ru486 e aborto - Associazione Luca Coscioni
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ru486 e aborto - Associazione Luca Coscioni
NOTIZIE RADICALI QUOTIDIANO - N.2 3 NOVEMBRE 2006 AUT. TRIB. ROMA 11673 DEL 13.07.1967 - DIR. RESP. AURELIO CANDIDO VIA DI TORRE ARGENTINA, 76 00186 ROMA SPEDIZIONE IN ABB. POSTALE ART.2 COMMA 20 C LEGGE 662/96 FILIALE DI ROMA MENSILE DI INIZIATIVA POLITICA E NONVIOLENTA DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI, PER IL CONGRESSO MONDIALE PER LA LIBERTÀ DI RICERCA Agenda Coscioni Numero Due Novembre 2006 Direttore Marco Cappato MORS MEA VITA MEA PIERO WELBY: POSSO MORIRE SENZA CHE MI SI CONDANNI A SOFFRIRE? Le autorevoli risposte del Seminario dell’Associazione Coscioni con Ignazio Marino RU486 E ABORTO: Medici di tutto il mondo al grande Congresso FIAPAC. I fondamentalisti li attaccano. I conformisti progressisti tacciono. EUTANASIA: MOBILITAZIONE STRAORDINARIA IL 18 E 19 NOVEMBRE ISCRIZIONI: APERTA LA CAMPAGNA 2007 ABORTO E RU486 Congresso Fiapac 2 3 Caso Viale 5 Proposta di legge “Coscioni” 6 7 “La storia” 8 EUTANASIA Seminario “Welby:posso morire senza condanna a soffrire?” 9-17 Emilio Vesce 18-21 ROSA NEL PUGNO Appello Landolfi Lettera aperta di Pannella a Prodi 22 POLITICA Lidia Menapace 23 Bandinelli 24 Governo, sì terapie anti-dolore 28 RICERCA Staminali: “Una domanda da 7,5 milioni di euro” 25 26 Dal mondo 27 IN AZIONE Sms sordi Storia di speranza Cellule Coscioni Mobilitazione Iscrizioni 29-32 2 CONGRESSO FIAPAC : RU486 E ABORTO MEDICINA ANTI-IDEOLOGICA L’incontro Fiapac ha ricollocato il dibattito sull’aborto quale pratica medica sottoposta al confronto scientifico MIRELLA PARACHINI Nel 2000 ricevetti una telefonata di Emma Bonino che mi chiese:”Conosci mica un ginecologo interessato ad una riunione sull’aborto a Parigi?”. Confesso di averci dovuto pensare un po’ prima di rendermi conto che Emma mi stava chiedendo di occuparmene. E ancora oggi non so se l’ho mai ringraziata. È stato così che ho avuto modo di conoscere un “altro” mondo, un mondo che apparteneva sì alla medicina, ma che si occupava di un tabù per la medicina che frequentavo negli ospedali italiani, un argomento che non veniva praticamente mai studiato. Gli unici dati “esatti” sugli aborti erano le asettiche cifre dei numeri che il Ministro della Sanità dichiarava annualmente davanti al Parlamento, come da dettato della legge 194. Cifre che peraltro indicavano invariabilmente che gli aborti, in Italia, dall’applicazione della legge in poi, andavano diminuendo di anno in anno. Ma quanto alle tecniche, all’approccio con la paziente, alle modalità organizzative, alle innovazioni da proporre: zero. Fermi al metodo Karman, nella migliore delle ipotesi, quando non addirittura al raschiamento. Voglio raccontare un episodio, a questo proposito, dei primi anni ottanta. Un giorno ricoverai una paziente con un aborto spontaneo in una importante clinica romana, gestita da personale religioso. Dovevo sottoporla ad una cosiddetta “revisione della cavità uterina”, cioè allo svuotamento del materiale abortivo ritenuto in utero. Quando, in sala operatoria, chiesi una cannula per aspirare il materiale per fare una isterosuzione, mi risposero che nella clinica non era disponibile un isterosuttore. Che dovevo fare un raschiamento tradizionale. A tal punto l’isterosuttore in questione veniva equiparato all’interruzione volontaria della gravidanza che la clinica, per non correre il rischio di equivocare,non aveva proprio. Quella paziente, che aveva scelto un ambiente di sanità privata, veniva così penalizzata ad essere sottoposta ad un intervento che rappresentava un passo indietro rispetto all’innovazione dell’aspirazione... (da quel momento non ho mai più ricoverato una paziente con aborto spontaneo in clinica privata). Questo è un esempio di medicina “ideologica”. E nel nostro paese l’aborto volontario è ancora oggi un IL CONGRESSO DI ROMA “Nell’intero ambito della medicina non c’è argomento che abbia creato maggiori controversie, attraverso la storia, della interruzione volontaria della gravidanza.” Con queste parole Giuseppe Benagiano, Professore di Ostetricia e Ginecologia dell’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, ha inaugurato il Settimo Congresso della FIAPAC che si è tenuto a Roma nei giorni 13 e 14 Ottobre 2006. Il congresso, patrocinato dall’Assessorato alle Politiche per la semplificazione, la comunicazione e le pari opportunità del Comune di Roma e presentato alla stampa dall’assessore Mariella Gramaglia, ha visto la partecipazione, per la prima volta in Italia, di più di 450 operatori provenienti da una quarantina di Paesi, tra i quali Cina, Taiwan, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Russia, Tunisia, Georgia, Canada, Sud Africa e Turchia. L’OMS ha partecipato ai lavori con alcuni rappresentanti delle proprie agenzie. La stessa riunione due anni fa si era svolta a atto medico sottoposto ad un condizionamento di natura esclusivamente ideologica: con il risultato – paradossale - che chi è contrario all’aborto detta le condizioni del suo svolgimento! esattamente quello che è successo con la procreazione medicalmente assistita: un parlamento a maggioranza contrario alla PMA ne ha codificato le modalità di esecuzione, scavalcando ogni evidenza scientifica di “buona pratica clinica” e creando una legge mostruosa da un punto di vista medico. Quella stessa resistenza di ieri al metodo Karman continua oggi con la resistenza all’introduzione dell’aborto farmacologico in Italia. Battaglia che i radicali perseguono sapete da quanto tempo? Da venticinque anni!! Così come negli anni Settanta i radicali e il MLD (Movimento di Liberazione della Donna) avevano organizzato, nella sede di via di Torre Argentina, un seminario di aggiornamento per i medici sul metodo dell’aborto per aspirazione, invitando il Signor Karman, così nel 1981 presentavano, in una Vienna, senza polemiche, e tra due anni si svolgerà a Berlino. Durante il convegno è stata ribadita la sicurezza dei metodi medici e chirurgici per l’aborto, nonché l’impegno per la diffusione dei sistemi contraccettivi. Per quanto riguarda l’aborto medico, si sono confrontate le varie tecniche utilizzate nel mondo e, pur nella diversità delle realtà sanitarie, si è proseguito nello sforzo di individuare protocolli più sicuri ed efficaci. Particolare attenzione è stata data alla questione dei decessi registrati in Nord America (4 in California ed 1 in Canada) per il Clostridiun Sordellii, che molto risalto hanno avuto sui media. Tali decessi rimangono non spiegati, non sono collegabili direttamente alla Ru486 e non hanno riscontro negli altri paesi, tra i quali la Cina, che da anni utilizzano la RU486.Si è trattato di un convegno di alto valore scientifico e di confronto su temi difficili, sovente posti ai margini delle politiche sanitarie dei governi. La libertà dal pregiudizio, l'abbandono del principio di autorità e l'apertura al confronto critico sono all'origine della scienza moderna conferenza al Residence Ripetta, Marc Bygdeman del Karolinska Hospital di Stoccolma, il ricercatore che per primo aveva studiato la possibilità di applicare le prostaglandine nell’aborto quale alternativa al metodo chirurgico. Maurizio Mottola, medico radicale, riassumeva benissimo nel titolo di un articolo la questione tuttora aperta: “ Raschiamento, aspirazione, ovuli di analoghi di prostaglandina: un itinerario tecnico per l’autodeterminazione della donna.” Se mi appare del tutto evidente la necessità di continuare l’itinerario politico intrapreso con i radicali, e oggi più che mai con l’associazione Coscioni, per l’affermazione del principio di una scienza libera dal pregiudizio, l’incontro con la FIAPAC ha rappresentato la sede dove ricollocare il dibattito sull’aborto volontario quale pratica medica, che in quanto tale deve essere sottoposta al confronto in ambito scientifico, senza condizionamenti e pregiudizi ideologici, senza il complesso della Cenerentola della Ginecologia che ancora oggi tanti operatori di questo settore conoscono, e soprattutto potendo recepire quello che la medicina oggi propone: l’aborto farmacologico quale possibile scelta alternativa a disposizione della donna “paziente”. Come dice Gilberto Corbellini “La libertà dal pregiudizio, l’abbandono del principio di autorità quale strategia per risolvere le controversie e l’apertura al confronto critico basato su esperienze controllabili sono all’origine della scienza moderna”. DIECI ANNI DI COMPETENZA SCIENTIFICA La Fiapac è una organizzazione internazionale istituita con il duplice scopo di perseguire la libertà per tutte le donne di decidere se proseguire o meno la gravidanza e nel caso, di garantire gli standard migliori nella pratica dell’aborto e della contraccezione, al di fuori di scopi commerciali. Sin dalla sua fondazione, nel 1997, la Fiapac ha promosso un dibattito qualificato sull’interruzione volontaria della gravidanza, con la realizzazione di convegni internazionali in cui vengono messe a confronto le più importanti esperienze cliniche e di ricerca in tema di aborto e di contraccezione, restituendo questo particolarissimo campo della ginecologia al suo giusto ambito tecnicoscientifico. La Fiapac, anche per la storia delle personalità che l’hanno fondata, a partire dalla dott.ssa Elisabeth Aubény, la ginecologa che, prima nel mondo, ha sperimentato il metodo dell’aborto farmacologico con il Mifepristone presso l’ospedale Broussais di Parigi, rappresenta il luogo più qualificato di approfondimento e di studio di que- sto discusso argomento. Inoltre, la peculiarità della federazione di essere costituita non solo dagli operatori medici ma anche da tutte le figure implicate nel processo decisionale e nello svolgimento dell’intervento, quali le figure assistenziali del counselling, il personale infermieristico, ostetrico, psicologico, socio-sanitario e non ultimo da esperti del massimo livello nel campo epidemiologico, rappresenta un laboratorio unico per un approccio specifico e completo della tematica. CONGRESSO FIAPAC : RU486 E ABORTO 3 RELIGIONI, ABORTO E INFANTICIDIO Un punto di vista evoluzionistico e storico GILBERTO CORBELLINI Relazione al Congresso FIAPAC Le religioni sono, oggi, le principali istituzioni socio-culturali che si oppongono all’aborto. Nella maggior parte dei paesi in cui l’aborto è illegale, o in cui la sua legalità è a rischio, le organizzazioni religiose sono politicamente molto influenti. Di fronte ai dogmi attraverso cui le diverse dottrine religiose motivano la tesi circa l’illiceità dell’aborto, nessuna argomentazione razionale che dimostra i benefici della legalizzazione dell’aborto risulta efficace. Nondimeno, innumerevoli analisi antropologiche e storiche mostrano che l’aborto, così come l’infanticidio, erano comuni sia nelle società antiche sia in quelle moderne, e che le religioni tolleravano comunque queste pratiche – in determinate condizioni. La religione e l’aborto implicano una serie di comportamenti finalizzati a obiettivi predeterminati. La religione serve a regolare le interazioni sociali. L’aborto è un metodo per controllare le nascite e quindi le dimensioni delle popolazioni umane. Da un punto di vista sia evolutivo sia antropologico, la religione può essere definita come un fenomeno sociobiologico basato su predisposizioni cognitive umane, utili per elaborare credenze che rafforzino la cooperazione sociale. Il che significa che le religioni esisteranno fino a quando la nostra specie calcherà il pianeta. Tutte le dottrine religiose s’interessano ai comportamenti riproduttivi, prescrivendo una serie di comportamenti permessi e di credenze riguardanti il sesso e l’allevamento della prole. Il forte interesse per i comportamenti collegata alla riproduzione riguarda le religioni di ogni parte del mondo, e tutte stabiliscono in qualche modo quali condizioni sono giuste o sbagliate per la contraccezione, l’aborto e l’infanticidio. Inoltre, ognuna di esse controlla la sessualità adolescenziale, regola il divorzio, il matrimonio, la possibilità di risposarsi e la vedovanza. Anche se la specifica giustificazione teologica differisce tra le varie religioni, quasi tutte tentano di contrastare la contraccezione, l’aborto e l’infanticidio. Le proibizioni religiose di pratiche naturali di controllo delle nascite, incluso l’aborto, probabilmente aiutarono le civiltà umane a risolvere i seri problemi demografici, causati da una crescente mortalità infantile, conseguenti alla transizione da società basate sulla caccia e la raccolta, a quelle basate sull’agricoltura. Conseguentemente, le religioni giocarono un ruolo importante nel permettere le espansioni demografiche e successivamente geografiche, politiche e culturali delle civiltà e società umane. L’aumento dell’intolleranza verso pratiche che erano relativamente tollerate nel passato dalla maggior parte delle religioni è forse una conseguenza della dissonanza tra i contesti socio-politici antichi e moderni che frequentemente trasformano le religioni in istituzioni umane che non sono in grado di adattarsi al cambiamento dei tempi. Quasi tutti gli studiosi concordano che l’infanticidio e/o l’aborto rappresentavano delle concrete possibilità che venivano prese in considerazione nelle società di cacciatori-raccoglitori. Oggi l’aborto ad uno stadio avanzato della gestazione e l’infanticidio sono giudicati dalla maggior parte delle persone come qualcosa di orribile e ripu- gnante. E il diritto, la moralità ed il costume occidentale contemporaneo tracciano una netta distinzione fra l’infanticidio e l’aborto. Anche in altre culture è spesso presente una qualche distinzione fra l’omicidio illegale dei bambini e l’aborto legale dei feti, ma la linea divisoria fra i due fenomeni può aver luogo dopo la nascita, piuttosto che alla nascita stessa, cosicché la distinzione tra aborto e infanticidio talvolta non è del tutto definita. Da un punto di vista meramente pratico, l’infanticidio ha una serie di vantaggi rispetto all’aborto, soprattutto dove non siano disponibili strumenti sterilizzati per praticare l’aborto: è meno rischioso per la madre, consente decisioni all’ultimo minuto, e permette valutazioni eugeniche riguardo alla qualità della progenie. Non è illogico avanzare l’ipotesi che con l’incremento delle conoscenze medico-empiriche riguardanti la gravidanza anche la fattibilità dell’aborto sia incrementata. In conseguenza a ciò, è stato possibile limitare sia l’infanticidio che l’abbandono dei bambini, pratiche molto sofferte da parte delle donne. Dobbiamo comunque essere consapevoli del fatto che esistono elevate percentuali di bambini e di feti, in tutte le popolazioni urbane contemporanee, che generalmente non sono incluse nelle statistiche di mortalità. I tassi di aborto e di infanticidio, riportati e non, dovrebbero essere conteggiati anche nelle statistiche mediche delle società storiche e moderne, europee e americane. L’infanticidio e l’abbandono dei minori cominciarono a decrescere quando le società occidentali registrarono la transizione demografica che portò all’abbattimento della mortalità infantile a cui seguì il declino della natalità. Il tasso di mortalità infantile declinò prima di tutto a causa dei progressi dell’igiene e della medicina. Inizialmente le religioni non poterono osteggiare in modo eccessivo pratiche evolutesi nel corso di quasi un milione di anni. Cosicché, per gran parte dell’evoluzione storica del rapporto tra religione e aborto, le religioni maggiormente organizzate tollerarono in qualche modo sia l’infanticidio che l’aborto. Dallo studio degli antichi codici di diritto e dei primi testi medici emerge che l’aborto veniva condannato solo in relazione ai danni causati alle donne e alle economie famigliari. La condanna, cioè, non si riferiva alla protezione del feto, ma ai diritti dei genitori, soprattutto nei confronti del padre, il quale poteva decidere che una donna interrompesse la gravidanza o abbandonasse il bambino. Inoltre, le più antiche scuole mediche, fatta eccezione della setta di Ippocrate/Pitagora che formulò il cosiddetto giuramento di Ippocrate, praticavano l’aborto e condannavano l’interruzione di gravidanza solo quando la pratica era richiesta per evitare le conseguenze di un adulterio o il suo impatto estetico. Perché negli ultimi due secoli alcune religioni, in particolare quelle inserite nella tradizione cristiana, adottarono un’attitudine spiccatamente proibizionista? Sarebbe importante capire perché, durante la seconda metà del XIX secolo, la teologia cattolica decise di eliminare la differenza fra feti animati e inanimati e adottò un criterio immorale e criminale di giudizio affinché nessuna pratica di distruzione dei feti fosse permessa; benché, addirittura, in alcuni casi detto divieto significava la morte certa sia per la madre che per il figlio. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che questo cambiamento trovi la sua origine nell’inadeguatezza delle religioni a comprendere i nuovi contesti e le nuove forme di comportamento riproduttivo umano, rese possibili dai progressi sociali, economici, scientifici e medici che promuovono decisioni basate più sulle preferenze individuali che sulle convenienze della società. Inoltre, più recentemente, il progresso medico e la crescente medicalizzazione della gravidanza hanno permesso la costruzione sociale e culturale di immagini virtuali degli embrioni e dei feti che confondo le idee, supportando l’idea religiosa che essi siano in realtà dei piccoli bambini. ITALIA: I REIETTI DELLA GINECOLOGIA Una organizzazione quale la Fiapac assume nel nostro paese un ruolo inedito ed essenziale. Troppo spesso gli operatori di questa branca “cenerentola” della Ginecologia – la interruzione volontaria della gravidanza- si sentono ingiustamente relegati in un terreno reietto, senza il dovuto riconoscimento verso lo svolgimento di una procedura medico-chirurgica e come tale sottoposta alle regole della “good medical practice”. Uno dei compiti svolti dalla Fiapac è quello della formazione degli operatori. Se sul piano clinico e strumentale questo può sembrare assimilabile al ruolo di una qualsiasi società medicoscientifica, che in Italia comunque è assente in quanto tale, quando ci si sposta sull’aspetto emotivo, psicologico e motivazionale sia della paziente che dell’operatore, allora il ruolo “multiprofessionale” della Fiapac assume una funzione determinante per la consapevolezza necessaria in un momento tanto difficile quale quello dell’interruzione volontaria di una gravidanza. Basti pensare alla totale carenza, nelle scuole di specializzazione di Ostetricia e Ginecologia del nostro paese, di corsi specifici destinati alla formazione di chi si troverà ad affrontare questa delicatissima tematica. Dietro al pur legittimo schermo dell’obiezione di coscienza della stragrande maggioranza dei docenti, si nasconde l’assoluta mancanza di indicazioni per gli operatori che vengono privati dei più elementari strumenti professionali. Viene pertanto lasciato all’iniziativa del singolo operatore il compito di acquisire la pratica necessaria e il dovuto aggiornamento professionale, con la conseguenza di veder applicati, per lo stesso tipo di atto medico, i comportamenti più disparati, a volte privi di qualsiasi evidenza scientifica quando non in disaccordo con le linee guida internazionali. In conclusione, esistono numerose prove di una morale umana largamente diffusa che considera pragmaticamente la scelta dell’aborto per evitare una sofferenza riguardante la gravidanza, il parto o il rapporto genitoriale. Tuttavia, benché possiamo rafforzare l’adeguatezza di questa morale con una serie di argomenti empirici e razionali, e mostrare che nessun codice religioso ha mai garantito o potrebbe garantire le condizioni sufficienti per una convivenza civile come risce a fare una legge secolare, le religioni continuano a influenzare le politiche concernenti l’aborto. E questo, semplicemente, perché i nostri comportamenti e caratteristiche cognitive non furono selezionate biologicamente per avere a che fare con le società moderne e per promuovere il nostro benessere individuale, ma sulla base di un vantaggio adattativo nel conteso dell’evoluzione darwiniana. E, in qualche modo, le religioni sono istintivamente percepite come più utili a questo scopo rispetto al pensiero razionale. Appartiene a questa drammatica mancanza di considerazione professionale dell’aborto volontario in Italia la resistenza all’introduzione dell’aborto farmacologico, a partire innanzitutto da coloro deputati a “governare” la sanità nel nostro paese. Come se, in un paese in cui l’aborto è stato legalizzato da ormai quasi trenta anni, il dibattito politico-ideologico sulla liceità della interruzione volontaria della gravidanza si fosse spostato dal diritto alla scelta dell’aborto al diritto alla scelta del metodo dell’aborto. L’introduzione dell’aborto farmacologico con il Mifepristone - o RU 486 – rappresenta in modo paradigmatico un dibattito grossolanamente sottratto alla sua sede naturale, quella sull'uso “delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza” (non a caso cito l’articolo 15 della legge 194), a favore di una polemica tutta ideologica ed antiscientifica. 4 : LA SCELTA DELLA DONNA RU486 E ABORTO ABORTO, PIÙ CHE “SI O NO?” LA DOMANDA È “COME?” MARIO CAMPOGRANDE Direttore Dipartimento I (Ginecologia e Ostetricia) Ospedale infantile Regina Margherita/S. Anna di Torino Un aborto volontario è sempre motivo di sofferenza per la donna, che per lo più arriva a questa scelta con un vissuto di ambivalenza nei confronti della nuova condizione biologica e psicologica. Tuttavia, ogni anno, tra il 2-3% di tutte le donne in età riproduttiva hanno una interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Dal 1978, l’aborto chirurgico è l’intervento chirurgico più ricovero la donna assume il mifepristone. Il protocollo proposto dall’Ospedale S. Anna prevede la somministrazione di una delle due posologie in fase di controllo, consistenti o in una compressa da 200 mg, oppure in tre analoghe compresse. Dallo studio su eventuali differenze di risultato sulle 400 donne che avranno assunto 200 o 600 mg di RU486 si potranno avere indicazioni utili, al fine di ridurre, a parità di risultati, la quantità di farmaco da assumere. Nel 56% dei casi si possono avere perdite ematiche e già anche Perchè le donne scelgono l’aborto farmacologico Può essere fatto precocemente Assenza di intervento chirurgico Assenza di anestesia generale Preferisce essere cosciente Non vuole dipendere dal medico Cattiva esperienza con il raschiamento Altro 68% 59% 52% 16% 4% 3% 4% Christian Fiala Congresso FIAPAC ROMA 2006 diffuso nei nostri ospedali, come unico metodo per la Ivg nel primo trimestre. L’intervento è una delle operazioni chirurgiche più sicure e il rischio di mortalità per aborto legale è inferiore a 1 su 100.000 operazioni. È tuttavia vero che la pratica chirurgica della Ivg è vissuta da alcune donne come un’intrusione pesante nella propria intimità personale. Dal momento che l’esperienza internazionale sull’aborto farmacologico ha portato ad acquisire una grande mole di dati rassicuranti su milioni di casi, dal 2001 è stata proposta una sperimentazione in Italia. Non è corretto banalizzare, sostenendo che si tratta di un metodo molto più semplice, molto meno impegnativo per la donna, privo di dolore, con assenza assoluta di controindicazioni, con assenza assoluta di rischi. Oltre alle procedure legali preaborto (le stesse da farsi per l’aborto chirurgico, per l’aborto medico, che richiede sempre un’accurata raccolta della storia clinica della paziente) occorrono un’ecografia per la corretta datazione della gravidanza e un minor numero di esami di laboratorio; non serve la visita anestesiologica. In regime di un aborto completo dopo la sola somministrazione di RU486. Nel 94-95% delle donne sarà necessaria la somministrazione, dopo 36-48 ore, sempre in regime di ricovero ospedaliero, del secondo farmaco, il misoprostol, una sostanza che induce l’espulsione del prodotto del concepimento, determinando contrazioni dell’utero. Con una o due somministrazioni di questo farmaco si verifica l’aborto nel 95-98% dei casi. Il 2-5% di donne dovrà comunque essere sottoposto a revisione chirurgica della cavità uterina. Nella fase di espulsione vi possono essere nausea e vomito transitori, che richiedono farmaci soltanto nel 3% dei casi. Le perdite ematiche sono analoghe a quelle successive a un aborto chirurgico e possono persistere per una media di 8-9 giorni. In una percentuale intorno all’1-3% si rende necessaria una revisione chirurgica a scopo emostatico. Nella maggior parte dei casi le donne, pur avvertendo dolore di tipo mestruale, non richiedono analgesici. Un numero telefonico di un medico e il Pronto soccorso dell’ospedale, con medici informati sul protocollo assistenziale, sono a disposizione 24 ore su 24. E’ previsto sempre un controllo clinico ed ecografico, dopo circa 14 giorni dalla somministrazione del secondo farmaco. Per quanto riguarda i rischi, mentre l’aborto chirurgico comporta, tra le più frequenti complicazioni, le infezioni uterine, al contrario l’endometrite è una complicazione rarissima con l’aborto medico. Recentemente la Fda americana ha segnalato un rischio di mortalità per sepsi di 1 su 100.000 donne trattate. Circa il 90% delle donne che lo hanno utilizzato, secondo uno studio francese, sceglierebbero nuovamente l’aborto medico nell’eventualità di dover ricorrere ancora alla Ivg. Perché? Le espressioni più comunemente riferite in proposito sono: si evita l’intervento chirurgico e l’anestesia, eventi vissuti come aggressivi; sembra un evento meno medicalizzato, la donna segue l’evento e si prende cura di sé, con una maggiore intimità; si può effettuare entro le 7 settimane. Oggi, in Francia, il 26% degli aborti entro le 7 settimane si effettua con i farmaci; il Royal College e l’American College of Obstetricians and Gynaecologists indicano come questa debba essere un’opzione offerta alle donne. E’ questa l’opinione della maggior parte dei ginecologi italiani, che attraverso la rappresentanza delle associazioni professionali (Aogoi, Augui, Sigo) hanno chiesto la continuazione della sperimentazione. La domanda non è, ovviamente: “Aborto sì, aborto no?”. E’ piuttosto: “Aborto come?”. Sembra doveroso lasciare la risposta alle donne, correttamente informate sulle diverse opzioni possibili. DOVE SI USA LA RU486 ABORTO: NEL MONDO SI MUORE ANCORA Circa il 61% della popolazione mondiale vive in paesi in cui l’aborto volontario è consentito, con un range più o meno ampio di restrizioni, ma nel 26% dei paesi del mondo l’aborto non è riconosciuto legalmente. Per il persistere della pratica dell’aborto illegale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorre alla definizione di "unsafe abortion" (aborto in condizioni di non sicurezza) quale “ quella procedura di interruzione di una gravidanza indesiderata espletata da persone prive della necessaria esperienza, e/o in ambienti privi dei minimi standards medici." L’OMS stima in almeno 20 milioni ogni anno il numero degli “unsafe abortions", 19 milioni nei paesi in via di sviluppo e il resto soprattutto nei paesi dell’Europa dell’Est, con una mortalità di ottanta mila donne ogni anno, pari al 13% delle morti legate alla gravidanza. D’altra parte una legislazione permissiva sull’interruzione volontaria della gravidanza non è una garanzia sufficiente alla pratica dell’aborto in condizioni di sicurezza. In molti paesi europei con legislazioni restrittive si continua a praticare il cosiddetto “turismo abortivo”, come per esempio dall’Irlanda verso il Regno Unito, l’Olanda o il Belgio; da Malta verso l’Italia, la Spagna, il Belgio e l’Olanda; dal Portogallo verso la Spagna; dalla Polonia verso la Germania, la Repubblica Ceca o l’Olanda. Una esperienza molto particolare per far fronte alle situazioni di illegalità dell’aborto in paesi con una legislazione restrittiva quale il Portogallo o l’Irlanda, è quella di una associazione olandese, Women on Waves, regolarmente registrata nei Paesi Bassi, che ha ideato una “clinica galleggiante” dove l’equipe medica opera a bordo di una nave in acque extraterritoriali. (http://www.womenonwaves.org) “Il Sole 24 Ore” – Sanità, 4-10 ottobre 2005 Viagra® Mifepristone (RU486) Tempi di approvazione Qualche mese > 10 anni Indicazione Medicalmente non importante Evento importante nella vita con conseguenze definitive Effetti collaterali Molte morti riportate Pochi casi di morte; scarsi effetti collaterali Disponibilità Ovunque Non disponibile in Canada e nella maggior parte dei paesi eccetto Europa Occidentale e USA Media Report frequenti: pubblicità libera Report emotivi, controversie su pillola abortiva Laws and practises in abortion care, C. Fiala (Presidente in carica della FIAPAC) Roma 2006 IL CASO VIALE : RU486 E ABORTO 5 IL “CASO VIALE”: SPERIMENTAZIONE ALLA SBARRA Il 9 luglio 2004 il Ministero della Salute autorizza di fatto la sperimentazione della RU486 all’Ospedale Sant’Anna, trasmettendo un parere del Consiglio Superiore di Sanità. La sperimentazione coinvolgerà 400 donne per le quali saranno utilizzati dosaggi differenti. La richiesta, sponsorizzata da cinquanta ginecologi dell’ospedale, viene consegnata nel 2002 al Comitato etico regionale da Silvio Viale, Mario Campogrande, Marco Massobrio e Franco Mascherpa. Un risultato soddisfacente, nonostante i tempi lunghi. L’Ordine dei Medici di Torino esprime parere favorevole e sostiene che non esista alcuna ragione per impedirne la registrazione anche in Italia e l’equivalenza morale tra aborto medico e aborto chirurgico. Resta categorico il veto dei medici obiettori di coscienza. La sperimentazione, iniziata a settembre, viene bloccata dal Ministro Storace il 21 settembre 2005 (Ordinanza contingibile ed urgente relativa alla interruzione volontaria di gravidanza con Mifepristone (RU486)). Il 22 settembre Storace afferma addirittura (La Stampa) che il parere del Consiglio Superiore di Sanità di un anno e mezzo prima (quello che autorizzava la sperimentazione) era stato «un parere negativo». Il Sant’Anna appronta il nuovo protocollo di sperimentazione, che accoglie le richieste del Ministro (come il ricovero ospedaliero), pur di poter riprendere gli interventi di aborto medico. Il 4 ottobre, il Comitato regionale per le Sperimentazioni Cliniche, presieduto dall’Assessore Valpreda, esaminato il nuovo protocollo, dà il via libera alla ripresa della sperimentazione. Essendo la competenza nel valutare i rischi per la salute e le diverse controindicazioni proprie del Comitato, non esistono più elementi per mantenere l’ordinanza di sospensione. La ripresa della sperimentazione, però, è gravata da varie disavventure e ritardi postali: il plico postale è inviato il 10 ottobre, soltanto il 23 il Ministero dichiara di averlo ricevuto, viene protocollato il 27 e infine il 2 novembre un fax annuncia l’imminente recapito della ricevuta in originale, che richiede ancora qualche giorno… Alla fine di ottobre il Sant’Anna comunica che il 7 novembre ricomincerà la somministrazione dell’RU486. La maggioranza delle donne escluse dall’ordinanza del Ministro, dopo un mese di sospensione, non farà più in tempo a ricorrere all’aborto medico. Con l’obbligo di ricovero per i tre giorni del trattamento, la carenza di posti letto impone di trattare un numero inferiore di pazienti ogni settimana; tempi previst: due anni. Il 21 dicembre il Consiglio Superiore di Sanità prende atto della regolarità delle procedure di sperimentazione al • SILVIO VIALE 49 anni, Medico. Ginecologo all'Ospedale S.Anna di Torino. Dal 1993 al 2001 capogruppo dei Verdi al Comune di Torino. Membro della Direzione Nazionale della Rosa nel Pugno, del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, del Consiglio Generale dell'Associazione Luca Coscioni e del Consiglio Generale e Comitato Scientifico di EXITItalia. Presidente dell'Associazione radicale Adelaide Aglietta. Silvio Viale: La propaganda degli anti-abortisti contro la RU486 giunge ad esaltare l’aborto chirurgico, visto come una sorta di male minore, l’aborto «buono», contrapposto a quello del «Maligno», stigmatizzato come «chimico» Sant’Anna di Torino, smentendo di fatto il Ministro Storace. Aubény: “Tre giorni?” Mi sembra molto. Elisabeth Aubény è la ginecologa francese che ha sperimentato per la prima volta nel mondo l’aborto farmacologico presso l’ospedale Broussais di Parigi, ormai vent’anni fa. È presidente della Federazione internazionale degli operatori dell’aborto e della contraccezione (FIAPAC). Le è stato chiesto un parere circa “Sarebbe bene considerare la RU semplicemente come una nuova tecnica abortiva” l’indagine che coinvolge quattro medici per non aver trattenuto in ospedale tre giorni le donne che si sottopongono a aborto medico. “Tre giorni? Beh, mi sembra molto, anche se ritengo che un paese debba essere cauto quando decide di introdurre queste novità. In Francia continuiamo, dopo tanti anni, a prestare ancora una grande attenzione. Ma dopo la somministrazione della Ru486, le donne possono tornare a casa e rientrare in ospedale quando devono assumere le prostaglandine. Anche da noi, comunque, quando è stata introdotta la pillola c’è stato un dibattito simile, ma il Comitato etico nazionale stabilì che per «aborto» bisogna considerare la somministrazione del farmaco, e non l’espulsione del feto”. E ancora: perché l’introduzione di questo farmaco si porta sempre dietro una scia di polemiche? “Credo che ciò dipenda dalla paura dei medici di perdere il controllo sul corpo della donna. Con la RU486 è la donna a essere protagonista in prima persona e responsabile. Sarebbe bene considerare la RU semplicemente come una nuova tecnica abortiva. D’altronde in tutti i campi sanitari si cerca di privilegiare la medicalizzazione alla sala operatoria”. (La ginecologa francese: «Lasciate libertà di scelta», “Il Manifesto”, 14 ottobre 2006). Nel febbraio 2006 il Presidente della Exelgyn, Alexandre Lumbroso, comunica all’Associazione dei Consumatori ADUC di voler avviare ufficialmente la procedura europea centralizzata di mutuo riconoscimento. Il Policlinico di Modena dichiara che attiverà le procedure di importazione come previsto da una recente circolare dell’Assessorato regionale alla Sanità. Nel giugno 2006 la Procura di Torino sottopone ad indagine Silvio Viale per la sperimentazione su RU486 che sarebbe stata condotta, secondo l’ipotesi accusatoria, in modo difforme rispetto al protocollo (l’80% delle donne avrebbero usufruito di permessi ed alcune espulsioni abortive si sarebbero verificate al di fuori delle mura dell’ospedale). Nel registro degli indagati sono iscritti i quattro sperimentatori principali ed il Direttore Generale dell’azienda ospedaliera. Nell’agosto 2006 Valpreda annuncia la decisione di sospendere la sperimentazione della RU486, anche in assenza di rischi per le pazienti (come dichiarato dallo stesso Valpreda). E così, quando mancavano solo 38 donne sulle 400 previste dalla sperimentazione, si chiude definitivamente la sperimentazione della RU486 in Italia. 