Gli impresibili
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Gli impresibili
GLI IMPRESIBILI GLI IMPRESIBILI Perché un libro? Uno degli obiettivi più alti, e al contempo più difficili, che la scuola può raggiungere, è aiutare i ragazzi a familiarizzare con la lettura. Chi legge si esprime meglio, comprende meglio le sfumature del mondo che lo circonda, ha più idee e più varie. Perché un libro? Perché è lo strumento più potente che c’è: non immediato, ma infallibile. 1° articolo La responsabilità del futuro Le imprese italiane hanno contribuito alla crescita del Paese formando professionalità, creando sviluppo, diffondendo benessere, portando l’Italia nel mondo. Un passato che è sempre fonte di orgoglio, ma ancor più di slancio verso il futuro e motivo per reinvestire ogni volta su nuove sfide e cogliere nuove opportunità. le spore GLI IMPRESIBILI 3 le spore Gli uomini in camice bianco arrivarono alla spicciolata e si sistemarono attorno al grande tavolo delle riunioni apparentemente senza un ordine. Due si scambiarono informazioni parlottando. “Sai perché siamo qui?”. “Ci ha convocati Pistoni, del Gruppo di Coordinamento per la Salvaguardia”. “Non hai idea di…”. Furono bruscamente interrotti dall’ingresso del relatore, che apparve in forma di ologramma, spuntando a metà scrivania. Il suo viso era grave, l’espressione degli occhi quasi truce e tutti, all’improvviso, si sforzarono di adeguarsi alla situazione imitandolo. Sui monitor di ciascuno dei convocati apparvero delle emoticons, che qualcuno modificò per l’occasione con un rapido hackeraggio di sistema. “Signori, la situazione è grave” disse Costantino Pistoni e poi lasciò due minuti di silenzio, nel corso dei quali qualcuno divagò pensando a cose più o meno urgenti. “La Terra è prossima alla conclusione della sua storia…”. A quella frase l’agitazione si propagò come un’onda lungo il tavolo e un persistente brusio si sollevò da più postazioni. “Magari qualcosa sopravvivrà, ma ben poco...” continuò il capo del Gruppo di Coordinamento GLI IMPRESIBILI per la Salvaguardia. “E tutta la fatica fatta?” chiese uno con gli occhiali spessi. “Tutte le trovate d’ingegno?” rincarò un tizio con anacronistici baffetti all’insù. “Quelle erano solo il lato buono della medaglia” rispose Pistoni, con un accenno di condiscendenza nella voce. “Dovevano dircelo!” si lamentò quello con i baffetti. “L’hanno detto… Il fatto è che nessuno ha ascoltato!” lo rimbrottò il suo vicino, che non aveva staccato gli occhi dallo schema di sudoku che stava compilando. “Ma non si possono invertire alcuni fattori? Non si può reindirizzare il tempo?” chiese un poco allarmato lo scienziato con gli occhiali spessi. “Se si reindirizza il tempo si riavvolge tutto il nastro, ma non resta memoria…” stava rispondendo Pistoni, ma una voce lo incalzò: “E allora?” “E allora quel che è fatto è fatto...” lo liquidò Pistoni. “Ma non possiamo accettarlo! Le basi remote cosa dicono?” tornò alla carica il tipo miope. “Le basi remote sono le uniche forme in cui noi sopravviveremo!” si spazientì l’ologramma, che era così nervoso da vibrare in maniera fastidiosa. 4 le spore “Ah, che sciagura!”. “Ok, ci sta bene… Moriamo e basta!”. “Siete matti! Che facciamo? Ci seppelliamo con le nostre mani?” si stranì quello con i baffetti. “Una buona idea: un modo per completare l’opera dopo esserci scavati la fossa” ironizzò il tizio con le lenti spesse. “Calma, calma, signori… Pensate alle piante. Anzi, no, ai funghi” suggerì Pistoni, improvvisamente ansioso di arrivare al nocciolo della questione. “L’ultima cena si fa con carne in umido?” cercò di ironizzare il giocatore di sudoku. Lo ignorarono tutti. “Le spore c’entrano qualcosa?” si incuriosì il baffetto. “Allora fino a domani mattina arriviamo!” ironizzò ancora quello del sudoku, ancora una volta senza far ridere nessuno. Le riunioni si susseguirono e il solo giorno successivo non bastò: ci vollero quasi due settimane per stabilire quali fossero le “spore” d’umanità da disperdere nello spazio: i vaccini, i mezzi di trasporto, gli strumenti di scrittura, le principali opere d’arte, gli abiti, le diverse strutture abitative, i migliori cibi, i giochi più divertenti, i brevetti più sensazionali, campioni di vegetazione ed embrioni congelati di tutti i viventi. Grandi navicelle spaziali furono caricate ciascuna con l’intero repertorio di “spore” e poi mandate nello spazio insieme a nuove postazioni per la vita al di fuori della Terra. “Esatto!” lo incoraggiò Pistoni. “Va bene, ma a che servono le spore?”. “Pensateci voi… Servono spore per far rivivere la Terra ovunque, perché la Terra deve vivere. La vita della Terra è l’industriosità degli uomini che dalla Terra sono nati. Non siamo solo dove ci troviamo: siamo ovunque vogliamo essere…” poi Pistoni guardò l’orologio e concluse: “Aggiorniamo la seduta a domani mattina.” Il capo del Gruppo di Coordinamento per la Salvaguardia sparì. GLI IMPRESIBILI FINALE A Dopo alcuni mesi, la Terra languiva prossima alla fine. Mentre il pianeta era scosso dagli ultimi sussulti, le apparecchiature delle postazioni umane collocate nello spazio iniziarono a registrare impulsi sonori. Riconosciuti come trasmissioni criptate, furono scansionati dai sistemi di analisi, che li individuarono come emissioni direzio5 le spore nate prodotte da una fonte di Intelligenza Alternativa nel tentativo di mettersi in contatto con l’umanità. Gli specialisti della comunicazione interplanetaria lavorarono furibondamente per settimane. La chiave di volta per la trascrizione della comunicazione “in chiaro” venne trovata grazie a un concorso vinto da un bambino di origine cinese affidato a una coppia di europei migrata in Australia e poi ospitata a bordo di una delle postazioni stellari. Per farla breve, i messaggi erano richieste di chiarimenti circa i materiali rinvenuti a bordo di una delle navicelle-spora lanciate nel cosmo. Il primo contatto con forme aliene di vita era avvenuto. Si era aperta una nuova, straordinaria frontiera dei commerci. FINALE B La Terra morì dopo atroce agonia e disgustosi spasimi. Lo spazio lasciò cadere il silenzio sul destino degli uomini, ma quelle navicelle-spora ancora fluttuano nell’infinito, dirette verso le loro impossibili destinazioni. GLI IMPRESIBILI 6 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Le spore sono cellule disidratate, capaci di resistere per un lungo periodo in condizioni anche molto difficili per poi dar vita a un nuovo essere uguale a quello da cui sono state generate. I funghi, per esempio, si riproducono attraverso le spore. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 1 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. Riusciresti a pensare un sistema alternativo – ma ugualmente funzionale – che consenta il mantenimento e la diffusione delle migliori innovazioni e scoperte fatte dall’uomo, così da garantirne la sopravvivenza oltre la nostra civiltà? PER GIOCARE Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Formare professionalità Creare sviluppo Diffondere benessere Portare l’Italia nel mondo Orgoglio del passato Slancio verso il futuro Nuove sfide e nuove opportunità Prova a trasformare questo racconto in una sceneggiatura e realizza il fumetto della storia. GLI IMPRESIBILI 7 2° articolo BUONE REGOLE PER UNA SANA COMPETIZIONE Le imprese sanno che la competizione e il confronto con il mercato rappresentano la spinta fondamentale per crescere e migliorare. Un buon sistema di regole che tuteli e promuova il mercato consente alle imprese di esercitare comportamenti etici, rispetto della legalità e trasparenza. Un equilibrio virtuoso capace di preservare la competizione tanto dagli eccessi di mercato quanto dagli eccessi di intervento pubblico. la merenda GLI IMPRESIBILI 8 LA MERENDA Mirko era brufoloso, con i capelli unticci, stropicciato e, soprattutto, sempre di cattivo umore. In particolare, la mattina presto bisognava stare attenti a spostare piano le sedie e i banchi perché, al primo rumore che lo infastidiva, alzava la testa dal banco su cui l’aveva appoggiata e lanciava attorno sguardi torvi che lo facevano sembrare un bandito tra i monti. Di solito, a riportare il silenzio, bastava un’occhiataccia. Se serviva, era pronta a seguire anche la minaccia: “Sei capace di piantarla?! Stai fermo o ti spiano le ossa”. A quelle parole i suoi amichetti rizzavano le orecchie come cani da guardia al fischio del padrone e tutti gli altri fingevano di non esistere, lasciando il malcapitato destinatario della strigliata a cercare una scusa da balbettare per cavarsi d’impiccio. Non è che con il passare delle ore l’umore di Mirko migliorasse: l’unico cambiamento degno di nota era che il rumore smetteva di dargli fastidio e, forse per questo, lui stesso iniziava a produrne e lo faceva in quantità continuamente crescente, come il rombo di un motore che raggiungeva la massima accelerazione all’intervallo. GLI IMPRESIBILI strategia d’attacco che funzionava sempre. Partiva dall’angolo in fondo a destra del corridoio e poi, rimbalzando da una parete all’altra, risaliva verso la porta della classe passando in rassegna i compagni. A ognuno si avvicinava e ringhiava: “Ehi, dà qua” e allungava la mano per requisire la merenda. Se la merenda non c’era chiedeva in cambio almeno una monetina da 20 cent. Chi non l’aveva, la doveva portare il giorno dopo. E chi il giorno dopo non la portava… Per ora l’avevano sempre portata tutti, anche perché Mirko, per non correre rischi, nel pomeriggio mandava Pierdomenico o Carlomaria, i più viscidi tra i suoi tirapiedi, a ricordare al malcapitato i suoi obblighi. In questo modo, non capitava mai che i soldi mancassero. Mirko era sicuro di essere la legge. Almeno così fu, fino al 2 febbraio. La ricreazione, poi, era il momento in cui Mirko si esprimeva al meglio. Il 2 febbraio a scuola arrivò un nuovo compagno: Saverio. Saverio era biondo, alto e magro. Secco come un insetto-stecco. A Mirko i compagni di classe nuovi non piacevano mai: non sapevano come comportarsi e bisognava dedicare loro qualche attenzione straordinaria per insegnare loro il posto che occupavano, cioè quello in fondo alla catena alimentare della classe o, meglio, della scuola. Durante l’intervallo, infatti, Mirko usava una All’intervallo, quel 2 febbraio, Mirko era ansioso 9 LA MERENDA di far capire al nuovo arrivato come funzionava la faccenda e per questo si rassegnò a cambiare il suo solito giro. Infatti, non partì dall’angolo in fondo a destra del corridoio, ma cominciò da quelli che stavano attorno a Saverio: Luca, Giorgio, Tullio. Si avvicinò a ognuno di loro, pronunciando la fatidica formula: “Ehi, dà qua”, allungò la mano e riscosse un pacchetto di cracker, una confezione di schiacciatine e una moneta da 20 cent. Dietro di lui, Pierdomenico e Carlomaria stavano nella posa da duri, che consisteva nel tenere la faccia immobile e fare gli occhi scuri, fermi a gambe divaricate alle spalle del loro capo. Se si spostava il capo, anche loro si spostavano, senza mai cambiare la formazione. Dopo quella dimostrazione pratica, Mirko era sicuro che Saverio aveva visto e capito come funzionava la faccenda. Dunque, con Pierdomenico da una parte e Carlomaria dall’altra, si parò davanti al biondino alto e secco e, schioccando leggermente la lingua, gli disse “Ehi, dà qua” allungando contemporaneamente la mano. Il palmo restò vuoto, ma si riempirono le orecchie: “Te lo scordi”. Tre paroline secche dette a voce asciutta. Il risultato ottenuto fu qualcosa di molto simile GLI IMPRESIBILI al fermo immagine di un video: il corridoio si zittì d’un tratto e tutti si immobilizzarono, tesi nell’attesa di ciò che Mirko avrebbe risposto. Mirko, da parte sua, dilatò le pupille e poi strinse gli occhi. Più capace di agire che di pensare, allungò il destro chiuso e, con un pugno come ne aveva dati pochi in vita usa, raggiunse lo zigomo di Saverio. Il rumore sordo fece rabbrividire i più sensibili, che chiusero gli occhi, perdendosi così la caduta a terra di Saverio e le due pedate che gli furono assestate come buona giunta da Pierdomenico e Carlomaria. Prima che la maestra passasse per controllare cosa stesse succedendo, Saverio era già in piedi: aveva uno zigomo blu e a fior di labbra teneva strette altre sei parole che proferì con voce secca: “Da me non avrai mai niente”. Uscendo dalla scuola al suono della campana, molti si avvicinarono circospetti a Saverio per mormorargli a mezza voce, di nascosto: “Sei stato un grande!”