Gli impresibili

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Gli impresibili
GLI
IMPRESIBILI
GLI
IMPRESIBILI
Perché un libro?
Uno degli obiettivi più alti, e al contempo più
difficili, che la scuola può raggiungere, è aiutare i
ragazzi a familiarizzare con la lettura. Chi legge si
esprime meglio, comprende meglio le sfumature
del mondo che lo circonda, ha più idee e più varie.
Perché un libro? Perché è lo strumento più potente
che c’è: non immediato, ma infallibile.
1° articolo
La responsabilità
del futuro
Le imprese italiane hanno
contribuito alla crescita del Paese
formando professionalità, creando
sviluppo, diffondendo benessere,
portando l’Italia nel mondo.
Un passato che è sempre fonte di
orgoglio, ma ancor più di slancio
verso il futuro e motivo per
reinvestire ogni volta su nuove sfide
e cogliere nuove opportunità.
le
spore
GLI IMPRESIBILI
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le spore
Gli uomini in camice bianco arrivarono alla
spicciolata e si sistemarono attorno al grande
tavolo delle riunioni apparentemente senza un
ordine.
Due si scambiarono informazioni parlottando.
“Sai perché siamo qui?”.
“Ci ha convocati Pistoni, del Gruppo di Coordinamento per la Salvaguardia”.
“Non hai idea di…”. Furono bruscamente interrotti dall’ingresso del relatore, che apparve in forma di ologramma, spuntando a metà scrivania.
Il suo viso era grave, l’espressione degli occhi
quasi truce e tutti, all’improvviso, si sforzarono
di adeguarsi alla situazione imitandolo. Sui monitor di ciascuno dei convocati apparvero delle
emoticons, che qualcuno modificò per l’occasione con un rapido hackeraggio di sistema.
“Signori, la situazione è grave” disse Costantino Pistoni e poi lasciò due minuti di silenzio,
nel corso dei quali qualcuno divagò pensando
a cose più o meno urgenti. “La Terra è prossima
alla conclusione della sua storia…”.
A quella frase l’agitazione si propagò come
un’onda lungo il tavolo e un persistente brusio
si sollevò da più postazioni.
“Magari qualcosa sopravvivrà, ma ben poco...”
continuò il capo del Gruppo di Coordinamento
GLI IMPRESIBILI
per la Salvaguardia.
“E tutta la fatica fatta?” chiese uno con gli occhiali spessi.
“Tutte le trovate d’ingegno?” rincarò un tizio
con anacronistici baffetti all’insù.
“Quelle erano solo il lato buono della medaglia”
rispose Pistoni, con un accenno di condiscendenza nella voce.
“Dovevano dircelo!” si lamentò quello con i baffetti.
“L’hanno detto… Il fatto è che nessuno ha ascoltato!” lo rimbrottò il suo vicino, che non aveva
staccato gli occhi dallo schema di sudoku che
stava compilando.
“Ma non si possono invertire alcuni fattori? Non
si può reindirizzare il tempo?” chiese un poco allarmato lo scienziato con gli occhiali spessi.
“Se si reindirizza il tempo si riavvolge tutto il nastro, ma non resta memoria…” stava rispondendo Pistoni, ma una voce lo incalzò: “E allora?”
“E allora quel che è fatto è fatto...” lo liquidò Pistoni.
“Ma non possiamo accettarlo! Le basi remote
cosa dicono?” tornò alla carica il tipo miope.
“Le basi remote sono le uniche forme in cui noi
sopravviveremo!” si spazientì l’ologramma, che
era così nervoso da vibrare in maniera fastidiosa.
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le spore
“Ah, che sciagura!”.
“Ok, ci sta bene… Moriamo e basta!”.
“Siete matti! Che facciamo? Ci seppelliamo con
le nostre mani?” si stranì quello con i baffetti.
“Una buona idea: un modo per completare l’opera dopo esserci scavati la fossa” ironizzò il tizio con le lenti spesse.
“Calma, calma, signori… Pensate alle piante.
Anzi, no, ai funghi” suggerì Pistoni, improvvisamente ansioso di arrivare al nocciolo della questione.
“L’ultima cena si fa con carne in umido?” cercò di
ironizzare il giocatore di sudoku. Lo ignorarono
tutti.
“Le spore c’entrano qualcosa?” si incuriosì il baffetto.
“Allora fino a domani mattina arriviamo!” ironizzò ancora quello del sudoku, ancora una volta senza far ridere nessuno.
Le riunioni si susseguirono e il solo giorno successivo non bastò: ci vollero quasi due settimane per stabilire quali fossero le “spore” d’umanità da disperdere nello spazio: i vaccini, i mezzi
di trasporto, gli strumenti di scrittura, le principali opere d’arte, gli abiti, le diverse strutture
abitative, i migliori cibi, i giochi più divertenti,
i brevetti più sensazionali, campioni di vegetazione ed embrioni congelati di tutti i viventi.
Grandi navicelle spaziali furono caricate ciascuna con l’intero repertorio di “spore” e poi mandate nello spazio insieme a nuove postazioni
per la vita al di fuori della Terra.
“Esatto!” lo incoraggiò Pistoni.
“Va bene, ma a che servono le spore?”.
“Pensateci voi… Servono spore per far rivivere
la Terra ovunque, perché la Terra deve vivere.
La vita della Terra è l’industriosità degli uomini
che dalla Terra sono nati. Non siamo solo dove
ci troviamo: siamo ovunque vogliamo essere…”
poi Pistoni guardò l’orologio e concluse: “Aggiorniamo la seduta a domani mattina.”
Il capo del Gruppo di Coordinamento per la Salvaguardia sparì.
GLI IMPRESIBILI
FINALE A
Dopo alcuni mesi, la Terra languiva prossima
alla fine.
Mentre il pianeta era scosso dagli ultimi sussulti, le apparecchiature delle postazioni umane collocate nello spazio iniziarono a registrare
impulsi sonori. Riconosciuti come trasmissioni
criptate, furono scansionati dai sistemi di analisi, che li individuarono come emissioni direzio5
le spore
nate prodotte da una fonte di Intelligenza Alternativa nel tentativo di mettersi in contatto con
l’umanità. Gli specialisti della comunicazione
interplanetaria lavorarono furibondamente per
settimane. La chiave di volta per la trascrizione
della comunicazione “in chiaro” venne trovata
grazie a un concorso vinto da un bambino di
origine cinese affidato a una coppia di europei
migrata in Australia e poi ospitata a bordo di
una delle postazioni stellari.
Per farla breve, i messaggi erano richieste di
chiarimenti circa i materiali rinvenuti a bordo
di una delle navicelle-spora lanciate nel cosmo.
Il primo contatto con forme aliene di vita era
avvenuto. Si era aperta una nuova, straordinaria frontiera dei commerci.
FINALE B
La Terra morì dopo atroce agonia e disgustosi
spasimi.
Lo spazio lasciò cadere il silenzio sul destino
degli uomini, ma quelle navicelle-spora ancora
fluttuano nell’infinito, dirette verso le loro impossibili destinazioni.
GLI IMPRESIBILI
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CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Le spore sono cellule disidratate,
capaci di resistere per un lungo
periodo in condizioni anche molto
difficili per poi dar vita a un nuovo
essere uguale a quello da cui
sono state generate. I funghi, per
esempio, si riproducono attraverso
le spore.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 1 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
Riusciresti a pensare un sistema
alternativo – ma ugualmente
funzionale – che consenta il
mantenimento e la diffusione delle
migliori innovazioni e scoperte
fatte dall’uomo, così da garantirne
la sopravvivenza oltre la nostra
civiltà?
PER GIOCARE
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Formare professionalità
Creare sviluppo
Diffondere benessere
Portare l’Italia nel mondo
Orgoglio del passato
Slancio verso il futuro
Nuove sfide e nuove opportunità
Prova a trasformare questo racconto
in una sceneggiatura e realizza il
fumetto della storia.
GLI IMPRESIBILI
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2° articolo
BUONE REGOLE PER UNA
SANA COMPETIZIONE
Le imprese sanno che la
competizione e il confronto con il
mercato rappresentano la spinta
fondamentale per crescere e
migliorare.
Un buon sistema di regole che
tuteli e promuova il mercato
consente alle imprese di esercitare
comportamenti etici, rispetto della
legalità e trasparenza.
Un equilibrio virtuoso capace di
preservare la competizione tanto
dagli eccessi di mercato quanto
dagli eccessi di intervento pubblico.
la
merenda
GLI IMPRESIBILI
8
LA MERENDA
Mirko era brufoloso, con i capelli unticci,
stropicciato e, soprattutto, sempre di cattivo
umore. In particolare, la mattina presto bisognava stare attenti a spostare piano le sedie
e i banchi perché, al primo rumore che lo infastidiva, alzava la testa dal banco su cui l’aveva
appoggiata e lanciava attorno sguardi torvi che
lo facevano sembrare un bandito tra i monti. Di
solito, a riportare il silenzio, bastava un’occhiataccia. Se serviva, era pronta a seguire anche la
minaccia: “Sei capace di piantarla?! Stai fermo o
ti spiano le ossa”.
A quelle parole i suoi amichetti rizzavano le
orecchie come cani da guardia al fischio del padrone e tutti gli altri fingevano di non esistere,
lasciando il malcapitato destinatario della strigliata a cercare una scusa da balbettare per cavarsi d’impiccio.
Non è che con il passare delle ore l’umore di Mirko migliorasse: l’unico cambiamento degno di
nota era che il rumore smetteva di dargli fastidio
e, forse per questo, lui stesso iniziava a produrne
e lo faceva in quantità continuamente crescente, come il rombo di un motore che raggiungeva
la massima accelerazione all’intervallo.
GLI IMPRESIBILI
strategia d’attacco che funzionava sempre. Partiva dall’angolo in fondo a destra del corridoio e
poi, rimbalzando da una parete all’altra, risaliva
verso la porta della classe passando in rassegna
i compagni. A ognuno si avvicinava e ringhiava:
“Ehi, dà qua” e allungava la mano per requisire
la merenda.
Se la merenda non c’era chiedeva in cambio almeno una monetina da 20 cent. Chi non l’aveva,
la doveva portare il giorno dopo. E chi il giorno
dopo non la portava… Per ora l’avevano sempre
portata tutti, anche perché Mirko, per non correre rischi, nel pomeriggio mandava Pierdomenico o Carlomaria, i più viscidi tra i suoi tirapiedi, a ricordare al malcapitato i suoi obblighi. In
questo modo, non capitava mai che i soldi mancassero.
Mirko era sicuro di essere la legge. Almeno così
fu, fino al 2 febbraio.
La ricreazione, poi, era il momento in cui Mirko
si esprimeva al meglio.
Il 2 febbraio a scuola arrivò un nuovo compagno:
Saverio. Saverio era biondo, alto e magro. Secco
come un insetto-stecco. A Mirko i compagni di
classe nuovi non piacevano mai: non sapevano
come comportarsi e bisognava dedicare loro
qualche attenzione straordinaria per insegnare
loro il posto che occupavano, cioè quello in fondo alla catena alimentare della classe o, meglio,
della scuola.
Durante l’intervallo, infatti, Mirko usava una
All’intervallo, quel 2 febbraio, Mirko era ansioso
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LA MERENDA
di far capire al nuovo arrivato come funzionava
la faccenda e per questo si rassegnò a cambiare
il suo solito giro. Infatti, non partì dall’angolo
in fondo a destra del corridoio, ma cominciò da
quelli che stavano attorno a Saverio: Luca, Giorgio, Tullio.
Si avvicinò a ognuno di loro, pronunciando la
fatidica formula: “Ehi, dà qua”, allungò la mano
e riscosse un pacchetto di cracker, una confezione di schiacciatine e una moneta da 20 cent.
Dietro di lui, Pierdomenico e Carlomaria stavano nella posa da duri, che consisteva nel tenere
la faccia immobile e fare gli occhi scuri, fermi a
gambe divaricate alle spalle del loro capo. Se si
spostava il capo, anche loro si spostavano, senza mai cambiare la formazione.
