Gesù bambino - Frosinone in Vetrina

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Gesù bambino - Frosinone in Vetrina
Gesù bambino
Ore 6:00 … è buio, sembra notte. Nessuno in strada i
lampeggianti gialli del camion della nettezza urbana
rompono l’oscurità e rumorosamente finiscono il
lavoro sfrecciando via con due uomini in tuta
arancione appollaiati sul rimorchio.
La stazione è vicina, il sole decide di affacciarsi
timidamente sulla città e durante il mio cammino
diffonde una livida luce di un inverno ormai poco
credibile, il cielo di piombo mi convince che è l’ora di
un caffè, all’uscita del bar non è cambiato nulla, anzi
qualche nuvola copre il timido sole rendendo spettrale
quello che di giorno è il bel viale che porta alla
ferrovia, tutto sembra invitarmi a ragionare e tornare a
dormire ma la caffeina comincia a fare effetto, affretto
il passo, biglietto, giornali, treno. Il viaggio è breve
faccio appena in tempo a sfogliare i giornali, subito la
terza pagina, terza si fa per dire , una volta quella della
cultura era terza…oggi è penultima dopo il gossip, I
grandi eventi di Roma capitale, gli spettacoli, il
cinema… noto che la pagina del gossip e quella degli
spettacoli hanno gli stessi protagonisti e una strana
acidità mi prende lo stomaco, sarà il caffè a digiuno,
ma per sicurezza salto alle pagine dello sport, amo gli
articoli sportivi, mi rilassano, si dilungano nei dettagli,
parlano dei giovani eroi di questo millennio, delle loro
battaglie, dei loro amori, dei loro vizi. L’acidità e
svanita, non era il caffè, ma riecco i protagonisti del
gossip rispuntare anche tra le pagine dello sport! Salto
alla prima, c’è un articolo sul papa, non lo leggo per
paura di trovarci la storia di una velina che si è fatta
suora! Uffa come sono stanco di tutte queste menate, è
tutto un mondo sbagliato diceva Petrolini, aveva
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Gesù Bambino – racconto di Guglielmo Bartoli
ragione ma intanto il treno arriva in stazione
“TERMINI STAZIONE TERMINI” gracchia la voce
di una donna in un secchio in tre lingue.
Sembra una ammonizione, “Termina” con le tue
elucubrazioni, pensa positivo, tra poco dovrai divertire
persone che non hanno nessun motivo per farlo, e se
non sei credibile il miracolo non avviene, lo sai, non
c’è spazio per la malinconia, il nero è blu, il rosso è
rosa, e la realtà è un punto di vista.
Ma Piazzale dei Cinquecento mi accoglie con un
esplosione di luce; ha vinto il sole e le quattro nuvole
che volevano prendere il giorno, fallito il loro piano,
scappano sulle colline, forse avranno più fortuna ai
castelli. Il 64 pieno come una simmenthal, mi aspetta
col suo carico di dormienti, ma l’aria fresca, la bella
luce, i colori degli indiani agitati alla fermata e
soprattutto il largo anticipo che mi sono dato mi
spinge alla passeggiata, non che sia comoda una
passeggiata con la valigia dei costumi e lo zainetto
degli attrezzi, ma due barbone professioniste con la
sedia a rotelle carica di mille buste mi ricordano che
tutto è relativo. Mi incammino con passo da turista, i
pompieri fanno colazione, i mendicanti si dispongono
ad intermittenza precisa sui marciapiedi, c’è una
matematica anche nella disperazione; Arrivo a piazza
di torre argentina, il paradiso dei gatti, guardiani dei
tesori di Roma, un po’ sporca, ma… senza un topo!
Greenpeace mi chiede se mi sta a cuore l’ambiente,
come dire di no, io gli chiedo se gli sta a cuore il
teatro, ci congediamo con una reciproca pacca sulla
spalla, gli utopisti si riconoscono dallo sguardo, e
hanno il pudore di non chiedersi niente. “Feltrinelli”!
La libreria aperta pullula di curiosi, fuori sui banchetti
rimediati, africani vendono letteratura africana, fico!
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Gli off della narrativa, il libro di strada; cedo e compro
a due soldi una raccolta di fiabe africane; me la leggo
al ritorno in treno, avanti a me Via del sudario mi
ricorda che sono solo le 8,30 lavoro alle 9,40 e a trenta
metri da me c’è la più bella biblioteca che conosco,
quella della SIAE … libreria del Burcardo, lì c’è tutto,
consultabile, in parte fotocopiabile, una goduria; un
posto così dovrebbe avere l’insegna più grossa e
luminosa di Feltrinelli, invece c’è una misteriosa targa
di bronzo con su scritto “ libreria del Burcardo –
suonare “ e un bottone, che se uno non lo sa, pensa :“
ma chi è stò Burcardo, e perché devo sonà “ ma io lo
so, e suono, …nulla; sulla sinistra un foglietto spiega :
orario di apertura 9,00 – 13.00, mancano cinque
minuti, aspetto risuono.