. Saverio si rivoltò contro il più vicino come un cobra che esce dal cesto: “Certo, io sono stato un grande e ho un occhio nero. Voi siete stati tutti codardi, non avete detto niente e siete sani come pesci. Almeno fuori, dentro non so…”. Nessuno se l’aspettava e un paio commentarono: “Quello lì ha proprio un pessimo carattere” e “Si vedeva subito che quello nuovo è antipatico”. 10 LA MERENDA La mattina successiva, le prime tre ore di scuola filarono via lisce e silenziose come capitava solo una volta ogni due o tre anni. L’attesa era tutta concentrata sull’intervallo. Pure Mirko doveva avere una certa fretta di sbrigare la faccenda perché, quando la campanella finì di suonare e tutti erano nel corridoio, andò dritto verso lo smilzo biondino e gli chiarì le idee con un predicozzo insolitamente lungo: “Tu mi devi dare la merenda oppure 20 centesimi, hai capito o non hai capito?”. Il tonfo del primo colpo accelerò i loro pensieri. “Forse bisognerebbe chiamare la maestra…” disse Tullio. “Se la maestra ha sempre lasciato fare, forse è d’accordo con Mirko…” ribatté Giorgio. “Ma che dici? Che ne sai tu?” lo rimproverò Luca. Il secondo colpo raggiunse Saverio sulla schiena lasciandogli il tempo di urlare: “Da me non avrai niente!”. “E dove sta scritto?” “Non sta scritto. Lo dico io. Qui la legge sono io” “E tu sei sbagliato” Per i gusti di Mirko a quel punto le parole erano state fin troppe. Alzò la mano per sferrare un colpo e simultaneamente i suoi due guardaspalle strinsero la formazione facendosi più vicini. Saverio si mise in posizione per parare il colpo e trovò il modo di lanciare uno sguardo ai compagni che gli stavano attorno. I ragazzi della sua classe si guardarono attorno perplessi, come se non fossero sicuri che quello sguardo fosse rivolto a loro e, anche se lo fosse, incerti sul significato da dargli. Quando non hai voglia di metterti in gioco, avere dubbi è un ottimo alibi. GLI IMPRESIBILI FINALE A “Però è proprio un grande…” considerò Giorgio. A Luca venne un’osservazione quasi acuta: “Dai, sono solo in tre… Mica possono picchiarci tutti!”. “Già…” commentò Tullio. Mirko lasciò Saverio dolorante e steso a terra. Nessuno fece l’atto di muoversi per soccorrerlo perché adesso l’attenzione di Mirko si stava rivolgendo attorno. Mirko si voltò verso il più vicino: “Ehi, dà qua!”. Ma la sua mano tesa restò vuota. “Da me non avrai niente” disse il ragazzino bas11 LA MERENDA sotto, che era quello che si chiamava Tullio. Prima che la mano di Mirko si alzasse per picchiare, più voci si fecero sentire: “Neanche da me”, “E da me neanche!”. Erano le voci di Giorgio e di Luca, anche se non suonavano proprio ferme e decise come i loro proprietari avrebbero voluto. “Ah, sì?” grugnì Mirko. Inaspettatamente, altri si staccarono dal muro per aggiungere: “Neanche da me!”, “Da me nemmeno”. C’era chi lo diceva convinto e chi si aggiunse solo quando gli sembrò che a stare zitto sarebbe rimasto nella minoranza, ma a farsi avanti furono in tanti. Uno, da dietro, attento a non farsi vedere, disse abbastanza forte da farsi sentire: “La legge siamo noi, adesso”. La maestra, dal fondo della porta scandì: “Sono orgogliosa di voi, ragazzi!”. Solo Saverio ebbe il coraggio di risponderle: “Con tutto il rispetto, signora maestra, ma se si fosse fatta sentire prima sarebbe stato meglio”. Da allora Mirko la merenda se la dovette portare da casa, mentre Pierdomenico e Carlomaria giurarono che loro, in fondo, non erano mai stati grandi amici di Mirko, ma solo vicini di banco e neanche tutti i giorni… Ma le loro parole, ormai, erano meno che pagliuzze nel vento. GLI IMPRESIBILI FINALE B Tullio diede di gomito a Giorgio: “Oh, qui si mette male…”. Luca mosse qualche passetto veloce in direzione dei compagni: “Ragazzi, qui succede la rivoluzione!”. “Qualcuno deve correre a chiamare la maestra… Vai tu!”. “Sei matto?!” strillò Tullio, subito coprendosi la bocca con la mano: “Quello mi vede! Se poi la maestra non fa niente, viene a pigliarmi e regola i conti”. Intanto le botte a Saverio si erano fatte tonanti e la voce di Mirko rabbiosa tra un tonfo e l’altro: “Vediamo se così la capisci meglio!”. Tullio iniziò a mangiarsi le unghie: “Forse bisognerebbe proprio chiamare la maestra…”. Mentre l’eco delle parole si spegneva, i tre amici e il resto della scuola osservavano il pestaggio con un briciolo di disgusto e un tocco di ammirazione. Il cigolio della porta della sala insegnanti fece l’effetto di una formula magica. I ragazzini fecero finta di giocare come sempre, da consumati attori. Mirko tirò in piedi Saverio e Pierdomenico e Carlomaria lo sorressero uno per lato. 12 LA MERENDA Mirko si asciugò il muco dal naso passandoci sopra la manica del maglione. Cancellò dal volto la maschera di cattiveria e ci appiccicò un’espressione di bovina meraviglia per gridare: “Maestra! Saverio si è fatto male!”. La maestra accelerò il passo: “Chi è stato?!”. Mirko fece spallucce mentre i suoi amichetti sbarravano gli occhi: “Noi lo abbiamo solo aiutato ad alzarsi!”. La maestra girò attorno uno sguardo rabbioso: “Non sono affatto contenta di voi! Da domani farete tutti la ricreazione in classe!”. I ragazzi mugugnarono a testa bassa e raggiunsero ciascuno il proprio posto. Saverio arrivò alla fine della lezione stringendo i denti per non piangere e, dopo quel giorno, nessuno lo vide più. GLI IMPRESIBILI 13 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Il brano che hai letto apre la possibilità a due opposte conclusioni. Puoi immaginare un terzo finale? Prova a scriverlo! Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 2 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Prova ad allestire in classe una lettura animata del testo. Un buon sistema di regole Comportamenti etici Rispetto della legalità Trasparenza Equilibrio virtuoso GLI IMPRESIBILI 14 3° articolo Il merito come virtù sociale Le imprese che affrontano quotidianamente la sfida dei mercati sono il luogo privilegiato di promozione del merito, perché dal merito dipende concretamente la loro capacità competitiva. La valorizzazione del merito rappresenta un elemento decisivo di promozione della mobilità sociale, il contributo distintivo che ciascuna impresa offre all’intera società, oltre il suo specifico interesse. Il grillo e la cicala GLI IMPRESIBILI 15 il grillo e la cicala Trillulleroooo trillullaaaaaaaa!” “ Sull’acuto finale la cicala fu sommersa dagli applausi, si inchinò al pubblico seduto ai tavolini e poi staccò il microfono. Il suo turno di lavoro era finito. Il grillo, che l’aveva accompagnata strimpellando, scese dal palco, bevve un bicchiere di rugiada fresca e poi le suggerì: “Vieni a pranzo a casa mia?”. La cicala accettò volentieri, perché si sa che alle cicale piace mangiare a casa degli altri. Nella tana del grillo, la tavola venne imbandita con prelibatezze: uova di rana in camicia, erbette sminuzzate condite con acqua di stagno e polpettine di gelatina di pesce. “Sei un gran cuoco!” si complimentò la cicala. Il grillo strizzò uno dei suoi occhioni scuri: “Mi piace cucinare, ma soprattutto scelgo sempre gli ingredienti migliori!”. “Ma che bravo… Io vado sempre al supermercato La Gatta Frettolosa, ma lì non si trovano cose tanto fresche!”. Il grillo scosse la testa: “Sbagli proprio il posto! Io vado solo al Mercato della Formica Premurosa… Anzi, avevo proprio pensato di far la spesa oggi pomeriggio. Ti piacerebbe venire con me?”. La cicala, siccome non aveva altri impegni e le GLI IMPRESIBILI piaceva passare il tempo in compagnia, accettò subito: “Volentieri!”. Presero un cestino e partirono. Il mercato era organizzato in un pezzetto di prato delimitato da una fitta siepe di margheritine. Le bancarelle erano tantissime, disposte in file ordinate. Merci di mille colori e dai cento profumi erano sistemate sulle tovaglie bianche ricamate dai ragni della regione, famosi in tutto il mondo per la loro abilità. La cicala curiosò un po’ attorno e poi andò ad assaggiare una marmellata di farro masticato ed esultò: “Ma è squisita!”. Una cavalletta atterrò al suo fianco con un gran balzo: ”Per forza, legga gli ingredienti: hanno aggiunto del miele. Eh, questa è la nuova frontiera: quando un formicaio si allea con un alveare non c’è più concorrenza che tenga. Glielo garantisco io che per trovare la marmellata migliore salto da un campo all’altro!”. La cicala prese un vasetto e lo rigirò per leggerne l’etichetta: “E non costa nemmeno tanto!”. “Due ottime ragioni per comprarne un po’!” le raccomandò la cavalletta prendendone cinque confezioni e saltellando via. La cicala prese un vasetto e passeggiò ancora un po’ insieme al grillo. Stava per allungare la zampetta su una confezione di croccante di briciole, 16 il grillo e la cicala ma una mosca planò sulla sua testa, si scagliò in picchiata e gliela soffiò via da sotto il naso. La cicala arricciò la piccola proboscide: “Se piace alle mosche, che hanno notoriamente gusti schifosi, è meglio lasciar stare, no?!”. “Già” fu d’accordo il grillo. Poco più in là, la cicala era sul punto di prendere un distillato di clorofilla, ma la bloccarono gli occhiacci che le stava facendo una formichina. “Che succede? Non posso?” chiese incerta la cicala un po’ preoccupata (si sa che i rapporti tra le cicale e le formiche a volte sono molto difficili!). “Ma lei non li legge i giornali?!” si indignò la formichina. La cicala, titubante, provò a trovare una risposta: “Veramente io, sa… Ho poco tempo…”. La formichina si fece più vicina e con un piglio deciso disse: “Allora, guardi, glielo spiego io: la vede la marca? Il Formicaio Tribolato. Non le dice niente? La regina di questo formicaio è una despota! Fa lavorare le sue formiche fino allo sfinimento… E vedesse in che condizioni! Quindi, le consiglio di non comprare quei prodotti!”