Viticoltura - Mille Vigne

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Viticoltura - Mille Vigne
millevigne - bimestrale - sped. in a.p. dl 353/2003 conv. in L.27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, cns/to - una copia euro 4 - in caso di mancato recapito, inviare al cmp Torino per la restituzione al mittente previo pagamento resi
n.
2 2012
Garganega, la regina del Soave
Difesa vite 2012
Conosciamo la peronospora?
Fertirrigazione
Chi ti ha invitato, Brett?
Vino biologico, la UE ha deciso
Paglia, vignaiolo on line
Commercio elettronico
l’Editoriale
Succhiaruote, maldicenti e troll
Rassegna non esaustiva di comportamenti eticamente scorretti
Q
uando si parla di etica di impresa è utile prendere ad
esempio alcuni casi concreti. La prima scorrettezza la
commetterei io stesso se non citassi il fantasioso estensore
di una metafora ciclistica, quella del “succhiaruote”, al settore
del vino: si tratta dell’amico Carlo Macchi. In riferimento alla manifestazione “Nebbiolo Prima”, degustazione cieca dei grandi vini di Langa a cui
partecipano giornalisti e buyer da tutto il mondo, scrisse Carlo sul suo sito
Winesurf.it: “ negli anni diversi produttori divenuti famosi nel frattempo,
che da un giudizio negativo hanno solo da perderci, hanno abbandonato
l’evento. Così facendo evitano la valutazione bendata e comparata dei propri vini in un momento in cui sono magari chiusi o non pronti. Questo è
lecito, anche se il rischio di svuotare di peso la manifestazione era ed è fin
troppo reale. Meno lecito (e meno etico) è purtroppo lo sport del “succhiaruote” cioè il non partecipare a Nebbiolo Prima ma sfruttare la venuta in
zona di molti giornalisti (a spese d’altri...) per invitarli nella propria cantina
dove, in tutta calma e tranquillità, fargli assaggiare i vini. Questo è sbagliato, come è sbagliato da parte di noi giornalisti accettare inviti o addirittura telefonare per fare una visita in cantine non partecipanti”. Di episodi
simili se ne contano molti in giro per l’Italia: per fortuna i giornalisti più
seri si ribellano e allora il succhiaruote rischia un effetto boomerang. A
volte non è soltanto il timore del confronto o il desiderio di risparmiare a
spingere a questi comportamenti, ma anche la rivalità, per non dire l’odio,
tra produttori e gruppi di essi. So di redattori di guide che devono frazionare le degustazioni di una stessa denominazione in tempi e luoghi diversi
perché i gruppi “non si parlano”. E c’è di peggio. Scrive Giancarlo Gariglio,
uno dei curatori della guida Slowine, sul sito omonimo: “Durante le nostre
visite in cantina, sapete qual è la cosa più sgradevole che ci è capitata?
Sentir parlare male del proprio vicino. Alcuni lo fanno utilizzando dei
sottointesi, (…) altri addirittura ci hanno portato in campo facendoci ve-
di
MAURIZIO GILY
dere il proprio filare e confrontandolo con quello dell’altro produttore (e
magari non era neanche il suo, NdR) . Un sistema produttivo che si comporta così con la stampa e i possibili clienti è destinato al fallimento”. Io
pensavo che questa cattiva abitudine fosse tramontata, almeno tra i produttori di qualità: in genere chi parla male degli altri è quello che fa il vino più
cattivo. Ma se questo malcostume è ancora diffuso come scrive Gariglio
vuol dire che siamo davvero indietro. Purtroppo il tempo è scaduto. È
inutile parlare di terroir se chi è deputato a valorizzarlo ci sputa sopra. La
rivalità e la concorrenza sono una cosa, la maldicenza un’altra. La solidarietà tra i produttori nei confronti dell’esterno è uno dei più forti elementi
di qualunque marketing territoriale. Se il vicino compie azioni illegali lo si
segnala ai carabinieri, se sono solo immorali lo giudicherà l’Eterno. Ma in
ogni caso non è opportuno confidarlo a clienti e turisti. Siamo davvero
stanchi di citare impietosi paragoni con la Francia, dalla quale, sotto questo
aspetto, ci separa ancora un abisso. Chi non capisce queste regole elementari è destinato al declino, ma purtroppo rischia di trascinare con sé anche
il prodotto e la denominazione. L’ultima frontiera della maldicenza è, infine, offerta da internet: i commenti sui blog e sui social network. Personalmente penso che usare il web per sparare giudizi negativi su un vino o
addirittura su una cantina sia lecito, anche se non di buon gusto. Ma chi
lo fa deve avere il coraggio di metterci il nome e la faccia e, ovviamente,
deve essere un consumatore, o comunque non può essere un produttore
concorrente sotto false spoglie, perché in quel caso non è solo un maldicente, ma una carogna. A volte la carogna usa il falso nome, per lo più
storpiato, di una persona vera: la fantasia del popolo della rete in questo
caso lo chiama troll, come lo spirito maligno della mitologia nordica capace
di assumere sembianze altrui per attuare un disegno malvagio. Una fantasia
poetica, che a dire il vero mal si attaglia alla prosa scialba di certe persone,
dalla mente piccola come le loro azioni.
38° Concorso Enologico della provincia di Alessandria: “Premio Marengo DOC”.
Estratto Regolamento 2012
APERTURA ISCRIZIONI: 1° MARZO 2012 • CHIUSURA ISCRIZIONI: 30 MARZO 2012
www.asperia.it e www.al.camcom.gov.it per i moduli d’iscrizione e il Regolamento completo.
Art. 1 – ORGANIZZAZIONE. La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Alessandria, tramite la propria Azienda Speciale ASPERIA (di seguito indicata come “Ente
Organizzatore”), con la collaborazione della Regione Piemonte e della Provincia di Alessandria, bandisce il 38° Concorso Enologico della provincia di Alessandria denominato “PREMIO
MARENGO DOC”. Omissis. Art. 2 – FINALITA’ DEL CONCORSO. Le finalità del Concorso sono le seguenti: valorizzare per ogni singola zona di produzione i vini qualitativamente migliori,
favorendone la conoscenza e l’apprezzamento; stimolare le categorie interessate al continuo miglioramento qualitativo del prodotto; orientare il consumatore nella scelta dei vini predetti,
dando suggerimenti circa il migliore accostamento alla gastronomia locale e nazionale; favorire la commercializzazione dei vini vincitori, con peculiare attenzione ai mercati esteri. Art.
3 - VINI AMMESSI. Saranno ammessi al Concorso i vini a Denominazione di Origine Controllata (DOC), a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) e i vini spumanti di
qualità prodotti con uve della provincia di Alessandria. Omissis. Art. 4 - REQUISITI DI PARTECIPAZIONE E CONTROLLI. Possono partecipare al Concorso le aziende produttrici di vino.
Omissis. Saranno escluse dal Concorso le aziende i cui titolari o amministratori delegati abbiano subito, nel biennio precedente, condanne passate in giudicato per frode in commercio o
sofisticazione. Omissis. Art. 5 - MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE, PRELIEVI E PROCEDURE. La partecipazione al Concorso è gratuita. Omissis. I campioni, costituiti da 6 bottiglie
per ogni tipo di vino, potranno essere prelevati: a) direttamente da un responsabile dell’azienda, tramite autocertificazione; b) o da un incaricato dell’Ente Organizzatore. Omissis. Art. 6
- VINI NON AMMISSIBILI. Non sono ammessi al Concorso: i vini già premiati nelle precedenti edizioni del Concorso; i vini appartenenti a partite con caratteristiche non conformi a
quanto previsto dal presente Regolamento; i vini presentati da produttori singoli o associati, o da aziende che abbiano avuto a loro carico con sentenza passata in giudicato, procedimenti
giudiziari dovuti a frodi o sofisticazioni. Art. 7 – ANONIMIZZAZIONE A DUE CODICI. Le operazioni per rendere anonimi i campioni da sottoporre alle Commissioni di degustazione
saranno effettuate in due momenti, con l’attribuzione di due distinti e appositi codici. Omissis. Art. 8 – LE COMMISSIONI E LE TIPOLOGIE DI DISTINZIONE. Le Commissioni sono di
due tipi: le Commissioni di degustazione, in numero variabile; la Commissione finale di degustazione. Omissis. Le tipologie di distinzione da attribuirsi sono: il Premio “Premio Marengo
DOC”, da conferirsi con Diploma; il Premio “Selezione Speciale”, da conferirsi con Diploma e medaglia; il Premio “Marengo d’Oro”, da conferirsi con Diploma, medaglia e targa. Art. 9 PREMIO “PREMIO MARENGO DOC”. Omissis. Art. 10 – PREMIO “SELEZIONE SPECIALE”. Omissis. Art. 11 - COMMISSIONE FINALE E PREMIO “MARENGO D’ORO”. Omissis.
Art. 12 – DISTINZIONI SU RICHIESTA DELLE AZIENDE VINCITRICI. Omissis. Art. 13 - DISPOSTI DI GARANZIA. Le aziende partecipanti potranno richiedere le schede di valutazione
relative ai vini da loro presentati. L’Ente Organizzatore avrà cura di inviare le schede stesse, in forma anonima, senza l’indicazione dei nomi e delle firme dei componenti delle Commissioni,
che devono restare anonimi. Non sarà invece reso noto l’elenco delle aziende partecipanti al Concorso, né il punteggio assegnato ai singoli campioni. I dati forniti dalle aziende saranno
utilizzati nel rispetto delle previsioni del Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali). L’elenco delle aziende partecipanti al Concorso
non verrà reso noto. Art. 14 - PROMOZIONE DELLE “SELEZIONI SPECIALI” E DEI PREMI “MARENGO D’ORO”. Omissis. Art. 15 - COMITATI ORGANIZZATORI. Omissis. Art.
16 – CONTROLLI. Omissis. L’Ente Organizzatore si riserva di effettuare, direttamente presso le aziende e tramite propri incaricati, i controlli che riterrà opportuni sulle partite di vino
premiate. Qualsiasi controversia concernente il presente Regolamento o collegata ad essa, comprese quelle relative alla sua interpretazione, validità ed esecuzione, sarà sottoposta ad
arbitrato rituale rapido, secondo le previsioni del Regolamento della Camera Arbitrale del Piemonte, qui richiamato integralmente. Omissis. Art. 17 - CLAUSOLA DI CONCILIAZIONE.
Le parti sottoporranno al tentativo di conciliazione previsto dal Servizio di Conciliazione della Camera Arbitrale del Piemonte qualsiasi controversia derivante dal presente concorso o in
relazione allo stesso. In caso di mancato raggiungimento di un accordo, le parti saranno libere di adire l’Autorità Giudiziaria Ordinaria: in tal caso la competenza è del Foro di Alessandria.
Art. 18 – RINVIO. Per tutto ciò non espressamente previsto dal presente Regolamento si fa riferimento al decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 16
dicembre 2010 “Disciplina dei concorsi enologici, in applicazione dell’articolo 21, comma 3, del decreto legislativo 8 aprile 2010, n. 61.
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riportate in etichetta. Usare i prodotti fitosanitari con precauzione. Prima dell’uso leggere
sempre l’etichetta e le informazioni sul prodotto. Si prega di osservare le avvertenze ed i
simboli di pericolo nelle istruzioni per l’uso.
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il
Viticoltura
6
Garganega,
la regina del Soave
G. Ponchia, D. Tomasi
Sommario
Eventi, Cultura e Società
26 Paglia, vignaiolo on line
N. Regazzoni
10 Difesa della vite 2012
28 Arnaldo Rivera
12 Conosciamo la peronospora?
30 L’Asti e il Sol Levante
D. Dellavalle
A. Vercesi
16 Fertirrigazione
D. Zuccari
Enologia
20 Chi ti ha invitato, Brett?
T. Scott
Legislazione
22
Vino biologico,
la UE ha deciso
la Redazione
Economia
24 Commercio elettronico
K. Walter
Seguite MILLEVIGNE su:
L. Tablino
C. Fracchia
Millevigne, il periodico dei Viticoltori Italiani
DIRETTORE RESPONSABILE:
Maurizio Gily - [email protected]
EDITORE:
VIGNAIOLI PIEMONTESI Sca
Direttore: Gianluigi Biestro
AMMINISTRAZIONE, REDAZIONE e ABBONAMENTI:
Via Alba 15 Castagnito, tel 0173 210311 fax 0173212223
http://www.millevigne.it/periodico/periodico
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REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ALBA N. 2/2006 DEL
28/06/2006
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Per la pubblicità sul sito web: www.vinoclic.it
Stampa: Marzo 2012 - L’Artistica Savigliano, Savigliano (CN)
Foto di copertina: Giulia Cavedini, Consorzio di Tutela del Soave
Hanno collaborato a questo numero:
Daniele Dellavalle, Cristina Fracchia, Maurizio Gily, Monica Massa, Giovanni Ponchia, Nicolò Regazzoni, Tony Scott, Lorenzo Tablino, Diego Tomasi, Anna Maria Vercesi, Katrin Walter, Diego
Zuccari
© è vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini senza l’autorizzazione dell’editore e degli autori.
L’editore e la redazione di
Millevigne ricordano
con affetto il
Dr Giuseppe Caldano,
esperto giurista, amico
e gentiluomo.
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Viticoltura
GARGANEGA
la regina del Soave
di
GIOVANNI PONCHIA
Consorzio di Tutela Soave e Recioto di Soave
Storia e diffusione
L
a storia del vitigno Garganega è legata in modo indissolubile alla storia dei vini bianchi di Soave, pur
rappresentando una varietà-chiave nel panorama
del vigneto Italia. In copertina, grappolo di Garganega,
sullo sfondo le mura di Soave (foto Giulia Cavedini).
Già nel 15 a.C. il territorio veronese faceva parte amministrativamente della Rezia inferiore, insieme all’Alto Adige
e alla Valtellina; risalgono proprio a quel periodo le annotazioni storiche legate alla qualità dei vini retici, effettuate
da vari scrittori romani tra cui Plinio il Vecchio e Marziale,
relative quasi certamente ai vini prodotti nell’agro veronese, dove i “Pagus” soavesi che si estendevano da Colognola
ai Colli a Monteforte continuarono a produrre vini anche
nell’epoca successiva alla caduta dell’Impero Romano.
Nei secoli a venire sono numerose le testimonianze raccolte in merito a produzioni di grande pregio nella zona
del Soave. Cassiodoro (503 d.C.) descrive il vino acinatico bianco, antenato dell’attuale Recioto di Soave, vino
ottenuto dall’appassimento per diversi mesi dei migliori
grappoli di uva garganega, selezionati in vigna. Risalgono al 1276 documentazioni notarili di terre arative “cum
vineis” in Soave e di vigne “sclavis et majoribus” nella frazione di Castelcerino.
Con la fine del 1200 il bolognese Pier de’ Crescenzi aveva
segnalato nel suo trattato di agronomia “Ruralium Commodorum” che la Garganega era tra le varietà più coltivate
dell’epoca.
In un inventario redatto nel 1592 per elencare i terreni di
godimento della decima a favore della chiesa di Brognoligo (oggi frazione di Monteforte d’Alpone), è riportata
6
l’esistenza di terreni con viti “schiave e garganiche”.
Nel 17° secolo la viticoltura (e l’economia in generale)
nel Soavese riceve nuovi impulsi e si arriva a importanti
estensioni vitate, soprattutto nella zona dell’attuale Soave
classico, dove la Garganega, assieme all’altro autoctono di
questo territorio, il Trebbiano di Soave, continua a dar
vita a vini bianchi di grande finezza e fama, che vengono
commercializzati ampiamente al di fuori del territorio di
produzione.