Dopo quella dimostrazione pratica, Mirko era
sicuro che Saverio aveva visto e capito come
funzionava la faccenda.
Dunque, con Pierdomenico da una parte e Carlomaria dall’altra, si parò davanti al biondino
alto e secco e, schioccando leggermente la lingua, gli disse “Ehi, dà qua” allungando contemporaneamente la mano.
Il palmo restò vuoto, ma si riempirono le orecchie: “Te lo scordi”.
Tre paroline secche dette a voce asciutta.
Il risultato ottenuto fu qualcosa di molto simile
GLI IMPRESIBILI
al fermo immagine di un video: il corridoio si
zittì d’un tratto e tutti si immobilizzarono, tesi
nell’attesa di ciò che Mirko avrebbe risposto.
Mirko, da parte sua, dilatò le pupille e poi strinse
gli occhi. Più capace di agire che di pensare, allungò il destro chiuso e, con un pugno come ne
aveva dati pochi in vita usa, raggiunse lo zigomo di Saverio. Il rumore sordo fece rabbrividire i
più sensibili, che chiusero gli occhi, perdendosi
così la caduta a terra di Saverio e le due pedate
che gli furono assestate come buona giunta da
Pierdomenico e Carlomaria.
Prima che la maestra passasse per controllare
cosa stesse succedendo, Saverio era già in piedi:
aveva uno zigomo blu e a fior di labbra teneva
strette altre sei parole che proferì con voce secca: “Da me non avrai mai niente”.
Uscendo dalla scuola al suono della campana,
molti si avvicinarono circospetti a Saverio per
mormorargli a mezza voce, di nascosto: “Sei
stato un grande!”.
Saverio si rivoltò contro il più vicino come un
cobra che esce dal cesto: “Certo, io sono stato
un grande e ho un occhio nero. Voi siete stati tutti codardi, non avete detto niente e siete
sani come pesci. Almeno fuori, dentro non so…”.
Nessuno se l’aspettava e un paio commentarono: “Quello lì ha proprio un pessimo carattere” e
“Si vedeva subito che quello nuovo è antipatico”.
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LA MERENDA
La mattina successiva, le prime tre ore di scuola
filarono via lisce e silenziose come capitava solo
una volta ogni due o tre anni. L’attesa era tutta
concentrata sull’intervallo.
Pure Mirko doveva avere una certa fretta di
sbrigare la faccenda perché, quando la campanella finì di suonare e tutti erano nel corridoio,
andò dritto verso lo smilzo biondino e gli chiarì
le idee con un predicozzo insolitamente lungo:
“Tu mi devi dare la merenda oppure 20 centesimi, hai capito o non hai capito?”.
Il tonfo del primo colpo accelerò i loro pensieri.
“Forse bisognerebbe chiamare la maestra…”
disse Tullio.
“Se la maestra ha sempre lasciato fare, forse è
d’accordo con Mirko…” ribatté Giorgio.
“Ma che dici? Che ne sai tu?” lo rimproverò Luca.
Il secondo colpo raggiunse Saverio sulla schiena
lasciandogli il tempo di urlare: “Da me non avrai
niente!”.
“E dove sta scritto?”
“Non sta scritto. Lo dico io. Qui la legge sono io”
“E tu sei sbagliato”
Per i gusti di Mirko a quel punto le parole erano
state fin troppe.
Alzò la mano per sferrare un colpo e simultaneamente i suoi due guardaspalle strinsero la formazione facendosi più vicini.
Saverio si mise in posizione per parare il colpo e
trovò il modo di lanciare uno sguardo ai compagni che gli stavano attorno.
I ragazzi della sua classe si guardarono attorno
perplessi, come se non fossero sicuri che quello
sguardo fosse rivolto a loro e, anche se lo fosse,
incerti sul significato da dargli. Quando non hai
voglia di metterti in gioco, avere dubbi è un ottimo alibi.
GLI IMPRESIBILI
FINALE A
“Però è proprio un grande…” considerò Giorgio.
A Luca venne un’osservazione quasi acuta: “Dai,
sono solo in tre… Mica possono picchiarci tutti!”.
“Già…” commentò Tullio.
Mirko lasciò Saverio dolorante e steso a terra.
Nessuno fece l’atto di muoversi per soccorrerlo
perché adesso l’attenzione di Mirko si stava rivolgendo attorno.
Mirko si voltò verso il più vicino: “Ehi, dà qua!”.
Ma la sua mano tesa restò vuota.
“Da me non avrai niente” disse il ragazzino bas11
LA MERENDA
sotto, che era quello che si chiamava Tullio.
Prima che la mano di Mirko si alzasse per picchiare, più voci si fecero sentire: “Neanche da
me”, “E da me neanche!”. Erano le voci di Giorgio
e di Luca, anche se non suonavano proprio ferme
e decise come i loro proprietari avrebbero voluto.
“Ah, sì?” grugnì Mirko.
Inaspettatamente, altri si staccarono dal muro
per aggiungere: “Neanche da me!”, “Da me nemmeno”.
C’era chi lo diceva convinto e chi si aggiunse solo
quando gli sembrò che a stare zitto sarebbe rimasto nella minoranza, ma a farsi avanti furono
in tanti.
Uno, da dietro, attento a non farsi vedere, disse
abbastanza forte da farsi sentire: “La legge siamo noi, adesso”.
La maestra, dal fondo della porta scandì: “Sono
orgogliosa di voi, ragazzi!”.
Solo Saverio ebbe il coraggio di risponderle: “Con
tutto il rispetto, signora maestra, ma se si fosse
fatta sentire prima sarebbe stato meglio”.
Da allora Mirko la merenda se la dovette portare da casa, mentre Pierdomenico e Carlomaria
giurarono che loro, in fondo, non erano mai stati
grandi amici di Mirko, ma solo vicini di banco e
neanche tutti i giorni… Ma le loro parole, ormai,
erano meno che pagliuzze nel vento.
GLI IMPRESIBILI
FINALE B
Tullio diede di gomito a Giorgio:
“Oh, qui si mette male…”.
Luca mosse qualche passetto veloce in direzione dei compagni: “Ragazzi, qui succede la
rivoluzione!”.
“Qualcuno deve correre a chiamare la maestra…
Vai tu!”.
“Sei matto?!” strillò Tullio, subito coprendosi la
bocca con la mano: “Quello mi vede! Se poi la
maestra non fa niente, viene a pigliarmi e regola i conti”.
Intanto le botte a Saverio si erano fatte tonanti
e la voce di Mirko rabbiosa tra un tonfo e l’altro:
“Vediamo se così la capisci meglio!”.
Tullio iniziò a mangiarsi le unghie: “Forse bisognerebbe proprio chiamare la maestra…”.
Mentre l’eco delle parole si spegneva, i tre amici
e il resto della scuola osservavano il pestaggio
con un briciolo di disgusto e un tocco di ammirazione.
Il cigolio della porta della sala insegnanti fece
l’effetto di una formula magica.
I ragazzini fecero finta di giocare come sempre,
da consumati attori. Mirko tirò in piedi Saverio
e Pierdomenico e Carlomaria lo sorressero uno
per lato.
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LA MERENDA
Mirko si asciugò il muco dal naso passandoci
sopra la manica del maglione.
Cancellò dal volto la maschera di cattiveria e ci
appiccicò un’espressione di bovina meraviglia
per gridare: “Maestra! Saverio si è fatto male!”.
La maestra accelerò il passo: “Chi è stato?!”.
Mirko fece spallucce mentre i suoi amichetti
sbarravano gli occhi: “Noi lo abbiamo solo aiutato ad alzarsi!”.
La maestra girò attorno uno sguardo rabbioso:
“Non sono affatto contenta di voi! Da domani
farete tutti la ricreazione in classe!”.
I ragazzi mugugnarono a testa bassa e raggiunsero ciascuno il proprio posto.
Saverio arrivò alla fine della lezione stringendo i
denti per non piangere e, dopo quel giorno, nessuno lo vide più.
GLI IMPRESIBILI
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CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Il brano che hai letto apre
la possibilità a due opposte
conclusioni. Puoi immaginare un
terzo finale? Prova a scriverlo!
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 2 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Prova ad allestire in classe una
lettura animata del testo.
Un buon sistema di regole
Comportamenti etici
Rispetto della legalità
Trasparenza
Equilibrio virtuoso
GLI IMPRESIBILI
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3° articolo
Il merito
come virtù sociale
Le imprese che affrontano
quotidianamente la sfida dei
mercati sono il luogo privilegiato di
promozione del merito, perché dal
merito dipende concretamente la
loro capacità competitiva.
La valorizzazione del merito
rappresenta un elemento decisivo
di promozione della mobilità
sociale, il contributo distintivo che
ciascuna impresa offre all’intera
società, oltre il suo specifico
interesse.
Il grillo
e la cicala
GLI IMPRESIBILI
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il grillo e la cicala
Trillulleroooo trillullaaaaaaaa!”
“
Sull’acuto finale la cicala fu sommersa dagli applausi, si inchinò al pubblico seduto ai tavolini
e poi staccò il microfono. Il suo turno di lavoro
era finito.
Il grillo, che l’aveva accompagnata strimpellando, scese dal palco, bevve un bicchiere di rugiada fresca e poi le suggerì: “Vieni a pranzo a casa
mia?”.
La cicala accettò volentieri, perché si sa che alle
cicale piace mangiare a casa degli altri.
Nella tana del grillo, la tavola venne imbandita
con prelibatezze: uova di rana in camicia, erbette sminuzzate condite con acqua di stagno
e polpettine di gelatina di pesce.
“Sei un gran cuoco!” si complimentò la cicala.
Il grillo strizzò uno dei suoi occhioni scuri:
“Mi piace cucinare, ma soprattutto scelgo sempre gli ingredienti migliori!”.
“Ma che bravo… Io vado sempre al supermercato La Gatta Frettolosa, ma lì non si trovano cose
tanto fresche!”.
Il grillo scosse la testa: “Sbagli proprio il posto!
Io vado solo al Mercato della Formica Premurosa… Anzi, avevo proprio pensato di far la spesa
oggi pomeriggio. Ti piacerebbe venire con me?”.
La cicala, siccome non aveva altri impegni e le
GLI IMPRESIBILI
piaceva passare il tempo in compagnia, accettò
subito: “Volentieri!”.
Presero un cestino e partirono.
Il mercato era organizzato in un pezzetto di
prato delimitato da una fitta siepe di margheritine. Le bancarelle erano tantissime, disposte
in file ordinate. Merci di mille colori e dai cento
profumi erano sistemate sulle tovaglie bianche
ricamate dai ragni della regione, famosi in tutto il mondo per la loro abilità.
La cicala curiosò un po’ attorno e poi andò ad
assaggiare una marmellata di farro masticato
ed esultò: “Ma è squisita!”.
Una cavalletta atterrò al suo fianco con un gran
balzo: ”Per forza, legga gli ingredienti: hanno
aggiunto del miele. Eh, questa è la nuova frontiera: quando un formicaio si allea con un alveare non c’è più concorrenza che tenga. Glielo
garantisco io che per trovare la marmellata migliore salto da un campo all’altro!”.
La cicala prese un vasetto e lo rigirò per leggerne l’etichetta: “E non costa nemmeno tanto!”.
“Due ottime ragioni per comprarne un po’!” le
raccomandò la cavalletta prendendone cinque
confezioni e saltellando via.
La cicala prese un vasetto e passeggiò ancora un
po’ insieme al grillo. Stava per allungare la zampetta su una confezione di croccante di briciole,
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il grillo e la cicala
ma una mosca planò sulla sua testa, si scagliò
in picchiata e gliela soffiò via da sotto il naso.
La cicala arricciò la piccola proboscide: “Se piace alle mosche, che hanno notoriamente gusti
schifosi, è meglio lasciar stare, no?!”.
“Già” fu d’accordo il grillo.
Poco più in là, la cicala era sul punto di prendere un distillato di clorofilla, ma la bloccarono gli
occhiacci che le stava facendo una formichina.
“Che succede? Non posso?” chiese incerta la cicala un po’ preoccupata (si sa che i rapporti tra le
cicale e le formiche a volte sono molto difficili!).