Mi aprono e mi spiegano che la biblioteca è aperta
dalle nove alle tredici, ma è consultabile dalle 9.30
alle 12.30. Vado via senza commenti: non faccio a
tempo; mentre rincorro il Tevere penso a cosa possa
succedere nella biblioteca durante quelle due mezzore
di inconsultabilità: riti di iniziazione, cerimonie
sacrificali… la mia libreria preferita apre solo tre ore
al giorno, Feltrinelli 18.
Roma fregnona! ma perché sei sempre così avara e
misteriosa per le cose utili! Intanto arrivo al fiume e
mi ricordo che devo comprare altri palloncini, già! I
palloncini! C’è da dire che io odio i palloncini, li ho
sempre odiati, sono un attore e non si fa spettacolo
gonfiando palloni, ma mia figlia ieri sera mi ha detto
che sono esagerato e pure le storie di palloncini sono
belle! “Storie di palloncini? Ma di quali storie parli”, e
lei “quelle che racconti tu quando non ti riesce di fare
il cagnolino” e io che credevo di mascherare la mia
incapacità con i gonfiabili cercando di buttarla in
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“caciara” producendo una serie incredibile di mostri
dalle mille protuberanze. Ma è un’idea, grazie Flavia,
devo comprare i palloncini. Ma dove? Vago per
cartolerie e negozi di giocattoli, nulla, poi
un’illuminazione : alla mia sinistra il quartiere
ebraico; mio nonno diceva : “se cerchi qualcosa vai lì,
ce l’hanno!!” vado lì e ce l’hanno! In un
supermercato! Roma bottegara quanto ti amo!
Traverso Il Tevere, fiancheggio il camping spontaneo
nato sulle rive e arrivo alla salita del Gianicolo la
percorro a testa bassa incrociando seminaristi e
dottori, sono in anticipo quindi proseguo fino alla
terrazza per uno sguardo alla città, bella! Le cupole
delle chiese, i palazzi imponenti, i vicoli del centro, le
terrazze romane, il serpente tiberino che tutto
abbraccia, i tigli, i gabbiani, ma la poesia viene
spezzata dall’enorme pubblicità della renault, da lì
potrebbe sembrare il cartellino con la legenda del
panorama, invece c’è l’eruzione dell’Etna e una
gigantesca utilitaria. Immagino lo slogan “Eruttati
sulla strada”. Basta panorama continuo il cammino
perché so che un poco più sopra c’è la quercia del
Tasso, un luogo mistico, il comune di Roma un tempo
aveva preservato dalla distruzione una quercia, dove il
poeta Torquato Tasso era solito recarsi per
l’ispirazione delle sue opere .
Arrivo li; il posto è un po’ dimenticato ma decente, la
quercia o ciò che ne resta c’è ancora, in quel luogo più
del Tasso mi torna alla mente Campanile con la sua
“quercia del tasso”, si Lui è l’ispirazione giusta,
assistimi Achille, genio della parola, tra poco avrò
bisogno anche di te.
E’ l’ora! Entro nell’ospedale, prima tappa cambio
d’abito, supero il castello e la ludoteca e mi avvio
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verso il bagno della sala ticket, quello è il mio
camerino, e quasi un novello superman in due minuti
sono pronto, il WC invece della cabina telefonica è
solo un dettaglio.
Scarpe comode, calzoni neri attillati, camicia bianca
gilèt e una giacca dai risvolti dorati serviranno per
presentarmi decentemente al mio inconsapevole
pubblico, una controllata alla valigetta degli
ATTREZZI: 3 parrucche, palloncini, pompetta, due
paia di occhiali finti, delle corna, un soprabito da
mago con tanto di stelline, una maschera da lupo, una
clessidra e due pistole giocattolo.
Ripasso mentalmente il canovaccio della mattinata e
mi accendo una sigaretta prima di entrare. Alla terza
boccata si ferma una mamma con bambino o meglio il
bambino ferma la mamma che mi guarda e
affrettatissima fa: “che mi fa un palloncino per il
bambino che di corsa dobbiamo andare a prendere le
lastre?” bene, prova costume effettuata, mentre mi
contorco per produrre qualcosa di simile ad un
cagnolino verde, penso: “ma perché i bambini
chiedono sempre i cani?” i miei occhi vanno su quelli
del piccolo che scruta attentamente le mie mani e alla
fine rassegnato fa: “ va bene pure il coccodrillo!”. - “Il
coccodrillo?”, effettivamente il mio cagnolino aveva il
corpo troppo lungo per un cane , il muso troppo lungo
per un cane, la coda troppo lunga per un cane ma
queste cose con il verde del palloncino erano un
ottimo coccodrillo. “Guarda mamma è bellissimo”;
amo i bambini e la loro fantasia; intanto la mamma
incalza: “Grazie signore corro alle lastre”.
