Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione

Transcript

Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione
Comitato Termotecnico Italiano
Dipartimento SAIFET
www.regione.lombardia.it
Energia e Ambiente
Concentratore innovativo
per il digestato di
fermentazione anaerobica
ConDIFA
Il sito della ricerca in agricoltura
www.agricoltura.regione.lombardia.it
Quaderni della ricerca
n. 102 - settembre 2009
LOMBARDIA. COSTRUIAMOLA INSIEME.
Studio condotto nell’ambito del progetto di ricerca n. 1136: Studio relativo ad un concentratore innovativo a ridotto consumo energetico e limitati costi di gestione per il digestato di fermentazione anaerobica. (d.g.r. 2 agosto 2007, n. 5214 - Piano per la ricerca e lo sviluppo 2007).
Autori del testo
Antonio Panvini
Comitato Termotecnico Italiano
Ester Foppa Pedretti
Giuseppe Toscano
Fabrizio Corinaldesi
Università Politecnica delle Marche - SAIFET
Coordinamento scientifico
Prof. Giovanni Riva
[email protected]
Per informazioni:
Regione Lombardia - Direzione Generale Agricoltura
U.O. Interventi per la competitività e l’innovazione tecnologica delle aziende
Struttura Ricerca e innovazione tecnologica
Via Pola, 12/14 - 20124 Milano
Tel. +39.02.6765.2537 - Fax +39.02.6765.2757
e-mail: [email protected]
Referente: Gianpaolo Bertoncini - Tel. +39.02.6765.2524
e-mail: [email protected]
© Copyright Regione Lombardia
Dipartimento SAIFET
Comitato Termotecnico Italiano
Energia e Ambiente
Concentratore innovativo
per il digestato di
fermentazione anaerobica
ConDIFA
Quaderni della ricerca
n. 102 - settembre 2009
Quaderni della ricerca
Sommario
PRESENTAZIONE
5
SINTESI DELLO STUDIO E CONCLUSIONI
7
RACCOMANDAZIONI
15
1 IL PROBLEMA DELL’AZOTO
1.1 Premessa
1.2 La Direttiva Nitrati
1.3 Il recepimento regionale e nazionale della Direttiva
1.4 L’impatto della normativa
1.5 Osservazioni conclusive
17
17
18
19
21
22
2 TECNOLOGIE PER LA RIMOZIONE DELL’AZOTO DAI REFLUI
2.1 Premesse
2.2 Processi chimico-fisici
2.3 Processi biologici
2.4 Sintesi sui processi di rimozione (strippaggio e concentrazione esclusi)
23
23
24
29
35
3 CARATTERISTICHE DEL DIGESTATO
37
4 LA TECNOLOGIA DELLO STRIPPAGGIO
4.1 Basi del processo
4.2 Configurazioni impiantistiche
4.3 Influenza del pH
4.4 Influenza della Temperatura
4.5 Tasso di rimozione dell’ammoniaca disciolta nel refluo
4.6 Portata dell’aria di lavaggio
39
39
40
42
43
43
44
5 LA TECNOLOGIA DELLA CONCENTRAZIONE
5.1 Introduzione
5.2 Calcolo della quantità di acqua da evaporare
5.3 I composti volatili
5.4 Configurazioni Impiantistiche
45
45
45
46
47
6 PROVE SVOLTE: MATERIALI E METODI
6.1 Premesse
6.2 Dispositivi ed impianti utilizzati
6.3 Apparati e metodi di misura
6.4 L’analisi degli indici di processo e dei costi di esercizio
51
51
51
56
60
7 RISULTATI OTTENUTI
7.1 Premesse
7.2 Strippaggio a media temperatura
7.3 Analisi degli indici di processo
63
63
63
68
8 CONSIDERAZIONI FINALI
71
9 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
73
3
Quaderni della ricerca
Presentazione
La Regione Lombardia, in materia di nitrati, sta promuovendo da qualche
anno molteplici attività di ricerca per ottemperare alle richieste della
Commissione Europea di limitare l’impatto ambientale del comparto zootecnico.
Uno dei principali temi è quello del controllo del potenziale inquinamento
delle falde seguendo le indicazioni della Direttiva “Nitrati” (91/676/CEE),
che ha avuto recepimento a livello nazionale nel 2006 e ha sollecitato la
designazione di ulteriori aree vulnerabili anche in Lombardia.
In tale ambito risulta ancora strategico impegnarsi nello studio di soluzioni
per la corretta gestione ambientale degli effluenti di allevamento.
Le strategie applicabili tendono all’adozione di tecnologie che trattano gli effluenti di allevamento in modo
da valorizzarne le funzioni fertilizzanti, ottenendo prodotti che possono essere valorizzati sul mercato, con
particolare riguardo al recupero dell’azoto contenuto.
Gli studi finanziati dalla Regione considerano soluzioni operative che possano essere applicate in impianti
consortili o in impianti realizzabili in aziende agricole di dimensioni medio-grandi.
Nello specifico, questo Quaderno della Ricerca si propone di fornire un contributo per illustrare le prestazioni offerte da due sistemi idonei per la gestione della frazione liquida ottenuta dal trattamento degli
effluenti di allevamento.
Un contributo per risolvere la sfida di contenere i costi dei processi di utilizzo degli effluenti in modo da
renderli compatibili con lo sviluppo delle attività zootecniche.
Il lavoro si inquadra in una più ampia strategia della Regione che si sta dotando di strumenti e conoscenze
per dare risposte concrete al mondo produttivo e più in generale ai cittadini, nel rispetto delle indicazioni
fissate dall’Unione Europea in tema di sostenibilità ambientale, protezione del suolo e valorizzazione delle
risorse idriche.
Luca Daniel Ferrazzi
Assessore all’Agricoltura
Regione Lombardia
5
Quaderni della ricerca
Sintesi dello studio e conclusioni
Scopo dello studio
Lo Studio affronta, sulla base di valutazioni sperimentali appositamente svolte, la fattibilità tecnica ed economica delle tecnologie di strippaggio e concentrazione dei liquami zootecnici ai fini del controllo del ciclo
dell’azoto contenuto nelle deiezioni zootecniche.
Da un punto di vista generale, le tecniche oggi a disposizione per tale finalità sono riassunte in Tabella A1.
Tabella A1 - Sistemi di rimozione dell’azoto
Tipologia di processo
Processi chimico-fisici
Processi biologici
Tecnologia di rimozione
Separazione meccanica
Separazione con membrane
Microfiltrazione e ultrafiltrazione (UF)
Osmosi Inversa (OI)
Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite)
Strippaggio ammoniaca
Evaporazione/Concentrazione
Nitrificazione-denitrificazione
Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito
Digestione anaerobica
Processi biologici innovativi
Processo Anammox
Processo MBR
Elettrodialisi (ED)
Lo Studio in una prima parte analizza i singoli processi per poi analizzare più in dettaglio le tecniche di
strippaggio dell’ammoniaca e di concentrazione dei liquami.
Questi processi sono definibili “termici”, in quanto il loro funzionamento richiede una sensibile quantità di
calore che, in presenza di impianti di deiezione anaerobica, è normalmente resa disponibile a costi sostanzialmente nulli dai gruppi elettrogeni alimentati a biogas.
Per disporre dei dati necessari a impostare delle valutazioni economiche si è quindi reso necessario studiare a fondo i processi in oggetto attraverso la realizzazione di:
• un impianto pilota a colonna a letto percolante per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale funzionante a
media temperatura (fino a 45° C circa) e capace di trattare circa 5 m3/giorno di liquame;
• un dispositivo sperimentale su scala ridotta per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale a temperatura più
elevata (fino a 80-90° C);
• un dispositivo su scala ridotta per la concentrazione e l’evaporazione dei liquami.
Nel corso del programma di lavoro è stata allargata l’attività anche all’analisi del processo di correzione del
pH del digestato sviluppando dei test su un dispositivo in scala ridotta per la de-alcalinizzazione.
I test sono stati condotti con digestati provenienti da impianti di digestione anaerobica operanti nella regione Lombardia con caratteristiche sintetizzate nella Tabelle A1 e A3.
Tabella A2 - Tipologia di digestati utilizzati nei programmi sperimentali.
DIGESTATO
A
B
C
D
E
TIPOLOGIA DIGESTATO
Liquame bovino + trinciato mais + polpa cipolle
Liquame bovino + trinciato mais + trinciato triticale
Liquame suino + trinciato triticale + trinciato mais + polpa barbabietola
Liquame suino
Pollina + mais ceroso + insilato erba medica
7
Tabella A3 - Contenuto di Ss e concentrazione (su s.s.) di alcuni elementi contenuti nei digestati impiegati.
DIGESTATO
A
B
C
D
E
SOSTANZA
SECCA
(%)
2,4
1,8
1,8
0,9
3,3
Ca
Mg
Na
P
Zn
K
(mg/kg)
14110
9520
18470
26420
39580
(mg/kg)
992
1177
1550
2901
4069
(mg/kg)
71020
102100
24290
58910
10250
(mg/kg)
12100
14630
26000
30780
44790
(mg/kg)
291
196
382
654
690
(mg/kg)
69360
74100
49780
213200
138600
Risultati sperimentali
Strippaggio con colonna a letto percolante a media temperatura (impianto pilota)
Nell’ambito di questi test sono state utilizzate tutte le tipologie di digestato indicate nella Tabella A2.
Indicando con DNT il differenziale dei valori di concentrazione dell’azoto totale (NT) del digestato prima di
essere introdotto in colonna e in uscita da questa nella Figura A1 è possibile osservare l’incidenza della temperatura sulla quantità di NT strippato. Le riduzioni di azoto totale variano quindi, in dipendenza dalle diverse condizioni, dal 40% al 70% circa.
Figura A1 - Strippaggio con impianto pilota: riduzione di NT (azoto totale; calcolo
effettuato rispetto al valore iniziale) ottenuti
con i diversi digestati per tre livelli di temperatura (pH = 10,5).
In termini di azoto ammoniacale (DNA) risulta possibile raggiunge anche valori dell’84% (Figura A2; digestato A a 45° C). Le prestazioni più limitate si riscontrano a temperature di 20° C con DNA che si attestano
tra il 55% ed il 64% circa.
Figura A2 - Strippaggio con impianto pilota: valori di DNA per i diversi digestati nelle
tre condizioni di temperatura (pH = 10,5).
8
Strippaggio a temperature temperature più elevate (test di laboratorio)
Nel grafico di Figura A3 è visibile l’effetto della variazione del pH e della temperatura del digestato sulla
rimozione di ammonio dal prodotto.
I valori di DNA osservati a pH 10,5 e a 45° C sono del tutto simili a quelli ottenuti nelle stesse condizioni
in laboratorio, il che evidenzia come i risultati ottenuti con l’impianto pilota e l’apparato sprimentale siano
confrontabili.
È interessante notare come alle stesse condizioni di pH a 80° C i valori di DNA raggiungono il 100%. Senza
modificare pH (8,5) si ottengono prestazioni di poco superiori a quelli ottenibili a 45° C e pH = 10,5.
Figura A3 - Test di strippaggio in laboratorio: andamento di DNA (resa di strippaggio)
in funzione del pH e della temperatura.
Concentrazione del digestato per evaporazione (test di laboratorio)
La Figura A4 evidenzia, in funzione del valore di pH e della massa evaporata, l’andamento del DNT. Il pH
del digestato è quindi importante sull’efficienza del processo, che in questo caso mira alla conservazione
della massa di azoto totale nel concentrato. In particolare, si osserva che con pH inferiori a 6,5 i valori di
DNT risultano inferiori al 15%: in altri termini circa l’85% del NT rimane nel prodotto concentrato. In generale, minore è il valore iniziale del pH del digestato, maggiore è la quantità di azoto che rimane nel concentrato finale. Con pH superiori a 7, il processo è accompagnato da un trasferimento di importanti quantità di azoto nel distillato. A esempio, senza la modifica dell’alcalinità del digestato (pH 8,4), si osserva
come già con il 33% della massa evaporata più del 50% di NT passa nel distillato.
Figura A4 - Test di concentrazione: andamento di NT nella massa di evaporato in funzione della incidenza di quest’ultima sulla
quantità di digestato iniziale.
De-alcalinizzazione con anidride carbonica (test di laboratorio)
Nella Figura A5 vengono riportati i risultati dei test relativi alla modifica del pH del digestato basico a
mezzo di anidride carbonica (simulazione dell’utilizzo dei gas di scarico dei motori alimentati a biogas per
questa finalità).
9
È stato considerato un valore del pH di circa 10,5 (rappresentativo di un digestato alcalinizzato e strippato)
ed è risultato possibile raggiungere valori di pH di 8,5 (rappresentativo di un digestato non alcalinizzato),
in un tempi variabili tra 60 e 165 minuti, rispettivamente con portate equivalenti di CO2 di 7,6 e 18 m3/h
per m3 di digestato.
Figura A5 - Test di de-alcalinizzazione:
andamento del pH del digestato in funzione
del flusso di CO2. I due valori di portata di
CO2 corrispondono a portate normalizzate
di 7,6 e 18 m3/h per m3 di digestato.
Bilanci di massa, energia e costi
Bilancio di massa
Nel grafico di Figura A6 sono riportati i valori dei consumi e delle produzioni specifiche per unità di volume di digestato trattato con le tre modalità di rimozione dell’azoto considerate nel programma sperimentale. Data la variabilità delle caratteristiche del digestato (soprattutto in termini di azoto totale e di sostanza
secca) si è ritenuto più adatto riportare i valori minimi e massimi dei diversi parametri.
L’impiego della soda riguarda il solo processo di strippaggio a media temperatura. Dai test di laboratorio
effettuati è stato possibile valutare un consumo specifico compreso tra 8,8 kg e 11,4 kg/m3 di digestato.
Per ciò che riguarda l’uso di acido solforico, previsto in tutti i processi esaminati, si verifica una variabilità più contenuta. In ogni caso sono necessarie elevate dosi di prodotto: da un minimo di 8,8 kg per i processi svolti a meno di 45° C a un massimo di 10,8 kg/m3 di digestato per temperature di 80°C.
Per la tecnica di concentrazione si stima invece un impiego variabile tra i 3 ed i 3,3 kg/m3.
Per ciò che concerne la produzione di solfato di ammonio, da considerare solo per la tecnica dello strippaggio, le produzioni superano di poco i 15 kg/m3 per temperature inferiori a 45°C e raggiungono i 18 kg/m3
a 80°C.
Figura A6 - Valori minimi e massimi dei
consumi e delle produzioni specifiche per le
diverse tecniche di rimozione dell’azoto
impiegate.
Bilancio energetico
Il sistema basato sulla concentrazione, confrontato con le due tecniche di strippaggio a diversi livelli di temperatura, richiede un maggiore consumo energetico (Figura A7). Più precisamente, i consumi specifici
10
oscillano tra 1.100 e 1.500 MJ/m3 di digestato, in funzione della tipologia impiantistica considerata (evaporatori a due o a tre effetti).
La tecnica dello strippaggio comporta invece consumi che variano tra 400-500 MJ/m3 e 120-150 MJ/m3
rispettivamente per livelli di temperatura di 80°C e inferiori a 45° C.
L’analisi dei consumi energetici elettrici e termici (Figura A8) mette in luce gli elevati consumi di energia
termica della tecnica di concentrazione.
Figura A7 - Bilanci energetici totali: valori
minimi e massimi dei consumi specifici (per
m3 di digestato) per le tre tecniche considerate (strippaggio a due livelli di temperatura
e concentrazione).
Figura A8 - Confronto tra i consumi energetici specifici suddivisi in termici ed elettrici in funzione delle tre tecniche di rimozione dell’azoto.
Costi di processo
Le Figura A9 e A10 mostrano i valori stimati dei costi specifici calcolati, nel caso due scenari (A e B) che
si differenziano sostanzialmente per l’opportunità di usufruire o meno del calore messo gratuitamente a disposizione da gruppi elettrogeni alimentati a biogas (nell’ipotesi di effettuare i processi di rimozione dell’azoto laddove esista un impianto di fermentazione anaerobica di sufficienti dimensioni).
Un primo aspetto che si evidenzia è relativo alla forte differenza dei costi specifici della tecnica di concentrazione tra lo scenario A (sfavorevole) che oscillano tra 27 e 37 €/m3 di digestato, e lo scenario B (favorevole) dove i costi crollano tra 2,6 e 3,0 €/m3.
La riduzione dei costi specifici tra i due scenari è importante anche nel caso della tecnica di strippaggio.
Gli effetti sono più evidenti per la variante operativa operante a 80°C che passa da 15,5 -18,9 €/m3 a 4,2 –
4,7 €/m3 (Tabelle A4 e A5).
11
Figura A9 - Costi specifici per unità di
volume di prodotto trattato - scenario A
(energia termica a costi di mercato; situazione sfavorevole).
Figura A10 - Costi specifici per unità di
volume di prodotto trattato - scenario B
(ipotesi di recupero dell’energia termica da
gruppi elettrogeni alimentati a biogas a
costu nulli; situazione favorevole).
Tabella A4 - Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario A; energia termica a prezzi di mercato).
VOCE DI COSTO
Energia elettrica
Soda
Acido solforico
Energia termica
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
STRIPPAGGIO
Processo a 45° C
Processo a 80° C
Min
4,00
3,94
4,40
0,23
Max
4,80
5,12
4,90
0,30
Min
3,57
0,00
4,90
7,11
Max
4,29
0,00
5,39
9,24
CONCENTRAZIONE
Min
1,94
0,00
1,50
23,68
Max
2,32
0,00
1,65
33,27
Tabella A5 - Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario B; energia termica a costi nulli).
VOCE DI COSTO
Energia elettrica
Soda
Acido solforico
Energia termica
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
STRIPPAGGIO
Processo a 45° C
Processo a 80° C
Min
1,13
3,94
4,40
0,23
Max
1,35
5,12
4,90
0,30
Min
1,00
0,00
4,90
7,11
12
Max
1,21
0,00
5,39
9,24
CONCENTRAZIONE
Min
1,09
0,00
1,50
23,68
Max
1,31
0,00
1,65
33,27
Conclusioni
Analizzando le prestazioni dei sistemi di strippaggio, si raggiungono prestazioni soddisfacenti solo se si
opera a temperature dell’ordine degli 80°C e/o se si raggiungono pH mediamente alcalini. A 80°C si raggiungono perdite di azoto ammoniacale dell’ordine del 90% corrispondenti in media a circa il 70-80% dell’azoto totale contenuto nel digestato.
Per mantenere prestazioni simili con le temperature più ridotte si dovrebbe operare almeno a 45° C con pH
superiori a 10.
Nel caso del processo di concentrazione, modificando di poco il pH del digestato (fino a circa 6,5) è possibile trattenere fino all’80% di azoto totale nel concentrato. Tuttavia, in termini energetici, i consumi energetici sono importanti (oltre 1.100 MJ/m3 contro massimi di 500 MJ/m3 per lo strippaggio).
Sul piano anche economico l’elemento chiave è rappresentato dalla disponibilità e dal costo dell’energia
termica.
Nell’ipotesi di costo nullo dell’energia termica (presenza di cogeneratori) il potenziale interesse del sistema di concentrazione è evidente (costo inferiore ai 3 €/m3 del prodotto trattato), cosi come per il sistema di
strippaggio (costi inferiori a 5 €/m3 del prodotto trattato).
Viceversa, nell’ipotesi di valorizzare l’energia termica ai costi di mercato risulta più competitivo lo strippaggio anche se in assoluto non può essere ritenuto un trattamento economico.
In Tabella A6 vengono infine riportate delle considerazioni di sintesi.
Tabella A6 - Considerazioni di sintesi.
