Eutanasia
per i senatori a vita" perché era in
risposta ad una presa di posizione sul
Mattino dell'ex Presidente della
Repubblica Cossiga, che diceva che i
senatori a vita avrebbero votato la
Finanziaria. A me sta bene che i
senatori a vita vengano a votare: io li
vorrei vedere un po' più spesso perché
sono quasi tutti assenteisti tranne
Andreotti e talvolta Colombo. Credo
che le persone che hanno un ruolo
particolare nel Paese - perché i
senatori a vita sono, a parte quelli di
nomina, anche gli ex Presidenti della
Repubblica - abbiano meno limiti di
quelli che ha il Presidente Napolitano
e debbano dire come la pensano,
devono frequentare di più il
Parlamento e esprimersi soprattutto
su temi che riguardano anche la
morale come in questo caso e quindi
ho fatto questa provocazione che è
stata raccolta solo dal Presidente
Cossiga che ha risposto con una
lettera scritta di pugno ieri mattina
con la quale ha detto solo: "Io
obbedisco alla Chiesa cattolica". Io di
tutti quelli che dicono "obbedisco" ho
un po' di paura.
Il seminario è
integralmente riascoltabile
in audio-video su
www.lucacoscioni.it
LA
STORIA
18
&
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
EMILIO VESCE:
UN CALVARIO DI STATO
22/4/1989 Emilio Vesce al 35°
Congresso del Pr.
Emilio Vesce, leader storico di Autonomia Operaia ed esponente
radicale eletto in Parlamento nel 1987, è morto il 12 maggio
2001 dopo sei lunghi mesi di coma irreversibile. Sua moglie
Gabriella ricostruisce quel calvario.
osservazione in reparto Cardiologia. Non so, potrei
annoverarlo come un comportamento di
“superficialità e inadeguata attenzione terapeutica”?
L’8 novembre stavamo guardando alla televisione
l’andamento delle elezioni americane. Verso l’una
io vado a dormire, mio figlio Auri mi segue poco
C
on il senno di poi mi sono chiesta se un
breve ricovero avrebbe potuto evitare il
disastroso infarto dell’8 novembre 2000.
Non so. Il 3 novembre Emilio si lamentava
di un dolore alla spalla e al braccio destro. Su
consiglio della nostra dottoressa, ci siamo recati dal
cardiologo che lo seguiva dal 1992, anno in cui
aveva avuto un primo infarto, per la riabilitazione
cardiaca. Dopo una visita ed un
elettrocardiogramma, il cardiologo, non del tutto
tranquillo, telefona lui stesso al Pronto Soccorso,
dicendo che avrebbe inviato un suo paziente. Dal
Pronto Soccorso, dopo tre ore circa, Emilio viene
dimesso con una diagnosi di probabile dolore
intercostale, niente di sospetto a livello cardiaco.
Per un analogo dolore al braccio destro Emilio, nel
1998, era stato ricoverato per qualche giorno in
Accendo tutte le luci, apro la porta di casa, continuo a
chiamarlo e a tentare di svegliarlo, corro a svegliare mio
figlio Auri, e tutti e due continuiamo a chiamarlo, ma
Emilio smette di respirare. Auri ascolta il cuore: non
batte più
dopo. Verso le due mi sveglio e sento Emilio
“russare”. Mi alzo per dirgli di coricarsi, ma non
riesco a svegliarlo, russa e borbotta. Lo chiamo
urlando, lo scuoto, niente. Presa dal panico telefono
al 118. Spiego la situazione e li avverto che Emilio
ha avuto un infarto nel ‘92. Intanto accendo tutte le
luci, apro la porta di casa, continuo a chiamarlo e a
tentare di svegliarlo, corro a svegliare Auri, e tutti e
due continuiamo a chiamarlo, ma Emilio smette di
respirare. Auri ascolta il cuore: non batte più. In
quel momento arriva l’ambulanza. Credo dopo
pochi minuti, visto che abitiamo vicinissimo
all’ospedale. Immediatamente aiutiamo il personale
dell’ambulanza a stendere Emilio per terra. Iniziano
il massaggio cardiaco e ci invitano ad allontanarci.
Andiamo nella mia stanza, ma comunque vediamo
e sentiamo tutto. Massaggio cardiaco, defibrillatore,
flebo, ancora massaggio cardiaco. Dopo un po’
arriva una seconda ambulanza. I minuti passavano,
e l’unica mia, nostra, speranza era che lo portassero
in ospedale. Finalmente lo caricano su una barella e
lo portano fuori ma, appena usciti, tornano dentro
immediatamente e rincominciano a rianimarlo:
massaggio cardiaco, defibrillatore. Dopo pochi
minuti decidono di trasportarlo all’ospedale e ci
dicono di seguirli con la nostra auto. Sono le
quattro e mezza circa. Aspettiamo. Siamo soli,
davanti al Pronto Soccorso, Area Rossa. Verso le
cinque esce un medico e ci dice che le condizioni di
Emilio sono molto critiche, gravissime, per l’infarto,
e soprattutto per i danni cerebrali, la cui gravità non
è immediatamente accertabile. E’ in stato di coma
farmacologico. Ci invita inoltre ad andare a casa,
perché non si poteva fare nulla di più, e a tornare
verso le otto, quando si sarebbe liberato un letto
all’Unità Coronaria. Torniamo a casa e avvertiamo
mio figlio Emiliano, che abita a Bologna. Alle otto
ritorniamo al Pronto Soccorso insieme ad una mia
amica medico, Emiliano e Alessandra. Il medico del
Pronto Soccorso ci informa che le condizioni di
Emilio sono peggiorate, sono gravissime, di
I PROGETTI CHE QUELLA NOTTE HA
IRRIMEDIABILMENTE SPEZZATO
N
el 2000 Emilio si
trovava ad affrontare
una nuova situazione:
sarebbe andato in
pensione a settembre. Era
felice e allo stesso tempo
dispiaciuto perché
abbandonava una parte
importante della sua vita, la
scuola. Era presidente
dell’Authority per le radio e le
telecomunicazioni della
Regione Veneto, incarico che
aveva sempre svolto con
impegno. Emilio aveva
dedicato alla libertà di
informazione gran parte della
sua vita, fin dal 1968, anno in
cui uscì il giornale “Operai e
studenti”, da lui pensato
creato e stampato. Era
impegnato nella politica
radicale come fondatore e
responsabile di Nessuno
Tocchi Caino del Veneto.
Come volontario continuava
a lavorare al Tg Due Palazzi
(un telegiornale nato nel 1998
con l’appoggio dell’allora
direttore del carcere, dr.
radicale, a trasmissioni
televisive locali, che
trattavano delle battaglie per i
diritti umani e la giustizia, le
“cosiddette battaglie difficili”:
Stavamo pensando al nostro
futuro da “pensionati” liberi.
Cantone, e in collaborazione
con l’associazione Art Rock
Cafè e Triveneta. L’intento era
quello di spalancare una
finestra sul carcere,
sull’istituzione più chiusa e
disumana di questo nostro
paese e di dare la possibilità
ai detenuti di imparare un
lavoro come quello di
giornalista, operatore,
redattore. Spesso era
chiamato a partecipare come
ospite, in veste di esponente
droga, carcere, pena di morte,
salute, violazione dei diritti
umani. Per passione si era
inventato programmi
televisivi di approfondimento
politico che curava
personalmente e
gratuitamente, come
“Conosci i tuoi
rappresentanti” o
trasmissioni dove sindaco,
consiglieri, amministratori e
cittadini si confrontavano
direttamente. Ha curato
programmi sulla violazione
dei diritti umani,
sull’Afghanistan, sull’Algeria,
sul Tribunale Penale
Internazionale e su altro
ancora e di cui conservo le
registrazioni. In quel periodo
stavamo progettando il
nostro futuro da “pensionati
liberi”. Emilio aveva già
presentato le sue dimissioni,
accolte con gran rammarico
da tutti, dalla presidenza
dell’Authority della Regione,
dimissioni che sarebbero
divenute effettive alla
scadenza del mandato, per
potersi dedicare liberamente
all’informazione. Dopo la sua
morte, la Regione Veneto ha
istituito il Premio annuale
Emilio Vesce, per il
pluralismo e la qualità
dell’informazione radio
televisiva e cartacea. Emilio
stava anche progettando, e
già ci lavoravamo insieme, un
quotidiano online che si
sarebbe dovuto chiamare
“Fatti!”. Desiderava rientrare
attivamente in politica con i
radicali. Per giorni io e lui ne
avevamo parlato ma poi, per
timore di essere sottoposto a
troppo stress, dopo l’infarto
del ’92, aveva deciso di
occuparsi principalmente
dell’associazione radicale
Nessuno Tocchi Caino, di
curare e far crescere il Tg Due
Palazzi, di continuare le
collaborazioni giornalistiche
e televisive, di andare in
barca, di girare il mondo,
anche con il nostro camper.
Desiderava andare in
Argentina, finalmente, magari
con i nostri figli, a trovare il
fratello emigrato laggiù negli
anni ’50, per conoscere
personalmente tutti i suoi
nipoti.
LA
STORIA
.
“Eravamo sempre
presenti e facevamo
tante domande per
capire, per sapere,
per sperare”
aspettare lì per il ricovero all’Ucic. Dopo
qualche ora un medico, sempre del
Pronto Soccorso, c’informa che hanno
deciso di ricoverarlo in Rianimazione,
ma che lì a Padova non c’è posto e
quindi di aspettare perché avrebbero
telefonato nei vari Ospedali della
Provincia. Dopo poco tempo ci
avvertono che lo ricoverano al Reparto
di Rianimazione di Este. Le condizioni di
Emilio rimanevano gravissime. Verso le
tre del pomeriggio, mentre già lo stavano
trasferendo ad Este, decidono, per
intercessione di un amico cardiologo, di
ricoverarlo a Padova, all’Ucic.Il reparto lo
Stanza numero 9: monitoraggio video di
cuore, polso e pressione, apparecchio per la
respirazione automatica, tubi, sondini, fili
che finiscono tutti nel corpo di Emilio
conoscevo perché Emilio vi era stato
ricoverato qualche giorno dopo l’infarto
avuto nel 1992. Aspettiamo in sala
d’attesa e dopo poco ci fanno entrare:
stanza numero 9, monitoraggio video
di cuore, pressione, polso,
apparecchio per la
.
&
“Ci eravamo
promessi
reciprocamente che,
se mai ci fossimo
trovati in una
situazione del genere,
ci saremmo “dati la
morte” a vicenda. Ma
non sono riuscita a
rispettare la sua
volontà”
.
respirazione automatica, tubi, sondini,
fili che finiscono tutti nel corpo di
Emilio, in coma. Tutti e tre ci
avviciniamo, lo accarezziamo e gli
teniamo le mani, attentissimi a non
spostare e toccare i fili. Guardiamo i
grafici, tentiamo di capire come
funzionano, ogni paziente è monitorato
e collegato ad un unico monitor
centralizzato, in modo che un qualsiasi
allarme sia immediatamente segnalato
al personale medico. I medici di guardia
che si alternavano mi chiedevano di
continuo quanti minuti erano passati
dall’arresto respiratorio al soccorso del
118. Un tormentone, mi sembrava che
dalla mia risposta potesse dipendere la
salvezza di Emilio, ma non mi ricordavo
esattamente: cinque, sette, dieci minuti,
lunghissimi per noi, ma erano pochi
minuti. Eravamo sempre presenti, negli
orari di visita, tre volte al giorno, e
quotidianamente chiedevamo al medico
di turno come andava, cosa si stava
facendo, come Emilio aveva passato la
notte, gli esiti
dell’elettroencefalogramma, insomma
facevamo tante domande per capire, per
sapere, per sperare. Il 14 novembre, il
medico di turno c’informa che
l’elettrocardiogramma e la TAC appaiono
peggiorati. Ci dice che il neurologo ha
richiesto un’altra TAC e un altro
elettrocardiogramma, che ci vuole
pazienza, che sono cose lunghe. Solo
dopo, analizzando la cartella clinica,
abbiamo appurato quale fosse l’esito
della TAC e dell’elettrocardiogramma:
Emilio era «decerebrato», per sempre, le
cellule encefaliche erano morte, la fine. I
medici c’informano che faranno dei
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
“Nulla c’era da
guarire e curare,
potevo solo amarlo,
accarezzarlo,
sperare che questa
lunghissima agonia
terminasse”
tentativi per staccarlo dal respiratore,
tentativi che non riescono e il 16
novembre decidono che è necessario
praticare la tracheotomia, avvertendoci
solo poco prima di portarlo in sala
operatoria. Ci fanno firmare il consenso
il giorno dopo. Sempre dall’esame della
cartella clinica scopriamo che la visita
La TAC e l'ECG erano chiari: Emilio era
"decerebrato", per sempre, le cellule
encefaliche erano morte. Era la fine
neurologica e l’elettroencefalogramma
evidenziano pupille miotiche e attività
elettrica minima di origine cerebrale alle
massime amplificazioni, dopo
somministrazione di stimoli acustici e
dolorosi. Intanto Emilio aveva la febbre
alta da qualche giorno causata da
un’infezione da streptococco. Dopo due
antibiogrammi, e la consulenza
dell’infettivologo, gli somministrano
l’antibiotico specifico e l’infezione viene
curata. Fino a quel momento Emilio era
nutrito con un sondino nasogastrico. Ci
avvertono che è molto più comodo
praticare la PEG (Gastrostomia
Endoscopica
Enzo Tortora ed Emilio Vesce.
19
Codice di deontologia
dei medici 1998
Art. 14: Il medico deve
astenersi
nell’ostinazione in
trattamenti da cui non
si possa fondatamente
attendere un beneficio
per la salute del malato
e/o un miglioramento
della qualità della vita.
Art. 32: Il medico non
deve intraprendere
attività diagnostica e/o
terapeutica senza
l’acquisizione del
consenso informato del
paziente
Art. 34: Il medico deve
attenersi, nel rispetto
della dignità, della
libertà e
dell’indipendenza
professionale, alla
volontà di curarsi,
liberamente espressa
dalla persona. Il
medico, se il paziente
non è in grado di
esprimere la propria
volontà, in caso di grave
pericolo di vita, non
può NON tener conto di
quanto
precedentemente
manifestato dallo
stesso.