Con la prima metà del 1900 i viticoltori del territorio iniziano a sostituire il Trebbiano di Soave, vitigno molto sensibile all’umidità per via della compattezza degli acini, con
la Garganega, varietà che sui terreni di origine vulcanica
del soavese sa esprimersi in modo generoso e con meno
problemi di sanità delle uve.
Al di fuori dell’area del Soave, la Garganega è coltivata anche in altri areali del veronese, soprattutto nell’area della
DOC Lessini e della DOC Bianco di Custoza. Appena oltre i confini orientali della DOC Soave troviamo il vitigno
coltivato anche nel vicentino (dove costituisce la base del
Gambellara DOC), nei Colli Berici fino ad arrivare ai Colli
Euganei nel padovano. Viene coltivato anche in Sicilia con
il nome di Grecanico.
Origine genetica e geografia
Come abbiamo visto la Garganega rappresenta un antico
e rinomato vitigno, coltivato soprattutto nel Veneto ed in
particolare nelle province di Verona e Vicenza, anche se la
sua origine è ancora ignota.
Con queste premesse era plausibile ipotizzare che questo
vitigno avesse potuto generare delle progenie nel corso
Viticoltura
dei secoli o che potesse avere delle relazioni di parentela
con altri vitigni, con i quali condivide l’areale di coltivazione. Dal confronto con i dati di archivio del database
molecolare dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura
di Conegliano (ora CRA-VIT), sono emerse delle possibili relazioni di parentela di primo grado, approfondite
estendendo l’analisi molecolare a 36 loci SSR, validando
questo rapporto per una nutrita serie di vitigni, alcuni dei
quali di rilievo economico e/o storico, come il Trebbiano
toscano alias Ugni blanc, il Catarratto, il Frappato, la Marzemina bianca e il Grecanico. Questi risultati delineano
il ruolo giocato in Italia dalla Garganega nell’evoluzione
della piattaforma ampelografica nazionale.
I risultati delle analisi molecolari soni stati confrontati, come
già detto sopra, con il database molecolare del CRA-VIT.
Per quanto concerne le relazioni di pedigree, la Garganega mostra un legame di primo grado con una serie di
vitigni, primo fra tutti il noto e diffuso Trebbiano toscano
(Ugni blanc); poi l’Albana, della Romagna, citato anch’esso nel 1200 da Pier de’ Crescenzi; l’Empibotte, la Malvasia
bianca di Candia a sapore semplice, la Marzemina bianca,
il Catarratto ed infine il misconosciuto Greco del Pollino.
Non essendo ancora conosciuti i genitori della Garganega,
è difficile fare delle ipotesi sul suo esatto rapporto con i
vitigni evidenziati.
Caratteri agronomici e attitudini colturali
Vigoria elevata, un ciclo vegetativo tra i più lunghi per le
varietà a bacca bianca (circa 160 giorni dal germogliamento alla vendemmia, spesso inoltrata fino a fine ottobre),
produttività discreta e costante, sensibilità media all’oidio
e alla muffa grigia e ridotta alla peronospora sono tra le
caratteristiche principali del vitigno che predilige potature lunghe e forme di allevamento piuttosto espanse come
la tradizionale pergola veronese. La pergola è tuttora la
forma di allevamento più diffusa, anche se negli ultimi 15
anni è stata frequentemente sperimentata la controspalliera con potatura a Guyot semplice con densità variabili tra
le 4000 e le 5000 viti/ha.
Gli anomali e a volte stravaganti decorsi climatici registrati nell’ultimo quindicennio hanno messo in luce la
grande duttilità della Garganega in fase di maturazione
nell’adattarsi ai diversi andamenti stagionali. In particolare, soprattutto nelle annate caratterizzate da un forte
stress idrico, si è potuto notare come questo vitigno, negli
areali del Soave, riesca a riprendersi ed a portare all’ottimale maturazione l’uva con dati quantitativi interessanti
in zuccheri e acidità. I produttori che utilizzano tutto il
lungo ciclo vegetativo senza anticipare le fasi della raccolta molto spesso riescono a vendemmiare uve di grande
complessità, adatte alla produzione di vini molto espressivi e di carattere.
Cloni di Garganega presenti nella zona di produzione
della DOC Soave
Varietà
Cloni
Ha
Garganega
ISV CV 24
1710
Garganega
R4
1513
Garganega
Garganega
Garganega
Garganega
Totale
ISV CV 69
ISV CV 84
ISV CV 11
altre selezioni
723
658
526
723
5853
Fonte Consorzio Tutela Vini Soace e Recioto di Soave
Cloni di Garganega iscritti nel Registro Nazionale delle varietà di vite
25/05/1970
Garganega B.
Garganego *
*Ai soli fini della
designazione
G.U. 149
17/06/1970
Garganega B.
I - Rauscedo 4 24/12/1969
2
D.P.R. 1164/69 in G.U. 48
24/02/1970
Garganega B.
I - FEDIT 9 C.S.G. 24/12/1969
3
D.P.R. 1164/69 in G.U. 48
24/02/1970
Garganega B.
I - ISV-CV 69
04/08/1987
1/17
G.U. 227
29/09/1987
Garganega B.
I - ISV-CV 84
04/08/1987
1/17
G.U. 227
29/09/1987
Garganega B.
I - ISV-CV 24
15/07/1993
1/17
G.U. 179
02/08/1993
Garganega B.
I - ISV-CV 11
01/03/1999
1
G.U. 86
14/04/1999
Garganega B.
I - ISV-CV 18
01/03/1999
1
G.U. 86
14/04/1999
Garganega B.
I - ISV sn 29
Angelini
09/06/2005
1/54
G.U. 210
09/09/2005
Garganega B.
I - VCR 7
02/02/2006
2
G.U. 61
14/03/2006
Garganega B.
I - VCR 13
02/02/2006
2
G.U. 61
14/03/2006
Garganega B.
I - VCR 39
02/02/2006
2
G.U. 61
14/03/2006
Garganega B.
I - VCR 105
02/02/2006
2
G.U. 61
14/03/2006
Garganega B.
I - GAR VISP
28/05/2010
58/83
(VitisSpiazzi)
G.U. 189
14/08/2010
Garganega B.
I - GAR VISP
REC
28/05/2010
58/83
(VitisSpiazzi)
G.U. 189
14/08/2010
Fonte CRA-VIT Conegliano (TV)
7
Viticoltura
La Garganega in Italia
Anno
1970
2000
2010
Ettari
13.800
11.600
11.300
% vigneto
Italia
1,2
1,7
1,8
La Garganega in Veneto
Anno
1982
1990
2000
2010
Verona
8.750
8.800
8.400
8.400
Vicenza
2.850
2.960
2.400
1.600
Padova
500
390
270
140
TOTALE
12.100
12.150
11.070
10.140
Caratteristiche aromatiche
della Garganega
Le carattestiche qualitative dei vini ottenuti da uve Garganega dipendono non solo dalla ricchezza in zuccheri delle
uve e dalla conseguente gradazione alcolica, ma dalla presenza, sempre nelle bacche, di altri composti che possono
essere evidenziati solo con tecniche cromatografiche di
elevata sensibilità.
A questo gruppo appartengono, tra l’altro, i composti aromatici, la cui incidenza sulla qualità del vino è determinante anche per l’impronta varietale insostituibile e non
imitabile che gli conferiscono.
Nel caso specifico della Garganega i precursori aromatici che si accumulano durante la maturazione e da cui
derivano le principali sensazioni olfattive percepibili nel
vini di Soave appartengono alle famiglie dei monoterpeni,
norisoprenoidi e benzenoidi. Ai terpeni sono associate
le note floreali (rosa, acacia), d’agrumi e di tiglio riconducibili principalmente a linalolo, geraniolo, nerolo e
-terpineolo.
Abbondante anche la presenza di Norisoprenoidi, a cui
vengono associati i sentori di frutta matura, di the, eucalipto e fieno. Nella complessità aromatica del vino hanno
8
V ioletta
FF ieno
ieno
C iliegia
Acacia
Acacia
B anana
F iori
F
iori
Speziato
Mandorla
Mandorla
Sambuco
F
F rutta
rutta matura
matura
Mela verde
C annella
C
annella
La carta aromatica del Soave
uno spazio rilevante le note caratteristiche di mandorla,
lo speziato e il balsamico, quest’ultimo attribuito alla presenza del metil salicilato.
Da sperimentazioni emerge che in un range di variazioni
delle temperature minime notturne di settembre compreso tra 9,5 e i 16 °C, i contenuti nei composti terpenici responsabili delle note floreali più tipiche del vino passano
da valori vicini a 250 µg/L alle temperature più fresche,
dove maggiori sono le escursioni termiche, fino ad abbassarsi a valori inferiori a 100 µg/L con temperature intorno
ai 16 °C.
Per i composti come il metil salicilato, da cui le note balsamiche e resinose, i valori più alti si manifestano con
l’aumentare delle temperature notturne. Nei versanti
più soleggiati, dove maggiori sono le temperature diurne, maggiori sono anche i composti norisoprenoidi che
conferiscono una evidente impronta di frutta matura ed
esotica.
Proprio da questo netto legame tra clima ed aromi e dalla
variabilità morfologica e quindi climatica del comprensorio del Soave, ha preso forma grazie ad un accurato lavoro di zonazione, una dettagliata carta aromatica del vino
Soave.
Forme di allevamento per la Garganega,
tradizione ed evoluzione
A cura di Diego Tomasi - CRA-VIT Conegliano
La viticoltura del Soave ha iniziato nell’ultimo ventennio
un percorso di ammodernamento della sua struttura produttiva, attraverso una rivisitazione dell’impostazione degli impianti e l’adozione di nuove soluzione tecniche. La
necessità di uscire da schemi per troppo tempo creduti
inamovibili, è stata dettata dal bisogno di adeguare il vigneto alle nuove esigenze del consumo, della gestione e
della manutenzione degli impianti.
Per secoli la vite di Garganega ha trovato nella pergola
l’unico riferimento e negli ampi sesti di impianto la sola
maniera di sfruttare la superficie. Dalla fine degli anni novanta si è fatta strada una nuova concezione supportata da
prove sperimentali che hanno visto nel filare una alternativa nell’impianto del vigneto. Accanto ad una scelta più
oculata del portinnesto, del clone e del sesto di impianto,
anche la forma di allevamento è stata messa in discussione
e l’attenzione è stata rivolta alla spalliera.
E’ quindi iniziata una attenta analisi di confronto tra la
pergola e la spalliera con potatura a cordone speronato e a
Guyot. Il Centro di Ricerca per la Viticoltura e il Consorzio di Tutela del Soave, sin dal 2002 hanno dato inizio, accanto agli studi di zonazione, ad alcuni approfondimenti
basati sullo studio dell’interazione tra forme di allevamento e qualità delle produzioni. L’obiettivo principale è stato
quello di far fronte alla necessità di ridurre l’impiego di
manodopera, di rendere più agevole la raccolta dell’uva e
in generale di semplificare la gestione e la manutenzione
del vigneto.
La verifica è stata portata sulla pergola e sulle sue versioni riviste in chiave moderna che prevedono una struttura
di sostegno più leggera, più aperta e più rispondente ad
Viticoltura
una gestione semplificata della chioma. Sul lato opposto
si sono valutate le risposte produttive e qualitative del cordone speronato e del Guyot.
Nel primo caso (potatura corta) la fisiologia produttiva
della Garganega ha reso la risposta produttiva troppo incerta e altalenante nel corso delle diverse annate. L’attenzione si è quindi spostata sulla potatura a Guyot e i risultati
in vigneto hanno portato a positive considerazioni complessive.
A favore di quest’ultima soluzione vi è soprattutto la semplificazione nella gestione della parete vegetativa, della potatura e della raccolta.
Bisogna però anche sottolineare la difficoltà incontrata
da molti viticoltori nell’affrontare una nuova forma di allevamento con diverse necessità in termini di potatura e
di gestione annuale. La maggior problematica risiede nel
carico produttivo che deve trovare un perfetto equilibrio
con la parete vegetativa, pena un immediato calo qualitativo. La pergola da questo punto di vista permette un
maggior raggio d’azione e il suo equilibrio risulta più stabile e meno soggetto all’andamento stagionale e alla quantità d’uva presente. A far data dal 2003 ci si è dovuti però
confrontare con un sempre più evidente cambio climatico
cui ha fatto seguito un innalzamento delle temperature
e una maggior frequenza delle ondate di calore. È sorta
quindi in tutta la sua importanza l’urgenza di analizzare
la risposta della Garganega in relazione all’esposizione dei
grappoli alla radiazione solare, così diversa nella pergola
e nella spalliera. L’analisi ha riguardato non solo la componente zuccherina e acida dell’uva, ma anche la quantità
e la qualità degli aromi, molto sensibili ai valori termici
esterni. Accanto alle uve si sono analizzati i vini e le prove
si sono protratte sino al 2011.
Una lunga serie di dati produttivi, qualitativi ed enologici
hanno permesso di stilare un giudizio circostanziato sulla
composizione gusto-olfattiva dei vini ottenuti con uve più
(pergola) o meno (Guyot), protette dalla vegetazione. Soprattutto in certe annate, a dir il vero sempre più frequenti
(2003-2006-2011), la temperatura dei grappoli esposti al
sole rischia di eccedere i livelli ottimali per la sintesi e
la conservazione degli aromi. Il confronto tra pergola e
Guyot si è fatto quindi determinante per analizzare una
risposta viticola ed enologica dettata dal sistema di conduzione. Nel caso della pergola i dati assicurano una maggior ricchezza aromatica stante l’ottimale microclima che
si viene a creare e che permane nell’intorno del grappolo.
Con la potatura a Guyot invece si ottengono uve più ricche in zuccheri, con minor acidità e con un quadro aromatico più indirizzato verso valori di forte impronta aromatica fruttata.
Si ringraziano per la collaborazione Antonio Calò, Angelo Costacurta,
Marina Niero
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9
Viticoltura
Novità
difesa vite 2012
I
l panorama dei fitofarmaci per la difesa del vigneto è
in continua evoluzione e per quest’anno le novità più
sostanziose derivano dalla revisione europea dei fitofarmaci, mentre l’introduzione di nuove sostanze attive è
limitato a pochi casi.
Il processo di revisione europea ha determinato l’esclusione dal commercio di alcuni fitofarmaci e la riclassificazione
di altri, quasi sempre inseriti in classi tossicologiche meno
favorevoli e spesso con l’aggiunta di frasi di rischio.
Tra le molecole utilizzate in viticoltura che vengono escluse dal commercio a partire dal 2012 troviamo mepanipyrim, un principio attivo ad azione antibotritica, in passato
commercializzato da Sipcam col marchio Frupica; discorso simile va fatto per la molecola diserbante ad azione
ormonale MCPA, il cui impiego viene da quest’anno revocato sulla vite.
Più complessa e tuttora incerta è la sorte cui andrà incontro il glufosinate ammonio, molecola erbicida ad azione
disseccante, commercializzata da Bayer con il marchio Basta: in seguito alla revisione delle sostanze attive impiegate in agricoltura, il glufosinate ammonio è passato da una
classe tossicologica favorevole (n.c.), che per il suo impiego non richiedeva il possesso del “patentino”, ad una classe tossicologica ben più restrittiva, “T” (tossico). A seguito
di tale riclassificazione la vecchia formulazione di Basta è
stata revocata dal commercio e Bayer ha presentato una
nuova registrazione, sempre classificata T, che, pur con
le dovute precauzioni imposte dalla sua tossicità, potrà
essere impiegata nei Paesi della Comunità Europea, sempre che nel frattempo non intervengano indicazioni più
restrittive da parte degli stati membri. Cosa che è avvenuta in Italia ove, in attesa di maggiori studi sulla tossicità
del glufosinate ammonio, si è deciso di sospenderne l’impiego, al momento fino al 29 febbraio 2012. Dopo questa data la nuova registrazione potrà, o essere ammessa
all’impiego anche in Italia, oppure venire definitivamente esclusa dal commercio nel nostro paese. In ogni caso
la classificazione “T” del glufosinate ammonio comporta
l’esclusione di questo erbicida da qualsiasi impiego nei
programmi di difesa a basso impatto ambientale (anche
conosciuta come difesa eco-compatibile o integrata). Che,
è bene ricordarlo, dal 2014 diventeranno ad adesione
obbligatoria.