Fase del processo
o aspetto caratterizzante
STRIPPAGGIO
Processo a 45° C
Processo a 80° C
Pretrattamento
del digestato
Costo dell’energia termica
Gestione dei prodotti
chimici
Post- trattamento
del digestato
CONCENTRAZIONE
È necessario rimuovere i solidi sospesi
Poco influente
Poco influente
Molto influente
Complessa per
quantità e tipologia
Ridotta
Ridotta
Nessuna in particolare
Necessaria la stabilizzazione
del concentrato
Necessaria la
riduzione del pH
13
Quaderni della ricerca
Raccomandazioni
Per le tecnologie qui considerate rimangono aperte una serie di questioni tecniche ed economiche. Tra queste:
• problematica del recupero del digestato basico nei trattamenti di strippaggio svolti a temperatura modeste. Le sperimentazioni svolte con lo Studio evidenziano la possibilità di impiegare CO2 per la normalizzazione del pH. In linea teorica, l’anidride carbonica necessaria può essere potenzialmente recuperata da
biogas (nell’ipotesi di operare presso un impianto di digestione anaerobica);
• reale fattibilità del reimpiego del solfato di ammonio. Con lo Studio non sono state affrontate le problematiche relative al suo recupero e reimpiego. Dalle esperienze svolte sull’impianto pilota, tuttavia, emerge come il prodotto che ne deriva risulti significativamente contaminato;
• necessario miglioramento delle efficienze dei processi e del consumo di sostanze chimiche ai fini della
riduzione dei costi;
• necessità di stabilizzare il concentrato nel caso del processo di evaporazione (attraverso essiccazione o
compostaggio).
Tutti questi aspetti portano a raccomandare a promuovere ulteriori studi sia sul lato processistico che su
quello tecnologico al fine di ridurre maggiormente i costi di trattamento con unità idonee ad operare nelle
vicinanze di impianti di digestione anaerobica, quindi di dimensioni contenute e di interesse dell’azienda
zootecnica.
15
Quaderni della ricerca
1 Il problema dell’azoto
1.1 Premessa
I nitrati sono composti tossici per l’uomo e per gli animali quando presenti nelle acque in concentrazioni
superiori ai 50 mg/litro1. Tali composti sono molto solubili: le acque li asportano dal terreno e li veicolano
nei fiumi, nei laghi e nelle falde. Hanno diversa origine, in particolare possono:
• derivare dalla mineralizzazione della sostanza organica del terreno (origine naturale);
• essere direttamente apportati al terreno con la concimazione organica e minerale, con lo spandimento di
altro materiale di origine animale o vegetale connesso allo svolgimento delle attività produttive e con gli
scarichi civili (origine antropica).
L’esigenza di emanare una normativa specifica per ridurre e prevenire l’inquinamento delle acque causato
dai nitrati di origine agricola ha portato l’Unione Europea ad emanare la Direttiva n. 91/676/CEE meglio
nota come Direttiva Nitrati.
La Direttiva riserva particolare attenzione al bilancio dell’azoto nel terreno e individua per il settore agricolo le norme tecniche relative alla fertilizzazione e alla gestione degli effluenti degli allevamenti, allo
scopo di limitare il fenomeno della lisciviazione dell’azoto nitrico. In particolare fissa un limite allo spandimento degli effluenti zootecnici pari a 170 kg di azoto per ettaro (Nuvoli, 2007). Pertanto, con l’emanazione della Direttiva, l’Unione Europea sancisce le responsabilità della produzione agricola in generale e di
quella zootecnica in particolare, nell’aumento, avvenuto “in alcune regioni degli stati membri” dei nitrati
nelle acque e del conseguente superamento dei limiti precedentemente fissati per tali composti.
L’impostazione dalla Direttiva Nitrati è quella della presa di coscienza di un problema e delle conseguenti
opportune azioni per tentarne la risoluzione.
Sono legate a tale Direttiva le prime riflessioni, a livello europeo, sull’espansione dei processi produttivi
agricoli e sulla conseguente opportunità di promuovere un’agricoltura sostenibile in grado di prendere maggiormente in considerazione le problematiche ecologiche e l’ambiente in generale.
Per l’Italia, le più evidenti problematiche relative alla gestione dei carichi di azoto sui suoli agricoli sono
localizzate in un areale ben preciso: la Pianura Padana. In tale territorio le condizioni pedoclimatiche, la
disponibilità di acqua irrigua e, non ultime, le politiche agricole passate, hanno favorito lo sviluppo della
zootecnia intensiva con la conseguente concentrazione di capi allevati. È così venuto progressivamente
meno il concetto di equilibrio tra alimenti prodotti, animali allevati e deiezioni prodotte. Le deiezioni animali sono così passate da fonte primaria di alimenti nutritivi per le piante coltivate (quindi risorsa) a materiale di scarso valore da allontanare dall’allevamento al minor costo possibile e con il minor dispendio di
manodopera (quindi rifiuto).
È stato, in definitiva, il prevalere del concetto di smaltimento in luogo di quello di “concimazione organica” che ha generato e alimentato le attuali problematiche (Sangiorgi et al., 2000).
Senza avere la pretesa di tracciare un quadro delle responsabilità si vuole in questa sede evidenziare che,
come del resto lo stesso testo europeo sottolinea, l’aumento dei nitrati nella acque era un fenomeno già in
corso e le cui origini sono da datare antecedentemente al 1991.
L’intensificazione e la specializzazione produttiva sono stati fenomeni originatesi ed affermatesi nei decenni precedenti; decenni nei quali le politiche agricole europee non erano certo orientate alle conseguenze
ambientali delle produzioni ma, al contrario, al loro progressivo aumento attraverso un’intensa politica dei
prezzi.
Si vuol rimarcare in sostanza come, per le realtà nazionali a maggior vocazione per l’agricoltura e l’allevamento intensivi, la Direttiva Nitrati interviene in un contesto nel quale la correzione di una situazione in
atto non era e non è operazione di poco conto.
____________________________________________________
1
L’azoto inorganico fornisce una fonte di nutrienti per le alghe che vivono nelle acque. La combinazione di azoto e fosforo può causare un’incontrollata proliferazione delle stesse, con il conseguente soffocamento dei corsi d'acqua. Questo fenomeno è noto come eutrofizzazione.
17
Nel presente Capitolo, dopo aver preso in esame i principali contenuti della Direttiva, verrà analizzato lo
scenario nazionale e lombardo in particolare relativo alla sua applicazione. In conclusione si cercherà di
comprendere gli effetti conseguenti all’adempimento di tali normative e come queste si potranno ripercuotere sulla realtà zootecnica lombarda delineando quelle che, allo stato attuale, appaiono le soluzioni più realistiche per una limitazione del carico di azoto per unità di superficie.
Figura 1 - Azoto totale distribuito (minerale e organico - Casear, 2007).
1.2 La Direttiva Nitrati
Le prescrizioni e le tempistiche che la Direttiva n. 91/676/CEE assegnava ad ogni stato membro possono
essere riassunte come di seguito riportato:
• designazione, entro due anni dall’entrata in vigore, delle aree vulnerabili ai nitrati di origine agricola per
ciascun stato membro (Figura 2);
• fissazione, sempre entro due anni, di uno o più Codici di Buona Pratica Agricola;
• emanazione, entro due anni dalla prima definizione delle aree vulnerabili, di Programmi di Azione da
attuare entro tali zone e loro attuazione entro quattro anni;
• elaborazione di opportuni programmi di controllo degli effetti dei Programmi di Azione.
Figura 2 - Zone vulnerabili ai nitrati (ZVN
- Casear, 2007).
Quanto sopra definisce, in sostanza, i compiti essenziali per implementare il sistema di protezione delle
acque.
18
Per comprendere con quali “strumenti” ogni stato membro debba procedere è utile esaminare anche quanto contenuto negli allegati della Direttiva e in particolare negli Allegati II e III che definiscono i principi
generali e i dettami secondo cui normare l’applicazione al suolo degli effluenti di allevamento. In particolare l’Allegato II individua gli aspetti che debbono essere trattati dai Codici di Buona Pratica Agricola
nazionali.
Tra questi si segnalano:
• i periodi in cui l’applicazione al terreno degli effluenti di allevamento non è opportuna;
• la distribuzione degli effluenti sui terreni in pendenza;
• l’applicazione in caso di terreno saturo d’acqua, gelato o innevato;
• le avvertenze da adottare in caso di distribuzione vicino ai corsi d’acqua;
• la capacità delle strutture di stoccaggio e le opere messe in atto al fine di evitare che “percolati” da
effluenti o da altri materiali, quali insilati, possano venire a contatto con le acque superficiali o profonde;
• le tecniche di applicazione al terreno dei fertilizzanti compresi i concimi chimici di sintesi;
• la gestione dei terreni e in particolare delle rotazioni;
• l’opportunità delle coperture vegetali durante i periodi piovosi al fine di limitare la percolazione dei
nutrienti azotati;
• la definizione di piani di concimazione delle colture e la tenuta dei registri di applicazione dei fertilizzanti;
• la gestione dei sistemi di irrigazione al fine di prevenire l’inquinamento per scorrimento e percolazione
delle acque.
All’interno dell’Allegato III viene richiesta un’ulteriore specificazione delle norme di cui sopra in quanto
trattasi dei contenuti e delle prescrizioni che, ogni Programma d’Azione, deve adottare per le aree vulnerabili. In particolare si richiede di definire:
• i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno;
• la capacità dei contenitori degli effluenti che, in ogni caso, deve essere superiore a quella necessaria a contenere le deiezioni durante i periodi di divieto di spandimento di cui al punto precedente;
• le limitazioni di applicazione al suolo degli effluenti di allevamento le quali, a loro volta, dipendono: (i)
dalle condizioni, dal tipo e dalla pendenza del suolo; (ii) dalle condizioni climatiche, dalle precipitazioni
e dall’irrigazione; (iii) dall’uso del terreno e dalle prassi agricole con particolare riferimento alle rotazioni; (iv) dal fabbisogno di azoto delle colture tenuto ovviamente conto di tutti gli apporti azotati al suolo
(bilancio dell’azoto).
Le misure di cui sopra debbono garantire che il quantitativo di effluente di allevamento sparso ogni anno sul
terreno delle aree vulnerabili non superi 170 kg di azoto, elevabili a 210 kg nel caso venga presentato il Piano
di Utilizzazione Agronomica (P.U.A.), fatto salvo i primi quattro anni dei Programmi di Azione in cui, i quantitativi predetti possono, a discrezione di ogni stato membro, essere elevati rispettivamente a 210 kg e 250 kg.
1.3 Il recepimento regionale e nazionale della Direttiva
In ambito nazionale dove, lo si ricorda, la materia ambientale è di competenza regionale, la prima reazione, in ordine di tempo, alle more della Direttiva è stata quella della regione Lombardia che, con l’emanazione nel dicembre 1993 della nota Legge Regionale N. 37 (“Norme per il trattamento, la maturazione e
l’utilizzo dei reflui zootecnici”), ha cercato di attuare un primo adeguamento ai dettami della Direttiva.
In questo quadro, la regione Lombardia ha riaffermato il principio secondo cui, i reflui di allevamento, non
sono un rifiuto ma bensì una risorsa che ogni allevatore può e deve utilizzare al meglio per provvedere alla
nutrizione azotata delle proprie colture.
Attraverso la L.R. 37/93 e il suo Regolamento Attuativo (promulgato nel 1996) la regione ha provveduto a:
• individuare le aree vulnerabili del territorio regionale;
• classificare l’intero territorio regionale in base al “carico di animali” presenti (comuni ad “alto carico zootecnico” e comuni “a basso carico zootecnico”);
• obbligare le aziende zootecniche, di consistenza superiore a 8 t di peso vivo (3 t nel caso di allevamenti
avicunicoli), a dimostrare, attraverso un vero e proprio piano di concimazione azotata delle colture (denominato Piano di Utilizzazione Agronomica dei reflui di allevamento P.U.A.) che l’azoto distribuito con le
deiezioni non eccedesse i fabbisogni delle colture stesse evitando rischi di inquinamento delle acque;
19
• determinare i limiti massimi di effluenti di allevamento applicabili ai suoli agricoli che, in linea generale
non possono, come sopra detto, superare i fabbisogni delle colture mentre, nelle aree vulnerabili non possono, in ogni caso, superare il valore soglia di 170 kg/ha di azoto;
• stabilire il principio secondo il quale gli effluenti di allevamento, prima del loro utilizzo sul suolo agrario, devono subire un adeguato periodo di “maturazione”. Si è provveduto, in pratica, a determinare la
capacità minima dei contenitori di stoccaggio dei reflui la quale, non è solo funzione del periodo minimo
di maturazione ma anche del calendario di distribuzione dei reflui il quale, a sua volta, dipende dall’avvicendamento praticato da ogni singola azienda;
• stabilire i vincoli allo spandimento degli effluenti in funzione delle condizioni meteorologiche, del suolo
e della pendenza.
Il primo atto a livello nazionale relativo all’applicazione della Direttiva nitrati è stata l’approvazione del
Codice di Buona Pratica Agricola (CBPA) avvenuta mediante il D.M. 19 aprile 1999. I punti nodali di tale
D.M. sono la disamina dell’intero ciclo dell’azoto e la sottolineatura di concetti chiave quali quelli relativi
all’efficienza della concimazione azotata, ai periodi di applicazione e di conservazione degli effluenti zootecnici in funzione dei cicli colturali, dall’andamento meteorologico e delle caratteristiche del suolo.
Successivamente, a poco meno di un mese di distanza dal D.M. 19 aprile 1999 veniva emanato il Decreto
Legislativo 11 maggio 1999 n. 152 dal titolo: “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e
recepimento della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della
Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”. Gli articoli 19 e 38 e l’Allegato VII di detto decreto individuano le aree vulnerabili esistenti e riconosciute, dettano i tempi per il monitoraggio delle acque e per la conseguente designazione e/o revisione delle aree vulnerabili, fissano le procedure (Programmi di Azione) per l’attuazione della
disciplina dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di dette aree. I soggetti demandati a
tali compiti sono le regioni.
Per quanto riguarda le specifiche norme tecniche che avrebbero dovuto governare l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento l’articolo 38 del decreto 152/99 rimanda ad un ulteriore decreto da emanarsi a cura del Ministero delle Politiche agricole e Forestali di concerto con altri ministeri. L’emanazione
di tale decreto è avvenuta nell’aprile dello scorso anno (D.M. 7/4/2006 avente come oggetto: “Criteri e
norme per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento” di cui all’articolo 38 del Dlgs n. 152/99).
Sempre dell’aprile 2006 è l’emanazione del Dlgs 152/2006 che abroga la precedente versione pur confermandone, per quanto riguarda la parte relativa ai nitrati di origine agricola (articolo 92), i dettami.
Nella sostanza il decreto 7/4/2006 codifica e differenzia, con puntualità, per le aree vulnerabili e per quelle ordinarie i seguenti aspetti:
• la tipologia (liquame e/o letame) e la produzione annuale di reflui per le principali specie zootecniche in
funzione del peso vivo allevato e del sistema di stabulazione adottato;
• la produzione netta di azoto delle principali specie allevate in funzione, anch’essa, della tipologia di stabulazione e del peso vivo mediamente allevato. Viene, in particolare, introdotto il concetto di “azoto al
campo” che rappresenta l’azoto contenuto nelle deiezioni al netto delle perdite per volatilizzazione dell’ammoniaca;
• la capacità minima di contenimento degli stoccaggi;
• il quantitativo massimo di azoto che può essere distribuito con gli effluenti di allevamento. Per le aree vulnerabili il limite è ribadito in 170 kg/ha per anno;
• i periodi di divieto di distribuzione degli effluenti;
• le modalità alle quali le aziende zootecniche devono attenersi per poter operare la distribuzione (comunicazioni all’autorità competente, contenuti dei Piani di Utilizzazione ecc.);
• la tempistica entro la quale le regioni devono fare proprio il testo del decreto attraverso l’emanazione di
propri provvedimenti.
Con i provvedimenti contenuti nella DGR N° VIII/3297 dell’11 ottobre 2006 e nella DGR N° VII/3439 del
7 novembre 2006 la Regione Lombardia provvede, rispettivamente, a designare le nuove aree vulnerabili
sul proprio territorio ai sensi del Dlgs 152/2006 (Norme in materia ambientale) e ad adeguare il proprio
20
Programma di Azione “per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di
origine agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile ai sensi del Dlgs N° 152 del 3 aprile 2006
art 92 e D.M. del 7 aprile 2006”.
L’aspetto importante della DGR 3297 è, ovviamente, l’aumento dell’area designata vulnerabile. Tale
aumento è avvenuto in modo significativo proprio nelle aree dove maggiore è la concentrazione zootecnica. A titolo di esempio si segnala che, nella provincia di Brescia, i comuni vulnerabili ai sensi della L.R.
37/93 erano 8 mentre, con l’entrata in vigore della citata DGR, il loro numero è salito a 81.
La DGR 3439 fa proprie e integra, per tener conto delle peculiarità lombarde, le disposizioni del D.M
7/4/2006. Sulla scorta di quanto contenuto nel D.M. vengono pertanto codificati tutti i principali aspetti tecnici e amministrativi/autorizzativi con i quali, ogni azienda zootecnica ricadente in area vulnerabile, dovrà
prossimamente confrontarsi per poter provvedere all’utilizzazione agronomica dei propri reflui.
Con ulteriore provvedimento del 2 agosto 2006 (DGR N° VIII/5215 “Integrazione con modifica al programma d’azione per la tutela e risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine
agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile e adeguamento dei relativi criteri e norme tecniche
generali di cui alla DGR N° VI/17149/1996” la Regione Lombardia completa il proprio quadro normativo
relativo all’applicazione della Direttiva Nitrati definendo tempistiche e regole alle quali dovranno adeguarsi
le aziende agricole lombarde siano esse zootecniche o non zootecniche. Il considerare anche le aziende senza
allevamento rappresenta una delle principali novità introdotte con la nuova normativa ed è indice della volontà regionale di normare tutto l’azoto utilizzato dall’agricoltura sia esso di origine animale sia esso di sintesi.
1.4 L’impatto della normativa
Considerando l’eterogenea distribuzione degli allevamenti in Italia (all’epoca dell’emanazione della
Direttiva Nitrati: Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna detenevano una quota complessiva pari,
rispettivamente, al 64% del patrimonio bovino nazionale, al 65% del patrimonio suino nazionale e al 70%
del patrimonio avicolo nazionale - Tabella 1 - mentre la SAU di tali regioni corrispondeva a circa il 31% di
quella nazionale) si intuisce subito la portata del problema e le difficoltà che le prescrizioni della Direttiva
hanno innescato nella realtà zootecnica padana.
Tabella 1 - Consistenza del patrimonio bovino, suino e avicolo nelle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna nel
1990. Fonte: ISTAT 4° Censimento Generale dell’Agricoltura.
Regione
Bovini
Lombardia
Veneto
Piemonte
Emilia Romagna
Totale delle 4 regioni
Totale nazionale
(n.)
1.958.787
1.138.554
987.694
858.768
4.943.802
7.676.716
% sul totale
Nazionale
(%)
25,5
14,8
12,9
11,2
64,4
100,0
Suini
(n.)
2.561.350
556.373
811.414
1.896.156
5.825.293
8.894.711
% sul totale
Nazionale
(%)
28,8
6,3
9,1
21,3
65,5
100,0
Avicoli
(n.)
29.276.420
49.672.082
13.855.419
26.063.042
118.866.962
169.513.824
% sul totale
Nazionale
(%)
17,3
29,3
8,2
15,4
70,1
100,0
Alla luce di tutto questo le DGR 3297/06, 3439/06, 5215/2007 e 5868/2007 della Regione Lombardia, inserendosi in una realtà quantomeno “delicata” - si veda a questo proposito la Figura 3, la quale relaziona il
carico di azoto escreto dagli animali allevati (bovini e suini) alla SAU comunale (carico di azoto zootecnico comunale/SAU comunale) - avranno ricadute alquanto significative in quanto, con l’aumento dei comuni designati vulnerabili, molte aziende si troveranno, in pratica, nella condizione di non avere terreno sufficiente allo spandimento per l’abbassamento del quantitativo massimo di azoto distribuibile per unità di
superficie (da 340 a 170 kg/ha).