Convenzione per la
protezione dei Diritti
dell’Uomo e della
dignità dell’essere
umano nei confronti
dell’applicazioni della
biologia e della
medicina: Convenzione
sui Diritti dell'Uomo e
la biomedicina - 4
Aprile 1997
Art. 9 (divenuta legge
dello Stato, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale
il 4 aprile del 2001):
"Nessun intervento in
campo sanitario può
essere effettuato se non
dopo che la persona a
cui esso è diretto vi
abbia dato un consenso
libero e informato.
Questa persona riceve
preventivamente
un'informazione
adeguata riguardo sia
allo scopo e alla natura
dell'intervento che alle
sue conseguenze e ai
suoi rischi. La persona a
cui è diretto l'intervento
può in ogni momento
ritirare liberamente il
proprio consenso".
Convenzione di Oviedo
dove all'art. 9, titolato
"desideri espressi in
precedenza", si dice che
"al riguardo di un
intervento concernente
un paziente che al
momento
dell'intervento non è in
grado di esprimere il
proprio volere, devono
essere presi in
considerazione i
desideri da lui
precedentemente
espressi" .
20
LA
STORIA
+
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
• EMILIO VESCE
Solo il 30 novembre i medici ci hanno informati
adeguatamente sulla terribile prognosi riguardante le
condizioni di Emilio, già accertate fin dal 14
Percutanea), che allora non sapevamo nemmeno
cosa volesse dire. In ogni modo, senza avvertirci e
senza farci mai firmare alcun consenso, il 27
novembre Emilio è portato in sala operatoria
perché gli venga inserito nello stomaco il tubo per
la nutrizione permanente. Il 30 novembre veniamo
informati che verrà trasferito al Reparto Speciale
Comi dell’Ospedale Geriatico e di attivarci anche
noi per trovare il posto letto. Ma dovevamo stare
32° Congresso del PR. Tribuna della Presidenza. Fila dietro,
da sinistra: Lorenzo Strick Lievers, Massimo Teodori, Mauro
Mellini, Emilio Vesce, Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia.
Fila davanti: Giovanni Negri, Maria Teresa Di Lascia, Adelaide
Aglietta.
tranquilli perché non lo avrebbero dimesso prima
del trasferimento. Grazie all’interessamento, sia
dell’ospedale che di nostri amici medici, il 5
dicembre è stato trovato il posto letto. A quel punto
chiediamo un appuntamento con il neurologo, per
capire esattamente la diagnosi e la prognosi, per
capire se c’erano speranze e quali. Il neurologo ci
ha ricevuto nel suo studio e ci ha detto: «
Purtroppo l’Emilio che voi conoscevate non c’è più
e non ci sarà più. Il suo stato equivale alla morte
cerebrale, allo stato vegetativo permanente, non
credete alle cose che si vedono nei film, ma non
Emilio Vesce è nato nel 1939 a Cairano (Avellino). Laureato in Filosofia diventa leader
storico di Autonomia Operaia. Nel 1979 viene arrestato insieme ad Antonio Negri e ad
Oreste Scalzone con l’accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Verrà
assolto dopo 5 anni e 5 mesi di carcere speciale.
Nel 1987 viene eletto parlamentare nelle liste del Partito Radicale.
Tra i fondatori della lista Verdi Arcobaleno nel 1989, l’anno successivo è eletto al
Consiglio Regionale del Veneto come esponente della lista Antiproibizionista.
Nel 1992 diviene membro del Consiglio Generale del Movimento dei Club Pannella.
Eletto membro del Consiglio Generale al Congresso del Partito Radicale del 1993, dopo
l’inizio della guerra nell’ex-Yugoslavia compie diversi viaggi in Croazia per denunciare
la violazione dei diritti civili e organizzare aiuti umanitari.
Partecipa alla fondazione dell’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino (1993) e alla
campagna per l’abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000. Nel 1994
diventa Assessore per le Politiche Sociali della regione Veneto. Partecipa attivamente
alla campagna radicale per l’istituzione del Tribunale Internazionale per i crimini di
guerra.
Nel novembre del 2000 Emilio Vesce ha un attacco cardiaco. Muore il 12 maggio 2001 a
Padova dopo sei mesi di coma irreversibile.
smettete di chiamarlo». Quindi solo il 30 novembre
i medici ci hanno dato un’informazione adeguata
ed esatta sulla terribile prognosi riguardante le
condizioni di Emilio, già accertate - dopo
l’emergenza - fin dal 14 novembre, sia
strumentalmente che con le consulenze
neurologiche. I medici hanno praticato tutte le cure
e le manovre necessarie per poterlo trasferire in un
reparto Comi, per sempre. Mi ricordo ancora la
telefonata con Marco Pannella del 30 novembre in
cui disperata lo avvertivo che non c’era più niente
da fare: morte cerebrale, lo trasferiscono in un
reparto Comi. Il Reparto speciale Comi
dell’Ospedale Geriatrico, sezione del Reparto di
Lungodegenza, per noi è stato un incubo. Se non ci
fossero state le mogli, le figlie, i figli, delle altre
persone in Stato Vegetativo Permanente non
avremmo potuto sopportare tutte le situazioni e le
umiliazioni incredibili che ci siamo trovati di fronte.
Appena arrivati, letto numero 10, abbiamo chiesto
al primario se la medicina avrebbe potuto fare
qualcosa per Emilio. Alla risposta negativa abbiamo
immediatamente chiesto di portarlo a casa, come
desiderava Emilio, morire a casa. Non è stato
semplice, e ora, con il senno di poi, avrei dovuto
firmare immediatamente - ed era un mio diritto per la dimissione. Ma in quel momento non sapevo
come fare, con tutti i tubi per respirare, mangiare,
urinare, e anche con le piaghe da decubito che si
erano formate all’Ucic. Allora ho chiesto la
“dimissione protetta”, vale a dire la cura domiciliare.
Sulla nostra permanenza in questo reparto ho
presentato una relazione assieme ad altri familiari
al Convegno Regionale, “Sulla soglia dell’incertezza:
decisioni ai confini della vita” del 22-23 novembre
2002, ed anche un esposto alla Procura per
Ascolta “Il maratoneta”,
trasmissione dell'Associazione
Luca Coscioni in diretta su Radio
Radicale ogni sabato dalle
14,30 alle 15,30. La
trasmissione, curata da Mirella
Parachini e Luigi Montevecchi,
oltre a trattare e approfondire i
temi dell’attualità politica sui temi
della biotica e della ricerca,
informa sulle attività
dell’associazione stessa.
La malattia è un meccanismo perverso. Continuavo ad
accanirmi per impedire che il corpo di Emilio si
disfacesse, pur sapendo perfettamente che lui era
morto e tradendo così la promessa che gli avevo fatto
“maltrattamenti d’incapace”. Il 10 gennaio, Emilio
viene finalmente dimesso e trasferito a casa, con
l’ausilio dell’Assistenza Domiciliare Integrata. A
casa ho preparato la nostra stanza con il letto e il
materasso antidecubito fornitomi dall’ADI per
Emilio, un letto per me, la televisione, un hi-fi e un
sacco di foto, le sue pipe, la sua raccolta di penne
stilografiche, sulla finestra delle piantine di primule,
e poi un tavolino e delle sedie per il nostro medico
curante, per me e per l’infermiere dell’ADI, che
doveva giornalmente redigere una scheda. Poi,
accanto al letto di Emilio, ho messo un altro tavolo
per appoggiare l’aspiratore e tutti i farmaci, garze,
pinze, alcol, cotone, amuchina, siringhe per pulire
la PEG, bottiglie d’acqua e di “pappe”, sondini per
aspirazione. E sono entrata in un tunnel di follia.
Avrei dovuto rispettare la volontà di Emilio, che a
me aveva chiesto di “dargli la morte”, se mai si fosse
trovato in una situazione del genere (veramente ci
“Il maratoneta” è oggi scaricabile
anche in podcasting o
riascoltabile in streaming. Tutte le
informazioni su radioradicale.it e
lucacoscioni.it
LA
STORIA
eravamo fatti a vicenda questa promessa). Avrei
potuto mantenere questo patto, in silenzio, senza
che nessuno lo venisse a sapere. In ogni casa ci
sono mille medicinali, di tutti i tipi, che avrei potuto
usare. Ero diventata padrona non solo della sua
vita, ma anche della sua morte. Terribile. Purtroppo
non ci sono riuscita. La malattia è un meccanismo
perverso e proprio io continuavo atrocemente ad
accanirmi per impedire che il corpo di Emilio si
disfacesse, davanti ai miei occhi, cosciente di non
poterlo impedire, sapendo perfettamente che
Emilio era morto, violando i suoi desideri e
soprattutto tradendolo nella promessa che gli avevo
fatto Mi odiavo per la violenza quotidiana che gli
facevo, mi sentivo in colpa per essermi svegliata la
Il pensiero mi portava al giorno del nostro matrimonio,
il 10 maggio 1968. Uno strano matrimonio: pochissimi
parenti, pochi amici, senza abiti da cerimonia, in
municipio e anche un po' di corsa, perché c'era
un'importante assemblea studentesca a Magistero
notte dell’8 novembre: se non mi fossi svegliata, se
non avessi chiamato subito il 118? Sono stata
capace solo di “rispettare”, senza in realtà riuscirci,
quel suo povero corpo, ma non la sua volontà. Il
mio medico ha ordinato di somministrare
esclusivamente farmaci che impedissero il
rattrappimento, il soffocamento, le crisi epilettiche,
il singhiozzo, le clonie (scosse violente), il vomito
continuo, l’otturazione del catetere, perché nulla
c’era da guarire e curare, potevo solo amarlo,
accarezzarlo, sperare che questa lunghissima
agonia terminasse. Le crisi cardiache, la tachicardia,
l’ipertensione, l’ipersudorazione, le clonie, il
singhiozzo, il vomito si ripetevano ormai con
frequenza sempre maggiore, sempre in
concomitanza con la nutrizione. Diluivo il pappone
con acqua, e glielo davo lentissimamente; ma non
serviva a nulla, andava sempre peggio, e allora gli
somministravo camomilla e succo di prugne, poi
solo acqua. Ai primi di maggio le crisi cardiache si
fanno sempre più frequenti, la febbre sale e
ricomincia il singhiozzo. Sospendo l’alimentazione,
un’inutile tortura. Emilio non ha più il singhiozzo,
le clonie, la tosse, ma ha la febbre. Mi sembrava che
il suo corpo si stesse rilassando, non teneva più gli
occhi immobili e spalancati 24 ore su 24 (dovevo
continuamente umidificarli con il collirio che io
chiamavo “le lacrime artificiali” e mettergli un
fazzoletto durante la notte). Mi sembrava
impossibile di non dover aspirare, di non sentire il
singhiozzo, di non dover cambiare le lenzuola
fradice di sudore. La notte tra il 10 e l’11 maggio era
LA
BATTAGLIA
DI
GABRIELLA
IN NOME DI
EMILIO
:
POSSO MORIRE
SENZA SOFFRIRE?
21
MA MIGLIAIA DI ALTRI CORPI RESTANO
SEQUESTRATI
Marco Pannella, 12 Maggio 2001
Il corpo che fu di Emilio Vesce, forte e dolcissimo compagno e amico, è ora reso
all’umanità; al suo nome, a quanti amò e lo amarono, a Gabriella, a Auri, a Emiliano. Ma in
Italia migliaia di altri corpi restano barbaramente sequestrati, privati di vita e di morte.
Renderli all’umanità è obbligo; urgenza anche civile. O – se così non fosse - davvero la pietà
sarebbe morta in ciascuno di noi sulla terra italiana.
A sproposito si è parlato di un problema di eutanasia, o no. Si trattava, invece, di una sorta
di millantato accanimento terapeutico che nessuna legge può invece autorizzare, perché
nessuna legge può prevedere il dilagare della barbarie per la quale in questo momento
migliaia di corpi sono profanati, torturati, offendendo la vita dei viventi, imponendo loro
atroci sentimenti e condizioni di vita.
Di terapeutico non v’era assolutamente nulla. Non v’era assolutamente nulla da curare, da
lenire, da mantenere in vita; solamente alcuni organi da mantenere in funzione.
Dal corpo di Emilio, dalla vita di questo nostro compagno tanto vita comune, sale un
annuncio: lotteremo perché situazioni, barbarie come questa che la famiglia e noi abbiamo
denunciato, sia sconfitta: e ce la faremo. Con il 4% o no. Anche se dovessimo, al solito, fare i
conti con il 100% del potere italiano, regno degli ingiusti.
come rilassato. Sono rimasta accanto a lui a fargli le
spugnature di acqua fredda sulla fronte, ad
accarezzarlo e il pensiero mi portava a ricordare il
nostro matrimonio, il 10 maggio del 1968. Uno
strano matrimonio, pochissimi parenti, pochi
amici, senza abiti da cerimonia, in municipio, e
anche un po’ di corsa, perché c’era un’importante
assemblea studentesca a Magistero. Mi veniva da
ridere…strano matrimonio… l’unica elegantina ero
io (a parte Emilio, che era sempre elegantissimo).
Mia mamma voleva costringermi a togliermi i jeans
e mi impediva di uscire in bicicletta, mettendosi
letteralmente col corpo davanti alla porta.
Durante quei mesi ero continuamente in contatto con
Marco Pannella, un vero, grande e tenerissimo amico
che mi ha permesso di trasformare l'atrocità della
morte di Emilio in una battaglia politica per il diritto
alla vita e alla libertà di tutti
Per Emilio, per la nostra vita condivisa, ho portato e continuo a
portare avanti, con i miei figli,
con i radicali, con Marco
Pannella, Olivier Dupuis, Marco
Cappato, con Emma Bonino,
con Luca Coscioni e sua moglie
Maria Antonietta, con tutti, con
Exit, la battaglia contro l’accanimento terapeutico e la depenalizzazione
dell’eutanasia.
Durante quei mesi ero continuamente in contatto con Marco
Pannella, un vero, grande e tenerissimo amico, che mi ha permesso di trasformare l’atrocità
della morte di Emilio in una battaglia politica per il diritto alla vita, alla libertà, al rispetto dei diritti di tutti noi. Con Emma e Luca e
molti altri, ho partecipato al grande Sathyagraha, nella durissima
campagna elettorale, per difendere con amore, passione, i diritti negati di Emilio e di tutti noi.