“Ma lei non li legge i giornali?!” si indignò la formichina.
La cicala, titubante, provò a trovare una risposta: “Veramente io, sa… Ho poco tempo…”.
La formichina si fece più vicina e con un piglio
deciso disse: “Allora, guardi, glielo spiego io: la
vede la marca? Il Formicaio Tribolato. Non le
dice niente? La regina di questo formicaio è una
despota! Fa lavorare le sue formiche fino allo sfinimento… E vedesse in che condizioni! Quindi,
le consiglio di non comprare quei prodotti!”.
La cicala, intanto, stava studiando il tabellone
pubblicitario: “Ma sono così convenienti…”.
“Ecco, appunto!” strillò la formica, che si stava
scaldando: “C’è convenienza e convenienza! CaGLI IMPRESIBILI
pita di trovare un formicaio onesto che fa pagare poco, ma questa clorofilla è conveniente
perché fatta senza rispettare i diritti delle povere formichine. Pesa poco sulle sue tasche perché pesa molto sulla vita di tanti lavoratori per
bene. Faccia la brava: compri un altro prodotto
e si tenga pulite la coscienza, le tasche e fin anche la bocca!”.
La cicala annuì, ringraziò per la spiegazione
e andò a cercare in giro fino a che trovò un distillato di clorofilla che costava poco e all’olfatto era buono. La formichina, che era stata sulle
sue tracce, le sbucò da dietro una spalla: “Ecco!
Questa va bene! Vede? Qui c’è scritto che questo
distillato è fatto rispettando l’ambiente e tutto
il processo di lavorazione è cer-ti-fi-ca-to. Lei sa
che cosa vuol dire ‘certificato’?”
Davanti a quello sguardo dritto e sicuro, la cicala cadde in un profondo imbarazzo: “Io, veramente… Sa…”
“Sì, sì, certo: lei non ha tempo!” sospirò la formichina, mentre il grillo ridacchiava. “Glielo dico
io: vuol dire che tutti i passaggi, dalla raccolta
della clorofilla alla sua distillazione e fino all’imbottigliamento, avvengono con sistemi corretti
e nel rispetto delle esigenze del lavoratore. Insomma, un distillato buono, che fa bene a chi lo
produce, a chi lo compra e persino a chi lo beve!”.
La cicala ringraziò la formichina ancora una
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il grillo e la cicala
volta, ma questa volta si fermò a osservarla fino
a che fu sicura che fosse abbastanza lontana.
Allora si rivolse al grillo: “Ehi, non pensavo che
fare la spesa fosse tanto difficile: io di solito
vado al supermercato, riempio il carrello al volo
e me ne vado!”.
Una lumaca che stava lentamente strisciando
verso di loro agitò i suoi occhietti appesi alle
antenne: “Eh, no! A seconda di quel che acquisti premi qualcuno: gli dai i tuoi soldi, la tua
fiducia, gli affidi la tua salute e quella della tua
famiglia. E mica solo questo!” Siccome parlava
lenta come camminava, le ci volle un po’ a dire
tutta questa frase. Con gran calma aggiunse
anche: “Quando compri qualcosa, stai contribuendo a far crescere un’azienda e il titolare di
quell’impresa saprà, se vende tanto o poco, di
piacere molto o niente al pubblico. Acquistare è
un gesto importante!” Ormai la lumaca li stava
sorpassando e li lasciò mentre diceva: “Non vale
proprio la pena di buttar via per la fretta un’azione così delicata!”.
La povera cicala scavalcò la striscia bavosa lasciata dalla lumaca per arrivare vicino al grillo
e con un gran sospiro si lamentò: “Ma dovrei
sapere tutto! Come faccio a raccapezzarmi in
tutto quello che si offre qui e in tutti gi altri negozi?”.
Il grillo aprì la bocca per rispondere, ma fu preceduto da un millepiedi che passava di lì tutto
GLI IMPRESIBILI
di fretta e parlava veloce come un nastro accelerato: “Mai fare le cose a caso! Bisogna informarsi, leggere le etichette, parlare con gli altri!
E comprare i prodotti che meritano! Guardi, io
solo per le scarpe a volte impiego mezza giornata, ma poi mi durano tanto, non mi fanno venire
il mal di piedi e io corro contento dove il mio lavoro mi porta!”.
FINALE A
Il grillo si limitò a sorridere perché non aveva
proprio più niente da dire, poi prese sottobraccio la cicala e continuarono il loro giro tra le
bancarelle.
La cicala riempì il suo cestello e fu molto felice
dei suoi acquisti tanto che invitò a cena tutti
quelli che aveva incontrato al mercato e così
guadagnò pure tanti amici!
FINALE B
La cicala sbuffò: “Ehi, qui non ce n’è uno che si
faccia gli affari propri!”.
Il grillo sorrise: “Bello, no? Si scambiano opinioni, si raccolgono informazioni…”.
“E si spendono un sacco di soldi!” lo interruppe
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il grillo e la cicala
bruscamente la cicala. “Non solo sto qui a soppesare ogni pacchetto e a farmi fare predicozzi
a destra e a manca, mi tocca pure spendere un
buon 30% in più. Tutti questi discorsi sulla qualità mi annoiano!”.
Il grillo stava per dire qualcosa, ma la cicala lo
zittì tendendo una zampetta verso il suo musetto: “Sai che ti dico? Tienitelo tu questo cestino. Io me ne torno al mio solito supermercato e
statemi tutti bene!”.
Detto questo, se ne andò via correndo veloce
sulle sue sei zampette.
Il grillo si voltò verso la formichina che non
li aveva mai persi di vista e disse brusco: “Se
quest’inverno bussa da voi e la fate entrare…”.
GLI IMPRESIBILI
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CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Ogni favola ha una morale, implicita
o esplicita: individua e scrivi la
morale di questa favola usando
parole tue oppure ricorrendo a una
serie di proverbi.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 3 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Traduci questa favola in un
manifesto pubblicitario del
“Mercato della Formica Premurosa”
e aggiungi uno slogan tuo.
Confronta il tuo elaborato con
quello dei tuoi compagni di classe
per eleggere il miglior motto.
GLI IMPRESIBILI
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Il merito come virtù sociale
La sfida dei mercati
Promozione del merito
Mobilità sociale
20
4° articolo
La crescita
dell’impresa familiare
Le imprese hanno spesso nella
famiglia la propria origine e
ispirazione, il motore primo del
loro sviluppo e un’importante
risorsa di coesione interna.
Al contempo, le imprese sanno
che un assetto proprietario
organizzativo e manageriale
più articolati rappresentano
opportunità di possibile
innovazione del rapporto famigliaimpresa per affrontare nuove sfide
competitive.
Il
castello di
Spugnalessa
GLI IMPRESIBILI
21
il castello di spugnalessa
Il castello di Spugnalessa si ergeva sul picco
della montagna più alta. Tutte le mattine il ponte levatoio si abbassava e da lì uscivano carri coperti con drappi dorati: imboccavano il ripido
sentiero e scendevano a valle. Sembravano un
nastro scintillante che si srotolava verso il centro del piccolo borgo.
Una volta arrivati alla piazza del villaggio, i carri prendevano le direzioni della rosa dei venti e
come raggi di sole si sparpagliavano per il regno,
allargandosi poi ai reami vicini. Pian piano raggiungevano tutti i punti della Terra conosciuta
sotto forma di piccoli, luminosi punti di luce.
Re Stupefatto e Regina Incredula, puntuali, tutte le mattine si affacciavano dall’ultima finestra
della torre più alta e li seguivano fino a che non
sparivano all’orizzonte.
Lungo le strade, la gente salutava i conducenti
con un sorriso. E avevano ben ragione di sorridere. Quei carri trasportavano la merce più preziosa: dentro le casse di legno sigillate con cura
erano sistemati gli ingredienti per le più prodigiose magie e le attrezzature per i migliori professionisti del settore.
Infatti, il regno di Spugnalessa era famoso nel
mondo per la sua produzione di scope volanti a
scoppio, liofilizzati di rane, tempera-bacchettemagiche, accalappiafantasmi elettrici, distillati
GLI IMPRESIBILI
di cacca di liocorno, estratti di sguardo di basilisco e via discorrendo. Ogni anno il catalogo si
aggiornava con prodotti nuovi e irresistibili che
subito richiamavano valanghe di prenotazioni
e di lettere di complimenti.
I carri in partenza raggiungevano fate, streghe,
fattucchiere e maghi ovunque vivessero e consegnavano a domicilio quanto richiesto.
La prestigiosa Azienda Reale di Prodotti Magici Misteriosi e Magnificenti, ovvero la Az.Re.
3M, era stata fondata nella notte dei tempi da
Re Mattacchione ed era stata portata avanti di
generazione in generazione, passata di mano
in mano da sovrani e regine. Una storia gloriosa. Almeno fino a quando Re Stupefatto e la sua
consorte, Regina Incredula, avevano preso in
mano la situazione. Erano stati bravi nel gestire
gli affari e le loro idee innovative avevano fatto faville. L’unico neo era che i due diventarono
grandi, poi maturi e infine quasi vecchi senza
avere un erede.
“Possibile” si dicevano i sudditi, “che producano
magie per tutti ma non riescano a trovare gli ingredienti per un incantesimo che faccia nascere un principe o una principessa?”.
La domanda rimbalzava di bocca in bocca e forse arrivò anche alle orecchie dei regnanti perché si racconta che il re e la regina passarono
lunghi giorni tra alambicchi e polveri misterio22
il castello di spugnalessa
se. Fosse per quello o fosse perché finalmente
era il momento, fatto sta che appena prima che
l’ultimo capello biondo della regina diventasse
bianco, fu dato il lieto annuncio: al falegname
di corte era stato dato l’incarico di scolpire la
più bella culla mai vista a palazzo.
Il falegname si mise subito all’opera e dopo
qualche mese il lettino fu pronto e, accidenti,
non bastò! Infatti, nacquero non uno, ma due
principi: gemelli! La culla venne raddoppiata
con un colpo di bacchetta magica.
Quando Stupefatto e Incredula presentarono i
figli ai sudditi, in molti osservarono: “non sarà
difficile distinguerli!”.
In effetti, uno era biondo e l’altro era moro, uno
era magro e l’altro era cicciottello, uno stava
zitto e l’altro urlava a tutto spiano, uno era bellissimo e l’altro proprio bruttino. Tutto questo,
però, non tolse nemmeno un grammo alla felicità generata dalla loro nascita. Li chiamarono
Piacente e Ridente.
Fin da piccolissimi, furono indirizzati alla gestione della Az.Re. YouYou.
Piacente, il gemello bellissimo, rivelò da subito
il talento del venditore: se una strega passava al
castello o se lui andava a trovarla nel suo antro,
si poteva star certi che quella avrebbe speso più
di tutti gli anni precedenti messi insieme.
Ridente, il gemello bruttoccio, era uno straordiGLI IMPRESIBILI
nario inventore di strumenti e prodotti e la sua
fantasia era inesauribile. Solo nei primi tre mesi
d’attività aveva progettato: un tappeto magico
volante con il dispositivo anti-acaro incorporato, il pentolone elettrico per mantenere in calda
le pozioni e un accrescitore di nasi per imbruttire le streghe troppo belle. Tutte cose che piacevano un sacco e facevano aumentare le vendite
più dei saldi di fine stagione.
Tutto andava bene, dunque? No, nient’affatto.
Si divertivano troppo quei due! Piacente se ne
stava sempre in giro tra streghe e fate e rientrava dai suoi giri di promozione solo per cambiare i bagagli; Ridente faceva brevetti su brevetti,
ma non usciva mai dal suo laboratorio.
Re Stupefatto e Regina Incredula erano ormai
troppo vecchi e nessuno più seguiva né la produzione degli oggetti appena presentati né il
magazzino e la distribuzione. Così succedeva
che gli articoli venivano messi in lavorazione a
volte sì e altre no, ma se anche venivano prodotti nessuno si curava che fossero in numero sufficiente per soddisfare le prenotazioni e nemmeno che arrivassero a destinazione. In capo a
poco, arrivarono le prime lettere di protesta.