Pur essendo già previste, soprattutto a livello di nuovo PSR, adeguate misure di sostegno, l’adeguamento
delle aziende implicherà notevoli sforzi finanziari. Il tutto affinché la zootecnia lombarda continui a recitare quel ruolo di punta che storicamente le compete.
21
Figura 3 - Carico di
azoto totale zootecnico
in Lombardia (fonte:
Sangiorgi et al., 2000).
1.5 Osservazioni conclusive
La pur sintetica disamina effettuata evidenzia come l’inquinamento delle acque provocato da fonti agricole rappresenti un tema di estrema delicatezza. Per le realtà tradizionalmente vocate per la zootecnia, di cui
la Lombardia rappresenta senza dubbio la principale espressione, anche e soprattutto alla luce delle recenti innovazioni normative, occorrerà mettere a disposizione del modo zootecnico adeguati strumenti di
“accompagnamento” e opportune innovazioni tecnologiche affinché risulti possibile continuare ad allevare
anche se in maniera differente e con maggior riguardo verso le problematiche ambientali.
Le misure finalizzate alle limitazione dei fenomeni dannosi all’ambiente dell’attività zootecnica non devono, infatti, tradursi in un “disimpegno”. L’attività zootecnica è nata e si è sviluppata in Lombardia e nelle
regioni limitrofe perché, in tali territori, esistevano e esistono le migliori condizioni affinché, essa abbia,
nonostante le cicliche crisi, sostenibilità economica. Come sopra detto la sfida odierna è ritrovare anche la
sostenibilità ambientale del fare allevamento.
22
Quaderni della ricerca
2 Tecnologie per la rimozione dell’azoto dai reflui
2.1 Premesse
L’azoto è un elemento chimico estremamente diffuso in natura in molte forme sia organiche che inorganiche. In forma molecolare costituisce oltre il 78% dell’atmosfera terrestre, in forma organica fa parte di
importanti molecole biologiche e nella rimanente forma inorganica costituisce si può trovare in forma nitrosa, nitrica e ammoniacale. Le attività antropiche hanno portato a fenomeni di concentrazione di alcune
sostanze azotate in determinati elementi dell’ambiente: le acque. Nella Tabella 2 si riportano le forme di
riferimento più comuni di questo elemento chimico nell’ambito della gestione delle acque reflue.
Tabella 2 - Le più comuni forme di azoto nelle acque reflue.
Forma dell’azoto
Simbolo chimico
Comune luogo di reperimento
Ammoniaca/Ammonio
Total Kjeldahl Nitrogen
(somma dell’azoto organico
con l’ammoniaca/ammonio)
Nitrato
Nitrito
NH3/NH4
TKN
Acque reflue domestiche
Acque reflue domestiche, effluente
Concentrazione tipica nel
luogo di reperimento
30-50 mg/l
30-60 mg/l
NO3
NO2
Effluente nitrificato
Effluente parzialmente nitrificato
1-35 mg/l
0,1-2 mg/l
Come indicato nella Tabella, l’azoto è presente nelle acque reflue (domestiche e industriali) principalmente sotto forma di ammoniaca e azoto organico. A seconda del pH, l’ammoniaca può esistere in soluzione
come gas (NH3), in soluzione come ione ammonio (NH4+) o come sale di ammonio in forma solida.
L’ammoniaca e i composti azotati organici possono essere misurati collettivamente utilizzando il metodo
Kjeldahl per la misura di Azoto Totale (TKN). Anche se i moderni impianti di trattamento per le acque
reflue possono rimuovere piuttosto bene BOD, TSS e gli agenti patogeni, purtroppo riescono ad eliminare
solo una piccola quantità di TKN presenti nell’affluente, a meno che non sono specificamente configurati
per la rimozione di azoto.
Per la rimozione di azoto dai reflui sono stati messi a punto una varietà di metodi.
La Tabella 3 ne elenca i più comuni, suddivisi per tipologie e dalla quale si evincono i trattamenti chimicofisici e/o biologici a cui possono essere sottoposti i reflui sia civili che industriali (e quindi anche i liquami
e i digestati).
Tabella 3 - Sistemi di rimozione dell’azoto dalle acque reflue.
Tipologia di processo
Processi chimico-fisici
Processi biologici
Tecnologia di rimozione
Separazione meccanica
Separazione con membrane
Microfiltrazione e ultrafiltrazione (UF)
Osmosi Inversa (OI)
Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite)
Strippaggio ammoniaca
Evaporazione/Concentrazione
Nitrificazione-denitrificazione
Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito
Digestione anaerobica
Processi biologici innovativi
Processo Anammox
Processo MBR
23
Elettrodialisi (ED)
2.2 Processi Chimico-Fisici
2.2.1 Separazione meccanica
Separazione dei solidi grossolani. Si applica ai liquami zootecnici dove le sostanze minerali e organiche sono in parte disciolte e in parte sospese. La componente sospesa è costituita da particelle con diversa granulometria. Il trattamento di separazione adotta tecniche per la rimozione di queste particelle in
modo da rendere la componente liquida più facile da gestire, con minore formazione di odori, riduzione
della formazione di sedimenti o crostoni nelle vasche di stoccaggio. La componente separata è palabile
con un contenuto in solidi dell’ordine del 20-40%. Ha il vantaggio di poter essere trasportata in modo
più agevole e distribuita sui terreni con un minor rischio ambientale rispetto ai liquami. Richiede però un
periodo di sosta su platea per ridurre la produzione di odori e rendere più stabile la sostanza organica.
Infatti, in questa frazione si concentrano maggiormente alcuni nutrienti. Di conseguenza anche l’azoto è
presente principalmente in forma organica (60-80% dell’azoto totale). Il separato ha quindi caratteristiche ammendanti che lo rendono particolarmente adatto alle fertilizzazioni prima delle lavorazioni principali del terreno. In figura 4 è riportata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso dell’intero processo [10].
Le tipologie di separatori in commercio sono finalizzate al trattamento del liquame grezzo per migliorare la gestione dell’effluente. Sono sistemi meccanici che si basano, essenzialmente, sullo stesso principio: separare le particelle di dimensione superiori mediante il passaggio del liquame attraverso una superficie grigliata o forata. Le dimensioni dei fori o delle aperture definisce il grado di separazione che si
ottiene. In genere, questo parametro è un compromesso tra la portata delle attrezzature, il rischio di intasamento e una buona efficienza di separazione.
Le tipologie di separatore differiscono per la modalità con cui il liquame viene convogliato attraverso il
sistema filtrante: i vagli statici per gravità; i vibrovagli grazie alla vibrazione della griglia; i vagli rotativi per gravità e rotazione; i separatori a rulli cilindrici grazie alla pressione di rulli controrotanti; i separatori a vite elicoidale mediante la compressione del liquame contro alla griglia.
Figura 4 - Schema separazione dei solidi
grossolani (Fonte: Provolo, 2008).
La quantità di frazione palabile che si ottiene non deve essere confusa con l’efficienza di separazione che
rappresenta il rapporto tra la frazione di solidi, azoto, fosforo che viene separata e quella contenuta nel
liquame in ingresso al trattamento. A parità di efficienza di separazione, i volumi di palabile possono variare notevolmente in relazione al contenuto in acqua del separato (Figura 5).
In particolare, per quanto riguarda l’azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossolani con l’esportazione del palabile, è stata stimata essere dell’ordine del 4-16%, cosn un costo relativo di
0,2-1,2 € m-3 di effluente avviato al trattamento.
Figura 5 - Caratteristiche della frazione
solida separata (Fonte: Provolo, 2008).
24
Tabella 4 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca e
dei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).
Tipo di separatore
Vagli
Cilindrico
Elicoidale
Efficienza di separazione (%)
Solidi
20-25
28-40
35-48
N
4-7
8-15
6-16
Costo (€m-3)
P
8-12
30-42
28-42
0,2-0,4
0,6-1,2
0,6-1,2
Separazione dei solidi grossolani e fini. I solidi contenuti nei liquami possono essere classificati in base
al loro diametro in grossolani (superiori a 0,1 mm) e fini (inferiori a 0,1 mm). Le tecniche che consentono
la rimozione anche dei solidi fini si possono basare su: separazione meccanica con la produzione di un separato palabile, separazione per gravità mediante sedimentazione e separazione per flottazione. Queste due
ultime tecniche consentono di ottenere come effluente un liquido chiarificato e un liquido addensato ma
non palabile (fango). Un successivo trattamento meccanico può ridurne l’umidità in modo da ottenere un
prodotto finale palabile. La rimozione dei solidi fini dalla componente liquida viene ottenuta anche con
l’impiego di additivi chimici che migliorano l’efficienza di rimozione del sistema. L’efficienza di rimozione è elevata per le componenti solide sospese. L’impiego di flocculanti, consentendo l’aggregazione delle
particelle più piccole in aggregati di maggiori dimensioni ne favorisce la separazione.
Le sostanze disciolte, come l’azoto in forma ammoniacale non vengono però trattenute. In Figura 6 è riportata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso dell’intero processo.
Figura 6 - Schema separazione dei solidi
grossolani e fini (Fonte: Provolo, 2008).
Le separazione per gravità (sedimentazione) si basa sulla deposizione dei solidi che avviene naturalmente
in una miscela non agitata in cui i solidi sono sospesi. I tempi richiesti per la sedimentazione delle particelle sono in relazione alla dimensione delle stesse. Le vasche di sedimentazione utilizzate per la rimozione dei solidi di un impianto di trattamento sono dimensionate per un tempo di permanenza del liquido di
circa 3 ore.
I bacini di sedimentazione prevedono la deposizione durante la fase di stoccaggio con svuotamento periodico (1-2 volte all’anno) del fango e hanno capacità corrispondente agli effluenti prodotti in 30-60 giorni.
La separazione per flottazione sfrutta l’immissione di aria e, in genere, di additivi per aggregare le particelle solide e farle affiorare. Un sistema meccanico raschiafango rimuove poi l’addensato che galleggia in
superficie dal chiarificato che viene inviato agli stadi successivi del trattamento. Questo sistema è in grado
di rimuovere anche la frazione colloidale dei solidi sospesi che rappresenta una quota significativa della
sostanza organica più resistente alla degradazione biologica.
I sistemi meccanici sono riconducibili a due tipologie di separatori: centrifughe e nastropresse. Le prime
sfruttano l’effetto della forza centrifuga per espellere l’acqua e trattenere grazie a un cestello forato i solidi. Le nastropresse sono costituite da due nastri di materiale semipermeabile entro i quali viene progressivamente compresso il liquido che fuoriesce mentre le particelle solide trattenute all’interno vengono scaricate alla fine del percorso.
Entrambe queste attrezzature vengono normalmente utilizzate per rendere palabili e contenere i volumi dei
fanghi in uscita dagli impianti di trattamento. I costi elevati non le rendono adatte a un utilizzo su tutto il
liquame prodotto dall’allevamento. Un sistema di separazione che è stato utilizzato solo a livello di impianti pilota è costituito da tubi geotessili filtranti con capacità variabile da 50 a 5000 m3 che vengono riempiti
con liquame e percolano per gravità il liquido trattenendo i solidi anche fini concentrandoli al 25-30% di
25
sostanza secca. Tutti questi sistemi di separazione si avvantaggiano dell’uso di additivi chimici che sono di
due tipologie: coagulanti, in genere sali di ferro o di alluminio e flocculanti (polielettroliti) che favoriscono l’aggregazione tra le molecole.
Le prestazioni delle tecniche riportate variano considerevolmente in relazione alle caratteristiche del prodotto influente. In particolare, l’efficienza di separazione dei solidi è maggiore se sono concentrati. La
rimozione dell’azoto è legata alla sua presenza in forma organica non solubile (Tabella 5).
In particolare, per quanto riguarda l’azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossolani e fini con l’esportazione del palabile, è stata stimata essere dell’ordine del 20-35%, con un costo relativo di 0,3-4,2 € m-3 di effluente avviato al trattamento [10].
Tabella 5 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani e fini. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza
secca e dei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).
Tipo di separatore
Sedimentatore
Flottatore
Centrifuga
Nastropressa
Efficienza di separazione (%)
Solidi
50-70
70-90
55-65
50-70
N
25-35
30-40
20-26
20-35
Costo (€*m-3)
P
50-65
70-90
73-87
60-80
0,3-0,4
1,3-1,9
1,2-2,0
2,9-4,2
I vari dispositivi elencati nelle Tabelle 4 e 5 possono essere abbinati fra loro, così da ottenere linee di separazione con elevate efficienze di rimozione dell’azoto come, ad esempio, viene proposto nella regione belga
delle Fiandre (una delle aree europee a maggior densità zootecnica), con un sistema mobile su container
scarrabile della ditta Greenfield (Figura 7).
Tale sistema, consente negli allevamenti suinicoli di esportare dalle aziende una frazione solida che rappresenta in peso circa il 15-20% del liquame trattato e contiene circa il 50% dell’azoto totale; il costo del
servizio ammonta a circa 12 €/m3 di liquame tal quale trattato, ed è comprensivo della gestione della frazione solida, che in genere viene esportata come ammendante organico nelle regioni della Francia del nord,
confinanti con le Fiandre.
Figura 7 - Schema di separazione applicato
nel sistema mobile su container scarrabile
proposto dalla ditta Greenfield. (Fonte:
Piccinini, 2007).
26
2.2.2 Separazione con membrane
Microfiltrazione e ultrafiltrazione (UF). Il principio su cui si basano queste tecniche è la separazione
fisica. I solidi disciolti, la torbidità e i microrganismi sono rimossi a seconda della forma e dimensione
dei pori nelle membrane. Le sostanze con dimensioni più grandi dei pori delle membrane vengono completamente rimosse, mentre quelle più piccole vengono solo parzialmente rimosse, contribuendo a creare uno strato “di rifiuto” sulla membrana. Nella microfiltrazione e nell’ultrafiltrazione le membrane
hanno dimensione dei pori dell’ordine rispettivamente di 0,1-10 µm e di 0,001-0,1 µm. La microfiltrazione e l’ultrafiltrazione sono processi dipendenti dalla pressione e rimuovono solidi disciolti ed altre
sostanze dall’acqua ad un livello inferiore rispetto alla nano filtrazione e all’osmosi inversa.
Osmosi inversa (OI). Separando due soluzioni a concentrazione diversa con una membrana semipermeabile, si assiste al passaggio delle molecole di solvente dalla soluzione a concentrazione più bassa
verso la soluzione a concentrazione maggiore: il passaggio avviene fintanto che le due soluzioni non raggiungono la stessa concentrazione. La membrana si comporta come un setaccio fatto da maglie molto
piccole, ma grandi abbastanza da permettere il passaggio delle molecole di solvente, però non di soluto
che hanno dimensioni maggiori. Il fenomeno dell’osmosi è reversibile: esercitando dal lato della soluzione più concentrata una pressione maggiore della pressione osmotica, si consente alle molecole del solvente di passare verso la soluzione meno concentrata. Per l’osmosi inversa è necessario fornire dall’esterno, mediante una pompa, la pressione necessaria a controbilanciare la pressione osmotica.
Elettrodialisi (ED). L’elettrodialisi è un processo durante il quale gli ioni sono trasportati attraverso una
membrana semipermeabile, sotto l’azione di un potenziale elettrico; le membrane sono catione o anione
selettive, ossia possono essere attraversate da ioni positivi o ioni negativi. Disponendo di più membrane
in fila, che permettono alternativamente il passaggio di ioni caricati positivamente o negativamente, si
possono rimuovere tali ioni dall’acqua reflua. Lo schema di separazione con membrane proposto più frequentemente è quello che prevede l’abbinamento dell’ultrafiltrazione (UF) con l’osmosi inversa (OI)
(Figura 8).
Figura 8 - Schema di abbinamento di ultrafiltrazione e osmosi inversa (Fonte: Piccinini, 2007).
Per applicare la tecnologia delle membrane ai liquami zootecnici è in genere necessario che la frazione
organica sia stata parzialmente decomposta e i solidi sospesi siano stati rimossi, pena il rapido decadimento dell’efficienza separativa delle membrane a causa dell’intasamento dei pori. Quindi la tecnologia
a membrana viene a configurarsi come un trattamento di finissaggio in coda ad una linea di trattamento
biologico complessa e costosa che prevede, in genere: digestione anaerobica separazione solido/liquido
e trattamento aerobico di ossidazione/nitrificazione/denitrificazione sulla frazione liquida chiarificata.
La ricerca è tuttavia indirizzata a semplificare questa linea, riducendo notevolmente o eliminando la fase
di trattamento aerobico prima dello stadio a membrane. È necessario, per questo, mettere a punto delle
tecniche per ovviare al problema dell’intasamento (fouling) dei pori delle membrane. Una soluzione è
quella proposta dalla ditta statunitense New Logic Research Inc., che prevede di tenere in vibrazione le
membrane stesse (sistema VSEP); un impianto con tale tecnologia è in fase di avviamento in un grosso
allevamento suino in Belgio, per il trattamento depurativo del liquame in coda alla digestione anaerobica con recupero di biogas e separazione solido/liquido.
Tra le società impiantistiche impegnate a risolvere questo problema, la ditta tedesca Haase inserisce il
sistema a membrane dopo un’unità di separazione solido-liquido; si tratta di un sistema già applicato sul
percolato di discarica di rifiuti urbani.
Anche la ditta danese Bioscan e la ditta austriaca AAT propongono la separazione con membrane in coda
alla digestione anaerobica; un impianto della AAT è stato avviato di recente in Svizzera in coda alla separazione solido/liquido dopo un impianto di biogas che tratta liquami zootecnici e scarti di macellazione.
27
Se tali tecniche si dimostreranno efficienti ed efficaci, anche senza il trattamento aerobico di ossidazione/nitrificazione/denitrificazione, l’inserimento della tecnologia nelle linee di trattamento dei liquami
zootecnici potrebbe divenire tecnicamente ed economicamente sostenibile. Occorre però ricordare che i
concentrati sia di UF che di OI, pur potendo essere teoricamente utilizzati come fertilizzanti, presentano
elevate concentrazioni saline e non è chiaro il tipo di mercato che potranno avere; non è da escludere che
debbano essere “smaltiti” con conseguenti costi.
2.2.3 Precipitazione chimica con sali d’ammonio (struvite)
La struvite o magnesio ammonio fosfato (MAP) esaidrato è un composto cristallino costituito da ioni
Mg2+, NH4+ e PO43–, in rapporto 1:1:1.
La formazione della struvite avviene secondo la reazione:
Mg2+ + NH4+ + PO43- + 6H2O = MgNH4PO4 * 6H2O
La struvite è un composto di colore bianco o biancastro, poco solubile in acqua, molto solubile in soluzione acide e altamente insolubile in soluzioni alcaline. Nei liquami suini ad esempio i tre composti,
ammoniaca, magnesio e fosfato, sono presenti e, in certe condizioni, raggiungono il rapporto 1:1:1,
necessario per la precipitazione della struvite.
La cristallizzazione e il recupero della struvite dai liquami possono essere condotti in reattori ove vengono realizzate le condizioni idonee per la sua precipitazione controllata, che avviene a valori di pH maggiori di 8; tali valori si possono ottenere aggiungendo al liquame dei composti alcalini, quali calce, soda
o idrato di magnesio, o strippando dal liquame stesso l’anidride carbonica (CO2), insufflando aria.
