GODETEVI LA GUERRA

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GODETEVI LA GUERRA
GODETEVI LA GUERRA, PERCHE’ LA PACE SARA’ TERRIBILE.
MAGGIO 2012
Zipporah Sein, Segretario Generale dell’Unione Nazionale Karen, invita alla prudenza gli
osservatori internazionali, che fanno a gara nel descrivere “il nuovo corso birmano” come
un processo irreversibile e un cammino che punta dritto alla pacificazione nazionale.
Ma si sa, quando la macchina mediatica è in marcia lungo una direzione stabilita (dai soliti
ignoti?), essa non può certo essere fermata da insignificanti leader di Popoli in lotta, ne’ da
sconosciuti guerrieri che da oltre sessanta anni versano sudore e sangue per ottenere il
rispetto della propria gente. Le mezzemaniche sedute alle scrivanie di televisioni e di
giornali mondialisti hanno sempre la meglio. Così, mentre i portavoce di almeno venti
milioni di persone invocano sostegno diplomatico e scongiurano i governi stranieri di non
correre troppo sulla pista degli investimenti
economici (oramai le sanzioni contro Rangoon
sono definite “anacronistiche” dai guru della
finanza internazionale), la stampa titola i suoi
resoconti dalla Birmania con frasi cariche di
mielosa accondiscendenza per i Generali in abiti
borghesi, che dispensano sorrisi e pacche sulle
spalle a destra e a manca come fanno i politici
nostrani in periodo di campagna elettorale, giacca
sulla spalla e dito puntato verso gli elettori.
Sfacciati come venditori di auto usate del Texas o
come galoppini di partito di ogni democrazia, i Ministri birmani parlano oscenamente di
pace pur non avendo ancora firmato un vero cessate il fuoco con le principali etnie del
Paese. I Karen, ai quali i furbacchioni di Rangoon hanno già prospettato la fusione tra
l’Esercito di Liberazione Nazionale e il Tatmadaw (le Forze Armate birmane) sono tenuti in
stato di totale ambiguità (nessun ritiro di truppe è
avvenuto, al contrario le postazioni birmane sono
state rifornite e rinforzate nelle ultime settimane),
una situazione che consente ai soldati birmani di
scorrazzare per i territori Karen senza rischiare di
venir presi a fucilate dai guerriglieri.
Per non parlare dei Kachin, vittime di una
violentissima offensiva iniziata lo scorso giugno,
che ha già provocato la fuga dalla regione di
75.000
persone.
Il 25 aprile Piero Fassino e il Ministro degli Esteri
Terzi, hanno guidato una delegazione di
imprenditori italiani che ha incontrato le autorità
birmane allo scopo di stringere accordi
commerciali con uno dei Paesi più corrotti al
mondo, infischiandosene ovviamente degli stupri
etnici e delle esecuzioni sommarie in corso nella
regione Kachin.
Nessun effetto hanno inoltre avuto le parole di Zipporah Sein, che ha ricordato come
attualmente nel territorio Karen i militari birmani approfittino dell’ambiguo stato di guerranon guerra per imporre ai contadini il lavoro forzato e per mettere in pratica rappresaglie
contro i villaggi che rifiutano di prestare manodopera gratuita per la costruzione di piste e
di postazioni fortificate dell’esercito.
Il Segretario Generale dell’Unione Nazionale Karen, così come il Vice Presidente della
stessa organizzazione, David Thackrabaw, non smettono di sottolineare che ancora non è
stato fatto alcun passo concreto verso una soluzione dei reali problemi che interessano i
gruppi etnici, ovvero quelli riguardanti la fine dell’occupazione birmana e il raggiungimento
dell’autonomia. Ma a Fassino, a Terzi e a tutti gli altri politici che accorrono alla corte dei
Generali “trans”, non può certo interessare la rivendicazione che arriva dalle nazionalità
che abitano l’Oriente birmano. E’ notorio infatti come i gruppi etnici abbiano uno spiccato
attaccamento verso la propria specificità culturale. Un difetto che mal si concilia con la
visione mondialista di cui tutti questi politici sono invece
interpreti e servitori.