“Spett.le Az.Re YouYou,
ho richiesto tre iguane meccaniche, le ho pagate in anticipo e non le ho viste!
Babajaga”.
23
il castello di spugnalessa
“Signori,
la carrozza convertibile in zucca da minestra
era sul vostro catalogo, ma non risulta sia entrata in produzione, ci sono stati problemi? Mi
fate sapere?
Fata Minestrina”.
“Ehi voi di corte,
vi siete messi a raccontare bugie?! Ho prenotato tre rileva-menzogne agli ultrasuoni, ma mi
avete spedito un kit per far marcire l’alito! Non
mi serve e lo voglio cambiare!
Fata Turchina”.
Anche il fatturato dell’impresa reale stava crollando a picco… I carri che tutte le mattine uscivano dal palazzo non solo avevano sostituito i
drappi d’oro con quelli d’argento e non li salutava più nessuno, ma spesso sbagliavano strada e
chi li guidava era sempre più triste e stanco.
Quando arrivò la milionesima lettera di protesta, il forziere del castello era quasi vuoto.
Re Stupefatto, allora, cominciò a preoccuparsi
sul serio e convocò il Gran Consiglio.
Arrivarono proprio tutti: ciambellani e gran
ciambellani, una rappresentanza sindacale dei
folletti-costruttori e una delegazione di fate
e streghe consumatrici. Tutti ebbero modo di
dire la loro.
I folletti-costruttori furono i primi.
GLI IMPRESIBILI
A nome di tutti parlò uno che aveva un gran
berretto verde da cui spuntavano appuntite
ciocche di capelli biondi e ispidi: “Insomma, noi
costruiamo volentieri quello che serve, ma se
nessuno ci procura i materiali e nessuno ci dice
quanti pezzi ne servono, come facciamo noi a
indovinarlo? Anche i nostri colleghi del magazzino impazziscono: c’è una tale confusione tra
gli ordini e gli indirizzi ai quali vanno spediti,
che non capiscono più nulla, poveretti!”.
La fata-portavoce, alta, riccia e tanto bella da
far venire le vertigini, si accalorò raccontando:
“È insopportabile: non sappiamo mai se i prodotti in catalogo esistono davvero oppure no e
quando arrivano i pacchi non siamo mai sicure
che contengano quello che abbiamo chiesto!”.
Una strega particolarmente ripugnante rincarò la dose: “Accidentaccio! Se continuate così,
ci troveremo un altro fornitore… Alcuni maghi,
amici miei, stanno già cercando a chi rivolgersi!”.
A concludere tutto fu il gran ciambellano che
curava la contabilità: “Qui stiamo raschiando
il fondo nel senso proprio letterale: per cercare qualche moneta d’oro dobbiamo frugare sul
fondo del forziere!”.
Re Stupefatto e Regina Incredula ascoltarono
tutto questo con la fronte corrugata e lo sguardo fisso.
Il sovrano meditò qualche minuto e poi saltò
24
il castello di spugnalessa
alle conclusioni: “Dite che i miei figli non se la
stanno cavando bene?”.
FINALE A
Tutti quelli seduti attorno al tavolo scossero la
testa e non c’era più d’aver dubbi su come stessero andando le cose.
Il Re provò a rianimare l’ambiente, facendo ragionare la consorte: “Mia cara, ma non sono
nemmeno venuti qui! Mica gli scippano la corona! Anzi, loro saranno liberi di fare quel che a
loro più piace e intanto qualcuno farà la parte
che non sono capaci di gestire. Possiamo solo
essere ancora più apprezzati!”.
Un fragoroso applauso si levò e divenne anche
l’applauso di quelli che portavano a destinazione i carretti, di chi riceveva i pacchi, di chi vedeva sfilare i carri di nuovo dorati dell’Az. Re.
YouYou.
La Regina Incredula chiese: “Che cosa possiamo fare? I nostri figli già si stanno occupando
dell’impresa di famiglia…”
Tutti sorrisero comprensivi, sperando che andasse avanti, ma la sovrana lasciò cadere il discorso e tutti furono un poco delusi.
Il Gran Ciambellano riprese il discorso: “Ecco,
appunto, ci sono cose che i due principini stanno trascurando…”.
Re e Regina si grattarono il mento, si strofinarono la fronte, si guardarono più volte tra loro e
poi Stupefatto parlò: “Voi ci potreste aiutare?”.
Già, perché il folletto che era stato convocato
per il Gran Consiglio si occupò di coordinare la
produzione e scelse un collega per il magazzino,
una strega si occupò di smistare gli ordini e curare il catalogo e una fata si mise diligentemente a scrivere lettere a tutti quelli che negli ultimi tempi erano rimasti vittime dei disservizi.
Intanto, Piacente e Sorridente erano più felici
che mai. E si sa che se il principe sorride, tutti
vivono felici e contenti.
Finalmente i sorrisi si accesero come le lampadine sull’albero di Natale: tutti avevano voglia
di migliorare la situazione!
FINALE B
La Regina raffreddò l’atmosfera: “E se poi Piacente e Sorridente si offendono?”.
Il Re si grattò il mento e guardò la moglie con gli
occhi languidi: “Tu sì che sei saggia, tesoro mio!”.
Il re strabuzzò gli occhi: “Forse abbiamo bisogno d’aiuto?”.
E ancora una volta tutte le teste si mossero simultaneamente per dire che sì, proprio quello
era il nocciolo della questione.
GLI IMPRESIBILI
25
il castello di spugnalessa
Folletti, fate e ospiti vari sentirono il pavimento
sprofondare di un centimetro.
La Regina, confortata dalle parole del reale consorte, si animò: “Insomma, dico, che ci fa qui
tutta questa gente?! L’azienda è della Famiglia
Reale da almeno trentacinque generazioni ed
è sempre andata bene! Che cosa pretendono di
insegnarci?!”.
Le parti di pavimento su cui si erano accomodati gli ospiti si abbassarono di altri cinque centimetri e questa volta non fu solo un’impressione:
era la foga della Regina che scatenava meccanismi magici.
La sovrana proseguì: “Che poi, dammi retta:
adesso ci dicono quel che dovremmo fare e poi
ci rubano la società! Qui si sa come si comincia,
ma non si sa come va a finire! C’è un po’ di crisi,
ma siamo sopravvissuti a cose ben peggiori!”.
Il folletto con i capelli biondi ispidi si alzò per
dire qualcosa, ma magicamente volò fuori dalla
finestra chiusa senza nemmeno rompere i vetri.
Il Re si alzò e prese la mani della moglie: “Massì,
basta che facciamo noi quattro chiacchiere con
i nostri ragazzi!”.
La Regina si alzò dal trono e i due regnanti se
ne andarono senza nemmeno salutare, mentre
il pavimento andava in briciole e gli ospiti precipitavano di piano in piano fino a rotolar fuori
dal ponte levatoio insieme alle macerie.
GLI IMPRESIBILI
26
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Prova a scrivere questa fiaba
guardando la vicenda con gli occhi
di un folletto-costruttore.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 4 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Crea le sagome dei personaggi e
poi fai un allestimento della storia
come spettacolo teatrale di figura.
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
La crescita dell’impresa familiare
Le imprese hanno spesso nella
famiglia la propria origine e
ispirazione
Un assetto proprietario
organizzativo e manageriale più
articolato è un’opportunità di
possibile innovazione
GLI IMPRESIBILI
27
5° articolo
Una dimensione competitiva
per il mercato
Le imprese sono cresciute
e continueranno a crescere
con l’internazionalizzazione
dell’economia, che sostengono con
forza.
Le imprese sanno che produrre
per il mondo richiede dimensioni
adeguate ai mercati su cui
operano e seguono processi
di aggregazione e crescita
dimensionale che possono avvenire
con le più opportune forme di
consolidamento e integrazione
aziendale.
Braknan
contro i Clipsi
GLI IMPRESIBILI
28
Braknan contro i Clipsi
Braknan levò la mazza chiodata oltre la testa,
digrignando i denti. Sei piccoli Clipsi si erano
già arrampicati sulle sue possenti spalle e con
le loro dita adunche tentavano di graffiargli gli
occhi. I più deboli, incapaci di far di meglio, si
aggrappavano ai suoi lunghi capelli, strappandoli a piene mani: grosse ciocche cadevano a
terra lasciandogli la nuca sanguinante.
Braknan calò la mazza che con un tonfo schiacciò alcuni Clipsi. Molti vennero travolti senza
nemmeno il tempo di un lamento. Quelli abbarbicati su di lui si dimenarono come impazziti,
ma Braknan non dava segno di sentire il dolore.
Con sovrumano sforzo, tornò a sollevare la palla chiodata che era stata forgiata per suo nonno
dal re dei nani e che solo Braknan era stato capace di usare. Intendeva colpire la microscopica
catapulta che scagliava una pioggia di fastidiosi
dardi, ma non riuscì a mettere a segno il colpo.
Una taglientissima lama rotante saettò all’altezza del suo petto squarciando la corazza che
credeva invulnerabile.
Un intenso bruciore gli fece capire che il bordo
dell’acciaio gli aveva tagliato la pelle. Pensò allora che l’inevitabile sarebbe accaduto: sarebbe
stato il primo Attinios a dover ripiegare in fuga.
Rassegnato e furente, lanciò un grido che raggiunse le nubi e le costrinse a ritirarsi.
GLI IMPRESIBILI
Nello sprazzo di sereno, la sagoma di Bistot si
delineò sempre più nitida e vicina. Il drago sputò una fiammata che fece allontanare i Clipsi
quanto gli bastava per atterrare accanto al suo
padrone.
Braknan, gli si issò sulla schiena, appesantito
solo dall’umiliazione di cui mai avrebbe voluto
caricarsi.
Bistot fiammeggiò ancora sui piccoli nemici infestanti e poi si librò in aria con energici colpi
d’ala.
Sorvolarono un mare di nebbia, punteggiato
dai picchi aguzzi delle montagne marmoree
che spingevano le proprie vette a bucare il cielo.
Lasciandosi il sole alle spalle, planarono mollemente verso le guglie del castello.
Braknan scese dalle spalle di Bistot e lanciò un
urlo che scosse il palazzo fino a farne vibrare le
tegole.
Il fido Ornan accorse zoppicando sulle sue corte
e attorte gambette.
“Padrone, che succede?”.
Braknan slacciò quel che restava dell’armatura e
la scagliò a terra, sollevando polvere dal terreno
secco: “Io, il grande Braknan della dinastia degli
Attinios, sono stato costretto a fuggire davanti a un’ignobile torma di Clipsi che nemmeno
nella culla avrei esitato ad affrontare! E perché?
29
Braknan contro i Clipsi
Perché la mia corazza è stata vulnerabile!”.
L’energia con cui sottolineò l’ultima parola, costrinse Ornan ad arretrare di un passo.
“Signore” si azzardò a dire, umettandosi più volte le labbra e abbassando lo sguardo dei suoi
piccoli occhi lupini, “Non può e non deve esserci
rammarico in questo, la vostra dinastia era comunque da secoli l’unica dell’Impero a non aver
subito sconfitte…”.
Un alto belluino urlo di Braknan fece morire le
parole nella gola di Ornan e spinse Bistot a volare via rapidissimo.
“Se io ora premessi la mia lama contro il tuo corpo, che accadrebbe?”.
Olkof deglutì facendo salire e scendere vistosamente il suo grosso pomo d’Adamo, poi mosse
le labbra a vuoto e, infine, riuscì a dire: “Non accadrebbe nulla, la mia corazza è come la tua, la
migliore!”.
Braknan ordinò: “Voglio qui i nani. Entro un’ora!”.
Braknan non distolse la punta della sua arma,
ma alzò la testa per liberare dalla profonda gola
una risata forzata: “Certo! Mi piace la sicurezza
della tua voce…”.
La delegazione dei nani arrivò a bordo di uno
stormo di Baku e il loro ingresso nella Sala dei
Dibattiti si svolse nel più assoluto silenzio.
Sull’ultimo suono di quella parola, affondò la
spada abbastanza per rompere l’armatura del
nano, ma non a sufficienza per fargli del male.