Figura 9 - Precipitato di struvite (Fonte: Malpei, 2008).
Sul mercato vengono proposti vari reattori e altrettanti processi di recupero della struvite, con costi di
investimento e di esercizio variabili, ma tutti non trascurabili; sono in genere applicati ai reflui civili,
all’interno del ciclo di depurazione e per la rimozione non tanto dell’azoto quanto del fosforo, in particolare in Giappone (Figura 10).
Figura 10 - Processo di
rimozione dell’azoto mediante precipitazione della
struvite (Fonte: Provolo,
2008).
28
Con i reflui civili, quale trattamento terziario di finissaggio in coda al trattamento depurativo aerobico a
fanghi attivi, si ottengono efficienze elevate sia sul fosforo che sull’azoto.
Nei liquami suini l’azoto è presente in concentrazione molto più elevata del fosforo e quindi con la tecnica di precipitazione della struvite si possono sì raggiungere elevate efficienze di rimozione per il fosforo (sino all’80%), ma per l’azoto si può valutare che non sia possibile superare efficienze di rimozione
del 20-30%. Inoltre, è necessario operare in presenza di azoto essenzialmente in forma ammoniacale e
non organica e, quindi, converrebbe applicare questa tecnica dopo la digestione anaerobica che, come
noto, mineralizza l’azoto organico ad azoto ammoniacale. Altra questione importante ai fini della convenienza economica della tecnica, è l’effettiva possibilità di utilizzare, e quindi commercializzare, la
struvite come fertilizzante fosfatico e/o azotato a lento rilascio; attualmente la struvite non è inserita nell’elenco dei fertilizzanti riconosciuti dalla normativa nazionale; l’unico Paese dove sia consolidato l’uso
della struvite nella produzione di concimi organo-minerali, utilizzati nella concimazione del riso, è il
Giappone.
2.2.4 Considerazioni sui processi chimico-fisici
In Tabella 6, si riportano i dati relativi alle efficienze di rimozione di azoto e di fosforo nei diversi sistemi di estrazione di azoto che portano alla formazione di concime minerale precedentemente descritti
(microfiltrazione, osmosi inversa, precipitazione della struvite, ad esclusione dello strippaggio che come
già detto, verrà trattato nel Capitolo successivo).
In particolare, si ritiene che la riduzione dell’azoto a seguito dei trattamenti di estrazione dello stesso
come concime minerale, è stata stimata nell’ordine del 50-70% nel caso in cui non vi sia stata esportazione del palabile, mentre nel caso contrario è intorno al 50-95%.
Bisogna comunque precisare che le tecniche descritte non sono state sperimentate in modo adeguato in
condizioni operative. Pertanto, i valori riportati vanno intesi come valori indicativi. Inoltre i costi, dove
sono stati indicati, sono basati sui risultati di impianti pilota e potrebbero risultare notevolmente diversi
in caso di diffusione delle tecniche.
Tabella 6 - Dispositivi di estrazione di azoto come concime minerale. Efficienze ottenibili nella rimozione dei nutrienti (N e P) e
relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).
Tipo di impianto
Strippaggio
Precipitazione
Microfiltrazione
Osmosi inversa
Rimozione dell’effluente
N (%)
60-80
80
50
95
Costo (€*m-3)
P (%)
30-90
85
85
99
9-12
15-20
12
-
2.3 Processi biologici
2.3.1 Premesse
Quando le acque reflue contengono alte concentrazioni di azoto organico (comprese tra 0,5-4 g
NH4+ L-1) si preferiscono le tecniche di rimozione
biologica (BNR) rispetto sia ai processi chimici che
chimico-fisici (come la precipitazione chimica con
sali d’ammonio o lo strippaggio). Essi si basano
sulla capacità dei microrganismi di assimilare azoto
per creare nuove cellule, per ossidare l’ammonio a
nitrito o nitrato e di ridurre il nitrito/nitrato ad azoto
gassoso. Questa scelta è frutto di un’analisi dei
costi, delle richieste in termini di input chimici ed Figura 11 - Confronto dei costi relativi ai trattamenti chimicoenergetici, delle esperienze operative, dell’affidabi- fisici e biologici a seguito di test in un impianto pilota (Fonte: J.
M. Alvarez, 2007).
lità del processo e dell’impatto ambientale.
29
Tra i trattamenti biologici si annoverano il processo di nitrificazione/denitrificazione; i processi basati sull’ossidazione arrestata a nitrito, la digestione anaerobica e alcuni processi biologici innovativi.
2.3.2 Nitrificazione/denitrificazione2
La tecnica di rimozione biologica (BNR) convenzionale, consiste nell’ossidazione dell’ammonio a nitrato
(nitrificazione) seguita dalla riduzione del nitrato ad azoto elementare gassoso (denitrificazione) utilizzando carbonio organico esterno (COD) come donatore di elettroni.
Per i reflui zootecnici i processi di nitrificazione/denitrificazione convenzionali utilizzati negli impianti di
depurazione delle acque reflue civili, risultano costosi, sia per l’elevata quantità di energia elettrica richiesta per fornire l’ossigeno necessario per l’ossidazione dell’azoto ammoniacale, sia per la frequente necessità di aggiungere materiali carboniosi esterni nella fase di denitrificazione. In questi sistemi convenzionali di depurazione biologica a fanghi attivi, il flusso di alimentazione e di scarico delle vasche è continuo e
le varie fasi del processo depurativo (ossidazione-nitrificazione, denitrificazione, sedimentazione) avvengono in vasche separate, con la conseguente necessità della presenza di tubazioni e pompe di ricircolo e
rilancio dei vari flussi liquidi e fangosi. Questo stadio, che è quello centrale del trattamento viene spesso,
ma non necessariamente, preceduto dalla separazione dei solidi grossolani e fini in ingresso all’impianto e
seguito dalla rimozione della biomassa in eccesso uscita dall’impianto. Inoltre, viene in alcuni casi prevista la rimozione del fosforo mediante salificazione e sedimentazione.
Le scelte impiantistiche dipendono dall’obiettivo del trattamento, che va dalla semplice riduzione del carico organico e azotato alla depurazione completa con scarico in acque superficiali. Infatti se l’obiettivo è
solo quello di rimuovere l’azoto non è necessario il trattamento di separazione preventiva e di rimozione dei
fanghi a valle.
Una valida alternativa ai sistemi biologici convenzionali è il sistema SBR (Sequencing batch reactor o reattore biologico sequenziale). L’SBR è un trattamento biologico a biomassa sospesa. Il flusso di alimentazione e di scarico delle vasche non é continuo, come nei sistemi classici di depurazione biologica a fanghi attivi, ma all’interno della stessa vasca vengono create, in successione, le condizioni necessarie allo svolgimento delle reazioni biologiche.
Il ciclo completo prevede quattro fasi di lavoro principali (Figura 12):
• alimentazione: il refluo viene introdotto nella vasca previa miscelazione ed ossigenazione per favorire la
successiva fase di reazione biologica;
• reazione: le reazioni biologiche avviate durante la fase di alimentazione si sviluppano a pieno durante
questa fase;
• sedimentazione: in questa fase sia la miscelazione che l’ossigenazione vengono interrotte e i microrganismi si depositano separandosi dal refluo;
• estrazione/scarico.
Nella fase di reazione la miscelazione e l’ossigenazione sono discontinue, alternando fasi aerobiche ed
anossiche per favorire sia l’attività dei batteri nitrificanti che di quelli denitrificanti. Al termine della fase
di sedimentazione si provvede all’estrazione del liquame chiarificato dalla superficie e dei fanghi di supero dal fondo della vasca. L’utilizzo della stessa vasca per il trattamento del liquame e la separazione della
biomassa esclude l’utilizzo di un sedimentatore finale.
I fanghi prodotti dal processo possono, dopo essere stati eventualmente utilizzati per la produzione di energia, essere stoccati tal quali o previa disidratazione mediante separazione con centrifughe o con nastropresse. Il sistema SBR è già stato per esempio applicato da tempo e con successo nella depurazione dei
liquami suini, anche in allevamenti di grandi dimensioni. Tali esperienze hanno messo in evidenza che i
sistemi SBR presentano indubbi vantaggi rispetto agli impianti convenzionali a fanghi attivi a flusso conti-
____________________________________________________
2
NITRIFICAZIONE = Ossidazione dell’ammonio a NO2- e NO3- È necessario O2: 4,6 kg O2/kg N
NH4+ + 3/2 O2 → NO2- + H2O + 2 H+
NO2- + 1/2 O2 → NO3DENITRIFICAZIONE = NO2- e NO3- ridotti a N2 gassoso. È spesso necessario C organico esterno: 5,5 kg COD/kg N
6 NO3- + 5 CH3OH + CO2 → 3 N2 + 6 HCO3- + 7 H2O
6 NO2- + 3 CH3OH + 3 CO2 → 3 N2 + 6 HCO3- + 3 H2O
30
nuo. In particolare, tali sistemi sono risultati avere dimensioni più contenute a parità di rese di depurazione. Inoltre, presentano una semplificazione costruttiva e delle operazioni di manutenzione che li rende maggiormente flessibili nella gestione.
Figura 12 - Processo di nitrificazione/denitrificazione (Fonte: Provolo, 2008).
Figura 13 - Diagramma schematico di funzionamento del sistema Sbr per la rimozione biologica dell’azoto (Fonte: J. M.
Alvarez, 2007).
Per quanto riguarda le efficienze di rimozione dei solidi e di azoto e fosforo i dati riportati in Tabella 7 sono
orientativi e possono variare notevolmente in relazione alla tipologia di effluente che viene avviato al trattamento. In ogni caso il rendimento diminuisce all’aumentare della concentrazione del refluo in ingresso.
In particolare, si ritiene che la riduzione dell’azoto a seguito del trattamento SBR, è stata stimata nell’ordine del 50-70% nel caso in cui non vi sia stata esportazione del palabile, mentre nel caso contrario è intorno al 50-95%, con un costo relativo di 3,4-6,6 € m-3 di effluente avviato al trattamento.
Tabella 7 - Dispositivi di rimozione biologica dell’azoto. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca e dei nutrienti
(N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).
Tipo di separatore
SBR senza separazione
SBR con separazione *
Processo continuo *
Efficienza di rimozione (%)
Solidi
5-10
10-60*
10-99*
N
50-70
70-90*
70-95*
Costo (€*m-3)
P
0
15-75*
15-95*
3,4-3,6
4,1-4,7
5,5-6,6
* con esportazione del palabile
Per tutti questi aspetti si ritiene che il sistema SBR sia da preferire agli schemi impiantistici che prevedono
denitrificazione, ossidazione-nitrificazione e sedimentazione in comparti separati. In Tabella 8, a titolo di
esempio, si riporta l’efficienza di due linee di trattamento depurativo aerobico a fango attivo (con nitrificazione-denitrificazione) di liquami suinicoli.
2.3.3 Processi basati sull’ossidazione arrestata a nitrito
Se il processo biologico di rimozione dell’azoto è posto a valle della digestione anaerobica dei liquami suinicoli e quindi può operare su liquami “caldi”, è applicabile il processo di nitrificazione arrestata a nitrito
(detta nitrosazione), facendo in modo di creare condizioni di processo inadatte alla successiva ossidazione
a nitrato. In questo modo si può ottenere un risparmio fino al 25% del fabbisogno di aerazione (e quindi di
31
Tabella 8 - Efficienza di due linee di trattamento depurativo anaerobico a fango attivo (con nitrificazione-denitrificazione) di liquami
suinicoli (Fonte: Piccinini, 2007).
Frazione solida e densa
Linee di trattamento
depurativo
N (%)
P (%)
Volume (%)
Centrifugazione + trattamento
depurativo + stoccaggio
20-35
70-80
10-20
180 giorni
Vagliatura + sedimentazione +
trattamento depurativo +
25-35
90-97
20-30
scarico in fognatura
Frazione liquida
Volume (%)
N (%)
P (%)
80-90
10-15
20-30
70-80
2-8
3-10
energia elettrica) e fino al 40% del carbonio organico (COD) necessario nella successiva fase di denitrificazione. Inoltre, le cinetiche più veloci e i conseguenti minori tempi di ritenzione necessari comportano
minori volumi per le vasche di reazione e minori costi di investimento.
Il processo Sharon (acronimo di Single reactor high activity ammonia removal over nitrite) è un esempio
di ossidazione arrestata a nitrito (Figura 14). Questo processo biologico si svolge in un reattore continuo
dove vengono alternate fasi aerobiche ed anossiche a particolari condizioni di temperatura e di tempo di
ritenzione (HRT), che favoriscono la crescita di microrganismi ossidanti l’ammonio e assicurano la totale
eliminazione mediante lavaggio degli ossidanti del nitrito, in modo da eliminare biologicamente l’azoto
fino alla forma di nitrito. Infatti, poiché tale processo lavora generalmente a temperature comprese tra 30°C
e 40°C e con tempi di ritenzione di circa 1,5-2,5 giorni, in questo intervallo di temperatura e di tempo di
ritenzione i batteri in grado di ossidare il nitrito a nitrato non possono crescere e quindi l’ossidazione dell’ammonio si ferma a nitrito.
In particolare, una ottimizzazione del processo è stata raggiunta utilizzando metanolo e lavorando a 33°C,
con un tempo di ritenzione di 2,1 giorni e una durata del ciclo di 2 ore. A queste condizioni è stata asportata una quantità di azoto pari a 0,33 kg N m-3 d-1. In figura 14 si possono vedere i tipici andamenti del metanolo, NH4+, NO2 e del pH durante questo tipo di trattamento, noto anche come processo
Sharon/Denitrificazione.
Figura 14 - Schema del processo di denitrificazione bloccata a nitrito seguita dalla
denitrificazione (Fonte: Piccinini, 2007).
Figura 15 - Andamenti di metanolo, NH4+-N,
NO2-N e pH nel processo Sharon/Denitrificazione. Le frecce indicano carico di
refluo e metanolo (Fonte: J. M. Alvarez,
2007).
32
2.3.4 La digestione anaerobica
Il processo biologico di digestione anaerobica, in assenza di ossigeno, mineralizza la sostanza organica producendo un miscela gassosa, il biogas, ricca in metano. L’azoto organico viene mineralizzato ad azoto
ammoniacale, senza cambiamenti significativi nella quantità complessiva; piccoli quantitativi di azoto
ammoniacale (1-2%) si spostano dal liquame al biogas. Il recupero energetico ottenibile con il biogas può
consentire però di ridurre notevolmente e/o di azzerare i consumi energetici dell’impianto di rimozione biologica dell’azoto associabile all’impianto di biogas.
2.3.5 Processi biologici innovativi
Processo Anammox e processi combinati (Nitrosazione/ Anammox, Canon e Babe). Il processo (Figura 7;
acronimo di ANaerobic AMMonium OXidation) può essere sintetizzato con la seguente reazione:
NH4+ + NO2- → N2gas + 2 H2O
I batteri Anammox operano in assenza di ossigeno libero, a bassi potenziali di ossidoriduzione (redox) e
hanno tassi di crescita molto lenti (Figura 16). Poiché il processo richiede la presenza di azoto nitroso, che
i batteri Anammox utilizzano per ossidare l’azoto ammoniacale, il processo di nitrosazione, quale lo Sharon
(Figura 18), deve precedere il processo Anammox.
Rispetto al processo convenzionale di nitrificazione-denitrificazione il
processo combinato Nitrosazione/Anammox consente di ridurre il fabbisogno di ossigeno di oltre il 65%, di contenere notevolmente la produzione di fanghi di supero e di azzerare la richiesta di carbonio esterno. Si ottiene quindi una forte riduzione del costo di gestione rispetto a
quello convenzionale (Figura 17).
Figura 17 - Schema del processo
Anammox (Fonte: Piccinini, 2007).
Figura 16 - Foto batteri Anammox
(Fonte: Malpei, 2008).
Figura 18 - Schema del
processo Sharon (Fonte:
Piccinini, 2007).
Le controindicazioni del processo combinato Nitrosazione Anammox sono gli alti tempi di avviamento (da
sei mesi ad un anno se si usano fanghi attivi convenzionali come inoculo), una minore stabilità di processo
(le condizioni ottimali non sono ancora completamente note), che comporta personale altamente specializzato per la conduzione, e le poche esperienze a piena scala; ad esempio su liquami suini sono stati condotti solamente test in laboratorio e non esistono ancora impianti in scala reale.
I due processi, nitrosazione e Anammox, possono essere condotti in impianti separati oppure combinati in
un unico processo denominato Canon (acronimo per Completely autotrophic N-removal over nitrite), con
conseguente ulteriore riduzione dei costi di investimento ed esercizio (figura 20). In questo tipo di trattamento il processo di ossidazione autotrofa dell’ammonio avviene in un reattore a biofilm in condizioni limitanti di ossigeno, tale che circa il 50% dell'ammonio può essere ossidato. Se il biofilm è stabile, automaticamente una popolazione Anammox si svilupperà negli strati più profondi del biofilm. Pertanto, l’eliminazione autotrofa completa di azoto può essere effettuata in un unico reattore a biofilm.
In impianti comunali di trattamento delle acque reflue si può realizzare in linea generale (con reattore
secondario) un’alta efficienza di rimozione biologica se i batteri che costituiscono la popolazione naturale
dell'impianto di depurazione è bio-aumentata.
Questo bio-aumento di batteri nitrificanti può ridurre il tempo di ritenzione solido della fase aerobica SRT
(e quindi anche il tempo totale di ritenzione) del processo di rimozione dei nutrienti. Questa strategia di
trattamento è stata testata a piena scala con ottimi risultati. Viene denominato come “Biological
33
Figura 19 - Schema di processo combinato SharonAnammox per la rimozione di azoto (Fonte: J. M.
Alvarez, 2007).
Figura 20 - Schema del processo Canon (Fonte:
Piccinini, 2007).
Augmentation Batch Enhanced” o processo BABE. La Figura 21 mostra un diagramma di flusso schematico del processo con il quale viene prelevata una quantità limitata dei fanghi che viene messa in una cisterna (reattore BABE). Di conseguenza i batteri autoctoni delle acque reflue crescono e proliferano nel fango.
Questa strategia è un metodo molto utile per potenziare gli impianti di trattamento delle acque reflue e ottenere una migliore qualità degli effluenti: per sistemi con elevato carico di fanghi attivi il processo BABE permette alla nitrificazione di iniziare al di sotto del livello minimo di tempo di ritenzione solido, e per sistemi
a basso carico questo nuovo processo può essere utilizzato per ampliare la denitrificazione anche a bassi
volumi di carico. Inoltre, è stato dimostrato che vi è una riduzione dello spazio necessario del 50% se viene
utilizzata la tecnologia BABE al posto di quella convenzionale (areazione estensiva e volumi anossici).
Figura 21 - Diagramma schematico del processo
BABE (Fonte: J. M. Alvarez, 2007).
Processo MBR. I processi di depurazione biologica abbinati ad un sistema di separazione dei solidi a membrana sono chiamati bioreattori a membrana (Membrane bioreactors, MBR). In questi sistemi, la biomassa
sospesa prodotta nel reattore biologico a fanghi attivi viene trattenuta su opportune superfici filtranti che
permettono la separazione dei fanghi.
I MBR permettono quindi di disaccoppiare totalmente la ritenzione della biomassa dalle caratteristiche di sedimentabilità o di adesione dei microrganismi che la compongono e sostituiscono il comparto di sedimentazione.