Un altro esempio di riclassificazione che coinvolge un
gran numero di fitofarmaci ampiamente diffusi in viticoltura è quello del mancozeb: come noto già dal 2011 tutti
i fungicidi contenenti mancozeb sono passati dalla classe
tossicologica Xi (irritante) a Xn (nocivo), con conseguente obbligo di possedere il patentino per l’acquisto e l’im-
10
di
DANIELE DELLAVALLE
piego di tali prodotti; ai formulati a base di mancozeb è
stata inoltre aggiunta la frase di rischio R63, che evidenzia
“possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati”. La
frase R63 è valutata piuttosto negativamente nell’ambito
dei fitofarmaci, di conseguenza si tende a limitare l’impiego se non addirittura ad escludere dalle norme tecniche
per la produzione a basso impatto ambientale i formulati
che ne sono in possesso. Vista l’importanza e la diffusione
del mancozeb e considerate le modalità e le tempistiche
che hanno portato alla sua riclassificazione, per il 2011
non sono state apportate variazioni alle norme tecniche
riguardo al mancozeb, variazioni che saranno invece applicate dal 2012: non potranno essere impiegati su vite
per più di tre volte fitofarmaci contenenti mancozeb, indipendentemente dalla sua concentrazione all’interno di
ciascun formulato. La limitazione nell’impiego del mancozeb, molecola relativamente economica, comporterà
un sensibile aumento dei costi della difesa del vigneto,
in quanto prodotti alternativi ci sono ma sono tutti più
cari. Inoltre nell’impostare le strategie di difesa occorrerà
considerare che il minor impiego del mancozeb, fungicida attivo contro molti funghi patogeni, potrebbe favorire
lo sviluppo di fitopatie secondarie, come il black rot (lo
scorso anno in alcuni vigneti sono stati osservati sintomi
diffusi di tale malattia); di conseguenza nelle strategie di
difesa che non prevedono l’impiego di mancozeb è opportuno prevedere l’inserimento di fungicidi attivi anche
contro il black rot, come alcuni IBE o Strobilurine.
Terminato il capitolo riguardante la revisione europea dei
fitofarmaci e le conseguenze di questa sulla legislazione
nazionale e sui disciplinari per le produzioni agricole a
basso impatto ambientale, passiamo ora alla descrizione
di due nuove molecole ad azione fungicida, attive contro
la peronospora della vite.
La prima per ordine di tempo ad arrivare sul mercato italiano è l’amisulbrom, molecola appartenente alla classe
chimica delle sulfonamidi, che agisce nelle cellule fungine
inibendone i processi respiratori. Attraverso l’inibizione
dello sviluppo delle zoospore e dei conidi blocca lo sviluppo del micelio e la produzione di spore; la sua azione
nei confronti della malattia è triplice: preventiva, curativa
ed antisporulante. Possiede un elevato potere adesivo alle
cere del grappolo, quindi resiste molto bene al dilavamento causato dalla pioggia. Ha un ottimo profilo tossicologico e residuale. Attualmente la molecola viene commercializzata in miscela con mancozeb da Scam, con il nome
commerciale di Sanblight; le dosi d’impiego su vite sono
di 200-250 g/hl ed il periodo di carenza è di 28 giorni;
l’intervallo previsto tra i trattamenti è di 10-12 giorni.
Viticoltura
L’amisulbrom è stato inserito nelle norme tecniche per la
difesa integrata delle colture con le stesse limitazioni previste per il mancozeb, e cioè impiego possibile solo fino a
fine fioritura ed al massimo tre trattamenti per anno complessivamente con qualsiasi prodotto contenente mancozeb; inoltre, avendo lo stesso meccanismo d’azione di ciazofamide (Mildicut di Belchim) sono previsti al massimo
tre trattamenti complessivi tra amisulbron e ciazofamide.
L’altro principio attivo che si affaccia sul mercato antiperonosporico della vite è ametoctradina, molecola appartenente alla nuova classe chimica delle pirimidilamine,
che agisce inibendo la respirazione cellulare delle cellule
fungine. Non essendo né citotropico né sistemico agisce
preventivamente e per contato; grazie all’elevata affinità
con le cere dell’acino, resiste fortemente al dilavamento.
Viene commercializzato da Basf con il marchio Enervin
Top, miscela di ametoctradina e metiram; le dosi di impiego sono di 2,5 Kg/ha, con un massimo di tre trattamenti
per anno, una distanza tra i trattamenti di 8-12 giorni ed
un periodo di carenza di 35 giorni. La sua registrazione,
recentissima, non ha per il momento consentito l’inserimento nei disciplinari di produzione per l’agricoltura a
basso impatto ambientale ma, grazie al suo ottimo profilo
tossicologico (n.c., non classificato), si prevede l’inserimento potrà avvenire in tempi brevi.
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1
24/01/12
11:28
Terminiamo
rassegna
le ultime
modifiche apportate alle norme tecniche per la difesa integra-
ta della vite. Probabilmente per compensare la già citata
limitazione imposta all’impiego del mancozeb, dal 2012
viene inserito tra i principi attivi utilizzabili contro peronospora, il propineb, una “vecchia” molecola fungicida
ad azione di contatto ed attività polivalente contro diverse
specie fungine. Le norme tecniche prevedono che questo
principio attivo possa essere impiegato fino a fine fioritura. Il propineb viene commercializzato da Bayer con il
marchio Antracol.
L’esclusione del Basta dalle norme tecniche per la difesa
integrata ha comportato maggiori difficoltà nel contenimento delle erbe infestanti; per tale motivo sono state aumentate le dosi massime annue per due erbicidi impiegabili in vigneto:
– le dosi massime di glifosate (Roundup e molti altri marchi commerciali) sono passate, per formulati al 30,4%,
da 7 a 9 litri per ettaro per anno, da ridurre in proporzione alla superficie effettivamente trattata in caso di
trattamenti solo sotto il filare;
– le dosi massime di carfentrazone (Spotlight di Belchim
e Affinity di Sumitomo) sono passate, solo per i vigneti
in allevamento (fino a 3 anni di età), da 1 a 2 litri per
ettaro per anno, anche in questo caso da ridurre in funzione della superficie effettivamente trattata.
Nota: il presente articolo è frutto di una ricerca fatta su internet e
presso le principali aziende distributrici di agro-farmaci; si declina
ogni responsabilità per eventuali omissioni o inesattezze.
Nuovo Fungicida
ad azione antiperonosporica
a base di Amisulbrom
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11
Viticoltura
Conosciamo la
Peronospora?
P
lasmopara viticola (Berk. t Curt.) è l’agente causale
della peronospora della vite. Il patogeno è originario
dell’America settentrionale, dal quale arriva in Europa e precisamente in Francia, a Bordeaux, nel 1878, probabilmente insieme con piante di viti americane importate
per essere utilizzate come portainnesti resistenti alla fillossera. L’introduzione di P. viticola nel vecchio continente
non passa inosservata poiché i fitopatologi francesi che
avevano osservato i sintomi della malattia durante viaggi
di studio nel Nord America erano consapevoli del pericolo che la malattia costituiva per la viticoltura europea e
controllavano attentamente i vigneti prossimi soprattutto
ai porti nei quali attraccavano navi provenienti dagli Stati
Uniti. L’allarme era del tutto giustificato in quanto V. vinifera si rivela molto suscettibile nei confronti di P. viticola
che in breve tempo determina perdite consistenti di produzione in tutte le zone viticole europee nelle quali si diffonde con impressionante rapidità. La prima segnalazione
in Italia risale nel 1879 quando la malattia viene osservata
presso Santa Giuletta, in provincia di Pavia.
Il meccanismo di infezione
La ragione della suscettibilità della vite europea è la mancanza di co-evoluzione tra l’ospite e il patogeno con la
conseguente necessità di proteggere adeguatamente il
vigneto per poter assicurare al coltivatore una produzione economicamente remunerativa. I danni sono dovuti
alle infezioni che si verificano sui tessuti fotosintetizzanti dell’ospite, in particolare foglie e grappoli. Sulle foglie
il patogeno determina la comparsa di macchie clorotiche
tondeggianti (macchie d’olio) e a contorno geometrico
(peronospora a mosaico). La necrosi del tessuto infetto
induce la riduzione della superficie fotosintetizzante della
pianta e, quando la malattia è particolarmente grave, una
precoce defogliazione. Su grappolo le infezioni precoci
provocano un leggero cambiamento di colore con succesLe “macchie d’olio”
12
Attacco su grappolino
di
Prof. ANNAMARIA VERCESI
Università di Milano,
DIPROVE Sez. Patologia Vegetale
siva deformazione dell’infiorescenza che assume la caratteristica forma ad uncino e in seguito la necrosi della parte
infetta. Sulle porzioni colonizzate dei giovani grappoli e
delle foglie il patogeno, dopo la comparsa dei sintomi,
differenzia una muffetta biancastra, che nel caso delle foglie è localizzata sulla pagina inferiore. Sugli acini a partire dall’allegagione il sintomo della malattia è costituito
dall’assunzione di un colore rossastro violaceo, seguito da
un disseccamento e dalla caduta delle bacche infette questa particolare sintomatologia è denominata peronospora
larvata, non è associata alla presenza di muffetta biancastra ed è spesso confusa con alterazioni indotte da scottature o da altri patogeni. P. viticola è un parassita obbligato
della vite, in grado di svilupparsi attivamente solo a spese
delle cellule vive del proprio ospite nelle quali differenzia un organo specializzato, l’austorio che gli consente di
assorbire le sostanze nutritive necessarie alla sua crescita. La sopravvivenza del patogeno durante il periodo nel
quale l’ospite è privo di tessuti fotosintetizzanti è affidata
a strutture quiescenti in grado di conservare la propria vitalità anche in presenza di condizioni ambientali avverse.
Tali strutture sono le oospore, che vengono differenziate
a seguito della riproduzione sessuata dl patogeno. Nelle
parti infette della pianta, nel corso dell’estate e soprattutto
all’avvicinarsi della caduta delle foglie compaiono gli organi maschili, gli anteridi, quelli femminili, gli oogoni: dal
processo di fecondazione, attuato dai nuclei dell’anteridio
che penetrano all’interno dell’oogonio, ha inizio la formazione dell’oospora, che acquisisce la capacità d germinare
alla fine di un periodo di maturazione, all’incirca alla fine
di novembre. Durante tale periodo, i due nuclei, provenienti dall’anteridio e dall’oogonio si fondono, la parete si
ispessisce e vengono accumulate sostanze di riserva. L’oospora inizia a germinare quando le condizioni esterne ridiventano favorevoli e ciò si verifica quando la temperatura
media è prossima o superiore ai 10 °C e il terreno rimane
a lungo umettato. Dal momento in cui le condizioni am“Larvata” su grappolo
“Peronospora mosaico” su foglia
adulta
Viticoltura
bientali sono favorevoli alla germinazione delle oospore,
perché abbiano luogo le infezioni primarie, così denominate perché causate dall’inoculo formato dalle strutture
svernanti, occorre che l’ospite sia suscettibile. Convenzionalmente la suscettibilità dell’ospite si ritiene raggiunta
quando il tralcio è lungo almeno 10 cm. Le condizioni
necessarie e sufficienti per il verificarsi delle infezioni primarie sono riassunte nella cosiddetta regola dei tre dieci:
tralci lunghi almeno 10 cm, temperatura media pari o superiore ai 10 cm e una pioggia di almeno 10 mm in 24
-48 ore. La regola dei tre dieci va ritenuta particolarmente
valida se il momento nel quale vengono soddisfatte le condizioni in essa riportate è preceduto da piogge abbondanti
e ripetute che favoriscono le germinazione delle oospore.
Le infezioni primarie possono verificarsi ripetutamente
durante la stagione vegetativa della vite finché le oospore
continuano a germinare. Le strutture sessuate del patogeno
germinano formando il macrosporangio dal momento in
cui la temperatura giornaliera media si attesta sui 10 °C ed
in presenza di umettazione del suolo in modo più o meno
intermittente fino a fine giugno. Da metà maggio in avanti la germinabilità delle oospore si manifesta soprattutto a
seguito di piogge ripetute e diminuzioni consistenti delle
temperature. Il numero delle infezioni primarie per ettaro
può variare considerevolmente ma non è generalmente tale
da causare danni immediati alla vite. Il macrosporangio disperso dalla pioggia viene depositato sulla pagina inferiore
della foglia o sui giovani grappoli e germina a sua volta libe-
rando zoospore bi flagellate che si muovono per mezz’ora
circa nell’acqua avvicinandosi agli stomi. Terminata la fase
mobile le zoospore si muniscono di parete e formano un
tubetto germinativo che penetra nell’ospite esclusivamente
per via stomatica. Le condizioni che consentono l’infezione
dell’ospite sono una temperatura compresa tra 5 °C e 29 °C
e una bagnatura di durata tale che il prodotto tra le ore di
umettazione e la temperatura sia pari ad almeno 50. All’interno dell’ospite P. viticola forma un micelio intercellulare
che differenzia austori nelle cellule del tessuto lacunoso.
Le cellule rimangono vive e forniscono tramite l’austorio il
Prodotto fitosanitario autorizzato dal Ministero della Salute.
Usare i prodotti fitosanitari con precauzione. Prima dell’uso leggere
sempre l’etichetta e le informazioni sul prodotto. TM Trade Mark.
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13
Viticoltura
materiale nutritivo necessario per la crescita del patogeno.
Una volta completata la colonizzazione dell’ospite si assiste alla comparsa del sintomo sull’organo infetto: il periodo
che intercorre tra l’infezione dell’ospite e la comparsa dei
sintomi è detto periodo di incubazione la cui durata dipende da temperatura ed umidità relativa.
spersione dell’inoculo dal quale dipende la contaminazione
dell’ospite e dalla bagnatura indispensabile per il verificarsi
della fase mobile delle zoospore indicano chiaramente che
andamenti meteorologici caratterizzati da frequenti precipitazioni e da una temperatura contenuta sono generalmente
associati con gravi epidemie di peronospora.
Le infezioni secondarie
La lotta guidata
A parità di temperatura la durata del periodo di incubazione è inferiore in presenza di umidità relative medie giornaliere superiori al 65 %. Il periodo di incubazione raggiunge
il valore minimo pari a 4 giorni a temperature comprese
tra 22 e 24 °C con umidità relative elevate e si allunga
progressivamente man mano che la temperatura scende
verso i 12-13 °C o si avvicina ai 30 °C. Alle temperature
più contenute il periodo di incubazione può raggiungere
le due settimane. La durata del periodo di incubazione è
solitamente più prolungato su grappolo rispetto alla foglia.