Dopo la morte di Emilio abbiamo presentato un esposto per lesioni volontarie, violenza privata
e maltrattamenti d’incapace.
Con la motivazione che i medici,
quando hanno praticato le due
operazioni per consentirgli di respirare e di alimentarlo, essendo
allora Emilio una persona decerebrata, sapevano già che queste
loro “ferite” non avrebbero provocato nessun miglioramento,
ma anzi un sicuro peggioramento: piaghe, e altre patologie, come
è successo. Come per Eluana
Englaro, non c’è ragione che tenga, i giudici se ne lavano completamente le mani. Il caso è stato
archiviato, vale a dire che c’è stata una sentenza di non luogo a
procedere, non ravvisando nessun tipo di reato. Ma non è stata
fatta nessuna indagine, non si è
sentito nessun testimone. I giudici hanno esaminato esclusivamente le carte che noi abbiamo
fornito loro. Dapprima il Giudice
Inquirente, la dottoressa Canova,
aveva chiesto una perizia-consulenza di parte al professor
Marigo, che, dopo mesi, ha con-
Insomma, una tragedia: per colpa sua potevo
arrivare tardi al mio matrimonio, ma non volevo
cambiarmi e mettermi il vestitino color celeste
confetto fatto fare dalla sarta per il matrimonio di
mia sorella. Eravamo allo scontro frontale, quando
è suonato il campanello. Mia mamma si è scostata
dalla porta per aprire e io pensavo di approfittarne
per uscire, ma ci troviamo davanti Emilio: era
venuto a prendermi! Bello, sorridente, elegante,
come al solito! Subito mia madre e lui si sono
alleati, e mi hanno costretta a mettermi il vestito
celeste confetto. Emilio continuava a dirmi: “Ma
che t’importa? Falla contenta! In fondo ha le sue
ragioni”. La mattina dell’11 maggio, arrivano da
Firenze due nostre carissime amiche, Lucia e Maria.
Alessandro ed io decidiamo di non disturbarlo. Poi
viene il nostro medico e Stefano, l’infermiere
dell’ADI. Emilio è sempre più debole. Auri ed
Emiliano sono sempre con me, vicino ad Emilio. Lo
accarezziamo, le mani, la fronte. Non ci siamo mai
spostati dal suo letto e, non mi ricordo bene, ma un
po’ alla volta la stanza si è riempita di amici e di
parenti. Tantissimi. Emiliano, Auri ed io, fino
all’ultimo batter di ciglia abbiamo continuato ad
accarezzarlo e a tenerci per mano. Alle sette e
mezza è finito il suo e il nostro calvario.
cluso che i medici si erano comportati secondo i protocolli, le cure erano state adeguate, ed
Emilio non aveva mai espresso la
volontà di non essere soccorso!
La stessa GI ci ha invitati a fornire
una controperizia, perché altrimenti sarebbe stata costretta ad
archiviare. Abbiamo fornito la
controperizia redatta dal gentilissimo prof. Barni, che ovviamente confutava la perizia del professor Marigo, punto per punto.
Dopo qualche mese la dottoressa Canova ha comunque archiviato il caso, con la motivazione
dell’”indisponibilità della vita”.
Non servivano né testimoni né
testamenti, nulla. Abbiamo fatto
ricorso alla Procura Generale.
Presentato una memoria, facendo presente che nessuna indagine era stata compiuta, nessun testimone ascoltato. La procura generale ha chiesto anch'essa l’archiviazione con la motivazione
"dell’indisponibilità della vita ".
Io pensavo, ed ero già d’accordo
con il mio avvocato, che se si fosse andati al processo, avrei chiesto che Exit e/o il Partito Radicale
si costituissero parte civile con
noi familiari, come abbiamo fatto con i gruppi femministi nei
processi per violenza alle donne.
Questo avrebbe potuto far sì che
il Parlamento Italiano finalmente legiferasse su questa materia.
Un risarcimento? L’unico sarebbe che in Italia si legiferasse
quanto prima per istituire, come
nostro diritto, il Testamento
Biologico. Per quanto riguarda il
risarcimento pecuniario, credo
sia impossibile quantificarlo.
Magari si potesse risarcire in
qualche modo il dolore, la disperazione, la follia, la malattia che
provano i familiari delle persone
in SVP. Pensate ai genitori di
Eluana: quale risarcimento per
queste due persone distrutte dal
dolore che non si arrendono di
fronte all’inciviltà e all’ingiustizia
italiana?
22
L’INIZIATIVA
L’APPELLO DI LANDOLFI
RADDRIZZARE
LA BARCA E RIPARTIRE
Ridiamo subito fiducia e speranza a
quanti come Biagio Di Giovanni, in
Italia, hanno scommesso sulla Rosa
nel Pugno.
Biagio De Giovanni ha ragione: la
cultura della sinistra socialista,
liberale, laica e radicale era ed è
rimasta minoritaria all’interno
dell’Unione e scarsamente presente
nelle scelte complessive del suo
Governo.
Ma è proprio da questa situazione
che nasce la Rosa nel Pugno: nuovo
partito, in prospettiva, ma nuovo
progetto e nuovo modo di fare
politica, qui ed oggi.
C’è, e rimane, un grande vuoto da
riempire, un’attesa da soddisfare,
una domanda di iniziativa e di
partecipazione
politica
cui
rispondere.
Per Boselli e Pannella, per noi tutti, è
una chiamata in causa; un richiamo
alle nostre responsabilità. Non
possiamo, da una parte, affermare
costantemente l’importanza del
progetto e, quindi, la necessità di
andare avanti e rimanere, nel
contempo, paralizzati dalle nostre
dispute interne senza esprimere
una sola iniziativa politica comune;
“andare avanti” in questo modo ci
porterebbe, ben presto, alla
bancarotta e prima ancora di avere
avviato l’attività dell’azienda.
Un esito siffatto sarebbe devastante
e non per la causa del socialismo
liberale che rimane, comunque, sul
tappeto. Ma per quanti hanno
promosso il progetto, in particolare
nella componente socialista.
Ma c’è ancora tempo e modo di
raddrizzare la barca e di ripartire.
Rafforzando dall’interno del Partito
Radicale, la dimensione dell’anima
comune e il
senso
pieno della propria, nostra presenza
nell’Unione. E facendo riscoprire, ai
socialisti, il valore dell’iniziativa, e
della battaglia politica e culturale
che è poi l’unica a giustificare il
di
un
socialismo
ruolo
indipendente.
Le occasioni di intervento sono
davanti a noi, sono evidenti e
urgono: imporre il rispetto dei
risultati delle elezioni al Senato,
come pregiudiziale rivendicazione
di legalità e di democrazia delle
istituzioni; i temi “etici” e della
libertà di ricerca; il giudizio sulla
finanziaria e la nostra politica
mediorientale; rilancio di una
grande politica ambientale e delle
autonomie, questione sia locale sia
mondiale; aggiungendo nelle
elezioni amministrative anche gli
obiettivi della trasparenza e della
riduzione del costo della politica.
E fra le tante battaglie garantiste
occorre rilanciare –come lui vuole e
praticòanche
l’impegno
meridionalista
ereditato
da
Giacomo Mancini.
Sta a noi raccoglierle, queste
occasioni, queste urgenze. Per
ridare subito fiducia e a quanti
come Biagio Di Giovanni, in Italia,
hanno scommesso, in prima
persona, sulla Rosa nel Pugno
Antonio Landolfi, della Direzione
Nazionale della RnP
Per sottoscrivere e sostenere
l’appello:
[email protected]
oppure scrivere a Rosa nel Pugno,
Via di Torre Argentina 76, 00186
Roma
ROSA NEL PUGNO
LA RNP NELL’UNIONE
LETTERA APERTA DI MARCO
PANNELLA A ROMANO PRODI
Caro Presidente,
poiché dai resoconti di stampa nulla,
nulla
è,
sia
pur
ripeto
approssimativamente, emerso di
veritiero o di leale sul mio intervento di
ieri mattina nella riunione da te
convocata, mi permetto di inviarti la
seguente mia sintesi con la preghiera di
far verificare la sua esattezza e
puntualità dai tuoi Uffici sulla base delle
registrazioni a loro disposizione:
1) Ho esordito ribadendo che – pur
sapendo che questa precisazione non
sarebbe stata gradita a molti dei
presenti – prendevo la parola a nome
della Rosa nel Pugno, niente affatto dei
“radicali” così come Enrico Boselli,
dello SDI.
2) Quanto alla situazione critica da
molte parti denunciata, coloro che
come me hanno avuto la responsabilità
di proporre l’Alternanza (e di averla
determinata,
per
certo
non
marginalmente) di Governo fra l’una e
l’altra articolazione del regime politico
italiano, come condizione necessaria al
proseguimento di una Alternativa al
regime stesso, non possono in alcun
modo dichiararsi delusi e sorpresi da
essa. Non si sono illusi, non sono delusi.
3) Hanno avuto, ho avuto, una piacevole
e positiva sorpresa e consenso quando
hai dichiarato di essere ben
determinato a “stupire” con “riforme
radicali”. Stupire per non morire. Per
ora, però, rischia di subentrare lo
“stupore” del tuo non stupire ancora
alcuno con l’avvio di “riforme radicali”.
4) Ho denunciato la mancanza di una
Unione che sia effettivamente Luogo
della tua maggioranza, e che ne rispetti
le regole, per divenire invece sempre più
il nome con cui si copre una gestione di
fatto (incontrollabile da parte di molti
componenti della maggioranza stessa)
da parte dell’Ulivo, ultima versione.
5) Ho espresso il mio dissenso e il mio
allarme per sintomi gravi di mancata
difesa della legalità. Ho fatto l’esempio
dell’evidente propensione, da parte di
chi determina i comportamenti poi
attribuiti o assunti dalla “Unione”, di
preferire procedere alla nomina di
senatori graditi, in luogo e contro la
proclamazione dell’elezione degli eletti.
Ho deprecato che il Governo non abbia
proceduto alla nomina del Comitato
Nazionale di Bioetica, cinque mesi
dopo la scadenza di quello nominato
con spirito partigiano, e illiberale e non
laico dal precedente Governo. Due
esempi fra altri purtroppo già avocabili,
condannabili.
6) Ho infine, e in apparente
contraddizione con la nostra posizione
favorevole alle riforme di struttura
attraverso rigorose contrazioni della
spesa, detto quanto mi appare grave la
ferita senza precedenti, pur in vent’anni
bui e negativi, portata alla ricerca
scientifica, come denunciato dal
Ministro Mussi.
Nella manciata di minuti che abbiamo
avuto tutti a disposizione è quanto
ricordo di aver certamente detto, nella
sostanza e nella forma.
Caro Presidente, tengo a darti atto che
tu hai voluto rispondermi fra i primi
nella tua replica, con un calore evidente
e con sincerità. Non mi hai convinto,
certo. Ma non dispero che tu sappia
farlo con l’urgenza necessaria, con il
linguaggio dei fatti.
Personalmente e come Rosa nel Pugno
non ho nessuna fretta e nessun piacere
del ficcarmi nel “piatto ricco” dei delusi
e degli apocalittici. Da te, da voi, è lecito
e giusto attenderci che sappiate meglio
assicurare
un
buon
Governo
dell’alternanza nel regime, che abbiamo
tutti conquistato, piuttosto che avere la
forza e la volontà di rappresentarne una
radicale alternativa liberale, socialista,
laica, democratica e antioligarchica.
Troppo forte, oltre tutto, sono in noi la
sinistra conservatrice e la Vandea
populista e reazionaria.
Buon lavoro! Da subito.
Marco Pannella
LA BATTAGLIA CONTINUA
Abbiamo incontrato Maria Antonietta
Farina Coscioni, moglie di Luca, morto
di sclerosi laterale amiotrofica nel febbraio del 2005, durante una delle sue visite lungo lo stivale per promuovere una
petizione a favore dell’introduzione di
una legge sul testamento biologico e
l’eutanasia. Ieri era a Brescia, proprio per
parlare di questa importante questione.
Signora Coscioni, ci parli dell’associazione che porta il nome di suo marito.
È un’associazione politica nata quando
Luca era in vita, proprio perché tratta di
temi politici non si pone l’obbiettivo di
diventare un’associazione “a memoria
di”, ma di dare la possibilità di aprire un
dibattito sulla libertà di ricerca scientifica, di cura e di terapia.
Come crede che il Parlamento valuterà
l’iniziativa?
In cosa sono concentrate in questo periodo le energie dell’associazione?
Si dice che sia possibilista sulla questione
del testamento biologico, ma meno sull’eutanasia. Questo il compromesso che
però risulterebbe essere un contentino
che non eviterebbe che si verifichino degli altri casi Welby.
Stiamo portando avanti una petizione da
presentare al Palamento italiano perché
affronti la questione eutanasia, anche
dopo le sollecitazioni giunte dal Capo
dello Stato conseguenti alla lettera inviata da Welby, co-presidente della nostra
associazione, dove emerge chiaramente
la volontà di fermare l’accanimento terapeutico al quale è soggetto, soprattutto
da quando negli ultimi tre mesi è completamente immobilizzato.
Anche lei e Luca avete vissuto una situazione analoga quella di Welby, che ha
portato però Luca a scegliere di non effettuare la tracheotomia che gli avrebbe permesso di respirare…
È stata una scelta sofferta e difficile, soprattutto per me. Ma ho sempre avuto
IL
DIBATTITO
POLITICO
LAICITÀ
E VALORI
23
INTERVISTA A LIDIA MENAPACE
UN PAPATO PERICOLOSO
un arretramento generalissimo
della società italiana su questi
argomenti, se si vuole, una
sconfitta del movimento
femminista. Io sarei stata per
l’abrogazione totale, e per una
impostazione del dibattito
sull’autodeterminazione e meno
scientista.
La tecnicità dei quesiti è stata
voluta dalla corte
costituzionale…
Dai Ds se vogliamo essere
diretti.