Ci sono, imbocco il tunnel che porta alla sala d’attesa
ed entro. La sala d’attesa è un luogo basso e piccolo
con sedie normali e piccole sedie per bambini, il
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soffitto è basso e bianco percorso da tubi azzurri che
danno l’idea di un sommergibile, in fondo alla sala la
porta del dottore, la televisione accesa e un piccolo
corridoio. Gli abitanti di questo piccolo mondo sono,
genitori, bambini, e una caposala che mi accoglie con
un sorriso che sembra dire “benvenuto ti aspettavamo
se hai bisogno chiedimi”.
Sono a mio agio, i bambini sono sei, di varie età più
un neonato, le coppie di parenti varie: mamma – papà ,
mamma – nonna , mamma – nonno, mamma. Metà
sono stranieri, ognuno indaffarato col suo bambino. Di
tanto in tanto da un altoparlante una voce annuncia un
numero, mi ricorda la voce nel secchio della stazione
:”TREDICI”; è più forte di me, mi alzo e dico “
AMBO!” strappo un sorriso ai genitori e i bambini si
accorgono di me, mimo la figuraccia, mi scuso con
l’infermiera ed ho subito la complicità di Vogliotutto e
la risata nascosta di Nontifila; Vogliotutto è un
bambino paffutello sui sei anni, gioca ad un gioco da
tavolo con la sorella, tuta blu con dragonball e una
bella parlantina, Nontifila è bellissima, ma per questo
dà le spalle a tutta la sala e disegna appiccicata alla
mamma, 5 anni al massimo, bionda e apparentemente
in altre faccende affaccendata, ma in realtà getta
sguardi come fendenti e controlla tutto e tutti.
Apro la valigia degli Attrezzi e comincio a cercare tra
le mie cianfrusaglie, Vogliotutto lascia la sorella e
arriva di corsa da me, Nontifila controlla a distanza,
arrivano anche Ridesempre con gli occhi spiritati e
Grandecaveza lo spagnolo, la nonna di Occhiluce
sistema la sedia a rotelle vicino a me e Robinson getta
sguardi continuando a fare i compiti, Pannolino
dorme.
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Mi presento, spiego che non sono un mago, nemmeno
un giocoliere ma che so raccontare le storie ed ho una
valigia, la valigia dell’attore che contiene tutti gli
attrezzi per sognare. “Facceli vedè! “urla Vogliotutto,
tiro fuori prima di tutto la clessidra, rimangono
affascinati, la stessa cosa che ho provato io quando ho
deciso di metterla nella valigia: il tempo! Se ci giochi
sembra scorrere più velocemente, decidiamo che ogni
storia che racconteremo dovrà durare due giri di
clessidra, Ridesempre dice “Raccontiamo? Ma sei tu
che devi raccontarci le storie!” e io “Si, va bene, ma se
la facciamo la storia mentre la raccontiamo è più
divertente!”.
Intanto Robinson ha finito i compiti e senza esitazione
si aggiunge al gruppo nei suoi occhi vedo già il mio
primo attore.
La prima storia che si decide di raccontare è un
classico, Cappuccetto rosso. Ridesempre interpreta la
bambina imprudente, Vogliotutto è il lupo con la sua
bella maschera (personaggio ambito), Grandecaveza fa
il cacciatore anche perché, lui la sua mascherina già ce
l’ha, la pistola gliela fornisco io e le forbici le
facciamo coi palloncini; la mamma di Nontifila su
preciso ordine della figlia interpreterà la mamma di
cappuccetto rosso, la fornisco di parrucca bionda, ed
infine il padre di Vogliotutto farà la nonna : lo
fornisco di due palloncini-seno, una parrucca bianca e
gli occhiali, Occhiluce si contorce dalle risate dentro
quel corpo immobile, Robinson allestisce la scena :
inizia la magia.
Non sono più in una sala d’attesa, sono un giullare che
accende personaggi e luoghi, la misura dei gesti, le
giuste parole e il popolo, italico e non, assiste
all’evento, cambio il luogo e il tempo della favola per
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giocare poi con i paradossi, siamo a Roma e
Ridesempre Cappuccetto Rosso viene chiamata dalla
mamma – “porta la merenda a tua Nonna ma non dare
confidenza a nessuno!”
Ma dove può abitare la nonna per incontrare un lupo?
“A Villa Borghese!” grida Robinson provocando una
risata del pubblico e uno sghignazzo di Occhiluce.