Il processo presenta alcuni vantaggi:
• permette di raggiungere e mantenere nei reattori concentrazioni di biomassa più alte rispetto a quelle normalmente ottenute nei trattamenti convenzionali e svincolate dai tempi di residenza idraulici;
• mantenere un controllo molto accurato dell’età del fango poiché lo spurgo di fango è strettamente regolato dall’operatore; riduce la massa di fanghi di supero, grazie al loro elevato tempo di residenza e al basso
carico sul fango normalmente scelto per i MBR;
• migliora la qualità dell’effluente finale, dato che la filtrazione su membrana garantisce una separazione
34
praticamente totale dei solidi sospesi, impedendo così il trascinamento di fango biologico residuo, cui si
accompagna un apprezzabile carico inquinante;
• limita l’ingombro degli impianti, data la possibilità di sviluppare in altezza l’unità biologica (bioreattore)
e l’assenza del sedimentatore secondario, normalmente di notevoli dimensioni.
I bioreattori MBR possono utilizzare membrane del tipo tubolare, piano o a fibre cave. Queste ultime risultano attualmente le più interessanti e mature come tecnologia; la membrana è costituita da un sottile tubo in
polimero che agisce da elemento filtrante, supportato da un tubo interno costituito da polimero macroporoso. La porosità della membrana la colloca a cavallo dell’ultrafiltrazione e della microfiltrazione (0,2 µm).
Una pompa centrifuga crea una leggera depressione (0,1-0,5 bar) all’interno delle fibre e induce l’estrazione dell’acqua depurata (permeato) dalla miscela che scorre all’interno della fibra stessa. Quando la portata del permeato tende a diminuire a causa dell’aumento della resistenza alla filtrazione sulle membrane
dovuto al loro sporcamento (fouling), viene effettuato il contro lavaggio invertendo il flusso della stessa
pompa di processo, che preleva il permeato stoccato in un serbatoio e lo invia all’interno delle fibre cave
attraverso il medesimo circuito idraulico utilizzato in fase di filtrazione.
Quando la permeabilità delle fibre a fine ciclo diminuisce sensibilmente, viene effettuato un vero e proprio
trattamento di lavaggio con una soluzione di opportuni composti chimici, la cui composizione dipende dalle
caratteristiche del refluo trattato e dalla natura del materiale incrostante. L’inserimento di membrane filtranti nelle linee biologiche di depurazione è certamente una delle innovazioni tecnologiche più interessanti e promettenti nel settore depurazione. Nel trattamento di liquami ad alto contenuto di solidi sospesi, di
carico organico ed azotato quali quelli zootecnici, il problema principale, non ancora supportato da realizzazioni in scala reale funzionanti da un periodo sufficientemente lungo, è quello della durata delle membrane. Il loro costo è elevato e quindi una frequente sostituzione avrebbe forte incidenza negativa sui costi
di esercizio dell’impianto.
2.4 Sintesi sui processi di rimozione (strippaggio
2.4 e concentrazione esclusi)
In Tabella 9 viene infine presentata una panoramica dei processi fino qui analizzati.
Tabella 9 - Principali caratteristiche dei processi di rimozione dell’azoto.
Tecnologia
Tipologia
processo
Separazione meccanica
C/F
Microfiltrazione
Osmosi inversa
Precipitazione struvite
C/F
Aspetti principali
Riduzione
azoto (%)
Prodotti
secondari
Richiede platee
per stoccaggio
4-40
Fanghi
N e P vengono separati
e concentrati
Produzione palabili organici
50
95
60-80
Materiale palabile
Materiale palabile
Materiale palabile +
solfato d’ammonio
80
Materiale palabile +
struvite
Nitrificazione/
denitrificazione (BNR)
Sequencing batch
reactor (SBR)
Digestione anaerobica
C/F
Riduzione volume refluo
Concentrato stabile ed esente da patogeni
Recupero acqua con condensazione
90
Concentrato + acqua
condensata
B
B
B
Riduzione dell’N senza ulteriori trattamenti
70-95
50-90
50-95
Fanghi di supero
Energia prodotta impiegata
per la + rimozione dell’N
Produzione energia
riduce costi abbattimento N
(C/F = chimico/fisico; B = biologico)
35
Materiale palabile
Quaderni della ricerca
3 Caratteristiche del digestato
Il digestato si presenta come un substrato omogeneo, stabilizzato e quindi, deodorizzato e generalmente
sotto forma liquida, poiché la tecnologia applicata in modo prevalente nel contesto agro-zootecnico opera
su substrati che presentano un contenuto di sostanza secca pari o inferiore al 10% (“digestione “a umido”),
oppure compreso tra il 10 e il 20% (digestione “a semisecco”).
Dal punto di vista agronomico ha un buon potere fertilizzante, in quanto apporta sostanza organica ed elementi nutritivi (azoto, fosforo e potassio); caratteristica comune a tutti i digestati è la maggiore quota di
azoto che si presenta sotto forma ammoniacale rispetto a quella organica delle matrici in ingresso fresche.
Inoltre, poiché il digestato ha già subito un processo di digestione anaerobica presenta una valore di COD
e un contenuto di solidi volatili (VS) inferiori al liquame fresco, come riassunto in Tabella 10.
Tabella 10 - Caratterizzazione di liquame suino e frazione liquida freschi e dopo digestione anaerobica (digestato); (Fonte: A.
Bonmatí i Blasi, 2001).
Liquame fresco
Parametro
pH
Solidi totali (TS)
Solidi volatili (VS)
Domanda chimica di ossigeno
(COD)
Azoto ammoniacale (N-NH4+)
Azoto totale Kjeldhal (NTK)
Azoto organico (Norg)
Alcalinità totale (TALK)*
Alcalinità parziale (PALK)*
Rapporto alcalinità (RALK)
Acidi grassi volatili totali
(TVFA)**
Fosforo (P)
Potassio (K)
Unità di
misura
Liquame
dopo digestione
anaerobica
Frazione
liquida fresca
Frazione
liquida dopo
digestione
anaerobica
8,5
15,7
8,6
13,1
Min
Max Media
g/kg
g/kg
6,6
13,7
6,4
8,7
169,0
121,3
7,7
62,2
42,3
8,4
31,7
17,2
g/kg
8,1
191,2
73,0
41,2
7,7
49,1
30,9
68,8
g/kg
g/kg
g/kg
g/kg
g/kg
g/kg
1,6
2,0
0,4
5,1
3,5
0,17
0,1
8,0
10,2
3,7
59,2
30,0
0,70
10,8
4,5
6,0
1,5
21,5
12,2
0,42
5,0
3,7
4,8
1,0
14,5
11,8
0,19
0,2
3,5
5,8
2,3
9,9
5,5
0,44
14,8
2,0
2,6
0,6
6,0
5,0
0,13
0,6
g/kg
g/kg
0,1
1,6
6,6
7,8
1,4
4,8
-
1,2
6,2
0,4
4,4
* Espresso come CaCO3. **Espresso come acido acetico.
Ai fini dell’uso agronomico il digestato comporta, da un lato, una potenziale maggiore efficienza (in quanto prontamente assimilabile dalla coltura), dall’altro, richiede una maggiore attenzione alle epoche di distribuzione per poter massimizzare tale aspetto.
Le sue caratteristiche chimico-fisiche sono strettamente correlate a natura e rapporti quantitativi dei substrati caricati. Le Tabelle 11 e 12 evidenziano dei valori tipici; risulta evidente la variabilità della composizione chimica del prodotto e per tal motivo è indispensabile la caratterizzazione del materiale prima del suo
utilizzo come fertilizzante.
Il digestato, indipendentemente dalla natura delle matrici di partenza, non è classificabile come un fertilizzante ai sensi della normativa nazionale (D.Lgs 217/06) e quindi non è liberamente utilizzabile.
37
Tabella 11 - Digestato da effluenti bovini e biomasse vegetali (fonte: CRPA, 2006).
pH
[-]
7,79
ST
g/kg tq
43,22
ST
%
4,32
SV/ST
%
65,55
NTK
mg/kg tq
3.800
NTK
% ST
9,05
N-NH4
mg/kg tq
2.337
NTK
%ST
61,53
Fosforo
% ST
0,83
Potassio
% ST
9,44
NTK
% ST
6,31
N-NH4
mg/kg tq
2.498
NTK
% ST
53,70
Fosforo
% ST
0,83
Potassio
% ST
5,49
Tabella 12 - Digestato da biomasse vegetali (fonte: CRPA, 2006).
pH
[-]
7,84
ST
g/kg tq
73,69
ST
%
7,37
SV/ST
%
71,41
NTK
mg/kg tq
4.652
Nel caso di digestione anaerobica di soli effluenti zootecnici, secondo la Direttiva Nitrati, il digestato resta
a tutti gli effetti “effluente zootecnico” e come tale deve essere gestito.
In proposito si ricorda che il criterio fondamentale che ne regola l’uso agronomico è il rispetto di un dosaggio massimo ammesso di azoto per unità di superficie, pari rispettivamente a 170 kg/ha e a 340 kg/ha all’anno a seconda che la distribuzione avvenga su suolo classificato o meno “vulnerabile ai nitrati”.
Dal punto di vista formale, anche la miscela risultante dalla digestione anaerobica di effluenti zootecnici,
residui colturali e colture energetiche tipo sorgo, mais e foraggi, sottoposti a processo di insilamento,
dovrebbe essere assimilata agli effluenti zootecnici, anche se il DM 07-04-2006 e le normative regionali che
lo recepiscono non lo evidenzino espressamente.
38
Quaderni della ricerca
4 La tecnologia dello strippaggio
4.1 Basi del processo
La tecnica dello strippaggio combinata a quella dell’assorbimento può essere utilizzata per rimuovere e
recuperare l’azoto ammoniacale da liquami quando. In dipendenza dal tipo e dall’età di questi ultimi, tra
il 50 e il 75% dell’azoto totale è infatti presente in tale forma.
In sintesi, l’azoto ammoniacale presente in forma soluta viene trasferito in forma gassosa (ammoniaca) per
poi essere assorbita in una soluzione fortemente acida (tipicamente una soluzione di acido solforico), generando in questo modo un sale d’ammonio, il quale a sua volta può cristallizzare.
La quantità di azoto ammoniacale che può essere strippata da un refluo liquido e assorbita in una soluzione acida, dipende essenzialmente da due equilibri termodinamici:
• equilibrio dell’ammoniaca in fase liquida e gassosa: NH3 (acq) ↔ NH3 (gas)
• equilibrio di dissociazione dell’ammoniaca in fase liquida: NH4+ ↔ NH3 (acq) + H+
Nel caso di soluzioni ammoniacali, l’equilibrio tra le due fasi (liquida e gassosa) è regolato dalla legge di
Henry:
y = x • (He /P) (1)
dove:
• y è la concentrazione di ammoniaca in fase gassosa (frazione molare);
• x è la concentrazione dell’ammoniaca in fase liquida (frazione molare);
• P è la pressione totale del sistema (bar);
• He è la costante di Henry (bar).
Come tutte le costanti di equilibrio, anche la costante di Henry è fortemente influenzata dalla temperatura
(Figura 22). Infatti:
ln HeNH3 = 14,48 – 4,341/T (2)
Figura 22 - (a) Andamento della costante di Henry (He) al variare della temperatura; (b) effetti di temperatura e del pH sull’equilibrio ammoniaca-ione ammonio in soluzione acquosa (Fonte: A. Bonmatí i Blasi, 2001).
Le alte temperature favoriscono quindi il trasferimento dell’ammoniaca in fase gassosa.
L’equilibrio di dissociazione dell’ammoniaca in soluzione acquosa segue la relazione:
[NH3] = ([NH3 + NH4+]) • (1 + [H+]/Ka)-1 = ([NH3 + NH4+]) • (1 + 10pKa-pH)-1 (3)
39
dove:
• [NH3] è la concentrazione dell’ammoniaca in fase acquosa;
• [NH3 + NH4+] è la concentrazione totale di ammoniaca (in fase acquosa e come sua specie protonata);
• [H+] è la concentrazione di ioni idrogeno;
• Ka è la costante di dissociazione acida per l’ammoniaca, funzione della temperatura.
Conseguentemente, quanto più sono elevati il pH e la temperatura, tanta più ammoniaca in fase acquosa è
presente nel liquame e quindi è maggiore l’efficienza del processo di rimozione.
In generale, a 20°C e pH di 7, o a valori inferiori sono presenti solo ioni ammonio. Con pH basici, invece
l’equilibrio è progressivamente spostato in favore della formazione di ammoniaca in fase acquosa. Con pH
intorno a 11,5-12 è presente solo l’ammoniaca acquosa è presente (3).
In conclusione, si evince che lo strippaggio effettuato a temperatura ambiente richiede un elevato valore di
pH per spostare l’equilibrio verso la formazione dell’ammoniaca in fase liquida. Tuttavia, se la temperatura viene aumentata il processo avviene anche a valore di pH più bassi.
Quando invece si opera a valori di pH inferiori a 5 è chiaramente favorita la formazione di ione ammoniacale, senza alcun effetto della temperatura sul processo.
4.2 Configurazioni impiantistiche
In generale, in tutte le applicazioni industriali, per ragioni economiche e pratiche, lo strippaggio viene effettuato per mezzo di aggiunta di additivi che correggono il pH del refluo elevandolo fino a valori dell’ordine
di 10,5-11,5.
In corrispondenza di questi valori, infatti, tutta l’ammoniaca disciolta è pressoché presente nella forma libera NH3 e non in quella combinata, NH4+ e pertanto può essere assorbita dalla corrente di aria che viene a
contatto con la superficie del refluo.
Gli schemi impiantistici più comuni prevedono l’abbinamento di una torre di strippaggio con una torre di
lavaggio (scrubber) in cui il flusso di aria carico di ammoniaca viene messo a contatto con una soluzione
acida, in genere a base di acido solforico, per ottenere un sale. Il sale di ammonio così formatosi può essere gestito come soluzione esausta, oppure portato alla concentrazione di cristallizzazione, precipitato e
gestito in forma solida.
L’applicazione della tecnica dello strippaggio con successivo assorbimento in soluzione acida ai liquami
deve essere sempre abbinata a un trattamento di separazione solido/liquido piuttosto spinto del refluo per
evitare la presenza particelle grossolane che potrebbero intasare gli ugelli di insufflazione o formare affioramenti superficiali all’interno dei reattori con conseguenti anomalie.
Tutte le configurazioni sono mirate a sviluppare un contatto efficiente tra aria e refluo, favorendo quindi il
passaggio delle materie volatili all’aria stessa.
La configurazione tipica è di colonna cilindrica, le cui dimensioni variano da circa 0,2 a oltre 3 m di diametro e da 2 a oltre 15 m in altezza. La colonna è comunemente realizzata in FRP (plastica rinforzata in
fibra di vetro), alluminio o acciaio inox (Figura 23).
Il refluo viene disperso dalla parte alta della colonna e scende attraversando degli elementi generalmente di
materiale plastico posti al suo interno (letto percolatore).
Allo stesso tempo l’aria, introdotta dal basso, sale in controcorrente attraverso il letto contenuto nella colonna. Possono essere previsti dei demister nella parte superiore della colonna per limitare la perdita di vapore acqueo.
Il tutto viene realizzato in modo da ottenere una grande superficie di scambio aria-liquido.
L’ammoniaca trasferita all’aria esce dalla parte alta della colonna sotto forma di vapore. L’aria in uscita è
rilasciata in atmosfera o, se necessario, viene ulteriormente trattata per recuperare l’ammoniaca a fini produttivi e comunque per limitare le emissioni.
Altre configurazioni sono basate su colonne a piatti (Figura 24). In questo caso il refluo fluisce verso il
basso, mentre l’aria viene fatta fluire in controcorrente.
40
Figura 23 - Colonna di strippaggio a letto percolante (Fonte:
Ju-Chang Huang, 2007).
Figura 24 - Colonna a piatti (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).
Ulteriori schemi impiantistici si basano sull’aerazione forzata in serbatoi muniti sul fondo di diffusori
(Figura 25). Il trasferimento dei composti volatili dal refluo all’aria può essere migliorato aumentando la
profondità dello strato liquido e producendo bolle di piccola dimensione. Si tratta di un sistema semplice e
che può essere applicato anche con reflui con alte concentrazioni di solidi sospesi.
Figura 25 - Sistema di rimozione a gorgogliamento
(Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).
In Tabella 13 sono riassunti i vantaggi e svantaggi delle singole soluzioni costruttive.
Le colonna con letto percolante e quelle a piatti possono operare nelle più svariate condizioni di processo
e sono pertanto le più utilizzate.
I sistemi a gorgogliamento sono meno efficienti ma la loro semplicità, adattabilità a lavorare con alte concentrazioni di solidi sospesi e la loro insensibilità allo sporcamento talvolta costituiscono dei fattori necessari.
Altri fattori come restrizioni sull’altezza possono fare ricadere la scelta sui sistemi a piatti anche se quelli
a letto percolante sono normalmente più economici. Entrambe le tipologie possono permettere di rimuovere più del 99% dell’ammoniaca.
All’aumentare della profondità dei piatti o del loro numero si incrementa l’efficienza di rimozione così
come aumentando il flusso d’aria.
Spesso i sistemi a letto percolante vengono incrostati da depositi minerali. Questo avviene quando la concentrazione del calcio supera 40 mg/litro, il ferro 0,3 mg/litro, il magnesio 10 mg/litro, o il manganese 0,05 mg/litro
o quando vi è una crescita di batteri. Gli eventuali depositi solidi che devono necessariamente essere rimossi.
Pertanto le diverse soluzioni costruttive devono prevedere sistemi per la pulizia (esempio: lavaggi con soluzioni acide) e in ogni caso facilitare le relative operazioni.
Quando si temono in modo particolare le incrostazioni i sistemi a piatti sembrerebbero preferibili. Spesso
queste unità sono costituite dai singoli piatti montati in gruppo. Pertanto piccoli sistemi possono essere
facilmente smontati per rimuovere i depositi biologici o minerali. Le unità più grandi presentano normalmente delle aperture per consentire di utilizzare getti di acqua in pressione.
41
Tabella 13 - Confronto tra colonna a letto percolante e a piatti (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).
Efficienza
Costi
Schiume
Volumi di aria
Incrostazioni da solidi
sospesi di calcio, ferro
e manganese e crescita
microbica
Dimensioni
Colonne a letto percolante
Aumenta con l’incremento dell’altezza
Più basso con alti volumi di refluo
Minor produzione.
Minori volumi d’aria e quindi
dispositivi per il controllo delle
emissioni più economici
Colonne a piatti
Aumenta con l’incremento del numero di piatti
Opera con specifici volumi ottimali,
minori possibilità di variazione.
Più facile da pulire
-
Compatte
Elevato sviluppo in altezza
I volumi di aria necessari sono generalmente ridotti per il sistemi a letto percolante mentre sono più elevati per quelli a piatti. I primi operano di solito con portate specifiche variabili da 1,5 a 76 (m3/min)/m2 di
sezione della colonna. I secondi invece richiedono da 9 a 18 (m3/min)/m2 di superficie dei piatti.
L’efficienza dello strippaggio dell’ammoniaca dipende principalmente da cinque fattori che vengono
descritti nei successivi paragrafi.
4.3 Influenza del pH
Come mostrato in Figura 26 e citato nelle Premesse, la presenza in soluzione delle due forme ammoniacali,
rispettivamente coma gas disciolto NH3 e come ione ammonio NH4+ dipende in gran parte dal valore del pH.
Poiché solo il gas disciolto può essere rimosso dalla soluzione, è importante, a temperature limitate, aumentare il pH fino ad un valore intorno ad 11 o superiore in modo che circa il 95% dell'azoto ammoniacale
venga convertito in forma di gas ammoniaca gassosa.
Per la correzione del pH viene spesso utilizzata la calce in quanto è il materiale più economico. La quantità necessarie dipendono dalle caratteristiche del refluo (Figura 26; vale anche per i reflui zootecnici).
Figura 26 - Calce richiesti per la correzione del pH nel caso di
reflui domestici (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).
4.4 Influenza della temperatura
La temperatura del refluo influenza l’efficienza di rimozione dell’ammoniaca incidendo sulla sua solubilità nel liquido in cui è disciolta.