Nella campagna referendaria
sulla legge 40 la preponderanza
delle argomentazioni dei medici
rispetto a quelle delle donne è
stato uno degli elementi
dell’insuccesso
Per fare un discorso semplice:
per le donne, come per tutti i
cittadini, è giusto che la legge preveda la “buona
pratica medica”, la buona pratica clinica; sul piano
scientifico è il minimo.
Ci sono tante leggi che io chiamerei “facoltanti”:
non obbligano né vietano, ma danno la facoltà: vale
per l’aborto, la riproduzione e per l’eutanasia. Per
un nuovo tipo di diritto…non possiamo sempre
andare avanti obbligando e vietando. Ogni qual
volta che viene fuori un materia nuova non hai
Vorrei riprendere la tua riflessione sulla carenza
precedenti giuridici, se non ti sbrighi a dire
del dibattito in tema di femminismo
“facciamo monitoraggio, vediamo se
si sviluppa una morale o opinione
Si infatti. Non è molto incluso
comune”, viene fuori qualcuno che ha
nella agenda politica; non si
già la verità in tasca, che può essere
pensa mai che le donne possano
uno scienziato, il più delle volte un
avere un’angolazione sotto
cardinale, qualche volta addirittura il
quale vedere un problema.
Sono contenta di far parte di una Papa.
tavola rotonda in cui si esaminaLa battaglia sul referendum
no le caratteristiche invadenti di Un commento alle dichiarazioni del
abrogativo della legge 40 ha
questo Papa che dice che la
visto la partecipazione di un
Chiesa non fa politica e poi rice- Cardinale Ruini. Tu sei a Verona per
gruppo trasversale di donne
ve Prodi dicendogli: no alle unio- la manifestazione laica…
parlamentari, ma mi chiedo:
ni libere e sì ai soldi alle scuole
chi è autorizzato a ereditare le
cattoliche Sono convinta che questo Papato è
lotte femministe…chi
molto pericoloso, sono contenta di
rappresenta le lotte femministe
fare parte di una tavola rotonda in cui
degli anni 70?
si esaminano le caratteristiche
invadenti di questo pontefice che dice
la chiesa non fa politica e poi riceve
Ho osservato la richiesta
Prodi dicendogli: no alle unioni libere
radicale, secondo me la vostra
e sì ai soldi alle scuole
impostazione era troppo
cattoliche…questo è come dire la chiesa non fa
scientista, e sotto questo profilo avrebbe interessato
politica ma la faccio io direttamente. Ha un disegno
meno le donne. Benché non condivida alcune scelte
neotemporalista molto pericoloso questo pontefice.
del movimento femminista, di assenza, disinteresse,
o addirittura incertezza su come votare, devo dire
Non solo. C’è questo martellante slogan di
che in tutta la campagna sulla legge 40 la
recupero dei valori e di energie morali che
preponderanza delle argomentazioni dei medici
sembrerebbe che nel nostro paese solo la chiesa
rispetto a quelle delle donne è stato uno degli
elementi dell’insuccesso. L’insuccesso ha dimostrato detenga.
grande rispetto delle idee di Luca,
e quindi ho rispettato la sua scelta.
Questa non è l’unica battaglia che
l’associazione porta avanti. Ce ne
sono tante altre, come sulla pillola
abortiva RU486, la ricerca sulle cellule staminali, la fecondazione assistita.
Perché in Italia a livello politico si
continua ad opporsi a queste possibilità?
Perché ci si nasconde dietro una
falsa morale. Siamo un paese di
moralisti che si nascondono dietro
alla presunzione di difendere presunti valori universali, come quello
della vita, anche se spesso poi
quando ci si trova davanti a questo
tipo di problemi si compiono scelte diverse.
In Italia esiste anche un forte dibattito sulle cellule staminali,nelle quali si inserisce anche la vostra
campagna sull’uso del cordone
ombelicale.Come procede?
Il sangue del cordone ombelicale
contiene cellule staminali che potrebbero servire per la cura di gravi
malattie, per ricostruire tessuti od
organi malati e, in caso di compatibilità, per trapianti a terzi. In Italia
attualmente viene praticato solo in
alcune strutture pubbliche di poche regioni. Vorremmo estenderlo
il più possibile. Abbiamo avuto delle aperture da parte del ministro
Turco, anche se ci sono, come sempre su questi argomenti, degli intoppi di carattere politico. La ricerca sulle cellule staminali in Italia
ammette solo l’importazione delle
cellule dall’estero.
Cosa ne pensa?
Penso sia un modo per giustificarsi
e la dimostrazione dell’atteggiamento ipocrita che ci contraddistingue: il lavoro sporco lo si fa all’estero, mentre quello pulito in
Italia. Come se ci fosse qualche differenza.
Perché secondo lei in Italia siamo
fermi rispetto alla ricerca sulla
clonazione terapeutica?
Perché la politica vive questi temi
come una questione di moralità e
non politica. Sollevammo la questione dal 2001, quando sia Rutelli
sia Berlusconi ammisero che non
volevano inserirli nel proprio programma perché non li reputavano
argomenti da campagna elettorale.
Al Senato, al Parlamento è venuta una
mozione di solidarietà per il Papa
dopo Ratisbona. Cosa c’entra il
Parlamento Italiano con il dialogo
interreligioso? Non si accorgono che
nel dialogo interreligioso non c’e
nemmeno una donna, che è la cosa
che il Parlamento dovrebbe
sottolineare, visto che è la violazione
di un articolo della Costituzione? C’è
un calo del tasso di laicità, pericoloso
per la democrazia.
A fronte di un aumento nella
secolarizzazione di comportamenti,
che sono misurabili attraverso indici
come la diminuzione del numero dei
matrimoni di persone che pure vanno a messa, o
del numero delle vocazioni.
Tutti dati quantitavi in calo. Mettere insieme calo di
vera fede e invasione della religione come
superstizione è un grande pasticcio. Io oggi
pomeriggio non misurerò le parole. Non sarò
irriverente ma sicuramente molto dura.
• LIDIA MENAPACE
Nata a Novara, il 3 aprile 1924. Prese parte,
giovanissima, alla Resistenza partigiana e nel
dopoguerra fu impegnata nei movimenti
cattolici, nella Democrazia Cristiana e con
varie organizzazioni progressiste. Insegnante,
simpatizzò per il Partito Comunista Italiano
ma nel 1969 fu tra le fondatrici de Il
Manifesto. Lidia Menapace rappresenta una
delle voci più importanti del femminismo
italiano, dei movimenti della società civile e
del cammino verso la nonviolenza. Nelle
elezioni politiche del 2006 si candida con
Rifondazione Comunista al Senato e risulta
eletta. Ha preannunciato l’iscrizione
all’associazione Coscioni.
(fonte Wikipedia)
Per l’ospedale Sant’Anna di Torino
gli esperimenti sulla pillola abortiva RU486 hanno funzionato.
Però la politica continua a non occuparsene,perché?
Anche qui è una questione di falsa
moralità. Si pensa che per una
donna la scelta di abortire sarebbe
più semplice se lo potesse fare attraverso una pillola invece che con
un intervento chirurgico. Ma non è
così. Solo con la RU486 si eviterebbe un trauma ancora maggiore di
quanto non sia già.
Secondo lei c’è una parte del mondo cattolico è maggiormente disponibile a discuterne?
Certamente. Ad esempio quelle
stesse donne che votarono a favore
dell’aborto e che sono credenti.
Come è cambiata la sua vita da
quando Luca non c’è più?
La mia vita è stata stravolta. A volte
penso fosse più facile prima.
Adesso pensare di combattere
queste battaglie senza di lui mi
sembra molto più difficile. Ma mi
sento di proseguire.
Altre riflessioni?
Solo un pensiero per la moglie di
Welby. Quando ci sentiamo percepisco una certa serenità da parte
sua, ma so bene che vorrebbe anche che Piergiorgio cambiasse
idea. Ammiro molto quindi la sua
forza di rispettare le scelte di suo
marito.
Intervista
Brescia”
dal
quotidiano “Il
&
I “TEO-DEM?”
24
IL
DIBATTITO
POLITICO
LAICITÀ
E VALORI
MOLTO “TEO”, POCO “DEM”
Ma De Gasperi e don Sturzo sono sempre più lontani
ANGIOLO BANDINELLI
Ferve il dibattito nel mondo
del cattolicesimo italiano, nella
gerarchia e tra i laici, fuori ma
anche dentro il Vaticano.
Come spesso nella sua storia,
l’ecclesialità italiana è percorsa
da movimenti ondosi rilevanti,
i cui protagonisti sono a volte
persino conflittuali tra di loro.
Tanto per fare (senza troppe
pretese) qualche nome:
Rosmini o il Cardinal Consalvi?
Il giansenista Manzoni o il
modernista Fogazzaro? Don
Sturzo o Leone XIII? De
Gasperi o Dossetti? Buonaiuti
o Padre Pio? Potremmo
continuare ma ci limitiamo ad
estrarre, a sorpresa, un nome
che invece mai appare nella
panoplia degli evocati in
queste dispute. Il nome
assente è quello di don
Don Romolo Murri fu deputato
radicale e in questa veste condusse battaglie ancora oggi di
grande attualità a partire da
quella sull’educazione del clero,
Da laici, lo onoriamo, i chierici lo
ignorano
Romolo Murri, fondatore della
Democrazia Cristiana,
accantonato e rinnegato
dall’autorità ecclesiastica per il
suo tentativo di dare
all’ispirazione cristiana, pur
nel rispetto assoluto
dell’insegnamento dogmaticoecclesiale, un indirizzo politico
di democrazia liberale. Ci è
facile riesumare questo nome
perché ci è caro: don Romolo
Murri fu deputato radicale, e
in questa veste condusse
battaglie ancora oggi di grande
attualità a partire da quella
sull’educazione del clero,
quando delineò per i futuri
preti un percorso scolastico
che evitasse l’insinuarsi delle
occasioni di scandalo sessuale
che oggi perfino Papa
Ratzinger deplora e condanna.
Da laici, lo onoriamo, i chierici
lo ignorano.
Comunque un gran dibattere,
che seguiamo con interesse
pur se con qualche difficoltà:
la galassia cattolica ha confini
incerti. Ci sono interlocutori e
protagonisti già noti: Caffarra e
Scola, Tettamanzi e/o Ruini, i
Focolarini, Comunione e
Liberazione o Sant’Egidio, i
francescani di Assisi o i gesuiti
della Civiltà Cattolica, gli exDC e gli aspiranti DC, i laici
Divisi sulle questioni politiche
e di potere, i cattolici italiani si
ricompattano sempre nel
rifiuto della modernità e della
scienza voluto da Ratzinger e
Ruini. Non fa eccezione il
nuovo raggruppamento che si
è formato nella Margherita per
strapparne la leadership ai
Popolari.
obbedienti e gli atei devoti, i
teocon e un po’ anche i
neocon che confondono
pentecostali americani e
Chiesa cattolica, Paola Binetti,
Luigi Bobba e Antonio Socci:
all’interno, tra di loro, si
conoscono e si riconoscono,
all’esterno connotati e
significati restano sfocati e
lontani. Ma oggi c’è una
novità da segnalare: i “teodem”, una pattuglia di
militanti (e dirigenti) della
Margherita che, con lo slogan
“andare oltre il cattolicesimo
democratico”, si muovono per
contendere ai Popolari la
leadership dei credenti, specie
in vista del fantomatico
Partito Democratico. Quel
nome, “teo-dem”, quel
richiamo al cattolicesimo
democratico, dovrebbero far
sperare. Se si vuole andare
Oggi c’è una novità da segnalare:
i “teodem”, una pattuglia di militanti (e dirigenti) della
Margherita che, con lo slogan
“andare oltre il cattolicesimo
democratico”, si muovono per
contendere ai Popolari la leadership dei credenti
oltre al De Gasperi
disobbediente a Papa Pio XII
che gli imponeva una scelta
politica inaccettabile e
reazionaria, se si vuole
insomma ancorare il
cattolicesimo italiano ad una
sponda decisamente
democratica, ci troveremmo di
fronte ad un fatto importante:
sarebbe la ripresa forte e
decisa di un filone di uomini
di cultura e politici cattolici -
Come osserva Luigi Covatta, il
nuovo raggruppamento non sembra si allontani troppo da quei
“teocon” dai quali pur dice di
volersi distinguere
da Cavour a Manzoni a
Lamborghini, ecc. - che hanno
enormi meriti nella storia
italiana, a partire da quel
Risorgimento che è in buona
misura opera loro ancor prima
che dell’anticlericalismo
massonico. Dubitiamo però di
veder avverate le nostre
speranze. Un cattolico di lunga
esperienza politica, Luigi
Covatta, ha scritto un articolo
(“Il Riformista”, 16 ottobre) dal
titolo significativo: “Cari teodem, sotto la bioetica quasi
niente”. Osserva Covatta - e ci
pare che il suo giudizio vada
accolto senza riserve - come il
nuovo raggruppamento non si
allontani troppo da quei
“teocon” dai quali pur dice di
volersi distinguere, né appaia
capace di compiere “una
rivisitazione del cattolicesimo
politico italiano in un’ottica
più attenta al rapporto tra fede
e politica di quella
tradizionalmente
democristiana”.
Dovendo lasciare qui il
complesso ragionamento di
Covatta, dobbiamo concludere
che i “teo-con” sono nati,
forse, solo come soggetto di
una lotta tutta politica, poco
ecclesiale e molto di potere.
Ancora una volta, il
cattolicesimo italiano non solo
ignora Murri ma sembra aver
accantonato dal suo spettro
ideale De Gasperi e perfino il
più discutibile Fanfani (quello
che, sul referendum divorzista
si giocò, coraggiosamente, la
carriera politica).
Durante la campagna per il
divorzio, quaranta anni fa, un
giornale inglese scrisse che,
grazie a quel confronto, che
metteva in gioco e tendeva a
sconvolgere temi etici e
religiosi delicatissimi e assai
radicati, l’Italia veniva fatta
entrare in Europa, cioè nella
Per i modernisti l’Italia è alla
retroguardia, per Ratzinger è una
possibile avanguardia. Come ai
tempi della Controriforma la
chiesa italiana si attesta sulla
difensiva chiudendosi nella roccaforte identitaria
modernità, anche se
“recalcitrante come un mulo”.