6 IN PARLAMENTO . RU486 E ABORTO ABORTO: PROPOSTA DI LEGGE “COSCIONI” Tempi, metodi, strutture sanitarie: scelga la donna Primo firmatario ON. MAURIZIO TURCO Tesoriere dell’Associazione Coscioni, Deputato della Rosa nel Pugno Relazione Onorevoli Colleghi, la presente proposta di legge elaborata in collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica considera la relazione annuale al Parlamento del Ministro della Salute che indica, per il 2005, rispetto al 2004, una riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) del 6,2%. Dal 1982, anno con il più alto numero di IVG segnalate, la riduzione è stata del 44,8%. Se si considerano solo le donne con cittadinanza italiana la riduzione sale al 57,3%, con una cifra attuale inferiore alle 100.000 IVG. Questo significa che oggi solo una donna su quattro avrà un aborto volontario nell’arco della sua vita riproduttiva, mentre agli inizi degli anni ’80 era di due su tre. L’aumento delle IVG delle donne straniere è in relazione al rapido aumento del numero di donne immigrate in età feconda, le quali hanno complessivamente tassi di abortività e di natalità da due a quattro volte superiori a quelli delle donne italiane. Pur esistendo differenze significative tra le varie comunità, il tasso di abortività specifico non sembra essere in aumento, a testimonianza che il progressivo processo di integrazione tende a fare PROPOSTA DI LEGGE Modifiche alla Legge 22 maggio 1978, n. 194, in materia di tutela sociale della maternità e di interruzione volontaria della gravidanza ART. 1. 1. Dopo il secondo comma dell’articolo 1 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, sono inseriti i seguenti: « Lo Stato garantisce la salute della donna e la sua libertà di pianificare le proprie gravidanze nel numero, nei modi e nei tempi ritenuti più opportuni dalla donna stessa. Nessuna donna può essere obbligata a portare avanti una gravidanza e ad affrontare i rischi fisici, psichici, economici e sociali connessi o conseguenti, sia per la donna stessa che per la sua famiglia. Compito dello Stato, delle Regioni e degli enti locali è quello di con- tribuire a rimuovere le cause che possono indurre all’interruzione della gravidanza nel rispetto della libera valutazione della donna ». 2. Il terzo comma dell’articolo 1 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « Lo Stato, le Regioni e gli enti locali promuovono e sviluppano i servizi sociosanitari e garantiscono la possibilità di accesso ai mezzi per il controllo delle nascite, ai metodi contraccettivi ordinari ed a quelli di emergenza in condizioni di efficacia e di sicurezza ». ART.2.1. Al secondo comma dell’articolo 2 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, dopo la parola: « nascita » sono aggiunte le seguenti: « e collaborare nelle attività di prevenzione primaria delle gravidanze indesiderate ». 2. Dopo il secondo comma dell’articolo 2 della legge 22 maggio 1978, n. 194, come modificato dal presente articolo, è inserito il seguente: «È abolito l’obbligo di ricetta medica per i farmaci registrati per la contraccezione d’emergenza ». 3. Il terzo comma dell’articolo 2 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « La prescrizione e la fruizione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile sono consentite anche ai minori ». ART.3.1.L’articolo 4 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 4. – 1. Per l’in- terruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna si rivolge a un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975, n. 405, o a un medico ». ART. 4. 1. L’articolo 5 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 5. – 1. Il consultorio, o il medico, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, ha il compito, qualora la donna lo richieda, di esaminare con la donna e, qualora la donna lo consenta ed egli accetti, con la persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni ai problemi proposti per aiutarla a superare quelle cause che, se rimosse, potrebbero indurla a non interrompere la gravidanza, prospettandole gli aiuti di cui potrà con ragionevole certezza usufruire durante la gravidanza, al momento del parto e successivamente per l’assistenza del nucleo familiare. 2. Il consultorio e il medico informano la donna sulle procedure e sui metodi di interruzione della gravidanza appropriati per il suo specifico caso e sulle strutture esistenti presso le quali potere praticare l’intervento per l’interruzione della gravidanza, nonché sui mezzi per il controllo delle nascite. 3. Quando il medico riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’interruzione della gravidanza, rilascia imme- assumere le caratteristiche riproduttive delle donne italiane. Questa osservazione non riguarda solo le donne provenienti dai paesi dell’Est, dove l’aborto è storicamente più diffuso, ma anche le donne che provengono da quei paesi, africani, latini ed asiatici, dove l’aborto clandestino è molto più comune, nonostante i divieti legislativi. Per molte di queste donne, che tendono a rifiutare la contraccezione, l’aborto è un fattore culturale di limitazione delle nascite come lo era in Italia prima delle Legge 194. È prevedibile che la possibilità di avere l’aborto legale induca nelle donne immigrate gli stesi comportamenti virtuosi che hanno favorito la riduzione delle IVG tra le donne italiane, come conferma il fatto che, per tutte le comunità, il tasso di abortività è inferiore a quello del paese di origine. Purtroppo, nonostante questi risultati storicamente positivi, la realtà italiana è caratterizzata dal persistere di alcuni elementi critici. Non solo si mantiene una quota di 20.000 aborti clandestini, circa il 15% del totale, di cui il 90% al Sud, ma dalla metà degli anni Novanta la curva di riduzione tende verso un plateau. La Legge 194 è applicata in modo parziale, contraddittorio e territorialmente disomogeneo. Ne sono esempi le diverse interpretazioni per l’aborto dopo i 90 giorni, il cosiddetto aborto terapeutico, i tempi di attesa, le difficoltà ad ottenere un aborto chirurgico precoce (entro i 49 giorni) e le resistenze all’introduzione dell’aborto medico con la RU486, sebbene la diatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza, con il quale la donna può presentarsi presso una delle sedi autorizzate e iniziare subito l’intervento abortivo. 4. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, il medico rilascia alla donna un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta di interruzione. Con tale documento la donna può presentarsi presso una delle sedi autorizzate per effettuare l’intervento abortivo più indicato per l’epoca gestazionale e per i desideri della donna stessa, tenuto fermo il principio della minore invasività. L’intervento deve essere effettuato entro quattordici giorni dalla data in cui è stato redatto il documento o, in alternativa, entro sette giorni dalla data in cui la donna presenta il documento presso la sede autorizzata ». ART.5.1.La lettera b) dell’articolo 6 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituita dalle seguenti: «b) quando la gravidanza implichi un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna; b-bis) quando siano accertati importanti anomalie o malformazioni che possano compromettere in modo rilevante la qualità della vita del nascituro; b-ter) quando siano accertate condizioni personali e sociali per cui il proseguimento della gravidanza possa comportare gravi pericoli per il benessere sociale della donna o per la sua famiglia, non superabili con gli interventi sociali ed economici di cui la donna potrà ragionevolmente usufruire ». ART.6.1. Il terzo comma dell’articolo 7 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nei casi di cui alla lettera a) o di cui alla lettera b-bis) dell’articolo 6, quando vi siano gravi malformazioni o anomalie che comportino una presumibile grave compromissione della qualità della vita. I casi di cui alla citata lettera b-bis) dell’articolo 6 sono accertati da una commissione di tre medici, di cui uno con competenze di neonatologia, e la decisione viene presa a maggioranza, dopo avere valutato il caso insieme alla madre e a colui che è indicato come il padre del concepito ». ART.7.1.. L’articolo 8 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 8. – 1. Per l’interruzione della gravidanza la donna si rivolge ad una azienda ospedaliera o ad una azienda sanitaria locale, le quali sono tenute ad occuparsi della richiesta della donna, nel rispetto della dignità e della riservatezza, procedendo all’intervento direttamente o mediante IN PARLAMENTO relazione del Ministro della Salute ne riferisca per la prima volta. Vi è poi il dato di un elevato livello di obiezione di coscienza, spesso strumentale, che in alcune regioni rischia di mettere a rischio l’erogazione del servizio, senza che la legge preveda un adeguato meccanismo di tutela. Per questi motivi, per proseguire nel solco positivo avviato dalla legalizzazione dell’aborto, occorre aggiornare la Legge 194, partendo dall’esperienza maturata ed invertendo la propensione al disinteresse, che ha relegato le IVG ai margini delle attenzioni degli amministratori della sanità, benché sia stato il più diffuso intervento chirurgico femminile, superato soltanto recentemente dall’incremento dei tagli cesarei. Con le modifiche proposte si promuovono le attività di prevenzione, soprattutto quelle riferite alla prevenzione primaria, per garantire il “diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, proclamato nell’art. 1. In particolare si tutela la contraccezione per le minori e viene abolita la ricetta per la contraccezione di emergenza che, come hanno documentato parecchie inchieste giornalistiche, è fonte di inutili calvari per le donne che incappano nell’incidente di doverla richiedere. Nel nuovo testo viene soppresso l’articolo 4, un tipico esempio di ipocrisia legislativa, essendo le motivazioni e la loro dimostrazione assolutamente irrilevanti ai fini di ottenere l’IVG, mentre si pone un’attenzione particolare alle implicazioni psicologiche e sanitarie. È infatti dimostrato che l’informazione, la scelta del metodo, l’esecuzione precoce ed un ambiente non giudicante sono fondamentali per ridurre il dolore. Nonostante la legge prescriva che l’intervento per l’interruzione della gravidanza debba essere praticato “immediatamente”, in caso di certificazione di urgenza, e “alla scadenza dei sette giorni”, in caso di procedura ordinaria, oggi trascorrono mediamente oltre 21 giorni da quando la donna chiede il primo appuntamento ed in circa un quarto dei casi addirittura il mese. Le procedure per l’IVG nei primi accordi con altri enti. 2. Le aziende ospedaliere e le aziende sanitarie locali sono tenute a garantire entrambi gli interventi, medici e chirurgici, per le interruzioni della gravidanza, i quali possono essere praticati anche presso i consultori e le strutture territoriali. 3. Per l’interruzione volontaria della gravidanza la donna può rivolgersi, altresì, agli studi medici e alle strutture sanitarie autorizzati dalla regione. 4. La regione stabilisce e aggiorna annualmente le tariffe per le varie tecniche di interruzione della gravidanza e definisce gli onorari di riferimento per tutte le procedure di pagamento e di rimborso. 5. Le regioni, nell’ambito di un piano regionale, possono individuare le sedi ospedaliere e territoriali ove sono praticate le interruzioni della gravidanza, garantendo che tra la sottoscrizione del documento di richiesta dell’intervento di cui all’articolo 5 e l’intervento stesso non trascorrano, di norma, più di quindici giorni. 6. Gli interventi per l’interruzione volontaria della gravidanza sono praticati da un medico ostetrico ginecologo. 7. In qualsiasi momento, anche quando gli atti medici o chirurgici finalizzati a interrompere la gravidanza sono già in atto, se la donna lo richiede, si deve sospendere la procedura in corso garantendo l’assistenza conseguente ». . RU486 E ABORTO “La legge 194 è applicata in modo parziale, contradditorio e territorialmente disomogeneo" “L’informazione, la scelta del metodo, la rapidità ed un ambiente non giudicante sono fondamentali per ridurre il dolore” “L’obiezione di coscienza viene confermata, ma viene individuato un meccanismo di garanzia che ponga l’obbligo di avere almeno il 50% di personale non obiettore” ART. 8. 1. L’articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è sostituito dal seguente: « ART. 9. – 1. Lo Stato riconosce la possibilità di sollevare obiezione di coscienza sulla base di un convincimento morale interiorizzato, ma garantisce comunque l’esecuzione dell’interruzione della gravidanza a tutela della salute della donna e della salute collettiva della popolazione. 2. Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie che solleva obiezione di coscienza non deve prendere parte alle procedure e alle attività specificamente e necessariamente dirette a provocare l’interruzione della gravidanza, ma è tenuto a garantire l’assistenza durante e dopo l’esecuzione dell’aborto. 3. Il personale obiettore non può comunque esimersi dall’intervento di assistenza quando vi è un pericolo imminente per la vita della donna o, comunque, un grave rischio per la sua integrità fisica e psichica. 4. Le convinzioni personali che determinano l’obiezione di coscienza non devono pregiudicare in alcun modo, diretto o indiretto, la presa in cura della donna o recarle danno nella tutela sanitaria della sua scelta. L’obiezione di coscienza viene comunicata alla regione tramite il direttore sanitario o il dirigente sanitario competente all’atto dell’assunzione, della stipulazione di una convenzione o dell’abilitazione ed è immediatamente efficace. Può essere comunicata successivamente in qualunque momento e la sua efficacia o la sua revoca inizia dal mese successivo. 5. La comunicazione di obiezione è un atto pubblico e annualmente la regione pubblica l’elenco dei medici obiettori e dei medici non obiettori, suddiviso per azienda sanitaria locale ed ospedaliera, per presidio ospedaliero e per divisione o servizio di ostetricia e ginecologia. Le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere aggiornano annualmente gli elenchi dei propri medici, esponendoli all’entrata degli ospedali, dei poliambulatori, dei consultori e dei reparti di ostetricia e ginecologia con indicata la eventuale condizione di obiettore. 6. Se chi ha sollevato obiezione di coscienza prende parte a procedure abortive volontarie al di fuori dei casi previsti dal presente articolo, oltre alla revoca immediata, indipendentemente da ogni altra implicazione penale e civile, viene sottoposto a procedimento disciplinare presso la struttura sanitaria e l’ordine provinciale competente, con la previsione di una sospensione dall’esercizio della professione di almeno sei mesi. 7. Al fine di assicurare l’applicazione della presente legge, nelle divisioni ove si praticano le interruzioni volontarie della gravidanza deve essere garantito che il 50 per 7 novanta giorni vengono meglio definite, stabilendo tempi certi nei confronti della struttura sanitaria che è tenuta ad effettuare l’intervento. Il limite di novanta giorni per l’IVG non viene modificato, anche se in altri paesi europei esso è superiore, mentre sono meglio pecisate le circostanze in cui è possibile procedere all’IVG oltre i novanta giorni a tutela della salute della madre e della qualità della vita del nascituro. L’obiezione di coscienza viene confermata, ma viene individuato un meccanismo di garanzia per l’applicazione delle previsioni della legge, con l’obbligo di avere almeno il 50% di personale non obiettore. A riguardo è opportuno osservare come nessuna legge non sia prevista l’obiezione di coscienza per la diagnosi prenatale, che ha lo scopo di individuare gli embrioni ed i feti da avviare alle procedure abortive e che viene consigliata e praticata da molti medici che poi obiettano sulle procedure abortive. Considerandolo giustamente un lavoro stressante, per le implicazioni etiche e psicologiche, viene riconosciuto il disagio per gli operatori impegnati negli interventi. .Una particolare attenzione è rivolta alle minori in coerenza con la normativa che emancipa i maggiori di 14 anni per quanto concerne i rapporti sessuali. La contraccezione diventa pienamente accessibile ai minori ed in caso di richiesta di IVG è il medico che decide, sulla base di specifiche valutazioni professionali, se le circostanze suggeriscano di informare i genitori. Il consenso dei genitori, o l’assenso del giudice tutelare, rimane necessario per le minori di 14 anni. Con questa proposta di legge l’IVG potrà essere eseguita da medici anche in strutture private, autorizzate dalla Regione, come accade per qualsiasi altro intervento sanitario. In sintesi, questa proposta di Legge mantiene l’impianto della Legge n. 194 del 1978, ma la sua approvazione permetterà di tutelare meglio la salute fisica e psichica della donna, proteggendola nel percorso decisionale, assicurando che l’IVG sia praticata nel modo più sicuro e rispettoso della scelta della donna e promuovendo la contraccezione. cento del personale sia non obiettore, anche mediante procedure di trasferimento e di mobilità . Sono assicurate indennità specifiche per il disagio connesso alla pratica degli interventi per l’interruzione volontaria della gravidanza ». ART. 9.1. Al primo comma dell’articolo 11 della legge 22 maggio 1978, n. 194, le parole: « L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l’intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale » sono sostituite dalle seguenti: « Le aziende ospedaliere, le aziende sanitarie locali e le strutture autorizzate nelle quali l’intervento e` stato eseguito sono tenute ad inviare alla regione tramite il dirigente sanitario ». ART. 10. 1. Dopo il primo comma dell’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, sono inseriti i seguenti: « Se la donna è di età superiore a quattordici anni può rivolgersi al consultorio o al medico, e richiedere l’interruzione della gravidanza senza bisogno dell’assenso di chi esercita la patria potestà o la tutela. Se la donna è di età inferiore a diciotto anni, il consultorio o il medico, avvalendosi eventualmente di specialisti, valuta con la donna stessa se le circostanze consentono di informare chi esercita la patria potestà o la tu- tela ». 2. Al secondo comma dell’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, le parole: « inferiore ai diciotto anni » sono sostituite dalle seguenti: « inferiore ai quattordici anni ». 3. Al terzo comma dell’articolo 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, dopo la parola: « salute » sono inserite le seguenti: « , fisica o psichica, ». ART.11.1. Al primo comma dell’articolo 15 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: « L’aggiornamento professionale di cui al presente comma deve essere previsto annualmente in modo separato e specifico ». 2. All’articolo 15 della legge 22 maggio 1978, n. 194, come modificato dal presente articolo, è aggiunto, in fine, il seguente comma: « La partecipazione alle procedure previste dalla presente legge non deve determinare alcun pregiudizio per la carriera e la crescita professionale del medico e del personale esercente le arti ausiliari ». ART. 12. 1. Al secondo comma dell’articolo 19 della legge 22 maggio 1978, n. 194, le parole: « fino a lire centomila » sono sostituite dalle seguenti: « fino a mille euro ». 8 LA STORIA ; RU486 E ABORTO DALLA NONVIOLENZA RADICALE ALLA LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO Il dibattito sulla necessità di intraprendere una battaglia per la depenalizzazione del reato d’aborto e la sua legalizzazione fu affrontato per la prima volta nel 1973 nella sede del partito radicale di Via di Torre Argentina contestualmente a quello sul movimento mondiale di liberazione della donna. L’occasione fu fornita da una conferenza di Massimo Teodori, autore di un libro La nuova sinistra americana, che riferiva della molteplicità dei movimenti per i diritti civili esplosa negli Usa dopo il ’68 accanto alle lotte per l’emancipazione degli afroamericani e alla forte opposizione all’intervento militare nel Vietnam. Nacque quasi subito l’ M.L.D. con caratteristiche assai diverse dalle organizzazioni femminili dei partiti tradizionali, federato al PR, 2/1/1975: Arresto di Gianfranco Spadaccia (segretario PR) che si era autoaccusato di aver organizzato le pratiche abortive con il metodo Karman. ma con una forte impronta autonoma per iniziativa di alcune radicali (Wanda Raheli Roccella, Alma Sabatini, Liliana Ingargiola) e con la partecipazione di molte donne non iscritte al partito. Per scissioni successive – determinate dal prevalere del separatismo che esigeva la costituzione di associazioni di sole donne - il movimento dette vita alla maggior parte delle associazioni femministe romane. “L’aborto era un diritto esclusivo e insindacabile della donna come pretendevano i nascenti movimenti femministi” Il dibattito sull’aborto si trasferì nelle sedi statutarie del partito radicale. Era opportuno scegliere un nuovo terreno di scontro ideale e politico quando era ancora in corso la lotta per l’aborto che si sarebbe conclusa con la vittoria nel referendum solo nella primavera del 1974? E l’aborto era un diritto esclusivo e insindacabile della donna come pretendevano i nascenti movimenti femministi che, anche all’interno del P.R., avevano adottato lo slogan “l’utero è mio e lo gestisco io”? Il P.R. rifiutò ogni impostazione ideologica, partendo dalla constatazione della piaga dell’aborto clandestino effettuato senza alcun controllo medico cui erano costrette a ricorrere ogni anno centinaia di migliaia di donne. Da subito si cominciò a pensare a un referendum abrogativo dell’ articolo del Codice Rocco che definiva e puniva il reato d’aborto. In quegli anni del resto l’Inghilterra e l’Olanda lo avevano già legalizzato. Quanto all’altra obiezione si ritenne che la battaglia per l’aborto non avrebbe potuto causare alcun intralcio a quella per il divorzio mentre, al contrario, la vittoria nel referendum sul divorzio avrebbe potuto facilitare lo scontro sull’aborto. Loris Fortuna, primo firmatario della proposta di 1975. Manifestazione radicale. Con Adele Faccio ed Emma Bonino legge sul divorzio approvata dal Parlamento nel 1970 e confermata dal referendum del maggio 1974, presenta in Parlamento la prima proposta di legge che legalizza l’interruzione volontaria della gravidanza. Sempre nel 1974 nasce il CISA (centro italiano sterilizzazione e aborto), fondato da Adele Faccio con il dichiarato proposito di promuovere e organizzare la disubbidienza civile contro il reato d’aborto, dapprima esercitata con l’organizzazione di viaggi presso cliniche inglesi e olandesi, successivamente con consultori e ambulatori in Italia che avrebbero sfidato la legge. Nel novembre del 1994, il congresso del PR dà mandato ai nuovi organi statutari di promuovere un referendum contro l’articolo del Codice Rocco e di sostenere con le sue sedi e la sua organizzazione l’azione di disobbedienza civile del CISA, che in quel congresso si federa al partito radicale. Negli ultimi mesi del 1974 un medico fiorentino, Giorgio Conciani, mette a disposizione del CISA la sua attività professionale. Nasce a Firenze il primo ambulatorio a cui il centro decide di accomapagnare le donne che prima dovevano intraprendere il viaggio all’estero per affrontare l’intervento. L’attività del CISA, dei suoi consultori e ora del suo ambulatorio fiorentino non sono clandestine ma pubbliche, quindi conosciute in tutta Italia dalle autorità di pubblica sicurezza e della magistratura. Un giornale neofascista (Il becco giallo), diretto dal senatore del MSI Giorgio Pisanò orchestra una campagna di stampa scandalistica conto il CISA e il Partito Radicale. Nel gennaio 1975, su ordine del P.M. Carlo Casini, futuro fondatore del Movimento della vita e attuale eurodeputato dell’UDC, la polizia fa irruzione nell’ambulatorio del CISA, allestito in una sede che formalmente risulta del Partito Radicale, arrestando il medico Giorgio Conciani, i suoi infermieri, molte donne che vi si trovavano in attesa di intervento e le loro accompagnatrici. Il segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia rivendica la piena responsabilità politica e organizzativa di quella azione di disubbidienza civile. Il giorno successivo viene arrestato nella sua abitazione romana e tradotto, dopo un notte a Regina Coeli, nel carcere fiorentino de Le Murate. Contemporaneamente vengono spiccati ordini di cattura nei confronti di Adele Faccio e di Emma Bonino. Marco Pannella, Loris Fortuna, il Partito Radicale, il 1975: Arresto di Emma Bonino CISA, il Movimento di liberazione della donna indicono di lì a pochi giorni una grande manifestazione al teatro Adriano di Roma, durante la quale Adele Faccio, presidente del CISA, tiene un discorso e subito dopo si consegna alla polizia. Nel corso della manifestazione viene annunciata ufficialmente la raccolta delle firme per il referendum abrogativo del reato d’aborto. Il settimanale L’Espresso, con Eugenio Scalfari e con il direttore Livio Zanetti, accetta di essere uno dei promotori e finanziatori dell’iniziativa referendaria. Fece scandalo una sua copertina con un donna incinta immolata su una croce. Fra i partiti della sinistra, l’unico a schierarsi, a parte i movimenti extraparlamentari, fu il PSI di Nenni e De Martino, di Mancini e Lombardi, di Bettino Craxi. Nei mesi successivi si costituiscono comitati del referendum in tutta Italia si moltiplicano i consultori e gli ambulatori del CISA in 1975. Aborto: una tragedia italiana. Copertina del l’Espresso adempimento di una disubbidienza civile che, al di fuori di Firenze, non incontrerà altri interventi repressivi e altre iniziative giudiziarie. Gianfranco Spadaccia e Adele Faccio “Il P.R. rifiutò ogni impostazione ideologica, partendo dalla constatazione della piaga dell’aborto clandestino effettuato senza alcun controllo medico” rimasero in carcere per oltre un mese. La loro scarcerazione avrebbe dovuto essere subordinata all’impegno, naturalmente rifiutato, di sospendere le attività del CISA e del P.R. La detenzione di Giorgio Conciani durò più a lungo, gli altri imputati furono invece quasi subito liberati. Alla vigilia della consegna delle firme in Cassazione, nel mese di giugno Emma Bonino, che aveva sostituito Adele Faccio nell’organizzazione del CISA, si fece arrestare mentre votava per le elezioni regionali del Piemonte nella sua sezione elettorale di Bra. L’anno successivo il referendum non si potrà svolgere a causa delle elezioni politiche anticipate del 1976 nelle quali il P.R: per la prima volta vede eletti quattro suoi deputati (Marco Pannella, Adele Faccio, Emma Bonino e Mauro Mellini). L’anno successivo il Parlamento, pur di non far svolgere il referendum, approva la discutibile legge 194. CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO ; POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? 