Il salone era in larga parte occupato da un ampio tavolo a forma di dorso di tartaruga, con
una bombatura al centro che ondeggiava minacciosa, con il solo scopo di destabilizzare chi
gli si sedeva attorno.
La fronte di Olkof era madida di sudore e il suo
viso era pallido come non mai.
Braknan incombeva all’estremità opposta alla
porta.
I nani entrarono e, obbedendo a un muto cenno
del padrone di casa, andarono a distribuirsi lungo il perimetro del tavolo.
Appena furono tutti sistemati, Braknan sfoderò
GLI IMPRESIBILI
dal fianco una lunga lama e la puntò al petto del
capo dei nani, Olkof, seduto alla sua sinistra.
Braknan ripose la lama nel fodero e fece cenno
al capo dei nani di rimettersi a sedere. Quello
cadde pesantemente sullo scranno, respirando
a fatica.
Si schiarì la voce e latrò: “Ora esigo di sapere
cosa sta succedendo! E se non me lo saprete
spiegare, vi dico che accadrà?” godette un attimo lo spaventato silenzio dei suoi ospiti e riprese: “Succede che vi ammazzo tutti e vado dalla
tribù dei Vikios che vive sotto il vulcano Fulikiki
30
Braknan contro i Clipsi
dove fanno un prodotto che mi dicono passabile e, quindi, sicuramente migliore del vostro!
E poi si mormora abbiano messo a punto una
nuova strategia di piegatura del metallo...”.
me, stabilito alleanze e inimicizie che ne avrebbero ridisegnato la reputazione.
Nella sala regnava un silenzio greve.
“E se cederà” disse Olkof, consegnandola, “potrai strapparmi la testa con le tue stesse mani”.
I nani rimasero immobili come statue, puntando gli occhi sul loro capo.
Olkof inspirò, prendendo coraggio dalla rabbia
per l’offesa che aveva pubblicamente subito:
“Recentemente, abbiamo avuto qualche difficoltà… Diciamo... Ci siamo un po’ privati dei
contatti con gli altri nostri concorrenti”.
Braknan scosse la testa: “Avete una settimana
per rimediare a questa situazione. E poi decido.
A voi la scelta: potete vivere o morire, ma avete
il privilegio di essere fabbri della vostra sorte”.
FINALE A
La nuova corazza di Braknan fu pronta in capo a
cinque giorni.
Braknan vestì quella nuova armatura e volò via
con Bistot.
Per i Clipsi era l’ultimo tramonto.
FINALE B
I nani abbandonarono la sala avvolti da un’aura
di astioso silenzio.
Quando furono abbastanza lontani dal castello,
ordinarono ai Baku di dirigersi verso il vulcano
Fulikiki. Lì bussarono alle caverne dei Vikios e
offrirono i loro umili servigi.
Vennero subito accolti e da allora vivono in catene nelle viscere della Terra.
I nani uscirono in fila indiana, in silenzio come
erano stati fino ad allora.
Olkof chiudeva la formazione e già i suoi occhi
tradivano il lavorio delle sue idee.
In capo a tre giorni i nani avevano già raggiunto
tutti gli altri produttori di armature dell’Impero e
avevano scambiato informazioni e materie priGLI IMPRESIBILI
31
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Riscrivi la storia invertendo il ruolo
dell’eroe e degli antagonisti.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 5 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Inventa giochi enigmistici (rebus,
cruciverba, incroci di parole o altro)
per trovare le parole chiave del
racconto.
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Una dimensione competitiva per il
mercato
L’internazionalizzazione
dell’economia
Processi di aggregazione e crescita
dimensionale
Consolidamento e integrazione
aziendale
GLI IMPRESIBILI
32
6° articolo
L’innovazione
come valore
Le imprese vivono in un processo
di cambiamento incessante e di
continua innovazione.
L’innovazione continua di
prodotto, di processo, tecnologica,
commerciale, logistica,
organizzativa è parte costitutiva
della cultura gestionale delle
imprese, del loro interesse alla
formazione continua e della
loro capacità di confronto con il
mercato.
Io,
l’immortale
GLI IMPRESIBILI
33
Io, l’immortale
Dall’introduzione ad “Arthur McTosh, ricordi
di un highlander”.
Mi chiamo Arthur McTosh e sono nato con l’uomo.
La mia vita è stata così lunga e così rari gli incontri con esseri come me immortali, che finora non ho avuto alcun valido motivo per considerarmi in pericolo di vita. Finora, appunto.
Gli eventi degli ultimi giorni hanno introdotto
una novità inattesa e non del tutto gradita, che
mi mette nell’urgenza di raccogliere ciò che della mia vita ho portato con me fino a questi tempi. Riordinare i miei ricordi mi aiuterà a ricordare chi sono e a farmi affilare le armi adatte per
affrontare la prova che potrebbe essere quella
estrema.
Conservo traccia dei miei giorni fin dall’inizio della mia peregrinazione su questa Terra.
Quando seguii il flusso migratorio che spingeva le genti ad aggregarsi nelle grandi civiltà nascenti, appresi la scrittura cuneiforme.
Quelli che nel mio palazzo sembrano reperti archeologici gelosamente custoditi in teche da museo sono in realtà brandelli della mia memoria.
Ricordo ancora la sensazione dell’argilla duttile
tra le mie mani e il piacere di imprimerle i miei
ricordi e forgiarla nella forma dei miei pensieri
e quell’ansia sottile che mi coglieva quando la
GLI IMPRESIBILI
adagiavo a terra per farla seccare al sole, attento che non si crepasse. Poi la sollevavo, leggera
e fragile, per metterla al riparo. La fatica di scrivere segnò per secoli il mio modo di esprimermi: impressioni intense e senza dettagli. Le mie
memorie erano fuochi di parole senza scintille,
arcobaleni senza sfumature. Scrivevo allora di
viaggi estenuanti, di spaventi epocali, di cataclismi irreversibili: mi affacciavo alla vita e l’uomo era ancora tutt’uno con la natura, a parte
l’effimero riparo delle case e lo sforzo consapevole di cercare un modo per gestire le comunità
sempre più grandi, armate, potenti. L’uso dello
stilo mi alleggerì la mano, ma non diede garanzia di maggior durata ai miei pensieri.
Il passaggio alla scrittura geroglifica su papiro fu il sollievo dalla lotta contro la materia.
Sebbene segni e colori continuassero a essere
solo la sintesi di un’idea, mi ero finalmente liberato dell’ansia di poter frantumare irrimediabilmente i miei ricordi, consegnando irreparabilmente il mio vissuto all’oblio. Scrivevo allora
di grandi opere che proiettavano l’uomo verso
l’orizzonte di un futuro senza limiti e quando le
rileggo ora ammiro la mia fiducia e sorrido della mia ingenuità. Passai all’antica Roma e alla
ruvida pergamena su cui le tracce restavano
delicate e cangianti con il passare del tempo.
La penna d’oca e l’inchiostro grumoso furono
compagni delle mie sere al fumo di candele di
34
Io, l’immortale
sego, chiuso tra le possenti mura dei conventi
dove, minuscolo nell’immensità del creato, a
fatica sconfiggevo il freddo, armato solo di un
piccolo braciere che non arrivava a scaldarmi le
dita irrigidite sotto i mezzi guanti di lana grezza
che ancora odoravano di animale. Il movimento
corsivo della mano mi pareva di un’incantevole leggerezza e la possibilità di tirare una riga
e riscrivere mi faceva provare la vertigine della
libertà. Potevo finalmente addentrarmi a dar
parole a ogni dettaglio delle mie impressioni, a
ogni vibrazione delle mie emozioni. Gli oggetti, i visi e gli sguardi si lasciavano catturare ciascuno da una parola e, una volta presi a laccio
dall’inchiostro, si facevano portare mansueti al
posto dove li si voleva condurre. La mano guidava sicura l’aratro della penna che lasciava il
suo seme d’inchiostro perché crescesse nei futuri lettori e io scrivevo le mie memorie per non
smarrire il frutto del mio tempo.
Fu così per secoli, fino a che nella terra del Sacro
Romano Impero sbocciò l’idea grandiosa della
stampa a caratteri mobili. Che senso di euforia,
che impressione di conquista! Per me che ancora trascinavo tra gli effetti personali le mie mattonelle d’argilla incisa, quelle lettere sciolte che
si combinavano e si ricombinavano per far nascere discorsi che poi s’imprimevano sulla carta
una, due, infinite volte: erano la liberazione da
un giogo. Feci stampare alcuni dei miei trattati
GLI IMPRESIBILI
storici e ancora li conservo nella mia biblioteca,
dove esperti e dotti vengono a studiarli con l’atteggiamento reverente del pellegrino davanti a
una reliquia. Non hanno idea di quanto il loro
timoroso rispetto sia simile a quell’infatuazione che noi stessi provavamo allora stringendo
tra le mani una copia appena rilegata e odorosa
della carta nuova, con l’odore penetrante dell’inchiostro, quello acido della colla e il puzzo acre
del cuoio.
Quando il pennino divenne di metallo e poi
la stilografica si fece largo tra le invenzioni
dell’uomo, ne salutai l’esordio come si celebra la
nascita di un profeta. La carta leggera e liscissima, la penna e la sua carica d’inchiostro: tutto il
necessario per scrivere stava in una sola mano!
Potevo scrivere ovunque volessi e non ero più
costretto, quasi incatenato, al mio tavolo di lavoro. A cosa potrei paragonare una simile sensazione? Forse, solo l’uomo che per primo potrà
spiccare il volo con ali proprie saprà il sollievo
che ho sentito nel petto.
E poi? Poi la macchina da scrivere, che simulava
la stampa e si faceva in casa, con una semplicità
che aveva del miracoloso per chi, come me, aveva conosciuto la fatica del torchio.
La penna a sfera! Quel rotolare senza sbavature
che rendeva il gesto di scrivere una danza paragonabile alle acrobazie di un airone nel cielo.
35
Io, l’immortale
FINALE A
Il computer fu come un balzo fuori dai limiti
terrestri: correggere e riscrivere senza gettare il
foglio, senza dover poi rimettere nero su bianco righe infinite. La prima volta che ho scritto
usando un personal computer mi è sembrato
che la macchina mi istigasse a far di più, a dare
il massimo: l’agilità del mezzo, la semplicità del
gesto dovevano servire a farmi dare il meglio.
Spogliato della fatica della mano, dovevo vestirmi del prestigio delle idee. Come un pittore sulla
cui tavolozza si moltiplichino le sfumature dei
colori, dovevo dar vita a quadri ancora migliori.
Adesso che questa premessa alle mie memorie
la sto scrivendo da un iPad che mi consentirà di
condividerla all’istante con tutti i miei amici mi
impongo di lavorare usando la testa come il più
affilato degli scalpelli, per incidere sulla tenera
memoria di silicio qualcosa di degno per i miei
posteri. L’argilla, il papiro, la pergamena, la carta e le pietre che se ne stanno sulla mia scrivania saranno il mio promemoria.
non perde mai la memoria di ciò che è stato è
una prodigiosa rivoluzione. Mi seduce la potenzialità di un fluire perpetuo e immediatamente
condivisibile: scrivo, pubblico e divulgo in una
quantità di tempo che duecento anni fa avrei
dovuto spendere solo per appuntire la penna.
Ma resto diffidente. Che ne sarà di questi circuiti
di metallo, di questa memoria di silicio quando
il terminale capace di decodificarlo sarà smarrito? Chi saprà più forzare lo scrigno virtuale in
cui rinchiudo i miei pensieri? Che futuro posso
garantire alle mie idee?
Tutto ciò che ho scritto, più o meno faticosamente, mi ha potuto seguire ovunque ed è stato sempre leggibile. L’informatica sarà capace
di garantire una pari immortalità?
Io non ho una risposta a questa domanda e perciò arranco scrivendo sulla fedele carta.
FINALE B
Il computer, invece, l’ho rifiutato. Sì, lo ammetto: è seducente. La possibilità di scrivere, cancellare e riscrivere come su un foglio infinito che
GLI IMPRESIBILI
36
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Intervista i tuoi genitori O I TUOI
NONNI e poi prova a scrivere
una relazione sulle principali
innovazioni tecnologiche alle quali
hanno assistito nel corso della loro
vita.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 6 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Fai una scheda che riassuma i
principali passaggi evolutivi della
strumentazione per la scrittura.