Allora i muli erano frequenti,
bestie da soma e da lavoro,
nelle campagne di un paese
agricolo timoroso
dell’avanzata
dell’industrialismo e della sua
cultura. Oggi, il demone da
esorcizzare è la scienza:
Ratzinger la condanna senza
lasciare spiragli a
ripensamenti, subito gli fanno
eco il cardinal Ruini o
l’arcivescovo di Genova,
Angelo Bagnasco, che non
interviene al Festival della
Scienza in corso nella sua città
perché “troppo laicista”. Il
confronto vede contrapporsi
senza possibili mediazioni la
scienza, le tecniche, il sapere, e
i valori predicati dalla Chiesa. I
laici guardano alla modernità,
il Cardinal Ruini auspica che
un’Italia fedele ai principi e
all’insegnamento di Papa
Ratzinger possa diventar
trampolino di lancio per la
riconquista al cattolicesimo
romano di un mondo che si
allontana in altre direzioni,
sulle orme di Darwin dopo
Galilei: per i modernisti l’Italia
è alla retroguardia, per
Ratzinger è una possibile
avanguardia, ma per quelli
come per questo i termini
della questione sono identici.
Non è peraltro una situazione
nuova, l’Italia la conosce dai
tempi della Controriforma.
Come allora, la chiesa italiana
si attesta sulla difensiva
chiudendosi nella roccaforte
identitaria, persuasa che solo
dietro questo baluardo essa
potrà reggere la sfida del
mondo. Il pretesto più
immediato alla costruzione
della barriera è il confronto
con l?Islam, ma sospettiamo
che questo sia piuttosto l’alibi
dietro il quale porre al riparo
l’incapacità di affrontare altre,
molto più serie, sfide: quelle
della modernità,
dell’innovazione e del governo
del mutamento in un mondo
sempre più globalizzato.
NOTIZIE
DAL MONDO
GIULIA INNOCENZI
Fra le due sponde dell’Atlantico è in corso
una rivoluzione in capo alle case
farmaceutiche, sia per ciò che riguarda la
loro interazione con i governi, sia per il
rinnovo dei proprietari delle aziende di
medie dimensioni. Questi cambiamenti
fanno emergere i nervi scoperti di un
sistema in cui le aziende farmaceutiche
hanno da sempre dipeso sull’appoggio
statale e su connessioni relazionali fra le
famiglie proprietarie, erigendo nel tempo un
muro protezionistico. Ora che le carte
sono state scoperte, nuovi soggetti hanno
intenzione di sedersi al tavolo dei giocatori,
primo fra tutti l’indiano Ranbaxy.
Nell’analisi di questi cambiamenti, saltano
agli occhi i due scandali emergenti negli
Stati Uniti. Il primo coinvolge la
GlaxoSmithKline, la più grande produttrice
di farmaci in Europa, accusata di frode nei
confronti dell’Internal Revenue Service,
l’ufficio di imposte statunitense. La pratica
sotto accusa è semplice: l’unità americana
dell’azienda pagava la fornitura di farmaci
dalla casa madre con cifre spropositate, al
fine di diminuire il profitto imponibile. Il
processo, fissato per il febbraio 2007, è
stato bloccato da un accordo costato alla
Glaxo 3,4 miliardi di dollari. Questa cifra
astronomica è andata a tutto vantaggio
dell’azienda, che pur di non presentarsi in
tribunale ha accettato il pagamento
corrispondente al 60% del supposto
ammontare evaso ed ha rinunciato alla sua
richiesta di rimborso per pretese tasse in
eccesso pagate in passato.
Il più interessante dal punto di vista del
meccanismo del sistema farmaceutico è
l’Affare Plavix, costato il posto al direttore
generale della BMS Peter Dolan, già
criticato in passato per acquisizioni ritenute
troppo care.
Plavix, secondo farmaco più venduto al
mondo, è tuttora oggetto di una disputa
riguardante brevetti contestati da Apotex,
azienda canadese produttrice del diretto
competitore del medicinale in questione.
Sanofi-Aventis e BMS, per evitare
l’invalidazione dei brevetti, altamente
lucrativi in quanto garantiscono alle aziende
inventrici del farmaco i diritti di proprietà su
di esso, stipularono un accordo con
Apotex, stabilendo che il medicinale
generico non sarebbe stato immesso nel
mercato fino al 2011, poco prima della
scadenza dell’ esclusiva. Questo accordo,
:
contrario all’interesse dei consumatori, fu annullato
da una sentenza nel mese di luglio. A questo
punto Apotex decise di sfruttare la legge
americana, che concede il monopolio della
commercializzazione per sei mesi al primo
produttore generico che invalida il brevetto di un
farmaco protetto, per inondare le farmacie
statunitensi con il proprio farmaco, guadagnando il
60% del mercato in una settimana. Tuttavia, a
causa della disputa sui brevetti, la
commercializzazione di questo farmaco fu bloccata
a fine agosto.
Per ora l’unica conclusione che emerge dalla
disputa è che coloro che sono soggetti a rischio
d’infarto e che devono acquistare Plavix,
continueranno a pagare un prezzo più elevato
senza benefici aggiuntivi.
Ancor più eclatante è il cambio di proprietari
avvenuto ai vertici delle case farmaceutiche
europee di media grandezza. Settembre è stato il
mese più caldo, con ben cinque acquisizioni o
fusioni rilevanti, e pressioni da parte di aziende
desiderose di espandersi, ad esempio la Ranbaxy,
lasciano trapelare futuri cambi degli assetti
proprietari, soprattutto per ciò che riguarda il
mercato spagnolo e italiano. Alla base di questa
rivoluzione c’è lo scontro fra la staticità e
l’autoreferenzialità delle case farmaceutiche e le
riforme e l’apertura del mercato europeo.
RICERCA SENZA
FRONTIERE
Chi deve acquistare Plavix,
continuera a pagare un prezzo
più elevato senza benefici
aggiuntivi
Per quanto riguarda il fattore statico vi sono delle
caratteristiche comuni ai produttori di farmaci, le
quali non permettono una funzionale e trasparente
C’È DEL
MARCIO IN
FARMACEUTICA
25
attività. Innanzitutto, queste aziende sono in
mano a famiglie o a loro fondazioni che
vogliono intercedere nella stipula di
accordi.
Inoltre, queste aziende dipendono in
massima parte da un solo farmaco, per cui
si trovano in balia delle scadenze delle
esclusive e delle legislazioni sui brevetti.
Soprattutto però, è la media dimensione
che crea i maggiori problemi. Queste
imprese infatti subiscono pressioni dalle
grandi industrie per ciò che riguarda
l’investimento di ingenti somme di capitali
in ricerca e sviluppo, al fine di immettere
nuovi prodotti competitivi nel mercato. Le
ditte di media dimensione sono prive però
della disponibilità monetaria delle grandi e
non si trovano quindi a competere allo
stesso livello.
La dimensione intermedia che non
funziona più anche perché la barriera
protettiva eretta dai governi europei sta
calando, grazie ad uno spirito riformistico
ed aperto ad interferenze esterne. Per
lungo tempo infatti questi hanno sostenuto
i produttori nazionali agevolando i prezzi
competitivi per i loro farmaci, mentre ora,
sotto la spinta di un taglio generalizzato dei
costi della sanità, è stato persino diminuito
il differenziale fra i farmaci brevettati e quelli
generici.
Le barriere governative nei confronti delle
proprie ditte farmaceutiche sono
ulteriormente messe alla prova
da grandi industrie straniere,
prima fra tutte la Ranbaxy.
Questa infatti spende
ogni anno 25 milioni di
dollari, pari al 2% del
proprio capitale, in
spese processuali,
nel tentativo di
liberalizzare un
mercato che ha
imprigionato la
salute con brevetti,
patti fra case
farmaceutiche e
accordi fra queste
ed i governi, il tutto
a spese del
malato.
PILLOLE
TRANSNAZIONALI
Spagna.
Il Ministero della Sanità permette la
selezione degli embrioni per salvare un
fratello (da El Paìs, 25 ottobre 2006)
La Commissione di Riproduzione Umana
Assistita spagnola ha approvato l’uso della
diagnosi pre-impianto in otto casi su
ventiquattro delle domande presentate.
L’applicazione di questa tecnica
diagnostica deve avvenire dopo un’analisi
caso per caso che non è mai stata
impiegata prima in Spagna da quando è
stata approvata la nuova legge sulla
procreazione medicalmente assistita lo
scorso maggio. Diverso è il caso della
diagnosi pre-impianto per la selezione di
embrioni affinché non siano essi stessi
portatori di malattie genetiche, che è
ammessa in Spagna già dal 2003. La
nuova tecnica applicabile da maggio
consiste nello scegliere gli embrioni prima
di impiantarli nell’utero, in modo che il
nascituro
possa essere
un donatore
per un fratellino
già nato con una
malattia genetica. Tra le
malattie previste ci sono alcune
leucemie per cui il nuovo nascituro può
divenire donatore di midollo per il fratello.
Polonia.
Il Ministero dell’Educazione contesta
Darwin (da Le Monde, 20 ottobre 2006)
Il Vice-Ministro per l’Educazione polacco
nonché deputato della Lega delle Famiglie
polacche (LPR, partito dell’estrema destra
ultarcattolica), Miroslaw Orzechowski, ha
contestato pubblicamente la teoria
evoluzionistica di Darwin e come risultato in
un liceo di Lodz, 135 chilometri a sudovest di Varsavia, un professore è stato
messo in aspettativa perché aveva affisso
un disegno di un primate che si
trasformava in
Homo sapiens. Il silenzio dell’esecutivo
polacco, dovuto al timore di innescare un
difficile dibattito, di fatto non fa che
rafforzare all’estero lo stereotipo di una
Polonia ultracattolica e conservatrice.
Belgio.
Una banca dati sull’eutanasia per i medici
(da Le Vif – L’Express e Bureau audiovisuel
francophone, 16 ottobre 2006; Frankfurter
Allgemeine Zeitung, 17 ott. 2006)
Quattro anni dopo l’introduzione della legge
sull’eutanasia il Ministero della Salute belga
si prepara a realizzare una banca dati che
dovrà permettere ai medici di verificare se
una
persona che si
trova in coma
irreversibile ha
precedentemente fatto
un testamento biologico.
La banca dati sarà integrata
nel Registro nazionale e data la
delicatezza dei dati conservati
necessiterà di un sistema informatico di
estrema sicurezza. Questa banca dati sarà
utile soprattutto per i medici non curanti ad esempio nel caso in cui un paziente
abbia un incidente lontano da casa - o per
i medici di famiglia e le famiglie che non
siano stati informati dell’esistenza di un
testamento biologico. Subito è stata
polemica in Belgio, dove il sito Bureau
audiovisuel francophone ha accusato il
ministero di voler monitorare coloro che
hanno fatto un testamento biologico
affinché questi non sfuggano all’eutanasia
per liberare i letti e non gravare più sul
sistema sanitario nazionale.
RICERCA
E RIFORMA
26
.
STAMINALI
STAMINALI ADULTE: UNA DO
Interrogazione a risposta in Commissione
Domanda:
Conflitto di interesse?
Ministro della Salute.
Per sapere, premesso che:
nel novembre 2001 il Ministero della salute,
istituiva, presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) la
“Commissione sulle staminali”, presieduta da
Enrico Garaci, presidente dell’ISS come diffuso nel
comunicato numero 442, la Commissione risultava
composta da 12 membri;
tale Commissione decideva l’erogazione di un
finanziamento di 7,5 milioni di euro, da erogare nei
tre anni successivi in tre progetti per la durata di un
biennio;
i tre bandi erano interamente dedicati a proposte di
ricerche sulle staminali adulte (umane e da animali)
e sulle staminali embrionali animali (escludendo
quindi le embrionali umane);
nel dicembre 2002, scadeva il termine per la
presentazione dei progetti al primo bando dedicato
alla ricerca di base sulle staminali e sarebbero poi
seguiti gli altri due bandi, uno dei quali, si leggeva
sul sito web dell’Istituto Superiore di Sanità,
sicuramente dedicato alla creazione di banche di
cellule staminali, attività di interesse di molti dei
membri della commissione;
al primo bando del 27 settembre 2002, la
XII Commissione - Giovedì
19 ottobre 2006
Interrogazione n. 5-00014
Poretti: Procedure per l'aggiudicazione da parte della
«Commissione sulle cellule
staminali», istituita presso
l'Istituto superiore di sanità.
Risposta:
La procedura
seguita NON
garantisce
trasparenza
Preme innanzitutto puntualizzare che i fatti oggetto dell'interrogazione riguardano l'attività svolta dalla «Commissione Nazionale
sulle Cellule Staminali», istituita
presso l'Istituto Superiore di
Sanità (ISS) nel novembre 2001
dal Ministro Girolamo Sirchia e
decaduta, sempre nel corso della
passata legislatura, il 9 novembre
2004.
L'ISS, al quale sono state richieste
informazioni riguardanti i fatti
oggetto dell'interrogazione, ha
fornito i seguenti elementi di conoscenza.
La procedura di valutazione dei
progetti di ricerca seguita dalla
Commissione è quella del peerreview system, che prevede la valutazione dei progetti da parte di
Commissione ricevette e giudicò 137 progetti che
ricevettero notifica ufficiale di finanziamento
nell’ottobre 2003;
risultò evidente secondo l’interrogante il conflitto
d’interesse che emergeva in riferimento alla
composizione della commissione e alla
presentazione di progetti da finanziare riconducibili
direttamente o indirettamente a centri di ricerca cui
appartengono gli stessi membri della commissione
presentati dai componenti o ricercatori che
lavoravano con gli stessi;
nonostante le ripetute richieste di spiegazioni da
parte dei partecipanti esclusi ad oggi nulla è stato
chiarito;
nell’aprile 2004, la commissione finalmente – a
seguito di sollecitazioni – pubblicava i risultati dei
progetti finanziati al primo bando. Questa lista,
temporaneamente resa disponibile sul web,
evidenziava come alcuni membri della
Commissione avevano presentato anche 5-7
progetti, utilizzando il fatto che ciascuno poteva
elaborare un progetto come capogruppo (su due
gruppi partecipanti) ma anche uno come secondo
intestatario, sistema adoperato anche per i propri
associati/ricercatori (nomi degli associati
individuabili attraverso le pubblicazioni e le
conoscenze della composizione dei gruppi di
ricerca). La probabile cifra ottenuta per ciascun
progetto finanziato poteva essere di 150-250 mila
euro (massimo consentito 400.000 totali per due
anni), a fronte di 3-4 pagine di testo che
documentava la ricerca;
Anche la ricerca sulle
cellule staminali
adulte è importante
per chi, come noi, si
oppone alla
proibizione della
ricerca sulle
embrionali. Proprio
perché è necessaria,
vorremmo che i
criteri di
finanziamento
fossero corretti, come
NON lo sono stati
negli ultimi anni
se si prende ad esempio il professor Angelo Vescovi,
membro della Commissione, egli ha presentato il
progetto numero 118 come responsabile, il 120
«referees»/revisori
anonimi,
competenti nella materia scientifica del progetto e indipendenti
dal proponente del progetto stesso.