9 WELBY: POSSO MORIRE SENZA CONDANNA A SOFFRIRE? Welby: “È mia ferma decisione rinunciare alla ventilazione polmonare assistita, staccare la spina mi porterebbe a una agonia lunga e dolorosa, e anche una sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una morte immediata e senza dolore. Chiedo: è possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi consenta di staccare la spina senza dover soffrire?” TESTI NON RIVISTI DAGLI AUTORI MARCO CAPPATO Il nostro invito è volto a cercare insieme di dare una risposta alla domanda di Piergiorgio Welby copresidente dell'Associazione Luca Coscioni. A seguito della risposta del presidente Napolitano che chiedeva non fosse eluso il dibattito posto da Welby, abbiamo sentito da molte parti parlare della necessità di un confronto che non fosse ideologico. Credo che nessuno, tanto meno Welby, ha voluto un confronto ideologico ma un confronto concreto e pragmatico sulle possibilità di ciascuno su scelte concretissime, drammatiche, a volte tragiche che riguardano la fine della vita. Ecco perché, senza pronunciare parole che definiscano in un modo o nell'altro le scelte di fine vita, Piergiorgio fa questa domanda: "È possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi consenta di staccare la spina senza dover soffrire?" In questa domanda abbiamo tre questioni: la prima è sulle condizioni di salute nelle quali si trova Piero. La seconda è quella sulla legislazione e sulla giurisprudenza esistente, per far sapere al medico se sta facendo il suo dovere di medico, se questo verrà riconosciuto tale da tutti, anche dai giudici, o se ci sono rischi, e allora quali e quanti, di incorrere in quello che il Codice Rocco del 1930 definisce "omicidio di persona consenziente" e che prevede da 6 a 15 anni di reclusione. La differenza non è poca, e lo dico per quelli che nell'invitare a non fare il dibattito ideologico hanno accompagnato questo invito dicendo che non si legiferasse su una materia così delicata. La terza delle questioni, e questo seminario ci può consentire di trarre importanti valutazioni sulla reale situazione giuridica e pratica vissuta nel nostro paese, è quale riforme sono possibili e occorrono. Il seminario deve rispondere intanto alla domanda precisa di Piero sulla sua condizione personale. Iniziamo, il nostro seminario dando la parola al Dott. Federico Sciarra, pneumologo e che da molti anni ha in cura Piero. LA CONDIZIONE DI PIERGIORGIO FEDERICO SCIARRA Parlare di Piero è difficile, raccontare una storia di 10 anni di malattia. Io ho conosciuto Piero in maniera abbastanza casuale. Faccio lo pneumologo, lavoro per una Associazione (UILDM), e Piero è affetto da una distrofia che provoca, tra i vari problemi, anche uno di natura respiratoria. Ma la sua distrofia fortunatamente è meno grave di tante altre, per cui lui ha vissuto una gran parte della sua vita senza avere rapporti con i medici ed è tornato in UILDM nel 97, perché si è accorto che stavano iniziando dei problemi respiratori che poi lo hanno portato alla situazione attuale. Io l'ho visto in ambulatorio e la proposta fu quella di utilizzare un respiratore non invasivo: cioè non fare la tracheotomia ma usare un respiratore collegato con una mascherina nasale, una modalità che utilizzano molti pazienti che hanno problemi respiratori. Lo scopo è evitare di fare una tracheostomia ma comunque supportare la respirazione di questi pazienti. Purtroppo nei giorni seguiti a quel primo incontro, necessari ad avere la macchina, proprio il giorno che io avrei dovuto andare a casa di Piero a provare il respiratore la prima volta, la notte lui si è sentito male è stato portato in ospedale ed è iniziata la sua storia. Nonostante rapporti con i rianimatori che lo hanno tenuto in cura, Piero è stato tracheostomizzato perché la ventilazione non era sufficiente ed è iniziato il suo periodo di ventilazione invasiva assistita con ventilatore polmonare. Io ricordo bene che questi problemi si sono posti appena era tornato a casa. Ne parlammo con la nostra psicologa: era caduto in una profonda depressione, perché ha visto cambiare la sua vita; lui, che aveva già delle grosse limitazioni funzionali e motorie, aveva dovuto sopportare questa ulteriore limitazione respiratoria. La domanda che si poneva era molto simile a quella che pone ora, la volontà di ricorrere all'eutanasia. Le sue condizioni di salute e la voglia di recuperare un rapporto con il mondo supporto, con quello delle psicologhe HANNO PARTECIPATO Ignazio Marino, Presidente della Commissione Sanità al Senato Federico Sciarra, Medico pneumologo di Piergiorgio Welby Ignazio Marcozzi Rozzi, Presidente dell’Agenzia Comunale per le Tossicodipendenze Franco Henriquet, Fondatore della Fondazione Gigi Ghirotti per l’assistenza ai malati di cancro Mario Sabatelli, Ricercatore dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica di Roma Carlo Flamigni, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Bologna Gilberto Corbellini, Ordinario di Storia della Medicina all’Università La Sapienza di Roma Demetrio Neri, Ordinario di Bioetica all’Università di Messina Luciano Di Nepi, Medico Mirella Parachini, Medico Luigi Montevecchi, Medico Pietro Moretti, ADUC Vivere&Morire Giuseppe Rossodivita, Avvocato Vittorio Angiolini, Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università Statale di Milano Claudia Moretti, Avvocato, ADUC Vivere&Morire, Associazione Coscioni Giorgio Carta, Avvocato Marco Pannella, Europarlamentare radicale Marco Cappato, Europarlamentare radicale, Segretario Associazione Coscioni Furio Colombo, Senatore Ulivo Federico Enriques, Senatore Ulivo Antonio Paravia, Senatore AN 10 CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO e grazie alla moglie, che è la persona che in questi anni è stata il punto di riferimento di Piero, abbiamo iniziato a far fare una seconda parte di cammino di vita diverso. Piero ha iniziato a interessarsi a tutta una serie di situazioni attraverso internet che lo hanno portato ad avere rapporti con l'Associazione e con i radicali. Questo periodo è stato a mio parere molto proficuo anche se chiaramente le sue condizioni di salute sono andate peggiorando nel tempo, ma questa è una condizione, per il momento improcrastinabile per quella che è la sua patologia. I suoi muscoli pian piano hanno iniziato a fermarsi e quindi sia dal punto di vista motorio che respiratorio ventilatorio le sue condizioni sono andate sempre un peggiorando, anche se lentamente. Un periodo in cui riusciva a parlare e una nutrizione accettabile, un periodo successivo in cui la nutrizione è diventata scarsa: ha avuto bisogno di un supporto alimentare tramite sondino nasogastrico, alimentazione assistita con prodotti preparati in maniera industriale che gli garantissero un adeguato supporto di proteine e grassi visto che non riusciva a ingerirli per via naturale. L'assistenza del ventilatore polmonare che nei primi tempi era solo notturna, ora è necessaria per 24 ore al giorno. Fino ad arrivare a quest'ultimo periodo nel quale le necessità di assistenza sia nutrizionali sia riguardanti la respirazione sono diventate sempre maggiori. Oggi Piero non riesce a stare staccato dal ventilatore neanche pochi minuti né riesce ad alimentarsi per vie naturali. Ha bisogno di farlo solo con prodotti industriali utilizzando vie di accesso alternative. Questo è stato il momento in cui si è accorto di non riuscire a fare più quelle che erano le sue azioni normali di vita, seppur particolari, e questo credo abbia fatto maturare in lui le cose che ha scritto nella lettera al Presidente Napolitano. Una valutazione etica morale è sempre difficile; io assito moltissimi pazienti in queste condizioni e con diverse patologie. Ho fatto il mio lavoro da medico in maniera distaccata, impersonale, cercando di portare solo un supporto scientifico, ma poi uno si trova a confrontarsi con quello che è l'animo del paziente. Ci sono pazienti che hanno una ferma volontà di ; POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? proseguire questo cammino e pazienti che invece si accorgono di non avere più ragioni e fanno scelte diverse. Questo è un discorso difficile, ognuno di noi ha un'idea diversa giustificata, corretta, per quello che può essere la propria idea di vita. Questo vale anche per i malati. Credo che la richiesta di Piero sia intenzionalmente pensata e supportata; quanto sia giusta non so dirlo, ma indubbiamente fa parte del suo percorso di vita come fa parte del percorso di vita di ciascuno di noi arrivare a prendere decisioni felici o infelici, giuste o sbagliate, ma che sono decisioni che vengono da quella che è tutta la nostra vita precedente. Da questo punto di vista mi sembra di capirlo, anche se forse da qualche altro non mi sento di condividerlo in tutti gli aspetti. utile a riprendere la memoria di quelli che erano stati i problemi e anche i dilemmi della situazione di Luca. COSA SIGHIFICHEREBBE "STACCARE LA SPINA"? MARCO CAPPATO Cosa può significare oggi per Piero "staccare la spina", visto che anche i tempi delle conseguenze possono avere delle ricadute diverse in termini di diritto. Un conto sono persone che in conseguenza di una sedazione, e staccati dai "trattamenti", possono avere una certezza di speranza di vita di pochi minuti, un altro quello di persone che sono rimaste in quelle condizioni per anni. Cosa vuol dire per Piero, di fatto, staccare la spina? FEDERICO SCIARRA Piero è in una situazione di coscienza estrema, non è una persona che è li e non sappiamo se è cosciente o meno. SLS significa spegnere il respiratore, non assistere in maniera continua la respirazione di Piero. Questa sarebbe una cosa insopportabile: immaginate di tappare il naso e rimanere cosi per uno, due, tre minuti. Immaginate la sofferenza che può provocare, sarebbe un'agonia cattivissima, una cosa che non si può assolutamente pensare. O si usano situazioni diverse nelle quali, come dice la sua domanda, si faccia qualcosa per renderlo non cosciente e allora è pensabile, o altrimenti è inimmaginabile staccare la spina e Federico Sciarra aspettare il momento fatale. Per la sofferenza che procureremmo, e che si procurerebbe, sarebbe veramente una cosa non pensabile, non può rientrare tra le possibilità. Qui forse c'è qualcuno più bravo di me per spiegare questi meccanismi, forse in una persona che ha una soglia di coscienza diversa sarebbe diversa la risposta, ma nel caso di Piero è impensabile, semplicemente improbabile. MARCO CAPPATO Nel caso in cui si rendesse Piero non cosciente, e gli fosse somministrato un farmaco con il solo effetto di metterlo nelle condizioni di incoscienza, immaginando di staccare a quel punto il respiratore e interrompere ogni trattamento, quali sono le conseguenze probabili o le diverse conseguenze, e quale grado di possibilità che si verifichino. Abbiamo la quasi certezza di una morte quasi immediata o abbiamo la possibilità concreta di un protrarsi dell'agonia per x ore, o x giorni? FEDERICO SCIARRA Nel caso in cui si somministrasse qualcosa per rendere incosciente Piergiorgio, si staccasse il respiratore e si interrompesse la nutrizione assistita, le ore potrebbero essere molto lunghe; non è detto che succeda dopo pochi minuti, anzi è molto probabile che non succeda dopo pochi minuti, perché a meno che questo farmaco non sia un farmaco che deprima il respiro in maniera importante, lui una minima capacità di ventilare ce l'ha e questa la potrebbe avere per un periodo di tempo che non posso quantificare, ma che sicuramente è più di pochi secondi. LA SCELTA DI LUCA NON E' STATA EUTANASIA Ignazio Marino, Marco Cappato, Gilberto Corbellini MARCO CAPPATO Nel dare la parola al professor Sabatelli, che ha avuto in cura anche Luca Coscioni, ci potrà essere anche MARIO SABATELLI Comincio proprio con il ricordare Luca. Luca l'ho conosciuto quando ero un giovane neurologo del Policlinico Gemelli, Università Cattolica dove lavoro, quando aveva semplicemente un problema ad una mano, e poi via via l'ho seguito nella sua storia, fino ad arrivare ai giorni che hanno preceduto la sua morte. Mi interesso quindi di SLA, seguo quasi tutti i pazienti del Lazio, che sono nell'ordine delle centinaia, mentre alcuni pazienti con distrofia muscolare arrivano a questo problema della insufficienza ventilatoria, tutti i pazienti con la SLA in tempi diversi arrivano a questo problema. Io vorrei cominciare subito col dire che se vogliamo aiutare Piergiorgio, e quanti hanno la SLA, noi dobbiamo fare una prima cosa: togliere la parola eutanasia da questo contesto, questa non è eutanasia. Se vogliamo arrivare a legiferare perché questo è il problema, in questo argomento, dobbiamo scorporare la parola eutanasia da questo contesto. Adesso cercherò di spiegare il perché: vedete queste malattie, per esempio la SLA, sono malattie molto particolari. Quando a Luca ho parlato negli ultimi giorni, gli ho detto: "Luca, sei arrivato ad una situazione in cui ormai il respiro è veramente difficoltoso. Ti do due possibilità: o stai fermo così, non facciamo niente, oppure io ti posso aiutare e ti assicuro che respirerai immediatamente meglio con una tracheotomia; ma il problema appunto è che la tracheostomia ti permetterà di vivere". Quello che dico sempre ai pazienti. I pazienti stanno molto meglio con la trachesotomia, perché la sofferenza della mancanza di ossigeno è drammatica. Bene questa è una situazione particolare, cioè c'è una situazione in cui la scelta di vivere o morire la fa il paziente ed io ogni volta, è prassi quotidiana, non scomodo bioetica o politici per sapere cosa fare. In questo caso il paziente era Luca, e lui stesso mi ha guardato e ha detto: "Sono disperato - questa è l'ultima parola che mi ha detto - ma non la voglio fare". Quindi il paziente decide se vivere o morire: se il paziente decide di vivere faccio qualunque cosa, se il paziente decide di morire non faccio nulla. Bene, il paziente, mettiamo, e sono soltanto una minoranza, sceglie di essere tracheostomizzato, e vorrei che fosse chiaro a tutti, quale è la situazione del tracheostomizzato, perché la malattia va avanti, e si arriva a condizioni in cui la persona non muove assolutamente nulla, se non solo gli occhi. Questa è una condizione assolutamente fuori dal pensiero umano, perché la persona viene a trovarsi rinchiusa nella più piccola prigione che la mente possa immaginare, quella del proprio corpo. Alcuni la scelgono e altri dicono no. Qui c'è la dottoressa Semeraro. Suo marito, il professor Giorgio Recchia, si è fatto tracheostomizzare: è affetto da SLA, da quando è stato tracheostomizzato, continua a dirigere il suo studio legale, si è sposato, ha fondato insieme a me l'associazione x lo studio per la ricerca sulla SLA. Per me, medico, dare questa terapia non è accanimento terapeutico, perché io do qualcosa che lui vuole; a volte mi CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO Mario Sabatelli sfiora l'idea che sia il paziente ad ostinarsi a legarsi alla vita in questa maniera, ma è una sua scelta ed io la rispetto. Attenzione, una quota di persone, ad un certo punto, non tollerano più questa condizione. E' facile immaginarlo. Non c'è bisogno di scomodare né destra e né sinistra, né cattolici, né non cattolici, siamo tutti d'accordo perché non la tollerano: all'inizio riuscivano a parlare, riuscivano a comunicare, e a un certo punto ci si rinchiude in questa prigione totale. Si può capire che una persona dica basta, e quando una persona dice basta, non gli sto dando più una terapia, ma gli sto prolungando una sofferenza inaudita. E che questo possa essere sospeso non lo dico io, io cito un pronunciamento del magistero della Chiesa, iure bone del 1980, in cui si dice che si è lecito sospendere i trattamenti che procurerebbero anche soltanto un prolungamento precario e penoso della vita. Che quindi questo sia etico e lecito, perché in questo momento io mi sto accanendo contro la sua volontà, non solo è sicuro ma è anche doveroso. È doveroso da parte mia, non staccare la spina a tutti, ma a chi me lo chiede, perché non tollera una situazione di sofferenza assolutamente impensabile". MARCO CAPPATO a domanda che Pannella faceva fuori microfono è sul fatto che Piero ci chiede come potere realizzare questa volontà senza essere costretto a soffrirne magari per lunghi giorni. MARIO SABATELLI Guardi il problema stranamente non è etico ma è legislativo. Non sono un bioetico ma sono un neurologo che lavora sul campo giorno per giorno. Tre mesi fa un paziente affetto da SLA mi ha fatto questa stessa domanda. Mi ha detto basta non ne posso più, io voglio staccarmi. Quando gli ho detto è possibile, lui mi ha guardato ed era sorridente, a quel punto si è posto il problema, come facciamo. Allora è chiaro una cosa del genere va fatta esclusivamente con sedazione, è ; inimmaginabile che io per non fare un atto attivo, stacchi il respiratore; ma non se ne parla per niente. Il paziente va assolutamente sedato, non ho pensiero diverso da questo. Il problema è come fare. Io mi ero offerto di andare a casa del paziente di sedarlo, e di staccare la spina. Ovviamente non è stata una mia decisione così, io ho raccolto anche nell'ambito dell'università Cattolica per dirvi come ci sia un accoglimento - della eticità di questo. Ho riunito bioetici e altro. L'unica resistenza non è stata etica, qualcuno ha detto, ma guarda che se qualcuno ti fa qualche cosa tu rischi, in base anche a quello che diceva Cappato, rischi cinque e più anni di galera, sei anni di galera. Io ho detto, non mi importa, me le prendo io le responsabilità. Eravamo pronti per fare questo, quando il paziente è deceduto. Ma che si faccia questa considerazione e che sia possibile farla, io non ho nessun dubbio. A livello politico ci dovete aiutare a fare una legge, perché la resistenza è questa. La parola eutanasia significa dare deliberatamente la morte ad un paziente. E' un problema che va discusso e non voglio parlarne, perché è separato. Sospendere una terapia è un atto doveroso nel momento in cui è il paziente che lo sceglie. Perché la procedura terapeutica che gli stavo proponendo non era doverosa da parte mia, cioè quando un mio paziente ha la peritonite è mio dovere, vuole o non vuole, operarlo per salvargli la vita. Se un paziente io lo attaccassi al respiratore la cosa non doverosa rimane dopo, e quindi la sospensione non configura assolutamente il fatto di dare, è la malattia stessa che gli sta procurando la morte, io non faccio nulla per dargli la morte". LA SEDAZIONE TERMINALE E' A RISCHIO REATO? DEMETRIO NERI In realtà ho poco da dire perché quasi tutto quello che avrei voluto dire è stato detto prima da chi è intervenuto, che ha fatto per quanto mi riguarda dell'ottima bioetica. Volevo però appunto andare un po' oltre: sono perfettamente d'accordo sul fatto che in questo caso noi non violiamo nessuna legge né etica e diciamo neanche così giuridica, per certi aspetti, ma su questo ritornerò. Mi risulta tra l'altro, me lo diceva qualche settimana fa a Milano un neurologo, che la sedazione terminale più il distacco del respiratore è una pratica che a lui risulta che può avvenire tranquillamente. Qual è, dunque, il problema? Il problema non è bioetico e neanche etico in generale. Io non ho mai sentito nessuno tranne qualche editorialista dell'Avvenire, che si sia dichiarato contrario a queste forme con le quali viene rispettata la volontà del paziente. Anche in forma anticipata. Per il Codice medico deontologico è scontato, nell'articolo 34 già nel '98, il Codice medico ha recepito l'articolo 9 della Convenzione di Oviedo. Forse c'è una piccola contraddizione nel Codice che andrà risolta, perché all'articolo 37 dove si dice appunto che in caso di prognosi infausta raggiunta nella fase terminale il medico può limitarsi all'assistenza morale e alle terapie atte a POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? risparmiare sofferenze inutili, avrebbero dovuto aggiungere il riferimento all'articolo 34, tenendo però conto dei desideri che esprime il paziente. Come si dovrà poi tener conto, appunto dipenderà dalla legge sul testamento biologico che è in discussione. Il problema sta nell'articolo 37 dove si dice che in caso di compromissione della coscienza, le terapie di sostegno vitale vanno mantenute finché ragionevolmente utili, ma - e questo è il punto - fino all'accertamento della perdita irreversibile delle funzioni encefaliche, in relazione alla dichiarazione di morte. Questa è una grossa contraddizione perché qualcuno potrebbe dire che quando il paziente venga posto in condizione di sedazione terminale, è in uno stato di compromissione della coscienza. A questo punto, indipendentemente da quello che lui ha desiderato in precedenza, o magari l'ha anche scritto, io devo mantenere il sostegno vitale, fino alla cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche. E' una contraddizione che abbiamo spesso rilevato, io stesso in qualche riunione con la federazione dell'Ordine dei medici. Mi auguro che nella nuova versione questa contraddizione venga risolta dicendo "salvo quanto previsto dall'articolo 34", o se intanto la legge “In materia di protezione dell’esercizio dei diritti della persona malata, c’è una larghissima incertezza giuridica e non da ora, a causa della quale i medici preferiscono la via più sicura dal punto di vista legale, che di solito è la via più tormentosa per il paziente” verrà fatta, "quanto previsto dalla legge sul testamento biologico". Questo è il vero problema. Il Dott. Sabatelli citava poco fa il fatto che in questi casi molti medici, molto spesso, preferiscono attenersi a quella che loro considerano la strada più sicura da un punto di vista delle conseguenze legali. In questa materia, e in generale in materia di protezione dell'esercizio dei diritti della persona malata, c'è una larghissima incertezza giuridica e non da ora. Io ricordo un documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 1995 che riguardava tutte le questioni etiche di fine vita e che esordiva proprio deprecando l'esistenza di questa larga aria di incertezza giuridica, a causa della quale i medici preferiscono la via più sicura dal punto di vista legale, che di solito è la via più tormentosa per il paziente. Non scelgono la via che il loro stesso codice deontologico gli suggerisce: chi viola il codice deontologico potrà avere un 11 Franco Enriquet rimprovero dall'ordine dei medici, chi eventualmente venga messo sotto processo da un giudice invece potrebbe passare i suoi guai. Ecco perché l'esigenza di questa normativa sul testamento biologico che io mi auguro però, non arrivi al punto, non voglio entrare su questo argomento poiché c'è il Presidente Marino, da farne un documento che in molti casi sarà veramente inutile. In una pagina che ho mandato alla Commissione io faccio una semplice domanda: in relazione ad un altro trattamento ma siamo sempre nell'ambito dei trattamenti di sostegno vitale, la nutrizione e l'idratazione artificiale. Dovremmo pure chiederci noi italiani, che ci autonominiamo sempre come i più furbi e i più sapienti del mondo, come mai in nessuna delle leggi sulle direttive anticipate che esistono al mondo si preveda che il paziente non possa lasciare disposizioni circa l'interruzione dell'idratazione e dell'alimentazione artificiale. Certamente questo è un argomento, può darsi che tutti sbaglino e solo noi, o almeno una parte di noi abbiano ragione. Però in questo caso un po' di umiltà per capire che se in tutto il mondo le cose stanno così qualcosa di buono ci deve pur essere. Il punto ulteriore è effettivamente quell'ulteriore cosa che preoccupa Piergiorgio Welby e che oggi nessuno è in grado di garantirgli. Al di là degli atti che sono stati descritti entriamo nel campo di pertinenza dei giuristi, dell'articolo 579, mi pare, del codice penale. Se avviene un atto ulteriore che provoca la morte del paziente. Lo ricorderete l'ingegnere Forzatti: è stato assolto perché si è detto nella sentenza, non era possibile accertare che vi fosse una diretta relazione di causalità tra quello che ha fatto e la morte del paziente. Questo, si citava il codice Rocco, è un filo conduttore di tutto il novecento. Il codice Rocco introdusse questo articolo perché come disse il guardasigilli Rocco nel presentare il Codice, i nostri giudici col vecchio ordinamento, era mi pare il codice Zanardelli, non riescono a convincersi a punire severamente un medico, o anche altre persone, che 12 CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO commettano un omicidio pietoso, perché non hanno nessun altro strumento se non: o assolverli per incapacità mentale oppure punirli per omicidio gravissimo e chiederlo tra l'altro con numerose aggravanti. Ecco perché hanno introdotto quell'articolo, che però è costruito in un modo tale da non consentirgli una giusta. applicazione. Credo che questo sarà l'oggetto della battaglia futura. Indubbiamente effettuare un atto di questo genere, Piergiorgio probabilmente ha contemplato questo, con il rischio poi di restare con una sedazione che protrae la sua vita in quella condizione di distacco della coscienza per un tempo indefinito e indefinibile. Credo che questo lo spaventi molto. Ma qui entriamo in un altro campo. MARIO SABATELLI Piccolissima precisazione. Un altro atteggiamento che noi possiamo avere nei confronti dei pazienti affetti da distrofia muscolare ma soprattutto con SLA, quando decidono di non attaccarsi al respiratore, nel caso di Luca non c'è stato bisogno perché l'anidride carbonica via via è salita e ha funzionato da narcotico, in alcuni casi in cui c'è una chiara sofferenza da parte del paziente, noi siamo assolutamente autorizzati deontologicamente, eticamente, anche dal magistero della Chiesa, a fare una sedazione terminale. Quando cioè il paziente soffre io lo sedo, cioè lo narcotizzo con morfina e benzodiazepine, e il paziente va in uno stato di coma farmacologico finché non si spegne. Quindi dal punto di vista pratico, io sospendo la macchina, do la sedazione. Ci sono grandissime possibilità che il decesso avvenga in pochi minuti o ore, se non dovesse succedere noi siamo nella stessa situazione in cui al paziente venga staccata la spina senza sedazione, per cui io sono autorizzato a continuare la sedazione terminale finché nel giro di poche ore la situazione non vada al suo termine. Su questo penso non ci siano né problemi etici, né giuridici. Ma mi dovete dare gli strumenti per staccarla, perché quando si è deciso come fare, i risvolti medico-legali sono quelli che paralizzano i medici, risvolti che bloccano anche i medici che possono essere d'accordo. IGNAZIO MARINO Intervengo più da tecnico che da politico perché credo di aver capito il senso della domanda di Marco Pannella. La medicina oggi offre strumenti di sedazione che possono essere utilizzati per settimane, ma anche mesi. Nella mia esperienza - io mi occupo di trapianto di fegato - di fronte a situazioni veramente complicate e che richiedono una sedazione permanente del paziente, vi sono dei farmaci che permettono di sopprimere lo stato di coscienza del paziente in maniera permanente e che sono metabolizzati, in modo tale, dal nostro organismo, da poter essere quasi capaci di stabilire quando il paziente deve essere in stato di assoluta incoscienza (e quindi non sente nessun dolore, non percepisce nulla, non ha nessun rapporto con il mondo esterno). Se fosse necessario sospendendo il farmaco lo stato di coscienza può essere ripreso. Io ad esempio comunemente, anche per questo tipo di situazione, uso un farmaco che si chiama Diprivan Propofol che è a diffusione continua e assolutamente pone il paziente in una ! Demetrio Neri condizione che è assolutamente uguale a quella di una anestesia generale: se uno volesse potrebbe fare anche dei piccoli interventi chirurgici. Quindi, se questa è la preoccupazione e capisco che il problema è molto più vasto - la mia è solo una risposta tecnica - esistono farmaci che se infusi a me in vena il mio fisico continua a svolgere le sue funzioni, ma il mio stato di coscienza è completamente soppresso e non c'è possibilità finché mi viene infuso quel farmaco che io mi risvegli. Ecco questa è la risposta che io volevo dare. FRANCO ENRIQUET Secondo me siamo in questa situazione: c'è un codice Rocco che dice che si incorre nell'omicidio del consenziente e quindi da 6 a 15 anni. Ma nello stesso tempo c'è una legge, una normativa, la Costituzione che ti dà la possibilità di scegliere e magari il testamento biologico che andrà verso questa direzione. E questa è la domanda che chiama in causa il giurista: ma allora come si concilia la possibilità di scegliere le cure e quindi accettarle o rifiutarle con la legge del 1930 di Rocco che ti può accusare? Il medico si trova in una situazione che potremmo chiamare limbo giuridico: non definizione, non certezza di poter essere nella legittimità. LA LEGGE E LE INTERPRETAZIONI IN MATERIA AVV. ANGIOLINI Intervengo per aver studiato questi problemi con il mio studio sul caso Eluana Englaro, anche se il caso di Eluana ha poco a che vedere con il caso Welby: si tratta, infatti, di due casi fondamentalmente diversi dal punto di vista medico e giuridico. Dal punto di vista medico la differenza che è una bella differenza - riguarda il fatto che qui abbiamo a che fare con una persona cosciente in grado di decidere. Quindi il discorso cambia totalmente. Allora il problema dell'omicidio del consenziente perché questo è un problema - sarei POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? molto cauto anche sul piano del giudizio sulla norma, perché non è solo una norma del codice Rocco. Ricordiamoci cosa ha detto la Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Pretty contro Regno Unito. Ha detto: guardate che salvo i casi in cui effettivamente ci possa essere - e non è questo il caso in cui giudichiamo una lesione della dignità umana la Corte non se la sente di dire che uno Stato non può vietare di uccidere uno che lo chiede. Quello è un problema grosso, molto diverso peraltro dal problema che si può porre nel caso Welby. Sotto questo profilo io non avrei dubbi che si tratti di omicidio del consenziente. Nel caso in cui venga irrogato un trattamento che viene irrogato per provocare direttamente la morte. E voglio dire la sedazione può essere portata ad un certo livello e portare la morte: in questo caso realizza una ipotesi tipica di omicidio del consenziente: per essere molto chiari. Mi pare che invece il problema sia tutto diverso nell'ipotesi, che mi pare quella fatta da molti, che è una ipotesi che non ha nulla a che vedere con i problemi che normalmente ricadono sotto l'etichetta eutanasia, ma non hanno nulla a che vedere neppure con Quando il paziente dà il consenso decide lui, questo è il principio. Quindi non è il medico a fare la scelta. Se non ci sono trattamenti tesi a provocare la morte, il paziente sceglie liberamente ed in modo informato di staccare una macchina e poi avere un trattamento di sedazione. l'accanimento terapeutico. Qui abbiamo di fronte una persona cosciente: quando si dice che ha il diritto di scegliere sulla vita o la morte si dice una cosa giuridicamente inesatta, perché qui a mio avviso viene fatta un'altra scelta: se essere sottoposto o non essere sottoposto a determinati trattamenti. che è problema diverso. Un anno e mezzo, forse due anni fa, c'è stato un caso che è passato sotto silenzio perché in realtà non è sfociato in atti giudiziari: una signora ha rinunciato all'amputazione di un arto e la diagnosi chiara e poi purtroppo verificatasi era che se non si amputava l'arto la signora moriva. È stato sollecitato il Sindaco che sotto convalida del magistrato avrebbe potuto imporre un trattamento, ed il Sindaco ha detto: non lo posso imporre. Perché ha seguito la linea più garantista nell'interpretazione dell'articolo 32 della Costituzione che lo interpreta nel senso non solo che ci vuole il consenso informato del paziente per irrogare un trattamento sanitario, ma che i trattamenti