GLI IMPRESIBILI
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
L’innovazione come valore
Cambiamento incessante e di
continua innovazione
Formazione continua
Capacità di confronto con il
mercato
37
7° articolo
Un’impresa
responsabile
Le imprese interagiscono con una
pluralità di soggetti interni ed
esterni. Relazioni che arricchiscono
reciprocamente le imprese, i loro
interlocutori, i territori in cui operano.
I rapporti con i propri clienti
e fornitori, con il personale e
con le comunità dei territori di
insediamento rappresentano per
le imprese una fonte di conoscenze
necessarie e un ambito di esercizio di
responsabilità.
Che cos’è
esattamente
una mamma?
GLI IMPRESIBILI
38
Che cos’è esattamente una mamma?
Una mamma è la rete di protezione quando
voli, il pavimento quando devi correre, l’ombrello quando piove, l’aquilone quando il vento
chiama ed è ora di muoversi.
Per Arturo e Michele, fratelli gemelli, la mamma
era una signora alta, elegante, sorridente e a
volte, ma solo a volte, un po’ bizzarra.
Mamma Giulia viveva con Arturo e Michele
in una casetta bianca con i fiori al davanzale.
Michele e Arturo avevano vestiti puliti e ben
stirati, erano sempre pettinati con una scriminatura perfetta, conoscevano la buona educazione e non si mettevano le dita nel naso. Perfetti, anche se un po’ magrolini e palliducci.
Tutti i giorni mamma Giulia portava i suoi ragazzi a pedalare nel parco ed era anche capace
di giocare a calcio se mancavano amichetti disposti a tirar pedate a un pallone.
Tutti quelli che li vedevano, sospiravano: “Ah,
che mamma perfetta!”.
Ma non è mai tutto oro quello che luccica.
Mamma Giulia, per esempio, smetteva di brillare quando si oltrepassava la soglia della cucina.
A lei, stare in quell’ambiente, non piaceva proprio: si agitava, si preoccupava, cominciava a
urlare.
“Bambini, non avvicinatevi al frigorifero: è troppo pericoloso!”.
GLI IMPRESIBILI
“Non aprite le scatolette: potreste farvi male!”.
“Guai a chi accende il gas: s’incendia la casa!”.
Insomma, quando era in cucina, mamma Giulia
viveva in un clima di autentico terrore. Dunque,
a colazione e a merenda, a pranzo e a cena, cercava di rimanerci il meno possibile e liquidava
pasti e spuntini allungando ai bambini il cartoccio del latte perché bevessero direttamente
da quello. Per variare, metteva in mano ai figli
frutta fresca intera, pane comprato alla forneria o quelle altre poche cose già pronte che una
mamma ritiene sane e salutari.
Però, si sa, una mamma perfetta fa in modo che
i propri figli coltivino l’amicizia con altri bambini, facciano i compiti con i compagni di scuola, frequentino i vicini di casa. Arturo e Michele avevano quindi un sacco di amici e capitava
spesso che fossero da loro per la merenda o che
ricevessero inviti per pranzo o per cena.
Quando mangiavano una pastasciutta, i due
bambini sospiravano: “Ah, se la nostra mamma
la sapesse cucinare!”.
Quando mangiavano un gelato gemevano:
“Mmm! Se la mamma usasse il frigorifero, ne
avremmo a casa anche noi di simili delizie!”.
Le mamme degli amichetti di Michele e Arturo
ascoltarono a lungo le lamentele dei due gemelli e un giorno, incontrandosi davanti al cancello
della scuola, iniziarono a parlare di come quei
39
Che cos’è esattamente una mamma?
due poveri bambini si dovessero sempre accontentare del latte o del pane, che non solo diventano presto noiosi ma non bastano per crescere
bene.
Federica, la mamma di Ambra, propose: “Potremmo organizzarci e, a turno, offrire un pasto
a quei piccoli!”.
Emilia, la mamma di Gemma, ribatté: “Così risolviamo il problema solo fino a che tutte noi
avremo tempo e voglia di farlo, ma se per qualsiasi motivo saltano i turni?”.
Intervenne Flavia, la mamma di Corrado: “Ho
un’idea: insegniamo a Giulia come si fa a cucinare!”.
La proposta era buona e accese l’entusiasmo.
“Ma come fare per non sembrare invadenti?” si
preoccupò la mamma di Gemma.
Confabularono un po’ e poi, siccome si era fatto
tardi, si diedero appuntamento per un tè nel pomeriggio. Lì la strategia prese corpo e il piano
d’attacco fu steso.
Federica passò una mattina a casa di Giulia e
portò una confezione di gelato: “Ai tuoi bambini piace tanto! Perché non lo metti in freezer?”.
“Il freezer?!” inorridì Giulia. “È pericoloso!”.
“Mavalà!” rise Federica e andò in cucina, attaccò la presa e sistemò la vaschetta di geGLI IMPRESIBILI
lato in un cassetto perfettamente vuoto.
La povera Federica dovette stare a casa di Giulia fino al tramonto e cioè fino a che Giulia fu
convinta che poteva stare in casa anche con un
elettrodomestico in funzione.
La sera, quando Michele e Arturo squittirono di
gioia alla vista del gelato, Giulia si sentì ripagata della paura che aveva dovuto sopportare. Così
chiese lezioni a Federica e migliorò al punto che
riempì tutti i ripiani. Adesso il freezer aveva l’aria di una dispensa fresca e a guardarlo ci si sentiva rassicurati. Flavia capitò come per caso da
Giulia e, dopo quattro chiacchiere, le chiese di
poter avere una tazza di caffè: “Ne avrei proprio
bisogno, mi sento così poco bene!”.
Giulia sbiancò, arrossì, sudò, cercò scuse, fino a
che Flavia sorrise: “Tranquilla, lo faccio io!”.
Tremante, Giulia seguì Fulvia in cucina e, quando vide che accendeva il fornello, si nascose
sotto il tavolo studiando attentamente tutte
le mosse dell’amica. Solo quando fu sicura che
l’ebollizione dell’acqua non era un pericolo per
la casa ricominciò a respirare normalmente. La
sera cucinò addirittura una minestra e il giorno
dopo fece bollire della verdura, niente più poteva trattenerla!
Grazie a Emilia, Giulia scoprì che il forno poteva
scottare, ma con qualche precauzione si poteva
usare in totale sicurezza.
40
Che cos’è esattamente una mamma?
FINALE A
Invece, adesso, non avevano più niente da raccontare.
Michele e Arturo, man mano che vedevano
la mamma usare la cucina, la incitavano: “Sei
grande!”, “Bravissima!”, “Che buono!”, “Dai, fanne
ancora!”.
Vedere i suoi bambini felici, con le guance rosse e belli sani, era per Giulia un ottimo motivo
per continuare nei suoi sforzi. Bastarono pochi
mesi di esperimenti, tentativi e richieste d’aiuto alle amiche e ormai in casa si mangiava di
tutto. In uno sprazzo di entusiasmo, s’iscrisse a
un corso di cucina che diede frutti straordinari.
Persino essere ospiti a pranzo non era più tanto
divertente: oramai, a casa degli altri mangiavano le stesse cose che mangiavano a casa propria. Che noia!
Federica, Emilia e Flavia brindarono al loro successo con una tazza di cioccolata calda preparata da Giulia stessa, che era la più sorridente
di tutte.
Per di più, adesso c’erano pentole e piatti da lavare, asciugare e sistemare.
Ogni volta che la mamma proponeva cose nuove, i due fratelli rifiutavano di mangiarle e facevano la faccia imbronciata.
Dopo poche settimane, mamma Giulia si rassegnò: “Da troppo tempo erano abituati all’altra
dieta. Peccato”.
Spense il freezer, chiuse il rubinetto del gas e
uscì a comperare il latte.
Da allora tutti sanno che una mamma è anche il
piatto da cui prendere il nutrimento per continuare nel cammino.
FINALE B
Michele e Arturo erano stati orgogliosi della
loro mamma speciale. Quando mangiavano a
casa degli amichetti, le mamme ascoltavano a
bocca aperta i loro resoconti di pasti frugali e
semplici e questo li faceva sentire grandi protagonisti, al centro delle attenzioni degli adulti.
GLI IMPRESIBILI
41
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Immagina e scrivi tutte le metafore
che possono essere utili per
rappresentare il ruolo di madre.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 7 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Dopo aver individuato le metafore
richieste dall’esercizio precedente,
raccoglile tutte e formula degli
indovinelli da sottoporre ai
compagni di altre classi.
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Un’impresa responsabile
Pluralità di soggetti interni ed
esterni
Relazioni che arricchiscono
reciprocamente
Fonti di conoscenza
Esercizio di responsabilità
GLI IMPRESIBILI
42
8° articolo
L’impresa, le sue persone
e la loro formazione
Le persone rappresentano il
patrimonio più importante per
ogni impresa, ne costituiscono
fattore cruciale di competitività,
specialmente per le aziende di
minori dimensioni.
È dunque interesse delle imprese
ogni forma di valorizzazione e
di promozione delle persone e
della loro crescita professionale, a
cominciare dalla disponibilità di
un sistema educativo e formativo
qualificante ed efficiente.
Un
caro
amico
GLI IMPRESIBILI
43
un caro amico
Caro Piergiorgio,
che sorpresa e che piacere trovare la tua lettera
nella casella di posta elettronica!
Appena ho visto il tuo nome mi ha travolto
un’ondata di ricordi: che nostalgia dei tempi in
cui studiavamo insieme… Chissà, magari ritrovarci così è una buona occasione per organizzare una rimpatriata. Ci terrei tantissimo.
Mi hai chiesto della strategia di marketing che
ho adottato per la mia azienda e quando ho
letto la tua domanda mi si è acceso un sorriso:
immagino la tua faccia quando leggerai come
sono andate le cose!
Non so se potrà aiutarti per gestire l’immagine della tua azienda, ma sono ben felice di illustrarti la concatenazione di fatti che è venuta a
crearsi qui nei miei uffici.
L’anno scorso in questo periodo ero disperato:
come molti di noi, mi stavo misurando con una
realtà sempre più difficile e mi sembrava impossibile risalire la china lungo la quale stavamo
precipitando. Mi aggiravo per gli uffici e vedevo sui visi espressioni cupe, tese e preoccupate.
Puoi immaginare in quali condizioni varcassi la
soglia la mattina e con quale spirito la sera mi
chiudessi alle spalle la porta.
Poi, per fortuna, è successo un guaio. Abbiamo
assunto una centralinista nuova per sostituire
GLI IMPRESIBILI
la nostra Rosetta, che era andata in pensione.
Non ti dico la trafila, ma immagino tu sappia di
cosa sto parlando: si presentano ai colloqui di
lavoro le persone più strane.
Alla fine, Jacopo Marinetti, il mio direttore del personale, mi ha presentato una donna di mezza età, abbastanza scialba, che mi
aveva spiegato di aver scelto solo perché non
gli pareva ci fosse niente di meglio in giro.
Non esattamente la presentazione che si vorrebbe per un dipendente! Fatto sta che questa
donna, Guendalina, lavorava coscienziosamente, era gentile ma non c’era verso di farla rientrare puntuale dopo la pausa per il pranzo. Si
rimetteva in postazione sempre con almeno
mezz’ora di ritardo, ma non solo: con i capelli bagnati, il volto arrossato e un fiatone che
sembrava avesse appena finito una maratona!
Jacopo l’ha affrontata a muso duro e ha minacciato di mandarle una lettera formale, sostanzialmente facendole intravedere lo spettro del
licenziamento. Appena ha visto che Marinetti
faceva sul serio, la signora è scoppiata in lacrime e ha rivelato il segreto che durante la selezione aveva tenuto nascosto: è un’appassionata di merengue! Solo che la più vicina palestra
di danza latino-americana è parecchio lontana
dalla mia sede e quindi non riusciva a cambiarsi, ballare, fare la doccia e rientrare nell’arco
dell’ora a disposizione per la pausa.