42
Ad alte temperature l’energia cinetica delle molecole aumenta, con conseguente riduzione della solubilità
dei prodotti gassosi nelle soluzioni.
Per un gas poco solubile la legge che ne regola la sua concentrazione presente in soluzione è quella di Raoult:
xg = pg / pg° (3)
dove:
• xg indica la frazione molare del gas nella soluzione e quindi la sua concentrazione;
• pg la pressione del gas sovrastante la soluzione;
• pg° la pressione di vapore del gas ad una certa temperatura. Quest’ultimo parametro aumenta con l’incremento di temperatura, riducendo xg.
Nel caso di gas con solubilità maggiori si fa riferimento alla legge di Henry stabilendo che a temperatura
costante la solubilità di un gas è dipendente dalla sua pressione nella fase gassosa sovrastante la soluzione.
Indicando con C la concentrazione del gas nella soluzione e con p la sua pressione nella fase gassosa sovrastante, la legge di Henry è così espressa:
C = K·p (4)
Il valore della K è tipico del gas e della soluzione in cui esso viene disciolto ed è dipendente dalla temperatura. Nell’ambito di un processo di scambio che avviene all’interfaccia liquido-gas, aumentando la temperatura di processo si spostano le condizioni del sistema favorendo la liberazione delle forme gassose dalla
fase liquida. In un processo di strippaggio ciò si traduce nella maggiore capacità dell’aria di “caricarsi” di
ammoniaca rimuovendola dal mezzo in cui essa è disciolta.
4.5 Tasso di rimozione dell’ammoniaca disciolta nel refluo
Con il meccanismo di rimozione, le molecole di NH3 disciolte nel refluo devono prima diffondersi dalla
massa liquida alla relativa superficie e successivamente da questa al flusso d'aria di lavaggio.
Più in particolare risulta che:
• il trasporto di molecole di NH3 dalla massa del refluo all'interfaccia aria-refluo si realizza per semplice
diffusione molecolare. L’agitazione del liquido aumenta l’efficienza del trasporto e nel caso di piccoli
spessori di liquido (come si verifica in particolare modo nei sistemi a letto percolante) questo fenomeno
raramente diventa un fattore limitante del processo;
• il trasferimento delle molecole di NH3 dall’interfaccia aria-refluo alla fase gassosa è massimizzato quando la
tensione superficiale è minima e la pressione parziale dell’ammoniaca nell’aria di lavaggio è pure minima.
4.6 Portata dell’aria di lavaggio
La differenza di pressione dell'ammoniaca tra la fase liquida e gassosa rappresenta uno dei principali fattori all’origine del processo di rimozione.
La pressione parziale della NH3 nella fase gassosa può essere minimizzata aumentando quantità di aria
necessaria che a sua volta può essere determinata dalla seguente relazione:
Lq (x1-x2) = G (y1-y2) (4)
dove:
• Lq è la portata di refluo attraverso la colonna in moli per unità di tempo;
• x1 è concentrazione di ammoniaca nella soluzione in entrata, in moli di ammoniaca per mole di refluo;
• x2 è concentrazione di ammoniaca nella soluzione in uscita, in moli di ammoniaca per mole di refluo;
• G è la portata d'aria attraverso la colonna in moli per unità di tempo;
• y1 è concentrazione di ammoniaca nell’aria in uscita, in moli d’ammoniaca per mole di aria;
• y2 è la concentrazione di ammoniaca nell’aria in entrata, in moli d’ammoniaca per mole di aria.
Ipotizzando che all’uscita della colonna il refluo e all’entrata della stessa l’aria presentano una concentrazione di ammoniaca pari a zero, l’equazione (4) può essere riscritta come segue:
Lqx1= Gy1 o anche G/Lq= x1/y1 (5)
43
ove G/Lq è la quantità di aria richiesta per unità di volume di refluo che è pari al rapporto tra la concentrazione di ammoniaca nell’acqua in entrata e nell’aria in uscita (x1/y1).
Nel caso che il refluo sia acqua, ad una data temperatura e a pressione atmosferica, la frazione molare di
ammoniaca presente nell’aria in uscita e nell’acqua in entrata della colonna può essere assunta come costante in base alla legge di Henry. Partendo da questa considerazione Tchobanoglous ha determinato una serie di
rette che evidenzia le condizioni di equilibrio dell’ammoniaca in aria ed acqua a varie temperature (Figura 27).
q
q
p
( g
Figura 27 - Equilibrio dell’ammoniaca in
aria ed acqua a pressione atmosferica
(Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).
Si tratta di linee rette perché il rapporto di X/Y è costante a una determinata temperatura e a prescindere
dalla concentrazione di ammoniaca nell’acqua in ingresso. In aggiunta, il flusso d’aria teorico richiesto
dipende solo dalla temperatura dell’acqua e non dalla concentrazione di ammoniaca in ingresso. La valutazione si basa su una efficienza di rimozione pari al 100%, quindi teorica.
Pertanto, per ottenere nella pratica una efficienza di rimozione maggiore del 90% si raccomanda di adottare un flusso d’aria pari a 1,5 volte il valore teorico.
44
Quaderni della ricerca
5 La tecnologia della concentrazione
5.1 Introduzione
L’utilizzo agronomico dei reflui in zone lontane dagli allevamenti è fortemente limitato dai costi di trasporto
a causa dell’elevato contenuto di acqua e quindi del tenore in nutrienti relativamente basso.
In questo contesto una soluzione tecnologica da considerare - quasi diametralmente opposta a quella dello
strippaggio - potrebbe essere costituita dalla concentrazione e/o dalla completa essiccazione dei reflui.
I vantaggi sarebbero molteplici e rilevanti:
• grande riduzione dei volumi;
• produzione di prodotti stabili;
• riduzione delle emissioni ammoniacali;
• eliminazione dei patogeni e spore.
La concentrazione si basa sulla rimozione di acqua normalmente mediante riscaldamento del refluo. Il risultato è la produzione di un refluo concentrato e di un evaporato che viene recuperato per condensazione. Il
primo poi può essere completamente essiccato.
L’obiettivo, in questo caso, è di mantenere la maggior quantità di azoto nella frazione concentrata producendo un evaporato di caratteristiche tali da essere idoneo per l’irrigazione.
5.2 Calcolo della quantità di acqua da evaporare
Data una certa quantità A di soluzione diluita (refluo), una proporzione di solvente B (acqua) viene evaporata, mentre la rimanente parte C è rappresentata dal prodotto concentrato. Conseguentemente, la massa da
evaporare è pari a:
B=A–C
Il rapporto di evaporazione e, che è un indice dell’intensità del processo, è dato da:
e = A/C
La valutazione dei diversi parametri può essere effettuata, in dipendenza del tipo di problema, con l’ausilio
della tabella 14 e delle Figure 28 e 29.
Tabella 14 - Formule di utilità (Fonte: Riva, 2008).
Dato a disposizione
Massa del prodotto iniziale A
Massa evaporata B
Massa di concentrato C
Dato da calcolare
B
C
A
C
A
B
45
Relazioni da utilizzare
B = A* (e – 1)/e
C = A* (1/e)
A = B * e/ (e – 1)
C = B * 1/ (e – 1)
A=C*e
B = C * (e – 1)
Figura 28 - Calcolo della quantità di solvente da asportare in funzione delle concentrazioni iniziali e finali. Es.: per portare
un fluido con concentrazione iniziale del
10% (asse delle ascisse) a una concentrazione finale del 50% (selezionare la retta)
occorre asportare circa 0,8 kg di acqua per
ogni kg di prodotto iniziale (asse delle ordinate; Fonte: Riva, 2008).
p
Figura 29 - Calcolo delle quantità di solvente da evaporare in base alle concentrazioni iniziali e finali della soluzione per
due diversi livelli di temperatura che possono essere assunti come limite superiore e
inferiore del normale campo di temperature di lavoro. Si tratta di una correlazione tra
contenuto percentuale di sostanza secca
(TS), massa volumica del prodotto in g/cm3
(Fonte: Riva, 2008).
5.3 I composti volatili
Il trattamento dei liquami mediante evaporazione può determinare emissioni di composti volatili. Nel caso
dei liquami i principali sono l’ammoniaca e alcuni acidi grassi (VFA). Attraverso l’aggiustamento del pH
questi possono essere comunque trasformati in ioni non volatili.
La Figura 30, a esempio, evidenzia come sia necessario un pH compreso tra 5 e 6 per la completa ionizzazione dell’ammoniaca. Dall’altra parte, riducendo il pH aumenta la frazione di acido acetico (HAc) non
ionizzata. Risultati sperimentali hanno mostrato che a pH 4 al condensato vengono trasferiti l’1% di ammoniaca e il 75% di acido acetico, mentre a pH=10 sono trasferiti il 93% dell’ammoniaca e l’1% di acido acetico. Questo dimostra che se una soluzione liquida presenta un’alta concentrazione di azoto ammoniacale e
di acidi grassi volatili (VFA) non è possibile prevenire la volatilizzazione di entrambi i composti andando
ad aggiustare il pH fino ad un determinato valore.
Per evitare l’insorgenza di tale problema è necessario quindi effettuare un processo di evaporazione a due
fasi o un trattamento preventivo.
Inoltre, i composti organici volatili (VOCs) non ionizzati non possono essere fissati attraverso modificazioni di pH. Un trattamento preventivo (come lo strippaggio o la digestione anaerobica) volto alla rimozione dei VOCs è necessario per prevenire la loro emissione durante l’evaporazione.
Qualsiasi processo richiedente calore implica elevati input energetici.
La necessità di energia termica è quindi il fattore limitante del processo di evaporazione. Tuttavia, quando
si combina la digestione anaerobica con l’evaporazione, il biogas prodotto e utilizzato per la produzione di
energia elettrica potrebbe costituire una fonte economica di calore.
46
Figura 30 - Ammoniaca (NH3) e la frazione dell’acido acetico (HAc) in funzione del
pH a diverse temperature (Fonte: August
Bonmatí i Blasi, 2001).
5.4 Configurazioni impiantistiche
Gli impianti di concentrazione di tipo termico si basano sull’impiego di evaporatori, che derivano per lo più
dall’industria agro-alimentare. Nel settore agricolo infatti, la concentrazione viene anche vista come specifica soluzione a problemi di gestione delle eccedenze produttive e/o di reflui inquinanti. Un esempio legato al primo problema è quello della produzione di latte in polvere nei Paesi del centro - nord Europa, nei
quali la quantità di latte prodotto è superiore al fabbisogno interno. Un esempio del secondo tipo è quello
del siero di latte, principale sottoprodotto della produzione dei formaggi.
In Figura 31 è riportato lo schema relativo ad un evaporatore batch da laboratorio.
Nella loro configurazione più semplice gli evaporatori sono composti essenzialmente da quattro elementi.
• scambiatore di calore, dove il prodotto riceve l’energia necessaria per l’evaporazione del solvente da un
vettore riscaldante che nella generalità dei casi è vapore in condensazione. La tipologia dello scambiatore può essere varia (dalla semplice vasca con intercapedine degli evaporatori meno recenti ai più moderni evaporatori a fascio tubiero o a piastre);
• separatore, nel quale il concentrato viene separato dal vapore del solvente;
• condensatore, in cui il vapore prodotto nell’ebollizione viene condensato. Può essere a scambio indiretto
(scambiatore a fascio tubiero o a piastre) o per miscelazione diretta con acqua di raffreddamento;
• pompa del vuoto, per produrre e mantenere il livello di pressione più opportuno all'interno dell'evaporatore. Lavorare al di sotto della pressione atmosferica è un accorgimento spesso indispensabile per preservare la qualità del prodotto.
La parte dell’evaporatore oggetto di più varianti costruttive e più interessante da analizzare è senz’altro il
complesso evaporatore - separatore.
Figura 31 - Rappresentazione schematica
di un evaporatore discontinuo da laboratorio (Fonte: August Bonmatí i Blasi, 2001).
47
Nel caso del trattamento dei reflui viene adottato il tradizionale evaporatore con agitatore. Tale impianto è
adatto per operazioni discontinue (batch). Può essere conseguita una operatività semicontinua addizionando nel corso del processo il liquido da concentrare, in modo da mantenere costante il volume caricato
(Figura 32). Questo tipo di evaporatore si presenta particolarmente adatto per liquidi viscosi e pastosi. Il
tasso di evaporazione è generalmente lento a causa dello sfavorevole rapporto tra volume del prodotto e
superficie riscaldante che normalmente peggiora all’aumentare delle dimensioni dell’impianto.
Conseguentemente, la differenza di temperatura tra vettore riscaldante e prodotto (∆T) è relativamente alta.
Figura 32 - Rappresentazione schematica
di un evaporatore semi-continuo (Fonte:
August Bonmatí i Blasi, 2001).
Come esempio di schema industriale si cita il processo Valpuren, concepito per trattare liquami suini. Si
tratta di un processo in cui è compresa anche una fase di digestione anaerobica (Figure 33, 34 e 35). Il biogas prodotto viene utilizzato per alimentare un cogeneratore con conseguente produzione di energia elettrica e calore. Quest’ultimo viene recuperato per la concentrazione del liquame. Il condensato e l’acqua recuperata possono essere a loro volta utilizzati, ad esempio come fertilizzanti.
In termini generali, il processo di evaporazione ha efficacia su prodotti che mantengono una consistenza
liquida.
Il limite operativo dei concentratori sembra essere intorno al 20-25% di ST. Si consiglia sempre un pre-trattamento finalizzato alla rimozione dei solidi sospesi. Se tale trattamento è assente le particelle in sospensione formano una matrice e il concentrato cessa di essere un liquido scorrevole.
Figura 33 - Rappresentazione schematica
del processo Valpuren® (Fonte: Servicios de
Gestion Tecnologica, 2006).
48
In molti casi si ricorre all’evaporazione a pressioni inferiori a quella atmosferica che offre diversi vantaggi:
• poiché avviene in un sistema chiuso i vapori esausti possono essere facilmente trattati;
• la temperatura limitate di processo riducono l’emissione di composti volatili.
Figura 34 - Diagramma schematico del
processo Valpuren® (Fonte: J. M. Alvarez,
2007).
Figura 35 - Impianto per il trattamento dei
liquami secondo il processo Valpuren® a
Juneda-Lleida.
49
Quaderni della ricerca
6 Prove svolte: materiali e metodi
6.1 Premesse
In questo Capitolo si riporta la descrizione degli impianti e dei sistemi utilizzati a livello sperimentale nel
presente Studio come tecnologie per la rimozione dell’azoto da digestato o da prodotto refluo zootecnico e
definite le metodologie adottate per condurre le prove sperimentali.
Più in particolare, il lavoro svolto ha previsto la disamina dei processi di rimozione dell’azoto su specifici
apparati. Più precisamente:
• un impianto pilota per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale a media temperatura (inferiore a 45°C);
• un dispositivo su scala ridotta per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale ad alta temperatura (fino a
80°C);
• un dispositivo su scala ridotta per la concentrazione per evaporazione del digestato.
Nel corso del programma di lavoro è stata allargata l’attività anche all’analisi del processo di correzione del
pH del digestato sviluppando dei test su un dispositivo in scala ridotta per la de-alcalinizzazione.
La valutazione dell’efficienza degli impianti di rimozione dell’azoto è definita dalla riduzione percentuale
dell’azoto totale (DNT) e della forma ammoniacale (DNA). Più in particolare:
DNT = (NTi – NTf ) / NTi
DNA = (NAi – NAf ) / NAi
Dove:
• NTi è il contenuto di azoto prima del processo di rimozione dell’azoto;
• NTf è il contenuto di azoto dopo il processo di rimozione dell’azoto;
• NAi è il contenuto di ammonio prima del processo di rimozione dell’azoto;
• NAf è il contenuto di ammonio dopo processo di rimozione dell’azoto.
6.2 Dispositivi ed impianti utilizzati
6.2.1 L’impianto pilota di strippaggio
Le prove sperimentali per la valutazione della tecnica di strippaggio dell’azoto a media temperatura sono
state effettuate su un impianto pilota realizzato appositamente dalla ditta Piantoni Ecologia di Sovere.
La struttura, da considerarsi di carattere sperimentale, è stata realizzata e dimensionata nell’ottica di operare in aziende agricole e posta su piattaforma per consentire un trasporto e montaggio agevole presso le
stesse (Figura 36). Questo sistema si basa sulla capacità di rimozione dell’ammoniaca gassosa disciolta nel
digestato (o liquame) da parte di una corrente di aria in pressione, captata dall’ambiente, attraverso una
colonna verticale. L’azione di desorbimento dell’ammoniaca dalla fase liquida da parte del flusso di aria è
favorita dall’aumento di superficie di contatto tra la stessa fase liquida, che scorre verso il basso, e la fase
gassosa (aria) che sale lungo la colonna.
In termini generali, l’impianto presenta due serbatoi principali da 1.000 litri nei quali sono contenuti il prodotto liquido prima del processo di strippaggio (serbatoio A) ed il prodotto liquido in uscita dalla colonna
dopo il trattamento (serbatoio B).
All’interno del serbatoio A è disposto un agitatore meccanico la cui funzione è di favorire il mantenimento dell’omogeneità della massa liquida. Esternamente è presente una camicia di riscaldamento del prodotto, per la quale è previsto l’utilizzo di acqua calda. Alla base del serbatoio è disposto un tubo di uscita diretto in aspirazione ad una pompa peristaltica di potenza 0,1 kW.
Il dispositivo è in grado di pompare circa 120 litri/ora di prodotto in mandata lungo un tubo di raccordo con
la sommità della colonna di strippaggio. Questo elemento presenta un altezza di circa 2.700 mm ed un diametro esterno di 323 mm.
Al proprio interno è riempito di “pall ring” in polipropilene di circa 30 mm di diametro (letto di per51
Figura 36 - L’impianto utilizzato per le
prove di strippaggio: sono visibili in primo
piano i due serbatoi (nel testo indicati con
A - serbatoio a sinistra nell’immagine - e
con B - serbatoio a destra-) che contengono
il digestato prima e dopo il passaggio in
colonna di strippaggio ed in secondo piano
la pompa per il vuoto e la parte inferiore
della colonna di strippaggio.
colazione), forate per consentire il passaggio al loro interno ed il mescolamento delle fasi liquide e gassose (Figura 37). Il compito di queste sfere è di frammentare il volume di digestato in ingresso ed
aumentare così la superficie di contatto tra il prodotto liquido e l’aria favorendo lo strippaggio dell’azoto ammoniacale.
L’intera massa di pall ring è disposta su un’altezza di circa 150 mm ed è sostenuta da una griglia basale posta trasversalmente e nella parte bassa della colonna.
Il prodotto liquido entra dalla parte alta della colonna attraverso un distributore a doccia posto al centro e poco al di sotto della flangia di testa.
Figura 37 - Pall ring contenute all’interno
della colonna di strippaggio.
L’aria in controcorrente al flusso del liquido viene richiamata dalla parte bassa della colonna attraverso un
foro di ingresso laterale (diametro 250 mm) con apertura regolata attraverso valvola a farfalla.
L’entrata di aria è ottenuta mediante aspirazione con pompa per vuoto ad anello liquido collegata attraverso un tubo nella parte alta della colonna. La mandata della pompa convoglia l’aria aspirata in un apposito
recipiente con gorgogliatore in cui è presente una soluzione di acido solforico. L’ammoniaca presente nel
flusso di aria estratta dalla colonna viene quindi catturata dalla soluzione acida per formazione di solfato di
ammonio.
Il prodotto liquido strippato viene raccolto al di sotto della griglia di supporto delle pall ring ed inviato al
serbatoio B mediante un apposito condotto.
52
Figura 38 - Schema della colonna di strippaggio (a sinistra) e immagine della parte superiore della colonna di strippaggio (a destra).