sanitari possono essere imposti soltanto - non nell'interesse del paziente che è libero di interpretare il suo interesse, qui stiamo parlando sempre di persone dotate di coscienza e volontà - ma possono essere imposti solo a tutela della salute pubblica. Quel caso si è risolto a mio avviso correttamente, seguendo una linea dettata da molti costituzionalisti, come Pace. A me pare che il problema sia molto semplice fino in fondo se lo si guarda da questo punto di vista, se si esclude l'ipotesi di un trattamento che sia teso a provocare la morte: se il problema è il distacco della macchina seguita da sedazione, qui a me pare che l'unico problema sia che il medico debba mettere il paziente in condizioni di effettuare una scelta cosciente, cioè deve informarlo fino in fondo di ciò che può accadere. Però al di là di questo a me pare che il rischio qui non ci sia. È chiaro che l'omicidio può realizzarsi anche in forme omissive, ma qui siamo di fronte all'esercizio di un diritto. È vero anche che i giuristi sono ancora arretrati in questa materia. A me pare che i medici non abbiano ancora capito una cosa: quando il paziente gli dà il consenso decide lui, questo è il principio. Quindi il medico non fa lui la scelta; da quando soprattutto il consenso è diventato consenso informato. E questo a mio avviso elimina il problema del coordinamento tra le due norme: io non avrei dubbi quindi che se non ci sono trattamenti tesi a provocare la morte, qui si tratta di un paziente che sceglie liberamente ed in modo informato di staccare una macchina e poi avere un trattamento di sedazione. Lo stesso problema che c'è nei confronti dello stacco della macchina c'è anche nel caso della sedazione. Si tratta di un trattamento che deve essere effettivamente proposto per quello che è, spiegato per come è, e poi accettato o non accettato dal paziente. Io ritengo esattamente che nel caso in cui ci sia un distacco, anche fatto dal medico su indicazione di Welby, e poi un trattamento di sedazione che sia voluto dal paziente il problema dell'omicidio del consenziente non si pone, perché in realtà qui abbiamo di fronte una persona, che è un medico, che agisce in base ad un consenso informato. Qui il medico fa integralmente il suo dovere: quello che deve fare. Non vedo cosa ci sia... il rischio diventa grosso sul piano della giurisprudenza esistente qualora venga irrogato un trattamento che porti alla morte. GIUSEPPE ROSSODIVITA Brevemente per portare ad ulteriori conseguenze un ragionamento fatto dal professore Angiolini. Nel caso di Welby, c'è la necessità di un doppio consenso informato o meglio di una doppia volontà. Nel caso del rifiuto di queste terapie, che trovo sia assolutamente legittimo anche allo stato attuale, il medico deve staccare la ventilazione, sulla base del inconcepibilità della vita, art. 32 della Costituzione: problemi che mi sembrano ampiamente superati e superabili. Per quanto riguarda invece, il consenso ai trattamenti di sedazione, qui la situazione si fa un po' più complicata perché, a mio avviso, anzitutto è necessario, come ha ricostruito il professore Angiolini, il fatto che questa situazione non sia, parlo da un punto di vista giuridico, in termini astratti; poi, i problemi CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO sedazione, è un problema medicolegale, è il problema di cui parlava il professore e che poi porta a bloccare certe iniziative, e i processi possono andare in tanti modi, dal punto di vista astratto, questa è per me la situazione. ! IL TESTAMENTO BIOLOGICO E IL CONSENSO INFORMATO Vittorio Angiolini relativi all'accertamento in fase processuale, sono problemi altri, sono problemi concreti, sono problemi che si pongono sul caso specifico e che possono portare all'assoluzione come sul caso citato dal Professore Neri. Però in termini astratti se questa sedazione viene effettuata, con tutte le cautele da parte del medico e con tutte le proporzioni relative al caso, ed è finalizzata esclusivamente alla sedazione, e dunque alla terapia del dolore, che ha avuto riconoscimento giuridico in Italia nel 2001, il medico rispettando tutte le regole della legge, non può andare incontro oggettivamente a responsabilità. Ma se il medico si pone anche in termini di eventualità il rischio, quindi parlo di dolo eventuale, e lo accetta, ovvero che attraverso la sua sedazione, possa poi determinarsi la morte, purtroppo “Al Senato ci sono otto disegni di legge e speriamo nel 2007 speriamo di arrivare ad un testo condiviso il più possibile” poi, pur non condividendo assolutamente questo tipo di situazione dello stato attuale della giurisprudenza, al momento, in termini astratti, penso che porterebbe ad un accertamento della responsabilità del medico. Ripeto su questo è necessario allora che il legislatore vada avanti in modo determinato, condivido anche la necessità di evitare di utilizzare il termine eutanasia per portare avanti questo tipo di battaglia, di prospettiva, però ecco se io dovessi dare un parere in relazione alla domanda di Welby in questo momento, mi sento di dover fare questa distinzione. Poi il problema dell'accertamento della causa, della IGNAZIO MARINO Certo i temi sono veramente vasti e Articolati, ed è difficile fare una sintesi e dare una risposta, ma vorrei cercare di fare un disegno generale esplicitando quello che penso personalmente, sia come medico che ha avuto a che fare in diverse situazioni con momenti di fine vita e trattamenti terminali, sia come persona che ha oggi delle responsabilità politiche. Io vorrei iniziare con quello che è secondo me il punto fondamentale. Vittorio Angiolini ha detto in maniera così volutamente provocatoria che i medici non hanno compreso che nel momento in cui si chiede il consenso informato è il paziente che decide. Io questo lo accetto come una provocazione che serve per chiarire, perché credo che questo sia il punto di partenza dell'importante dibattito che stiamo facendo oggi. L'individuo ha oggi finalmente un diritto riconosciuto che è quello di decidere quello che vuole o che non vuole sia fatto su di lui. L'idea che anche un Sindaco possa intervenire nell'imposizione di un trattamento è qualcosa che interrompe questo principio, mi sembra un passaggio da una medicina di tipo paternalistico, dove chi ti dà una medicina ha un ruolo in qualche modo superiore al tuo (cosa che io non accetterei in nessun caso), ad una situazione di assoluta giustizia dove chi deve avere un trattamento o una procedura diagnostica, oggi, se qualcuno deve fare una gastroscopia comunque deve essere informato di tutti i rischi e deve dire se vuole o non vuole farlo. Il caso citato, di quella donna che qualche tempo fa decise di non farsi amputare un arto, mi pare che lo dimostri in maniera molto chiara. Se oggi avessi necessità per continuare a vivere di un trapianto di cuore e so che senza un trapianto morirei, posso lo stesso dire "non voglio essere messo in liste, non voglio il trapianto di cuore", non è possibile che qualcuno venga e mi costringa, anche se qualche tentazione forse c'è. Vi faccio anche un esempio: a metà degli anni '80 prima di andare negli Stati Uniti, dove sono rimasto 18 anni, lavoravo qui a Roma, e mi ricordo una discussione drammatica in cui venni coinvolto dal direttore sanitario dell'ospedale sul caso di un paziente che non voleva più essere collegato alla macchina dell'emodialisi. Ma è un elemento esterno, quello, non fa parte della vita naturale e uno può decidere. Tutto questo non viene molto pubblicizzato, ma se si fa un'indagine di quanti pazienti dopo diversi anni decidono di non presentarsi più al centro dialisi, e quindi in 7-8 giorni lasciarsi morire, sono un numero non altissimo, ma che fa meditare. Faccio questo esempio perché secondo me tutto discende dal principio del consenso informato, cioè di decidere quello che voglio che venga fatto e quello che non voglio che venga fatto POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? su di me. Questo porta al secondo punto, chiaramente discusso prima da Mario Sabatelli: la differenza tra scelta delle terapie, eventuale rinuncia alle terapie ed eutanasia. Sono concetti e condizioni completamente distinti e credo che tutti quelli che scrivono o parlano utilizzando termini come eutanasia passiva, eutanasia attiva, creano soltanto confusione e usano dei termini che non dovrebbero essere utilizzati perché la differenza è tra consenso informato, eventuale rinuncia all'accanimento terapeutico e eutanasia. Sono cose completamente diverse. È così chiaro: chi ha necessità, per continuare a vivere, di qualcosa che non faccia parte della quotidianità, di strumentazioni esterne, di apparecchiature come un respiratore automatico, di una nutrizione o idratazione artificiale, di farmaci che ne mantengano il battito o la pressione sanguigna, insomma di tutte quelle possibilità che oggi la medicina, la tecnologia, la scienza ci offrono, e decide di non voler più questo tipo di terapie, può rinunciare e questo dovrebbe essere accettato da tutti e credo che in effetti sia abbastanza accettato da tutti. Cosa diversa è l'eutanasia che significa che io decido per qualche motivo, perché “Venendo alla situazione di Piergiorgio Welby: credo che qui rientriamo addirittura in una condizione in cui i disegni di legge di cui ci stiamo occupando in Parlamento, sono per situazioni diverse da quella in oggetto" soffro o perché ho altri problemi (ha fatto notizia la storia di un musicista che è diventato sordo, si è rivolto alla clinica "Dignitas" di Zurigo, hanno esaminato il caso e sono stati d'accordo con lui che la sua vita non fosse più degna di essere vissuta e quindi gli hanno fatto un'iniezione letale di cloruro di potassio ed è stato soppresso che è lo stesso modo che si usa nel braccio della morte in Texas dove non si usa la sedia elettrica ma l'iniezione letale e il cloruro di potassio che tutti i medici lo sanno, nel giro di pochi secondi arresta il cuore e si ha la morte) di togliermi la vita. Quindi sono due situazioni completamente diverse. Io non sto spendendo parole a favore dell'eutanasia ma semplicemente spiegando quanto diverse siano queste situazioni. Venendo alla situazione di Piergiorgio Welby. Credo che qui rientriamo addirittura in una condizione in cui i disegni di legge di cui ci stiamo occupando in Parlamento, sono per situazioni diverse da quella in oggetto. Welby ne potrebbe probabilmente beneficiare, anche se in situazioni di questo genere usare un tale termine sembra 13 davvero fuori luogo, in modo indiretto. Welby è nella situazione in cui siamo tutti noi in questo momento: possiamo dire "io voglio essere sottoposto a questo trattamento" o meno, cioè indicare quello che vorrei o non vorrei venisse fatto su di me. Ora, è chiaro qui c'è un effetto emotivo importante. Io mi sono trovato, non centinaia di volte per fortuna, ma sicuramente decine di volte negli ultimi diciotto anni in situazioni di fine vita come questa. La differenza reale qui, dal punto di vista di chi si trova intorno, assiste, dai familiari ai medici, è se il paziente sia in uno stato di vita vegetativa o di incoscienza e allora si decide di staccare tutto perché non si ritiene di andare avanti oppure davanti ad un paziente che sia cosciente. Dal punto di vista emotivo è molto diverso: andare a staccare il respiratore ad uno che è cosciente implica delle decisioni e delle emozioni che sono differenti. Per chi l'ha fatto sa come me che sono cose diverse. Vi posso raccontare la storia di una donna che qualche mese fa, meno di un anno fa, nel mio centro trapianti l'abbiamo portata in sala operatoria per sottoporla ad un trapianto di fegato, cosa che succede raramente grazie alle tecnologie diagnostiche a disposizione, ma ci siamo resi conto aprendo l'addome che il tumore di cui era affetta aveva invaso altri organi e non era trapiantabile. Abbiamo richiuso, e questa signora si è risvegliata assolutamente cosciente nell'immediato post operatorio con il figlio maggiorenne accanto a lei ma senza alcuna possibilità. La donna era cosciente e ha chiesto che non venisse più fatto nulla. Visto che in quelle condizioni, dopo un'operazione così il paziente ha bisogno di tutta una serie di farmaci per non spegnersi. Nonostante questo ragazzo fosse disperato e io stesso avessi difficoltà - pensiamo al medico che istintivamente è portato ad assistere un paziente forse perché fa parte del nostro modo di essere (è più facile pensare a un'esistenza che porti a vivere piuttosto che a spegnersi in tranquillità anche se secondo me razionalmente anche quella è assistenza) - comunque bisognava fare una scelta e la scelta è stata non somministrare più nulla e quella signora si spense nel giro di due giorni. Queste sono situazioni diverse da quelle che richiedono di colmare un vuoto legislativo che è quello appunto delle direttive anticipate di vita, dove la persona comunque dà il consenso informato perché io oggi posso dire "non voglio essere mantenuto in rianimazione per più di un mese" in una situazione dove la mia vita dipende da delle macchine. Se staccano quelle macchine io non vivrei, quindi "dopo trenta giorni staccate la spina". Questo oggi in Italia non è possibile perché quello staccare la spina in quella condizione è stato già detto, si configurerebbe la pena di omicidio volontario. Un reato molto grave, ed è la stessa identica esatta situazione degli USA nel 1986 col caso di una ragazza che aveva avuto un incidente automobilistico ed era in coma da molti mesi nel New Jersey: i genitori erano convinti che era un accanirsi l'andare avanti con queste terapie, i medici condividevano questa posizione, ma non potevano fare nulla perché sapevano che potevano essere arrestati per omicidio. E la corte del New Jersey si pronunciò e diede con una sentenza (sapete che la 14 CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO Claudia Moretti giurisprudenza americana è differente da quella europea perché fa giurisprudenza) in cui veniva specificato che nessuno poteva essere accusato di omicidio in questa situazione. Questo però sollevò un grande dibattito pubblico e infatti alla fine se ne occupò la Corte del Wisconsin, e siccome la questione non sembrava risolvibile nemmeno in un Paese dove le sentenze fanno giurisprudenza, se ne occupò la Corte Suprema degli Stati Uniti e un atto del Presidente degli Stati Uniti nel 1990 pose fine a tutte queste questioni e da allora divenne possibile per tutti quello che volevano per se stessi, scrivendo un testamento biologico, cioè delle direttive anticipate di vita. Per rassicurare, io ho sentito molta confusione su questo, non significa che uno deve scrivere "dovete staccare" questo o quello, potete scrivere anche "io non voglio che venga staccato nulla". E voglio essere mantenuto finché o sono in morte cerebrale o si ferma il cuore, perché li è chiaro che se uno è in morte cerebrale è clinicamente morto e quindi il discorso è diverso, ma uno può anche scrivere di voler essere mantenuto perché ritiene che in quella situazione vuole essere assistito. Ancora una volta sulla base del principio del consenso informato, si dà la scelta all'individuo. È questo quel che si sta tentando di fare al Senato, dove vi sono otto disegni di legge e devo dire che al di là del fatto estremamente importante che Welby abbia scritto al Presidente della Repubblica e che il Presidente abbia risposto, il Senato se ne stava già occupando dall'inizio della Legislatura. Già a giugno avevo presentato il mio disegno di legge, altri senatori avevano presentato i loro disegni di legge e avevamo immediatamente messo in calendario come primo punto dell'attività legislativa questa importantissima problematica. Durante il mese di agosto avevamo individuato tutti i soggetti da audire, circa 37. Siamo circa ad oltre un terzo delle audizioni completate, speriamo per dicembre di averle completate tutte, e speriamo ? nel 2007 di arrivare con un testo condiviso il più possibile, e anche questo ritengo che sia importante perché su questi argomenti penso davvero, è un pensiero personale, che non si debba procedere con un voto o due voti di maggioranza. È un argomento dove dobbiamo cercare di spiegare con chiarezza tutti i punti. Così facendo potremmo arrivare ad una larga condivisione, come state facendo molto bene anche voi questa mattina. Credo che la maggior parte dei parlamentari, come dei cittadini italiani, ritengano che sia un diritto di tutti rinunciare a delle terapie che ciascuno di noi nell'intimo della propria coscienza ritiene per se stesso inappropriate o fuori dall'ordinario. Ritengo per concludere che la situazione di Piergiorgio Welby si distacchi un po' da questo. Ci troviamo di fronte alla situazione di una persona che di fatto potrebbe decidere e potrebbe richiedere una terapia di sedazione e chiedere che tutto il resto venisse sospeso e probabilmente questo lo porterebbe a spegnersi. Ripeto questo non è un uccidere una persona, non è un omicidio, è semplicemente scegliere di rinunciare a delle terapie che per noi stessi riteniamo inappropriate. Scusate ma davvero io credo che questo sia un principio che se spiegato bene è largamente condiviso. Sicuramente da quelli che sono qui oggi ma possiamo arrivare fino al Cardinale Barragan che è prefetto della Congregazione per la Salute della Chiesa Cattolica e ci ha scritto un libro su questo, e in quel libro, se qualcuno lo va a prendere, c'è scritto proprio che ognuno può stabilire quali siano le terapie che per se stesso ritiene inappropriate. Il principio mi sembra molto chiaro. “In Italia non esiste una legge che stabilisca precisamente come si gestisce il consenso informato” LA SEDAZIONE TERMINALE GILBERTO CORBELLINI Io vorrei fare solo delle precisazioni sulle cose che sono state dette e vanno a rinforzare alcune posizioni. Anzitutto quella del Senatore Marino, che ha giustamente precisato cosa significhi consenso informato, ovvero per il paziente avere il diritto di decidere su una serie di opzioni, avere il diritto di rinunciare e di rifiutare dei trattamenti, decidere su certe opzioni che sono presentate dal medico; ma attenzione, non può chiedere un paziente in base al consenso informato che un medico faccia qualcosa che sia contro la buona pratica clinica. Questo è un concetto base. Il ruolo del medico nell'etica e nella normativa del consenso informato non viene diminuito, anzi. Il medico è tenuto alla conoscenza di tutte quelle che sono le opzioni della buona pratica clinica e quindi a fornirle al paziente. E la buona pratica clinica vedremo che torna sulla questione della sedazione terminale. POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? specificare. IGNAZIO MARINO Volevo solo specificare che, è chiaro che non stiamo parlando di terminologie che non sono molto allegre, ma il termine che viene usato comunemente in America, anche nella sua traduzione italiana, interpreta molto bene quello che si fa: è il cosiddetto "terminal weaning", cioè il distacco terminale. Se uno entra in un'istituzione americana adesso, e c'è qualcuno in "terminal weaning", si sa esattamente cosa si deve fare: la sedazione che è generalmente 4 o 10 volte superiore a quella che si usa normalmente e il distacco di tutto. Giuseppe Rossodivita Per quanto riguarda poi l'esempio della signora che ha rifiutato l'amputazione, io vorrei ricordare (è difficile in questi casi usare termini come "fortunato" in situazioni drammatiche, tragiche) che il marito ha in qualche modo garantito che potesse continuare a prendere queste decisioni. Lo dico perché negli stessi giorni in Liguria un'altra signora è stata dichiarata incapace di intendere e di volere su richiesta dei parenti ed è stata sottoposta ad amputazione. Quindi ci sono delle cose ancora incerte da questo punto di vista. In Italia esiste tutta una normativa, esiste la Costituzione, esistono delle sentenze della Cassazione sul consenso informato, ma a parte recentemente la Direttiva Europea, non esiste una legge che stabilisca precisamente come si gestisca il consenso informato. Io insegno in una Facoltà di medicina e quando spiego il consenso informato dico una cosa, il medico legale ne dice una diversa e gli studenti mi chiedono, ma scusi chi ha ragione? Io dico: guardatevi quello che ci sta scritto nelle sentenze e decidete voi, o nella Costituzione e decidete voi. Un altro punto che mi sembra importante è il problema del linguaggio. Sono d'accordo con il Senatore Marino: va tolto il termine eutanasia, anche se è molto difficile nel linguaggio comune. Il linguaggio medico lo ha già tolto perché se noi andiamo a fare una ricerca su Pubmed, la banca dati bibliografica di medicina, da un po' di anni a questa parte difficilmente troviamo la parola eutanasia, ma troviamo una locuzione che è "end of life - decision making". Si parla ormai di scelte di fine vita, perché l'eutanasia è una cosa che ha vari aspetti, ma siccome è carica di significati storici, di usi in contesti in cui poi diventa difficile fare capire a tutti che non è pertinente usare certi episodi storici per fare argomentazioni e propaganda ideologica, allora è meglio parlare di scelte di fine vita, perché sono tante, quindi si tratta di decisioni riguardo a come le persone ritengono di voler morire. Quindi è giusto secondo me GILBERTO CORBELLINI La domanda che fa Piergiorgio è molto precisa e sono d'accordo che non è molto pertinente rispetto alla questione delle direttive anticipate che riguardano la messa in atto di una procedura quando non sono più cosciente. Da questo punto di vista parlo ancora un momento delle direttive anticipate e poi passo allo specifico di Welby: vorrei aggiungere a quello che ha detto il Senatore Marino sul "Patient self determination act" del 1991 in USA che questo è stato un processo che è durato effettivamente 15 anni e ha avuto bisogno del caso Nancy Cruzan, che non è un caso uguale a quello di Karen Qinn, che pur staccando il respiratore è andata avanti. Nel caso di Nancy Cruzan la Corte Suprema stabilì il diritto di interrompere l'alimentazione artificiale, e quindi riconobbe che alimentazione e idratazione artificiale sono trattamenti medici, cosa che da lì in poi si diffuse in quasi tutto il mondo, come diceva Demetrio Neri. In Italia c'è qualche incertezza, si riconosce che una persona può rifiutare tutti i trattamenti ma qualcuno non riconosce che alimentazione e idratazione artificiale vadano ritenuti dei trattamenti medici. Sul caso Piergiorgio Welby, credo che per quanto riguarda la questione della sedazione terminale, il linguaggio conta. Esistono protocolli di vari enti che hanno proposto linguaggi alternativi come "sedazione palliativa", per togliere il termine "terminale". La questione della sedazione terminale, per quanto ho capito io, che non sono un medico, leggendo le riviste New England, Jama, Lancet, mi sembra sia un protocollo, abbastanza standardizzato dal punto di vista medico. Insomma noi stiamo discutendo di qualcosa che ha già una sua configurazione persino in termini di buona pratica clinica. Si sa quali farmaci usare, quando utilizzarli ecc e nei casi di sedazione palliativa o sedazione totale è abbastanza chiaramente previsto che questo trattamento possa essere messo in atto quando si sa che non c'è alcun esito, nel momento in cui il paziente sceglie di rinunciare ad un trattamento il cui inevitabile decorso è la morte, non c'è alcun nesso causale: si sa che uno non muore per la sedazione. Nel caso della sedazione può essere indicata, leggo dalla letteratura, la sospensione dell'alimentazione e la sospensione dell'idratazione. Per quanto riguarda poi la questione di Welby, una volta che si entra in sedazione terminale, è possibile mantenere la sedazione terminale fino al momento in cui sopraggiunge il decesso. E non mi sembra che da questo punto di vista si possa mettere in discussione la CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO ? terminale? Perché credo che questo abbia un rapporto con la precondizione che Welby pone a qualsiasi decisione, quella che sia una scelta, la migliore possibile, rispetto a se stesso, cioè del non soffrire e probabilmente anche del non rimanere indefinitamente appeso ad una situazione seppure sedato. Questa è la migliore pratica medica? Antonio Paravia questione se c'è o non c'è coscienza. Non abbiamo una spiegazione neurobiologica della coscienza così come la abbiamo del battito cardiaco. Però abbiamo delle conoscenze abbastanza dettagliate di quelle che sono le strutture soprattutto a livello talamo corticale che sono necessarie per la coscienza, e una volta che queste strutture sono disconnesse, con una quantità enorme di casi clinici, di studi ecc la coscienza non c'è, non si riprende e il discorso si chiude lì. Da un punto di vista tecnico-clinico, anche se non sono un tecnico clinico, la letteratura, come dice in modo preciso anche Sabatelli, consente di compiere tutta una serie di azioni allo stesso tempo non si rientra secondo me nel caso di omicidio del consenziente proprio perché nell'atto di sedare, che è prescritto dal punto di vista clinico, non c'è come conseguenza di quell'atto il sopraggiungere della morte, del decesso. MARCO CAPPATO Siccome questo seminario serve a Welby per decidere, mi permetto di riattualizzare la domanda iniziale in questo modo: so perché Piero e noi parliamo di eutanasia quando parliamo della battaglia politica, però non è questo un seminario sull'eutanasia, e non mi voglio addentrare su una battaglia terminologica; visto che si può fare nelle condizioni di Piero e nell'attuale tecnica della sedazione, una sedazione certa, anche protratta nel tempo, oggi, il medico che faccia questo è certo - e fino a che punto è certo, o ragionevolmente certo - di non andare incontro a 6-15 anni di carcere? La seconda domanda è al Presidente Marino: negli Stati Uniti quando si parla di "terminal weaning" si tratta di una sedazione da 6 a 10 volte superiore a quella standard. Io accendo un campanello che accenderebbe Piero: perché è una sedazione da 5 a 10 volte superiore? Qual è il bisogno di fare una sedazione da 5 a 10 volte superiore se la sedazione oggi consente di fare una sedazione e di protrarla fino all'atto IGNAZIO MARINO La domanda è molto chiara. Non c'è scritto su nessun testo di medicina che la sedazione di distacco terminale quando si decide di sospendere qualunque terapia e di lasciare che il paziente si spenga - debba essere 5-10 volte superiore. Perché è chiaro che da un punto di vista medico dovrebbe bastare il dosaggio che di quel farmaco si deve somministrare. Non ho nessun timore di essere smentito, basta entrare in qualunque rianimazione almeno nei paesi in cui ho lavorato: Francia, Inghilterra. Lì non c'è bisogno di precisarlo agli infermieri della terapia intensiva, perché sanno di dover somministrare un dosaggio che sia 510 volte superiore. Questo l'ho sempre detto: è più per noi stessi che vogliamo essere assolutamente certi, al di là della ragione, che quella persona siano in una condizione in cui non ci sia nessuna possibilità che percepiscano dolore, sofferenza. C'è il mondo anglosassone, a forte impronta calvinista, che ha anche delle definizioni che sono molto efficaci, e quando si arriva a questo tipo di situazioni nella cartella clinica si scrive la parola "terminal weaning" cioè "distacco permanente". E ci sono altre due frasi molto sintetiche: "do not resuscitate", cioè non procedere in nessuna circostanza a manovre di rianimazione, e "comfort measures only", cioè soltanto farmaci che rendano confortevole il passaggio di questo particolare paziente che è arrivato al termine. È molto scarno, però è altrettanto drammaticamente chiaro, cioè si tratta di assistere una persona nella fase finale della sua vita e si danno soltanto farmaci che servono per assisterlo in modo che quel passaggio sia il più tranquillo e il più lontano da sofferenza fisica o psichica possibile. Volevo però fare una precisazione a quanto ha detto Gilberto Corbellini: è vero, il caso successivo a quello di Nancy Cruzan ha permesso di fare un passo legislativo importante negli Stati Uniti. Però vorrei si dicesse con molta chiarezza, e non so per quale motivo non viene detto, che innanzitutto sono stati banalizzati dai media alcuni aspetti: noi nella vita normale non ci facciamo le iniezioni di pane e companatico. Noi andiamo, compriamo il pane, la frutta e la verdura e le altre cose che vogliamo mangiare. lo so che sono argomenti drammatici, ma vanno affrontati con questa chiarezza. E il mettere un sondino naso-gastrico non significa tutto questo, un pasto naturale: una volta mi sono ammalato e mi hanno messo un sondino naso-gastrico e regolarmente fermavo la mano del medico che me lo metteva, perché fa male, esce anche un po' di sangue; ci vuole, dunque, un consenso informato perché ti infilino una sonda giù dal naso che arrivi fino allo stomaco. Figuriamoci poi mettere una PEG, cioè un tubo chirurgicamente inserito nella pancia che entra nello stomaco. Questi sono mezzi naturali? Non lo so, io credo di no. Se poi aggiungiamo che non credo esista nessun paziente che faccia, per essere mantenuto in una condizione di vita biologica, solo POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? 