. La cicala, intanto, stava studiando il tabellone pubblicitario: “Ma sono così convenienti…”. “Ecco, appunto!” strillò la formica, che si stava scaldando: “C’è convenienza e convenienza! CaGLI IMPRESIBILI pita di trovare un formicaio onesto che fa pagare poco, ma questa clorofilla è conveniente perché fatta senza rispettare i diritti delle povere formichine. Pesa poco sulle sue tasche perché pesa molto sulla vita di tanti lavoratori per bene. Faccia la brava: compri un altro prodotto e si tenga pulite la coscienza, le tasche e fin anche la bocca!”. La cicala annuì, ringraziò per la spiegazione e andò a cercare in giro fino a che trovò un distillato di clorofilla che costava poco e all’olfatto era buono. La formichina, che era stata sulle sue tracce, le sbucò da dietro una spalla: “Ecco! Questa va bene! Vede? Qui c’è scritto che questo distillato è fatto rispettando l’ambiente e tutto il processo di lavorazione è cer-ti-fi-ca-to. Lei sa che cosa vuol dire ‘certificato’?” Davanti a quello sguardo dritto e sicuro, la cicala cadde in un profondo imbarazzo: “Io, veramente… Sa…” “Sì, sì, certo: lei non ha tempo!” sospirò la formichina, mentre il grillo ridacchiava. “Glielo dico io: vuol dire che tutti i passaggi, dalla raccolta della clorofilla alla sua distillazione e fino all’imbottigliamento, avvengono con sistemi corretti e nel rispetto delle esigenze del lavoratore. Insomma, un distillato buono, che fa bene a chi lo produce, a chi lo compra e persino a chi lo beve!”. La cicala ringraziò la formichina ancora una 17 il grillo e la cicala volta, ma questa volta si fermò a osservarla fino a che fu sicura che fosse abbastanza lontana. Allora si rivolse al grillo: “Ehi, non pensavo che fare la spesa fosse tanto difficile: io di solito vado al supermercato, riempio il carrello al volo e me ne vado!”. Una lumaca che stava lentamente strisciando verso di loro agitò i suoi occhietti appesi alle antenne: “Eh, no! A seconda di quel che acquisti premi qualcuno: gli dai i tuoi soldi, la tua fiducia, gli affidi la tua salute e quella della tua famiglia. E mica solo questo!” Siccome parlava lenta come camminava, le ci volle un po’ a dire tutta questa frase. Con gran calma aggiunse anche: “Quando compri qualcosa, stai contribuendo a far crescere un’azienda e il titolare di quell’impresa saprà, se vende tanto o poco, di piacere molto o niente al pubblico. Acquistare è un gesto importante!” Ormai la lumaca li stava sorpassando e li lasciò mentre diceva: “Non vale proprio la pena di buttar via per la fretta un’azione così delicata!”. La povera cicala scavalcò la striscia bavosa lasciata dalla lumaca per arrivare vicino al grillo e con un gran sospiro si lamentò: “Ma dovrei sapere tutto! Come faccio a raccapezzarmi in tutto quello che si offre qui e in tutti gi altri negozi?”. Il grillo aprì la bocca per rispondere, ma fu preceduto da un millepiedi che passava di lì tutto GLI IMPRESIBILI di fretta e parlava veloce come un nastro accelerato: “Mai fare le cose a caso! Bisogna informarsi, leggere le etichette, parlare con gli altri! E comprare i prodotti che meritano! Guardi, io solo per le scarpe a volte impiego mezza giornata, ma poi mi durano tanto, non mi fanno venire il mal di piedi e io corro contento dove il mio lavoro mi porta!”. FINALE A Il grillo si limitò a sorridere perché non aveva proprio più niente da dire, poi prese sottobraccio la cicala e continuarono il loro giro tra le bancarelle. La cicala riempì il suo cestello e fu molto felice dei suoi acquisti tanto che invitò a cena tutti quelli che aveva incontrato al mercato e così guadagnò pure tanti amici! FINALE B La cicala sbuffò: “Ehi, qui non ce n’è uno che si faccia gli affari propri!”. Il grillo sorrise: “Bello, no? Si scambiano opinioni, si raccolgono informazioni…”. “E si spendono un sacco di soldi!” lo interruppe 18 il grillo e la cicala bruscamente la cicala. “Non solo sto qui a soppesare ogni pacchetto e a farmi fare predicozzi a destra e a manca, mi tocca pure spendere un buon 30% in più. Tutti questi discorsi sulla qualità mi annoiano!”. Il grillo stava per dire qualcosa, ma la cicala lo zittì tendendo una zampetta verso il suo musetto: “Sai che ti dico? Tienitelo tu questo cestino. Io me ne torno al mio solito supermercato e statemi tutti bene!”. Detto questo, se ne andò via correndo veloce sulle sue sei zampette. Il grillo si voltò verso la formichina che non li aveva mai persi di vista e disse brusco: “Se quest’inverno bussa da voi e la fate entrare…”. GLI IMPRESIBILI 19 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Ogni favola ha una morale, implicita o esplicita: individua e scrivi la morale di questa favola usando parole tue oppure ricorrendo a una serie di proverbi. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 3 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Traduci questa favola in un manifesto pubblicitario del “Mercato della Formica Premurosa” e aggiungi uno slogan tuo. Confronta il tuo elaborato con quello dei tuoi compagni di classe per eleggere il miglior motto. GLI IMPRESIBILI Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Il merito come virtù sociale La sfida dei mercati Promozione del merito Mobilità sociale 20 4° articolo La crescita dell’impresa familiare Le imprese hanno spesso nella famiglia la propria origine e ispirazione, il motore primo del loro sviluppo e un’importante risorsa di coesione interna. Al contempo, le imprese sanno che un assetto proprietario organizzativo e manageriale più articolati rappresentano opportunità di possibile innovazione del rapporto famigliaimpresa per affrontare nuove sfide competitive. Il castello di Spugnalessa GLI IMPRESIBILI 21 il castello di spugnalessa Il castello di Spugnalessa si ergeva sul picco della montagna più alta. Tutte le mattine il ponte levatoio si abbassava e da lì uscivano carri coperti con drappi dorati: imboccavano il ripido sentiero e scendevano a valle. Sembravano un nastro scintillante che si srotolava verso il centro del piccolo borgo. Una volta arrivati alla piazza del villaggio, i carri prendevano le direzioni della rosa dei venti e come raggi di sole si sparpagliavano per il regno, allargandosi poi ai reami vicini. Pian piano raggiungevano tutti i punti della Terra conosciuta sotto forma di piccoli, luminosi punti di luce. Re Stupefatto e Regina Incredula, puntuali, tutte le mattine si affacciavano dall’ultima finestra della torre più alta e li seguivano fino a che non sparivano all’orizzonte. Lungo le strade, la gente salutava i conducenti con un sorriso. E avevano ben ragione di sorridere. Quei carri trasportavano la merce più preziosa: dentro le casse di legno sigillate con cura erano sistemati gli ingredienti per le più prodigiose magie e le attrezzature per i migliori professionisti del settore. Infatti, il regno di Spugnalessa era famoso nel mondo per la sua produzione di scope volanti a scoppio, liofilizzati di rane, tempera-bacchettemagiche, accalappiafantasmi elettrici, distillati GLI IMPRESIBILI di cacca di liocorno, estratti di sguardo di basilisco e via discorrendo. Ogni anno il catalogo si aggiornava con prodotti nuovi e irresistibili che subito richiamavano valanghe di prenotazioni e di lettere di complimenti. I carri in partenza raggiungevano fate, streghe, fattucchiere e maghi ovunque vivessero e consegnavano a domicilio quanto richiesto. La prestigiosa Azienda Reale di Prodotti Magici Misteriosi e Magnificenti, ovvero la Az.Re. 3M, era stata fondata nella notte dei tempi da Re Mattacchione ed era stata portata avanti di generazione in generazione, passata di mano in mano da sovrani e regine. Una storia gloriosa. Almeno fino a quando Re Stupefatto e la sua consorte, Regina Incredula, avevano preso in mano la situazione. Erano stati bravi nel gestire gli affari e le loro idee innovative avevano fatto faville. L’unico neo era che i due diventarono grandi, poi maturi e infine quasi vecchi senza avere un erede. “Possibile” si dicevano i sudditi, “che producano magie per tutti ma non riescano a trovare gli ingredienti per un incantesimo che faccia nascere un principe o una principessa?”. La domanda rimbalzava di bocca in bocca e forse arrivò anche alle orecchie dei regnanti perché si racconta che il re e la regina passarono lunghi giorni tra alambicchi e polveri misterio22 il castello di spugnalessa se. Fosse per quello o fosse perché finalmente era il momento, fatto sta che appena prima che l’ultimo capello biondo della regina diventasse bianco, fu dato il lieto annuncio: al falegname di corte era stato dato l’incarico di scolpire la più bella culla mai vista a palazzo. Il falegname si mise subito all’opera e dopo qualche mese il lettino fu pronto e, accidenti, non bastò! Infatti, nacquero non uno, ma due principi: gemelli! La culla venne raddoppiata con un colpo di bacchetta magica. Quando Stupefatto e Incredula presentarono i figli ai sudditi, in molti osservarono: “non sarà difficile distinguerli!”. In effetti, uno era biondo e l’altro era moro, uno era magro e l’altro era cicciottello, uno stava zitto e l’altro urlava a tutto spiano, uno era bellissimo e l’altro proprio bruttino. Tutto questo, però, non tolse nemmeno un grammo alla felicità generata dalla loro nascita. Li chiamarono Piacente e Ridente. Fin da piccolissimi, furono indirizzati alla gestione della Az.Re. YouYou. Piacente, il gemello bellissimo, rivelò da subito il talento del venditore: se una strega passava al castello o se lui andava a trovarla nel suo antro, si poteva star certi che quella avrebbe speso più di tutti gli anni precedenti messi insieme. Ridente, il gemello bruttoccio, era uno straordiGLI IMPRESIBILI nario inventore di strumenti e prodotti e la sua fantasia era inesauribile. Solo nei primi tre mesi d’attività aveva progettato: un tappeto magico volante con il dispositivo anti-acaro incorporato, il pentolone elettrico per mantenere in calda le pozioni e un accrescitore di nasi per imbruttire le streghe troppo belle. Tutte cose che piacevano un sacco e facevano aumentare le vendite più dei saldi di fine stagione. Tutto andava bene, dunque? No, nient’affatto. Si divertivano troppo quei due! Piacente se ne stava sempre in giro tra streghe e fate e rientrava dai suoi giri di promozione solo per cambiare i bagagli; Ridente faceva brevetti su brevetti, ma non usciva mai dal suo laboratorio. Re Stupefatto e Regina Incredula erano ormai troppo vecchi e nessuno più seguiva né la produzione degli oggetti appena presentati né il magazzino e la distribuzione. Così succedeva che gli articoli venivano messi in lavorazione a volte sì e altre no, ma se anche venivano prodotti nessuno si curava che fossero in numero sufficiente per soddisfare le prenotazioni e nemmeno che arrivassero a destinazione. In capo a poco, arrivarono le prime lettere di protesta. “Spett.le Az.Re YouYou, ho richiesto tre iguane meccaniche, le ho pagate in anticipo e non le ho viste! Babajaga”. 