Figura 39 - In primo piano la pompa del vuoto (di colore blu)
e dietro il serbatoio con la soluzione acida in cui è convogliato
il flusso di aria carica di ammoniaca proveniente dalla colonna
di strippaggio per il recupero si solfato ammonico.
Figura 40 - Schema prospettico dell’impianto di strippaggio
(D801 = serbatoio A; D802 = serbatoio B; C801 = colonna di
strippaggio).
6.2.2 Il dispositivo per le prove di strippaggio ad alta temperatura
I test di strippaggio ad alta temperatura sono stati realizzati su un dispositivo in scala ridotta assemblato con
componentistica da laboratorio (Figura 41). Nei dettagli l’apparato è composto principalmente da un
matraccio da 1.000 ml disposto in un bagnomaria posto sopra piastra riscaldante per raggiungere la temperatura prefissata per la prova (fino ad un massimo di 80°C) controllata tramite termostato.
All’interno del matraccio ed immerso nella matrice liquida da sottoporre a strippaggio è stato inserito un
sistema che consente di insufflare dell’aria proveniente da una bombola di stoccaggio in pressione. L’aria
53
Figura 41 - Test di laboratorio per la concentrazione del digestato.
insufflata all’interno del liquido è stata fatta fuoriuscire da una serie di fori attraverso della pietra porosa per
favorirne la dispersione e aumentare la superficie specifica di contatto tra la fase liquida e quella gassosa.
La fase gassosa (aria contenente l’ammoniaca strippata) fuoriesce dalla parte alta del matraccio e passando
attraverso un raccordo ed un tubo in vetro raggiunge un secondo pallone (da 500 ml) contenente una soluzione di acido solforico. In questa fase i gas gorgogliano e l’ammoniaca viene bloccata formando il solfato di ammonio.
6.2.3 Il dispositivo per la concentrazione mediante evaporazione
Le prove sperimentali per la concentrazione dell’azoto nel digestato, sono state condotte ricorrendo ad un
dispositivo da laboratorio composto principalmente da elementi in vetro (Figura 41).
L’apparato è costituito da un pallone di 2.000 ml di volume in cui viene introdotto il digestato da concentrare. Il pallone è collocato all’interno di un vasca contenente acqua e con funzione di bagno termostatico.
Il riscaldamento del sistema avviene mediante piastra riscaldante posta al di sotto della vasca e la temperatura viene controllata con un termometro di precisione (0,1°C). Dalla parte alta del pallone è posizionato
un raccordo che funge da collegamento con un condensatore inclinato verso il basso.
I vapori prodotti all’interno del pallone che giungono al suo interno raffreddano per la presenza di acqua
corrente (13°C) nella camicia esterna del condensatore e passano in fase liquida. Il prodotto condensato
viene infine raccolto per gravità in un secondo pallone di vetro.
L’intero sistema è posto in leggera depressione (0,6-0,7 bar assoluti) per favorire il processo di evaporazione a temperature limitate (circa 60°C).
6.2.4 L’apparato per le prove di de-alcalinizzazione mediante uso di anidride carbonica
I test di riduzione del pH dei prodotti liquidi basici (pH>10) di risulta dalla fase di strippaggio a media temperatura, sono stati effettuati su un dispositivo di laboratorio costituito da un cilindro graduato, di capienza
pari a 1.000 ml, all’interno del quale si dispone il campione da sottoporre al trattamento di correzione.
All’interno del cilindro si dispone di un condotto in polietilene, immerso nella matrice liquida da trattare,
che trasporta anidride carbonica in leggera pressione.
Per aumentare la superficie di contatto tra il liquido basico ed il gas, all’uscita dal condotto il gas è stato
fatto lambire su una pietra porosa.
La misura del flusso di anidride carbonica è stata ottenuta mediante flussimetro sulla linea di trasporto del
gas, mentre il monitoraggio in continuo del pH del liquido da trattare è stato eseguito con un piaccametro.
54
6.2.5 Metodologia
Test preliminari sull’impianto pilota: valutazione del pH e della portata ottimale di aria.
La fase sperimentale preliminare, costituita da una serie di test di strippaggio in diverse condizioni di lavoro esercizio, è stata basilare per l’ottimizzazione di alcuni parametri operativi di funzionamento dell’impianto, poi mantenuti stabili nel corso delle prove sperimentali base (descritte nel successivo paragrafo).
Per l’esecuzione di questi test è stata una sola tipologia di digestato, convenzionalmente chiamato digestato A.
Gli elementi operativi considerati sono stati:
• flusso di portata di aria in ingresso alla colonna (Qa). In una prima fase di lavoro sono state impostate
tre differenti prove variando tra loro i livelli di portata dell’aria all’interno della colonna di strippaggio.
Le portate dell’aria impostate sono state rispettivamente 60, 100 e 150 Nm3/h. Ciascuna prova ha richiesto un tempo di 30’ durante il quale sono stati utilizzati circa 60 kg di digestato il cui valore di pH è stato
innalzato ad un valore prossimo a 11,5. Per ciascuna delle tre prove sono state condotte le misure sul digestato relative al contenuto delle diverse forme di azoto prima e dopo il trattamento in colonna;
• valore del pH del digestato. È relativo al grado di alcalinità del materiale. Per l’analisi dell’incidenza di questo parametro sul processo, sono stati condotti alcuni test di strippaggio addizionando al prodotto quantità
diverse di idrossido di sodio. In particolare, sono stati ottenuti 5 materiali di partenza con i seguenti livelli di
alcalinità: pH 8,5 – 9,0 – 10,0 – 10,5 – 11,5. Più elevato è il valore del pH maggiore è la produzione di ammoniaca liberata dal digestato. Tuttavia, si è ritenuto pratico non superare il valore di pH 11,5 considerate le problematiche che sorgerebbero a fine processo per la gestione di un prodotto con elevata alcalinità in uscita dalla
colonna. Per queste prove si è ritenuto utile riscaldare il digestato portandolo ad una temperatura media di
strippaggio dell’ordine dei 45°C (entrata in colonna a 50°C circa e uscita a 40° C). Per le condizioni di portata dell’aria in ingresso è stato definito il valore ritenuto ottimale dai risultati dei test della precedente fase
sperimentale. In ciascun test è stata impiegata una quantità di digestato pari a 60 kg. Per la valutazione della
resa di strippaggio anche in questo caso sono stati prelevati dei campioni di prodotto sottoposti all’analisi del
contenuto totale delle due forme azotate prima e dopo il passaggio in colonna.
I test del programma di strippaggio.
Il programma base del progetto è stato impostato, una volta individuate le condizioni ottimali di processo (pH
e portata di ingresso dell’aria in colonna), per valutare l’effetto della temperatura sulla rimozione di azoto,
sulle 5 differenti tipologie di digestato (Tabella 15). Le temperature impostate nei test coincidono con:
• T1: temperatura ambientale prossima ai 20°C;
• T2: temperatura media di 30°C;
• T3: temperatura media di 45°C.
Per ciascuno dei test condotti in colonna è stato impiegato un quantitativo di circa 60 kg di digestato corretto ad un pH prossimo a quello risultato ottimale dai test della fase preliminare (pH = 10,5). Analogamente
anche per la portata dell’aria è stato seguito lo stesso criterio impostandola al valore risultato ottimale nei
test della fase preliminare (Qa = 150 Nm3/h).
La valutazione delle prestazioni della colonna è stata ottenuta mediante calcolo di DNT e di DNA.
Tabella 15 - Tipologia di digestati utilizzati nei programmi sperimentali.
Digestato Azienda di provenienza
Località
A
Cascina Postino
Villanova di Sillaro (LO)
B
Cascina Sant’Eurosia
Formigara (CR)
C
Cascina Valli
Pizzighettone (CR)
D
E
Cascina Sturla
Coop. Settefrati
Marcaria (MN)
Rodigò (MN)
Tipologia digestato
Liquame bovino + trinciato mais + polpa cipolle
Liquame bovino + trinciato mais + trinciato triticale
Liquame suino + trinciato triticale
+ trinciato mais + polpa barbabietola
Liquame suino
Pollina + mais ceroso + insilato erba medica
Prove di strippaggio ad alta temperatura.
In tutti i test sono stati impiegati circa 500 ml di digestato, opportunamente pretrattato per condizionare il
pH, ed un portata di aria compressa fatta gorgogliare all’interno del campione stimata attorno ai 25-30
cm3/min (evitando la formazione di schiume).
55
Le prove sono state condotte a quattro livelli di pH ed altrettanti livelli di temperatura: per quanto concerne i valori di pH sono state effettuate prove a pH non modificato e di seguito innalzando l’alcalinità a pH
9,5, a pH 10,5 e a pH 11,5 addizionando idrossido di sodio. Per quanto riguarda le temperature oltre ai test
ad alta temperatura 80°C sono stati impostati dei confronti con le medie temperature: 20°C, 30°C e 45°C.
Le singole prove hanno richiesto un tempo di circa 3 ore, all’interno delle quali, ogni 30 minuti, sono stati
effettuati dei prelievi di digestato. Su tali campioni è stata condotta l’analisi dell’azoto ammoniacale.
Prove di concentrazione del digestato.
In ciascuna delle prove di concentrazione sono stati impiegati circa 300 ml di materiale digestato di riscaldato a circa 60°C in condizioni di bassa pressione. Più in particolare, sono stati eseguiti 6 test di concentrazione a pH differenti e precisamente: 2,5, 3,8, 6,0, 6,5, 7,0 e 8,5 addizionando quantità diverse di acido
solforico al prodotto iniziale.
Per ogni prova è stata valutata contemporaneamente la quantità di azoto rimasta nel concentrato e quella da
esso liberata e confluita nel prodotto evaporato e condensato.
Le determinazioni dell’azoto sono state eseguite mediante prelievi di campioni effettuati ad intervalli di
tempo di 15 minuti per un totale di circa 90 minuti complessivi di ciascuna prova.
Alla fine del test è stata determinata la massa finale del prodotto concentrato rimasto all’interno del pallone e verificato il suo contenuto di azoto.
Analogamente è stata misurata la massa di evaporato ed il suo contenuto di azoto finale. Il rapporto tra il
volume iniziale ed il volume finale del prodotto è definito fattore di concentrazione (FC).
Prove di de-alcalinizzazione del digestato mediante uso di anidride carbonica.
Nei test di de-alcalinizzazione del digestato basico (pH 10,5) sono stati adoperati circa 500 ml di prodotto.
Il flusso di anidride carbonica, derivante dalla bombola in pressione, è stato fatto gorgogliare nel prodotto,
regolato con due differenti livelli di portata pari a 3,8 ed 9 dm3/h ritenuti ottimali per evitare formazioni di
schiume e per ottimizzare il tempo di contatto tra il gas ed il digestato (i flussi di gas rapportati al volume
di digestato trattato corrispondono rispettivamente a 7,2 e 18 m3/h per m3 di digestato).
La durata dei test è stata regolata sulla base del tempo di raggiungimento del valore di alcalinità iniziale
(pH 8,5) seguito in continuo mediante uso di piaccametro di precisione.
6.3 Apparati e metodi di misura
Vengono qui descritte le attrezzature e strumentazioni impiegate per le analisi chimiche dei campioni prelevati nel corso dei test sperimentali.
Nell’ambito dei diversi test si è fatto ricorso alle seguenti determinazioni:
• azoto totale (NT);
• azoto ammoniacale (NA);
• sostanza secca (Ss);
• pH.
In aggiunta, su tutte e cinque le tipologie di digestato utilizzate in questo lavoro è stato eseguito un controllo della composizione di alcuni elementi chimici (metalli).
Determinazione dell’azoto totale.
Per questo tipo di determinazione è stato utilizzato un analizzatore elementare di azoto totale, LECO FP528 (Figure 44 e 45).
Il principio di funzionamento di questo strumento prevede una combustione rapida e completa del campione all’interno di una fornace, ad alta temperatura ed in eccesso di ossigeno. I gas sono poi raccolti in un
contenitore di volume pari a 4,5 litri, all’interno del quale si vengono ad omogeneizzare. Un’aliquota dei
gas di combustione (circa 3 cc) viene trasferita tramite un flusso di elio e fatta passare attraverso un catalizzatore di rame per la rimozione dell’ossigeno e la conversione degli NOX ad azoto elementare N2. Quindi
i gas passano attraverso altri filtri per la rimozione dell’anidride carbonica e dell’acqua. Infine, un rivelatore a termo-conducibilità permette la determinazione del contenuto in azoto.
Il ciclo analitico si può quindi ritenere costituito da tre fasi: purificazione, combustione ed analisi vera e
propria.
Nella pratica di laboratorio, dopo lo sviluppo del metodo di analisi lo strumento viene sottoposto ad una
56
fase di calibrazione fondamentale per ottimizzare l’accuratezza della misura. In questa fase vengono impiegate sostanze standard a contenuto noto di azoto totale. Tutte le curve di calibrazione sono state eseguite a
partire da uno standard di riferimento comunemente utilizzato dai laboratorio scientifici (glicina).
La fase di calibrazione è preceduta da una fase di settaggio (blank analysis) delle condizioni operative dello
strumento e, in particolare dell’ottimizzazione dei gas di analisi: azoto ed elio. Segue un secondo settaggio
di calibratura a vuoto (blank calibration) tramite la quale si stima il valore effettivo di azoto totale responsabile dell’inquinamento dell’analisi dei campioni che sarà automaticamente decurtato dal risultato finale
di ogni successiva analisi. Infine, segue una nuova calibrazione mediante l’inserimento dello standard di
riferimento, la cui concentrazione di azoto si avvicina il più possibile a quella prevista contenuta dai campioni da analizzare.
L’analisi procede su campioni pesati dallo stesso strumento, incapsulati all’interno di crogioli in alluminio
e immessi in testa alla colonna di combustione dell’analizzatore.
E’ stata fatta particolare attenzione alla modalità di chiusura del crogiolo per evitare fuoriuscite di sostanze volatili ed in particolare dell’ammoniaca. Dopo l’inserimento del campione, il crogiolo viene immediatamente chiuso ermeticamente nella precamera di combustione che viene spurgato dai gas che vi sono penetrati durante la fase di carico evitando qualsiasi contaminazione da parte dei gas atmosferici. Lo strumento
poi lascia cadere il campione nel tubo di combustione alla temperatura di 950° C e mandato in rapida combustione mediante un flusso di ossigeno. Il dato dell’analisi viene restituito in automatico dall’analizzatore
ed espressa come percentuale in peso.
Figura 42 - Schema dell’analizzatore elementare LECO FP-528.
Figura 43 - L’analizzatore di azoto totale LECO FP-528.
Determinazione dello ione ammonio.
Per l’analisi dello ione ammonio dei materiali campionati nel corso delle prove sperimentali è stato impiegato un cromatografo ionico Metrohm 761 Compact IC (Figura 44). I campioni liquidi destinati alla determinazione dell’ammonio devono essere sottoposti ad una fase di diluizione, seguita da una operazione di
filtrazione.
La cromatografia ionica è un metodo di analisi che, in generale, sfrutta la diversa affinità degli ioni nei confronti di due fasi diverse: la fase fissa e la fase mobile.
Questa tecnica di analisi consente di riconoscere e separare gli ioni di un campione attraverso uno scambio
ionico che avviene tra la fase mobile che contiene il campione e la fase stazionaria che si trova all'interno
della colonna cromatografica.
Come risultato di questa analisi si ottiene un cromatogramma, cioè un diagramma costituito da una linea di
fondo ed una serie di picchi che consentono di identificare la presenza e la quantità di ammonio nella soluzione analizzata.
I campioni prima di essere sottoposti all’analisi cromatografica vengono diluiti con acqua ultra-pura per un
fattore di diluizione pari ad 1:50 (rapporto di diluizione che è stato scelto in seguito ad una serie di prove
iniziali per l’ottimizzazione dei parametri analitici).
57
Figura 44 - Cromatografo ionico Metrohm 761 Compact IC.
Quindi la soluzione viene sottoposta a filtrazione ed inserita in provette da 12 ml pronte per l’analisi cromatografica. Le provette in attesa di analisi vengono poste sull’auto-campionatore e chiuse con apposito
tappo in modo da evitare perdite di ammoniaca. Per la filtrazione sono state utilizzate filtri per siringa in
teflon con porosità pari a 0,25 micron.
A questo punto si esegue l’analisi cromatografica che, nell’ambito della sperimentazione, ha previsto l’utilizzo
di una colonna cationica, Metrosep C 2 - 250 della Metrohm caratterizzata da 250 mm di lunghezza, 4 mm di
diametro, una fase fissa costituita da gel di silice e gruppi carbossilici e diametro delle particelle pari a 7 µm.
La fase mobile utilizzata è costituita da una soluzione acquosa di acido tartarico 4 ml e di acido dipicolinico 0,75 ml. Tale soluzione è stata preparata pesando 1,2 g di acido tartarico e 0,25 g di acido dipicolinico entrambi disciolti in 2 litri di acqua ultrapura. In questo modo dopo qualche minuto di agitazione sotto
vuoto per degassare l’eluente il sistema è pronto per l’analisi. Anche questo strumento, prima di essere
avviato all’analisi dei campioni, necessita di una fase preparatoria mediante una serie di corse cromatografiche, che prevedono l’analisi di un bianco e di una serie di standard a contenuto di ammonio noto in modo
da ricavarne la corrispondente curva di taratura.
Quindi partendo dai dati di concentrazione di ammonio determinati dallo strumento, tenendo conto del fattore di diluizione e del fatto che il campione è stato filtrato eliminando il residuo solido, con dimensioni
delle particelle superiori a 0,25 µm, in esso contenuto per ogni campione è stato possibile ricavare la corrispondente concentrazione di ammonio, espressa in g/kg sul campione tal quale.
Determinazione della sostanza secca.
Il metodo di determinazione del contenuto di sostanza secca (Ss) si basa sul principio termogravimetrico
mediante trattamento termico in stufa a 70°C e determinazione della relativa perdita di peso nel momento
in cui è stata eliminata tutta l’acqua in esso contenuta.
La stufa utilizzata, è caratterizzata da ventilazione forzata, convezione naturale e da un volume di 120 litri
che permettere il trattamento di più campioni contemporaneamente.
Quindi dal punto di vista operativo dopo aver opportunamente pesato e annotato la massa (m1) del contenitore (tara) in alluminio con capacita pari ad 1 litro si immette nello stesso una quantità di campione pari
a circa 500 ml. Si prosegue quindi pesando ed annotando la massa del contenitore con il campione (m2) che
viene riposto in stufa per circa 24 ore. L’obiettivo di questa fase è di ottenere l’eliminazione completa dell’umidità contenuta nel campione, fino a giungere a peso costante. Trascorse le 24 ore si procede quindi alla
misura del peso dei vassoi di alluminio che presumibilmente contengono il campione completamente anidro (m3). Per garantire il raggiungimento dello stato anidro il vassoio viene reinserito in stufa per circa 1
ora trascorsa la quale viene nuovamente pesato. A questo punto si verifica che tra le due pesate non ci siano
differenze significative (> 2% tra le due misure), a prova del raggiungimento del peso costante del campione. In caso negativo le ultime due operazione vengono ripetute fino a raggiungimento del peso costan58
te. Tutte le pesate relative alla determinazione della sostanza secca sono state effettuate mediante una bilancia tecnica con precisione di 0,01 g.
Mentre la SS viene calcolata mediante la seguente formula:
SS = (m3-m1) / (m2-m1) * 100
I risultati ottenuti sono stati espressi in percentuale in peso sul campione tal quale, con precisione dello 0,1%.
Caratterizzazione chimica dei materiali.
Le analisi chimiche previste per il controllo degli elementi della componente inorganica sono state basate
sulla determinazione del contenuto in Na, K, P, Ca, Mg e Zn.