15 l'idratazione e la nutrizione enterale: molto spesso c'è una terapia quotidiana per l'epilessia, perché se il paziente ha avuto un trauma cranico, avrebbe una crisi epilettica una due o tre volte al giorno, e andrebbe in arresto respiratorio o cardiaco; la GIUSEPPE ROSSODIVITA Il problema è che il medico legale si troverà di fronte al quesito: è stato un esercizio di buona pratica medica quello di somministrare, rispetto al consenso dato dal paziente, 5-10 volte di più il quantitativo standard? “Nella vita normale non ci facciamo le iniezioni di pane e companatico. Mettere un sondino naso-gastrico fa male. Ci vuole un consenso informato perché ti infilino una sonda giù dal naso” VITTORIO ANGIOLINI Mi pare molto più rilevante che il medico informi il paziente e lo avverta del rischio. Perché se il paziente si sottopone ad una operazione ad altissimo rischio, ed è stato avvertito, la cosa cambia. È lui che decide di accettare anche il rischio di un trattamento medico. terapia dei decubiti; la terapia della ginnastica passiva e attiva; lo smottamento intestinale che deve essere fatto con farmaci altrimenti non avviene; la terapia antibiotica, perché sicuramente se voi mettete un corpo immobile a letto per mesi prima gli viene la polmonite e poi l'infezione urinaria oppure gli vengono tutti e due; è tutto quello che normalmente noi facciamo o è una terapia che ognuno di noi può chiamare inappropriata per se stesso? LA SEDAZIONE TERMINALE SI POTREBBE FARE IN ITALIA? GIUSEPPE ROSSODIVITA Occorre per ogni singola situazione andare a verificare due elementi che costituiscono reato: profilo della condotta ed il profilo dell'elemento soggettivo; se sotto il profilo della condotta c'è stata una negligenza, imprudenza o imperizia - nel senso che non si sono rispettate le regole per una buona sedazione - se c'è il consenso siamo nel caso di omicidio colposo; se manca il consenso siamo nell'omicidio volontario, e ci sarebbe l'aggravante della premeditazione e questo potrebbe far alzare la pena fino all'ergastolo. Nel caso di cui parlavo prima a mio avviso è necessario, e qui mi pongo alcuni dubbi per quello che ha detto il prof. Marino in relazione alla dose 4, 5 o 10 volte superiore del sedativo, perché poi tutto si gioca sulla consulenza medico-legale, la perizia, e allora cosa andrebbe a dire il medico rispetto ad un accertamento autoptico a proposito di ciò? Forse che è stata quella dose a causare la morte, oppure no? Perché le conseguenze giuridiche sarebbero evidentemente diverse. VITTORIO ANGIOLINI Su quest'ultimo punto bisogna stare attenti; se io ho capito bene questa sedazione quattro, cinque o dieci volte superiore non significa che la sedazione non persegua il fine proprio della sedazione. Bisogna stare attenti al nesso causale; non è perché uno viene operato a cuore aperto, essendo l'intervento più pericoloso, che il medico risponde di più. Perché altrimenti per il medico diviene una corsa ad ostacoli. MARCO CAPPATO Ho sette richieste di "precisazione", segno che forse abbiamo toccato un punto molto delicato... IGNAZIO MARINO Personalmente quando mi sono trovato in una situazione di accompagnare un paziente nella fase terminale della sua vita, di staccarlo quindi da macchine o apparecchiature o farmaci che gli davano un supporto vitale, e rendere questo passaggio il più tranquillo possibile dal punto di vista fisico, personalmente ho sempre utilizzato un dosaggio 5 o 10 volte superiore a quello ordinario; il mondo americano in cui ho lavorato, molto più pragmatico, dà la possibilità al medico di scegliere il dosaggio che vuole. Io mi sento anche emotivamente più tranquillo in quella situazione, e questo é assolutamente rispettato e negli USA si può fare questo con qualsiasi tipo di farmaco, senza che il tribunale entri in questo tipo di problematica. Non é però su questo che dobbiamo incentrare il dibattito; che si usi il dosaggio appropriato per quella situazione e quell'individuo, e basta. GIUSEPPE ROSSODIVITA Presidente Marino, qui siamo a Roma, in Italia, e sono convinto che i tribunali andrebbero invece a verificare questo tipo di situazione. Non ritengo sia un cavillo andare a distinguere se attraverso la propria condotta il medico ha acconsentito alla morte di sopraggiungere, oppure se il medico ha aiutato la morte a sopraggiungere, perché questo segna il discrimine tra lecito ed illecito nel nostro ordinamento così com'é oggi. DEMETRIO NERI La precisazione é che quello detto dal Senatore Marino é assolutamente vero; negli USA é diventata pratica comune quella che é stata ribattezzata "eutanasia da doppio effetto", che é giocata tutta sulla intenzionalità. Qualche teologo italiano afferma che negli USA si darebbe un'interpretazione un po' disinvolta di questo principio, e per fortuna, aggiungo io. Le preoccupazioni espresse sino ad ora non sono irrilevanti; in Olanda il dibattito sull'eutanasia partì da un caso giudiziale, quello della dottoressa Postma, che su sua madre consenziente applicò una dose sempre crescente di morfina finché decise di saltare una certa dose nella progressione. Ed il Tribunale proprio per quest'ultima mancanza la condannò. In fondo sono semmai più simpatetico con l'atteggiamento del Prof. Marino, questi sono spesso cavilli, e d'altronde la stessa bioetica italiana é cavillosa quasi quanto la teologia italiana. Però bisogna in questa sede fare anche l'avvocato del diavolo, cioè mandare un messaggio al medico 16 CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO & volenteroso che vorrà corrispondere alla richiesta di Welby del tipo "vai tranquillo, non ti succederà nulla". Una volta ho avuto una discussione molto bella con il giudice Nordio; alla fine mi disse "si, ha ragione lei, ma tutto dipende dal Pubblico Ministero che c'é di turno". Come dicevo prima, questa incertezza giuridica in materia veramente é terribile. MARIO SABATELLI Solo per dire: é vero che questa é una discussione teoricamente giusta, ma che nella pratica clinica non ha nessun senso. Chi come me fa la sedazione terminale ai pazienti Sla, sono pazienti che mi chiedono di essere accompagnati a morire, con il consenso di tutti, e gli si dà una terapia il cui fine é togliere la sofferenza della morte, non ammazzarlo. Se come effetto collaterale io provoco la morte, non c'é nessun giudice che mi condannerà, perché lo faccio quotidianamente; con le dosi che io prescrivo, il paziente sicuramente va a morire prima, ed io lo dico a tutti. Quindi non c'é nessun problema. Concludo con un'altra esperienza personale: da giovane, alla mia prima sedazione terminale, ho prescritto oltretutto ad una collega - un dosaggio di quelli intermedi, e questa persona poco dopo si é risvegliata. Da allora altro che quattro volte, do 5-7 volte il dosaggio. Il mio scopo é togliere la sofferenza della morte, il resto non importa. IGNAZIO MARINO Questo é quello esattamente ciò cui mi riferivo; queste non sono tra l'altro situazioni piacevoli, perché é chiaro che un medico tende sempre a voler curare o guarire, ma in quei frangenti anche io ho sempre somministrato dosaggi maggiori per essere sicuro che quel paziente fosse il più sereno e tranquillo possibile da un punto di vista psichico e fisico. IL CONTRASTO DELLA LEGGE CLAUDIA MORETTI Io vorrei fare proprio l'avvocato del diavolo. Ciò che é stato detto é secondo me molto incoraggiante, soprattutto quello che ha detto lei, Prof. Marino, ci incoraggia perché lei é l'uomo giusto al momento giusto. Purtroppo però bisogna fare il conto anche con la giurisprudenza che é molto indietro, anche rispetto alle domande di Welby, che dà già per scontato di poter staccare la spina legalmente. Cosa che é tutto fuorché scontata. Io non so se i colleghi hanno fatto una panoramica delle recenti sentenze della cassazione; vi si scoprono cose agghiaccianti, in cui il consenso informato é tutt'altro che legato all'art.13 e non é vero che la vita é incoercibile secondo quanto detto da Rossodivita, ma ancora la si fonda sull'art.50 del codice penale. (L'art. 13 é quello che sancisce la libertà individuale e la ritiene inviolabile ed in combinato all'art.32 della Costituzione si crea questa legge speciale rispetto alla legge generale del codice Rocco). Cosa vuol dire fondare il consenso informato del trattamento medico su questo articolo che é tratto dal codice penale parte generale, e che riguarda in generale i delitti? Vuol dire metterlo di pari grado alle fonti quali il codice civile all'art.5 che dispone l'indisponibilità del proprio corpo. Quindi o il giudice compie POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? legislazione americana. Se lei la ascolta, poi può dare a me o a noi delle opinioni, visto che noi vorremmo scrivere una legge che sia innanzitutto applicabile. Carlo Flamigni un'operazione ermeneutica ("Bene, la Costituzione é legge sopravvenuta e che ha stravolto i principi del codice Rocco ponendo al centro una istanza individualistica da proteggere, e allora si applica la Costituzione - art. 13 ed art. 32 - cioè la possibilità di rifiutare trattamenti sanitari) oppure, come fa la Cassazione ancora oggi, 2001, fonda la liceità dell'attività medica sull'art.50 del codice penale, con i limiti derivanti dall'art. 5 del codice civile, cioè con l'indisponibilità del proprio corpo, fino a dire - nel 1997 - che la "liceità dell'attività medica trova giustificazione non tanto nel consenso dell'avente diritto, che incontrerebbe spesso l'ostacolo di cui all'art.5 (indisponibilità del proprio corpo, quanto alla sua intrinseca legittimità, quale strumento di tutela di un bene, come la salute, costituzionalmente garantito). Ora non ci nascondiamo dietro il fatto che nonostante la dottrina maggioritaria abbia oramai superato questa impostazione, così sia anche per la giurisprudenza, che attualmente é ancora su quelle posizioni. Io ho trovato una sola sentenza nella quale il consenso informato é direttamente derivante dalla Costituzione, cioè salta a pie' pari codice civile e codice penale (omicidio del consenziente, istigazione al suicidio...). Un giudice in assenza di leggi é costretto a scegliere quale tra queste due interpretazioni scegliere. Non é un caso che la giurisprudenza più datata non prendesse nemmeno in considerazione l'art.13, figuriamoci l'art.32, per il semplice fatto che negli anni '50 e '60 la Costituzione era ancora considerata una fonte morbida, cioè non direttamente applicabile. Non é nella cultura giuridica, e tanto più si va in altro nei gradi, tanto peggio é; questo per ragioni di conservatorismo di una tradizione giuridica che ha ancora difficoltà ad accettare la libertà individuale e la autodeterminazione. IGNAZIO MARINO Il 9 novembre avremo al Senato l'audizione del Prof. Coleman, la persona che ha scritto gli articoli della CLAUDIA MORETTI Quindi, per ricapitolare, non é assolutamente detto che in un eventuale giudizio non si trovi un giudizio che sia contro la nostra tesi della derivazione del concetto di consenso informato dalla Costituzione. Non conta il fatto "la spina la stacca da sé, la stacco io, la sedazione la prende da sé, la do io..."; l'omicidio, come ha ricordato il prof. Angiolini, é un reato che si può concludere anche mediante omissione. Sarebbe un rifiuto del trattamento, ma tutta questa questione del trattamento é una legge speciale che si inserisce proprio a partire dalla Costituzione. La causalità del reato é fatta di tutte le condizioni che causano la morte, tranne quelle eccezionali. Per quanto riguarda l'alimentazione e l'idratazione artificiale, anche lì mi rivolgo al Prof. Marino e dico che é vero, sembra a tutti una cosa impossibile; mi perforano la pancia, ed io dovrei ritenere si tratti di un atto di carità. Ma questo é quello che é stato scritto dal Comitato Nazionale di Bioetica, e questo é quello che é stato scritto e “Il codice Rocco prevede da 6 a 15 anni per l’omicidio del consenziente. Ma l’art. 13 sancisce la libertà individuale e la sua inviolabilità. Il medico si trova in un limbo giuridico” ripetuto dalla Corte d'Appello di Milano nel caso Englaro (2002), che dopo aver riconosciuto la Corte tutte le evoluzioni per cui il consenso informato deriva dal diritto enunciato all'art. 13 della Costituzione, dice anche però: "Nel caso di specie il giudice non autorizza la cessazione alla nutrizione ed idratazione con sonda nasogastrica, soltanto perché non é pacifica la qualificazione in termini di terapia". Il problema dunque c'é, e c'é nella giurisprudenza e nella risoluzione del contrasto normativo. Quindi un legislatore quale é lei, mi rivolgo al Senatore Marino, dovrebbe davvero fare una legge speciale che tolga dall'applicazione generale degli anni '30 la materia del trattamento sanitario. Concludo sulla sedazione. Non credo che il problema della sedazione sia un problema effettivo; la sedazione é comunque da parte del medico un mezzo per cui si allevia il dolore. Se non é idonea a causare morte, e se anche lo fosse lo dimostri il pubblico ministero, non c'é alcuna censura penale! Il diritto di Piero ad avere una sedazione la più pesante che sia, la più comatosa ed artificiale, si usi il termine che si desidera, é un diritto pieno, e su questo non si deve assumere nemmeno un granello di responsabilità nei confronti di chi gliela dà. CARLO FLAMIGNI Io naturalmente sono qui per un atto di solidarietà, ma anche di affetto e di riconoscenza nei confronti di Welby, perché non so se ci rendiamo conto tutti che chi decide di richiamare su di sé i riflettori nel momento in cui deve prendere queste decisioni fa anche una rinuncia, che è quella nei confronti della grande ipocrisia italiana, che l'eutanasia l'ha sempre fatta ma silenziosamente, di nascosto, senza dirlo: nello stesso momento in cui si accende un riflettore, chi fino al momento prima era disponibile a farlo, non la farà più. Quindi si rinuncia a qualcosa e lo si fa evidentemente non per sé: lo si fa come atto oblativo, lo si fa per gli altri e questo mi sembra un grandissimo gesto; gli dobbiamo riconoscenza come uomini, come appartenenti allo stesso tessuto sociale e noi, che qui siamo prevalentemente dei laici, siamo contraddistinti soprattutto da questo forte senso di solidarietà nei confronti degli altri, chiaramente anche e soprattutto nei confronti di chi soffre. Detto questo, però, io non nascondo il mio pessimismo. Sono d'accordo con chi qui si è dimostrato più pessimista dico una cosa (non voglio assolutamente offendere nessuno la sottopongo alla vostra attenzione): penso che certi atti che noi compiamo per il semplice fatto che non hanno evidentemente nessuna rilevanza penale, sono immuni alla condanna; in realtà sono semplicemente tralasciati dalla magistratura, che è una cosa diversa. Ignorati, tralasciati: è conveniente ignorarli e tralasciarli. Scusami Marino (Ignazio Marino, presidente Commissione Sanità al Senato, ndr), lo dico soprattutto a te: io ho studiato endocrinologia in Inghilterra e ho partecipato in qualche modo a questo grande pragmatismo anglosassone; quando parliamo di bioetica con i nostri colleghi anglosassoni semplicemente non ci capiscono, perché non capiscono quale è il peso di tutte le miricaccole attorno alle quali noi organizziamo un congresso. Però questa è l'Italia, è l'Italia e l'Italia è molto differente. Allora io credo che qui noi abbiamo sì da risolvere subito una serie di problemi pratici, ma abbiamo ancora da affrontare i grandi problemi teorici che in questo Paese bisogna per forza da affrontare. Tra l'altro io sono andato a cercare questi problemi teorici, sono andato a cercarli in un fascicolo delle scienze perché cercavo un articolo di Demetrio Neri scritto dieci anni fa, nel 1996 (tra l'altro lo lascerò a voi perché ve ne facciate fotocopie perché è un bellissimo articolo sull'eutanasia), ma ho trovato subito dopo un articolo di Spagnolo, che è un eminente, intelligente, sensibile bioeticista cattolico; egli dice però delle cose che mi hanno molto agitato perché - diciamo così - critica la nostra concezione del dolore, dice che è assurdo e anche maleducato nei confronti dei cattolici affermare che il dolore non ha significato, che è un'affermazione irrispettosa nei confronti di quelli che al dolore invece danno un senso e che il dolore è salvifico, secondo un'interpretazione molto diffusa. Poi Spagnolo in questo articolo spiega la sua concezione di persona e naturalmente dice che la persona non scompare fino a che non arriva la morte e prima che arrivi la morte la persona è presente con tutta la sua dignità. Alla fine di questo CASO PIERO WELBY: IL SEMINARIO articolo mi sono reso conto che c'era una cosa che mi disturbava e l'ho rapidamente focalizzata in questo: Spagnolo dice la grande differenza che c'è tra un bioeticista laico e un bioeticista cattolico; Spagnolo ha deciso di pensare anche per me. E io questo lo accetto con grande difficoltà. Credo che non ci sia niente di irrispettoso nei confronti del mondo cattolico se io penso che per alcuni cittadini il dolore non ha senso, non ha nessun significato salvifico, anzi mi pone dei grandissimi problemi nel momento in cui diventa l'unica attesa della mia vita. E quello che ho trovato peculiare è che Spagnolo non si accorge neppure della difficoltà, dico quasi dell'impossibilità per una persona non credente di affidare agli altri la definizione della propria dignità. Perché se c'è una cosa che io devo definire è che cosa penso io che sia la mia dignità; non la posso lasciare nemmeno a Corbellini che probabilmente la pensa come me. Faccio un altro esempio recentissimo: ero ad un convegno sul corpo l'altro giorno e il prof. Mantovani ha parlato di eutanasia e ha parlato di suicidio e della richiesta di assistenza al suicidio. In quella occasione il prof. Mantovani ha detto una cosa, anche questa difficile da trangugiare: ha detto che la maggior parte o la totalità delle persone che vogliono suicidarsi e chiedono l'assistenza al suicidio è gravemente depressa e chi è gravemente depresso non è ascoltabile, non è credibile, deve essere pertanto trattato con tutti i mezzi possibili e i farmaci gli restituiranno... Io chiedo veramente il diritto ad essere depresso! Se sono in un letto di morte non ho speranza, sono pieno di dolori, vivo nelle mie feci, la mia dignità se ne sta andando a catafascio, ma perché non debbo essere depresso? Credo qui si abbia la stessa differenza che c'è tra il complesso di persecuzione ed essere realmente perseguitato: sono differenze così evidenti che in qualche modo mi disturbano. Finisco abbastanza in rapidità perché avete detto già moltissime cose sicché le mie aggiungerebbero ben poco. Io ho fatto più volte una considerazione molto semplice su tutto questo, ho detto: io non sono molto interessato a sapere di chi è la vita. La vita è un fenomeno molto diffuso: posso darne delle definizioni biologiche, ma non è questo. La vita non appartiene a nessuno. Io credo di avere il diritto di ritenere che l'esistenza è la mia e se l'esistenza è la mia fa parte di questo diritto anche quello di decidere come io voglio terminare questa esistenza e fa parte fondamentale di questo mio diritto anche di considerarla nei due momenti fondamentali: iniziale e finale. E voglio considerarla secondo due principi: la vita deve darmi una speranza e la vita deve avere una qualità. Entrambe le cose si riconducono al problema della mia dignità e la dignità è - è difficile darne una definizione ma - la dignità è qualcosa come la cenestesi dello spirito, come il pudore: mi rendo conto di averlo solo quando lo perdo e qualcuno lo insidia. Lo stesso vale per la mia dignità. Io ho visto persone che si rendevano conto di perdere la propria dignità e pensavano continuamente a questo: "Cosa rimane di me nel ricordo dei miei cari? Qual è l'ultima cosa che ricorderanno di me? L'ultima cosa che hanno vista? Questa cosa oramai senza dignità"... E nel momento in cui lo pensavano, penso & POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? che decidessero anche che era forse il momento di lasciarlo quel corpo. E la stessa cosa è anche al di là delle persone per il corpo delle persone: noi siamo abituati a pensare agli altri come persone tenendo conto del fatto che ragionano, si mettono in relazione con altre persone, sono capaci di autocritica, soffrono piangono ridono. Nel momento in cui tutte queste cose sono tolte la persona non abita più lì, "il signor Rossi non è più in casa", il suo corpo ha diritto di non essere massacrato e disturbato, ha diritto di essere lasciato in pace. Ecco io credo che tutti questi siano diritti e che noi dobbiamo cominciare purtroppo a ragionare sul piano della teoria, “Mentre noi ci aggiriamo in questo giardino labirintico delle ipotesi giuridiche e della pratica medica comparata, qui c’è una persona che sta morendo e non può morire” chiedendo cose semplici: la prima è che venga restituita la morte alla malattia, perché gliela stanno togliendo e non è giusto; la seconda è che si dia, certo, grande rilievo al dolore, non si parla altro di questo: le terapie ecc. ma grandissimo rilievo va dato anche alla dignità perché la dignità personale può anche significare questo (lo vediamo quotidianamente, mi sembra una cosa di straordinario rilievo): serenamente, semplicemente rinunciare alla propria esistenza, possibilmente con l'aiuto degli altri e sennò da soli. Ma se qualcuno ritiene di poter assistere alle mie sofferenze o alla mia perdita di dignità e di impormi questa perdita di dignità, io credo che non ho certamente io la possibilità di fare qualcosa per impedirglielo. Dichiaro fin da questo momento che gli assicuro tutto il mio disprezzo. LE SCELTE DELLA POLITICA FURIO COLOMBO Penso che chi ci ascolta sarà grato per questo evento di stamattina. Questo é un fortino in un territorio di giurisprudenza disastrato, di pratica medica incerta e di soloni biomedici che circondano tutte le attività ovunque, in compagnia di folle di teologi sempre pronti ad intervenire. Il caso drammatico di cui stiamo parlando corrisponde ad una situazione rinvenibile in tutto il mondo, ma il paesaggio di cui dicevo, e che circonda il caso drammatico, non corrisponde a ciò che é riscontrabile in tutto il mondo. Le voci di questo fortino hanno indicato che uscendo di qui si trova un labirinto che quasi dovunque porta a dei vicoli ciechi, a tremende alternative che sono praticamente insolubili. Una fortuna aver potuto ascoltare alcune delle voci che abbiamo ascoltato questa mattina; ha detto benissimo l'ultimo oratore che é una fortuna che Ignazio Marino sia 17 ma anche per Welby. Furio Colombo l'uomo giusto al posto giusto. E' questa Associazione Luca Coscioni che ha creato una insopportabile distonia tra la serenità mindless della vita italiana e situazioni drammatiche come queste che si preferisce ignorare. Welby ci sta ascoltando ed ha posto la domanda, cercando una risposta. Bisogna essere utili; abbiamo parlato di seminario, ma se dovessimo raccontarlo a degli Americani, questa é una riunione di amici ed esseri umani preoccupati intorno al letto di una persona che ha posto la domanda che Welby ha posto. Non possiamo rimanere ai casi di scuola ed alle rappresentazioni astratte del seminario, deve anche trascendere dal livello delle prese di posizione teoriche al letto di Welby. Noi abbiamo detto molte cose importanti su come difendere medici e giuristi, ma ora siamo dalla parte del paziente; da qui deve venire una risposta. Io mi scuso con coloro che parleranno dopo di me perché non sarò ad ascoltarli. Io continuerò ad ascoltare da Radio Radicale; Welby invece - pensavo - non se ne può andare. Guardavo lo scorrere dei minuti nella mattina e pensavo che cos'é ognuno di quei minuti per Welby. Ogni minuto che passa ha un peso sconfinato ed incommensurabile, mentre noi ci aggiriamo in questo giardino labirintico delle ipotesi giuridiche e della pratica medica comparata, qui c'é una persona che allo stesso tempo sta morendo e non può morire, e alla quale siamo costretti - proprio per la essenza stessa di questa associazione così difforme dalla omologazione delle altre strutture politiche e sociali del paese - a dare una risposta. Io quello che chiedo é che ci ricordiamo di essere intorno al capezzale di Welby, siamo qui per rispondere ad una domanda e siamo qui per difendere Welby, prima ancora che i medici, gli avvocati o i giudici. In un paese che tende a inventarsi degli altri drammi, ma che quelli veri della vita di tutti i giorni non li vuole condividere, questo dibattito é stato di una qualità educativa altissima; ora dobbiamo muoverci verso qualcosa che sia un beneficio non solo per noi, ANTONIO PARAVIA Ero venuto per ascoltare più che parlare e quindi sarò telegrafico. Tra i tantissimi dubbi che ho e le molte certezze, ci sono due profonde convinzioni: la prima riguarda l'eutanasia, la seconda la libertà di ricerca. Ecco perché faccio parte dell'Associazione Luca Coscioni, ho una posizione netta e precisa, favorevole ad entrambe le problematiche. Questo mi nasce da esperienze personali, familiari e amicali che mi hanno toccato e che mi hanno spinto a pensarla in questo modo. Sarò quindi disponibile nell'ambito del mio ruolo di parlamentare, di membro del Senato a dare come ho già fatto in precedenza, quando sono state votate le mozioni sulle cellule staminali - dove mi sono astenuto sulla mozione presentata dal mio gruppo politico - e ho votato contro quella che mi sembrava comunque un compromesso assolutamente insufficiente. Chiarita questa posizione qualche giorno fa ho assunto un'iniziativa che credo forse vada coltivata perché all'appello di Piergiorgio Welby non è che deve esser data una sola risposta da parte del Presidente della Repubblica, ma devono essere date molte risposte, innanzitutto ovviamente da parte di noi parlamentari. Io personalmente non è che abbia grande fiducia in gran parte della magistratura, credo pertanto che siano necessari degli interventi legislativi per risolvere la materia e non per lasciarla al buon cuore del PM o ad altri. E quindi chiudo l'intervento dicendo che qualche giorno fa ho preso un'iniziativa forse irriverente facendo un comunicato stampa e chiedendo "Eutanasia per i senatori a vita". Cosa volevo dire? Spiego un attimo soprattutto agli ascoltatori che non potendomi vedere potrebbero rimanere perplessi rispetto a questa mia affermazione. In realtà il comunicato stampa diceva "Eutanasia per i senatori a vita" perché era in risposta ad una presa di posizione sul Mattino dell'ex Presidente della Repubblica Cossiga, che diceva che i senatori a vita avrebbero votato la Finanziaria. A me sta bene che i senatori a vita vengano a votare: io li vorrei vedere un po' più spesso perché sono quasi tutti assenteisti tranne Andreotti e talvolta Colombo. Credo che le persone che hanno un ruolo particolare nel Paese - perché i senatori a vita sono, a parte quelli di nomina, anche gli ex Presidenti della Repubblica - abbiano meno limiti di quelli che ha il Presidente Napolitano e debbano dire come la pensano, devono frequentare di più il Parlamento e esprimersi soprattutto su temi che riguardano anche la morale come in questo caso e quindi ho fatto questa provocazione che è stata raccolta solo dal Presidente Cossiga che ha risposto con una lettera scritta di pugno ieri mattina con la quale ha detto solo: "Io obbedisco alla Chiesa cattolica". Io di tutti quelli che dicono "obbedisco" ho un po' di paura. Il seminario è integralmente riascoltabile in audio-video su www.lucacoscioni.it LA STORIA 18 & POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? EMILIO VESCE: UN CALVARIO DI STATO 22/4/1989 Emilio Vesce al 35° Congresso del Pr. Emilio Vesce, leader storico di Autonomia Operaia ed esponente radicale eletto in Parlamento nel 1987, è morto il 12 maggio 2001 dopo sei lunghi mesi di coma irreversibile. Sua moglie Gabriella ricostruisce quel calvario. osservazione in reparto Cardiologia. Non so, potrei annoverarlo come un comportamento di “superficialità e inadeguata attenzione terapeutica”? L’8 novembre stavamo guardando alla televisione l’andamento delle elezioni americane. Verso l’una io vado a dormire, mio figlio Auri mi segue poco C on il senno di poi mi sono chiesta se un breve ricovero avrebbe potuto evitare il disastroso infarto dell’8 novembre 2000. Non so. Il 3 novembre Emilio si lamentava di un dolore alla spalla e al braccio destro. Su consiglio della nostra dottoressa, ci siamo recati dal cardiologo che lo seguiva dal 1992, anno in cui aveva avuto un primo infarto, per la riabilitazione cardiaca. Dopo una visita ed un elettrocardiogramma, il cardiologo, non del tutto tranquillo, telefona lui stesso al Pronto Soccorso, dicendo che avrebbe inviato un suo paziente. Dal Pronto Soccorso, dopo tre ore circa, Emilio viene dimesso con una diagnosi di probabile dolore intercostale, niente di sospetto a livello cardiaco. Per un analogo dolore al braccio destro Emilio, nel 1998, era stato ricoverato per qualche giorno in Accendo tutte le luci, apro la porta di casa, continuo a chiamarlo e a tentare di svegliarlo, corro a svegliare mio figlio Auri, e tutti e due continuiamo a chiamarlo, ma Emilio smette di respirare. Auri ascolta il cuore: non batte più dopo. Verso le due mi sveglio e sento Emilio “russare”. Mi alzo per dirgli di coricarsi, ma non riesco a svegliarlo, russa e borbotta. Lo chiamo urlando, lo scuoto, niente. Presa dal panico telefono al 118. Spiego la situazione e li avverto che Emilio ha avuto un infarto nel ‘92. Intanto accendo tutte le luci, apro la porta di casa, continuo a chiamarlo e a tentare di svegliarlo, corro a svegliare Auri, e tutti e due continuiamo a chiamarlo, ma Emilio smette di respirare. Auri ascolta il cuore: non batte più. In quel momento arriva l’ambulanza. Credo dopo pochi minuti, visto che abitiamo vicinissimo all’ospedale. Immediatamente aiutiamo il personale dell’ambulanza a stendere Emilio per terra. Iniziano il massaggio cardiaco e ci invitano ad allontanarci. Andiamo nella mia stanza, ma comunque vediamo e sentiamo tutto. Massaggio cardiaco, defibrillatore, flebo, ancora massaggio cardiaco. Dopo un po’ arriva una seconda ambulanza. I minuti passavano, e l’unica mia, nostra, speranza era che lo portassero in ospedale. Finalmente lo caricano su una barella e lo portano fuori ma, appena usciti, tornano dentro immediatamente e rincominciano a rianimarlo: massaggio cardiaco, defibrillatore. Dopo pochi minuti decidono di trasportarlo all’ospedale e ci dicono di seguirli con la nostra auto. Sono le quattro e mezza circa. Aspettiamo. Siamo soli, davanti al Pronto Soccorso, Area Rossa. Verso le cinque esce un medico e ci dice che le condizioni di Emilio sono molto critiche, gravissime, per l’infarto, e soprattutto per i danni cerebrali, la cui gravità non è immediatamente accertabile. E’ in stato di coma farmacologico. Ci invita inoltre ad andare a casa, perché non si poteva fare nulla di più, e a tornare verso le otto, quando si sarebbe liberato un letto all’Unità Coronaria. Torniamo a casa e avvertiamo mio figlio Emiliano, che abita a Bologna. Alle otto ritorniamo al Pronto Soccorso insieme ad una mia amica medico, Emiliano e Alessandra. Il medico del Pronto Soccorso ci informa che le condizioni di Emilio sono peggiorate, sono gravissime, di I PROGETTI CHE QUELLA NOTTE HA IRRIMEDIABILMENTE SPEZZATO N el 2000 Emilio si trovava ad affrontare una nuova situazione: sarebbe andato in pensione a settembre. Era felice e allo stesso tempo dispiaciuto perché abbandonava una parte importante della sua vita, la scuola. Era presidente dell’Authority per le radio e le telecomunicazioni della Regione Veneto, incarico che aveva sempre svolto con impegno. Emilio aveva dedicato alla libertà di informazione gran parte della sua vita, fin dal 1968, anno in cui uscì il giornale “Operai e studenti”, da lui pensato creato e stampato. Era impegnato nella politica radicale come fondatore e responsabile di Nessuno Tocchi Caino del Veneto. Come volontario continuava a lavorare al Tg Due Palazzi (un telegiornale nato nel 1998 con l’appoggio dell’allora direttore del carcere, dr. radicale, a trasmissioni televisive locali, che trattavano delle battaglie per i diritti umani e la giustizia, le “cosiddette battaglie difficili”: Stavamo pensando al nostro futuro da “pensionati” liberi. Cantone, e in collaborazione con l’associazione Art Rock Cafè e Triveneta. L’intento era quello di spalancare una finestra sul carcere, sull’istituzione più chiusa e disumana di questo nostro paese e di dare la possibilità ai detenuti di imparare un lavoro come quello di giornalista, operatore, redattore. Spesso era chiamato a partecipare come ospite, in veste di esponente droga, carcere, pena di morte, salute, violazione dei diritti umani. Per passione si era inventato programmi televisivi di approfondimento politico che curava personalmente e gratuitamente, come “Conosci i tuoi rappresentanti” o trasmissioni dove sindaco, consiglieri, amministratori e cittadini si confrontavano direttamente. Ha curato programmi sulla violazione dei diritti umani, sull’Afghanistan, sull’Algeria, sul Tribunale Penale Internazionale e su altro ancora e di cui conservo le registrazioni. In quel periodo stavamo progettando il nostro futuro da “pensionati liberi”. Emilio aveva già presentato le sue dimissioni, accolte con gran rammarico da tutti, dalla presidenza dell’Authority della Regione, dimissioni che sarebbero divenute effettive alla scadenza del mandato, per potersi dedicare liberamente all’informazione. Dopo la sua morte, la Regione Veneto ha istituito il Premio annuale Emilio Vesce, per il pluralismo e la qualità dell’informazione radio televisiva e cartacea. Emilio stava anche progettando, e già ci lavoravamo insieme, un quotidiano online che si sarebbe dovuto chiamare “Fatti!”