Dopo la comparsa dei sintomi il patogeno dà luogo alla
riproduzione asessuata con conseguente comparsa della
muffetta biancastra- Quest’ultima è infatti costituita dai
rami sporangiofori che fuoriescono dagli stomi e portano
all’estremità gli sporangi. La riproduzione asessuata avviene
con alternanza di luce (4h)/buio (4h) durante la quale la
temperatura deve essere superiore ai 10 °C ed inferiore ai
30 °C e l’umidità relativa superare il 98 %. L’intensità della
sporulazione è massima nell’intervallo compreso tra i 15
ed i 25 °C. Gli sporangi sopravvivono per un breve lasso di
tempo e vengono rapidamente devitalizzati a 30 °C. La loro
dispersione è affidata alla pioggia e meno efficientemente
alla rugiada. Gli sporangi germinano emettendo zoospore
che danno origine alla infezioni secondarie secondo le modalità precedentemente illustrate. Il numero dei cicli secondari
d’infezione dipende dalla precocità di comparsa delle
CVT OB66
infezioni primarie, dalle condizioni nelle quali avviene la
sporulazione, la dispersione degli sporangi e l’efficienza
con la quale le zoospore infettano l’ospite. Mentre le foglie
possono essere infettate durante tutta la stagione vegetativa della vite, i grappoli rimangono suscettibili al patogeno
solo fino alla degenerazione degli stomi, avvenuta la quale
la penetrazione è impossibile così come la fuoriuscita dei
rami sporangiofori dalla bacca, fenomeno che determina la
comparsa della cosiddetta peronospora larvata. I valori di
temperatura favorevoli alle varie fasi del processo infettivo
di P. viticola, l’importanza assunta dalla pioggia nella di-
L’importanza del meteo
Data l’influenza del clima sullo sviluppo del fungo, un tema ampiamente studiato da oltre un secolo, per l’attuazione di una
strategia di lotta guidata è importante disporre sul territorio di
stazioni meteorologiche, che oggi sono in genere di tipo elettronico e “visibili” da remoto, per rilevare i principali parametri
climatici. Esistono vari software per elaborare previsioni di infezione e consigli di difesa, sulla base dei modelli matematici citati
nell’articolo: tuttavia è prudente considerarli più come un supporto alle decisioni che non come un’alternativa all’esperienza
di un tecnico in carne ed ossa. Anche le previsioni del tempo,
oggi molto più attendibili che all’epoca dei “pionieri” della lotta guidata (il primo Consorzio Antiperonosporico fu fondato ad
Acqui nel 1927), sono di grande aiuto rispetto alle decisioni da
prendere. (Nota della Redazione)
14
La sequenza di eventi connessi con la diffusione della malattia in campo è molto complessa e rende difficoltoso quantificarne la consistenza basandosi unicamente sulle condizioni necessarie e sufficienti per il loro verificarsi. Per tale
motivo sono stati messi a punto modelli matematici che
consentono di stimare il rischio d’infezione cui è esposto
l’ospite. Una loro utilizzazione dopo averne valutato l’affidabilità consente di razionalizzare la strategia di intervento
eseguendo un trattamento solo in presenza di un’elevata
probabilità che si verifichino gravi infezioni. Attualmente la
strategia di intervento, denominata lotta guidata, prevede
l’esecuzione di un primo intervento allo scadere dell’80 %
del periodo di incubazione calcolato a partire dal momento in cui vengono soddisfatte le condizioni previste nella
regola dei tre dieci e un nuovo trattamento con le stesse
modalità prima indicate in conseguenza del verificarsi di
nuove infezioni dovute a piogge o prolungate bagnature
della vegetazione, nel rispetto dei tempi di persistenza dei
fungicidi impiegati nell’intervento precedente. In ogni caso
occorre effettuare tre interventi cautelativi a cavallo della
fioritura per poter proteggere adeguatamente il grappolo
nel momento di massima suscettibilità.
La Vite: fisiologia, terroir e coltivazione
Autori: Alain Carbonneau, Alain Deloire, Benoît Jaillard
Traduzione:
Anne Meglioli
CVT
GJ1
Casa editrice Eno-One
Pagine: 429
Prezzo: Euro 59,00
Questo trattato di viticoltura è frutto della collaborazione fra Alain Carbonneau,
uno dei maggiori esperti di viticoltura,
Alain Deloire e Benoît Jaillard e costituisce una sintesi del pensiero della Scuola di Viticoltura di Montpellier, dove sia
Carbonneau che Deloire svolgono da
anni attività di docenza. Nei nove capitoli del libro vengono affrontate tutte le
tematiche viticole, con un ampio corredo di riscontri sperimentali in gran parte recenti. La prima parte
descrive il comportamento della vite e le necessità fisiologiche
della pianta in relazione all’acqua, all’anidride carbonica, all’irraggiamento solare, alla temperatura e agli elementi minerali.
Nella seconda parte sono trattati gli aspetti ambientali e tecnologici della coltivazione, viene presentato un nuovo approccio
climatologico e nuove conoscenze sulla dinamica della maturazione dell’uva. Al centro dell’opera viene posto il rispetto del terroir viticolo, allo scopo di ricercare e perseguire costantemente
una produzione caratterizzata dalla tipicità e da elevati standard
qualitativi in relazione agli obiettivi di mercato.Il testo è ricco di
esempi, fotografie e grafici che aiutano a comprendere meglio i
contenuti degli argomenti analizzati. È un libro interessante, ideale sia per chi è semplicemente appassionato di viticoltura, per
gli studenti in enologia, per chi è viticoltore e per chi intende
diventarlo nel rispetto dell’ambiente e del territorio.
Viticoltura
Ciolos in Piemonte: sulla liberalizzazione
degli impianti non è detta l’ultima parola
È il viticoltore che valorizza il vino italiano.
Un convegno al Vinitaly
Il Commissario europeo all’Agricoltura Dacian Ciolos ha partecipato in gennaio all’inaugurazione
dell’anno accademico dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Al termine della
cerimonia il Commissario Ciolos
ha tenuto una lectio magistralis
sulle prospettive dell’agricoltura
in Europa e ha risposto alle domande degli studenti. Infine ha tenuto una conferenza
stampa, nel corso della quale Millevigne ha chiesto al
Commissario se non pensa che sia opportuno rivedere
la prevista liberalizzazione degli impianti viticoli dal 2016,
vista la contrarietà della maggioranza dei viticoltori europei. Il Commissario ha risposto di non avere il potere
di modificare una decisione presa da una maggioranza
qualificata del Consiglio. Tuttavia, vista le notevoli pressioni contrarie che arrivano dai viticoltori italiani, francesi e spagnoli, ha istituito una commissione di esperti
(High Level Group) per valutare il possibile impatto della
misura sull’economia della filiera e presentare una relazione al Consiglio e al Parlamento europeo.
Il dato di fatto è che la riduzione del potenziale viticolo
dell’Europa, che ha perso 162.000 ettari di vigneti negli
ultimi tre anni, non è stata sufficiente a riequilibrare il
mercato, obiettivo che costituiva, in un certo senso, la
premessa della liberalizzazione.
Martedì 27 marzo alle ore 10,30 presso la Sala Salieri
del Palaexpo della Fiera di Verona si terrà il convegno
dal titolo “Il vino si fa con l’uva: valorizzare la figura
del viticoltore per valorizzare il vino italiano.”
La produzione dell’uva è alla base del sistema viti-vinicolo, eppure negli ultimi anni il coinvolgimento del comparto viticolo nelle discussioni per definire le strategie di
sviluppo del vino italiano è stato marginale.
L’ultima vendemmia, quantitativamente la più bassa degli ultimi 60 anni, è un campanello d’allarme.
Per discutere di questi temi Cantine Viticoltori Veneto
Orientale e Vinitaly hanno organizzato questo incontro,
moderato da Lorenzo Biscontin, Direttore Generale
della cantina Bosco Viticultori.
Parteciperanno: Maurizio Gily, Direttore Responsabile
Millevigne, Adriano Orsi , Presidente Comitato Vitivinicolo Fedagri, Lucio Mastroberardino, Presidente Unione Italiana Vini, Stefano Graziani, Presidente Med&A,
Marco Simonit, cofondatore della Scuola Italiana di
Potatura della Vite.
Cantine Viticoltori Veneto Orientale (Vi.V.O. s.a.c.) è
la nuova realtà nata dalla fusione tra la Cantina di Campodipietra e la Cantine Produttori Riuniti del Veneto
Orientale, ed è una delle principali cooperative vitivinicole italiane, con otto stabilimenti produttivi, un fatturato superiore a 30 milioni di euro, una base sociale di
2.120 soci, attivi su oltre 3.200 ettari di vigneto.
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PERGADO protegge foglie e grappoli nelle fasi
più delicate, ha un’elevata resistenza al dilavamento
grazie alla doppia attività LOK+FLO® e la sua efficacia
è prolungata anche nelle situazioni più difficili.
La superiore protezione dei grappoli permette
di tutelare la qualità, per produzioni di valore.
PERGADO è disponibile in combinazione con Mancozeb,
Folpet, Rame e Fosetil-Al.
Syngenta è uno dei principali attori dell’agro-industria mondiale. Il gruppo impiega più di 26.000 persone in oltre 90 paesi che operano
con un unico proposito: sviluppare il potenziale delle piante al servizio della vita.
Agrofarmaci autorizzati dal Ministero della Salute; per relativa composizione e numero di registrazione si rinvia al catalogo dei prodotti
o al sito internet del produttore; leggere attentamente le istruzioni. ® Marchio registrato di una società del gruppo Syngenta.
TM
15
Viticoltura
I molti vantaggi della
FERTIRRIGAZIONE
in vigna
Q
uando in Italia, circa 25-30 anni fa, si cominciarono a realizzare i primi impianti di irrigazione
a goccia su vigneto, si respirava un’aria di scetticismo da parte dei viticoltori sulla loro reale necessità e
sui possibili benefici che avrebbero apportato. La prima
obiezione era che la vite non aveva bisogno d’acqua, che
doveva “soffrire” la siccità per poter dare buoni frutti, e,
anche laddove ce ne fosse stato bisogno, come avrebbero
potuto tante piccole gocce sopperire al fabbisogno idrico
di un vigneto?
A distanza di tempo il sistema goccia ha avuto ragione
anche dei più scettici e, complici i cambiamenti varietali, quelli climatici, l’aumento delle densità d’impianto e,
non ultimo, il mercato che richiedeva una certa costanza
produttiva in termini sia di qualità che di quantità, si è
diffuso in moltissimi areali viticoli interessando oggi una
percentuale importante dei vigneti italiani.
Oggi stiamo assistendo, anche da parte di coloro che hanno superato in passato gli scetticismi iniziali verso l’impianto a goccia, realizzandolo sul proprio vigneto, allo
stesso scetticismo nei confronti della tecnica della fertirrigazione. Ed allo stesso modo si sente dire che questi apporti nutritivi rischiano di peggiorare la qualità del vino.
Per cui spesso capita di imbattersi in aziende con impianti
molto ben realizzati, perfettamente funzionanti, che vengono utilizzati male e poco per irrigare e per niente per
fertirrigare.
Anche in quei casi in cui l’irrigazione sul vigneto viene
fatta correttamente, con attenzione alle fasi fenologiche e
controllando lo stress idrico, quasi mai si pratica la fertirrigazione, oppure viene praticata commettendo molti
errori, a causa delle poche informazioni reperibili in merito e della mancanza di esperienza degli stessi tecnici vitivinicoli. In definitiva possiamo affermare che avere un
impianto di irrigazione a goccia sul vigneto senza utilizzarlo per la fertirrigazione significa sfruttarlo mediamente solo al 50% delle sue potenzialità.
di
diego zuccari
Questo grazie ad uno sviluppo maggiore delle barbatelle
nei primi anni di impianto ed una maggior sanità delle
piante, le quali una volta entrate in produzione avranno
meno problemi e maggior resistenza rispetto a barbatelle
che abbiano sofferto siccità e carenze minerali.
La fertirrigazione rispetto alla concimazione granulare tradizionale presenta il vantaggio di poter apportare i nutrimenti in funzione dell’accrescimento. E’
dimostrato come anche una fertilizzazione granulare più
frazionata possibile garantisca migliori risultati (Porro et
al, 2009), pertanto risulta evidente come la fertirrigazione
rappresenti il modo migliore e più efficace in assoluto per
frazionare l’apporto degli elementi nutritivi in funzione
dei fabbisogni del vigneto.
Il presupposto fondamentale per poter effettuare una fertirrigazione ottimale è la conoscenza a priori delle curve
di assorbimento della coltura e contemporaneamente dei
suoi fabbisogni idrici, in modo da far coincidere il più
possibile la nutrizione minerale con quella idrica.
Un altro dei fattori che rende in molte situazioni la pratica della fertirrigazione molto conveniente è la possibilità
di intervenire con tempestività nella nutrizione. In molti
areali vitivinicoli la coltivazione su terreni tendenzialmente argillosi o ricchi di limo non consente in molte
Perché fertirrigare: vantaggi riscontrati
Un impianto a goccia anche se utilizzato solo per una
irrigazione di qualità si ripaga nei primi 4-5 anni dell’investimento iniziale, grazie soprattutto al maggiore e più
uniforme attecchimento delle barbatelle (Zuccari, 2006);
possiamo ipotizzare che, utilizzandolo sin dall’inizio anche per nutrire le viti attraverso la fertirrigazione, possa
all’incirca dimezzare i tempi di ritorno dell’investimento.
16
Una centralina per la fertirrigazione
Viticoltura
annate di intervenire nel momento ideale con la concimazione granulare, perché proprio in quel periodo
abbondanti precipitazioni rendono i terreni impraticabili. Questo costringe spesso gli operatori ad intervenire con le concimazioni granulari quando ormai è
troppo tardi affinché gli elementi apportati si rendano
disponibili al vigneto nei giusti tempi.
Anche per quanto riguarda i costi, questa pratica non si
discosta molto da quelli che si devono affrontare per una
concimazione granulare, possiamo affermare che in generale la fertirrigazione, laddove siano presenti impianti a
goccia, incide allo stesso modo di una concimazione granulare.
Ma se consideriamo aziende nelle quali la concimazione granulare viene frazionata con due o più passaggi,
e se consideriamo come una corretta fertirrigazione
riduca notevolmente fino ad eliminare gli interventi di concimazione fogliare, essa rappresenta sicuramente una pratica agricola che consente un discreto
risparmio economico nella gestione del vigneto. Anche
i maggiori costi dovuti ai numerosi interventi che si rendono necessari possono essere abbattuti oggi con l’adozione di sistemi di automazioni in grado di gestire quasi
completamente in remoto le operazioni di miscelazione
ed iniezione dei fertilizzanti nell’impianto.
A proposito del numero di interventi va sottolineato come,
lavorando in fertirrigazione con un numero di interventi
che possono variare da un minimo di 6-8 nei terreni più
pesanti fini anche a 12-14 interventi in quelli più leggeri, siamo in grado di ridurre le quantità complessive
di unità fertilizzanti apportate rispetto ad una concimazione granulare, nella quale per forza di cose si deve
sempre tener conto delle notevoli perdite per dilavamento che si hanno dal momento dell’intervento a quando la
coltura comincia ad utilizzare gli elementi distribuiti.
Pertanto non ultimo è il vantaggio dal punto di vista
ambientale che ne consegue, riducendo le perdite di
fertilizzanti per dilavamento e di conseguenza l’inquinamento ambientale nelle falde acquifere che spesso
si registra con le concimazioni granulari.
Oltre all’utilizzo di concimi minerali idrosolubili, che è
fondamentale siano di buona qualità, al fine di non incorrere in problemi legati alla solubilità che possono complicare le operazioni di miscelazione e creare occlusioni negli
impianti, è possibile utilizzare anche concimi organici
idrosolubili, autorizzati anche per i vigneti coltivati in
regime biologico.