La guerra, che fino a qualche mese fa era aperta, chiara, senza
gli equivoci e gli inquinamenti introdotti da sedicenti
organizzazioni umanitarie che hanno lo scopo di convincere i
movimenti autonomisti a consegnare le armi per far partire
allegramente gli affari nei territori dell’est, rimaneva l’unico
strumento in mano alla resistenza per costringere il governo di
occupazione a trattare un accordo onorevole. Le nazionalità
che abitano il Myanmar sono pronte a far parte di un Paese
organizzato e governato sulla base di un modello federale. Una
soluzione sensata, per nulla estremista. Ma le volpi di Rangoon fanno orecchie da
mercante: sorridono, abbracciano, stringono mani e offrono pranzi e cene sfarzose alle
delegazioni che vanno a negoziare. Non cedono nulla, vendono fumo, sbandierano
l’entrata in Parlamento di Aung San Suu Kyi ma si guardano bene dall’ipotizzare un ritiro di
truppe dalle regioni orientali. La società civile birmana denuncia, nella migliore delle
ipotesi, ingenuità. A Rangoon si sono formati gruppi che fanno pressione sul governo
affinché questo acceleri il processo di privatizzazioni già iniziato da tempo, illudendosi che
la futura competizione capitalistica risolverà i nodi politici del Paese. Anche tra i Karen c’è
qualche politico che è rimasto abbagliato dai sorrisi birmani e dai retorici discorsi delle
Organizzazioni Non Governative sullo “sviluppo
luminoso” che attende il loro Paese se non
faranno troppo i difficili sulle questioni legate
all’autonomia e alla specificità culturale. Ma per
fortuna c’è ancora chi capisce che è meglio
godersi la guerra, finché dura, poiché la pace, alle
condizioni dei birmani, sarà terribile. Il Colonnello
Nerdah Mya, come altri comandanti dell’Esercito
di Liberazione Nazionale, è estremamente
preoccupato per le mosse dei Birmani. “Il nemico
sta approfittando della situazione, si prende gioco
di noi” – dice con voce seria – “Soldati birmani
fraternizzano con volontari del KNLA e intanto prendono informazioni sulle nostre linee di
difesa. Riempiono di munizioni le loro roccaforti e noi non possiamo nemmeno bloccare i
loro rifornimenti.”
Le preoccupazioni di Nerdah Mya sono giustificate: se il governo del Myanmar volesse
veramente la pace dovrebbe ritirare almeno una parte delle truppe sparse in territorio
Karen, a dimostrazione della genuina intenzione di non ricorrere più alla guerra per
risolvere la questione delle nazionalità. “Una cosa è certa” – prosegue il Colonnello – “il
mio reparto, le Special Black Forces, non permetterà a nessun birmano di avvicinarsi al
territorio sotto il suo controllo. I miei ragazzi non hanno nessuna voglia di fraternizzare con
gli occupanti. Tengono il dito sul grilletto. Mio padre mi ha insegnato che al nemico si può
stringere la mano solo quando ha dimostrato di non voler più nuocere. E questo non è
certo il caso dei birmani. Combatteremo, anche se dovessimo essere i soli a farlo
nell’intero Stato Karen”.
Il nobile intento di Nerdah, così come la cristallina resistenza di David Thackrabaw in seno
al Comitato Centrale della K.N.U. (in cui si batte per giungere
alla creazione di un esercito comune con tutte le altre etnie in
lotta contro il governo del Myanmar), rischiano di rappresentare
battaglie perse in partenza. Lo schieramento avversario può
contare non soltanto su figure come quelle sbarcate a Rangoon
il 25 aprile (compiacendosi della coincidenza di data con altro
sciacallesco avvenimento), ma anche su ben più potenti alleati,
rappresentati da quei consigli di amministrazione vogliosi di
liberare le loro fameliche multinazionali nella corsa allo
sfruttamento delle risorse naturali del Paese. Figure scomode
come Nerdah, come gli altri comandanti pronti a difendere il
sogno di un Paese autonomo, come David Thackrabaw che
non vuol vedere la sua Terra violentata da compagnie senza
scrupoli, potrebbero ben presto essere additati come pericolosi
estremisti, “signori della guerra”, magari finendo in qualche lista
di “ricercati”, con una taglia posta sulla loro testa non più solo
dai gangster di Rangoon, ma questa volta anche dai gangster delle “Corporation”. Le
mezzemaniche saprebbero, anche questa volta, scrivere la storiella secondo il volere dei
Padroni.
Franco Nerozzi