23 il castello di spugnalessa “Signori, la carrozza convertibile in zucca da minestra era sul vostro catalogo, ma non risulta sia entrata in produzione, ci sono stati problemi? Mi fate sapere? Fata Minestrina”. “Ehi voi di corte, vi siete messi a raccontare bugie?! Ho prenotato tre rileva-menzogne agli ultrasuoni, ma mi avete spedito un kit per far marcire l’alito! Non mi serve e lo voglio cambiare! Fata Turchina”. Anche il fatturato dell’impresa reale stava crollando a picco… I carri che tutte le mattine uscivano dal palazzo non solo avevano sostituito i drappi d’oro con quelli d’argento e non li salutava più nessuno, ma spesso sbagliavano strada e chi li guidava era sempre più triste e stanco. Quando arrivò la milionesima lettera di protesta, il forziere del castello era quasi vuoto. Re Stupefatto, allora, cominciò a preoccuparsi sul serio e convocò il Gran Consiglio. Arrivarono proprio tutti: ciambellani e gran ciambellani, una rappresentanza sindacale dei folletti-costruttori e una delegazione di fate e streghe consumatrici. Tutti ebbero modo di dire la loro. I folletti-costruttori furono i primi. GLI IMPRESIBILI A nome di tutti parlò uno che aveva un gran berretto verde da cui spuntavano appuntite ciocche di capelli biondi e ispidi: “Insomma, noi costruiamo volentieri quello che serve, ma se nessuno ci procura i materiali e nessuno ci dice quanti pezzi ne servono, come facciamo noi a indovinarlo? Anche i nostri colleghi del magazzino impazziscono: c’è una tale confusione tra gli ordini e gli indirizzi ai quali vanno spediti, che non capiscono più nulla, poveretti!”. La fata-portavoce, alta, riccia e tanto bella da far venire le vertigini, si accalorò raccontando: “È insopportabile: non sappiamo mai se i prodotti in catalogo esistono davvero oppure no e quando arrivano i pacchi non siamo mai sicure che contengano quello che abbiamo chiesto!”. Una strega particolarmente ripugnante rincarò la dose: “Accidentaccio! Se continuate così, ci troveremo un altro fornitore… Alcuni maghi, amici miei, stanno già cercando a chi rivolgersi!”. A concludere tutto fu il gran ciambellano che curava la contabilità: “Qui stiamo raschiando il fondo nel senso proprio letterale: per cercare qualche moneta d’oro dobbiamo frugare sul fondo del forziere!”. Re Stupefatto e Regina Incredula ascoltarono tutto questo con la fronte corrugata e lo sguardo fisso. Il sovrano meditò qualche minuto e poi saltò 24 il castello di spugnalessa alle conclusioni: “Dite che i miei figli non se la stanno cavando bene?”. FINALE A Tutti quelli seduti attorno al tavolo scossero la testa e non c’era più d’aver dubbi su come stessero andando le cose. Il Re provò a rianimare l’ambiente, facendo ragionare la consorte: “Mia cara, ma non sono nemmeno venuti qui! Mica gli scippano la corona! Anzi, loro saranno liberi di fare quel che a loro più piace e intanto qualcuno farà la parte che non sono capaci di gestire. Possiamo solo essere ancora più apprezzati!”. Un fragoroso applauso si levò e divenne anche l’applauso di quelli che portavano a destinazione i carretti, di chi riceveva i pacchi, di chi vedeva sfilare i carri di nuovo dorati dell’Az. Re. YouYou. La Regina Incredula chiese: “Che cosa possiamo fare? I nostri figli già si stanno occupando dell’impresa di famiglia…” Tutti sorrisero comprensivi, sperando che andasse avanti, ma la sovrana lasciò cadere il discorso e tutti furono un poco delusi. Il Gran Ciambellano riprese il discorso: “Ecco, appunto, ci sono cose che i due principini stanno trascurando…”. Re e Regina si grattarono il mento, si strofinarono la fronte, si guardarono più volte tra loro e poi Stupefatto parlò: “Voi ci potreste aiutare?”. Già, perché il folletto che era stato convocato per il Gran Consiglio si occupò di coordinare la produzione e scelse un collega per il magazzino, una strega si occupò di smistare gli ordini e curare il catalogo e una fata si mise diligentemente a scrivere lettere a tutti quelli che negli ultimi tempi erano rimasti vittime dei disservizi. Intanto, Piacente e Sorridente erano più felici che mai. E si sa che se il principe sorride, tutti vivono felici e contenti. Finalmente i sorrisi si accesero come le lampadine sull’albero di Natale: tutti avevano voglia di migliorare la situazione! FINALE B La Regina raffreddò l’atmosfera: “E se poi Piacente e Sorridente si offendono?”. Il Re si grattò il mento e guardò la moglie con gli occhi languidi: “Tu sì che sei saggia, tesoro mio!”. Il re strabuzzò gli occhi: “Forse abbiamo bisogno d’aiuto?”. E ancora una volta tutte le teste si mossero simultaneamente per dire che sì, proprio quello era il nocciolo della questione. GLI IMPRESIBILI 25 il castello di spugnalessa Folletti, fate e ospiti vari sentirono il pavimento sprofondare di un centimetro. La Regina, confortata dalle parole del reale consorte, si animò: “Insomma, dico, che ci fa qui tutta questa gente?! L’azienda è della Famiglia Reale da almeno trentacinque generazioni ed è sempre andata bene! Che cosa pretendono di insegnarci?!”. Le parti di pavimento su cui si erano accomodati gli ospiti si abbassarono di altri cinque centimetri e questa volta non fu solo un’impressione: era la foga della Regina che scatenava meccanismi magici. La sovrana proseguì: “Che poi, dammi retta: adesso ci dicono quel che dovremmo fare e poi ci rubano la società! Qui si sa come si comincia, ma non si sa come va a finire! C’è un po’ di crisi, ma siamo sopravvissuti a cose ben peggiori!”. Il folletto con i capelli biondi ispidi si alzò per dire qualcosa, ma magicamente volò fuori dalla finestra chiusa senza nemmeno rompere i vetri. Il Re si alzò e prese la mani della moglie: “Massì, basta che facciamo noi quattro chiacchiere con i nostri ragazzi!”. La Regina si alzò dal trono e i due regnanti se ne andarono senza nemmeno salutare, mentre il pavimento andava in briciole e gli ospiti precipitavano di piano in piano fino a rotolar fuori dal ponte levatoio insieme alle macerie. GLI IMPRESIBILI 26 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Prova a scrivere questa fiaba guardando la vicenda con gli occhi di un folletto-costruttore. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 4 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Crea le sagome dei personaggi e poi fai un allestimento della storia come spettacolo teatrale di figura. Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. La crescita dell’impresa familiare Le imprese hanno spesso nella famiglia la propria origine e ispirazione Un assetto proprietario organizzativo e manageriale più articolato è un’opportunità di possibile innovazione GLI IMPRESIBILI 27 5° articolo Una dimensione competitiva per il mercato Le imprese sono cresciute e continueranno a crescere con l’internazionalizzazione dell’economia, che sostengono con forza. Le imprese sanno che produrre per il mondo richiede dimensioni adeguate ai mercati su cui operano e seguono processi di aggregazione e crescita dimensionale che possono avvenire con le più opportune forme di consolidamento e integrazione aziendale. Braknan contro i Clipsi GLI IMPRESIBILI 28 Braknan contro i Clipsi Braknan levò la mazza chiodata oltre la testa, digrignando i denti. Sei piccoli Clipsi si erano già arrampicati sulle sue possenti spalle e con le loro dita adunche tentavano di graffiargli gli occhi. I più deboli, incapaci di far di meglio, si aggrappavano ai suoi lunghi capelli, strappandoli a piene mani: grosse ciocche cadevano a terra lasciandogli la nuca sanguinante. Braknan calò la mazza che con un tonfo schiacciò alcuni Clipsi. Molti vennero travolti senza nemmeno il tempo di un lamento. Quelli abbarbicati su di lui si dimenarono come impazziti, ma Braknan non dava segno di sentire il dolore. Con sovrumano sforzo, tornò a sollevare la palla chiodata che era stata forgiata per suo nonno dal re dei nani e che solo Braknan era stato capace di usare. Intendeva colpire la microscopica catapulta che scagliava una pioggia di fastidiosi dardi, ma non riuscì a mettere a segno il colpo. Una taglientissima lama rotante saettò all’altezza del suo petto squarciando la corazza che credeva invulnerabile. Un intenso bruciore gli fece capire che il bordo dell’acciaio gli aveva tagliato la pelle. Pensò allora che l’inevitabile sarebbe accaduto: sarebbe stato il primo Attinios a dover ripiegare in fuga. Rassegnato e furente, lanciò un grido che raggiunse le nubi e le costrinse a ritirarsi. GLI IMPRESIBILI Nello sprazzo di sereno, la sagoma di Bistot si delineò sempre più nitida e vicina. Il drago sputò una fiammata che fece allontanare i Clipsi quanto gli bastava per atterrare accanto al suo padrone. Braknan, gli si issò sulla schiena, appesantito solo dall’umiliazione di cui mai avrebbe voluto caricarsi. Bistot fiammeggiò ancora sui piccoli nemici infestanti e poi si librò in aria con energici colpi d’ala. Sorvolarono un mare di nebbia, punteggiato dai picchi aguzzi delle montagne marmoree che spingevano le proprie vette a bucare il cielo. Lasciandosi il sole alle spalle, planarono mollemente verso le guglie del castello. Braknan scese dalle spalle di Bistot e lanciò un urlo che scosse il palazzo fino a farne vibrare le tegole. Il fido Ornan accorse zoppicando sulle sue corte e attorte gambette. “Padrone, che succede?”. Braknan slacciò quel che restava dell’armatura e la scagliò a terra, sollevando polvere dal terreno secco: “Io, il grande Braknan della dinastia degli Attinios, sono stato costretto a fuggire davanti a un’ignobile torma di Clipsi che nemmeno nella culla avrei esitato ad affrontare! E perché? 29 Braknan contro i Clipsi Perché la mia corazza è stata vulnerabile!”. L’energia con cui sottolineò l’ultima parola, costrinse Ornan ad arretrare di un passo. “Signore” si azzardò a dire, umettandosi più volte le labbra e abbassando lo sguardo dei suoi piccoli occhi lupini, “Non può e non deve esserci rammarico in questo, la vostra dinastia era comunque da secoli l’unica dell’Impero a non aver subito sconfitte…”. Un alto belluino urlo di Braknan fece morire le parole nella gola di Ornan e spinse Bistot a volare via rapidissimo. “Se io ora premessi la mia lama contro il tuo corpo, che accadrebbe?”. Olkof deglutì facendo salire e scendere vistosamente il suo grosso pomo d’Adamo, poi mosse le labbra a vuoto e, infine, riuscì a dire: “Non accadrebbe nulla, la mia corazza è come la tua, la migliore!”. Braknan ordinò: “Voglio qui i nani. Entro un’ora!”. Braknan non distolse la punta della sua arma, ma alzò la testa per liberare dalla profonda gola una risata forzata: “Certo! Mi piace la sicurezza della tua voce…”. La delegazione dei nani arrivò a bordo di uno stormo di Baku e il loro ingresso nella Sala dei Dibattiti si svolse nel più assoluto silenzio. Sull’ultimo suono di quella parola, affondò la spada abbastanza per rompere l’armatura del nano, ma non a sufficienza per fargli del male. Il salone era in larga parte occupato da un ampio tavolo a forma di dorso di tartaruga, con una bombatura al centro che ondeggiava minacciosa, con il solo scopo di destabilizzare chi gli si sedeva attorno. La fronte di Olkof era madida di sudore e il suo viso era pallido come non mai. Braknan incombeva all’estremità opposta alla porta. I nani entrarono e, obbedendo a un muto cenno del padrone di casa, andarono a distribuirsi lungo il perimetro del tavolo. Appena furono tutti sistemati, Braknan sfoderò GLI IMPRESIBILI dal fianco una lunga lama e la puntò al petto del capo dei nani, Olkof, seduto alla sua sinistra. Braknan ripose la lama nel fodero e fece cenno al capo dei nani di rimettersi a sedere. Quello cadde pesantemente sullo scranno, respirando a fatica. Si schiarì la voce e latrò: “Ora esigo di sapere cosa sta succedendo! E se non me lo saprete spiegare, vi dico che accadrà?” godette un attimo lo spaventato silenzio dei suoi ospiti e riprese: “Succede che vi ammazzo tutti e vado dalla tribù dei Vikios che vive sotto il vulcano Fulikiki 30 Braknan contro i Clipsi dove fanno un prodotto che mi dicono passabile e, quindi, sicuramente migliore del vostro! E poi si mormora abbiano messo a punto una nuova strategia di piegatura del metallo...”