44
un caro amico
È lì che è davvero successo qualcosa. Jacopo
Marinetti avrebbe potuto dirle di scegliere tra il
merengue e il lavoro e invece ha avuto un lampo
di genio: le ha suggerito di andare a ballare nella stanza che si era liberata dopo la riorganizzazione dell’archivio. Lì dentro poteva scatenarsi e
poi rinfrescarsi in bagno e tornare puntuale alla
sua postazione. Guendalina ha accettato al volo.
Così, il giorno dopo, mentre uscivano per andare a mangiare, gli impiegati dell’amministrazione hanno sentito un ritmo scatenato che usciva
da dietro la porta, hanno spiato e sono rimasti
affascinati. Hanno cominciato a chiacchierare con Guendalina e lei li ha contagiati: hanno
chiesto di poter provare. In capo a una settimana erano in cinque che si dimenavano a ritmo.
Non hai idea delle loro facce quando uscivano
e tornavano alla scrivania: felici, rilassati, attivi
più che mai! È finito che quelli che pranzavano
fuori, hanno cominciato a essere gelosi. E che
idea hanno tirato fuori? La palestra aziendale! Siccome si era liberata anche una parte del
magazzino, ho detto che potevo mettere lì la
cyclette di mia moglie e qualche tappetino. Per
il resto si sono organizzati da soli. Credimi: la
loro produttività è migliorata in maniera tangibile. E potevo solo stare a guardare? No di certo!
Ho fatto un piccolo adattamento al bagno per
aggiungere due docce e ho comprato qualche
attrezzo. Se i miei dipendenti producono di più,
è giusto che li premi, no?
GLI IMPRESIBILI
FINALE A
È stato come dare una spinta alla trottola: dopo
il primo giro non si è più fermata. Chiacchierando in palestra o mentre ballavano, alcuni hanno scoperto altre passioni comuni. Mi hanno
chiesto la disponibilità degli uffici per un corso
di cinese dopo la fine dell’orario di lavoro. Per le
ragazze del marketing l’insegnate l’ho pagata io
e siccome c’era già la mia fattura pagata, l’insegnante ha fatto uno sconto agli altri.
Ti sembra che vada tutto troppo bene? Beh, non
sono mancati i momenti difficili: quando mi
sono fermato anch’io per le lezioni di cinese mia
moglie ha pensato che accampassi scuse, così
l’ho invitata per un’ora di corso e si è convinta.
E poi? Ecco, ormai non facciamo più una sola
cena aziendale per Natale… C’è il brindisi dei
ballerini poi quello dei ginnasti poi quello dei
poliglotti e persino quello degli scacchisti. Sì,
perché c’è anche il club degli scacchi. Non puoi
immaginare quante idee ti vengano se apri la
mente a tanti stimoli diversi. Mi sarò pure fatto, come mi hai scritto tu, la fama dell’“imprenditore generoso” e magari questo ha fatto buon
gioco per i miei affari, ma non immagini quanto sono debitore a Guendalina e a tutti gli altri
che lavorano per me. Anzi, pardon, con me. Ho
avviato nuove strategie e intendo continuare a
seminare occasioni per sapere e conoscere, per45
un caro amico
ché ogni risorsa dà i suoi frutti.
Ecco, ti ho raccontato tutto e spero possa esserti in qualche modo d’aiuto.
Conto di vederti presto e, se vuoi passare da noi,
sono sicuro che ti sentirai tra amici.
Un abbraccio.
Tuo, Luigi
FINALE B
Diciamo che è andata benissimo fino a ieri.
Quando sono arrivate le bollette di corrente
elettrica e riscaldamento, ho pensato che anche
risparmiare quelle ore serali in cui ci fermiamo
qui sarebbe bene per il mio bilancio. In tempi di
vacche magre ogni centesimo risparmiato è un
centesimo guadagnato. Alla fine dei conti, una
buona reputazione me la sono costruita e lo dimostra anche la tua lettera: in giro si pensa che
io sia un tipo generoso e per bene. Lo sai quanto me: una volta che la voce è in giro, prima di
smentirla ci vuole una vita. Se i miei dipendenti
hanno scoperto interessi nuovi, buon per loro:
la città è grande e sono tanti quelli che offrono
corsi per tutti i gusti.
Ecco, credo che ora sia tutto.
Stammi bene e fammi sapere quando passi in
zona.
Luigi
GLI IMPRESIBILI
46
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Scrivi una lettera a un tuo
compagno della scuola materna e
spiegagli come è cambiata la tua
vita negli ultimi anni.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 8 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Crea un questionario da rivolgere
ai tuoi compagni per scoprire
quali sono stati, nell’ultimo anno,
i maggiori cambiamenti della loro
vita sociale e familiare.
Trasforma poi le risposte in un
grafico.
GLI IMPRESIBILI
L’impresa, le sue persone e la loro
formazione
Le persone rappresentano il
patrimonio più importante per
ogni impresa
Valorizzazione e promozione delle
persone
Crescita professionale
Sistema educativo e formativo
qualificante ed efficiente
47
9° articolo
la sostenibilità come scelta
e come opportunità
Le imprese sono consapevoli
dell’interesse primario e collettivo alla
tutela e alla salvaguardia del contesto
ambientale e sociale. È responsabilità
delle imprese attuare ogni azione volta
a ridurre l’impatto delle proprie attività.
Ma è ancor più interessante per le
imprese e per il loro management
perseguire obiettivi di sviluppo che
consentano il soddisfacimento di
esigenze provenienti da società
sempre più orientate ai valori della
sostenibilità ambientale e sociale.
L’ultimo
industriale
romantico
GLI IMPRESIBILI
48
L’ultimo industriale romantico
Ci sono uomini che passano alla storia per
le imprese alle quali hanno dedicato una vita
di lavoro e le energie di ogni singolo giorno. Ci
sono uomini, invece, che passano alla storia per
un’idea nata nel tempo di un lampo e scoccata
nelle loro teste con la potenza di un tuono. La
grandezza dei primi e dei secondi è, forse ingiustamente, pari.
Bernardo Martini, all’alba del terzo millennio,
era un imprenditore poco soddisfatto.
Nato e cresciuto tra i due rami del lago di Como,
aveva persistito nell’idea di portare avanti l’impresa tessile di famiglia.
A chi gli chiedeva lumi, rispondeva di essere
“l’ultimo industriale romantico”. Ironico e autoironico, aggiungeva poi: “Essere romantici nelle
terre care al Manzoni non è poi così difficile…”.
Le difficoltà, in realtà, c’erano eccome: tenace
nell’idea di non delocalizzare nessuna lavorazione, determinato a trattare al meglio i propri
dipendenti, Bernardo Martini non era un industriale ricco e quel che gli si prospettava davanti
era un orizzonte carico di sinistri presagi.
GLI IMPRESIBILI
Proprio loro furono gli ignari agenti della reazione virtuosa innescata da Martini.
I bambini passavano il doposcuola alla ludoteca, quindi venivano portati al bar della madre e
lì, nel salottino sul retro, aspettavano l’orario di
chiusura del locale per tornare a casa a cena.
I due bimbi ingannavano il tempo con lavoretti
anche complessi. Un giorno offrirono al padre
fiori finti colorati con acrilico.
Al padre, che si complimentava chiedendo
come li avessero fatti, risposero che erano solo i
colli delle bottiglie di plastica tagliati, colorati e
applicati alla sommità di una cannuccia con un
poco di plastilina.
Una mattina, poi, Bernardo scoprì Agata e Tazio
impegnati in una rudimentale partita di bowling sul balcone: con una vecchia pallina da tennis colpivano delle bottiglie riempite per metà
di ghiaia sottile del giardino.
La sera stessa, i bambini stavano usando bottiglie tagliate per assemblare un grosso pupazzo.
Fu allora che Bernardo Martini chiese: “Ma dove
le prendete tutte queste bottiglie?”.
La moglie di Bernardo, Lorena, gestiva un bar in
centro: i suoi affari andavano decisamente meglio, per quanto nemmeno lei fosse indenne dai
venti freddi della dilagante crisi economica.
Lorena gli spiegò che venivano dal bar: le bottiglie di plastica si accumulavano nei contenitori
della raccolta differenziata e i bambini ne prendevano alcune per giocare.
Bernardo aveva due figli: Tazio e Agata.
A quanto ora ricorda la signora Lorena: “Bernardo
49
L’ultimo industriale romantico
mi pose domande a raffica per sapere come mai
le bottiglie fossero tante. Sul principio temetti
che mi accusasse di inquinare troppo e mi misi
a spiegargli che la plastica era inevitabile. All’epoca poi le confezioni di vetro erano assai meno
diffuse di ora. Ma scoprii che non era quella l’intenzione di Bernardo. Si mise a fare conti su
conti e, analizzando le risposte che gli avevo
fornito, arrivò a dirmi che io producevo in media 150 bottiglie di plastica in sole 12 ore di apertura. Poi si mise al computer e si diede a una
serie di altri calcoli, ma a quel punto era tardi e
volevo mettere a dormire i bambini, per cui mi
persi le fasi successive del suo ragionamento”.
Ciò che Bernardo Martini fece, dopo quella conversazione con la moglie, fu stimare il numero
di bar della provincia e il loro esito in termini di
produzione di plastica da gettare.
Come ha ricordato Massimo Bighi, responsabile della Società RiciclAttivo: “Arrivò da me dopo
essersi ben documentato e con un’idea chiara.
Compresi subito che il suo progetto era di quelli
che partono con un segno sul foglio e finiscono
con una cattedrale che passa alla storia, se mi
passa la metafora architettonica”.
Massimo Bighi fu subito un partner attivo e
Bernardo Martini gliene fu grato.
Raccogliendo le bottiglie di plastica dagli eserGLI IMPRESIBILI
cizi pubblici della provincia e installando alcune
attrezzature che affiancassero quelle già attive
nella sua sede, Martini avviò la prima produzione industriale regionale di fibre derivate dalla
rilavorazione della plastica.
La pregevole resistenza, l’impermeabilità dei
tessuti ne fecero il materiale ideale per coperture e rivestimenti, oltre che per l’abbigliamento
in condizioni estreme.
Nell’ultima intervista rilasciata, Martini ha dichiarato: “La mia idea non era nuova in senso
assoluto: non ho inventato io le fibre sintetiche. Ciò che nel mio caso ha fatto la differenza,
è stato pensare di ridare vita a uno scarto, trasformandolo in qualcosa di utile e duraturo, con
un duplice vantaggio immediato per il mio territorio: acquisto in loco ciò che per il mio comprensorio è uno scarto e che per me è materia
prima e creo impiego sulla medesima aria che
lo produce.”
FINALE A
Poco dopo aver rilasciato questa dichiarazione,
Bernardo Martini ha dato vita a un nuovo ramo
della produzione avviando una linea di arredamento che utilizza materiali riciclati.
50
L’ultimo industriale romantico
FINALE B
Poco dopo aver rilasciato questa dichiarazione,
Bernardo Martini ha ceduto la propria attività a
una multinazionale Taiwanese.
GLI IMPRESIBILI
51
CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Prova a scrivere una fiaba in cui
dialogano due oggetti destinati al
riciclaggio.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 9 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Crea una vignetta che riassuma
la storia e poi completala con un
collage di materiali riciclati.
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
La sostenibilità come scelta e come
opportunità
Salvaguardia del contesto
ambientale e sociale
Riduzione dell’impatto delle
attività
Sostenibilità ambientale e sociale
GLI IMPRESIBILI
52
10° articolo
Un’impresa plurale
per una società plurale
Le imprese basano la propria
attività su una visione di società
aperta, inclusiva e plurale.
Una società orientata al progresso
e capace di accogliere il contributo
e la partecipazione della grande
varietà delle sue componenti,
compresi quanti giungono
dall’estero per lavorare e fare
impresa nel nostro Paese.
Un
cittadino
nuovo
GLI IMPRESIBILI
53
un cittadino nuovo
Amin stava giocando a calcio con suo figlio.