La storia c’è : un’improbabile pischella del quadraro
viene mandata dalla mamma a consegnare una torta
gelato alla nonna che abita a villa borghese,
Ridesempre improvvisa con la mamma di Nonifla e fa
appena in tempo a prendere la metro per Spagna
quando esce il 14, Ridesempre si fa seria, non è terno,
ma è il suo numero, deve abbandonare la storia, la
rincuoro le dico che l’aspettiamo e se non torna oggi
quando la vedrò ricominceremo esattamente da lì , mi
regala un sorriso ed un bacetto e va via. Nel frattempo
l’attentissimo Grandecaveza che aveva fermato la
clessidra mi dice: “ no problema ho fermato el tiempo
“ gli sorrido! Abbiamo perso la protagonista ma the
show must go on; cerco la sostituta con lo sguardo,
Nontifila mi comunica telepaticamente “ti ho concesso
mamma accontentati”, Robinson mi guarda e senza
esitazione indossa il cappuccio dando alla storia un
nuovo spessore, la tenera cappuccetto è ora un
tredicenne di colore che parla romanesco di 60 Kg, la
storia ricomincia a vivere rinvigorita, ora tutta la sala,
caposala inclusa assistono entusiasmati al dialogo
(Cappucetto Robinson col lupo) di cui cito un
frammento:
Lupo: Aoo’! ‘ndo vai?
Cappuccetto: nun te vojo sentì”
Lupo : aaaooo e fermate!
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Cappuccetto: Nun te Vojo sentì”
Lupo: “ma che te sei ‘ncantato?”
Cappuccetto: “m’ha detto mi madre de nun sta a sentì
nessuno”
Lupo: “ma chi te vo parlà ho detto solo ‘ndo vai”
Cappuccetto: “Vado da mi nonna, ma che c’hai in
faccia?”
Lupo: “na maschera de lupo!”
Cappuccetto: “e perché ?”
Lupo: “perché so de la Roma! “
Cappuccetto: “vabbe! “
Occhiluce comincia a lacrimare, anche Nontifila ormai
si sganascia, La nonna di Grandecaveza non capisce
ma ride lo stesso, eccoci, siamo all’incontro con la
nonna ed il lupo… che chiamano il 15! E’ il turno di
Vogliotutto esce il dottore che parla col padre
sorridendo perchè tolta la parrucca e gli occhiali aveva
dimenticato i seni palloncino.
C’è ancora tempo per finire la favola; Vogliotutto ora
indossa la maschera da lupo, parrucca bianca e
occhiali da nonna ed un palloncino come pancia a
simboleggiare la nonna mangiata. Il dialogo tra
Cappuccetto Robinson e Lupo-Nonna Vogliotutto è
perfetto quasi non serve il mio intervento, chiamano il
16! ci guardiamo tutti… tranquilli è il turno di
Pannolino quindi noi si continua.
Ora Vogliotutto è al massimo indossa rispettivamente:
maschera da lupo, parrucca e occhiali da nonna,
cappuccio rosso e la tuta tesa da due palloncini
(nonna-cappuccetto) pronti per essere liberati dal
cacciatore! E’ il turno di Grandecaveza, con un colpo
alla dragonball apre la pancia-tuta e libera nonna e
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cappuccetto, il lupo muore come al solito e tutti ridono
felici e contenti.
Guardo l’orario, sono passate due ore sarebbe tempo
della mia pausa, ma come spiegarlo ad un bambino
che ti tira la giacca e ti dice “e mo? A che giocamo?”
ci rinuncio e mi tuffo nella narrazione teatrale de “lo
zio lupo” di Italo Calvino, fila liscio ai bambini piace,
ad una dottoressa un po’ meno, perché si pronuncia tre
volte la parola “CACCA” e pare che cacca non sia
educativa. Lì per lì mi risento, non tanto per me
quanto per Calvino, un grande della letteratura
spacciato per antieducatore da un medico, mi torna in
mente Moliere “lo medeco! il più bel lavoro che si
possa desiderare , sia che lo fai bene, sia che lo fai
male te pagano lo stesso, e mai nessuno se lamenterà
del lo medico che l’ha ammazzato.” Mi rassegno
ricordandomi che vivo nella piccola Italia che da un
poco di tempo ha paura delle parole in fondo anche la
GUERRA oggi si chiama DIFESA, allora ecco che
cacca diventa pupù e tutti vivono felici e contenti; le
favole funzionano pure con gli adulti.
E’ l’una il mio lavoro è finito mi trattengo un poco a
chiacchierare con Nontifila e la madre, mi ringraziano,
Nontifila mi regala un bacetto. Esco raggiante, torno
alla terrazza per salutare Roma e Campanile, anche la
pubblicità con la macchina ore sembra bella e
perfettamente integrata col paesaggio, un tramezzino e
torno alla stazione ho le favole africane da leggere e
una pressione alla pancia, sarà cacca?... no è pupù!
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