. Desiderava rientrare attivamente in politica con i radicali. Per giorni io e lui ne avevamo parlato ma poi, per timore di essere sottoposto a troppo stress, dopo l’infarto del ’92, aveva deciso di occuparsi principalmente dell’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino, di curare e far crescere il Tg Due Palazzi, di continuare le collaborazioni giornalistiche e televisive, di andare in barca, di girare il mondo, anche con il nostro camper. Desiderava andare in Argentina, finalmente, magari con i nostri figli, a trovare il fratello emigrato laggiù negli anni ’50, per conoscere personalmente tutti i suoi nipoti. LA STORIA . “Eravamo sempre presenti e facevamo tante domande per capire, per sapere, per sperare” aspettare lì per il ricovero all’Ucic. Dopo qualche ora un medico, sempre del Pronto Soccorso, c’informa che hanno deciso di ricoverarlo in Rianimazione, ma che lì a Padova non c’è posto e quindi di aspettare perché avrebbero telefonato nei vari Ospedali della Provincia. Dopo poco tempo ci avvertono che lo ricoverano al Reparto di Rianimazione di Este. Le condizioni di Emilio rimanevano gravissime. Verso le tre del pomeriggio, mentre già lo stavano trasferendo ad Este, decidono, per intercessione di un amico cardiologo, di ricoverarlo a Padova, all’Ucic.Il reparto lo Stanza numero 9: monitoraggio video di cuore, polso e pressione, apparecchio per la respirazione automatica, tubi, sondini, fili che finiscono tutti nel corpo di Emilio conoscevo perché Emilio vi era stato ricoverato qualche giorno dopo l’infarto avuto nel 1992. Aspettiamo in sala d’attesa e dopo poco ci fanno entrare: stanza numero 9, monitoraggio video di cuore, pressione, polso, apparecchio per la . & “Ci eravamo promessi reciprocamente che, se mai ci fossimo trovati in una situazione del genere, ci saremmo “dati la morte” a vicenda. Ma non sono riuscita a rispettare la sua volontà” . respirazione automatica, tubi, sondini, fili che finiscono tutti nel corpo di Emilio, in coma. Tutti e tre ci avviciniamo, lo accarezziamo e gli teniamo le mani, attentissimi a non spostare e toccare i fili. Guardiamo i grafici, tentiamo di capire come funzionano, ogni paziente è monitorato e collegato ad un unico monitor centralizzato, in modo che un qualsiasi allarme sia immediatamente segnalato al personale medico. I medici di guardia che si alternavano mi chiedevano di continuo quanti minuti erano passati dall’arresto respiratorio al soccorso del 118. Un tormentone, mi sembrava che dalla mia risposta potesse dipendere la salvezza di Emilio, ma non mi ricordavo esattamente: cinque, sette, dieci minuti, lunghissimi per noi, ma erano pochi minuti. Eravamo sempre presenti, negli orari di visita, tre volte al giorno, e quotidianamente chiedevamo al medico di turno come andava, cosa si stava facendo, come Emilio aveva passato la notte, gli esiti dell’elettroencefalogramma, insomma facevamo tante domande per capire, per sapere, per sperare. Il 14 novembre, il medico di turno c’informa che l’elettrocardiogramma e la TAC appaiono peggiorati. Ci dice che il neurologo ha richiesto un’altra TAC e un altro elettrocardiogramma, che ci vuole pazienza, che sono cose lunghe. Solo dopo, analizzando la cartella clinica, abbiamo appurato quale fosse l’esito della TAC e dell’elettrocardiogramma: Emilio era «decerebrato», per sempre, le cellule encefaliche erano morte, la fine. I medici c’informano che faranno dei POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? “Nulla c’era da guarire e curare, potevo solo amarlo, accarezzarlo, sperare che questa lunghissima agonia terminasse” tentativi per staccarlo dal respiratore, tentativi che non riescono e il 16 novembre decidono che è necessario praticare la tracheotomia, avvertendoci solo poco prima di portarlo in sala operatoria. Ci fanno firmare il consenso il giorno dopo. Sempre dall’esame della cartella clinica scopriamo che la visita La TAC e l'ECG erano chiari: Emilio era "decerebrato", per sempre, le cellule encefaliche erano morte. Era la fine neurologica e l’elettroencefalogramma evidenziano pupille miotiche e attività elettrica minima di origine cerebrale alle massime amplificazioni, dopo somministrazione di stimoli acustici e dolorosi. Intanto Emilio aveva la febbre alta da qualche giorno causata da un’infezione da streptococco. Dopo due antibiogrammi, e la consulenza dell’infettivologo, gli somministrano l’antibiotico specifico e l’infezione viene curata. Fino a quel momento Emilio era nutrito con un sondino nasogastrico. Ci avvertono che è molto più comodo praticare la PEG (Gastrostomia Endoscopica Enzo Tortora ed Emilio Vesce. 19 Codice di deontologia dei medici 1998 Art. 14: Il medico deve astenersi nell’ostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. Art. 32: Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente Art. 34: Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, in caso di grave pericolo di vita, non può NON tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso. Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina - 4 Aprile 1997 Art. 9 (divenuta legge dello Stato, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 4 aprile del 2001): "Nessun intervento in campo sanitario può essere effettuato se non dopo che la persona a cui esso è diretto vi abbia dato un consenso libero e informato. Questa persona riceve preventivamente un'informazione adeguata riguardo sia allo scopo e alla natura dell'intervento che alle sue conseguenze e ai suoi rischi. La persona a cui è diretto l'intervento può in ogni momento ritirare liberamente il proprio consenso". Convenzione di Oviedo dove all'art. 9, titolato "desideri espressi in precedenza", si dice che "al riguardo di un intervento concernente un paziente che al momento dell'intervento non è in grado di esprimere il proprio volere, devono essere presi in considerazione i desideri da lui precedentemente espressi" . 20 LA STORIA + POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? • EMILIO VESCE Solo il 30 novembre i medici ci hanno informati adeguatamente sulla terribile prognosi riguardante le condizioni di Emilio, già accertate fin dal 14 Percutanea), che allora non sapevamo nemmeno cosa volesse dire. In ogni modo, senza avvertirci e senza farci mai firmare alcun consenso, il 27 novembre Emilio è portato in sala operatoria perché gli venga inserito nello stomaco il tubo per la nutrizione permanente. Il 30 novembre veniamo informati che verrà trasferito al Reparto Speciale Comi dell’Ospedale Geriatico e di attivarci anche noi per trovare il posto letto. Ma dovevamo stare 32° Congresso del PR. Tribuna della Presidenza. Fila dietro, da sinistra: Lorenzo Strick Lievers, Massimo Teodori, Mauro Mellini, Emilio Vesce, Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia. Fila davanti: Giovanni Negri, Maria Teresa Di Lascia, Adelaide Aglietta. tranquilli perché non lo avrebbero dimesso prima del trasferimento. Grazie all’interessamento, sia dell’ospedale che di nostri amici medici, il 5 dicembre è stato trovato il posto letto. A quel punto chiediamo un appuntamento con il neurologo, per capire esattamente la diagnosi e la prognosi, per capire se c’erano speranze e quali. Il neurologo ci ha ricevuto nel suo studio e ci ha detto: « Purtroppo l’Emilio che voi conoscevate non c’è più e non ci sarà più. Il suo stato equivale alla morte cerebrale, allo stato vegetativo permanente, non credete alle cose che si vedono nei film, ma non Emilio Vesce è nato nel 1939 a Cairano (Avellino). Laureato in Filosofia diventa leader storico di Autonomia Operaia. Nel 1979 viene arrestato insieme ad Antonio Negri e ad Oreste Scalzone con l’accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Verrà assolto dopo 5 anni e 5 mesi di carcere speciale. Nel 1987 viene eletto parlamentare nelle liste del Partito Radicale. Tra i fondatori della lista Verdi Arcobaleno nel 1989, l’anno successivo è eletto al Consiglio Regionale del Veneto come esponente della lista Antiproibizionista. Nel 1992 diviene membro del Consiglio Generale del Movimento dei Club Pannella. Eletto membro del Consiglio Generale al Congresso del Partito Radicale del 1993, dopo l’inizio della guerra nell’ex-Yugoslavia compie diversi viaggi in Croazia per denunciare la violazione dei diritti civili e organizzare aiuti umanitari. Partecipa alla fondazione dell’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino (1993) e alla campagna per l’abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000. Nel 1994 diventa Assessore per le Politiche Sociali della regione Veneto. Partecipa attivamente alla campagna radicale per l’istituzione del Tribunale Internazionale per i crimini di guerra. Nel novembre del 2000 Emilio Vesce ha un attacco cardiaco. Muore il 12 maggio 2001 a Padova dopo sei mesi di coma irreversibile. smettete di chiamarlo». Quindi solo il 30 novembre i medici ci hanno dato un’informazione adeguata ed esatta sulla terribile prognosi riguardante le condizioni di Emilio, già accertate - dopo l’emergenza - fin dal 14 novembre, sia strumentalmente che con le consulenze neurologiche. I medici hanno praticato tutte le cure e le manovre necessarie per poterlo trasferire in un reparto Comi, per sempre. Mi ricordo ancora la telefonata con Marco Pannella del 30 novembre in cui disperata lo avvertivo che non c’era più niente da fare: morte cerebrale, lo trasferiscono in un reparto Comi. Il Reparto speciale Comi dell’Ospedale Geriatrico, sezione del Reparto di Lungodegenza, per noi è stato un incubo. Se non ci fossero state le mogli, le figlie, i figli, delle altre persone in Stato Vegetativo Permanente non avremmo potuto sopportare tutte le situazioni e le umiliazioni incredibili che ci siamo trovati di fronte. Appena arrivati, letto numero 10, abbiamo chiesto al primario se la medicina avrebbe potuto fare qualcosa per Emilio. Alla risposta negativa abbiamo immediatamente chiesto di portarlo a casa, come desiderava Emilio, morire a casa. Non è stato semplice, e ora, con il senno di poi, avrei dovuto firmare immediatamente - ed era un mio diritto per la dimissione. Ma in quel momento non sapevo come fare, con tutti i tubi per respirare, mangiare, urinare, e anche con le piaghe da decubito che si erano formate all’Ucic. Allora ho chiesto la “dimissione protetta”, vale a dire la cura domiciliare. Sulla nostra permanenza in questo reparto ho presentato una relazione assieme ad altri familiari al Convegno Regionale, “Sulla soglia dell’incertezza: decisioni ai confini della vita” del 22-23 novembre 2002, ed anche un esposto alla Procura per Ascolta “Il maratoneta”, trasmissione dell'Associazione Luca Coscioni in diretta su Radio Radicale ogni sabato dalle 14,30 alle 15,30. La trasmissione, curata da Mirella Parachini e Luigi Montevecchi, oltre a trattare e approfondire i temi dell’attualità politica sui temi della biotica e della ricerca, informa sulle attività dell’associazione stessa. La malattia è un meccanismo perverso. Continuavo ad accanirmi per impedire che il corpo di Emilio si disfacesse, pur sapendo perfettamente che lui era morto e tradendo così la promessa che gli avevo fatto “maltrattamenti d’incapace”. Il 10 gennaio, Emilio viene finalmente dimesso e trasferito a casa, con l’ausilio dell’Assistenza Domiciliare Integrata. A casa ho preparato la nostra stanza con il letto e il materasso antidecubito fornitomi dall’ADI per Emilio, un letto per me, la televisione, un hi-fi e un sacco di foto, le sue pipe, la sua raccolta di penne stilografiche, sulla finestra delle piantine di primule, e poi un tavolino e delle sedie per il nostro medico curante, per me e per l’infermiere dell’ADI, che doveva giornalmente redigere una scheda. Poi, accanto al letto di Emilio, ho messo un altro tavolo per appoggiare l’aspiratore e tutti i farmaci, garze, pinze, alcol, cotone, amuchina, siringhe per pulire la PEG, bottiglie d’acqua e di “pappe”, sondini per aspirazione. E sono entrata in un tunnel di follia. Avrei dovuto rispettare la volontà di Emilio, che a me aveva chiesto di “dargli la morte”, se mai si fosse trovato in una situazione del genere (veramente ci “Il maratoneta” è oggi scaricabile anche in podcasting o riascoltabile in streaming. Tutte le informazioni su radioradicale.it e lucacoscioni.it LA STORIA eravamo fatti a vicenda questa promessa). Avrei potuto mantenere questo patto, in silenzio, senza che nessuno lo venisse a sapere. In ogni casa ci sono mille medicinali, di tutti i tipi, che avrei potuto usare. Ero diventata padrona non solo della sua vita, ma anche della sua morte. Terribile. Purtroppo non ci sono riuscita. La malattia è un meccanismo perverso e proprio io continuavo atrocemente ad accanirmi per impedire che il corpo di Emilio si disfacesse, davanti ai miei occhi, cosciente di non poterlo impedire, sapendo perfettamente che Emilio era morto, violando i suoi desideri e soprattutto tradendolo nella promessa che gli avevo fatto Mi odiavo per la violenza quotidiana che gli facevo, mi sentivo in colpa per essermi svegliata la Il pensiero mi portava al giorno del nostro matrimonio, il 10 maggio 1968. Uno strano matrimonio: pochissimi parenti, pochi amici, senza abiti da cerimonia, in municipio e anche un po' di corsa, perché c'era un'importante assemblea studentesca a Magistero notte dell’8 novembre: se non mi fossi svegliata, se non avessi chiamato subito il 118? Sono stata capace solo di “rispettare”, senza in realtà riuscirci, quel suo povero corpo, ma non la sua volontà. Il mio medico ha ordinato di somministrare esclusivamente farmaci che impedissero il rattrappimento, il soffocamento, le crisi epilettiche, il singhiozzo, le clonie (scosse violente), il vomito continuo, l’otturazione del catetere, perché nulla c’era da guarire e curare, potevo solo amarlo, accarezzarlo, sperare che questa lunghissima agonia terminasse. Le crisi cardiache, la tachicardia, l’ipertensione, l’ipersudorazione, le clonie, il singhiozzo, il vomito si ripetevano ormai con frequenza sempre maggiore, sempre in concomitanza con la nutrizione. Diluivo il pappone con acqua, e glielo davo lentissimamente; ma non serviva a nulla, andava sempre peggio, e allora gli somministravo camomilla e succo di prugne, poi solo acqua. Ai primi di maggio le crisi cardiache si fanno sempre più frequenti, la febbre sale e ricomincia il singhiozzo. Sospendo l’alimentazione, un’inutile tortura. Emilio non ha più il singhiozzo, le clonie, la tosse, ma ha la febbre. Mi sembrava che il suo corpo si stesse rilassando, non teneva più gli occhi immobili e spalancati 24 ore su 24 (dovevo continuamente umidificarli con il collirio che io chiamavo “le lacrime artificiali” e mettergli un fazzoletto durante la notte). Mi sembrava impossibile di non dover aspirare, di non sentire il singhiozzo, di non dover cambiare le lenzuola fradice di sudore. La notte tra il 10 e l’11 maggio era LA BATTAGLIA DI GABRIELLA IN NOME DI EMILIO : POSSO MORIRE SENZA SOFFRIRE? 21 MA MIGLIAIA DI ALTRI CORPI RESTANO SEQUESTRATI Marco Pannella, 12 Maggio 2001 Il corpo che fu di Emilio Vesce, forte e dolcissimo compagno e amico, è ora reso all’umanità; al suo nome, a quanti amò e lo amarono, a Gabriella, a Auri, a Emiliano. Ma in Italia migliaia di altri corpi restano barbaramente sequestrati, privati di vita e di morte. Renderli all’umanità è obbligo; urgenza anche civile. O – se così non fosse - davvero la pietà sarebbe morta in ciascuno di noi sulla terra italiana. A sproposito si è parlato di un problema di eutanasia, o no. Si trattava, invece, di una sorta di millantato accanimento terapeutico che nessuna legge può invece autorizzare, perché nessuna legge può prevedere il dilagare della barbarie per la quale in questo momento migliaia di corpi sono profanati, torturati, offendendo la vita dei viventi, imponendo loro atroci sentimenti e condizioni di vita. Di terapeutico non v’era assolutamente nulla. Non v’era assolutamente nulla da curare, da lenire, da mantenere in vita; solamente alcuni organi da mantenere in funzione. Dal corpo di Emilio, dalla vita di questo nostro compagno tanto vita comune, sale un annuncio: lotteremo perché situazioni, barbarie come questa che la famiglia e noi abbiamo denunciato, sia sconfitta: e ce la faremo. Con il 4% o no. Anche se dovessimo, al solito, fare i conti con il 100% del potere italiano, regno degli ingiusti. come rilassato. Sono rimasta accanto a lui a fargli le spugnature di acqua fredda sulla fronte, ad accarezzarlo e il pensiero mi portava a ricordare il nostro matrimonio, il 10 maggio del 1968. Uno strano matrimonio, pochissimi parenti, pochi amici, senza abiti da cerimonia, in municipio, e anche un po’ di corsa, perché c’era un’importante assemblea studentesca a Magistero. Mi veniva da ridere…strano matrimonio… l’unica elegantina ero io (a parte Emilio, che era sempre elegantissimo). Mia mamma voleva costringermi a togliermi i jeans e mi impediva di uscire in bicicletta, mettendosi letteralmente col corpo davanti alla porta. Durante quei mesi ero continuamente in contatto con Marco Pannella, un vero, grande e tenerissimo amico che mi ha permesso di trasformare l'atrocità della morte di Emilio in una battaglia politica per il diritto alla vita e alla libertà di tutti Per Emilio, per la nostra vita condivisa, ho portato e continuo a portare avanti, con i miei figli, con i radicali, con Marco Pannella, Olivier Dupuis, Marco Cappato, con Emma Bonino, con Luca Coscioni e sua moglie Maria Antonietta, con tutti, con Exit, la battaglia contro l’accanimento terapeutico e la depenalizzazione dell’eutanasia. Durante quei mesi ero continuamente in contatto con Marco Pannella, un vero, grande e tenerissimo amico, che mi ha permesso di trasformare l’atrocità della morte di Emilio in una battaglia politica per il diritto alla vita, alla libertà, al rispetto dei diritti di tutti noi. Con Emma e Luca e molti altri, ho partecipato al grande Sathyagraha, nella durissima campagna elettorale, per difendere con amore, passione, i diritti negati di Emilio e di tutti noi. Dopo la morte di Emilio abbiamo presentato un esposto per lesioni volontarie, violenza privata e maltrattamenti d’incapace. Con la motivazione che i medici, quando hanno praticato le due operazioni per consentirgli di respirare e di alimentarlo, essendo allora Emilio una persona decerebrata, sapevano già che queste loro “ferite” non avrebbero provocato nessun miglioramento, ma anzi un sicuro peggioramento: piaghe, e altre patologie, come è successo. Come per Eluana Englaro, non c’è ragione che tenga, i giudici se ne lavano completamente le mani. Il caso è stato archiviato, vale a dire che c’è stata una sentenza di non luogo a procedere, non ravvisando nessun tipo di reato. Ma non è stata fatta nessuna indagine, non si è sentito nessun testimone. I giudici hanno esaminato esclusivamente le carte che noi abbiamo fornito loro. Dapprima il Giudice Inquirente, la dottoressa Canova, aveva chiesto una perizia-consulenza di parte al professor Marigo, che, dopo mesi, ha con- Insomma, una tragedia: per colpa sua potevo arrivare tardi al mio matrimonio, ma non volevo cambiarmi e mettermi il vestitino color celeste confetto fatto fare dalla sarta per il matrimonio di mia sorella. Eravamo allo scontro frontale, quando è suonato il campanello. Mia mamma si è scostata dalla porta per aprire e io pensavo di approfittarne per uscire, ma ci troviamo davanti Emilio: era venuto a prendermi! Bello, sorridente, elegante, come al solito! Subito mia madre e lui si sono alleati, e mi hanno costretta a mettermi il vestito celeste confetto. Emilio continuava a dirmi: “Ma che t’importa? Falla contenta! In fondo ha le sue ragioni”. La mattina dell’11 maggio, arrivano da Firenze due nostre carissime amiche, Lucia e Maria. Alessandro ed io decidiamo di non disturbarlo. Poi viene il nostro medico e Stefano, l’infermiere dell’ADI. Emilio è sempre più debole. Auri ed Emiliano sono sempre con me, vicino ad Emilio. Lo accarezziamo, le mani, la fronte. Non ci siamo mai spostati dal suo letto e, non mi ricordo bene, ma un po’ alla volta la stanza si è riempita di amici e di parenti. Tantissimi. Emiliano, Auri ed io, fino all’ultimo batter di ciglia abbiamo continuato ad accarezzarlo e a tenerci per mano. Alle sette e mezza è finito il suo e il nostro calvario. cluso che i medici si erano comportati secondo i protocolli, le cure erano state adeguate, ed Emilio non aveva mai espresso la volontà di non essere soccorso! La stessa GI ci ha invitati a fornire una controperizia, perché altrimenti sarebbe stata costretta ad archiviare. Abbiamo fornito la controperizia redatta dal gentilissimo prof. Barni, che ovviamente confutava la perizia del professor Marigo, punto per punto. Dopo qualche mese la dottoressa Canova ha comunque archiviato il caso, con la motivazione dell’”indisponibilità della vita”. Non servivano né testimoni né testamenti, nulla. Abbiamo fatto ricorso alla Procura Generale. Presentato una memoria, facendo presente che nessuna indagine era stata compiuta, nessun testimone ascoltato. La procura generale ha chiesto anch'essa l’archiviazione con la motivazione "dell’indisponibilità della vita ". Io pensavo, ed ero già d’accordo con il mio avvocato, che se si fosse andati al processo, avrei chiesto che Exit e/o il Partito Radicale si costituissero parte civile con noi familiari, come abbiamo fatto con i gruppi femministi nei processi per violenza alle donne. Questo avrebbe potuto far sì che il Parlamento Italiano finalmente legiferasse su questa materia. Un risarcimento? L’unico sarebbe che in Italia si legiferasse quanto prima per istituire, come nostro diritto, il Testamento Biologico. Per quanto riguarda il risarcimento pecuniario, credo sia impossibile quantificarlo. Magari si potesse risarcire in qualche modo il dolore, la disperazione, la follia, la malattia che provano i familiari delle persone in SVP. Pensate ai genitori di Eluana: quale risarcimento per queste due persone distrutte dal dolore che non si arrendono di fronte all’inciviltà e all’ingiustizia italiana? 22 L’INIZIATIVA L’APPELLO DI LANDOLFI RADDRIZZARE LA BARCA E RIPARTIRE Ridiamo subito fiducia e speranza a quanti come Biagio Di Giovanni, in Italia, hanno scommesso sulla Rosa nel Pugno. Biagio De Giovanni ha ragione: la cultura della sinistra socialista, liberale, laica e radicale era ed è rimasta minoritaria all’interno dell’Unione e scarsamente presente nelle scelte complessive del suo Governo. Ma è proprio da questa situazione che nasce la Rosa nel Pugno: nuovo partito, in prospettiva, ma nuovo progetto e nuovo modo di fare politica, qui ed oggi. C’è, e rimane, un grande vuoto da riempire, un’attesa da soddisfare, una domanda di iniziativa e di partecipazione politica cui rispondere. Per Boselli e Pannella, per noi tutti, è una chiamata in causa; un richiamo alle nostre responsabilità. Non possiamo, da una parte, affermare costantemente l’importanza del progetto e, quindi, la necessità di andare avanti e rimanere, nel contempo, paralizzati dalle nostre dispute interne senza esprimere una sola iniziativa politica comune; “andare avanti” in questo modo ci porterebbe, ben presto, alla bancarotta e prima ancora di avere avviato l’attività dell’azienda. Un esito siffatto sarebbe devastante e non per la causa del socialismo liberale che rimane, comunque, sul tappeto. Ma per quanti hanno promosso il progetto, in particolare nella componente socialista. Ma c’è ancora tempo e modo di raddrizzare la barca e di ripartire. Rafforzando dall’interno del Partito Radicale, la dimensione dell’anima comune e il senso pieno della propria, nostra presenza nell’Unione. E facendo riscoprire, ai socialisti, il valore dell’iniziativa, e della battaglia politica e culturale che è poi l’unica a giustificare il di un socialismo ruolo indipendente. Le occasioni di intervento sono davanti a noi, sono evidenti e urgono: imporre il rispetto dei risultati delle elezioni al Senato, come pregiudiziale rivendicazione di legalità e di democrazia delle istituzioni; i temi “etici” e della libertà di ricerca; il giudizio sulla finanziaria e la nostra politica mediorientale; rilancio di una grande politica ambientale e delle autonomie, questione sia locale sia mondiale; aggiungendo nelle elezioni amministrative anche gli obiettivi della trasparenza e della riduzione del costo della politica. E fra le tante battaglie garantiste occorre rilanciare –come lui vuole e praticòanche l’impegno meridionalista ereditato da Giacomo Mancini. Sta a noi raccoglierle, queste occasioni, queste urgenze. Per ridare subito fiducia e a quanti come Biagio Di Giovanni, in Italia, hanno scommesso, in prima persona, sulla Rosa nel Pugno Antonio Landolfi, della Direzione Nazionale della RnP Per sottoscrivere e sostenere l’appello: [email protected] oppure scrivere a Rosa nel Pugno, Via di Torre Argentina 76, 00186 Roma ROSA NEL PUGNO LA RNP NELL’UNIONE LETTERA APERTA DI MARCO PANNELLA A ROMANO PRODI Caro Presidente, poiché dai resoconti di stampa nulla, nulla è, sia pur ripeto approssimativamente, emerso di veritiero o di leale sul mio intervento di ieri mattina nella riunione da te convocata, mi permetto di inviarti la seguente mia sintesi con la preghiera di far verificare la sua esattezza e puntualità dai tuoi Uffici sulla base delle registrazioni a loro disposizione: 1) Ho esordito ribadendo che – pur sapendo che questa precisazione non sarebbe stata gradita a molti dei presenti – prendevo la parola a nome della Rosa nel Pugno, niente affatto dei “radicali” così come Enrico Boselli, dello SDI. 2) Quanto alla situazione critica da molte parti denunciata, coloro che come me hanno avuto la responsabilità di proporre l’Alternanza (e di averla determinata, per certo non marginalmente) di Governo fra l’una e l’altra articolazione del regime politico italiano, come condizione necessaria al proseguimento di una Alternativa al regime stesso, non possono in alcun modo dichiararsi delusi e sorpresi da essa. Non si sono illusi, non sono delusi. 3) Hanno avuto, ho avuto, una piacevole e positiva sorpresa e consenso quando hai dichiarato di essere ben determinato a “stupire” con “riforme radicali”. Stupire per non morire. Per ora, però, rischia di subentrare lo “stupore” del tuo non stupire ancora alcuno con l’avvio di “riforme radicali”. 4) Ho denunciato la mancanza di una Unione che sia effettivamente Luogo della tua maggioranza, e che ne rispetti le regole, per divenire invece sempre più il nome con cui si copre una gestione di fatto (incontrollabile da parte di molti componenti della maggioranza stessa) da parte dell’Ulivo, ultima versione. 5) Ho espresso il mio dissenso e il mio allarme per sintomi gravi di mancata difesa della legalità. Ho fatto l’esempio dell’evidente propensione, da parte di chi determina i comportamenti poi attribuiti o assunti dalla “Unione”, di preferire procedere alla nomina di senatori graditi, in luogo e contro la proclamazione dell’elezione degli eletti. Ho deprecato che il Governo non abbia proceduto alla nomina del Comitato Nazionale di Bioetica, cinque mesi dopo la scadenza di quello nominato con spirito partigiano, e illiberale e non laico dal precedente Governo. Due esempi fra altri purtroppo già avocabili, condannabili. 