Infine va sottolineato come la fertirrigazione possa assumere un ruolo importante condizionando la freschezza e la formazione di aromi nei vini, in particolare sui
bianchi, rosati e spumanti, ma anche in molte varietà
destinate a vini rossi, soprattutto in relazione alla formazione di aminoacidi nella bacca.
Diverse prove sperimentali sono tuttora in corso su questo tema.
Effetti positivi si riscontrano inoltre anche sulle quantità
di uva per ceppo e sulla sanità delle uve, oltre che sulla
gradazione zuccherina (°Brix), sulla acidità titolabile e
sull’APA (Bigot et al, 2010)
Fertirrigazione: esperienze in atto
Di fondamentale importanza è l’approfondimento degli
argomenti fin qui trattati, dal momento che questa pratica
sul vigneto, almeno in Italia, si può considerare di nuova introduzione. Pertanto va sottolineato ed apprezzato
come alcune importanti Aziende vitivinicole e/o Centri
di Ricerca si stiano attivando in tal senso, impostando
prove sperimentali in varie areali e su diverse varietà dove
l’obiettivo generale è mettere a confronto diverse tesi di
fertirrigazione con apporti diversi di elementi nutritivi
verso una tesi testimone che è normalmente rappresentata dalla concimazione granulare tradizionalmente fino ad
oggi eseguita e/o talvolta anche con concimazioni granulari che vedano l’apporto di concimi specifici a rilascio
controllato.
In questa sede si riportano alcune di queste esperienze in
corso:
1. La Tecnica della Fertirrigazione per il raggiungimento
di Specifici Obbiettivi Produttivi ed Enologici su Pinot
grigio con diversi Portinnesti nell’areale Isontino – Az.
Tenimenti Angelini ( ex Puiatti) – Romans d’Isonzo
(GO) – Referente: Bigot G.
2. La fertirrigazione nella zona Doc Piave - Aziende viticole nella zona di Spresiano e Marene del Piave (TV)
– CRA-VIT – Referente: Tomasi D.
3. Vini Rossi Internazionali - Più aziende , una per Provincia - Merlara (PD), Belfiore (VR) e Lonigo (VC) CRA-VIT e Veneto Agricoltura
4. Prove di fertirrigazione su uve per vini rossi e rosati
– Tenuta la Lodola Nuova di Ruffino – Cortona (AR) –
Referenti: Fasoli V. e Zuccari D.
Conclusioni
I vantaggi di questa pratica sono molti: agronomici, enologici, economici e persino ecologici. Tuttavia molto deve
essere ancora fatto al fine di divulgarla e soprattutto è
fondamentale la messa a punto dei diversi protocolli applicativi che consentano di adattare la tecnica ai diversi
obiettivi enologici, in modo da poter incidere quanto più
possibile, attraverso la fertirrigazione, sui parametri organolettici del prodotto finale.
A queste condizioni un impianto di irrigazione a goccia e
fertirrigazione è sicuramente uno strumento molto efficace per produrre ogni anno uve di elevata qualità.
Zuccari D. (2006) Costi e benefici dell’irrigazione a goccia del vigneto.
VQ 5: 38-46.
Porro D., Dorigatti C., (2009) – Meglio concimare la vite con apporti
frazionati. L’Informatore Agrario 9: 27-47.
Bigot G, Deledda F, Corbatto M., Pavan G., Schippa M. (2010) La tecnica della fertirrigazione per il raggiungimento di specifici obiettivi produttivi ed enologici su Pinot grigio con diversi portinnesti nell’areale Isontino.
Atti CONAVI 2010
17
Viticoltura
“Ascoltare” la pianta
Vigna, ricerca, ambiente, vino. Un convegno a Conegliano.
U
n interessante convegno tecnico sulla viticoltura
contemporanea si è svolto lo scorso 21 gennaio a
Conegliano. Ad organizzarlo è stato il gruppo “Simonit & Sirch preparatori d’uva”. Marco Simonit e Pier
Paolo Sirch sono due tecnici viticoli friulani molto conosciuti in tutta Italia, che hanno sviluppato nel corso di diversi anni un metodo cosiddetto di “potatura ramificata”, il
cui scopo principale è tutelare la salute della pianta, in particolare dei suoi vasi conduttori, e prolungarne la vita. Simonit e Sirch contano oggi su una squadra numerosa di
collaboratori e, oltre ad offrire alle imprese servizi di consulenza tecnica, formazione professionale e operazioni colturali, hanno fondato diverse “scuole di potatura della vite”
che offrono ogni anno seminari teorico-pratici in cui si illustra il loro metodo. In apertura il moderatore Carlo Cambi
ha definito un vigneto da 15.000 viti per ettaro un “campo
di concentramento”: quasi un annuncio che qualche dogma della viticoltura moderna sarebbe stato messo in discussione. Cambi ha citato le viti plurisecolari di qualche hortus
conclusus, protetto da mura di antichi conventi: piante di
grande sviluppo, alle quali è stato lasciato spazio per crescere e ramificarsi. “Abbiamo cominciato con l’imitare i vini
degli altri – ha detto ancora Cambi – per poi passare ad
imitare i vigneti degli altri, invece di preservare la nostra
originalità”. Diego Tomasi, ricercatore del CRA-VIT di Conegliano, ha tracciato un inquadramento della viticoltura in
provincia di Treviso con le sue diverse zone geo-pedologiche e climatiche, soffermandosi su alcune prove comparative tra diverse forme di allevamento, realizzate su vitigni
diversi e su terreni diversi (dal volume “Delle terre del Piave: uve, vini e paesaggi”, CRA-VIT). La prevedibile conclusione è che non esiste un vigneto modello per tutte le situazioni. Ad esempio su Merlot e Carmenére il Guyot abbinato
a densità piuttosto elevate ha dato buoni risultati qualitativi
ma a prezzo di un notevole impegno nella gestione, il Bellussi ha prodotto in modo costante e con pochi scarti qualitativi tra un’annata e l’altra, il Sylvoz invece si è dimostrato
molto sensibile all’effetto annata. Sulle argille di Campo di
Pietra una prova su Pinot grigio ha mostrato che l’infitti-
Secondo Simonit la potatura ramificata (sinistra) consente di evitare
l’ostruzione dei vasi da parte del legno morto (destra).
18
di
maurizio gily
mento non solo ha depresso la produzione, ma anche la
presenza di precursori aromatici. Il relatore ha concluso
proponendo alcuni interrogativi volti a rivisitare il concetto
di infittimento degli impianti, abbinato molto spesso a severi tagli di potatura annuali; nel considerare con maggior
attenzione la longevità del vigneto; nel rispettare la genetica
del vitigno e il suo adattamento al terroir con una gestione
annuale meno assistita. Roberto Causin, patologo dell’università di Padova, ha trattato il tema delle malattie del legno; poiché esse sono una causa primaria di morte delle
piante, o della loro obsolescenza economica, contrastarle
adeguatamente rende effettivamente più longevo il vigneto.
Le malattie del legno sono molte, oltre alle più citate come
l’Esca. Due punti critici di particolare importanza sono, ha
spiegato Causin, le ferite del legno e la filiera vivaistica. La
vite non è in grado di chiudere le ferite con una produzione
di corteccia, come fanno altre piante, ma esiste comunque
una reazione, con produzione di gomme, tille (cioè cellule
allungate di riempimento) e tessuti di cicatrizzazione. Tale
reazione però non avviene quando la vite è in riposo, quindi la raccomandazione è di effettuare meno tagli possibile,
in particolare su legno vecchio, e, se inevitabili, non farli in
pieno inverno ma ad avvenuto risveglio vegetativo. Il prof.
Attilio Scienza ha raccontato brevemente la storia evolutiva della vite e di come essa abbia mantenuto, malgrado la
pressione selettiva dell’uomo e la sua forzatura in una coltura specializzata, i caratteri fisiologici di una liana, cioè di
una pianta che si arrampica sugli alberi. Tra questi caratteri
la grande capacità metabolica, quindi la velocità di crescita
e la capacità di trasportare la linfa grezza a grandi altezze
superando pressioni contrarie elevate. Contrariamente ad
altre piante arboree la vite non produce un callo di cicatrizzazione annuale, per la caratteristica delle liane di eliminare
tutti gli anni attraverso il fellogene (il cambio secondario
esterno) le strutture anatomiche più esterne (ritidoma). Per
questo motivo quelli che sembrano i cerchi di crescita annuali all’interno del cilindro centrale di una struttura secondaria sono in realtà dovuti al differente sviluppo dei
vasi nel corso della primavera-estate e negli anni in funzione della diversa disponibilità idrica. Ma da questi segni non
si può risalire all’età della vite. La “costrizione” di questa
pianta entro modelli viticoli adatti alla coltivazione comporta in alcuni casi una perdita parziale di questa efficienza.
La “tillosi”, una delle cause di parziale ostruzione dei vasi
da parte di cellule allungate, è una risposta della pianta a
condizioni di stress idrico favorito da ambienti più luminosi di quelli che la vite selvatica frequenta in natura. La produzione di gel e gomme è una risposta ad operazioni di
manipolazione della chioma che talvolta può incidere sulla
capacità di trasporto dei vasi. Ma è soprattutto la mancanza
di un tessuto cicatriziale sul taglio di tessuti vecchi che,
causando la formazione dei coni di disseccamento, porta
alla formazione delle carie profonde che spesso vengono
Viticoltura
confuse con l’esca, ma sono ben altra cosa e sono i maggiori responsabili della riduzione della circolazione all’interno
di viti vecchie. Ed è venuto il momento di Marco Simonit
che, proprio riallacciandosi a quest’ultima considerazione,
ha spiegato la tecnica della potatura ramificata o “potatura
soffice” e di come questa tecnica consenta di mantenere più
sana la struttura della pianta e di prolungarne così la vita,
evitando da un lato le occlusioni dei vasi derivanti dai “coni
di cicatrizzazione”, porzioni di legno necrotizzato che si
formano a monte dei tagli effettuati, dall’altro l’ingresso di
parassiti fungini. Il principio è quello di non effettuare tagli
su legno di oltre due anni. I tecnici friulani affermano modestamente di non aver inventato nulla, ma di aver studiato
e rielaborato conoscenze agronomiche e tradizioni viticole
antiche, osservate in contesti diversi. In effetti il principio
del rispetto del legno “vecchio” è noto da tempo. Il problema è che in passato la manodopera abbondava, era esperta
e qualificata, e la pianta poteva essere lasciata più libera di
crescere in varie direzioni, perché non c’erano particolari
esigenze di meccanizzazione e di “razionalizzazione” degli
impianti: sono proprio queste esigenze, in genere, alla base
dei cosiddetti “tagli di ritorno”. In effetti a mio avviso il
merito dei “preparatori d’uva” è quello di aver messo a punto un insieme di tecniche grazie alle quali un principio antico viene applicato ai modelli viticoli moderni, nei quali
sembrava difficile applicarlo. Per conoscere tali tecniche nel
dettaglio è possibile frequentare i loro corsi (www.preparatoriuva.com): ci sono anche diversi video su “youtube”.
Una cosa che Simonit ha sottolineato è che, per rispettare il
legno evitando i tagli di ritorno, occorre accettare il fatto
che una pianta non può mantenere la stessa forma e dimen-
Sviluppo controllato e continuità dei vasi linfatici
su cordone speronato (a) e Guyot (b) [da www.simonitesirch.it]
sione per tutta la sua vita produttiva, e a questo occorre
pensare già al momento dell’impianto. Evitando, ad esempio, una distanza sula fila troppo ravvicinata, e considerando attentamente anche il vigore del vitigno e la fertilità del
suolo. Gli ultimi interventi sono venuti da due esperti stranieri, lo svizzero François Murisier, vicepresidente
dell’OIV, che ha illustrato alcune linee guida per una viticoltura sostenibile, su cui sta lavorando l’Organizzazione
elaborando esperienze viticole di tutto il mondo, e il professore di enologia di Bordeaux (nonché consulente e produttore) Denis Dubourdieu, che ha parlato del “valore del
vino tra natura e cultura”. Dubourdieu è ricco di immaginazione e spesso provocatorio. Ecco qualche sua perla: “Il fast
food ha messo lo zucchero in tutti i cibi, il fast wine ha
messo lo zucchero in tutti vini”. “Un grande vino non è
tutto il frutto, ma la sua parte migliore. L’estrazione selettiva
è preferibile all’estrazione totale”. “Il terroir non è una fortuna, ma un handicap terribile, superato dall’uomo. Dove
fare il vino è facile si fanno vini noiosi” (Dubourdieu si riallaccia alla scuola degli scienziati dei paesi “freddi”, da Peynaud a Jackson, secondo cui i vini migliori si fanno in condizioni limite di coltivazione della vite).
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19
Enologia
CHI TI HA INVITATO,
BRETT?
di
tony scott
I difetti olfattivi causati dai Brettanomyces a volte si presentano mesi dopo l’imbottigliamento, causando grossi
problemi ai produttori. Uno studio australiano individua possibili cause e prevenzione.
L
’etilfenolo e l’etilguaiacolo sono sostanze volatili
con una bassissima soglia olfattiva, tanto che una
concentrazione tra i 400 e i 600 microgrammi per
litro di Etilfenolo (millesimo di milligrammo) è percepita
dalla maggior parte dei degustatori come un difetto e una
spoliazione dei caratteri di fruttato e freschezza, con differenze che dipendono sia dalla soggettività del degustatore
che dalle caratteristiche del vino.
I descrittori utilizzati per descrivere questo difetto vanno dal medicinale alla stalla equina, e sono sintetizzati
dall’espressione “carattere Brett”. La produzione di etilfenoli da parte dei lieviti del genere Brettanomyces, può
avvenire, talvolta, anche in vini già imbottigliati. In Australia alcuni produttori hanno riscontrato differenze tra i
vini della stessa partita, conservati nei propri magazzini,
che non presentavano il difetto, e quelli esportati in Asia e
USA, dove essi sono stati contestati per la presenza del carattere Brett. Rispondendo alle sollecitazioni della filiera
L’Australian Wine Research Institute, tramite il suo servizio WES (Winemaking and Extension Service, il braccio
operativo che si occupa delle sperimentazioni applicate e
di immediata ricaduta pratica) ha condotto uno studio per
individuare cause e mezzi di prevenzione. In un articolo pubblicato sulla rivista Practical Winery and Vineyard
Adrian Coulter dell’AWRI ne sintetizza i risultati. Tra le
partite di vino problematiche l’AWRI ha individuato due
diversi “scenari”: in un caso il difetto era presente in tutte
le bottiglie, con differenze nel contenuto di EF (etilfenolo)
distribuite in un intervallo 600-1200 μg/l; nel secondo
caso (scenario B) vi erano differenze più marcate tra i campioni, con contenuti in EF che andavano da meno di 100
a oltre 2500 μg/l di EF. Quali fattori favoriscono lo sviluppo del difetto, e perché differenze tanto vistose all’interno
Vino
1
2
3
4
5
20
EF minimo
EF massimo
media del gruppo “basso EF”
EF massimo
media del gruppo “basso EF”
media del gruppo “alto EF”
campione tappo a vite
media dei campioni
media del gruppo “basso EF”
media del gruppo “alto EF”
etilfenolo
Z (G+F)
µg/l
87
0,7
2050
0,1
84
0,3
1590
n.d.
455
0,9
1399
0,6
34
0,5
1287
0,1
792
0,1
1185
0,3
dello stesso lotto (vedi tabella)? La tabella mostra una
riduzione degli zuccheri residui (Glucosio + Fruttosio) in
linea generale coerente con la presenza e intensità della
contaminazione da Brett.