I progetti presentati a seguito del
primo e del secondo bando sono
stati valutati «da due o più revisori anonimi (esterni o interni alla
Commissione, ma comunque
non conosciuti dagli stessi membri della Commissione), scientificamente qualificati e indipendenti dal proponente del progetto
[...] La Commissione Nazionale
ha preso atto delle valutazioni dei
referees, e soltanto in base a queste valutazioni ha finanziato o
meno i progetti presentati».
La Commissione era composta
da molti dei ricercatori italiani più
qualificati nella materia, i quali
hanno presentato progetti di ricerca che sono stati valutati anch'essi «da referees anonimi (non
conosciuti dal membro proponente), qualificati e indipendenti
(a riprova della validità ed imparzialità di questi referaggi, un progetto presentato da un membro
della Commissione non è stato finanziato)».
L'Istituto ha precisato che nel sito
web sono state regolarmente inserite le informazioni relative ai
bandi e ai progetti finanziati.
I consuntivi scientifici dei progetti del primo bando dimostrano
che molti risultati sono stati pubblicati sulle più prestigiose riviste
internazionali.
L'Istituto precisa che la
Commissione ha promosso un
primo bando per progetti di ricerca biennali, finanziati per oltre 11
milioni di euro nel 2003. Su un totale di 137 progetti presentati ne
sono stati finanziati 82. In questa
occasione 7 progetti risultano
presentati dai membri della
Commissione e ciascun componente della Commissione ne ha
presentato solo uno; «come da regolamento, taluni membri della
Commissione hanno collaborato
ad un secondo progetto presentato da un altro ricercatore indipendente; questo ricercatore era
titolare e responsabile del progetto, mentre il membro della
Commissione svolgeva un ruolo
ancillare del tutto secondario».
Al riguardo, l'ISS sostiene che nelle grandi strutture di ricerca, a carattere di multilaboratorio-dipartimento, opera un direttore responsabile del funzionamento
generale della struttura, che dirige il proprio gruppo di ricerca; le
stesse strutture comprendono altri ricercatori indipendenti, che
svolgono attività di direzione del
proprio gruppo di ricerca (questo
profilo organizzativo-operativo è
presente, ad esempio, nelle strutture ove operano i membri della
Commissione); appare pertanto,
secondo l'Istituto, «fisiologico»
che dalle strutture multilaboratorio/dipartimentali siano pervenuti uno o più progetti, da parte
di ricercatori indipendenti, come
accade di routine anche in altre
Commissioni nazionali ed inter-
nazionali.
L'attività del primo bando è oggi
conclusa; i responsabili dei progetti hanno già inviato il consuntivo amministrativo e quello
scientifico.
Al primo bando ha fatto seguito
un secondo bando concernente
lo «Sviluppo di uno o più prototipi strutturali, organizzativi e gestionali di banche di cellule staminali umane». Nel 2003 il bando
è stato vinto dal centro-prototipo
dell'Ospedale Maggiore di
Milano. In data 16 ottobre 2006,
l'ISS ha comunicato che «sta procedendo alla raccolta dei contributi relativi ai risultati ottenuti
dall'esecuzione dei vari progetti e
che tali risultati saranno divulgati
attraverso un convegno scientifico e con la pubblicazione degli atti congressuali».
L'ISS ha precisato che - diversamente da quanto affermato dall'interrogante - non vi è stato un
terzo bando, in quanto dopo il secondo i fondi a disposizione erano esauriti, e la Commissione
stessa, non più convocata dall'agosto 2003, è decaduta il 9 novembre 2004; di conseguenza, il
relativo sito web non è più attivo
dal 2005.
Relativamente alla richiesta di annullamento del bando formulata
dall'interrogante, si deve ovviamente escludere tale possibilità
per il terzo bando, mai esistito,
mentre è da considerare non perseguibile in relazione al secondo,
poiché non risultano evidenze ta-
li da giustificare un simile provvedimento.
A nostro avviso la disciplina della
procedura seguita non garantisce
adeguatamente la trasparenza. A
tal proposito ci preme ribadire
che è preciso intendimento del
Ministro giungere, nel campo della ricerca medico-scientifica, a garantire l'adozione di procedure di
valutazione per l'attribuzione dei
finanziamenti che, similmente a
quanto accade negli ambienti
scientifici internazionali più qualificati, siano condotte nel rigoroso rispetto dei principi della trasparenza e dell'indipendenza.
Questo intento ha già trovato attuazione in corrispondenza dell'adozione del decreto ministeriale 21 luglio 2006 che ha radicalmente innovato la disciplina di
assegnazione dei 100 milioni di
euro stanziati per finanziare progetti di ricerca nell'area dell'oncologia, discostandosi profondamente dal decreto ministeriale 23
febbraio 2006 adottato dalla precedente amministrazione.
In termini più generali è possibile
affermare che l'adozione del peer
review system, metodo che implica il coinvolgimento di revisori
terzi e indipendenti, dovrà essere
la regola che ispira l'azione degli
organi del Ministero e quella cui
dovranno uniformarsi gli enti rispetto ai quali il Ministero esercita compiti di vigilanza quali l'ISS
(articolo 9, comma 2, del decreto
legislativo 419 del 1999).
RICERCA
E RIFORMA
.
STAMINALI
27
MANDA DA 7,5 MILIONI DI EURO
come corresponsabile, del 108 era responsabile la
dottoressa Galli, una ricercatrice che lavorava
presso il suo laboratorio, il numero 86 con
corresponsabile ancora una volta la dottoressa
Galli, il 17 con corresponsabile il dottor Gritti (che
all’epoca lavorava anch’egli nel laboratorio di
Vescovi). Lo stesso dicasi per il professor Cesare
Peschle, che risulta responsabile del progetto 65 e
corresponsabile dei progetti 114 e 136;
a maggio 2004 a seguito di continue segnalazioni
effettuate dagli operatori nel settore sui fatti
illustrati, dal sito web dell’Istituto Superiore di
Sanità non risulta più disponibile il comunicato 442
con la composizione della commissione;
risultava ancora più misteriosa la situazione del
secondo e del terzo bando. È probabile che la
scadenza secondo bando per progetti relativi alla
crio-preservazione e allo stoccaggio di cellule
dovesse essere novembre 2004, con approvazione
prevista per marzo-aprile 2005 e la successiva
comparsa di un documento al link relativo al
secondo bando che nessuno è mai stato in grado di
aprire;
sul terzo bando regna il mistero più assoluto. Non si
è mai saputo nulla delle assegnazioni economiche e
delle tematiche. Infatti, le continue richieste di
delucidazioni da parte della comunità scientifica
hanno portato lo scorso maggio-giugno 2005 alla
sparizione totale dal sito web dell’ISS di qualsiasi
informazione relativa alla Commissione, ai bandi
aperti, nonché ai fondi assegnati e da assegnare. A
Demetrio Neri (Università di Messina), che a
maggio 2005 chiese come mai non vi fossero più
informazioni sul sito web dell’ISS, il misterioso
indirizzo e-mail che solitamente replicava
firmandosi “Commissione cellule staminali”,
rispondeva, da un altro indirizzo posta (con
estensione “alice.com”), che la scomparsa di
informazioni era legata al fatto che i tre bandi erano
chiusi e le assegnazioni espletate e quindi non vi
era più nulla su cui informare;
per i progetti del primo bando, con scadenza
dicembre 2002, sono stati erogati finanziamenti con
termine ultimo per la rendicontazione economica e
scientifica a dicembre 2005 e presumibilmente gli
altri due bandi, iniziati dopo, contemplano attività
di ricerca ancora pienamente in corso;
in occasione delle prime percezioni dell’esistenza di
anomalie nelle modalità di lavoro di questa
commissione, alcuni ricercatori finanziati al primo
bando, tra cui la professoressa Elena Cattaneo del
Dipartimento di scienze Farmacologiche e Centro
di Eccellenza per le Malattie neurodegenerative
dell’Università di Milano, avevano chiesto per
iscritto al Presidente Garaci e alla Commissione che
il bando venisse annullato e la selezione dei
progetti fosse rifatta adottando procedure che
impedissero a coloro che sottoscrivevano un
progetto di giudicare i progetti sottomessi da altri
colleghi e che tenessero conto della liceità di una
sottomissione di progetti da parte di Membri della
stessa commissione che decideva dei finanziamenti
e tale richiesta è stata ignorata;
con particolare riferimento alla lettera della
professoressa Elena Cattaneo indirizzata al
professor E. Garaci in data 28 marzo 2003 si legge
(dall’inglese): “infine resta responsabilità di ogni
singolo Membro della commissione decidere se
queste procedure siano state sufficientemente
chiare o piuttosto sufficientemente distorte da
giustificare la cancellazione del bando in corso e la
sua conseguente riapertura con criteri nuovi e
trasparenti, che tengano conto anche della
valutazione di richieste di contributo sottoposte alla
commissione da membri della Commissione stessa
(...) o se invece non sia il caso di modificare le
decisioni finali tenendo conto degli evidenti
conflitti di interesse”;
se il Governo non ritenga pertanto opportuno, nel
rispetto del principio di uguaglianza, che debba
essere annullato il bando e che debba essere rifatta
la selezione dei progetti adottando procedure
trasparenti e pubbliche, che impediscano a coloro
che presentano un progetto di giudicare i progetti
presentati da altri colleghi e che non consentano
che una sottomissione possa valutare progetti
presentati da membri della medesima commissione
che decide anche sui finanziamenti stessi.
ON. DONATELLA PORETTI
MA CHE FINE
HANNO FATTO
I SOLDI
STANZIATI
PER IL TERZO
BANDO?
Nonostante queste risposte non
siano tra quelle che avrei voluto
sentire, mi dichiaro comunque
soddisfatta. Il sottosegretario ha
infatti concluso che: "A nostro
avviso la disciplina della
procedura seguita non
garantisce adeguatamente la
trasparenza. A tal proposito ci
preme ribadire che e' preciso
intendimento del Ministero
giungere nel campo della ricerca
medico-scientifica, a garantire
l'adozione di procedure di
valutazione per l'attribuzione
dei finanziamenti che,
similmente a quanto accade
negli ambienti scientifici
internazionali piu' qualificati,
siano condotte nel rigoroso
rispetto dei principi della
trasparenza e
dell'indipendenza." Ma non è
abbastanza! Presentero' a breve
una nuova interrogazione per
chiedere che fine abbiano fatto i
soldi stanziati per il terzo bando
e i motivi per cui l'ISS non
pubblichi ufficialmente i
risultati del primo progetto,
chiedendo che vengano
pubblicati quelli del secondo
bando.
Donatella Poretti, Deputato
della Rosa nel Pugno e membro
della Giunta dell’Assocciazione
Coscioni.
28
DAL CORPO DEI
MALATTI AL CUORE
DELLA POLITICA
TERAPIA DEL
DOLORE
GOVERNO ANTIDOLORIFICO
Cade il veto ideologico contro oppiacei e cannabinoidi
BONINO:
ATTO DI
GIUSTIZIA
E UMANITÀ
Comunicato del Consiglio dei Ministri
n. 134 del 19 ottobre 2006
Il Consiglio dei Ministri ha approvato due
provvedimenti presentati dal Ministro della
Salute Livia Turco.
Più facile prescrivere i farmaci contro il dolore
Il primo provvedimento, approvato oggi dal
Governo, riguarda una serie di “misure di
semplificazione degli adempimenti
amministrativi connessi alla tutela della salute e
altri interventi in materia sanitaria”. Ancora oggi
in Italia è difficile accedere ai farmaci per
combattere il dolore.
Queste difficoltà ci pongono tra gli ultimi posti in
Europa per le prescrizioni dei farmaci oppiacei
che servono a combattere il dolore e le
sofferenze, cui sono costretti milioni di italiani
colpiti da gravi malattie come il cancro, ma
anche da patologie croniche e invalidanti.
Con questo ddl si agisce su più fronti:
• viene semplificata la prescrizione dei farmaci
oppiacei, consentendo al medico di utilizzare il
ricettario normale anziché quello speciale,
eliminando così le difficoltà burocratiche che
spesso rendono difficili tali prescrizioni,
• viene consentita la prescrizione dei medicinali
oppiacei anche al di fuori delle patologie
oncologiche e quindi per quelle malattie
croniche o invalidanti per le quali un’adeguata
terapia del dolore è essenziale per garantire una
migliore qualità della vita ai pazienti,
• si semplifica l’aggiornamento periodico
dell’elenco dei farmaci oppiacei che potrà
avvenire con un decreto ministeriale, sentito il
Consiglio Superiore di Sanità, senza dover
ricorrere a modifiche legislative come è invece
previsto oggi,
• si rende più agile la gestione dei registri per il
controllo del movimento degli stupefacenti ad
uso terapeutico facilitando il lavoro dei medici e
dei farmacisti
• si integra la tabella specifica dove sono inseriti
gli stupefacenti ad uso terapeutico con due
farmaci a base di sostanze cannabinoidi già in
uso Canada, Usa, Gran Bretagna, Svizzera,
Olanda, Belgio e Germania.
Dalla parte delle mamme e del bambino per una
maternità naturale e assistita
Il secondo riguarda “la tutela dei diritti della
partoriente, la promozione del parto fisiologico e
la salvaguardia della salute del neonato”.