6) Ho infine, e in apparente contraddizione con la nostra posizione favorevole alle riforme di struttura attraverso rigorose contrazioni della spesa, detto quanto mi appare grave la ferita senza precedenti, pur in vent’anni bui e negativi, portata alla ricerca scientifica, come denunciato dal Ministro Mussi. Nella manciata di minuti che abbiamo avuto tutti a disposizione è quanto ricordo di aver certamente detto, nella sostanza e nella forma. Caro Presidente, tengo a darti atto che tu hai voluto rispondermi fra i primi nella tua replica, con un calore evidente e con sincerità. Non mi hai convinto, certo. Ma non dispero che tu sappia farlo con l’urgenza necessaria, con il linguaggio dei fatti. Personalmente e come Rosa nel Pugno non ho nessuna fretta e nessun piacere del ficcarmi nel “piatto ricco” dei delusi e degli apocalittici. Da te, da voi, è lecito e giusto attenderci che sappiate meglio assicurare un buon Governo dell’alternanza nel regime, che abbiamo tutti conquistato, piuttosto che avere la forza e la volontà di rappresentarne una radicale alternativa liberale, socialista, laica, democratica e antioligarchica. Troppo forte, oltre tutto, sono in noi la sinistra conservatrice e la Vandea populista e reazionaria. Buon lavoro! Da subito. Marco Pannella LA BATTAGLIA CONTINUA Abbiamo incontrato Maria Antonietta Farina Coscioni, moglie di Luca, morto di sclerosi laterale amiotrofica nel febbraio del 2005, durante una delle sue visite lungo lo stivale per promuovere una petizione a favore dell’introduzione di una legge sul testamento biologico e l’eutanasia. Ieri era a Brescia, proprio per parlare di questa importante questione. Signora Coscioni, ci parli dell’associazione che porta il nome di suo marito. È un’associazione politica nata quando Luca era in vita, proprio perché tratta di temi politici non si pone l’obbiettivo di diventare un’associazione “a memoria di”, ma di dare la possibilità di aprire un dibattito sulla libertà di ricerca scientifica, di cura e di terapia. Come crede che il Parlamento valuterà l’iniziativa? In cosa sono concentrate in questo periodo le energie dell’associazione? Si dice che sia possibilista sulla questione del testamento biologico, ma meno sull’eutanasia. Questo il compromesso che però risulterebbe essere un contentino che non eviterebbe che si verifichino degli altri casi Welby. Stiamo portando avanti una petizione da presentare al Palamento italiano perché affronti la questione eutanasia, anche dopo le sollecitazioni giunte dal Capo dello Stato conseguenti alla lettera inviata da Welby, co-presidente della nostra associazione, dove emerge chiaramente la volontà di fermare l’accanimento terapeutico al quale è soggetto, soprattutto da quando negli ultimi tre mesi è completamente immobilizzato. Anche lei e Luca avete vissuto una situazione analoga quella di Welby, che ha portato però Luca a scegliere di non effettuare la tracheotomia che gli avrebbe permesso di respirare… È stata una scelta sofferta e difficile, soprattutto per me. Ma ho sempre avuto IL DIBATTITO POLITICO LAICITÀ E VALORI 23 INTERVISTA A LIDIA MENAPACE UN PAPATO PERICOLOSO un arretramento generalissimo della società italiana su questi argomenti, se si vuole, una sconfitta del movimento femminista. Io sarei stata per l’abrogazione totale, e per una impostazione del dibattito sull’autodeterminazione e meno scientista. La tecnicità dei quesiti è stata voluta dalla corte costituzionale… Dai Ds se vogliamo essere diretti. Nella campagna referendaria sulla legge 40 la preponderanza delle argomentazioni dei medici rispetto a quelle delle donne è stato uno degli elementi dell’insuccesso Per fare un discorso semplice: per le donne, come per tutti i cittadini, è giusto che la legge preveda la “buona pratica medica”, la buona pratica clinica; sul piano scientifico è il minimo. Ci sono tante leggi che io chiamerei “facoltanti”: non obbligano né vietano, ma danno la facoltà: vale per l’aborto, la riproduzione e per l’eutanasia. Per un nuovo tipo di diritto…non possiamo sempre andare avanti obbligando e vietando. Ogni qual volta che viene fuori un materia nuova non hai Vorrei riprendere la tua riflessione sulla carenza precedenti giuridici, se non ti sbrighi a dire del dibattito in tema di femminismo “facciamo monitoraggio, vediamo se si sviluppa una morale o opinione Si infatti. Non è molto incluso comune”, viene fuori qualcuno che ha nella agenda politica; non si già la verità in tasca, che può essere pensa mai che le donne possano uno scienziato, il più delle volte un avere un’angolazione sotto cardinale, qualche volta addirittura il quale vedere un problema. Sono contenta di far parte di una Papa. tavola rotonda in cui si esaminaLa battaglia sul referendum no le caratteristiche invadenti di Un commento alle dichiarazioni del abrogativo della legge 40 ha questo Papa che dice che la visto la partecipazione di un Chiesa non fa politica e poi rice- Cardinale Ruini. Tu sei a Verona per gruppo trasversale di donne ve Prodi dicendogli: no alle unio- la manifestazione laica… parlamentari, ma mi chiedo: ni libere e sì ai soldi alle scuole chi è autorizzato a ereditare le cattoliche Sono convinta che questo Papato è lotte femministe…chi molto pericoloso, sono contenta di rappresenta le lotte femministe fare parte di una tavola rotonda in cui degli anni 70? si esaminano le caratteristiche invadenti di questo pontefice che dice la chiesa non fa politica e poi riceve Ho osservato la richiesta Prodi dicendogli: no alle unioni libere radicale, secondo me la vostra e sì ai soldi alle scuole impostazione era troppo cattoliche…questo è come dire la chiesa non fa scientista, e sotto questo profilo avrebbe interessato politica ma la faccio io direttamente. Ha un disegno meno le donne. Benché non condivida alcune scelte neotemporalista molto pericoloso questo pontefice. del movimento femminista, di assenza, disinteresse, o addirittura incertezza su come votare, devo dire Non solo. C’è questo martellante slogan di che in tutta la campagna sulla legge 40 la recupero dei valori e di energie morali che preponderanza delle argomentazioni dei medici sembrerebbe che nel nostro paese solo la chiesa rispetto a quelle delle donne è stato uno degli elementi dell’insuccesso. L’insuccesso ha dimostrato detenga. grande rispetto delle idee di Luca, e quindi ho rispettato la sua scelta. Questa non è l’unica battaglia che l’associazione porta avanti. Ce ne sono tante altre, come sulla pillola abortiva RU486, la ricerca sulle cellule staminali, la fecondazione assistita. Perché in Italia a livello politico si continua ad opporsi a queste possibilità? Perché ci si nasconde dietro una falsa morale. Siamo un paese di moralisti che si nascondono dietro alla presunzione di difendere presunti valori universali, come quello della vita, anche se spesso poi quando ci si trova davanti a questo tipo di problemi si compiono scelte diverse. In Italia esiste anche un forte dibattito sulle cellule staminali,nelle quali si inserisce anche la vostra campagna sull’uso del cordone ombelicale.Come procede? Il sangue del cordone ombelicale contiene cellule staminali che potrebbero servire per la cura di gravi malattie, per ricostruire tessuti od organi malati e, in caso di compatibilità, per trapianti a terzi. In Italia attualmente viene praticato solo in alcune strutture pubbliche di poche regioni. Vorremmo estenderlo il più possibile. Abbiamo avuto delle aperture da parte del ministro Turco, anche se ci sono, come sempre su questi argomenti, degli intoppi di carattere politico. La ricerca sulle cellule staminali in Italia ammette solo l’importazione delle cellule dall’estero. Cosa ne pensa? Penso sia un modo per giustificarsi e la dimostrazione dell’atteggiamento ipocrita che ci contraddistingue: il lavoro sporco lo si fa all’estero, mentre quello pulito in Italia. Come se ci fosse qualche differenza. Perché secondo lei in Italia siamo fermi rispetto alla ricerca sulla clonazione terapeutica? Perché la politica vive questi temi come una questione di moralità e non politica. Sollevammo la questione dal 2001, quando sia Rutelli sia Berlusconi ammisero che non volevano inserirli nel proprio programma perché non li reputavano argomenti da campagna elettorale. Al Senato, al Parlamento è venuta una mozione di solidarietà per il Papa dopo Ratisbona. Cosa c’entra il Parlamento Italiano con il dialogo interreligioso? Non si accorgono che nel dialogo interreligioso non c’e nemmeno una donna, che è la cosa che il Parlamento dovrebbe sottolineare, visto che è la violazione di un articolo della Costituzione? C’è un calo del tasso di laicità, pericoloso per la democrazia. A fronte di un aumento nella secolarizzazione di comportamenti, che sono misurabili attraverso indici come la diminuzione del numero dei matrimoni di persone che pure vanno a messa, o del numero delle vocazioni. Tutti dati quantitavi in calo. Mettere insieme calo di vera fede e invasione della religione come superstizione è un grande pasticcio. Io oggi pomeriggio non misurerò le parole. Non sarò irriverente ma sicuramente molto dura. • LIDIA MENAPACE Nata a Novara, il 3 aprile 1924. Prese parte, giovanissima, alla Resistenza partigiana e nel dopoguerra fu impegnata nei movimenti cattolici, nella Democrazia Cristiana e con varie organizzazioni progressiste. Insegnante, simpatizzò per il Partito Comunista Italiano ma nel 1969 fu tra le fondatrici de Il Manifesto. Lidia Menapace rappresenta una delle voci più importanti del femminismo italiano, dei movimenti della società civile e del cammino verso la nonviolenza. Nelle elezioni politiche del 2006 si candida con Rifondazione Comunista al Senato e risulta eletta. Ha preannunciato l’iscrizione all’associazione Coscioni. (fonte Wikipedia) Per l’ospedale Sant’Anna di Torino gli esperimenti sulla pillola abortiva RU486 hanno funzionato. Però la politica continua a non occuparsene,perché? Anche qui è una questione di falsa moralità. Si pensa che per una donna la scelta di abortire sarebbe più semplice se lo potesse fare attraverso una pillola invece che con un intervento chirurgico. Ma non è così. Solo con la RU486 si eviterebbe un trauma ancora maggiore di quanto non sia già. Secondo lei c’è una parte del mondo cattolico è maggiormente disponibile a discuterne? Certamente. Ad esempio quelle stesse donne che votarono a favore dell’aborto e che sono credenti. Come è cambiata la sua vita da quando Luca non c’è più? La mia vita è stata stravolta. A volte penso fosse più facile prima. Adesso pensare di combattere queste battaglie senza di lui mi sembra molto più difficile. Ma mi sento di proseguire. Altre riflessioni? Solo un pensiero per la moglie di Welby. Quando ci sentiamo percepisco una certa serenità da parte sua, ma so bene che vorrebbe anche che Piergiorgio cambiasse idea. Ammiro molto quindi la sua forza di rispettare le scelte di suo marito. Intervista Brescia” dal quotidiano “Il & I “TEO-DEM?” 24 IL DIBATTITO POLITICO LAICITÀ E VALORI MOLTO “TEO”, POCO “DEM” Ma De Gasperi e don Sturzo sono sempre più lontani ANGIOLO BANDINELLI Ferve il dibattito nel mondo del cattolicesimo italiano, nella gerarchia e tra i laici, fuori ma anche dentro il Vaticano. Come spesso nella sua storia, l’ecclesialità italiana è percorsa da movimenti ondosi rilevanti, i cui protagonisti sono a volte persino conflittuali tra di loro. Tanto per fare (senza troppe pretese) qualche nome: Rosmini o il Cardinal Consalvi? Il giansenista Manzoni o il modernista Fogazzaro? Don Sturzo o Leone XIII? De Gasperi o Dossetti? Buonaiuti o Padre Pio? Potremmo continuare ma ci limitiamo ad estrarre, a sorpresa, un nome che invece mai appare nella panoplia degli evocati in queste dispute. Il nome assente è quello di don Don Romolo Murri fu deputato radicale e in questa veste condusse battaglie ancora oggi di grande attualità a partire da quella sull’educazione del clero, Da laici, lo onoriamo, i chierici lo ignorano Romolo Murri, fondatore della Democrazia Cristiana, accantonato e rinnegato dall’autorità ecclesiastica per il suo tentativo di dare all’ispirazione cristiana, pur nel rispetto assoluto dell’insegnamento dogmaticoecclesiale, un indirizzo politico di democrazia liberale. Ci è facile riesumare questo nome perché ci è caro: don Romolo Murri fu deputato radicale, e in questa veste condusse battaglie ancora oggi di grande attualità a partire da quella sull’educazione del clero, quando delineò per i futuri preti un percorso scolastico che evitasse l’insinuarsi delle occasioni di scandalo sessuale che oggi perfino Papa Ratzinger deplora e condanna. Da laici, lo onoriamo, i chierici lo ignorano. Comunque un gran dibattere, che seguiamo con interesse pur se con qualche difficoltà: la galassia cattolica ha confini incerti. Ci sono interlocutori e protagonisti già noti: Caffarra e Scola, Tettamanzi e/o Ruini, i Focolarini, Comunione e Liberazione o Sant’Egidio, i francescani di Assisi o i gesuiti della Civiltà Cattolica, gli exDC e gli aspiranti DC, i laici Divisi sulle questioni politiche e di potere, i cattolici italiani si ricompattano sempre nel rifiuto della modernità e della scienza voluto da Ratzinger e Ruini. Non fa eccezione il nuovo raggruppamento che si è formato nella Margherita per strapparne la leadership ai Popolari. obbedienti e gli atei devoti, i teocon e un po’ anche i neocon che confondono pentecostali americani e Chiesa cattolica, Paola Binetti, Luigi Bobba e Antonio Socci: all’interno, tra di loro, si conoscono e si riconoscono, all’esterno connotati e significati restano sfocati e lontani. Ma oggi c’è una novità da segnalare: i “teodem”, una pattuglia di militanti (e dirigenti) della Margherita che, con lo slogan “andare oltre il cattolicesimo democratico”, si muovono per contendere ai Popolari la leadership dei credenti, specie in vista del fantomatico Partito Democratico. Quel nome, “teo-dem”, quel richiamo al cattolicesimo democratico, dovrebbero far sperare. Se si vuole andare Oggi c’è una novità da segnalare: i “teodem”, una pattuglia di militanti (e dirigenti) della Margherita che, con lo slogan “andare oltre il cattolicesimo democratico”, si muovono per contendere ai Popolari la leadership dei credenti oltre al De Gasperi disobbediente a Papa Pio XII che gli imponeva una scelta politica inaccettabile e reazionaria, se si vuole insomma ancorare il cattolicesimo italiano ad una sponda decisamente democratica, ci troveremmo di fronte ad un fatto importante: sarebbe la ripresa forte e decisa di un filone di uomini di cultura e politici cattolici - Come osserva Luigi Covatta, il nuovo raggruppamento non sembra si allontani troppo da quei “teocon” dai quali pur dice di volersi distinguere da Cavour a Manzoni a Lamborghini, ecc. - che hanno enormi meriti nella storia italiana, a partire da quel Risorgimento che è in buona misura opera loro ancor prima che dell’anticlericalismo massonico. Dubitiamo però di veder avverate le nostre speranze. Un cattolico di lunga esperienza politica, Luigi Covatta, ha scritto un articolo (“Il Riformista”, 16 ottobre) dal titolo significativo: “Cari teodem, sotto la bioetica quasi niente”. Osserva Covatta - e ci pare che il suo giudizio vada accolto senza riserve - come il nuovo raggruppamento non si allontani troppo da quei “teocon” dai quali pur dice di volersi distinguere, né appaia capace di compiere “una rivisitazione del cattolicesimo politico italiano in un’ottica più attenta al rapporto tra fede e politica di quella tradizionalmente democristiana”. Dovendo lasciare qui il complesso ragionamento di Covatta, dobbiamo concludere che i “teo-con” sono nati, forse, solo come soggetto di una lotta tutta politica, poco ecclesiale e molto di potere. Ancora una volta, il cattolicesimo italiano non solo ignora Murri ma sembra aver accantonato dal suo spettro ideale De Gasperi e perfino il più discutibile Fanfani (quello che, sul referendum divorzista si giocò, coraggiosamente, la carriera politica). Durante la campagna per il divorzio, quaranta anni fa, un giornale inglese scrisse che, grazie a quel confronto, che metteva in gioco e tendeva a sconvolgere temi etici e religiosi delicatissimi e assai radicati, l’Italia veniva fatta entrare in Europa, cioè nella Per i modernisti l’Italia è alla retroguardia, per Ratzinger è una possibile avanguardia. Come ai tempi della Controriforma la chiesa italiana si attesta sulla difensiva chiudendosi nella roccaforte identitaria modernità, anche se “recalcitrante come un mulo”. Allora i muli erano frequenti, bestie da soma e da lavoro, nelle campagne di un paese agricolo timoroso dell’avanzata dell’industrialismo e della sua cultura. Oggi, il demone da esorcizzare è la scienza: Ratzinger la condanna senza lasciare spiragli a ripensamenti, subito gli fanno eco il cardinal Ruini o l’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, che non interviene al Festival della Scienza in corso nella sua città perché “troppo laicista”. Il confronto vede contrapporsi senza possibili mediazioni la scienza, le tecniche, il sapere, e i valori predicati dalla Chiesa. I laici guardano alla modernità, il Cardinal Ruini auspica che un’Italia fedele ai principi e all’insegnamento di Papa Ratzinger possa diventar trampolino di lancio per la riconquista al cattolicesimo romano di un mondo che si allontana in altre direzioni, sulle orme di Darwin dopo Galilei: per i modernisti l’Italia è alla retroguardia, per Ratzinger è una possibile avanguardia, ma per quelli come per questo i termini della questione sono identici. Non è peraltro una situazione nuova, l’Italia la conosce dai tempi della Controriforma. Come allora, la chiesa italiana si attesta sulla difensiva chiudendosi nella roccaforte identitaria, persuasa che solo dietro questo baluardo essa potrà reggere la sfida del mondo. Il pretesto più immediato alla costruzione della barriera è il confronto con l?Islam, ma sospettiamo che questo sia piuttosto l’alibi dietro il quale porre al riparo l’incapacità di affrontare altre, molto più serie, sfide: quelle della modernità, dell’innovazione e del governo del mutamento in un mondo sempre più globalizzato. NOTIZIE DAL MONDO GIULIA INNOCENZI Fra le due sponde dell’Atlantico è in corso una rivoluzione in capo alle case farmaceutiche, sia per ciò che riguarda la loro interazione con i governi, sia per il rinnovo dei proprietari delle aziende di medie dimensioni. Questi cambiamenti fanno emergere i nervi scoperti di un sistema in cui le aziende farmaceutiche hanno da sempre dipeso sull’appoggio statale e su connessioni relazionali fra le famiglie proprietarie, erigendo nel tempo un muro protezionistico. Ora che le carte sono state scoperte, nuovi soggetti hanno intenzione di sedersi al tavolo dei giocatori, primo fra tutti l’indiano Ranbaxy. Nell’analisi di questi cambiamenti, saltano agli occhi i due scandali emergenti negli Stati Uniti. Il primo coinvolge la GlaxoSmithKline, la più grande produttrice di farmaci in Europa, accusata di frode nei confronti dell’Internal Revenue Service, l’ufficio di imposte statunitense. La pratica sotto accusa è semplice: l’unità americana dell’azienda pagava la fornitura di farmaci dalla casa madre con cifre spropositate, al fine di diminuire il profitto imponibile. Il processo, fissato per il febbraio 2007, è stato bloccato da un accordo costato alla Glaxo 3,4 miliardi di dollari. Questa cifra astronomica è andata a tutto vantaggio dell’azienda, che pur di non presentarsi in tribunale ha accettato il pagamento corrispondente al 60% del supposto ammontare evaso ed ha rinunciato alla sua richiesta di rimborso per pretese tasse in eccesso pagate in passato. Il più interessante dal punto di vista del meccanismo del sistema farmaceutico è l’Affare Plavix, costato il posto al direttore generale della BMS Peter Dolan, già criticato in passato per acquisizioni ritenute troppo care. Plavix, secondo farmaco più venduto al mondo, è tuttora oggetto di una disputa riguardante brevetti contestati da Apotex, azienda canadese produttrice del diretto competitore del medicinale in questione. Sanofi-Aventis e BMS, per evitare l’invalidazione dei brevetti, altamente lucrativi in quanto garantiscono alle aziende inventrici del farmaco i diritti di proprietà su di esso, stipularono un accordo con Apotex, stabilendo che il medicinale generico non sarebbe stato immesso nel mercato fino al 2011, poco prima della scadenza dell’ esclusiva. Questo accordo, : contrario all’interesse dei consumatori, fu annullato da una sentenza nel mese di luglio. A questo punto Apotex decise di sfruttare la legge americana, che concede il monopolio della commercializzazione per sei mesi al primo produttore generico che invalida il brevetto di un farmaco protetto, per inondare le farmacie statunitensi con il proprio farmaco, guadagnando il 60% del mercato in una settimana. Tuttavia, a causa della disputa sui brevetti, la commercializzazione di questo farmaco fu bloccata a fine agosto. Per ora l’unica conclusione che emerge dalla disputa è che coloro che sono soggetti a rischio d’infarto e che devono acquistare Plavix, continueranno a pagare un prezzo più elevato senza benefici aggiuntivi. Ancor più eclatante è il cambio di proprietari avvenuto ai vertici delle case farmaceutiche europee di media grandezza. Settembre è stato il mese più caldo, con ben cinque acquisizioni o fusioni rilevanti, e pressioni da parte di aziende desiderose di espandersi, ad esempio la Ranbaxy, lasciano trapelare futuri cambi degli assetti proprietari, soprattutto per ciò che riguarda il mercato spagnolo e italiano. Alla base di questa rivoluzione c’è lo scontro fra la staticità e l’autoreferenzialità delle case farmaceutiche e le riforme e l’apertura del mercato europeo. RICERCA SENZA FRONTIERE Chi deve acquistare Plavix, continuera a pagare un prezzo più elevato senza benefici aggiuntivi Per quanto riguarda il fattore statico vi sono delle caratteristiche comuni ai produttori di farmaci, le quali non permettono una funzionale e trasparente C’È DEL MARCIO IN FARMACEUTICA 25 attività. Innanzitutto, queste aziende sono in mano a famiglie o a loro fondazioni che vogliono intercedere nella stipula di accordi. Inoltre, queste aziende dipendono in massima parte da un solo farmaco, per cui si trovano in balia delle scadenze delle esclusive e delle legislazioni sui brevetti. Soprattutto però, è la media dimensione che crea i maggiori problemi. Queste imprese infatti subiscono pressioni dalle grandi industrie per ciò che riguarda l’investimento di ingenti somme di capitali in ricerca e sviluppo, al fine di immettere nuovi prodotti competitivi nel mercato. Le ditte di media dimensione sono prive però della disponibilità monetaria delle grandi e non si trovano quindi a competere allo stesso livello. La dimensione intermedia che non funziona più anche perché la barriera protettiva eretta dai governi europei sta calando, grazie ad uno spirito riformistico ed aperto ad interferenze esterne. Per lungo tempo infatti questi hanno sostenuto i produttori nazionali agevolando i prezzi competitivi per i loro farmaci, mentre ora, sotto la spinta di un taglio generalizzato dei costi della sanità, è stato persino diminuito il differenziale fra i farmaci brevettati e quelli generici. Le barriere governative nei confronti delle proprie ditte farmaceutiche sono ulteriormente messe alla prova da grandi industrie straniere, prima fra tutte la Ranbaxy. Questa infatti spende ogni anno 25 milioni di dollari, pari al 2% del proprio capitale, in spese processuali, nel tentativo di liberalizzare un mercato che ha imprigionato la salute con brevetti, patti fra case farmaceutiche e accordi fra queste ed i governi, il tutto a spese del malato. PILLOLE TRANSNAZIONALI Spagna. Il Ministero della Sanità permette la selezione degli embrioni per salvare un fratello (da El Paìs, 25 ottobre 2006) La Commissione di Riproduzione Umana Assistita spagnola ha approvato l’uso della diagnosi pre-impianto in otto casi su ventiquattro delle domande presentate. L’applicazione di questa tecnica diagnostica deve avvenire dopo un’analisi caso per caso che non è mai stata impiegata prima in Spagna da quando è stata approvata la nuova legge sulla procreazione medicalmente assistita lo scorso maggio. Diverso è il caso della diagnosi pre-impianto per la selezione di embrioni affinché non siano essi stessi portatori di malattie genetiche, che è ammessa in Spagna già dal 2003. La nuova tecnica applicabile da maggio consiste nello scegliere gli embrioni prima di impiantarli nell’utero, in modo che il nascituro possa essere un donatore per un fratellino già nato con una malattia genetica. Tra le malattie previste ci sono alcune leucemie per cui il nuovo nascituro può divenire donatore di midollo per il fratello. Polonia. Il Ministero dell’Educazione contesta Darwin (da Le Monde, 20 ottobre 2006) Il Vice-Ministro per l’Educazione polacco nonché deputato della Lega delle Famiglie polacche (LPR, partito dell’estrema destra ultarcattolica), Miroslaw Orzechowski, ha contestato pubblicamente la teoria evoluzionistica di Darwin e come risultato in un liceo di Lodz, 135 chilometri a sudovest di Varsavia, un professore è stato messo in aspettativa perché aveva affisso un disegno di un primate che si trasformava in Homo sapiens. Il silenzio dell’esecutivo polacco, dovuto al timore di innescare un difficile dibattito, di fatto non fa che rafforzare all’estero lo stereotipo di una Polonia ultracattolica e conservatrice. Belgio. Una banca dati sull’eutanasia per i medici (da Le Vif – L’Express e Bureau audiovisuel francophone, 16 ottobre 2006; Frankfurter Allgemeine Zeitung, 17 ott. 2006) Quattro anni dopo l’introduzione della legge sull’eutanasia il Ministero della Salute belga si prepara a realizzare una banca dati che dovrà permettere ai medici di verificare se una persona che si trova in coma irreversibile ha precedentemente fatto un testamento biologico. La banca dati sarà integrata nel Registro nazionale e data la delicatezza dei dati conservati necessiterà di un sistema informatico di estrema sicurezza. Questa banca dati sarà utile soprattutto per i medici non curanti ad esempio nel caso in cui un paziente abbia un incidente lontano da casa - o per i medici di famiglia e le famiglie che non siano stati informati dell’esistenza di un testamento biologico. Subito è stata polemica in Belgio, dove il sito Bureau audiovisuel francophone ha accusato il ministero di voler monitorare coloro che hanno fatto un testamento biologico affinché questi non sfuggano all’eutanasia per liberare i letti e non gravare più sul sistema sanitario nazionale. RICERCA E RIFORMA 26 . STAMINALI STAMINALI ADULTE: UNA DO Interrogazione a risposta in Commissione Domanda: Conflitto di interesse? Ministro della Salute. Per sapere, premesso che: nel novembre 2001 il Ministero della salute, istituiva, presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) la “Commissione sulle staminali”, presieduta da Enrico Garaci, presidente dell’ISS come diffuso nel comunicato numero 442, la Commissione risultava composta da 12 membri; tale Commissione decideva l’erogazione di un finanziamento di 7,5 milioni di euro, da erogare nei tre anni successivi in tre progetti per la durata di un biennio; i tre bandi erano interamente dedicati a proposte di ricerche sulle staminali adulte (umane e da animali) e sulle staminali embrionali animali (escludendo quindi le embrionali umane); nel dicembre 2002, scadeva il termine per la presentazione dei progetti al primo bando dedicato alla ricerca di base sulle staminali e sarebbero poi seguiti gli altri due bandi, uno dei quali, si leggeva sul sito web dell’Istituto Superiore di Sanità, sicuramente dedicato alla creazione di banche di cellule staminali, attività di interesse di molti dei membri della commissione; al primo bando del 27 settembre 2002, la XII Commissione - Giovedì 19 ottobre 2006 Interrogazione n. 5-00014 Poretti: Procedure per l'aggiudicazione da parte della «Commissione sulle cellule staminali», istituita presso l'Istituto superiore di sanità. Risposta: La procedura seguita NON garantisce trasparenza Preme innanzitutto puntualizzare che i fatti oggetto dell'interrogazione riguardano l'attività svolta dalla «Commissione Nazionale sulle Cellule Staminali», istituita presso l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel novembre 2001 dal Ministro Girolamo Sirchia e decaduta, sempre nel corso della passata legislatura, il 9 novembre 2004. L'ISS, al quale sono state richieste informazioni riguardanti i fatti oggetto dell'interrogazione, ha fornito i seguenti elementi di conoscenza. La procedura di valutazione dei progetti di ricerca seguita dalla Commissione è quella del peerreview system, che prevede la valutazione dei progetti da parte di Commissione ricevette e giudicò 137 progetti che ricevettero notifica ufficiale di finanziamento nell’ottobre 2003; risultò evidente secondo l’interrogante il conflitto d’interesse che emergeva in riferimento alla composizione della commissione e alla presentazione di progetti da finanziare riconducibili direttamente o indirettamente a centri di ricerca cui appartengono gli stessi membri della commissione presentati dai componenti o ricercatori che lavoravano con gli stessi; nonostante le ripetute richieste di spiegazioni da parte dei partecipanti esclusi ad oggi nulla è stato chiarito; nell’aprile 2004, la commissione finalmente – a seguito di sollecitazioni – pubblicava i risultati dei progetti finanziati al primo bando. Questa lista, temporaneamente resa disponibile sul web, evidenziava come alcuni membri della Commissione avevano presentato anche 5-7 progetti, utilizzando il fatto che ciascuno poteva elaborare un progetto come capogruppo (su due gruppi partecipanti) ma anche uno come secondo intestatario, sistema adoperato anche per i propri associati/ricercatori (nomi degli associati individuabili attraverso le pubblicazioni e le conoscenze della composizione dei gruppi di ricerca). La probabile cifra ottenuta per ciascun progetto finanziato poteva essere di 150-250 mila euro (massimo consentito 400.000 totali per due anni), a fronte di 3-4 pagine di testo che documentava la ricerca; Anche la ricerca sulle cellule staminali adulte è importante per chi, come noi, si oppone alla proibizione della ricerca sulle embrionali. Proprio perché è necessaria, vorremmo che i criteri di finanziamento fossero corretti, come NON lo sono stati negli ultimi anni se si prende ad esempio il professor Angelo Vescovi, membro della Commissione, egli ha presentato il progetto numero 118 come responsabile, il 120 «referees»/revisori anonimi, competenti nella materia scientifica del progetto e indipendenti dal proponente del progetto stesso. I progetti presentati a seguito del primo e del secondo bando sono stati valutati «da due o più revisori anonimi (esterni o interni alla Commissione, ma comunque non conosciuti dagli stessi membri della Commissione), scientificamente qualificati e indipendenti dal proponente del progetto [...] La Commissione Nazionale ha preso atto delle valutazioni dei referees, e soltanto in base a queste valutazioni ha finanziato o meno i progetti presentati». La Commissione era composta da molti dei ricercatori italiani più qualificati nella materia, i quali hanno presentato progetti di ricerca che sono stati valutati anch'essi «da referees anonimi (non conosciuti dal membro proponente), qualificati e indipendenti (a riprova della validità ed imparzialità di questi referaggi, un progetto presentato da un membro della Commissione non è stato finanziato)». L'Istituto ha precisato che nel sito web sono state regolarmente inserite le informazioni relative ai bandi e ai progetti finanziati. I consuntivi scientifici dei progetti del primo bando dimostrano che molti risultati sono stati pubblicati sulle più prestigiose riviste internazionali. L'Istituto precisa che la Commissione ha promosso un primo bando per progetti di ricerca biennali, finanziati per oltre 11 milioni di euro nel 2003. Su un totale di 137 progetti presentati ne sono stati finanziati 82. In questa occasione 7 progetti risultano presentati dai membri della Commissione e ciascun componente della Commissione ne ha presentato solo uno; «come da regolamento, taluni membri della Commissione hanno collaborato ad un secondo progetto presentato da un altro ricercatore indipendente; questo ricercatore era titolare e responsabile del progetto, mentre il membro della Commissione svolgeva un ruolo ancillare del tutto secondario». Al riguardo, l'ISS sostiene che nelle grandi strutture di ricerca, a carattere di multilaboratorio-dipartimento, opera un direttore responsabile del funzionamento generale della struttura, che dirige il proprio gruppo di ricerca; le stesse strutture comprendono altri ricercatori indipendenti, che svolgono attività di direzione del proprio gruppo di ricerca (questo profilo organizzativo-operativo è presente, ad esempio, nelle strutture ove operano i membri della Commissione); appare pertanto, secondo l'Istituto, «fisiologico» che dalle strutture multilaboratorio/dipartimentali siano pervenuti uno o più progetti, da parte di ricercatori indipendenti, come accade di routine anche in altre Commissioni nazionali ed inter- nazionali. L'attività del primo bando è oggi conclusa; i responsabili dei progetti hanno già inviato il consuntivo amministrativo e quello scientifico. Al primo bando ha fatto seguito un secondo bando concernente lo «Sviluppo di uno o più prototipi strutturali, organizzativi e gestionali di banche di cellule staminali umane». Nel 2003 il bando è stato vinto dal centro-prototipo dell'Ospedale Maggiore di Milano. In data 16 ottobre 2006, l'ISS ha comunicato che «sta procedendo alla raccolta dei contributi relativi ai risultati ottenuti dall'esecuzione dei vari progetti e che tali risultati saranno divulgati attraverso un convegno scientifico e con la pubblicazione degli atti congressuali». L'ISS ha precisato che - diversamente da quanto affermato dall'interrogante - non vi è stato un terzo bando, in quanto dopo il secondo i fondi a disposizione erano esauriti, e la Commissione stessa, non più convocata dall'agosto 2003, è decaduta il 9 novembre 2004; di conseguenza, il relativo sito web non è più attivo dal 2005. Relativamente alla richiesta di annullamento del bando formulata dall'interrogante, si deve ovviamente escludere tale possibilità per il terzo bando, mai esistito, mentre è da considerare non perseguibile in relazione al secondo, poiché non risultano evidenze ta- li da giustificare un simile provvedimento. A nostro avviso la disciplina della procedura seguita non garantisce adeguatamente la trasparenza. A tal proposito ci preme ribadire che è preciso intendimento del Ministro giungere, nel campo della ricerca medico-scientifica, a garantire l'adozione di procedure di valutazione per l'attribuzione dei finanziamenti che, similmente a quanto accade negli ambienti scientifici internazionali più qualificati, siano condotte nel rigoroso rispetto dei principi della trasparenza e dell'indipendenza. Questo intento ha già trovato attuazione in corrispondenza dell'adozione del decreto ministeriale 21 luglio 2006 che ha radicalmente innovato la disciplina di assegnazione dei 100 milioni di euro stanziati per finanziare progetti di ricerca nell'area dell'oncologia, discostandosi profondamente dal decreto ministeriale 23 febbraio 2006 