Questo suggerisce che gli zuccheri residui siano un substrato importante per lo sviluppo e l’attività dei microrganismi. Sulla base dei dati raccolti parrebbe che 300 mg/l
di zuccheri siano un substrato sufficiente per lo sviluppo
di 1000 μg/l di EF (secondo un lavoro francese, di Chatonnet et al, da 275 mg/l di zuccheri residui si producono
425 μg/l di EF). In verità questa informazione non è di
grande utilità, perché raramente le fermentazioni consumano interamente gli zuccheri e livelli di residui fino a 1
grammo/litro sono considerati pressoché normali in un
vino secco.
È tuttavia probabile che vini con residui zuccherini più
consistenti, oltre 1,5-2 g/l, siano più facilmente soggetti
all’azione dei Brett. Un altro elemento capace di influenzare il fenomeno pare essere l’ossigeno disponibile. Sebbene i Brettanomyces siano anaerobi facoltativi, l’ossigeno
ne influenza positivamente il metabolismo e in particolare
la moltiplicazione cellulare.
Poche cellule presenti possono dare origine in bottiglia a
popolazioni consistenti, in presenza di sufficienti livelli di
ossigeno e bassi livelli di SO2 in forma molecolare, segnatamente con temperature di 20 gradi o più.
Il ruolo dell’ossigeno sarebbe la spiegazione del “variable
Brett” osservato in bottiglie tappate con sughero: in base
a questa teoria, siccome i tappi di sughero non sono uniformi tra loro nei valori di OTR (Oxygen trasnfer rate,
permeabilità all’ossigeno) i campioni più difettati sarebbero quelli nei quali la chiusura ha consentito una maggior
penetrazione di ossigeno post-imbottigliamento.
Si nota in tabella il basso livello di EF nel campione tappato
a vite. In conclusione i suggerimenti principali per evitare
il problema si possono così riassumere: evitare chiusure
con elevati OTR (se si usa il sughero, scegliere sugheri
di qualità e ad alta densità o tappi tecnici a bassa OTR)
e limitare l’ingresso di ossigeno in fase di riempimento;
assicurare livelli sufficienti di SO2 libera in relazione al
pH del vino e al suo stato di ossidoriduzione; effettuare
analisi microbiologiche pre e post imbottigliamento per
rilevare le cellule vitali di Brettanomyces; la microfiltrazione le trattiene (per i Brett è sufficiente la membrana da
0,60μ, e anche quella da 1μ ne elimina la massima parte)
e costituisce quindi un efficace mezzo di prevenzione.
Una filosofia Jean-Charles Vicard
"L’unione del vino e
del suo territorio con
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Legislazione
Novità legislative
La UE ha deciso: il vino biologico esiste
L
a decisione che disincaglia il percorso del vino “biologico” è giunta da Bruxelles l’8 febbraio. Come
noto fino ad oggi non si poteva scrivere “biologico” in etichetta ma solo “da uve da agricoltura biologica”,
perché la fase di trasformazione non era regolamentata,
e non era lecito utilizzare il logo europeo del “bio”. Lo
scoglio dei limiti di solfiti, punto cruciale della discussione, è stato superato con un compromesso al ribasso, o al
rialzo, a seconda dei punti di vista. Infatti i paesi del nord
volevano limiti invariati rispetto al convenzionale, i paesi
mediterranei proponevano la metà (e per molti produttori
era già troppo). Il testo finale prevede un tenore massimo
di solfito che per il vino rosso è fissato a 100 mg per litro
(150 mg/l per il vino convenzionale) e per il vino bianco/
rosé a 150mg/l (200 mg/l per il vino convenzionale), con
un differenziale di 30mg/l quando il tenore di zucchero
residuo è superiore a 2 g/l. I produttori biologici e biodi-
namici più radicali lo considerano un tradimento. “Come
tutti i compromessi politici il risultato non farà felice nessuno, ma tutti saremo un po’ meno scontenti - commenta
Cristina Micheloni, del comitato scientifico AIAB e già coordinatrice di ORWINE -.
Oggi è importante poter parlare chiaramente di vino biologico, avendo definito le norme per il vigneto e per la
cantina, e da domani si potrà iniziare a lavorare per il miglioramento del regolamento stesso.”
Il regolamento entrerà in vigore da subito e prevede la
possibilità di etichettare come bio anche il vino delle annate precedenti, purché se ne possa dimostrare la conformità alle norme europee. Oltre al presunto tradimento sui
solfiti alcuni produttori biologici, biodinamici, “naturali”
contestano tutta una serie di coadiuvanti e additivi ammessi per il vino biologico.
Una posizione comprensibile da parte di chi si vanta di
produrre vino “solo con l’uva” e vorrebbe quindi regole
più severe. Ma, d’altra parte, tutta la normativa quadro
22
LA REDAZIONE
sull’agricoltura biologica si ispira ad un unico, semplice
criterio: l’esclusione delle molecole di sintesi.
Quindi tutto ciò che è di origine naturale (vegetale, animale o minerale), e autorizzato sulla rispettiva coltura, di
fatto è ammesso nel biologico. Spetta ai produttori darsi,
eventualmente, regole più severe.
Definire in modo più preciso, ad esempio, cosa si intenda per “vino naturale”, perché se è vero che esiste un
mercato per questo prodotto, è anche vero che i consumatori avrebbero il diritto di sapere cosa vuol dire.
Per chi volesse approfondire o intervenire su questo argomento in rete c’è un “post” del direttore di Millevigne
Maurizio Gily sul blog Millevigneblog .
È legge: il vino si paga a 60 giorni
I lettori ricorderanno il servizio su Millevigne 5/2011 sui
tempi di pagamento (Cliente che non paga vince?) Come
scrisse allora Monica Pisciella esiste una direttiva comunitaria che l’Italia non aveva recepito.
Ora, con la pubblicazione del “Decreto sulle liberalizzazioni” (G.U. n°19 del 24/1/2012) del governo Monti, di
cui già demmo notizia sul numero scorso, è entrata in vigore la norma che interviene direttamente sui termini di
pagamento dei prodotti agroalimentari.
La norma di cui all’art. 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) si applica ai rapporti con tutti gli operatori
commerciali, dalla grande distribuzione ai ristoranti. Il
termine massimo per il pagamento dei prodotti deperibili
è 30 giorni, e diventa 60 per quelli non deperibili. Il mancato rispetto del pagamento da parte del debitore “è punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a
euro 500.000. L’entità della sanzione viene determinata in
ragione del fatturato dell’azienda, della ricorrenza e della
misura dei ritardi”. Più gli interessi di mora che decorrono
dal 61esimo giorno. Incaricata della vigilanza sull’applicazione delle disposizioni e all’irrogazione delle sanzioni è
l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato con il
supporto operativo della Guardia di Finanza. All’accerta-
Agenti per l’estero: attendi al bidone!
Diversi produttori di vino e altri prodotti sono caduti nella rete di una società che si propone come intermediario
per la distribuzione all’estero, prevedendo provvigioni “per
obiettivi di mercato raggiunti”; salvo scoprire che, sulla
base di una clausola contrattuale ben celata tra le righe,
dopo un anno in cui non è stata venduta una sola bottiglia,
una consistente quota di intermediazione deve essere pagata comunque.
Un gruppo di produttori raggirati sta valutando la possibilità di una causa collettiva. Chi fosse inciampato nel tranello
e fosse interessato a partecipare all’azione legale può scrivere a Millevigne.
Legislazione
mento delle violazioni l’Autorità provvede d’ufficio o su
segnalazione di qualunque soggetto interessato. Il decreto non è ancora stato convertito in legge dalle Camere
quindi potrebbe subire modifiche.
”Contiene uova” in etichetta? Allergeni,
nuovo, inutile incubo
Da giugno le etichette dei vini europei (ma non quelle dei
vini di altri paesi …) dovranno indicare, oltre alla presenza di solfiti, quella eventuale di derivati del latte delle uova
in quanto potenzialmente allergenici per alcune persone.
Parliamo delle “chiare” d’uovo tradizionalmente impiegate per la chiarifica dei vini a fine invecchiamento, oggi
per lo più sostituite da derivati pronti all’uso, dei caseinati, anche essi diffusi come coadiuvanti di chiarifica (mai
come additivi), e di un enzima, il lisozima, utilizzato talora come antibatterico. Da rilevare che la bibliografia
scientifica non riporta un solo caso clinico al mondo di
reazione allergica da derivati di proteine animali in un
vino, ma questo pare non bastare ai salutisti più radicali,
e naturalmente a farne le spese saranno i produttori, che
si vedranno costretti a escludere queste sostanze naturali
e innocue dal processo produttivo, oppure a scrivere in
etichetta “contiene derivati del latte” o “delle uova”, con
effetti devastanti sull’immagine del prodotto. Una possibile scappatoia, che ha un precedente nella legislazione
canadese, sarebbe quella di certificare con un’analisi di
laboratorio l’assenza di residui dosabili sui vini che hanno
subito questi trattamenti ed evitare così l’indicazione in
etichetta. Questa sarebbe la linea del nostro Ministero per
le Politiche Agricole.
La Russia “declasserà” i vini arricchiti?
Le autorità russe stanno valutando un provvedimento in
base al quale i vini la cui gradazione alcolica è stata aumentata artificialmente con l’arricchimento dei mosti con
saccarosio o mosto concentrato passerebbero dalla categoria “wine” a quella “wine beverage”, bevanda di vino.
Questo comporterebbe, oltre ad una nuova etichettatura
deleteria all’immagine di questi prodotti, anche un forte
aumento delle accise fiscali. Secondo FederMosti in Italia
il 60% del vino è arricchito.
Un dato che, se vero, sarebbe preoccupante. In verità
diversi fattori, dal riscaldamento climatico alla progressiva riduzione degli aiuti al MCR (che scompariranno del
tutto), stanno riducendo sempre più il ricorso a questa
pratica in Italia.
IL COACHING PER IL VINO
Il nuovo servizio di Enocontrol
per i produttori di vino
Enocontro scarl - Corso Enotria, 2/C - 12051 Alba (CN) - Tel. 0173 361501 - Fax 0173 364874 - www.enocontrol.com
In questo periodo di crisi economica particolarmente impegnativa, in cui il mercato del vino sta evolvendo a
velocità sostenuta, agli operatori del settore sono richiesti rinnovate abilità personali e imprenditoriali.
Mai come ora è determinante dare il meglio, sia a livello personale che di team, che si parli di una grande azienda o di una piccola cantina a conduzione famigliare.
Occorrono obiettivi chiari, piani di azione efficaci e motivazione costante, senza abbandonarsi alle inevitabili
paure e al facile vittimismo.
Occorre cambiare schemi di pensiero e predisporsi all’innovazione: andare oltre al “fare conosciuto” e iniziare a
“fare qualcosa di diverso”, sviluppando le risorse interne di ciascuno, anche nella gestione emotiva degli impegni quotidiani.
Il laboratorio Enocontrol ha deciso di offrire nuovi strumenti di crescita personale e di business, attivando un
servizio di coaching dedicato ai propri clienti e ai produttori del Piemonte.
Proposto in collaborazione con la dott.ssa Gabriela Tirino consulente aziendale e business coach con esperienza nel settore enologico, il nuovo servizio sarà presentato il prossimo 20 aprile alle ore 16,30, in occasione
dell’inaugurazione in Enocontrol, presso l’Ampelion di Alba, del nuovo laboratorio microbiologico.
In tale occasione sarà illustrato con esempi pratici come opera un coach in azienda e verranno presentate le iniziative formative interaziendali per il 2012, come ad esempio il coaching applicato alla vendita, all’innovazione,
alla gestione del tempo e dello stress e alla comunicazione efficace in pubblico.
23
Economia
Le prospettive del
commercio Online
di
KATRIN WALTER
Lo scopo finale per una cantina che produce del vino è ovviamente di vendere il proprio prodotto. Sarebbe un
errore però pensare al solo commercio online quando si parla di internet.
Internet non è solo vendita, ma soprattutto il mezzo d’informazione per eccellenza e aumenta la notorietà su
tutti i canali anche offline, come confermato da una recente indagine effettuata da Netcomm, il Consorzio del
Commercio Elettronico Italiano.
Il ruolo della rete per il commercio
La fase di acquisto
N
Questa fase vede prevalere il canale fisico (69%) contro
un 30% che fa shopping in rete, con un totale di più di 10
milioni di acquirenti online in Italia. Queste persone scelgono internet soprattutto perché offre loro ampia scelta di
prodotti e offerte (64%), trova il miglior rapporto qualitàprezzo (57%) e consente di scegliere la forma di pagamento preferita (36%), sfatando dunque la ritrosia degli
Italiani nei confronti dell’ecommerce per la poca sicurezza
dei pagamenti online. I motivi più forti a favore del rivenditore tradizionale sono, invece, la massima visibilità dei
prodotti da acquistare (74%), la disponibilità immediata
della merce (50%, contro il 35% dell’e-shop) e il fatto di
ricevere consigli, supporto e assistenza durante l’acquisto
(50%, contro solo il 18% online). Viceversa, il 45% degli
intervistati si informa offline e poi compra online.
Anche se questa indagine esaminava prodotti diversi dal
vino, siamo portati a credere che queste percentuali non
si discostino da quelle relative al settore acquisto online di
vino, in quanto le sue caratteristiche sono simili a quelle
dei prodotti presi in esame: si può descrivere abbastanza
bene, si possono conoscere i punteggi riservati dalle varie
guide e degustazioni professionali e ci sono servizi efficienti e sicuri per il trasporto e la consegna delle bottiglie.
el commercio elettronico in Italia sono occupate
meno aziende rispetto alla media europea, che si
attesta al 15%. I paesi più aperti a questo canale di
vendita arrivano al 25-30%, in Italia si è fermi al 5% (dati
Netcomm). In Italia sono oggi circa 33 milioni gli utenti
in rete (tedeschi ca. 70 milioni) che utilizzano la rete sia
per fare acquisti, sia per cercare informazioni. Circa un
65% degli utenti internet Italiani prima di fare acquisti
online sfrutta contemporaneamente il web e i canali tradizionali; soltanto un 17% utilizza esclusivamente il canale online in tutte le fasi del processo, mentre un 18%
è totalmente refrattario alla rete. Questi sono i risultati di
un’indagine presentata dal presidente di Netcomm, Professor Roberto Liscia, al Multichannel Commerce Forum
in ottobre 2011.
La fase di pre-acquisto
In questa fase vince chiaramente internet, utilizzato in media
dal 55% degli intervistati. Segue un 26% che si reca direttamente nei punti vendita, un 10% che si rivolge alla stampa,
il 6% che si fida del passaparola e un 3% che preferisce la tv.
Fra coloro che s’informano online, lo strumento più utilizzato sono i siti internet di settore e i blog di settore (20%),
seguiti dai motori di ricerca (18%), e-mail, siti di Ecommerce e solo l’1% si affida al social network.
Il cliente multicanale
L’online e l’offline si integrano e si intrecciano sempre di
più e l’azienda che avrà successo in futuro sarà quella che
saprà coniugare bene i diversi canali perché , come sottolineava in maniera rilevante lo stesso professor Liscia
in un’intervista trasmessa recentemente su Radio24: “Chi
non è online perde vendite anche offline, diminuisce la
propria visibilità e perde il potenziale di crescita. Invece
chi ha investito nella sua visibilità online ha aumentato le
sue vendite tra il 4 e 5% e ampliato la sua penetrazione
all’estero. Non impegnarsi online fa perdere competitività anche al Made in Italy poiché non vengono gestite le
vendite dei prodotti e brand italiani sui mercati esteri. In
America si è registrato addirittura un miglioramento del
conto economico pari al 15% per le aziende più brave
24
Economia
a gestire la multicanalità (molti canali in alta qualità)”.