• Favorire il parto fisiologico e ridurre il ricorso al
parto cesareo.
• Promuovere il parto senza dolore inserendo
l’anestesia epidurale tra i Livelli essenziali di
assistenza.
• Attivare nell’ambito del “118” il trasporto del
neonato in emergenza.
• Incrementare l’attività dei consultori e
promuovere l’allattamento al seno.
• Superare le disequità territoriali e sociali per
l’accesso ai servizi di tutela materno infantile
con attenzione particolare alla popolazione
immigrata.
"Un atto di giustizia e di
umanità, ottenuto grazie alla
determinazione della collega
Livia Turco". "Semplificare la
somministrazione degli
antidolorifici, compresi
quelli che contengono
principi attivi derivati da
cannabis e gli oppiacei è un
modo importante di
incentivare e sostenere
un'area fondamentale
dell'assistenza sanitaria e
della tutela della salute: la
terapia del dolore".
CAPPATO:
BUON SENSO
VS IDEOLOGIA
Il via libera dato dal Governo
rappresenta finalmente un
criterio alternativo all’ideologia
proibizionista su tutto, anche al
buon senso terapeutico.
DOLORE ALL’ITALIANA
semplificazioni per la prescrizione introdotte dai
Ministri Veronesi e Sirchia, e da ultima la
proposta di legge del Ministro Livia Turco,
fortemente benvenuta, ma la mentalità è difficile
da estirpare.
La Croce Rossa Italiana, la cui “missione” è quella
di intervenire a favore delle persone più
vulnerabili, intende dichiarare guerra al dolore, in
tutte le sue diverse accezioni: non solo quello
eclatante degli ammalati di tumore o di AIDS, ma
anche quello più subdolo perché meno definibile
dei tossicomani lasciati in astinenza per metodi
di “cura” inutilmente severi e punitivi.
MASSIMO BARRA
Presidente della Croce Rossa Italiana
Le statistiche non sono omogenee. Secondo
alcune, l’Italia è al 103° posto nel mondo per
quantità di morfina usata nella terapia del dolore,
assieme alla Bulgaria. Secondo altre siamo al 101°
posto, dopo Uganda e Nigeria. Certo è che mentre
in Danimarca nel 2001 sono stati usati 65 mg di
morfina pro-capite, nel nostro paese ne abbiamo
utilizzati appena 4. Molto poco rispetto a Francia
(36 mg) USA (35 mg) e perfino Macedonia (37
mg), nello stesso periodo.
Certo è anche che l’Italia non si è distinta in
passato, con lodevoli eccezioni, nella
considerazione per la terapia del dolore. Così
tanti, troppi ammalati di tumore sono stati curati
con antidepressivi o con altri farmaci inadeguati
a calmare il dolore, con sofferenze gratuite e
inutili, che facilmente avrebbero potuto essere
evitate.
Alla base di questi riprovevoli errori terapeutici
c’è la retorica del valore salvifico del dolore
(diffusa, credo, tra chi non ha mai patito un vero,
grande dolore), ma anche l’ignoranza sui
meccanismi della dipendenza e tutto un sistema
burocratico-legislativo che ha posto in passato i
medici nella sgradevole condizione di rischiare di
essere confusi con gli spacciatori.
A ciò si sono opposte positivamente le
Con l’esperienza che ci deriva da milioni di
interventi annuali a favore di chi ha bisogno, la
CRI fa appello a tutti gli Italiani perché
considerino o facciano considerare con la dovuta
attenzione ed il dovuto rispetto le terapie contro
tutti i dolori.
Anche perché i vulnerabili non sono solo gli altri,
e nello spazio di un mattino ognuno di noi lo può
diventare.
DAL CORPO DEI
MALATI AL CUORE
DELLA POLITICA
CELLULE
DI ALTERNATIVA
29
ISCRITTI 2006
SETTEMBRE
SMS AI SORDI: OTTOBRE
L’AUTORITA’
BATTE UN
COLPO
APERTO IL CONFRONTO CON
LE COMPAGNIE TELEFONICHE
L’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, a seguito
dell’incontro dello scorso 11
settembre con i rappresentanti
dell’Associazione Luca Coscioni,
interessati all’applicazione di
prezzi di costo o tariffe agevolate
forfetarie per i servizi a valore
aggiunto di SMS e MMS per i non
udenti completi, su iniziativa dei
Commissari Roberto Napoli e
Gianluigi Magri, ha deciso di
avviare un confronto con gli
operatori di telefonia mobile, per
le valutazione di possibili
soluzioni alle richieste avanzate.
Tale intervento, legittimato, tra
l’altro, dalle disposizioni
contenute nell’art. 57 del Codice
delle Comunicazioni Elettroniche,
rappresenta il primo passo di
un’iniziativa volta a definire, con
tutti gli operatori di
comunicazione elettronica e con
le rappresentanze delle categorie
di portatori di handicap, misure
regolamentari che facilitino
l’accesso, da parte dei soggetti
diversamente abili, ai servizi di
ICT.
La disponibilità di strumenti e
soluzioni tecniche, hardware e
software, che consentano a tali
soggetti di superare o ridurre le
condizioni di svantaggio
nell’accesso ai servizi erogati dai
sistemi informatici è considerato
infatti obiettivo fondamentale
dell’Autorità, che già nel 2001 ha
definito condizioni economiche
agevolate per il servizio di
telefonia vocale a particolari
categorie di utenti e nel 2003 ha
evidenziato -nella Direttiva sulla
Carta e qualità dei Servizi di
telecomunicazioni – la necessità
di precise indicazioni, da parte
degli organismi di
telecomunicazioni, di strumenti
per l’eliminazione di barriere
comunicative a danno dei
diversamente abili.
PURCHÉ NON RESTI UNA
PETIZIONE DI PRINCIPIO
JOSÉ DE FALCO
Dopo questo “primo passo”,
l’Associazione farà di tutto perché ne
seguano ulteriori in tempi brevi,
apprezzando la disponibilità e
l’approccio che l’Autorità e i
commissari, “sponsor” del tavolo,
hanno voluto prestare alla questione.
Ora vedremo se l’attività posta in essere
darà luogo a provvedimenti concreti,
anche di tipo regolamentare, tali da
rispondere alle esigenze delle persone
disabili e non finisca in una mera
petizione di principio, della quale non
si sente alcun bisogno.
Oltre a monitorare l’attività
dell’Autorità, è ora necessario chiedere
risposte dalle compagnie telefoniche,
nella convinzione che un rapporto
franco e diretto possa portare ad una
spedita risoluzione del problema.
Il 23 ottobre abbiamo incontrato i
responsabili Vodafone per analizzare il
problema dei costi degli Sms. Le
risposte sono state interlocutorie, ma si
sono comunque prospettate diverse
ipotesi di lavoro. Ad esempio,
segnaliamo la sperimentazione
attraverso il progetto “SMS per la vita”
promosso da Vodafone in atto presso la
Questura di Padova con il quale si è
dotato il centralino del sevizio di
emergenza (il cd. 113) della tecnologia
in grado ricevere anche via SMS
richieste di aiuto e d’emergenza,
ponendo fine alla inaccettabile
impossibilità per il cittadino audioleso
di essere ascoltato e soccorso. Esiste un
impegno di Vodafone per estendere la
“sperimentazione” all’intero territorio
nazionale. Come associazione Coscioni
siamo disponibili a promuovere lo
sviluppo di questo tipo di servizio
presso le comunità locali e le varie
strutture di emergenza cui il cittadino
normalmente fa riferimento.
Luisa Acerbi € 100
Erminia Africano € 100
Giuseppe Alesina € 100
Luciana Amarj € 100
Ileana B. Ambrosini € 100
Romano Andreani € 100
Annamaria Annese € 100
Sebastiano Aru € 100
Giovanni Attucci € 100
Paolo Aveta € 100
Maria Rosa Baisotti € 100
Roberto Baldini € 500
Fabio Ballico € 100
Alessandro Barchiesi € 100
Massimiliano Bardani € 100
Mauro Barni € 100
Daniela Bassignani € 100
Valentina Batini € 100
Vittorio Beneduce € 200
Lucio Berte' € 150
Patrizia Berti € 100
Elena Betta € 100
Giovanna Boccolini € 100
Giannandrea Bodini € 100
Adriana Bongiovanni € 100
Giorgio Bonucci € 100
Mirella Borroni € 100
Emilio Brasca € 100
Massimo Bulckaen € 100
Maria Grazia Caligaris € 100
Piergiuseppe Camici € 100
Costanza Camilli € 100
Luigi Cancrini € 100
Claudio Candidori € 100
Paola Boglino € 100
Luciana Caporali € 100
Basilio Caporossi € 100
Marco Caracciolo € 150
Luca Carra € 100
Luigi Livio Casale € 100
Rosella Colombo € 100
Michele Casciani € 100
Laura Casiraghi € 100
Oliviero Mastelli € 150
Gianluca Cavazza € 100
Pierina Cecconi € 100
Vittorio Ceradini € 100
Gian Luca Chiesa € 100
Carlo Chiopris € 200
Roberto Cicciomessere € 100
Alessandro Cirinei € 100
Maria Clemente € 100
Maria Carmen Colitti € 300
Marco Furio Colombo € 200
Carlo Consiglio € 100
Bruno Conterno € 200
Gianni Conti € 100
Fausta Cozzi € 200
Marcello Crivellini € 100
Alessandro Curti € 100
Paolo D'ambrosio € 100
Anna Maria Dalfino € 100
Roberto Damiani € 100
Domenico Danza € 300
Jose' De Falco € 100
Erminia De Felice € 100
Antonio De Luca € 100
Roberto Defez € 100
Paolo Del Gallo € 150
Gianfranco Di Stefano € 100
Giorgio Di Stefano € 100
Adriana Diurno € 183,32
Carla Dodero € 100
Massimo Donadi € 100
Piergiorgio Donatelli € 100
Alberto Duccini € 100
Marco Eminente € 100
Osvaldo Ercoli € 100
Angela Fabbri € 100
Carla Faccioli Gorini € 100
Marco Fallabrini € 100
Ideo Fantini € 100
Maria Farruggia € 100
Luigi Fava € 100
Enrico Ferranti € 100
Franco Ferrero € 100
Giovanni Figà Talamanca € 100
Nico Filigheddu € 100
Abele Fini € 100
Massimo Fortini € 100
Grazia Francescato € 200
Vittoria Franco € 120
Carla Frigieri € 150
Giuseppe Gagliardi € 100
Danilo Galassi € 100
Mauro Galletti € 100
Tiziana Garlato € 100
Antonio Gerra € 100
Roberto Giaconi € 100
Mariella Maiuri € 100
Federica Gironi € 100
Giuseppe Giulietti € 100
Margherita Hack € 100
Vincenza Angela Iannello € 100
Giorgio Inzani € 180
Massimo Ippolito € 100
Alessio Isanz € 100
Loredana Jelmini € 100
Raffaele La Capria € 100
Andrea Lancellotti € 100
Mauro Lanzini € 100
Claudio Lenti € 300
Carla Lessa € 100
Guido Luciano Lessa € 100
Marina Liberatori € 200
Giuseppe Lisciani € 100
Claudia Livi € 100
Chantal Lucchini € 100
Claudio Malfatto € 100
Mauro Marchesi € 100
Stefano Marselli € 100
Patrizia Martinelli € 100
Ottavio Marzocchi € 250
Mirco Mascalzoni € 100
Angela Mastroviti € 130
Daniele Maughelli € 100
Gianluigi Mazzufferi € 100
Cesare Meloni € 200
Paola Rita Milanoli € 100
Anna Molteni € 200
Leonardo Monopoli € 100
Pierpaolo Morosini € 200
Giovanni Multinu € 100
Salvatore Napoli € 150
Giovanna Nardi € 100
Demetrio Neri € 100
Riccardo Nogara € 100
Carmelo Nucera € 100
Claudio Pacetti € 100
Massimo Pagnotta € 100
Michele Pani € 100
Marco Pappalardo € 100
Giuliano Pastori € 100
Paolo Pe' € 100
Stefano Pedica € 100
Piero Pedrotti Catoni € 100
Giancarla Perdoni € 100
Maria Angela Perelli € 100
Valerio Peruzzi € 100
Carlo Pincelli € 100
Daniele Platè € 100
Roberto Poggiali € 100
Roberto Poletti € 100
Zarko Prebil € 100
Eleonora Pronesti € 100
Arnaldo Ragni € 100
Mauro Ramponi € 100
Gianluigi Rasca € 100
Rolando Renzi € 100
Claudia Ricci € 100
Franco Riva € 200
Massimiliano Rizzo € 100
Massimo Robba € 100
Giannicola Rocca € 100
Carlo Rodia € 100
Carlo Rosati € 100
Oreste Roseo € 100
Antonio Ruelle € 100
Paolo Ruggiu € 100
Assuntino Ruoi € 100
Giorgio Russo € 100
Marcello Sadocchi € 100
Pietro Ugo Scaringi € 100
Elena Schionato € 100
Francesco Schlitzer € 100
Luciano Segatori € 100
Emiliano Cecinelli € 100
Vincenzo Simon € 100
Luigi Simoncini € 200
Emilia Simonetti € 100
Daniele Stigler € 100
Paolo Strazzera € 100
Saverio Mauro Tassi € 100
Vittorio Tassinari € 100
Caterina Tavani € 100
Giovanni Tedesi € 100
Pierluigi Telattin € 100
Guido Trampi € 200
Antonio Trisciuoglio € 100
Alfonso Tropea € 100
Giovanna Truda € 100
Marco Turco € 100
Fabio Valcanover € 200
Chiara Valentini € 150
Nicoletta Valestra € 200
Arcangelo Vecchi € 200
Giovanni Vegetti € 100
Silvio Viale € 100
Fausta Vincenzi € 200
Marta Vincenzi € 100
Andrea Volpi € 100
Gerolamo Zucchi € 100
IL NUMERO DUE DI “AGENDA COSCIONI” È STATO
CHIUSO GIOVEDÌ 2 NOVEMBRE 2006 ALLE ORE 22.