adottato dalla precedente amministrazione. In termini più generali è possibile affermare che l'adozione del peer review system, metodo che implica il coinvolgimento di revisori terzi e indipendenti, dovrà essere la regola che ispira l'azione degli organi del Ministero e quella cui dovranno uniformarsi gli enti rispetto ai quali il Ministero esercita compiti di vigilanza quali l'ISS (articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 419 del 1999). RICERCA E RIFORMA . STAMINALI 27 MANDA DA 7,5 MILIONI DI EURO come corresponsabile, del 108 era responsabile la dottoressa Galli, una ricercatrice che lavorava presso il suo laboratorio, il numero 86 con corresponsabile ancora una volta la dottoressa Galli, il 17 con corresponsabile il dottor Gritti (che all’epoca lavorava anch’egli nel laboratorio di Vescovi). Lo stesso dicasi per il professor Cesare Peschle, che risulta responsabile del progetto 65 e corresponsabile dei progetti 114 e 136; a maggio 2004 a seguito di continue segnalazioni effettuate dagli operatori nel settore sui fatti illustrati, dal sito web dell’Istituto Superiore di Sanità non risulta più disponibile il comunicato 442 con la composizione della commissione; risultava ancora più misteriosa la situazione del secondo e del terzo bando. È probabile che la scadenza secondo bando per progetti relativi alla crio-preservazione e allo stoccaggio di cellule dovesse essere novembre 2004, con approvazione prevista per marzo-aprile 2005 e la successiva comparsa di un documento al link relativo al secondo bando che nessuno è mai stato in grado di aprire; sul terzo bando regna il mistero più assoluto. Non si è mai saputo nulla delle assegnazioni economiche e delle tematiche. Infatti, le continue richieste di delucidazioni da parte della comunità scientifica hanno portato lo scorso maggio-giugno 2005 alla sparizione totale dal sito web dell’ISS di qualsiasi informazione relativa alla Commissione, ai bandi aperti, nonché ai fondi assegnati e da assegnare. A Demetrio Neri (Università di Messina), che a maggio 2005 chiese come mai non vi fossero più informazioni sul sito web dell’ISS, il misterioso indirizzo e-mail che solitamente replicava firmandosi “Commissione cellule staminali”, rispondeva, da un altro indirizzo posta (con estensione “alice.com”), che la scomparsa di informazioni era legata al fatto che i tre bandi erano chiusi e le assegnazioni espletate e quindi non vi era più nulla su cui informare; per i progetti del primo bando, con scadenza dicembre 2002, sono stati erogati finanziamenti con termine ultimo per la rendicontazione economica e scientifica a dicembre 2005 e presumibilmente gli altri due bandi, iniziati dopo, contemplano attività di ricerca ancora pienamente in corso; in occasione delle prime percezioni dell’esistenza di anomalie nelle modalità di lavoro di questa commissione, alcuni ricercatori finanziati al primo bando, tra cui la professoressa Elena Cattaneo del Dipartimento di scienze Farmacologiche e Centro di Eccellenza per le Malattie neurodegenerative dell’Università di Milano, avevano chiesto per iscritto al Presidente Garaci e alla Commissione che il bando venisse annullato e la selezione dei progetti fosse rifatta adottando procedure che impedissero a coloro che sottoscrivevano un progetto di giudicare i progetti sottomessi da altri colleghi e che tenessero conto della liceità di una sottomissione di progetti da parte di Membri della stessa commissione che decideva dei finanziamenti e tale richiesta è stata ignorata; con particolare riferimento alla lettera della professoressa Elena Cattaneo indirizzata al professor E. Garaci in data 28 marzo 2003 si legge (dall’inglese): “infine resta responsabilità di ogni singolo Membro della commissione decidere se queste procedure siano state sufficientemente chiare o piuttosto sufficientemente distorte da giustificare la cancellazione del bando in corso e la sua conseguente riapertura con criteri nuovi e trasparenti, che tengano conto anche della valutazione di richieste di contributo sottoposte alla commissione da membri della Commissione stessa (...) o se invece non sia il caso di modificare le decisioni finali tenendo conto degli evidenti conflitti di interesse”; se il Governo non ritenga pertanto opportuno, nel rispetto del principio di uguaglianza, che debba essere annullato il bando e che debba essere rifatta la selezione dei progetti adottando procedure trasparenti e pubbliche, che impediscano a coloro che presentano un progetto di giudicare i progetti presentati da altri colleghi e che non consentano che una sottomissione possa valutare progetti presentati da membri della medesima commissione che decide anche sui finanziamenti stessi. ON. DONATELLA PORETTI MA CHE FINE HANNO FATTO I SOLDI STANZIATI PER IL TERZO BANDO? Nonostante queste risposte non siano tra quelle che avrei voluto sentire, mi dichiaro comunque soddisfatta. Il sottosegretario ha infatti concluso che: "A nostro avviso la disciplina della procedura seguita non garantisce adeguatamente la trasparenza. A tal proposito ci preme ribadire che e' preciso intendimento del Ministero giungere nel campo della ricerca medico-scientifica, a garantire l'adozione di procedure di valutazione per l'attribuzione dei finanziamenti che, similmente a quanto accade negli ambienti scientifici internazionali piu' qualificati, siano condotte nel rigoroso rispetto dei principi della trasparenza e dell'indipendenza." Ma non è abbastanza! Presentero' a breve una nuova interrogazione per chiedere che fine abbiano fatto i soldi stanziati per il terzo bando e i motivi per cui l'ISS non pubblichi ufficialmente i risultati del primo progetto, chiedendo che vengano pubblicati quelli del secondo bando. Donatella Poretti, Deputato della Rosa nel Pugno e membro della Giunta dell’Assocciazione Coscioni. 28 DAL CORPO DEI MALATTI AL CUORE DELLA POLITICA TERAPIA DEL DOLORE GOVERNO ANTIDOLORIFICO Cade il veto ideologico contro oppiacei e cannabinoidi BONINO: ATTO DI GIUSTIZIA E UMANITÀ Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 134 del 19 ottobre 2006 Il Consiglio dei Ministri ha approvato due provvedimenti presentati dal Ministro della Salute Livia Turco. Più facile prescrivere i farmaci contro il dolore Il primo provvedimento, approvato oggi dal Governo, riguarda una serie di “misure di semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute e altri interventi in materia sanitaria”. Ancora oggi in Italia è difficile accedere ai farmaci per combattere il dolore. Queste difficoltà ci pongono tra gli ultimi posti in Europa per le prescrizioni dei farmaci oppiacei che servono a combattere il dolore e le sofferenze, cui sono costretti milioni di italiani colpiti da gravi malattie come il cancro, ma anche da patologie croniche e invalidanti. Con questo ddl si agisce su più fronti: • viene semplificata la prescrizione dei farmaci oppiacei, consentendo al medico di utilizzare il ricettario normale anziché quello speciale, eliminando così le difficoltà burocratiche che spesso rendono difficili tali prescrizioni, • viene consentita la prescrizione dei medicinali oppiacei anche al di fuori delle patologie oncologiche e quindi per quelle malattie croniche o invalidanti per le quali un’adeguata terapia del dolore è essenziale per garantire una migliore qualità della vita ai pazienti, • si semplifica l’aggiornamento periodico dell’elenco dei farmaci oppiacei che potrà avvenire con un decreto ministeriale, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, senza dover ricorrere a modifiche legislative come è invece previsto oggi, • si rende più agile la gestione dei registri per il controllo del movimento degli stupefacenti ad uso terapeutico facilitando il lavoro dei medici e dei farmacisti • si integra la tabella specifica dove sono inseriti gli stupefacenti ad uso terapeutico con due farmaci a base di sostanze cannabinoidi già in uso Canada, Usa, Gran Bretagna, Svizzera, Olanda, Belgio e Germania. Dalla parte delle mamme e del bambino per una maternità naturale e assistita Il secondo riguarda “la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato”. • Favorire il parto fisiologico e ridurre il ricorso al parto cesareo. • Promuovere il parto senza dolore inserendo l’anestesia epidurale tra i Livelli essenziali di assistenza. • Attivare nell’ambito del “118” il trasporto del neonato in emergenza. • Incrementare l’attività dei consultori e promuovere l’allattamento al seno. • Superare le disequità territoriali e sociali per l’accesso ai servizi di tutela materno infantile con attenzione particolare alla popolazione immigrata. "Un atto di giustizia e di umanità, ottenuto grazie alla determinazione della collega Livia Turco". "Semplificare la somministrazione degli antidolorifici, compresi quelli che contengono principi attivi derivati da cannabis e gli oppiacei è un modo importante di incentivare e sostenere un'area fondamentale dell'assistenza sanitaria e della tutela della salute: la terapia del dolore". CAPPATO: BUON SENSO VS IDEOLOGIA Il via libera dato dal Governo rappresenta finalmente un criterio alternativo all’ideologia proibizionista su tutto, anche al buon senso terapeutico. DOLORE ALL’ITALIANA semplificazioni per la prescrizione introdotte dai Ministri Veronesi e Sirchia, e da ultima la proposta di legge del Ministro Livia Turco, fortemente benvenuta, ma la mentalità è difficile da estirpare. La Croce Rossa Italiana, la cui “missione” è quella di intervenire a favore delle persone più vulnerabili, intende dichiarare guerra al dolore, in tutte le sue diverse accezioni: non solo quello eclatante degli ammalati di tumore o di AIDS, ma anche quello più subdolo perché meno definibile dei tossicomani lasciati in astinenza per metodi di “cura” inutilmente severi e punitivi. MASSIMO BARRA Presidente della Croce Rossa Italiana Le statistiche non sono omogenee. Secondo alcune, l’Italia è al 103° posto nel mondo per quantità di morfina usata nella terapia del dolore, assieme alla Bulgaria. Secondo altre siamo al 101° posto, dopo Uganda e Nigeria. Certo è che mentre in Danimarca nel 2001 sono stati usati 65 mg di morfina pro-capite, nel nostro paese ne abbiamo utilizzati appena 4. Molto poco rispetto a Francia (36 mg) USA (35 mg) e perfino Macedonia (37 mg), nello stesso periodo. Certo è anche che l’Italia non si è distinta in passato, con lodevoli eccezioni, nella considerazione per la terapia del dolore. Così tanti, troppi ammalati di tumore sono stati curati con antidepressivi o con altri farmaci inadeguati a calmare il dolore, con sofferenze gratuite e inutili, che facilmente avrebbero potuto essere evitate. Alla base di questi riprovevoli errori terapeutici c’è la retorica del valore salvifico del dolore (diffusa, credo, tra chi non ha mai patito un vero, grande dolore), ma anche l’ignoranza sui meccanismi della dipendenza e tutto un sistema burocratico-legislativo che ha posto in passato i medici nella sgradevole condizione di rischiare di essere confusi con gli spacciatori. A ciò si sono opposte positivamente le Con l’esperienza che ci deriva da milioni di interventi annuali a favore di chi ha bisogno, la CRI fa appello a tutti gli Italiani perché considerino o facciano considerare con la dovuta attenzione ed il dovuto rispetto le terapie contro tutti i dolori. Anche perché i vulnerabili non sono solo gli altri, e nello spazio di un mattino ognuno di noi lo può diventare. DAL CORPO DEI MALATI AL CUORE DELLA POLITICA CELLULE DI ALTERNATIVA 29 ISCRITTI 2006 SETTEMBRE SMS AI SORDI: OTTOBRE L’AUTORITA’ BATTE UN COLPO APERTO IL CONFRONTO CON LE COMPAGNIE TELEFONICHE L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, a seguito dell’incontro dello scorso 11 settembre con i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni, interessati all’applicazione di prezzi di costo o tariffe agevolate forfetarie per i servizi a valore aggiunto di SMS e MMS per i non udenti completi, su iniziativa dei Commissari Roberto Napoli e Gianluigi Magri, ha deciso di avviare un confronto con gli operatori di telefonia mobile, per le valutazione di possibili soluzioni alle richieste avanzate. Tale intervento, legittimato, tra l’altro, dalle disposizioni contenute nell’art. 57 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, rappresenta il primo passo di un’iniziativa volta a definire, con tutti gli operatori di comunicazione elettronica e con le rappresentanze delle categorie di portatori di handicap, misure regolamentari che facilitino l’accesso, da parte dei soggetti diversamente abili, ai servizi di ICT. La disponibilità di strumenti e soluzioni tecniche, hardware e software, che consentano a tali soggetti di superare o ridurre le condizioni di svantaggio nell’accesso ai servizi erogati dai sistemi informatici è considerato infatti obiettivo fondamentale dell’Autorità, che già nel 2001 ha definito condizioni economiche agevolate per il servizio di telefonia vocale a particolari categorie di utenti e nel 2003 ha evidenziato -nella Direttiva sulla Carta e qualità dei Servizi di telecomunicazioni – la necessità di precise indicazioni, da parte degli organismi di telecomunicazioni, di strumenti per l’eliminazione di barriere comunicative a danno dei diversamente abili. PURCHÉ NON RESTI UNA PETIZIONE DI PRINCIPIO JOSÉ DE FALCO Dopo questo “primo passo”, l’Associazione farà di tutto perché ne seguano ulteriori in tempi brevi, apprezzando la disponibilità e l’approccio che l’Autorità e i commissari, “sponsor” del tavolo, hanno voluto prestare alla questione. Ora vedremo se l’attività posta in essere darà luogo a provvedimenti concreti, anche di tipo regolamentare, tali da rispondere alle esigenze delle persone disabili e non finisca in una mera petizione di principio, della quale non si sente alcun bisogno. Oltre a monitorare l’attività dell’Autorità, è ora necessario chiedere risposte dalle compagnie telefoniche, nella convinzione che un rapporto franco e diretto possa portare ad una spedita risoluzione del problema. Il 23 ottobre abbiamo incontrato i responsabili Vodafone per analizzare il problema dei costi degli Sms. Le risposte sono state interlocutorie, ma si sono comunque prospettate diverse ipotesi di lavoro. Ad esempio, segnaliamo la sperimentazione attraverso il progetto “SMS per la vita” promosso da Vodafone in atto presso la Questura di Padova con il quale si è dotato il centralino del sevizio di emergenza (il cd. 113) della tecnologia in grado ricevere anche via SMS richieste di aiuto e d’emergenza, ponendo fine alla inaccettabile impossibilità per il cittadino audioleso di essere ascoltato e soccorso. Esiste un impegno di Vodafone per estendere la “sperimentazione” all’intero territorio nazionale. Come associazione Coscioni siamo disponibili a promuovere lo sviluppo di questo tipo di servizio presso le comunità locali e le varie strutture di emergenza cui il cittadino normalmente fa riferimento. Luisa Acerbi € 100 Erminia Africano € 100 Giuseppe Alesina € 100 Luciana Amarj € 100 Ileana B. Ambrosini € 100 Romano Andreani € 100 Annamaria Annese € 100 Sebastiano Aru € 100 Giovanni Attucci € 100 Paolo Aveta € 100 Maria Rosa Baisotti € 100 Roberto Baldini € 500 Fabio Ballico € 100 Alessandro Barchiesi € 100 Massimiliano Bardani € 100 Mauro Barni € 100 Daniela Bassignani € 100 Valentina Batini € 100 Vittorio Beneduce € 200 Lucio Berte' € 150 Patrizia Berti € 100 Elena Betta € 100 Giovanna Boccolini € 100 Giannandrea Bodini € 100 Adriana Bongiovanni € 100 Giorgio Bonucci € 100 Mirella Borroni € 100 Emilio Brasca € 100 Massimo Bulckaen € 100 Maria Grazia Caligaris € 100 Piergiuseppe Camici € 100 Costanza Camilli € 100 Luigi Cancrini € 100 Claudio Candidori € 100 Paola Boglino € 100 Luciana Caporali € 100 Basilio Caporossi € 100 Marco Caracciolo € 150 Luca Carra € 100 Luigi Livio Casale € 100 Rosella Colombo € 100 Michele Casciani € 100 Laura Casiraghi € 100 Oliviero Mastelli € 150 Gianluca Cavazza € 100 Pierina Cecconi € 100 Vittorio Ceradini € 100 Gian Luca Chiesa € 100 Carlo Chiopris € 200 Roberto Cicciomessere € 100 Alessandro Cirinei € 100 Maria Clemente € 100 Maria Carmen Colitti € 300 Marco Furio Colombo € 200 Carlo Consiglio € 100 Bruno Conterno € 200 Gianni Conti € 100 Fausta Cozzi € 200 Marcello Crivellini € 100 Alessandro Curti € 100 Paolo D'ambrosio € 100 Anna Maria Dalfino € 100 Roberto Damiani € 100 Domenico Danza € 300 Jose' De Falco € 100 Erminia De Felice € 100 Antonio De Luca € 100 Roberto Defez € 100 Paolo Del Gallo € 150 Gianfranco Di Stefano € 100 Giorgio Di Stefano € 100 Adriana Diurno € 183,32 Carla Dodero € 100 Massimo Donadi € 100 Piergiorgio Donatelli € 100 Alberto Duccini € 100 Marco Eminente € 100 Osvaldo Ercoli € 100 Angela Fabbri € 100 Carla Faccioli Gorini € 100 Marco Fallabrini € 100 Ideo Fantini € 100 Maria Farruggia € 100 Luigi Fava € 100 Enrico Ferranti € 100 Franco Ferrero € 100 Giovanni Figà Talamanca € 100 Nico Filigheddu € 100 Abele Fini € 100 Massimo Fortini € 100 Grazia Francescato € 200 Vittoria Franco € 120 Carla Frigieri € 150 Giuseppe Gagliardi € 100 Danilo Galassi € 100 Mauro Galletti € 100 Tiziana Garlato € 100 Antonio Gerra € 100 Roberto Giaconi € 100 Mariella Maiuri € 100 Federica Gironi € 100 Giuseppe Giulietti € 100 Margherita Hack € 100 Vincenza Angela Iannello € 100 Giorgio Inzani € 180 Massimo Ippolito € 100 Alessio Isanz € 100 Loredana Jelmini € 100 Raffaele La Capria € 100 Andrea Lancellotti € 100 Mauro Lanzini € 100 Claudio Lenti € 300 Carla Lessa € 100 Guido Luciano Lessa € 100 Marina Liberatori € 200 Giuseppe Lisciani € 100 Claudia Livi € 100 Chantal Lucchini € 100 Claudio Malfatto € 100 Mauro Marchesi € 100 Stefano Marselli € 100 Patrizia Martinelli € 100 Ottavio Marzocchi € 250 Mirco Mascalzoni € 100 Angela Mastroviti € 130 Daniele Maughelli € 100 Gianluigi Mazzufferi € 100 Cesare Meloni € 200 Paola Rita Milanoli € 100 Anna Molteni € 200 Leonardo Monopoli € 100 Pierpaolo Morosini € 200 Giovanni Multinu € 100 Salvatore Napoli € 150 Giovanna Nardi € 100 Demetrio Neri € 100 Riccardo Nogara € 100 Carmelo Nucera € 100 Claudio Pacetti € 100 Massimo Pagnotta € 100 Michele Pani € 100 Marco Pappalardo € 100 Giuliano Pastori € 100 Paolo Pe' € 100 Stefano Pedica € 100 Piero Pedrotti Catoni € 100 Giancarla Perdoni € 100 Maria Angela Perelli € 100 Valerio Peruzzi € 100 Carlo Pincelli € 100 Daniele Platè € 100 Roberto Poggiali € 100 Roberto Poletti € 100 Zarko Prebil € 100 Eleonora Pronesti € 100 Arnaldo Ragni € 100 Mauro Ramponi € 100 Gianluigi Rasca € 100 Rolando Renzi € 100 Claudia Ricci € 100 Franco Riva € 200 Massimiliano Rizzo € 100 Massimo Robba € 100 Giannicola Rocca € 100 Carlo Rodia € 100 Carlo Rosati € 100 Oreste Roseo € 100 Antonio Ruelle € 100 Paolo Ruggiu € 100 Assuntino Ruoi € 100 Giorgio Russo € 100 Marcello Sadocchi € 100 Pietro Ugo Scaringi € 100 Elena Schionato € 100 Francesco Schlitzer € 100 Luciano Segatori € 100 Emiliano Cecinelli € 100 Vincenzo Simon € 100 Luigi Simoncini € 200 Emilia Simonetti € 100 Daniele Stigler € 100 Paolo Strazzera € 100 Saverio Mauro Tassi € 100 Vittorio Tassinari € 100 Caterina Tavani € 100 Giovanni Tedesi € 100 Pierluigi Telattin € 100 Guido Trampi € 200 Antonio Trisciuoglio € 100 Alfonso Tropea € 100 Giovanna Truda € 100 Marco Turco € 100 Fabio Valcanover € 200 Chiara Valentini € 150 Nicoletta Valestra € 200 Arcangelo Vecchi € 200 Giovanni Vegetti € 100 Silvio Viale € 100 Fausta Vincenzi € 200 Marta Vincenzi € 100 Andrea Volpi € 100 Gerolamo Zucchi € 100 IL NUMERO DUE DI “AGENDA COSCIONI” È STATO CHIUSO GIOVEDÌ 2 NOVEMBRE 2006 ALLE ORE 22. DIRETTORE: Marco Cappato HANNO COLLABORATO: Angiolo Bandinelli, Rocco Berardo, Alessandro Capriccioli, Edoardo Cicchinelli, Josè De Falco, Maria Antonietta Farina Coscioni, Andrea Francioni, Giulia Innocenzi, Chiara Lalli, Stefania Langiu, Valerio Lo Prete, Simona Nazzaro, Maria Pamini, Mirella Parachini, Marco Perduca, Giulia Simi, Carmen Sorrentino, Gianfranco Spadaccia. PROGETTO GRAFICO: Roberto Pavan GRAFICA: Mihai Romanciuc ILLUSTRAZIONI: Paolo Cardoni 30 DAL CORPO DEI MALATI AL CUORE DELLA POLITICA M i chiamo Paola Porcu e ho la sclerosi multipla. Sono nata il 29 aprile del 1959 e abito a Putignano Pisano. Sono separata da 18 anni e ho due figli grandi nati dal mio primo matrimonio. Ora vivo con Antonello (il suo vero nome è Antonio ma tutti lo chiamano così). @ CELLULE DI ALTERNATIVA Ho avuto la mia bella diagnosi sei anni e mezzo fa. Ero in ferie. Prime vere ferie. Ero arrivata ad un momento della mia vita in cui dicevo: “Accidenti, va tutto bene! I ragazzi sono grandi, Desirée studia all’università con ottimi risultati, Alessandro lavora. Io ho un lavoro sicuro dopo anni d’incertezze e sono in vacanza con Antonello: mare, sole, albergo, un sogno!”. Una mattina mi sveglio con la parte destra del volto addormentata. Da quella parte non sentivo più niente. Al pronto soccorso del luogo mi dissero che era una “frescata”: evidentemente non sapevano bene che cosa dire. Appena rientrata a Pisa mi sono recata in ospedale e dopo una semplice occhiata mi hanno fatto una tac. Hanno visto subito una placca e mi hanno ricoverata immediatamente. Parlo con chiunque e con tranquillità del mio “angelo custode” e questo mi fa sentire molto forte, mi sembra di esorcizzare la malattia. Sono serena perché nonostante la mia sia una malattia molto grave la ricerca sta facendo passi da gigante. Il farmaco che sto prendendo non fa guarire, ma rallenta il decorso della malattia e fortunatamente non devo pagarlo (28 fiale, che bastano per 4 settimane, costano circa 1300 euro!). Non mi rendevo conto di niente. Forse non volevo. Nei 15 giorni di ricovero mi hanno rivoltata come un calzino. La diagnosi fu “Sindrome demielinizzante”. Io, nonostante sia informata un po’ su tutto perché sono una persona curiosa che legge molto, continuavo a non capire… o forse continuavo a non voler capire. Quando però mi sono sentita dire per la prima volta: SCLEROSI MULTIPLA, mi è crollato il mondo addosso. Volevo farla finita! Il mio compagno, mia figlia, mia sorella, pur sapendolo, avevano taciuto. Ma credetemi, si è trattato di pochi attimi! Sono una persona molto determinata. Ho cominciato ad informarmi. Volevo sapere quale era il mostro contro cui dovevo lottare. Ho iniziato a telefonare all’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e a richiedere documentazione. Antonello diceva che mi facevo solo del male, ma io sono andata avanti imperterrita. Ho fatto anche due anni di volontariato durante i quali ho scritto su diversi quotidiani locali per sensibilizzare l’opinione pubblica e trovare nuovi volontari. Sono rimasta assente dal lavoro sei mesi. La cosa peggiore è stata dirlo ai miei conoscenti, quasi fosse una cosa di cui vergognarsi. C’era chi mi compativa, chi mi guardava e mi faceva la classica domanda idiota: “Ma si può trasmettere?”. Ora, ripensandoci, tutto questo mi fa ridere. Ma in certi periodi è stata dura anche per me! Dirlo a mio figlio Alessandro è stata la cosa più difficile. Ancora adesso ne soffre molto. Oggi ho un nuovo lavoro, in una stazione di servizio, addetta alla cassa, barista, part-time. La più grossa ricaduta l’ho avuta due anni fa. Ho provato l’ebbrezza della sedia a rotelle per un mesetto e vi assicuro che non è per niente comoda! Dal maggio 2004 ho iniziato a fare il copaxone, in altre parole mi buco ogni giorno. Nel giugno scorso sono stata ricoverata a causa di nuove lesioni spinali e da quel periodo soffro di ipoestesia termica in tutta la parte sinistra del corpo. PAOLA IL MIO “ANGELO CUSTODE” Ho la fortuna di avere vicino un uomo fantastico che ha anche imparato a spararmi le punture: che voglio di più? Voglio che la sperimentazione vada avanti, perché per me, per noi malati di sclerosi multipla, è importante. L’Associazione Luca Coscioni si batte perché ciò avvenga. La ricerca è l’unica cosa che ci fa sperare in un futuro migliore e solo la speranza ci permette di pensare che un giorno saremo come prima, magari con qualche anno in più ma con immutata voglia di vivere, che non deve mai abbandonarci. Io, comunque, vorrei poter sempre decidere in coscienza della mia vita, senza che siano altri a farlo per me. Chi desidera pubblicare la propria storia sull’Agenda Coscioni può inviarla a [email protected] HANNO DATO VITA AI TAVOLI FINORA Ascoli Piceno: Alessandra Ancona; Avellino: Bruno Gambardella, Enrico De Simone; Belluno: Michele Bortoluzzi; Bergamo: Romano Perico, Serena De Santis; Bologna: Adele Fini, Fabrizio Gambarini, Andrea Panzini; Bolzano: Achille Chiomento, Claudio Degasperi, Elena Dondio, Diego Lubelli, Donatella Trevisan; Brescia: Anna Bertani, Giovanni Colucci, Cesare Giovanardi, Walter Lancini, Fiorenzo Negrizioli, Tiziano Paloschi; Cagliari: Michele Demontis, Carlo Loi, Sara Mallus, Marcello Medici ; Catanzaro: Giuseppe Candido; Cremona: Luigi Cimurri, Ermanno De Rosa, Fabio Favalli, Sergio Ravelli; Cropani (CZ): Patrizia Aiello, Giuseppe Candido, Raffaele Mercurio; Crotone: Patrizia Carella, Francesco Laruccia; Fasano: Gennaro Di Ceglie, Biagio Grassi, Francesco Mauro, Leonardo Monopoli, Oronzo Soleti, Sergio Tatarano; Ferrara: Daniele Bregola, Mario Zamorani; Firenze: Claudia Moretti, Antonio Bacchi; Foggia: Anna Antonaccio, Paolo Biscotti, Angela Ferrucci, Alfonso Iuppa, Cristiano Maiorino, Giuseppe Rinaldi, Angela Scaramuzzi, Andrea Trisciuoglio; Forlì: Francesco Laruccia; Genova: Renè Andreani, Patrizia Defusco, Fabiana Falvo, Tonino Falvo, Gildo Liberti; Latronico, Matera e Potenza: Maria Antonietta Ciminelli, Maurizio Bolognetti, Mario Colella, Giuseppe Morelli; Lecce: Roberta Bianco; Lecco: Sergio De Mauro, Enrica Pianelli; Milano: Daniele Arletti, Valerio Federico, Giovanni Mastroeni, Diego Mazzola, Anna Missiaia, Nathalie Pisano, Brunella Polignano, Yasmine Ravaglia, Simone Scali, Rita Sergio, Emiliano Silvestri, Mario Sperlinga, Manlio Corsi Mele, FGS Milano; Mestre: Roberto Di Venere, Franco Fois; Modena: Emilio Salemme; Monza: Alessandro Asinai, Giuseppe Compagnini, Francesca Fontana, Titti Milanoli, Barbara Sanua; Napoli: Paolo Breccia, Piergiorgio Focas, Vincenzo Improta, Irene Lepre, Aldo Loris Rossi, Imma Mariniello, Lorenzo Pascucci, Domenico Spena; Novara: Roberto Casonato, Eric De Rosa, Antonio Pesare, Nathalie Pisano, Dominique Velati; Padova: Michele Bortoluzzi Ambra Principe; Palermo: Pietro Ancona, Giannandrea D'agnino; Pistoia: Roberto Giaconi, Vittoria Bollettieri, Manila Michelotti; Reggio Calabria: Carmelo Giuseppe Nucera; Roma: Nicolas Ballario, Marcelle Blancasi, Alessandro Capriccioli, Josè de Falco, Germana Grassi, Katia Jacobelli, Marianna Mascioletti, Massimo Masotti, NO God, Maria Pamini, Giuliano Pastori, Federico Ponti, Carmen Sorrentino, Marco Tosi; Salerno: Domenico Danza, Filomena Gallo, Mariangela Perelli; San Giovanni Valdarno: Marco Bazzichi, Marco Malatesta, Edoardo Quaquini; Sassari: Laura Dessì, Maria Isabella Puggioni, Paolo Ruggiu; Sellia Marina: Sellia Marina, Patrizia Aiello, Franco Callipo, Giuseppe Cristopalo, Nicola Galea, Sezione PDCI; Siena: Giulia Simi, Andrea Francioni; Torino: Igor Boni, Andrea Buscema, Paolo Cirio, Luciano Costa, Carlo Donati, Alessandro Frezzato, Giulio Manfredi; Tortona: Riccardo Canevari, Maddalena Crudeli, Enzo Giungato, Leo Noce, Giancarla Perdoni, Andrea Pessarelli; Verona: Laura Vantini; Villa Literno: Nicola Griffo, Antonio Tessitore, Antonella Pedana, Claudia Nucci. DA OGGI PARTECIPA ANCHE TU... DIVENTA AZIONE CELLULE DI ALTERNATIVA 31 IL 18 E 19 MOBILITAZIONE PER L’EUTANASIA Petizione popolare perchè il Parlamento avvii un’indagine conoscitiva sul fenomeno dell’eutanasia clandestina e inizi il dibattito sulle proposte di legge in materia Sabato 18 novembre Domenica 19 novembre Avellino, via Vittorio Emanuele, dalle 10:30 alle 13:00 Belluno, piazza dei Martiri, dalle 16:00 alle 18:00 Bergamo, largo Rezzara, dalle 10:00 alle 19:00 Bologna, via IV Novembre, dalle 16:00 alle 18:00 Brescia, corso Garibaldi, dalle 15:00 alle 19:00 Costernino, via S. Quirico, dalle 10:30 alle 13:30 Crotone, Piazza della Resistenza, dalle 17:00 alle 21 Ferrara, piazza Trento e Trieste, dalle 17:30 alle 20:00 Forlì, piazza Saffi, dalle 16:00 alle 18:00 Genova, via XX Settembre, dalle 16:30 alle 19:00 Latronico (PZ), P.za Umberto I, dalle 10:00 alle 13:30 Lecco, via XX Settembre, dalle 9:00 alle 19:00 Milano , Largo Corsia dei Servi, dalle 15.30 alle 19:00 Modena, corso Canalchiaro, dalle 15:00 alle 20:00 Monza, piazza dell'Arengario, dalle 10:00 alle 19:00 Napoli, Piazza Trieste e Trento, dalle 11:00 alle 14:00 Napoli, Via Scarlatti, dalle 17:00 alle 21:00 Palermo, via Ruggero Settimo, dalle 10:00 alle 12:30 Padova, Prato della Valle, dalle 10:00 alle 13:00 Roma, Largo di Torre Argentina, dalle 10:30 alle 13:00 Roma, Piazza Campo de’ Fiori, dalle 16:00 alle 18:00 Roma, San Giovanni, dalle 16:00 alle 18:00 Sassari, Grattacielo Vecchio, 16:00 alle 18:00 S. Benedetto del Tronto (AP), via Secondo Moretti, dalle 16:00 alle 18:00 Torino, via Garibaldi, dalle 16:00 alle 18:00 Tortona (AL), via Emilia, dalle 16:00 alle 19:00 Voghera (PV), piazza Duomo, dalle 9:00 alle 12:30 Ascoli Piceno, piazza del Popolo, dalle 10:00 alle 18:00 Avellino, via Vittorio Emanuele, dalle 10:30 alle 13:00 Belluno, piazza dei Martiri, dalle 10:30 alle 13:00 Bergamo, in Colle Aperto, dalle 10:00 alle 19:00 Brescia, corso Garibaldi, dalle 10:00 alle 13:00 Cremona, via Monteverdi, dalle 10:00 alle 12:30 Crotone, via Vittorio Veneto, dalle 10:00 alle 13:00 Ferrara, piazza Trento e Trieste, dalle 17:30 alle 19:30 Firenze, viale Fanti, dalle 10:00 alle 13:00 Foggia, corso Vittorio Emanuele, dalle 11:00 alle 13:00 Genova, via XX Settembre, dalle 16:00 alle 19:30 Lecco, via Roma, dalle 9:00 alle 19:00 Martina Franca (TA), piazza XX Settembre, dalle 10:30 alle 13:30 Matera, piazza Vittorio Veneto, dalle 11:00 alle 13:00 Milano, via Sarfatti, dalle 10:30 alle 14:00 Napoli, lungomare Caracciolo, dalle 17:00 alle 20:00 Novara, corso Cavour, dalle 15:30 alle 18:00 Palermo, via Ruggero Settimo, dalle 10:00 alle 12:30 Roma, Largo di Torre Argentina, dalle 10:00 alle 12:30 Roma, Portaportese, dalle 10:00 12:30 Salerno, lungomare Trieste, dalle 10:00 alle 14:00 San Givanni Valdarno (AR), piazza Cavour, dalle 10:30 alle 12:00 Sassari, Grattacielo Vecchio, dalle 10:00 alle 13:00 Torino, piazza Castello, dalle 10:30 alle 12:30 Tortona (AL), via Emilia, dalle 16:00 alle 19:00 COSA PUOI FARE • Scarica la petizione • Firma e fai firmare i tuoi amici • Fai un tavolo • Firma online tutto su www.lucacoscioni.it I tavoli possono subire delle variazioni di orario e luogo. Tieniti aggiornato su www.lucacoscioni.it LE CELLULE COSCIONI IN AZIONE WWW.LUCACOSCIONI.IT/CELLULECOSCIONI re win b em Dar v o n n o 6 c l Da icola d in e re b em v o n 5 1 Dal reria b i l n i DA SUBITO! ISCRIZIONI 2007 CON CARTA DI CREDITO su www.lucacoscioni.it oppure telefonando allo 06 68979.286 Coscioni per la libertà di ricerca scientifica" CIN N ABI 07601 CAB 03200 presso Poste Italiane s.p.a. CON CONTO CORRENTE POSTALE n. 41025677 intestato a "Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica", Via di Torre Argentina n. 76 - cap 00186, Roma CON VAGLIA ORDINARIO intestato a "Ass. Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica", Via di Torre Argentina n. 76 - cap 00186, Roma CON CONTO CORRENTE BANCARIO n. 000041025677 intestato a "Ass. Luca LE QUOTE PER L’ASS. COSCIONI Socio sostenitore almeno 200 euro Socio ordinario almeno 100 euro