Questi dati dovrebbero servire ad “aprire gli occhi” a chi
teme con l’attività online di disturbare i canali di vendita
tradizionali. La presenza del proprio prodotto sul web non
significa cannibalizzare le vendite tradizionali ma al contrario incentivarle fornendo quelle informazioni importanti che le persone cercano nella fase del pre-acquisto.
Infatti online si può dare maggior autorevolezza al proprio prodotto (il vino) mettendo a disposizione referenze
e fonti di informazione esattamente nel momento in cui il
potenziale cliente ne fa richiesta.
Il cambiamento del paradigma
Naturalmente se una persona non beve vino non riusciremo a convertirla neanche tramite il web, ma potremo
perlomeno cercare di far nascere in lei un interesse per il
nostro prodotto, perciò è indispensabile farci trovare in
rete in questa fase, 24 ore su 24.
Per esempio: vorrei comprare una videocamera e mi viene
detto che la SonyXY è buona.
Cerco in rete e arrivo a piattaforme in cui vengono valutati
e quotati i diversi prodotti di quella marca, arrivo anche al
sito del produttore con la sua descrizione e arrivo a qualche forum, blog o social, dove si discutono dei vantaggi
e degli svantaggi. Nel momento in cui trovo delle valutazioni indipendenti posso confrontarle con le mie esigenze
e poi scelgo di comprarlo e questo non sarà necessariamente online: lo compro al mio negozio tradizionale preferito o in un online-shop diverso dal sito, dove ho trovato
una buona valutazione del prodotto. Però se non trovo
informazioni rimarrò scettico e probabilmente cambierò
idea sul tipo di marca.
Questo esempio evidenzia che posso comprare online o
offline senza che sia possibile individuare dove è nato il
mio desiderio per l’acquisto. Come si vede non esiste per
forza sempre un legame tra il fattore scatenante del desiderio di comprare un prodotto e l’acquisto. Perciò non
è neanche sempre facile analizzare quale presenza, click
o link ha portato all’ultima preferenza per uno o l’altro
prodotto.
Dato questo nuovo paradigma non si dovrebbe perciò trascurare la necessità di essere presenti in rete e portali del
settore. Per dimostrarlo meglio ecco un altro paragone:
se nella piazza del paese il bar apre solo qualche volta la
settimana, se i negozi hanno un orario limitato, sempre
meno persone si recheranno in quella piazza. Questo vale
anche per internet. Se sul tuo sito o sul tuo profilo in un
altro sito (la piazza) non succede niente (manca nuovo
contenuto), non ci andrà più nessuno. In rete questo viene
rilevato addirittura automaticamente dai motori di ricerca.
La differenza rilevante è che mentre la piazza nel paese rimane sempre nell’indirizzario della mappa della cittadina,
l’indirizzo del tuo sito non verrà più indicizzato come rilevante e sarà tolto dai SERP (search engine results pages).
Lo stesso succede per esempio anche con i siti qualificati
che recensiscono vini, con le pagine di quelle cantine che
non inviano ogni anno i nuovi campioni per le degustazioni e si accontentano di essere stati citati una volta sola:
queste sottopagine verranno “dimenticate”.
E-commerce per la cantina?
La risposta alla domanda se si debba necessariamente
aprire un negozio online sul proprio sito è difficile. In
ogni caso chi intende farlo deve pensare a un sistema per
gestire il negozio che sia relativamente facile da indicizzare
per i motori di ricerca (la mancanza più grave della maggior parte dei software per gli online-shops), in quanto
non avrebbe senso avere un negozio che non si trova nei
motori di ricerca e di conseguenza non raggiunge i potenziali clienti. E’ necessario poi predisporre diversi sistemi
per il pagamento, la logistica, il rispetto delle leggi per i
diritti dei consumatori e la protezione dei dati, le garanzie
successive all’acquisto – esempio del vino che sa di tappoe il listino dei prezzi online che non deve penalizzare gli
altri canali di vendita. Ognuno deve fare i propri calcoli e
vedere se vale la pena per un assortimento di 10 vini creare un proprio shop o se non sia più proficuo rispondere
in tempi brevi alle mail ed evadere gli ordini, impegnando
le proprie risorse per aumentare la notorietà del sito e
dei prodotti nella rete con gli strumenti a disposizione
e tramite i siti (portali leader per il tema del vino) che
garantiscano da subito molta visibilità, la quale si riesce
ad acquistare altrimenti solo con un budget consistente e
con tanti anni di lavoro. Per vendere il proprio vino non
serve per forza un negozio online ma serve prima di tutto
far conoscere la nostra cantina anche e soprattutto online,
dato il mutare delle dinamiche di acquisto come abbiamo
spiegato sopra. In caso contrario si perde in presenza, visibilità, raggiungibilità e – di conseguenza – in occasioni
di vendita. Come semplice soluzione viene oggi propagandato il couponing, cioè offrire degli sconti ai clienti
per attirarli al punto vendita. A mio parere può funzionare ma crea una “cultura” rovinosa di sconti e fomenta
la mentalità del giocatore d’azzardo che si trova anche sui
mercati finanziari, con effetti negativi su aziende e intere
economie reali (anche aziende con un modello di business
online sono aziende reali). In questi modelli di business
del couponing guadagna soprattutto chi lo offre (la richiesta è del 40-50% del fatturato). Le aziende che sperano in
clienti abituali li trovano difficilmente tra i “junkie” degli
sconti, inoltre questi sistemi hanno portato già tanti a collassare sotto i debiti, in quanto con questi metodi non si
riesce a raggiungere entrate positive e sostenibili. E con
questo circolo vizioso del couponing si perde pian piano
la consapevolezza che la qualità ha il suo prezzo.
25
Cultura e Società
Gianpaolo Paglia
vignaiolo online
di
NICOLò REGAZZONI
G
anche in tempo reale con persone lontane o vicine prima non
esisteva, mentre oggi è parte integrante della nostra vita. Per
molte aziende le nuove tecnologie offrono dunque, magari
per la prima volta, la possibilità di comunicare anche senza
uffici stampa. Forse oggi sono proprio le aziende più grandi
e strutturate, che hanno sempre comunicato in maniera
tradizionale, ad avere maggiori difficoltà ad abbracciare
questo nuovo tipo di comunicazione, che ha la caratteristica
di essere diretta, non più intermediata. Uno degli aspetti
negativi di questo nuovo tipo di comunicazione, peraltro, è
che chiede al produttore di dedicarci molto tempo, e che non
può essere delegata a terzi. Personalmente mi dedico al blog
o a Twitter senza alcun obbligo, solo quando ho qualcosa
d’importante da scrivere: il rischio è infatti che questa voglia
di comunicare a un pubblico potenzialmente molto vasto
possa trasformarsi quasi in una “droga”.
I miei primi ricordi risalgono a circa una decina di anni
fa. All’epoca c’erano soprattutto dei newsgroup, uno dei
quali se non sbaglio si chiamava Hobbyvino, dove gli
appassionati si davano appuntamento. Era una specie di
forum “ante litteram”, e questo scambio veloce di opinioni,
quasi in tempo reale, mi appassionava molto. Poi, con il
passare degli anni, hanno cominciato a nascere su Internet
dei forum più strutturati, e tra questi ricordo quello di
Esperya, che Antonio Tombolini moderava con vivacità e
modernità. Successivamente mi sono avvicinato all’idea di
scrivere su un mio blog (oggi www.poggioargentiera.com),
con l’intenzione di fare una sorta di diario on-line delle
mie esperienze quotidiane. Questo blog ha avuto un buon
riscontro, con persone che seguivano e commentavano, e mi
ha consentito di comunicare direttamente con persone che,
pur facendo un lavoro magari completamente diverso dal
mio, condividevano la mia stessa passione. Oggi i lettori del
mio blog appartengono a categorie molto eterogenee, anche
perchè ho sempre cercato di spaziare su diversi argomenti,
che vanno dalla politica vinicola alla distribuzione del vino.
Qualche volta ho anche riportato esperienze fatte all’estero,
fino a spingermi anche a dar vita a quella che in Italia credo
sia stata la prima esperienza di degustazione di gruppo
organizzata on-line da un produttore di vino, riuscendo a
coinvolgere un centinaio di persone.
Comunicare direttamente sui mercati esteri è stato a lungo
appannaggio quasi solo dei grandi produttori. Con l’avvento delle
nuove tecnologie cambia qualcosa in questo senso?
Fino a qualche anno fa il blog era l’unica piattaforma di
comunicazione disponibile, e l’avvento di Facebook e Twitter
hanno cambiato radicalmente lo scenario. Oggi si è arrivati
a una sorta di segmentazione del sistema di comunicazione:
il blog svolge quasi le funzioni di un diario, e si presta bene
ad approfondimenti, mentre Facebook privilegia scambi più
rapidi, e Twitter enfatizza al massimo la velocità, l’intuitività e
l’informalità. All’estero alcune catene distributive, tra le quali
l’inglese Majestic, hanno molti negozi sparsi
sul territorio,
Foto: Vittorio Ubertone
ognuno dei quali ha un account di Twitter, che consente
di rivolgersi ai consumatori finali, ma che lascia anche la
possibilità al produttore di poter comunicare direttamente
alle persone che stanno all’interno dei negozi, che sono
poi quelle che suggeriscono gli acquisti alla clientela. Io
tempo fa ho provato a mandare un messaggio via Twitter
a ogni negozio di Majestic, e così facendo sono riuscito a
creare un’attenzione specifica sul mio vino. Una volta di
più mi sono reso conto che stabilire una relazione umana,
seppure superficiale, tra un produttore e una bottiglia fa la
differenza. In passato un’operazione del genere sarebbe stata
praticamente impossibile per un’azienda di piccole-medie
dimensioni: visitare di persona circa 200 punti di vendita
avrebbe infatti richiesto tantissimo tempo e denaro.
C’è discontinuità tra un vecchio e un nuovo modo di comunicare
il vino, che abbraccia le nuove tecnologie, oppure diverse modalità
di comunicazione possono convivere?
Una cosa è certa: Internet è entrata nella nostre vite in modo
determinante, al punto che oggi spesso ci domandiamo
come facevamo a vivere senza. La possibilità di interagire
Fino ad ora abbiamo parlato soprattutto dei vantaggi associati
all’utilizzo dei nuovi media. Se ci sono quali sono i potenziali
svantaggi?
Quando si utilizzano le nuove tecnologie bisogna sempre
tenere a mente che si sta parlando a persone reali. Di
conseguenza vanno sempre utilizzati gli stessi toni che si
ianpaolo Paglia, lei è stato tra i primi produttori vinicoli
italiani a voler sperimentare Internet come nuovo canale
di comunicazione. Quali motivi l’hanno spinta a fare un
po’ da pioniere in questo campo, e quali risultati ha avuto?
26
Cultura e Società
userebbero in un confronto faccia a faccia: molte volte vedo
che le persone che non sono abituate a comunicare in rete
si sentono in qualche modo protette, e si lasciano andare a
dei toni e a delle espressioni non adatte alla comunicazione.
In realtà basterebbe ricordarsi le regole della buona
educazione che utlizziamo nella nostra vita quotidiana.
Non ci si deve poi dimenticare che in rete il messaggio è bidirezionale: non si parla mai a una platea, ma si fa piuttosto
una conversazione. Bisogna dunque aspettarsi che ci sia un
ritorno da parte delle persone alle quali si parla, e anche in
questo caso bisogna stare attenti a dire cose cose che siano
plausibili e vere, perchè ogni stupidaggine che viene detta
in rete ha conseguenze negative immediate e quasi virali.
Ognuno deve assumersi la responsabilità di quello che dice,
e deve essere consapevole che tutto quanto viene scritto in
rete resterà sempre sotto agli occhi di tutti. Di conseguenza
ho imparato a non scrivere mai in rete cose delle quali non
sono più che mai sicuro, che un giorno potrei pentirmi di
avere scritto. Per comunicare in rete, dunque, bisognerebbe
assumersi responsabilità molto più dirette e immediate di
quanto non avviene in una relazione faccia a faccia. Tra l’altro
se in rete la comunicazione non è vera, onesta e cristallina lo
si percepisce immediatamente, e può avere effetti negativi:
se non ci si sente pronti a comunicare con queste modalità,
dunque, è forse meglio soprassedere.
Quando si comunica è anche importante stare attenti a non
strafare, e non cercare di superare sempre l’asticella. Rimango
sempre interessato alla comunicazione, mi piace partecipare
ad alcune discussioni on-line, ma in questo momento
preferisco stare un pò a guardare quanto accade attorno a me.
La comunicazione su Internet sta cambiando velocemente,
e spesso è più interessante seguire una conversazione su
Facebook o su Twitter piuttosto che leggere un blog. Io per
esempio ho cominciato a riportare il mio account di Twitter
(@mymorellino) sulla retroetichetta delle bottiglie: mi rendo
infatti conto che quest’ultimo rappresenta un contatto
potenzialmente molto più immediato con i consumatori
di quanto non sia l’indirizzo e-mail, il blog o il sito web.
Un messaggio di posta elettronica è più personale di un
tweet, ma quest’ultimo offre per esempio la possibilità a un
consumatore seduto al ristorante di utilizzare il suo cellulare
per farti sapere in maniera istantanea e poco formale che cosa
ne pensa del vino che sta bevendo proprio in quel momento.
L’idea di scrivere l’account Twitter in retroetichetta è molto
semplice, ma offre al consumatore finale la possibilità di
interagire direttamente con te, e allo stesso tempo sollecita il
produttore a mettersi in gioco e a entrare in relazione. Senza
dimenticare che anche le critiche ricevute servono tantissimo,
e potenzialmente fanno sempre crescere.
Ha qualche nuovo progetto per comunicare la sua azienda e i suoi
vini su Internet?
Poggio Argentiera, l’azienda di Gianpaolo Paglia, si trova a Grosseto. Il suo vino bandiera è il Morellino di Scansano DOCG
“
Vorrei un insetticida
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Cultura e Società
Arnaldo rivera
il maestro
A
rnaldo Rivera, “il Maestro” come lo chiamavano tutti, è indubbiamente una delle personalità di maggior
profilo nel settore vitivinicolo piemontese tra gli anni
‘60 e ‘80 del secolo scorso.
Partigiano, maestro, sindaco di Castiglione Falletto, presidente della cantina sociale “Terre del Barolo”. Poliedriche
attività hanno caratterizzato l’intensa vita di Rivera. Un personaggio talmente carismatico da insegnare allora, e ancora
oggi, uno stile di vita e di lavoro ricco di valori etici e morali.
Qualcuno ha definito Rivera “un autentico modello di piemontesità”. Per questo motivo abbiamo scelto la sua figura
per iniziare questa serie dedicata ad alcuni personaggi che
hanno fatto la storia dell’enologia piemontese e non solo.
La vita
Arnaldo Rivera nacque il 13 dicembre 1919 a Castiglione
Falletto. I genitori possedevano un cascinale e producevano uva nebbiolo e dolcetto. La località chiamata Rivera, è
un ottimo “sori” della sera. I primi anni della sua esistenza
rientrano nella normalità e nelle consuetudini della vita contadina dei ragazzi di Langa. A sei anni frequentò le scuole
elementari a Castiglione Falletto; ancora oggi gli anziani del
paese, allora compagni di scuola, ricordano la sua generosità. A tredici anni si iscrisse all’istituto magistrale di Alba
diplomandosi nel 1939.