. me, stabilito alleanze e inimicizie che ne avrebbero ridisegnato la reputazione. Nella sala regnava un silenzio greve. “E se cederà” disse Olkof, consegnandola, “potrai strapparmi la testa con le tue stesse mani”. I nani rimasero immobili come statue, puntando gli occhi sul loro capo. Olkof inspirò, prendendo coraggio dalla rabbia per l’offesa che aveva pubblicamente subito: “Recentemente, abbiamo avuto qualche difficoltà… Diciamo... Ci siamo un po’ privati dei contatti con gli altri nostri concorrenti”. Braknan scosse la testa: “Avete una settimana per rimediare a questa situazione. E poi decido. A voi la scelta: potete vivere o morire, ma avete il privilegio di essere fabbri della vostra sorte”. FINALE A La nuova corazza di Braknan fu pronta in capo a cinque giorni. Braknan vestì quella nuova armatura e volò via con Bistot. Per i Clipsi era l’ultimo tramonto. FINALE B I nani abbandonarono la sala avvolti da un’aura di astioso silenzio. Quando furono abbastanza lontani dal castello, ordinarono ai Baku di dirigersi verso il vulcano Fulikiki. Lì bussarono alle caverne dei Vikios e offrirono i loro umili servigi. Vennero subito accolti e da allora vivono in catene nelle viscere della Terra. I nani uscirono in fila indiana, in silenzio come erano stati fino ad allora. Olkof chiudeva la formazione e già i suoi occhi tradivano il lavorio delle sue idee. In capo a tre giorni i nani avevano già raggiunto tutti gli altri produttori di armature dell’Impero e avevano scambiato informazioni e materie priGLI IMPRESIBILI 31 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Riscrivi la storia invertendo il ruolo dell’eroe e degli antagonisti. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 5 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Inventa giochi enigmistici (rebus, cruciverba, incroci di parole o altro) per trovare le parole chiave del racconto. Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Una dimensione competitiva per il mercato L’internazionalizzazione dell’economia Processi di aggregazione e crescita dimensionale Consolidamento e integrazione aziendale GLI IMPRESIBILI 32 6° articolo L’innovazione come valore Le imprese vivono in un processo di cambiamento incessante e di continua innovazione. L’innovazione continua di prodotto, di processo, tecnologica, commerciale, logistica, organizzativa è parte costitutiva della cultura gestionale delle imprese, del loro interesse alla formazione continua e della loro capacità di confronto con il mercato. Io, l’immortale GLI IMPRESIBILI 33 Io, l’immortale Dall’introduzione ad “Arthur McTosh, ricordi di un highlander”. Mi chiamo Arthur McTosh e sono nato con l’uomo. La mia vita è stata così lunga e così rari gli incontri con esseri come me immortali, che finora non ho avuto alcun valido motivo per considerarmi in pericolo di vita. Finora, appunto. Gli eventi degli ultimi giorni hanno introdotto una novità inattesa e non del tutto gradita, che mi mette nell’urgenza di raccogliere ciò che della mia vita ho portato con me fino a questi tempi. Riordinare i miei ricordi mi aiuterà a ricordare chi sono e a farmi affilare le armi adatte per affrontare la prova che potrebbe essere quella estrema. Conservo traccia dei miei giorni fin dall’inizio della mia peregrinazione su questa Terra. Quando seguii il flusso migratorio che spingeva le genti ad aggregarsi nelle grandi civiltà nascenti, appresi la scrittura cuneiforme. Quelli che nel mio palazzo sembrano reperti archeologici gelosamente custoditi in teche da museo sono in realtà brandelli della mia memoria. Ricordo ancora la sensazione dell’argilla duttile tra le mie mani e il piacere di imprimerle i miei ricordi e forgiarla nella forma dei miei pensieri e quell’ansia sottile che mi coglieva quando la GLI IMPRESIBILI adagiavo a terra per farla seccare al sole, attento che non si crepasse. Poi la sollevavo, leggera e fragile, per metterla al riparo. La fatica di scrivere segnò per secoli il mio modo di esprimermi: impressioni intense e senza dettagli. Le mie memorie erano fuochi di parole senza scintille, arcobaleni senza sfumature. Scrivevo allora di viaggi estenuanti, di spaventi epocali, di cataclismi irreversibili: mi affacciavo alla vita e l’uomo era ancora tutt’uno con la natura, a parte l’effimero riparo delle case e lo sforzo consapevole di cercare un modo per gestire le comunità sempre più grandi, armate, potenti. L’uso dello stilo mi alleggerì la mano, ma non diede garanzia di maggior durata ai miei pensieri. Il passaggio alla scrittura geroglifica su papiro fu il sollievo dalla lotta contro la materia. Sebbene segni e colori continuassero a essere solo la sintesi di un’idea, mi ero finalmente liberato dell’ansia di poter frantumare irrimediabilmente i miei ricordi, consegnando irreparabilmente il mio vissuto all’oblio. Scrivevo allora di grandi opere che proiettavano l’uomo verso l’orizzonte di un futuro senza limiti e quando le rileggo ora ammiro la mia fiducia e sorrido della mia ingenuità. Passai all’antica Roma e alla ruvida pergamena su cui le tracce restavano delicate e cangianti con il passare del tempo. La penna d’oca e l’inchiostro grumoso furono compagni delle mie sere al fumo di candele di 34 Io, l’immortale sego, chiuso tra le possenti mura dei conventi dove, minuscolo nell’immensità del creato, a fatica sconfiggevo il freddo, armato solo di un piccolo braciere che non arrivava a scaldarmi le dita irrigidite sotto i mezzi guanti di lana grezza che ancora odoravano di animale. Il movimento corsivo della mano mi pareva di un’incantevole leggerezza e la possibilità di tirare una riga e riscrivere mi faceva provare la vertigine della libertà. Potevo finalmente addentrarmi a dar parole a ogni dettaglio delle mie impressioni, a ogni vibrazione delle mie emozioni. Gli oggetti, i visi e gli sguardi si lasciavano catturare ciascuno da una parola e, una volta presi a laccio dall’inchiostro, si facevano portare mansueti al posto dove li si voleva condurre. La mano guidava sicura l’aratro della penna che lasciava il suo seme d’inchiostro perché crescesse nei futuri lettori e io scrivevo le mie memorie per non smarrire il frutto del mio tempo. Fu così per secoli, fino a che nella terra del Sacro Romano Impero sbocciò l’idea grandiosa della stampa a caratteri mobili. Che senso di euforia, che impressione di conquista! Per me che ancora trascinavo tra gli effetti personali le mie mattonelle d’argilla incisa, quelle lettere sciolte che si combinavano e si ricombinavano per far nascere discorsi che poi s’imprimevano sulla carta una, due, infinite volte: erano la liberazione da un giogo. Feci stampare alcuni dei miei trattati GLI IMPRESIBILI storici e ancora li conservo nella mia biblioteca, dove esperti e dotti vengono a studiarli con l’atteggiamento reverente del pellegrino davanti a una reliquia. Non hanno idea di quanto il loro timoroso rispetto sia simile a quell’infatuazione che noi stessi provavamo allora stringendo tra le mani una copia appena rilegata e odorosa della carta nuova, con l’odore penetrante dell’inchiostro, quello acido della colla e il puzzo acre del cuoio. Quando il pennino divenne di metallo e poi la stilografica si fece largo tra le invenzioni dell’uomo, ne salutai l’esordio come si celebra la nascita di un profeta. La carta leggera e liscissima, la penna e la sua carica d’inchiostro: tutto il necessario per scrivere stava in una sola mano! Potevo scrivere ovunque volessi e non ero più costretto, quasi incatenato, al mio tavolo di lavoro. A cosa potrei paragonare una simile sensazione? Forse, solo l’uomo che per primo potrà spiccare il volo con ali proprie saprà il sollievo che ho sentito nel petto. E poi? Poi la macchina da scrivere, che simulava la stampa e si faceva in casa, con una semplicità che aveva del miracoloso per chi, come me, aveva conosciuto la fatica del torchio. La penna a sfera! Quel rotolare senza sbavature che rendeva il gesto di scrivere una danza paragonabile alle acrobazie di un airone nel cielo. 35 Io, l’immortale FINALE A Il computer fu come un balzo fuori dai limiti terrestri: correggere e riscrivere senza gettare il foglio, senza dover poi rimettere nero su bianco righe infinite. La prima volta che ho scritto usando un personal computer mi è sembrato che la macchina mi istigasse a far di più, a dare il massimo: l’agilità del mezzo, la semplicità del gesto dovevano servire a farmi dare il meglio. Spogliato della fatica della mano, dovevo vestirmi del prestigio delle idee. Come un pittore sulla cui tavolozza si moltiplichino le sfumature dei colori, dovevo dar vita a quadri ancora migliori. Adesso che questa premessa alle mie memorie la sto scrivendo da un iPad che mi consentirà di condividerla all’istante con tutti i miei amici mi impongo di lavorare usando la testa come il più affilato degli scalpelli, per incidere sulla tenera memoria di silicio qualcosa di degno per i miei posteri. L’argilla, il papiro, la pergamena, la carta e le pietre che se ne stanno sulla mia scrivania saranno il mio promemoria. non perde mai la memoria di ciò che è stato è una prodigiosa rivoluzione. Mi seduce la potenzialità di un fluire perpetuo e immediatamente condivisibile: scrivo, pubblico e divulgo in una quantità di tempo che duecento anni fa avrei dovuto spendere solo per appuntire la penna. Ma resto diffidente. Che ne sarà di questi circuiti di metallo, di questa memoria di silicio quando il terminale capace di decodificarlo sarà smarrito? Chi saprà più forzare lo scrigno virtuale in cui rinchiudo i miei pensieri? Che futuro posso garantire alle mie idee? Tutto ciò che ho scritto, più o meno faticosamente, mi ha potuto seguire ovunque ed è stato sempre leggibile. L’informatica sarà capace di garantire una pari immortalità? Io non ho una risposta a questa domanda e perciò arranco scrivendo sulla fedele carta. FINALE B Il computer, invece, l’ho rifiutato. Sì, lo ammetto: è seducente. La possibilità di scrivere, cancellare e riscrivere come su un foglio infinito che GLI IMPRESIBILI 36 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Intervista i tuoi genitori O I TUOI NONNI e poi prova a scrivere una relazione sulle principali innovazioni tecnologiche alle quali hanno assistito nel corso della loro vita. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 6 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Fai una scheda che riassuma i principali passaggi evolutivi della strumentazione per la scrittura. GLI IMPRESIBILI Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. L’innovazione come valore Cambiamento incessante e di continua innovazione Formazione continua Capacità di confronto con il mercato 37 7° articolo Un’impresa responsabile Le imprese interagiscono con una pluralità di soggetti interni ed esterni. Relazioni che arricchiscono reciprocamente le imprese, i loro interlocutori, i territori in cui operano. I rapporti con i propri clienti e fornitori, con il personale e con le comunità dei territori di insediamento rappresentano per le imprese una fonte di conoscenze necessarie e un ambito di esercizio di responsabilità. Che cos’è esattamente una mamma? GLI IMPRESIBILI 38 Che cos’è esattamente una mamma? Una mamma è la rete di protezione quando voli, il pavimento quando devi correre, l’ombrello quando piove, l’aquilone quando il vento chiama ed è ora di muoversi. Per Arturo e Michele, fratelli gemelli, la mamma era una signora alta, elegante, sorridente e a volte, ma solo a volte, un po’ bizzarra. Mamma Giulia viveva con Arturo e Michele in una casetta bianca con i fiori al davanzale. Michele e Arturo avevano vestiti puliti e ben stirati, erano sempre pettinati con una scriminatura perfetta, conoscevano la buona educazione e non si mettevano le dita nel naso. Perfetti, anche se un po’ magrolini e palliducci. Tutti i giorni mamma Giulia portava i suoi ragazzi a pedalare nel parco ed era anche capace di giocare a calcio se mancavano amichetti disposti a tirar pedate a un pallone. Tutti quelli che li vedevano, sospiravano: “Ah, che mamma perfetta!”. Ma non è mai tutto oro quello che luccica. Mamma Giulia, per esempio, smetteva di brillare quando si oltrepassava la soglia della cucina. A lei, stare in quell’ambiente, non piaceva proprio: si agitava, si preoccupava, cominciava a urlare. “Bambini, non avvicinatevi al frigorifero: è troppo pericoloso!”. GLI IMPRESIBILI “Non aprite le scatolette: potreste farvi male!”. “Guai a chi accende il gas: s’incendia la casa!”. Insomma, quando era in cucina, mamma Giulia viveva in un clima di autentico terrore. Dunque, a colazione e a merenda, a pranzo e a cena, cercava di rimanerci il meno possibile e liquidava pasti e spuntini allungando ai bambini il cartoccio del latte perché bevessero direttamente da quello. Per variare, metteva in mano ai figli frutta fresca intera, pane comprato alla forneria o quelle altre poche cose già pronte che una mamma ritiene sane e salutari. Però, si sa, una mamma perfetta fa in modo che i propri figli coltivino l’amicizia con altri bambini, facciano i compiti con i compagni di scuola, frequentino i vicini di casa. Arturo e Michele avevano quindi un sacco di amici e capitava spesso che fossero da loro per la merenda o che ricevessero inviti per pranzo o per cena. Quando mangiavano una pastasciutta, i due bambini sospiravano: “Ah, se la nostra mamma la sapesse cucinare!”. Quando mangiavano un gelato gemevano: “Mmm! Se la mamma usasse il frigorifero, ne avremmo a casa anche noi di simili delizie!”. Le mamme degli amichetti di Michele e Arturo ascoltarono a lungo le lamentele dei due gemelli e un giorno, incontrandosi davanti al cancello della scuola, iniziarono a parlare di come quei 39 Che cos’è esattamente una mamma? due poveri bambini si dovessero sempre accontentare del latte o del pane, che non solo diventano presto noiosi ma non bastano per crescere bene. Federica, la mamma di Ambra, propose: “Potremmo organizzarci e, a turno, offrire un pasto a quei piccoli!”. Emilia, la mamma di Gemma, ribatté: “Così risolviamo il problema solo fino a che tutte noi avremo tempo e voglia di farlo, ma se per qualsiasi motivo saltano i turni?”. Intervenne Flavia, la mamma di Corrado: “Ho un’idea: insegniamo a Giulia come si fa a cucinare!”. La proposta era buona e accese l’entusiasmo. “Ma come fare per non sembrare invadenti?” si preoccupò la mamma di Gemma. Confabularono un po’ e poi, siccome si era fatto tardi, si diedero appuntamento per un tè nel pomeriggio. Lì la strategia prese corpo e il piano d’attacco fu steso. Federica passò una mattina a casa di Giulia e portò una confezione di gelato: “Ai tuoi bambini piace tanto! Perché non lo metti in freezer?”. “Il freezer?!” inorridì Giulia. “È pericoloso!”. “Mavalà!” rise Federica e andò in cucina, attaccò la presa e sistemò la vaschetta di geGLI IMPRESIBILI lato in un cassetto perfettamente vuoto. La povera Federica dovette stare a casa di Giulia fino al tramonto e cioè fino a che Giulia fu convinta che poteva stare in casa anche con un elettrodomestico in funzione. La sera, quando Michele e Arturo squittirono di gioia alla vista del gelato, Giulia si sentì ripagata della paura che aveva dovuto sopportare. Così chiese lezioni a Federica e migliorò al punto che riempì tutti i ripiani. Adesso il freezer aveva l’aria di una dispensa fresca e a guardarlo ci si sentiva rassicurati. Flavia capitò come per caso da Giulia e, dopo quattro chiacchiere, le chiese di poter avere una tazza di caffè: “Ne avrei proprio bisogno, mi sento così poco bene!”. Giulia sbiancò, arrossì, sudò, cercò scuse, fino a che Flavia sorrise: “Tranquilla, lo faccio io!”. Tremante, Giulia seguì Fulvia in cucina e, quando vide che accendeva il fornello, si nascose sotto il tavolo studiando attentamente tutte le mosse dell’amica. Solo quando fu sicura che l’ebollizione dell’acqua non era un pericolo per la casa ricominciò a respirare normalmente. La sera cucinò addirittura una minestra e il giorno dopo fece bollire della verdura, niente più poteva trattenerla! Grazie a Emilia, Giulia scoprì che il forno poteva scottare, ma con qualche precauzione si poteva usare in totale sicurezza. 40 Che cos’è esattamente una mamma? FINALE A Invece, adesso, non avevano più niente da raccontare. Michele e Arturo, man mano che vedevano la mamma usare la cucina, la incitavano: “Sei grande!”, “Bravissima!”, “Che buono!”, “Dai, fanne ancora!”. Vedere i suoi bambini felici, con le guance rosse e belli sani, era per Giulia un ottimo motivo per continuare nei suoi sforzi. Bastarono pochi mesi di esperimenti, tentativi e richieste d’aiuto alle amiche e ormai in casa si mangiava di tutto. In uno sprazzo di entusiasmo, s’iscrisse a un corso di cucina che diede frutti straordinari. Persino essere ospiti a pranzo non era più tanto divertente: oramai, a casa degli altri mangiavano le stesse cose che mangiavano a casa propria. Che noia! Federica, Emilia e Flavia brindarono al loro successo con una tazza di cioccolata calda preparata da Giulia stessa, che era la più sorridente di tutte. Per di più, adesso c’erano pentole e piatti da lavare, asciugare e sistemare. Ogni volta che la mamma proponeva cose nuove, i due fratelli rifiutavano di mangiarle e facevano la faccia imbronciata. Dopo poche settimane, mamma Giulia si rassegnò: “Da troppo tempo erano abituati all’altra dieta. Peccato”. Spense il freezer, chiuse il rubinetto del gas e uscì a comperare il latte. Da allora tutti sanno che una mamma è anche il piatto da cui prendere il nutrimento per continuare nel cammino. FINALE B Michele e Arturo erano stati orgogliosi della loro mamma speciale. Quando mangiavano a casa degli amichetti, le mamme ascoltavano a bocca aperta i loro resoconti di pasti frugali e semplici e questo li faceva sentire grandi protagonisti, al centro delle attenzioni degli adulti. GLI IMPRESIBILI 41 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Immagina e scrivi tutte le metafore che possono essere utili per rappresentare il ruolo di madre. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 7 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Dopo aver individuato le metafore richieste dall’esercizio precedente, raccoglile tutte e formula degli indovinelli da sottoporre ai compagni di altre classi. Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Un’impresa responsabile Pluralità di soggetti interni ed esterni Relazioni che arricchiscono reciprocamente Fonti di conoscenza Esercizio di responsabilità GLI IMPRESIBILI 42 8° articolo L’impresa, le sue persone e la loro formazione Le persone rappresentano il patrimonio più importante per ogni impresa, ne costituiscono fattore cruciale di competitività, specialmente per le aziende di minori dimensioni. È dunque interesse delle imprese ogni forma di valorizzazione e di promozione delle persone e della loro crescita professionale, a cominciare dalla disponibilità di un sistema educativo e formativo qualificante ed efficiente. Un caro amico GLI IMPRESIBILI 43 un caro amico Caro Piergiorgio, che sorpresa e che piacere trovare la tua lettera nella casella di posta elettronica! Appena ho visto il tuo nome mi ha travolto un’ondata di ricordi: che nostalgia dei tempi in cui studiavamo insieme… Chissà, magari ritrovarci così è una buona occasione per organizzare una rimpatriata. Ci terrei tantissimo. Mi hai chiesto della strategia di marketing che ho adottato per la mia azienda e quando ho letto la tua domanda mi si è acceso un sorriso: immagino la tua faccia quando leggerai come sono andate le cose! Non so se potrà aiutarti per gestire l’immagine della tua azienda, ma sono ben felice di illustrarti la concatenazione di fatti che è venuta a crearsi qui nei miei uffici. L’anno scorso in questo periodo ero disperato: come molti di noi, mi stavo misurando con una realtà sempre più difficile e mi sembrava impossibile risalire la china lungo la quale stavamo precipitando. Mi aggiravo per gli uffici e vedevo sui visi espressioni cupe, tese e preoccupate. Puoi immaginare in quali condizioni varcassi la soglia la mattina e con quale spirito la sera mi chiudessi alle spalle la porta. Poi, per fortuna, è successo un guaio. Abbiamo assunto una centralinista nuova per sostituire GLI IMPRESIBILI la nostra Rosetta, che era andata in pensione. Non ti dico la trafila, ma immagino tu sappia di cosa sto parlando: si presentano ai colloqui di lavoro le persone più strane. Alla fine, Jacopo Marinetti, il mio direttore del personale, mi ha presentato una donna di mezza età, abbastanza scialba, che mi aveva spiegato di aver scelto solo perché non gli pareva ci fosse niente di meglio in giro. Non esattamente la presentazione che si vorrebbe per un dipendente! Fatto sta che questa donna, Guendalina, lavorava coscienziosamente, era gentile ma non c’era verso di farla rientrare puntuale dopo la pausa per il pranzo. Si rimetteva in postazione sempre con almeno mezz’ora di ritardo, ma non solo: con i capelli bagnati, il volto arrossato e un fiatone che sembrava avesse appena finito una maratona! Jacopo l’ha affrontata a muso duro e ha minacciato di mandarle una lettera formale, sostanzialmente facendole intravedere lo spettro del licenziamento. Appena ha visto che Marinetti faceva sul serio, la signora è scoppiata in lacrime e ha rivelato il segreto che durante la selezione aveva tenuto nascosto: è un’appassionata di merengue! Solo che la più vicina palestra di danza latino-americana è parecchio lontana dalla mia sede e quindi non riusciva a cambiarsi, ballare, fare la doccia e rientrare nell’arco dell’ora a disposizione per la pausa. 