Si tuffò per afferrare il pallone che gli stava fischiando sopra la testa in un bel tiro teso e diritto. Ma Amin, decisamente, non aveva più
l’età per quegli svaghi e inciampò malamente,
finendo con la schiena su un sasso nascosto
nell’erba. Si sforzò di sorridere lo stesso perché
non gli capitava spesso di giocare con suo figlio
e quel momento se lo voleva proprio godere. Ma
il dolore alla schiena divenne più intenso. Una
seconda botta, più forte, fece svanire il prato
giallastro di erba secca, il pallone che stava rimbalzando a terra e, per ultimo, il sorriso di suo
figlio. Un cielo abbacinante lo folgorò e un’altra
pedata ben assestata portò a termine il suo ritorno alla realtà.
Il bambino che lo aveva preso a calci riscuotendolo dai suoi sogni se ne scappò via con il suo
amichetto. Alcuni adulti guardavano la scena
ridendo, ma distolsero prontamente lo sguardo
appena videro che Amin si stava alzando.
Si massaggiò energicamente i punti colpiti e si
meravigliò di non essere offeso. Si era abituato
ormai a quelle cose: se parli un’altra lingua, vesti e mangi in modo diverso allora devi abituarti a essere tutto diverso e per questo umiliato e
confuso. Confuso con quelli che parlano, vestono e mangiano come te, ma rubano, spacciano,
sparano. Confuso con l’idea sbagliata che chi
GLI IMPRESIBILI
non è uguale è meno umano. Eppure, non è che
uno diventa ladro, spacciatore o malvivente,
più o meno uomo per come parla, veste o mangia. È un concetto semplice, ma sembra che non
riscuota grande successo.
Amin era abbastanza fiero di sé, anche se si era
abituato a essere offeso. Del resto, se non lo
avesse sempre sostenuto la convinzione di potercela fare, non avrebbe retto alle settimane di
cammino sotto il sole cocente, alla traversata
in gommone senza viveri, alla prova di una vita
in cui a ogni passo devi spiegare chi sei, perché nessuno ti conosce e quelli che ti vedono ti
confondono con quelli del tuo stesso colore che
hanno già visto prima. Se non avesse avuto un
briciolo di autostima non avrebbe mai pensato
di lasciare moglie, figli e genitori per farsi carico
della ricerca di un futuro migliore per tutti.
Ma Amin, pur sapendo tutto questo e avendolo
vissuto, non perdeva tempo a rimuginarci sopra.
Lui aveva un obiettivo: trovare un lavoro. Preferibilmente un lavoro che sapeva fare. Per esempio il giardiniere.
Stiracchiandosi sotto il sole si accorse di aver
sognato. Guardò gli adulti che fingevano di non
vederlo e se ne andò a lunghi passi, affondando i
sandali di cuoio nella sottile sabbia bianca.
Vagò tra le strade che non conosceva e quando fu stanco si appoggiò a un muro di pietre a
54
un cittadino nuovo
secco. Guardò oltre il muro e vide un giardino.
Era devastato dall’arsura. A casa sua l’acqua era
sempre stata poca, eppure un giardino non lo
avrebbero mai lasciato ridursi in quello stato!
Rimase lì una buona ventina di minuti, fermo nel
tempo, immobilizzato dal calore cocente. Studiò la situazione e alla fine decise di scavalcare
la cinta. Staccò dalla pianta più alta dei pezzi di
sughero che vennero via con pochissimo sforzo.
Li sistemò ai piedi degli altri alberi più piccoli,
alcuni con i fiori appassiti a causa dalla siccità e
altri con striminziti frutti ad appesantire i rami
più sottili. Trovò un secchio e una fontana e la
usò per intridere il sughero, spargendo attorno
delle secchiate d’acqua per dar sollievo al terreno reso friabile dalla siccità. Innaffiò con più
cura alcune striminzite piantine di pomodoro.
Si sentì soddisfatto per aver compiuto una buona azione. Anche poter finalmente far qualcosa
gli aveva dato sollievo. “Un uomo nasce per fare”
gli diceva sempre suo nonno.
“Ehi, negro!”.
L’urlo fu sottolineato dal cigolio di un’anta che
si apriva nella casa vicina.
Amin fece quello che doveva fare in quei frangenti: scappò.
Per quanto fosse veloce, ebbe modo di sentire
la donna che gridava: “Al ladro! Stava rubando!
Prendetelo!”.
GLI IMPRESIBILI
Per fortuna a quell’ora le strade erano quasi deserte: chi non era in spiaggia era a lavorare e
quelli in vena di turismo non arrivavano fin lì.
Amin si spinse fin verso le colline brulle che abbracciavano il paese come a tenerlo sporto sul
davanzale del mare.
Trovò un frutteto e prese in prestito qualche
frutto. Addentò due pere fondenti e succose e
una pesca dalla buccia vellutata. Guardò il melo
e pensò che aveva abbastanza spazio anche per
una mela.
Spolpò i torsoli fino ad avere in mano solo i
semi. Un giardiniere i semi non li butta mai.
Quando calò il sole era ancora lì, sotto un pero,
con una dozzina di piccoli semi marroni stretti
nel palmo della mano.
Si assopì senza sogni e si svegliò alla luce della
luna.
Si stiracchiò e scese cauto lungo la stradina a
tornanti che poche ore prima aveva risalito di
gran carriera. Si fermò incerto a un bivio, ma
tentennò solo un attimo: poi imboccò con decisione la strada che portava al giardino in cui
era entrato.
Silenzioso come un gatto, scavalcò di nuovo il
muretto. Ricordò dov’erano gli attrezzi e tastò
la terra per riconoscere il terreno che aveva innaffiato. Scavò piccole buche e piantò i semi.
55
un cittadino nuovo
Non finì di coprirli che un abbaio inferocito lo
spaventò.
“Attacca!” gridò la vicina di casa.
Il suo grosso cane nero saltò il muro divisorio e
si precipitò sull’uomo.
“Stavolta ti prendo!” e il cigolio del cancello vicino fece capire che la donna era disposta a inseguirlo.
Il cane in giardino e la donna per strada. Che poteva fare Amin?
Senza pensarci si tuffò nella direzione da cui il
cane era venuto, scavalcò il muretto e atterrò a
piedi pari nel territorio della sua nemica. Corse
diritto davanti a sé verso l’altro muro di cinta,
quello che gli stava di fronte.
La signora per strada capì troppo tardi la sua
manovra e iniziò a strillare: “Ti faccio arrestare,
furfante!”.
Amin contò sulla propria buona stella e la sua
buona stella rispose: attraversò un paio di altri
giardini senza cani di guardia, oltrepassò un rigagnolo che con tutta probabilità era una fogna
a cielo aperto e fu di nuovo ai piedi della collina.
Salì il versante fino al primo frutteto e lì si acciambellò nel capanno degli attrezzi. Per quanto possa sembrare strano, sono ben pochi quelli
che chiudono a chiave i capanni.
Al sorgere del sole si accorse che ormai si era
GLI IMPRESIBILI
dato una missione. Più che una missione, una
sfida. Ma ci sono missioni che non sono anche
sfide?
Non era ancora mattina e già era tornato in
quello che ormai riteneva il suo giardino. Aveva
preso in prestito dalle palme alcune foglie secche che intendeva usare come rete antiuccellini
e antigrandine. Aveva in mente un lavoretto da
fare per le piantine di pomodoro. Cercò di essere
silenzioso, visto che non poteva diventare invisibile. Aveva portato con sé anche del fil di ferro
verde e una tenaglia. Quella l’avrebbe riportata
indietro, insieme a tutto quello che fosse avanzato. Lavorò per una quarantina di minuti, intrecciando le foglie secondo un preciso disegno.
Stava tranciando pezzetti di ferro, quando una
mano bianca come il latte gli si appoggiò sulla
spalla. Amin non diede segni di spavento, ma un
gelo terribile gli attanagliò le viscere.
FINALE A
La mano batté un colpetto amichevole e l’uomo
gli si parò davanti. Era giovane, castano e vestiva calzonicini e maglietta: “Sei tu che hai fatto
tutto questo?” e con un ampio gesto indicò il
sughero e la terra smossa.
“Sì”.
“Perché?”.
56
un cittadino nuovo
Amin si strinse nelle spalle: “Perché lo so fare”.
“E che ci fa quel sughero?”.
Andrea sorrise, felice di aver trovato l’uomo che
cercava da un pezzo, lo invitò a entrare in casa.
“Il sughero si impregna di acqua e la rilascia lentamente, così se ne usa meno e dura di più…”.
FINALE B
“E che hai fatto lì?”.
“Ho seminato mele e pere, sotto il sughero germogliano e poi si trapiantano”.
L’uomo lo interruppe: “Chi sei tu?”.
“Sono Amin”.
“Bravo Amin, ho bisogno di uno come te, uno
che sa quel che fa e…” si grattò un po’ la testa
come incerto sulle parole da usare: “Sì, insomma, ho bisogno di chi conosce le strategie naturali per la coltivazione delle piante da fiore e da
frutto e da quel che ho visto qui, tu sai fare quel
che mi serve”.
Amin inchinò la testa: “E tu chi sei?”.
“Andrea e ho un vivaio” poi fece una risata leggera: “Non qui, ma dove abito. Lo so che se guardi qui non mi faccio una gran pubblicità, ma
questa è solo la casa delle vacanze”.
Amin non disse niente, aspettando in silenzio
che Andrea proseguisse: “Ti va di venire a lavorare da me? Vorresti parlarne?”.
La signora che gli aveva aizzato contro il cane
e che lo aveva inutilmente inseguito, gli sorrise beffarda. Era più giovane di quanto gli fosse
sembrato dalla voce, carina ma troppo truccata
e avvolta da una nuvola di profumo dozzinale.
Quasi con dolcezza fece scivolare la mano dalla
spalla al polso di Amin e poi gli piegò il braccio
dietro la schiena. Lo legò con del filo per stendere i panni e gli fece due nodi ben stretti, in modo
che tutt’e due le mani di Amin rimanessero ferme all’altezza dei reni.
Gli legò anche i piedi e lo fece sdraiare. Il tutto
senza che dicessero una parola.Dalla tasca della tuta la donna tolse un canovaccio con cui lo
imbavagliò.
Poi, senza staccargli gli occhi di dosso, sfilò dalla felpa un cellulare e compose un numero.
“Ho trovato un clandestino, cosa devo fare?”.
Amin si guardò attorno: “Sì, ma non qui, la sua
vicina non mi sopporta tanto”.
GLI IMPRESIBILI
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CONSIGLI PER IL LAVORO IN CLASSE
PER SCRIVERE
PER IMPARARE
Prova a dare un nome ai sentimenti
che ti sembra il protagonista viva
nel corso della storia e descrivili con
parole tue per come li conosci e per
come credi che siano.
Di seguito trovi alcune espressioni
che sono citate dall’articolo 10 del
Manifesto della Cultura d’impresa e
manageriale di Confindustria.
PER GIOCARE
Prova a sostenere prima le ragioni
per cui vorresti un amico come
Amin e poi quelle per cui non
vorresti un amico come lui e poi
confronta le tue risposte con quelle
date dagli altri tuoi compagni di
classe.
GLI IMPRESIBILI
Parlando con il tuo docente e i tuoi
compagni di classe, prova a trovare
una spiegazione per ciascuna e
a capire se, e come, si tratta di
indicazioni utili anche per la vita
civile in generale.
Società aperta, inclusiva e plurale
Accogliere il contributo e la
partecipazione
Fare impresa
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Gli Impresibili
volume per le scuole secondarie di primo grado
A cura di Trivioquadrivio
Testi di Annalisa Strada
Progetto grafico e illustrazioni di Alessandra Botto
www.trivioquadrivio.it
[email protected]
© Fondirigenti 2010
© Per i testi Annalisa Strada, per i disegni Trivioquadrivio
Gli Impresibili fa parte del progetto VOCI di Cultura d’impresa, promosso
da Findirigenti, Federmanager e Confindustria, per divulgare presso i
giovani, la scuola e le famiglie in maniera ludica, formativa e informativa i
valori del nuovo Manifesto della Cultura d’impresa e Manageriale promosso
da Confindustria nell’anno del suo centenario.