Nel 1940 c’è la guerra, il fronte francese, la Grecia, la Russia,
poi l’otto settembre. Rivera ha ventiquattro anni e il grado di tenente. Deve scegliere: non ha dubbi, scappa sulle
montagne ed entra nelle formazioni partigiane. Combatterà
contro i tedeschi e i fascisti a capo di una squadra di giovani
o
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I perso
di
LORENZO TABLINO
garibaldini operante nelle Langhe. Una sua azione notturna,
ovvero il tentativo di abbattimento del ponte di Pollenzo per
evitare il passaggio di automezzi pesanti dell’esercito fascista, in procinto di rientrare in Alba liberata dai partigiani,
sarà ricordata da radio Londra nelle trasmissioni per l’Italia occupata. Il 25 aprile 1945 è a Torino, vive gli esaltanti
giorni della liberazione e gestisce la mensa partigiana. Nel
1949 inizia l’attività di insegnante elementare a Castiglione
Falletto: per ventotto anni sarà il suo impegno principale.
In quelle aule disadorne, circondato dai ragazzi, Rivera sarà
semplicemente il “maestro del paese” nel senso più bello ed
ampio del termine. Nel 1951 è eletto sindaco di Castiglione
Falletto. Sarà sempre riconfermato nelle successive elezioni con grande maggioranza di voti e per trentasei anni il
comune sarà la sua seconda casa. Nel 1956 si sposa con
Ester Rinaldi, un’insegnante conosciuta ai corsi per i maestri
cattolici.
Il 1958 segna un momento importante della sua vita: nasce
la cantina sociale “Terre del Barolo”. Rivera ne è l’ideatore, il
propugnatore, il fondatore, l’artefice a trecentosessanta gradi
e svolge il suo compito con tenacia, superando ostilità e problemi, con la convinzione di una scelta giusta per il mondo
rurale. Rivera non ha figli, assume la responsabilità indiretta
di cinquecento famiglie: tanti saranno i soci, tanti saranno i
bilanci familiari da salvaguardare.
Arnaldo Rivera fu anche uomo del vino e in tale veste ricoprì
diversi incarichi, tra i tanti citiamo la presidenza del Consorzio del Barolo e Barbaresco e la vicepresidenza dell’allora
Asprovit.
In tale ruolo Rivera come sempre si fece apprezzare per le
sue doti morali ed organizzative, assumendo responsabilità
e fatiche non comuni.
Proprio nel pieno del suo lavoro, con il fisico gravato negli
anni da una malattia che comunque non lo distolse dai suoi
impegni, Arnaldo Rivera ci lasciava la sera del 10 gennaio
1987.
La camera ardente fu allestita presso la cantina Terre del Barolo, mentre i funerali si svolsero nella chiesa parrocchiale di
Castiglione Falletto piena come non mai; la bara fu portata a
spalla dai dipendenti, dai partigiani e dai consiglieri comunali del piccolo paese di Langa.
L’eredità morale
Arnaldo Rivera allo stand nel cortile della Maddalena ad Alba.
28
Ma cosa ha lasciato Arnaldo Rivera ai famigliari, ai collaboratori, agli amici, al territorio e in particolare al settore vitivinicolo? Quale la sua eredità morale? Restano molte cose
legate alle sue idee e ai suoi progetti, alcune sono ben visibili
ed in piena attività; i suoi collaboratori continuano la sua
opera ed i consensi non mancano, ma proprio il suo stile
Cultura e Società
di vita sobrio e semplice, unito ad una cordialità quanto
mai spontanea rendono doveroso, quasi un obbligo, evitare
qualsiasi forma anche nascosta di trionfalismo che diventerebbe subito melenso e retorico. Rivera è stato ed è maestro
di vita, te ne accorgi appena inizi a parlare con la gente in
molti paesi di Langa, in tante cantine; il suo ricordo è vivo,
sincero ed autentico. Sono essenzialmente quattro le qualità
peculiari dell’ “uomo” Rivera che sono emerse nel corso delle varie interviste.
Rivera precursore
Parlare di cooperazione a metà degli anni cinquanta era
molto difficile, era una sfida soprattutto nell’Albese. Le vecchie cantine sociali, quelle di Monforte, Castiglione Falletto,
Barolo, Alba erano state chiuse. Il ricordo dei terribili anni
venti, con i fallimenti di Calissano e Mirafiore e la chiusura
delle casse rurali di credito erano ancora presenti nella memoria delle famiglie contadine di Langa. La compravendita
dell’uva si svolgeva soprattutto in Alba, in piazza Savona, “ il
mercato dei morti” come veniva chiamato. Tutto dipendeva
dai mediatori e dai commercianti i quali facevano il bello e
il brutto tempo; il contadino e soprattutto il prodotto di un
anno di fatiche non era assolutamente tutelato. Per contrastare efficacemente questo stato di cose Rivera è fermamente
convinto della validità della cooperazione, non è retorico
dire che l’ha perseguita come ideale di vita. Da dove nasce
una simile concezione. Quali le profonde radici? “Suo padre
era stato tra i fondatori della cantina sociale di Castiglione
Falletto, inoltre Rivera tra i suoi alunni aveva fondato una
piccola cooperativa chiamata scherzosamente “delle galline
“. Gli alunni allevavano galline, facevano i lavori e dividevano le uova “. Piccoli esempi, quanto mai educativi. A partire
dal 1956 Rivera svolge un’instancabile opera di proselitismo
per il progetto di una cantina sociale nell’albese: gira nei paesi della bassa Langa, parla con tanti viticoltori, la personalità e la fiducia che esprime sono una garanzia. In tanti,
dapprima diffidenti e sospettosi, aderiscono. Il giorno otto
dicembre 1958 la cantina sociale è una realtà. Il tempo darà
a Rivera ampiamente ragione.
Rivera amministratore
Solamente i vecchi soci, quelli che hanno vissuto in prima
persona l’edificazione della cantina sociale, la messa in opera
dei tre piani di vasche in cemento, i primi arrivi e i primi
scarichi delle uve possono capire gli stati d’animo ed i sentimenti che in quell’anno, in quel momento particolare hanno
ispirato Rivera ed i soci fondatori. Tra enormi difficoltà e
alterne speranze, la personalità, il carattere e l’estrema capacità nelle relazioni umane di Rivera emergono in tutta la
loro forza e priorità. “Decidiamo noi, soltanto noi, scegliamo
chi ci conviene”. Lo ripete a tutti, molte volte, per dare un
segnale di estrema chiarezza: l’amministratore che in quei
tempi non guarda in faccia a nessuno è molto raro. Sarà,
infatti, una sconosciuta impresa di Incisa Scapaccino a costruire la cantina: ecco lo stile di Rivera, ecco i principi ideali
su cui fonderà tutta la futura amministrazione della cantina
sociale: massima trasparenza e correttezza, nonché parsimonia e ricerca del risparmio, doti di un saggio contadino che
conosce sia il significato che il valore del denaro.
Rivera umano
Capire la gente, capire i viticoltori, capire i problemi del
mondo contadino, ascoltare e dare risposte con semplicità
e col sorriso. Torniamo ai primi anni della cantina sociale,
alla prima vendemmia del 1959, una buona annata. Ecco
una testimonianza: “Tutti i soci, nessuno escluso, venivano
di sera, per lavorare: si facevano le follature, si pulivano le
macchine, si tirava il primo Dolcetto, si torchiava. Ovviamente non c’era salario”. Rivera dava l’esempio e, instancabile, aveva creato un ufficio improvvisato sotto una tettoia,
ove controllava i carichi e segnava i pesi ed i gradi. “Quante
volte ha anticipato soldi suoi per la valvola, per la cinghia
rotta, mano al suo portafoglio, subito, senza dire nulla a nessuno, quante ore perse di sera, in casa dei commercianti per
cercare di vendere il primo vino”. “Venga domani, i soldi per
le uve conferite ci sono a costo di metterli dei miei”così un
viticoltore di La Morra ancora oggi, con una certa commozione, ricorda quel mattino di trent’anni fa.
L’onestà di Rivera
Onestà: parola troppo grande e sovente piena di retorica, al
contrario in Rivera rappresentava lo stile quotidiano insito
nel personaggio, nei comportamenti, nelle scelte pratiche e
spontanee che coinvolgevano i collaboratori ed i soci. Ad un
fornitore di tappi scrive: “Considero il suo regalo uno sconto
e la ringrazio. D’ora in avanti lo voglio vedere in fattura e
beninteso dovrà sempre essere uguale per tutte le forniture”.
Non voleva sentir parlare di rimborsi spese. Le telefonate le
faceva dalla propria abitazione con qualche amico in provincia o in regione o semplicemente alla casa di un socio per
avere notizie di un suo famigliare ricoverato. Ai consiglieri
che insistevano anche per un corretto e trasparente rimborso
spese “Ho lo stipendio da maestro”, così ti liquidava, ma “Non
erano le parole, era il modo con cui lo diceva”. “Al termine
dei consigli di amministrazione Rivera caricava sulla Fiat seicento i consiglieri e li portava a casa; lo faceva sempre”.
Il ricordo
Il carisma di Arnaldo Rivera continua, anzi cresce, a distanza
di 25 anni dalla morte. D’altronde sin dai primi mesi dopo
il decesso molte iniziative sono state messe in atto per ricordare la sua figura. Era “entrato nel cuore della gente” hanno
detto al suo funerale. Dal primo commovente articolo sul
bollettino parrocchiale, ai vari articoli sulle riviste locali; dalle manifestazioni dell’ANPI, a numerosi convegni in Alba, in
Langa, oppure presso qualche ente vitivinicolo. Nel 1998,
sul piazzale della sua cantina sociale in occasione del trentennale della fondazione, si scopre un busto di bronzo che
ricorda Arnaldo Rivera sorridente. Sempre nei locali della
Cantina “Terre del Barolo” nel dicembre 2009 è stato presentato il libro “50 anni insieme”, sottotitolo: “Terre del Barolo.
Un territorio, una cantina: 1958-2008”, edito dall’Artistica
di Savigliano e scritto dallo storico Giulio Parusso. Voluto
dal presidente Matteo Bosco per i 50 anni dalla fondazione
della Cantina, in ricordo del primo presidente e fondatore
Arnaldo Rivera, il libro è stato introdotto dal dott. Giacomo Oddero. “Grazie soprattutto ad Arnaldo Rivera e alla sua
grande idea la Cantina “Terre del Barolo” è diventata un positivo esempio di cooperazione tra persone che hanno creduto nel territorio e nel duro lavoro nella vigna”.
29
Cultura e Società
nuove prospettive per il mercato
dell’Asti nel Sol Levante
Le donne sembrano essere il motore per un rilancio del prodotto nel
paese nipponico: questo è quanto emerso dall’incontro che si è tenuto
ad Asti il 3 febbraio scorso.
“
I
n Giappone l’immagine dei vini italiani è ottima e ben
posizionata. Sono oltre 3 milioni le casse di vino italiano
fermo importato nel 2011, contro 622.000 di spumante”. A parlare (in un impeccabile italiano) è Isao Miyajima,
giornalista giapponese intervenuto come relatore all’incontro di approfondimento dal titolo L’Asti docg nel Paese del
Sol Levante, tenutosi ad Asti lo scorso 3 febbraio. Sergio Miravalle, giornalista de La Stampa, ha moderato l’incontro a
cui hanno partecipato anche Kunio Bansho, caporedattore
della rivista giapponese Wands, Keiko Murata, caporedattore della rivista nipponica The Wine Kingdom e Tomimi Tsujimoto, titolare della Foodliner, azienda di import del wine
& food italiano.
L’incontro è partito sulla base di alcuni dati: in Giappone su
120 milioni di abitanti, 1/3 è rappresentato da astemi forzati, ossia persone che non possiedono gli enzimi atti a digerire alcol. La media dei consumi è comunque piuttosto ridotta
se si pensa che si attesta su lt.2,2 pro-capite.
Il Consorzio poi offre qualche altro dettaglio: delle 622.000
casse di spumante importato, l’Asti e il Moscato d’Asti rappresentano circa il 25% con 1 milione e 800.000 bottiglie.
Tuttavia negli ultimi anni l’Asti ha perso terreno sul mercato
giapponese, a vantaggio degli spumanti secchi, come il Cava
e il Prosecco, a causa di un diverso trend nella richiesta.
Inoltre un problema sembra essere il costo, in quanto l’Asti
in Giappone subisce un rincaro dovuto all’accisa sui vini
spumanti, che lo colloca comunque in una fascia di prezzo
non bassa, tra i 13 e i 15 euro sullo scaffale, mentre al ristorante questo si moltiplica circa due volte e mezzo. Inoltre
tra i giovani il consumo degli alcolici non è di moda: c’è una
tendenza a consumare piuttosto bevande analcoliche. Questi finora i contro, ma quali i pro?
Certamente la presenza di oltre 2000 ristoranti italiani a Tokio è una possibilità interessante: di questi quasi il 95% sono
gestiti da giapponesi che sono venuti in Italia per imparare
30
di
CRISTINA FRACCHIA
la nostra cucina e dunque conoscono anche la parte enologica, anzi negli anni hanno fatto da traino per la diffusione
della cultura enogastronomica del nostro paese. L’Asti è poi
avvantaggiato per altre caratteristiche: gli elementi della dolcezza e della bassa alcolicità infatti rappresentano un grosso
richiamo per il palato nipponico, tant’è che la maggioranza
degli alcolici venduti si colloca nella fascia tra il 4% e il 5%
di alcol. La strada dunque è quella di proporlo come vino da
consumare a calice, svincolato da abbinamenti col cibo che
non sarebbero sensati con la loro cucina, e soprattutto quella
di orientarsi su di un pubblico femminile, il cui consumo
di alcol è in crescita. Murata spiega infatti dell’abitudine di
molte donne ad incontrarsi con le amiche a casa di una di
esse nel fine settimana: è la cosiddetta “joshikai”, l’incontro
delle donne, durante cui si trascorre il tempo fra chiacchiere
e cibo, una sorta di Sex and the city del Sol Levante, come
suggerisce Miravalle. Qui l’Asti avrebbe di certo una strada
facile, sia perché, come già detto, i giapponesi apprezzano i
vini amabili e a bassa gradazione alcolica, sia perché le donne che lavorano, soprattutto se single, hanno una maggiore
disponibilità economica. Per questo bisogna dare molta importanza anche all’aspetto estetico, al packaging, e all’abbinamento con i gadget, tutti elementi che costituiscono un
richiamo e possono destare l’attenzione femminile. Inoltre
l’Asti potrebbe attirare anche quel famoso 33% di persone
astemie, essendo così amabile e leggero. Un’altra necessità
imprescindibile è comunque quella di comunicare il territorio come valore aggiunto, per giustificarne il prezzo. Infatti,
non essendo a buon mercato rispetto ad altre bevande dolci
e lievemente alcoliche, deve essere presentato come un prodotto nel quale, oltre alla piacevolezza, si può ritrovare la
cultura legata alle nostre colline.
Dosaggio Zero, “università” del metodo classico
Si è parlato di dosaggio zero, cioè di spumanti metodo
classico senza dosaggio zuccherino all’imbottigliamento,
in un interessante incontro organizzato in Franciacorta da
Villa Crespia. Storia, attualità e prospettive mondiali di quella che è considerata la più difficile e la più affascinante di
tutte le “bollicine”. Tra i partecipanti Attilio Scienza, Michèle
Shah, Jordi Melendo, Andrea Gori, Michel Drappier, Luca
Gardini, moderati dall’ottimo Federico Quaranta, conduttore RAI della popolare trasmissione radiofonica Decanter.
Un incontro ad alto livello che può essere seguito, per chi
non era presente, sul sito www.dosaggiozero.it , con tutte le
relazioni e gli interventi filmati nei video di Giulia Graglia.