44 un caro amico È lì che è davvero successo qualcosa. Jacopo Marinetti avrebbe potuto dirle di scegliere tra il merengue e il lavoro e invece ha avuto un lampo di genio: le ha suggerito di andare a ballare nella stanza che si era liberata dopo la riorganizzazione dell’archivio. Lì dentro poteva scatenarsi e poi rinfrescarsi in bagno e tornare puntuale alla sua postazione. Guendalina ha accettato al volo. Così, il giorno dopo, mentre uscivano per andare a mangiare, gli impiegati dell’amministrazione hanno sentito un ritmo scatenato che usciva da dietro la porta, hanno spiato e sono rimasti affascinati. Hanno cominciato a chiacchierare con Guendalina e lei li ha contagiati: hanno chiesto di poter provare. In capo a una settimana erano in cinque che si dimenavano a ritmo. Non hai idea delle loro facce quando uscivano e tornavano alla scrivania: felici, rilassati, attivi più che mai! È finito che quelli che pranzavano fuori, hanno cominciato a essere gelosi. E che idea hanno tirato fuori? La palestra aziendale! Siccome si era liberata anche una parte del magazzino, ho detto che potevo mettere lì la cyclette di mia moglie e qualche tappetino. Per il resto si sono organizzati da soli. Credimi: la loro produttività è migliorata in maniera tangibile. E potevo solo stare a guardare? No di certo! Ho fatto un piccolo adattamento al bagno per aggiungere due docce e ho comprato qualche attrezzo. Se i miei dipendenti producono di più, è giusto che li premi, no? GLI IMPRESIBILI FINALE A È stato come dare una spinta alla trottola: dopo il primo giro non si è più fermata. Chiacchierando in palestra o mentre ballavano, alcuni hanno scoperto altre passioni comuni. Mi hanno chiesto la disponibilità degli uffici per un corso di cinese dopo la fine dell’orario di lavoro. Per le ragazze del marketing l’insegnate l’ho pagata io e siccome c’era già la mia fattura pagata, l’insegnante ha fatto uno sconto agli altri. Ti sembra che vada tutto troppo bene? Beh, non sono mancati i momenti difficili: quando mi sono fermato anch’io per le lezioni di cinese mia moglie ha pensato che accampassi scuse, così l’ho invitata per un’ora di corso e si è convinta. E poi? Ecco, ormai non facciamo più una sola cena aziendale per Natale… C’è il brindisi dei ballerini poi quello dei ginnasti poi quello dei poliglotti e persino quello degli scacchisti. Sì, perché c’è anche il club degli scacchi. Non puoi immaginare quante idee ti vengano se apri la mente a tanti stimoli diversi. Mi sarò pure fatto, come mi hai scritto tu, la fama dell’“imprenditore generoso” e magari questo ha fatto buon gioco per i miei affari, ma non immagini quanto sono debitore a Guendalina e a tutti gli altri che lavorano per me. Anzi, pardon, con me. Ho avviato nuove strategie e intendo continuare a seminare occasioni per sapere e conoscere, per45 un caro amico ché ogni risorsa dà i suoi frutti. Ecco, ti ho raccontato tutto e spero possa esserti in qualche modo d’aiuto. Conto di vederti presto e, se vuoi passare da noi, sono sicuro che ti sentirai tra amici. Un abbraccio. Tuo, Luigi FINALE B Diciamo che è andata benissimo fino a ieri. Quando sono arrivate le bollette di corrente elettrica e riscaldamento, ho pensato che anche risparmiare quelle ore serali in cui ci fermiamo qui sarebbe bene per il mio bilancio. In tempi di vacche magre ogni centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato. Alla fine dei conti, una buona reputazione me la sono costruita e lo dimostra anche la tua lettera: in giro si pensa che io sia un tipo generoso e per bene. Lo sai quanto me: una volta che la voce è in giro, prima di smentirla ci vuole una vita. Se i miei dipendenti hanno scoperto interessi nuovi, buon per loro: la città è grande e sono tanti quelli che offrono corsi per tutti i gusti. Ecco, credo che ora sia tutto. Stammi bene e fammi sapere quando passi in zona. Luigi GLI IMPRESIBILI 46 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Scrivi una lettera a un tuo compagno della scuola materna e spiegagli come è cambiata la tua vita negli ultimi anni. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 8 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Crea un questionario da rivolgere ai tuoi compagni per scoprire quali sono stati, nell’ultimo anno, i maggiori cambiamenti della loro vita sociale e familiare. Trasforma poi le risposte in un grafico. GLI IMPRESIBILI L’impresa, le sue persone e la loro formazione Le persone rappresentano il patrimonio più importante per ogni impresa Valorizzazione e promozione delle persone Crescita professionale Sistema educativo e formativo qualificante ed efficiente 47 9° articolo la sostenibilità come scelta e come opportunità Le imprese sono consapevoli dell’interesse primario e collettivo alla tutela e alla salvaguardia del contesto ambientale e sociale. È responsabilità delle imprese attuare ogni azione volta a ridurre l’impatto delle proprie attività. Ma è ancor più interessante per le imprese e per il loro management perseguire obiettivi di sviluppo che consentano il soddisfacimento di esigenze provenienti da società sempre più orientate ai valori della sostenibilità ambientale e sociale. L’ultimo industriale romantico GLI IMPRESIBILI 48 L’ultimo industriale romantico Ci sono uomini che passano alla storia per le imprese alle quali hanno dedicato una vita di lavoro e le energie di ogni singolo giorno. Ci sono uomini, invece, che passano alla storia per un’idea nata nel tempo di un lampo e scoccata nelle loro teste con la potenza di un tuono. La grandezza dei primi e dei secondi è, forse ingiustamente, pari. Bernardo Martini, all’alba del terzo millennio, era un imprenditore poco soddisfatto. Nato e cresciuto tra i due rami del lago di Como, aveva persistito nell’idea di portare avanti l’impresa tessile di famiglia. A chi gli chiedeva lumi, rispondeva di essere “l’ultimo industriale romantico”. Ironico e autoironico, aggiungeva poi: “Essere romantici nelle terre care al Manzoni non è poi così difficile…”. Le difficoltà, in realtà, c’erano eccome: tenace nell’idea di non delocalizzare nessuna lavorazione, determinato a trattare al meglio i propri dipendenti, Bernardo Martini non era un industriale ricco e quel che gli si prospettava davanti era un orizzonte carico di sinistri presagi. GLI IMPRESIBILI Proprio loro furono gli ignari agenti della reazione virtuosa innescata da Martini. I bambini passavano il doposcuola alla ludoteca, quindi venivano portati al bar della madre e lì, nel salottino sul retro, aspettavano l’orario di chiusura del locale per tornare a casa a cena. I due bimbi ingannavano il tempo con lavoretti anche complessi. Un giorno offrirono al padre fiori finti colorati con acrilico. Al padre, che si complimentava chiedendo come li avessero fatti, risposero che erano solo i colli delle bottiglie di plastica tagliati, colorati e applicati alla sommità di una cannuccia con un poco di plastilina. Una mattina, poi, Bernardo scoprì Agata e Tazio impegnati in una rudimentale partita di bowling sul balcone: con una vecchia pallina da tennis colpivano delle bottiglie riempite per metà di ghiaia sottile del giardino. La sera stessa, i bambini stavano usando bottiglie tagliate per assemblare un grosso pupazzo. Fu allora che Bernardo Martini chiese: “Ma dove le prendete tutte queste bottiglie?”. La moglie di Bernardo, Lorena, gestiva un bar in centro: i suoi affari andavano decisamente meglio, per quanto nemmeno lei fosse indenne dai venti freddi della dilagante crisi economica. Lorena gli spiegò che venivano dal bar: le bottiglie di plastica si accumulavano nei contenitori della raccolta differenziata e i bambini ne prendevano alcune per giocare. Bernardo aveva due figli: Tazio e Agata. A quanto ora ricorda la signora Lorena: “Bernardo 49 L’ultimo industriale romantico mi pose domande a raffica per sapere come mai le bottiglie fossero tante. Sul principio temetti che mi accusasse di inquinare troppo e mi misi a spiegargli che la plastica era inevitabile. All’epoca poi le confezioni di vetro erano assai meno diffuse di ora. Ma scoprii che non era quella l’intenzione di Bernardo. Si mise a fare conti su conti e, analizzando le risposte che gli avevo fornito, arrivò a dirmi che io producevo in media 150 bottiglie di plastica in sole 12 ore di apertura. Poi si mise al computer e si diede a una serie di altri calcoli, ma a quel punto era tardi e volevo mettere a dormire i bambini, per cui mi persi le fasi successive del suo ragionamento”. Ciò che Bernardo Martini fece, dopo quella conversazione con la moglie, fu stimare il numero di bar della provincia e il loro esito in termini di produzione di plastica da gettare. Come ha ricordato Massimo Bighi, responsabile della Società RiciclAttivo: “Arrivò da me dopo essersi ben documentato e con un’idea chiara. Compresi subito che il suo progetto era di quelli che partono con un segno sul foglio e finiscono con una cattedrale che passa alla storia, se mi passa la metafora architettonica”. Massimo Bighi fu subito un partner attivo e Bernardo Martini gliene fu grato. Raccogliendo le bottiglie di plastica dagli eserGLI IMPRESIBILI cizi pubblici della provincia e installando alcune attrezzature che affiancassero quelle già attive nella sua sede, Martini avviò la prima produzione industriale regionale di fibre derivate dalla rilavorazione della plastica. La pregevole resistenza, l’impermeabilità dei tessuti ne fecero il materiale ideale per coperture e rivestimenti, oltre che per l’abbigliamento in condizioni estreme. Nell’ultima intervista rilasciata, Martini ha dichiarato: “La mia idea non era nuova in senso assoluto: non ho inventato io le fibre sintetiche. Ciò che nel mio caso ha fatto la differenza, è stato pensare di ridare vita a uno scarto, trasformandolo in qualcosa di utile e duraturo, con un duplice vantaggio immediato per il mio territorio: acquisto in loco ciò che per il mio comprensorio è uno scarto e che per me è materia prima e creo impiego sulla medesima aria che lo produce.” FINALE A Poco dopo aver rilasciato questa dichiarazione, Bernardo Martini ha dato vita a un nuovo ramo della produzione avviando una linea di arredamento che utilizza materiali riciclati. 50 L’ultimo industriale romantico FINALE B Poco dopo aver rilasciato questa dichiarazione, Bernardo Martini ha ceduto la propria attività a una multinazionale Taiwanese. GLI IMPRESIBILI 51 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Prova a scrivere una fiaba in cui dialogano due oggetti destinati al riciclaggio. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 9 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Crea una vignetta che riassuma la storia e poi completala con un collage di materiali riciclati. Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. La sostenibilità come scelta e come opportunità Salvaguardia del contesto ambientale e sociale Riduzione dell’impatto delle attività Sostenibilità ambientale e sociale GLI IMPRESIBILI 52 10° articolo Un’impresa plurale per una società plurale Le imprese basano la propria attività su una visione di società aperta, inclusiva e plurale. Una società orientata al progresso e capace di accogliere il contributo e la partecipazione della grande varietà delle sue componenti, compresi quanti giungono dall’estero per lavorare e fare impresa nel nostro Paese. Un cittadino nuovo GLI IMPRESIBILI 53 un cittadino nuovo Amin stava giocando a calcio con suo figlio. Si tuffò per afferrare il pallone che gli stava fischiando sopra la testa in un bel tiro teso e diritto. Ma Amin, decisamente, non aveva più l’età per quegli svaghi e inciampò malamente, finendo con la schiena su un sasso nascosto nell’erba. Si sforzò di sorridere lo stesso perché non gli capitava spesso di giocare con suo figlio e quel momento se lo voleva proprio godere. Ma il dolore alla schiena divenne più intenso. Una seconda botta, più forte, fece svanire il prato giallastro di erba secca, il pallone che stava rimbalzando a terra e, per ultimo, il sorriso di suo figlio. Un cielo abbacinante lo folgorò e un’altra pedata ben assestata portò a termine il suo ritorno alla realtà. Il bambino che lo aveva preso a calci riscuotendolo dai suoi sogni se ne scappò via con il suo amichetto. Alcuni adulti guardavano la scena ridendo, ma distolsero prontamente lo sguardo appena videro che Amin si stava alzando. Si massaggiò energicamente i punti colpiti e si meravigliò di non essere offeso. Si era abituato ormai a quelle cose: se parli un’altra lingua, vesti e mangi in modo diverso allora devi abituarti a essere tutto diverso e per questo umiliato e confuso. Confuso con quelli che parlano, vestono e mangiano come te, ma rubano, spacciano, sparano. Confuso con l’idea sbagliata che chi GLI IMPRESIBILI non è uguale è meno umano. Eppure, non è che uno diventa ladro, spacciatore o malvivente, più o meno uomo per come parla, veste o mangia. È un concetto semplice, ma sembra che non riscuota grande successo. Amin era abbastanza fiero di sé, anche se si era abituato a essere offeso. Del resto, se non lo avesse sempre sostenuto la convinzione di potercela fare, non avrebbe retto alle settimane di cammino sotto il sole cocente, alla traversata in gommone senza viveri, alla prova di una vita in cui a ogni passo devi spiegare chi sei, perché nessuno ti conosce e quelli che ti vedono ti confondono con quelli del tuo stesso colore che hanno già visto prima. Se non avesse avuto un briciolo di autostima non avrebbe mai pensato di lasciare moglie, figli e genitori per farsi carico della ricerca di un futuro migliore per tutti. Ma Amin, pur sapendo tutto questo e avendolo vissuto, non perdeva tempo a rimuginarci sopra. Lui aveva un obiettivo: trovare un lavoro. Preferibilmente un lavoro che sapeva fare. Per esempio il giardiniere. Stiracchiandosi sotto il sole si accorse di aver sognato. Guardò gli adulti che fingevano di non vederlo e se ne andò a lunghi passi, affondando i sandali di cuoio nella sottile sabbia bianca. Vagò tra le strade che non conosceva e quando fu stanco si appoggiò a un muro di pietre a 54 un cittadino nuovo secco. Guardò oltre il muro e vide un giardino. Era devastato dall’arsura. A casa sua l’acqua era sempre stata poca, eppure un giardino non lo avrebbero mai lasciato ridursi in quello stato! Rimase lì una buona ventina di minuti, fermo nel tempo, immobilizzato dal calore cocente. Studiò la situazione e alla fine decise di scavalcare la cinta. Staccò dalla pianta più alta dei pezzi di sughero che vennero via con pochissimo sforzo. Li sistemò ai piedi degli altri alberi più piccoli, alcuni con i fiori appassiti a causa dalla siccità e altri con striminziti frutti ad appesantire i rami più sottili. Trovò un secchio e una fontana e la usò per intridere il sughero, spargendo attorno delle secchiate d’acqua per dar sollievo al terreno reso friabile dalla siccità. Innaffiò con più cura alcune striminzite piantine di pomodoro. Si sentì soddisfatto per aver compiuto una buona azione. Anche poter finalmente far qualcosa gli aveva dato sollievo. “Un uomo nasce per fare” gli diceva sempre suo nonno. “Ehi, negro!”. L’urlo fu sottolineato dal cigolio di un’anta che si apriva nella casa vicina. Amin fece quello che doveva fare in quei frangenti: scappò. Per quanto fosse veloce, ebbe modo di sentire la donna che gridava: “Al ladro! Stava rubando! Prendetelo!”. GLI IMPRESIBILI Per fortuna a quell’ora le strade erano quasi deserte: chi non era in spiaggia era a lavorare e quelli in vena di turismo non arrivavano fin lì. Amin si spinse fin verso le colline brulle che abbracciavano il paese come a tenerlo sporto sul davanzale del mare. Trovò un frutteto e prese in prestito qualche frutto. Addentò due pere fondenti e succose e una pesca dalla buccia vellutata. Guardò il melo e pensò che aveva abbastanza spazio anche per una mela. Spolpò i torsoli fino ad avere in mano solo i semi. Un giardiniere i semi non li butta mai. Quando calò il sole era ancora lì, sotto un pero, con una dozzina di piccoli semi marroni stretti nel palmo della mano. Si assopì senza sogni e si svegliò alla luce della luna. Si stiracchiò e scese cauto lungo la stradina a tornanti che poche ore prima aveva risalito di gran carriera. Si fermò incerto a un bivio, ma tentennò solo un attimo: poi imboccò con decisione la strada che portava al giardino in cui era entrato. Silenzioso come un gatto, scavalcò di nuovo il muretto. Ricordò dov’erano gli attrezzi e tastò la terra per riconoscere il terreno che aveva innaffiato. Scavò piccole buche e piantò i semi. 55 un cittadino nuovo Non finì di coprirli che un abbaio inferocito lo spaventò. “Attacca!” gridò la vicina di casa. Il suo grosso cane nero saltò il muro divisorio e si precipitò sull’uomo. “Stavolta ti prendo!” e il cigolio del cancello vicino fece capire che la donna era disposta a inseguirlo. Il cane in giardino e la donna per strada. Che poteva fare Amin? Senza pensarci si tuffò nella direzione da cui il cane era venuto, scavalcò il muretto e atterrò a piedi pari nel territorio della sua nemica. Corse diritto davanti a sé verso l’altro muro di cinta, quello che gli stava di fronte. La signora per strada capì troppo tardi la sua manovra e iniziò a strillare: “Ti faccio arrestare, furfante!”. Amin contò sulla propria buona stella e la sua buona stella rispose: attraversò un paio di altri giardini senza cani di guardia, oltrepassò un rigagnolo che con tutta probabilità era una fogna a cielo aperto e fu di nuovo ai piedi della collina. Salì il versante fino al primo frutteto e lì si acciambellò nel capanno degli attrezzi. Per quanto possa sembrare strano, sono ben pochi quelli che chiudono a chiave i capanni. Al sorgere del sole si accorse che ormai si era GLI IMPRESIBILI dato una missione. Più che una missione, una sfida. Ma ci sono missioni che non sono anche sfide? Non era ancora mattina e già era tornato in quello che ormai riteneva il suo giardino. Aveva preso in prestito dalle palme alcune foglie secche che intendeva usare come rete antiuccellini e antigrandine. Aveva in mente un lavoretto da fare per le piantine di pomodoro. Cercò di essere silenzioso, visto che non poteva diventare invisibile. Aveva portato con sé anche del fil di ferro verde e una tenaglia. Quella l’avrebbe riportata indietro, insieme a tutto quello che fosse avanzato. Lavorò per una quarantina di minuti, intrecciando le foglie secondo un preciso disegno. Stava tranciando pezzetti di ferro, quando una mano bianca come il latte gli si appoggiò sulla spalla. Amin non diede segni di spavento, ma un gelo terribile gli attanagliò le viscere. FINALE A La mano batté un colpetto amichevole e l’uomo gli si parò davanti. Era giovane, castano e vestiva calzonicini e maglietta: “Sei tu che hai fatto tutto questo?” e con un ampio gesto indicò il sughero e la terra smossa. “Sì”. “Perché?”. 56 un cittadino nuovo Amin si strinse nelle spalle: “Perché lo so fare”. “E che ci fa quel sughero?”. Andrea sorrise, felice di aver trovato l’uomo che cercava da un pezzo, lo invitò a entrare in casa. “Il sughero si impregna di acqua e la rilascia lentamente, così se ne usa meno e dura di più…”. FINALE B “E che hai fatto lì?”. “Ho seminato mele e pere, sotto il sughero germogliano e poi si trapiantano”. L’uomo lo interruppe: “Chi sei tu?”. “Sono Amin”. “Bravo Amin, ho bisogno di uno come te, uno che sa quel che fa e…” si grattò un po’ la testa come incerto sulle parole da usare: “Sì, insomma, ho bisogno di chi conosce le strategie naturali per la coltivazione delle piante da fiore e da frutto e da quel che ho visto qui, tu sai fare quel che mi serve”. Amin inchinò la testa: “E tu chi sei?”. “Andrea e ho un vivaio” poi fece una risata leggera: “Non qui, ma dove abito. Lo so che se guardi qui non mi faccio una gran pubblicità, ma questa è solo la casa delle vacanze”. Amin non disse niente, aspettando in silenzio che Andrea proseguisse: “Ti va di venire a lavorare da me? Vorresti parlarne?”. La signora che gli aveva aizzato contro il cane e che lo aveva inutilmente inseguito, gli sorrise beffarda. Era più giovane di quanto gli fosse sembrato dalla voce, carina ma troppo truccata e avvolta da una nuvola di profumo dozzinale. Quasi con dolcezza fece scivolare la mano dalla spalla al polso di Amin e poi gli piegò il braccio dietro la schiena. Lo legò con del filo per stendere i panni e gli fece due nodi ben stretti, in modo che tutt’e due le mani di Amin rimanessero ferme all’altezza dei reni. Gli legò anche i piedi e lo fece sdraiare. Il tutto senza che dicessero una parola.Dalla tasca della tuta la donna tolse un canovaccio con cui lo imbavagliò. Poi, senza staccargli gli occhi di dosso, sfilò dalla felpa un cellulare e compose un numero. “Ho trovato un clandestino, cosa devo fare?”. Amin si guardò attorno: “Sì, ma non qui, la sua vicina non mi sopporta tanto”. GLI IMPRESIBILI 57 CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE PER SCRIVERE PER IMPARARE Prova a dare un nome ai sentimenti che ti sembra il protagonista viva nel corso della storia e descrivili con parole tue per come li conosci e per come credi che siano. Di seguito trovi alcune espressioni che sono citate dall’articolo 10 del Manifesto della Cultura d’impresa e manageriale di Confindustria. PER GIOCARE Prova a sostenere prima le ragioni per cui vorresti un amico come Amin e poi quelle per cui non vorresti un amico come lui e poi confronta le tue risposte con quelle date dagli altri tuoi compagni di classe. GLI IMPRESIBILI Parlando con il tuo docente e i tuoi compagni di classe, prova a trovare una spiegazione per ciascuna e a capire se, e come, si tratta di indicazioni utili anche per la vita civile in generale. Società aperta, inclusiva e plurale Accogliere il contributo e la partecipazione Fare impresa 58 Gli Impresibili volume per le scuole secondarie di primo grado A cura di Trivioquadrivio Testi di Annalisa Strada Progetto grafico e illustrazioni di Alessandra Botto www.trivioquadrivio.it [email protected] © Fondirigenti 2010 © Per i testi Annalisa Strada, per i disegni Trivioquadrivio Gli Impresibili fa parte del progetto VOCI di Cultura d’impresa, promosso da Findirigenti, Federmanager e Confindustria, per divulgare presso i giovani, la scuola e le famiglie in maniera ludica, formativa e informativa i valori del nuovo Manifesto della Cultura d’impresa e Manageriale promosso da Confindustria nell’anno del suo centenario.