DIRETTORE:
Marco Cappato
HANNO COLLABORATO:
Angiolo Bandinelli, Rocco Berardo, Alessandro Capriccioli, Edoardo Cicchinelli, Josè De Falco,
Maria Antonietta Farina Coscioni, Andrea Francioni,
Giulia Innocenzi, Chiara Lalli, Stefania Langiu, Valerio
Lo Prete, Simona Nazzaro, Maria Pamini, Mirella
Parachini, Marco Perduca, Giulia Simi, Carmen
Sorrentino, Gianfranco Spadaccia.
PROGETTO GRAFICO:
Roberto Pavan
GRAFICA:
Mihai Romanciuc
ILLUSTRAZIONI:
Paolo Cardoni
30
DAL CORPO DEI
MALATI AL CUORE
DELLA POLITICA
M
i chiamo Paola Porcu e ho la sclerosi
multipla. Sono nata il 29 aprile del
1959 e abito a Putignano Pisano. Sono
separata da 18 anni e ho due figli
grandi nati dal mio primo matrimonio. Ora vivo
con Antonello (il suo vero nome è Antonio ma
tutti lo chiamano così).
@
CELLULE
DI ALTERNATIVA
Ho avuto la mia bella diagnosi sei anni e mezzo
fa. Ero in ferie. Prime vere ferie. Ero arrivata ad
un momento della mia vita in cui dicevo:
“Accidenti, va tutto bene! I ragazzi sono grandi,
Desirée studia all’università con ottimi risultati,
Alessandro lavora. Io ho un lavoro sicuro dopo
anni d’incertezze e sono in vacanza con
Antonello: mare, sole, albergo, un sogno!”.
Una mattina mi sveglio con la parte destra del
volto addormentata. Da quella parte non
sentivo più niente. Al pronto soccorso del luogo
mi dissero che era una “frescata”:
evidentemente non sapevano bene che cosa
dire. Appena rientrata a Pisa mi sono recata in
ospedale e dopo una semplice occhiata mi
hanno fatto una tac. Hanno visto subito una
placca e mi hanno ricoverata immediatamente.
Parlo con chiunque e con tranquillità del mio
“angelo custode” e questo mi fa sentire molto
forte, mi sembra di esorcizzare la malattia. Sono
serena perché nonostante la mia sia una
malattia molto grave la ricerca sta facendo passi
da gigante. Il farmaco che sto prendendo non fa
guarire, ma rallenta il decorso della malattia e
fortunatamente non devo pagarlo (28 fiale, che
bastano per 4 settimane, costano circa 1300
euro!).
Non mi rendevo conto di niente. Forse non
volevo. Nei 15 giorni di ricovero mi hanno
rivoltata come un calzino. La diagnosi fu
“Sindrome demielinizzante”. Io, nonostante sia
informata un po’ su tutto perché sono una
persona curiosa che legge molto, continuavo a
non capire… o forse continuavo a non voler
capire.
Quando però mi sono sentita dire per la prima
volta: SCLEROSI MULTIPLA, mi è crollato il
mondo addosso. Volevo farla finita! Il mio
compagno, mia figlia, mia sorella, pur sapendolo,
avevano taciuto. Ma credetemi, si è trattato di
pochi attimi! Sono una persona molto
determinata. Ho cominciato ad informarmi.
Volevo sapere quale era il mostro contro cui
dovevo lottare. Ho iniziato a telefonare all’AISM
(Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e a
richiedere documentazione. Antonello diceva che
mi facevo solo del male, ma io sono andata avanti
imperterrita. Ho fatto anche due anni di
volontariato durante i quali ho scritto su diversi
quotidiani locali per sensibilizzare l’opinione
pubblica e trovare nuovi volontari. Sono rimasta
assente dal lavoro sei mesi.
La cosa peggiore è stata dirlo ai miei conoscenti,
quasi fosse una cosa di cui vergognarsi. C’era
chi mi compativa, chi mi guardava e mi faceva la
classica domanda idiota: “Ma si può
trasmettere?”. Ora, ripensandoci, tutto questo
mi fa ridere. Ma in certi periodi è stata dura
anche per me! Dirlo a mio figlio Alessandro è
stata la cosa più difficile. Ancora adesso ne
soffre molto.
Oggi ho un nuovo lavoro, in una stazione di
servizio, addetta alla cassa, barista, part-time.
La più grossa ricaduta l’ho avuta due anni fa.
Ho provato l’ebbrezza della sedia a rotelle per
un mesetto e vi assicuro che non è per niente
comoda! Dal maggio 2004 ho iniziato a fare il
copaxone, in altre parole mi buco ogni giorno.
Nel giugno scorso sono stata ricoverata a causa
di nuove lesioni spinali e da quel periodo soffro
di ipoestesia termica in tutta la parte sinistra del
corpo.
PAOLA
IL MIO
“ANGELO
CUSTODE”
Ho la fortuna di avere vicino un uomo fantastico
che ha anche imparato a spararmi le punture:
che voglio di più? Voglio che la sperimentazione
vada avanti, perché per me, per noi malati di
sclerosi multipla, è importante. L’Associazione
Luca Coscioni si batte perché ciò avvenga. La
ricerca è l’unica cosa che ci fa sperare in un
futuro migliore e solo la speranza ci permette di
pensare che un giorno saremo come prima,
magari con qualche anno in più ma con
immutata voglia di vivere, che non deve mai
abbandonarci. Io, comunque, vorrei poter
sempre decidere in coscienza della mia vita,
senza che siano altri a farlo per me.
Chi desidera pubblicare la propria storia
sull’Agenda Coscioni può inviarla a
[email protected]
HANNO DATO VITA AI TAVOLI FINORA
Ascoli Piceno: Alessandra Ancona;
Avellino: Bruno Gambardella, Enrico De
Simone; Belluno: Michele Bortoluzzi;
Bergamo: Romano Perico, Serena De
Santis; Bologna: Adele Fini, Fabrizio
Gambarini, Andrea Panzini; Bolzano:
Achille Chiomento, Claudio Degasperi,
Elena Dondio, Diego Lubelli, Donatella
Trevisan; Brescia: Anna Bertani,
Giovanni Colucci, Cesare Giovanardi,
Walter Lancini, Fiorenzo Negrizioli,
Tiziano Paloschi; Cagliari: Michele
Demontis, Carlo Loi, Sara Mallus,
Marcello Medici ; Catanzaro: Giuseppe
Candido; Cremona: Luigi Cimurri,
Ermanno De Rosa, Fabio Favalli, Sergio
Ravelli; Cropani (CZ): Patrizia Aiello,
Giuseppe Candido, Raffaele Mercurio;
Crotone: Patrizia Carella, Francesco
Laruccia; Fasano: Gennaro Di Ceglie,
Biagio Grassi, Francesco Mauro,
Leonardo Monopoli, Oronzo Soleti,
Sergio Tatarano; Ferrara: Daniele
Bregola, Mario Zamorani; Firenze:
Claudia Moretti, Antonio Bacchi;
Foggia: Anna Antonaccio, Paolo
Biscotti, Angela Ferrucci, Alfonso Iuppa,
Cristiano Maiorino, Giuseppe Rinaldi,
Angela Scaramuzzi, Andrea Trisciuoglio;
Forlì: Francesco Laruccia; Genova: Renè
Andreani, Patrizia Defusco, Fabiana
Falvo, Tonino Falvo, Gildo Liberti;
Latronico, Matera e Potenza: Maria
Antonietta
Ciminelli,
Maurizio
Bolognetti, Mario Colella, Giuseppe
Morelli; Lecce: Roberta Bianco; Lecco:
Sergio De Mauro, Enrica Pianelli;
Milano: Daniele Arletti, Valerio
Federico, Giovanni Mastroeni, Diego
Mazzola, Anna Missiaia, Nathalie
Pisano, Brunella Polignano, Yasmine
Ravaglia, Simone Scali, Rita Sergio,
Emiliano Silvestri, Mario Sperlinga,
Manlio Corsi Mele, FGS Milano; Mestre:
Roberto Di Venere, Franco Fois;
Modena: Emilio Salemme; Monza:
Alessandro
Asinai,
Giuseppe
Compagnini, Francesca Fontana, Titti
Milanoli, Barbara Sanua; Napoli: Paolo
Breccia, Piergiorgio Focas, Vincenzo
Improta, Irene Lepre, Aldo Loris Rossi,
Imma Mariniello, Lorenzo Pascucci,
Domenico Spena; Novara: Roberto
Casonato, Eric De Rosa, Antonio Pesare,
Nathalie Pisano, Dominique Velati;
Padova: Michele Bortoluzzi Ambra
Principe; Palermo: Pietro Ancona,
Giannandrea D'agnino; Pistoia: Roberto
Giaconi, Vittoria Bollettieri, Manila
Michelotti; Reggio Calabria: Carmelo
Giuseppe Nucera; Roma: Nicolas
Ballario, Marcelle Blancasi, Alessandro
Capriccioli, Josè de Falco, Germana
Grassi, Katia Jacobelli, Marianna
Mascioletti, Massimo Masotti, NO God,
Maria Pamini, Giuliano Pastori,
Federico Ponti, Carmen Sorrentino,
Marco Tosi; Salerno: Domenico Danza,
Filomena Gallo, Mariangela Perelli; San
Giovanni Valdarno: Marco Bazzichi,
Marco Malatesta, Edoardo Quaquini;
Sassari: Laura Dessì, Maria Isabella
Puggioni, Paolo Ruggiu; Sellia Marina:
Sellia Marina, Patrizia Aiello, Franco
Callipo, Giuseppe Cristopalo, Nicola
Galea, Sezione PDCI; Siena: Giulia Simi,
Andrea Francioni; Torino: Igor Boni,
Andrea Buscema, Paolo Cirio, Luciano
Costa, Carlo Donati, Alessandro
Frezzato, Giulio Manfredi; Tortona:
Riccardo Canevari, Maddalena Crudeli,
Enzo Giungato, Leo Noce, Giancarla
Perdoni, Andrea Pessarelli; Verona:
Laura Vantini; Villa Literno: Nicola
Griffo, Antonio Tessitore, Antonella
Pedana, Claudia Nucci.
DA OGGI PARTECIPA ANCHE TU...
DIVENTA
AZIONE
CELLULE
DI ALTERNATIVA
31
IL 18 E 19 MOBILITAZIONE
PER L’EUTANASIA
Petizione popolare perchè il Parlamento avvii un’indagine conoscitiva sul fenomeno dell’eutanasia clandestina e inizi il dibattito
sulle proposte di legge in materia
Sabato 18 novembre
Domenica 19 novembre
Avellino, via Vittorio Emanuele, dalle 10:30 alle 13:00
Belluno, piazza dei Martiri, dalle 16:00 alle 18:00
Bergamo, largo Rezzara, dalle 10:00 alle 19:00
Bologna, via IV Novembre, dalle 16:00 alle 18:00
Brescia, corso Garibaldi, dalle 15:00 alle 19:00
Costernino, via S. Quirico, dalle 10:30 alle 13:30
Crotone, Piazza della Resistenza, dalle 17:00 alle 21
Ferrara, piazza Trento e Trieste, dalle 17:30 alle 20:00
Forlì, piazza Saffi, dalle 16:00 alle 18:00
Genova, via XX Settembre, dalle 16:30 alle 19:00
Latronico (PZ), P.za Umberto I, dalle 10:00 alle 13:30
Lecco, via XX Settembre, dalle 9:00 alle 19:00
Milano , Largo Corsia dei Servi, dalle 15.30 alle 19:00
Modena, corso Canalchiaro, dalle 15:00 alle 20:00
Monza, piazza dell'Arengario, dalle 10:00 alle 19:00
Napoli, Piazza Trieste e Trento, dalle 11:00 alle 14:00
Napoli, Via Scarlatti, dalle 17:00 alle 21:00
Palermo, via Ruggero Settimo, dalle 10:00 alle 12:30
Padova, Prato della Valle, dalle 10:00 alle 13:00
Roma, Largo di Torre Argentina, dalle 10:30 alle 13:00
Roma, Piazza Campo de’ Fiori, dalle 16:00 alle 18:00
Roma, San Giovanni, dalle 16:00 alle 18:00
Sassari, Grattacielo Vecchio, 16:00 alle 18:00
S. Benedetto del Tronto (AP), via Secondo Moretti,
dalle 16:00 alle 18:00
Torino, via Garibaldi, dalle 16:00 alle 18:00
Tortona (AL), via Emilia, dalle 16:00 alle 19:00
Voghera (PV), piazza Duomo, dalle 9:00 alle 12:30
Ascoli Piceno, piazza del Popolo, dalle 10:00 alle 18:00
Avellino, via Vittorio Emanuele, dalle 10:30 alle 13:00
Belluno, piazza dei Martiri, dalle 10:30 alle 13:00
Bergamo, in Colle Aperto, dalle 10:00 alle 19:00
Brescia, corso Garibaldi, dalle 10:00 alle 13:00
Cremona, via Monteverdi, dalle 10:00 alle 12:30
Crotone, via Vittorio Veneto, dalle 10:00 alle 13:00
Ferrara, piazza Trento e Trieste, dalle 17:30 alle 19:30
Firenze, viale Fanti, dalle 10:00 alle 13:00
Foggia, corso Vittorio Emanuele, dalle 11:00 alle 13:00
Genova, via XX Settembre, dalle 16:00 alle 19:30
Lecco, via Roma, dalle 9:00 alle 19:00
Martina Franca (TA), piazza XX Settembre, dalle 10:30 alle 13:30
Matera, piazza Vittorio Veneto, dalle 11:00 alle 13:00
Milano, via Sarfatti, dalle 10:30 alle 14:00
Napoli, lungomare Caracciolo, dalle 17:00 alle 20:00
Novara, corso Cavour, dalle 15:30 alle 18:00
Palermo, via Ruggero Settimo, dalle 10:00 alle 12:30
Roma, Largo di Torre Argentina, dalle 10:00 alle 12:30
Roma, Portaportese, dalle 10:00 12:30
Salerno, lungomare Trieste, dalle 10:00 alle 14:00
San Givanni Valdarno (AR), piazza Cavour, dalle 10:30 alle 12:00
Sassari, Grattacielo Vecchio, dalle 10:00 alle 13:00
Torino, piazza Castello, dalle 10:30 alle 12:30
Tortona (AL), via Emilia, dalle 16:00 alle 19:00
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