La metodologia utilizzata in questo lavoro ha previsto tre fasi distinte: l’essiccazione del campione liquido;
la digestione con mineralizzatore a microonde della Anton Paar; l’analisi mediante spettrofotometro ad
emissione atomica al plasma (ICP-OES) Optima 2100 DV della PerkinElmer.
La preparazione del campione inizia mediante un processo di concentrazione ed essiccazione in stufa a
40°C dalla quale è stato ottenuto un campione solido a basso contenuto di umidità da poter sottoporre alla
successiva fase di mineralizzazione. In questa fase circa 50 mg di campione opportunamente macinato ed
omogeneizzato viene inserito nell’apposito contenitore in teflon (vessel) ed avviato alla fase di mineralizzazione. Al campione viene aggiunta una miscela di acidi nella seguente successione: 6 ml di H2NO3
(65%), 2 ml di H2O2 (30%) e 1 ml di HCl (27%).
Il vessel viene quindi chiuso con apposito tappo e posto in un contenitore di sicurezza che a sua volta viene
inserito in un rotore posto all’interno del mineralizzatore a microonde (Figura 45), il quale è stato predisposto per effettuare un ciclo di mineralizzazione di un’ora e dieci minuti, compresa la fase di raffreddamento finale.
Il ciclo di digestione è stato appositamente studiato per il trattamento della tipologia di campioni in esame.
A questo riguardo sono state effettuate una serie di prove preliminari, in cui sono stati variati i tempi del
ciclo e la potenza erogata dallo strumento nel corso delle fasi di trattamento del campione al microonde.
Tali parametri operativi incidono sulle pressioni e sulle temperature a cui il campione viene sottoposto; in
questo caso è stato necessario raggiungere condizioni di 60 bar e 250°C.
Figura 45 - Mineralizzatore Anton Paar Multiwave 3000 (sinistra) e set di vessel con tappo
su apposito supporto copri rotore (destra).
A fine ciclo di digestione, il campione viene raffreddato a temperatura ambiente e trasferito in un recipiente tarato. Quindi viene aggiunta acqua deionizzata fino a portare il campione ad un volume totale
di 50 ml. A questo punto le soluzioni ottenute sono pronte per l’analisi all’ICP-OES (Figura 46). Per
l’analisi degli elementi presi in considerazione, sullo strumento in questione è stato messo a punto uno
specifico metodo. Questo è stato possibile per mezzo del software di supporto all’utilizzo dello spettrofotometro (WinLab32).
59
Figura 46 - Spettrofotometro ad emissione
al plasma Optima 2100 DV della
PerkinElmer.
Tabella 16 - Lunghezze d’onda utilizzate
per la rilevazione degli elementi.
Elemento
Ca
Mg
Na
P
Zn
K
∆ (nm)
317,933
285,213
589,592
213,617
206,200
766,490
Il parametro di maggior rilievo a questo riguardo sono le lunghezze
d’onda utilizzate per la determinazione degli elementi, che vengono
riportate in Tabella 16.
La determinazione delle concentrazioni di tali elementi è stata possibile per mezzo dell’analisi strumentale di una serie di bianchi, di standard e successivamente dei campioni stessi. Il calcolo della concentrazione dei diversi elementi è restituito sulla base della retta di taratura
calcolata automaticamente dal WinLab32 (software di gestione
dell’ICP) che tiene conto del fattore di diluizione praticato con la preparazione del campione (peso iniziale della cenere di circa 50 mg portati a 50 ml).
6.4 L’analisi degli indici di processo e dei costi di esercizio
Lo svolgimento dei test per le due differenti tecniche di rimozione dell’azoto considerati in questo progetto ha visto l’uso di prodotti chimici e l’impiego di energia termica ed elettrica.
Con la finalità di stabilire il peso dei diversi fattori di processo, durante le prove sperimentali sono stati contabilizzati i principali input ed output di processo. Il risultato di questo lavoro ha permesso di sviluppare dei
primi bilanci di massa ed energetici come ulteriori elementi di valutazione e confronto tra le tecniche di
rimozione dell’azoto dal digestato. Gli indici di consumo e di produzione finali sono riferiti all’unità di
volume di prodotto trattato.
All’analisi degli indici di processo si affianca una sintetica analisi dei costi di processo.
Valutazione dei consumi elettrici.
L’energia elettrica è un fattore presente in tutti gli impianti soprattutto per movimentare, con l’uso di pompe,
le masse fluide dei prodotti all’interno dei diversi sistemi.
Nel caso della tecnica dello strippaggio la misura dei consumi è stata eseguita con analizzatore di rete elettrica mono-trifase (VIP System) in grado di rilevare i valori medi e di picco dei più importanti parametri
(tensione, potenza, frequenza, amperaggio, sfasamento, etc.) e memorizzarli temporaneamente per consentire rilevazioni continue.
Relativamente alla tecnica di rimozione dell’azoto basata sulla concentrazione per evaporazione, i consumi
sono stati stimati sulla base di parametri rilevati dalla letteratura e da schede tecniche di impianti esistenti
che operano con materiali con caratteristiche fisiche e chimiche confrontabili al digestato o ai liquami.
Più in particolare, è stato fatto riferimento ad impianti a doppio e a triplo effetto per il trattamento di acque
reflue, con capacità di lavoro in entrata di circa 2800 kg/h di prodotto in ingresso da trattare, dotato di sistemi per una potenza installata complessiva di 34 kWe.
60
Valutazione dei consumi termici.
Il fabbisogno termico degli impianti considerati nel progetto è dedicato esclusivamente ad aumentare la
temperatura del digestato da sottoporre a trattamento di strippaggio o a concentrazione. Nel caso dello strippaggio è stato ipotizzato un sistema semplificato a scambio termico con una resa di processo di 0,7.
Per le temperature è stato previsto un aumento di temperatura media del digestato di 10°C, nel caso della variante operativa di strippaggio a media temperatura, mentre per la variante dello strippaggio ad alta temperatura
l’aumento di temperatura previsto del digestato è stato fissato a 50°C. Relativamente alla tecnica di rimozione
dell’azoto mediante concentrazione per evaporazione si è fatto riferimento a dati tecnici da letteratura.
Tabella 17 - Consumi termici del sistema di evaporazione per concentrazione.
Metodo
Consumo vapore (kg/kg acqua ev.)
Consumo termico (MJ/kg acqua ev.)
3 effetti
0,44
1,11
2 effetti
0,63
1,56
Note: 1 kg di vapore = 2,5 MJ.
Produzione e consumi di sostanze chimiche.
Lo strippaggio e la concentrazione sono due processi, come già detto, che richiedono l’uso di prodotti chimici. Allo scopo di impostare un bilancio di massa delle diverse tecniche di trattamento del digestato sono
stati definiti i consumi dei più importanti elementi introdotti nei processi.
In particolare:
• l’idrossido di sodio (soda): utilizzato per modificare il pH del digestato prima dell’ingresso in colonna
del digestato;
• l’acido solforico: impiegata per catturare l’ammoniaca gassosa prodotta nel corso dello strippaggio in
colonna;
• il solfato di ammonio: conseguenza del precedente processo, rappresenta il prodotto finale dalla reazione
dell’ammoniaca con l’acido solforico.
Gli indici di consumo e produzione, riferito all’unità di volume di prodotto trattato, sono stati calcolati
basandosi sul reale utilizzo dei reagenti rapportato al volume di digestato trattato con i differenti dispositivi. Una valutazione semplificata dei consumi specifici è stata considerata anche nel trattamento del digestato basico con anidride carbonica.
Analisi dei costi di processo.
Nell’analisi dei bilanci economici delle tecniche di rimozione dell’azoto sono state considerate una serie di
voci di costo di processo legate principalmente al valore delle materie prime consumate. Specificatamente
per le singole voci sono state definite:
• energia elettrica: 0,16 €/kWhe e 0,09 €/kWhe in funzione dello scenario economico;
• costo della soda: 0,45 €/kg;
• acido solforico: 0,45 €/kg;
• calore: è stato ipotizzato un costo di 0,024 €/MJ generato da un sistema tradizionale alimentato a metano.
È stato valorizzato come voce economica positiva il solfato di ammonio con un beneficio di 0,1 €/kg di prodotto, calcolato equiparandolo al valore commerciale di una quantità equivalente in azoto dell’urea.
La valutazione economica è stata condotta ipotizzando due scenari, A e B, di cui il primo svantaggioso ed
il secondo più favorevole.
La differenza tra i due scenari è legata principalmente:
• al diverso costo dell’energia elettrica: basato sulle opportunità derivante dall’uso di incentivi alla produzione con energie rinnovabili;
• al grado di efficienza del sistema: questo parametro può essere condizionato da aspetti, tra cui la concentrazione iniziale di azoto presente nel digestato da trattare, influente sulla resa di processo, e il corretto dimensionamento dell’impianto e dei parametri operativi. Da elementi emersi durante l’esperienza
diretta sull’impianto si ritiene che possono esserci importanti miglioramenti delle rese dei processi. Nello
specifico, nel caso dello scenario B, si è ipotizzato un consumo di energia elettrica metà di quello rilevato nel corso delle prove sperimentali;
61
• al recupero di energia termica dal cogeneratore che impiega il biogas: nel caso dello scenario B si prevede l’uso dell’energia termica del cogeneratore alimentato a biogas per usi termici vari (anche nello stesso impianto di strippaggio). La valorizzazione di questa soluzione tecnica si è basata sul mancato costo
di energia termica prodotta da un impianto alimentato a metano valutata 2,4 c€/MJ;
• valorizzazione del solfato di ammonio: nello scenario B si è ipotizzato il recupero di questo prodotto in
sostituzione dell’urea paragonato al costo dell’azoto contenuto in essa e considerata con un valore commerciale di 0,30 €/kg.
62
Quaderni della ricerca
7 Risultati ottenuti
7.1 Premesse
In questo Capitolo vengono riportati i risultati ottenuti nel corso delle prove sperimentali precedentemente
descritte. I dati ottenuti si propongono suddivisi in funzione della tecnica di rimozione dell’azoto adottata
nella sperimentazione.
Più in particolare:
• strippaggio a media temperatura: prove preliminari di settaggio e prove di base;
• strippaggio ad alta temperatura;
• concentrazione per evaporazione.
In aggiunta, si riportano i risultati dei test di de-alcalinizzazione con anidride carbonica del digestato basico prodotto a valle delle prove di stripaggio a media temperatura.
A questa parte segue una sezione dedicata a prime analisi di sintesi e al confronto dei rendimenti e degli
indici di efficienza tra le diverse tecniche.
7.2 Strippaggio a media temperatura
7.2.1 Prove preliminari
Le Tabelle che seguono (18 e 19) mostrano i valori delle concentrazioni di NT e di NA dei campioni prelevati prima (pre) e dopo (post) trattamento in colonna di strippaggio durante i test preliminari. I risultati consentono di verificare l’incidenza della portata di aria e del pH del digestato sulla resa di processo.
In particolare, nella Tabella 18 vengono mostrate le variazioni della concentrazione delle due forme di azoto
del digestato a seguito di trattamento in colonna in condizione differenti di Qa.
Tabella 18 - Variazione della concentrazione di NT e di NA in funzione della portata di aria in colonna (Qa).
Qa
(m /h)
60
100
150
pH
3
11,5
11,4
11,7
T
(°C)
45
45
45
NT
Post
(g/kg)
2,1
1,6
1,5
Pre
(g/kg)
5,2
5,6
5,4
DNT
Assoluto Relativo
(%)
(g/kg)
61%
3,2
72%
4,0
72%
3,9
NA
Pre
(g/kg)
4,24
4,52
4,35
Post
(g/kg)
1,07
0,52
0,49
DNA
Assoluto Relativo
(g/kg)
(%)
3,17
75%
4,00
88%
3,86
89%
Post
(g/kg)
3,79
1,71
1,11
1,09
0,48
DNA
Assoluto Relativo
(g/kg)
(%)
0,86
18%
2,70
61%
3,34
75%
3,52
76%
3,87
89%
Tabella 19 - Impianto pilota: valori di DNA e DNT in funzione del pH del digestato.
Q
(m /h)
150
150
150
150
150
pH
3
7,6
9,0
9,9
10,4
11,7
T
(°C)
45
45
45
45
45
NT
Pre
(g/kg)
5,7
5,4
5,5
5,7
5,4
Post
(g/kg)
4,9
2,7
2,2
2,2
1,5
DNT
Assoluto Relativo
(%)
(g/kg)
15%
0,9
50%
2,7
61%
3,3
62%
3,5
72%
3,9
NA
Pre
(g/kg)
4,65
4,41
4,45
4,61
4,35
In tutti i test è stato evidenziato un netto calo della concentrazione di NT ed NA. In particolare, per quest’ultima forma azotata si superano valori dell’85% già al di sopra di una portata di aria di 100 m3/h.
Tuttavia, oltre tale limite, l’efficacia della rimozione di azoto da parte del sistema non sembrerebbe presentare miglioramenti.
63
Si può supporre come l’assenza di benefici, in termini di strippaggio, da parte della colonna sopra determinati valori di portata dell’aria, sia legato al carattere sperimentale dell’impianto, dimensionato e configurato con relativa attenzione nei confronti dei consumi specifici dei prodotti. Pertanto, i valori ottenuti si
riferiscono alle specifiche condizioni sperimentali (caratteristiche geometriche della colonna impiegata e
degli elementi presenti al suo interno, livello di flusso del digestato, ecc.).
In termini assoluti, nelle migliori condizioni di strippaggio il digestato impiegato perde circa 4,0 g/kg di
azoto (totale ed ammoniacale), corrispondente al 72% del valore totale iniziale e a circa l’89% dell’ammonio totale iniziale.
Per ciò che concerne l’effetto del pH del digestato sulle prestazioni della colonna si riportano i risultati dei
test in Tabella 19.
Impostando una condizione di portata di aria massima (150 m3/h), per favorire in misura più ampia i fenomeni di strippaggio in colonna, sono stati ottenuti valori di DNA compresi tra il 18%, con pH del digestato
vicino alla neutralità, ed il 90% con valori di pH di 11,7. Inoltre, è stato evidenziato che nel range compreso tra pH 7,5 e pH 10,5 la perdita di azoto ammoniacale è abbastanza lineare con l’aumento del pH. Al di
sopra di pH 10,5 la resa in strippaggio aumenta ma in misura inferiore (Figura 47).
Alla luce di questi risultati, ottenuti nella fase sperimentale preliminare, considerando gli obiettivi del progetto, si è ritenuto utile impostare le condizioni operative del programma di base a pH 10,5 e a portata di
aria di 150 m3/h.
La scelta di operare in condizioni di elevata portata dell’aria va incontro alla possibilità di impostare test
con valori di pH di compromesso tra la capacità di spingere gli equilibri dell’azoto a favore dello strippaggio, il contenimento del consumo di prodotti chimici nel processo e le problematiche di gestione del digestato trattato in uscita dall’impianto.
Figura 47 - Impianto pilota: rese di strippaggio in funzione
della portata del flusso di aria in colonna.
Figura 48 - Impianto pilota: andamento della rimozione di
azoto ammoniacale in funzione del pH del digestato.
7.2.2 Prove di base
Nella Tabella 20 vengono sintetizzati i risultati ottenuti dai test di strippaggio su colonna nelle diverse condizioni di temperatura. Nell’ambito di questi test sono state utilizzate tutte le tipologie di digestato considerate nel progetto.
Nel dettaglio sono evidenziati i valori di concentrazione di NT del digestato prima (pre) di essere introdotto in colonna e in uscita da questa (post), il DNT in valore assoluto e percentuale calcolato sul valore iniziale prima del trattamento.
È possibile verificare l’incidenza della temperatura sulla quantità relativa di NT strippato (Figura 49).
Il valore di DNA è compreso tra il 42%, nel caso dei test a 20°C (digestato C ed E), ed il 69% nel caso dei
test a 45°C (digestato D).
Da un’analisi generale delle diverse prove emerge come nelle diverse condizioni di esercizio adottate non
è stato possibile scendere al di sotto dei valori di 0,8 g/kg di NT riducendo il valore di NT al massimo di
3,7 g/kg (digestato A - 45°C).
Nei grafici che seguono, Figure 50, 51 e 52, si può rilevare, per ciascuna tipologia di digestato, la perdita
assoluta di NT in corrispondenza delle tre temperature di lavoro.
La riduzione di NT cresce sensibilmente passando dalla temperatura di 20°C a quella di 45°C ed è più evidente nei digestati con maggiore concentrazione di NT.
64
Tabella 20 - Impianto pilota: valori della concentrazione di NT del prodotti prima (pre) e dopo (post) processo di strippaggio
(pH = 10,5 - Qa = 150 m3/h).
Temperatura
Tipo di digestato
(°C)
20
20
20
20
20
30
30
30
30
30
45
45
45
45
45
A
B
C
D
E
A
B
C
D
E
A
B
C
D
E
NT
DNT
Post
(g/kg)
2,6
1,1
1,6
0,9
2,1
2,7
0,9
1,6
0,8
1,9
1,8
0,9
1,6
0,8
1,9
Pre
(g/kg)
5,3
2,3
2,8
2,4
3,6
5,7
2,3
2,9
2,3
3,7
5,4
2,4
3,1
2,5
3,9
Assoluto
(g/kg)
2,7
1,3
1,2
1,4
1,5
3,0
1,3
1,3
1,6
1,8
3,7
1,6
1,5
1,7
1,9
Relativo
(%)
52%
54%
42%
60%
42%
53%
59%
45%
67%
49%
68%
65%
49%
69%
50%
Figura 49 - Impianto pilota: riduzione di NT nelle prove con i
diversi digestati alle tre condizioni di temperatura (pH = 10,5 –
Qa = 150 m3/h).
Figura 50 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)
e dopo (post) il test di strippaggio a 20° C.
Figura 51 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)
e dopo (post) il test di strippaggio a 30° C.
Figura 52 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)
e dopo (post) il test di strippaggio a 45° C.
65
Gli andamenti si presentano analoghi, nelle stesse prove sperimentali, considerando anche i valori di NA
prima e dopo trattamento (Figura 53).
In funzione di questi dati, che misurano più concretamente l’effettiva potenzialità di rimozione dell’azoto
da parte della colonna, è evidente come sia possibile raggiungere valori di DNA dell’84% (digestato A)
lavorando con temperatura di 45°C.
Le prestazioni più limitate, come atteso, si riscontrano alla temperatura di 20°C con valori di DNA che si
attestano tra il 55% ed il 64% circa (Tabella 21).
Tabella 21 - Impianto pilota: valori di DNA nei test di strippaggio a media temperatura.
DNA (%)
Temperatura
Digestato
A
B
C
D
E
Figura 53 - Impianto pilota: valori di DNT dei diversi digestati
nelle tre condizioni di temperatura (pH = 10,5 – Qa = 150 m3/h).
20°C
63,8
57,2
58,6
61,6
55,5
30°C
64,9
61,9
63,0
68,4
64,3
45°C
83,6
68,3
67,5
70,7
65,9
7.2.3 Strippaggio ad alta temperatura
In Tabella 22 e di seguito nel grafico di Figura 54 sono mostrati i valori delle rese di strippaggio ottenute nei test per la valutazione dell’efficacia del processo alle alte temperature.
I dati delle prime due colonne della tabella si riferiscono a condizioni simili a quelle impiegate nei test
in colonna nell’impianto pilota. Nella terza colonna si riporta, invece, il dato di perdita di azoto ammoniacale alle condizioni di 80°C, aspetto di maggiore interesse nell’ambito di questa serie specifica di test.
Tabella 22 - Test di laboratorio: valori di DNA alle diverse temperature e pH.
DNA
pH
20°C
45°C
80°C
8,5
10,8%
5,2%
87,5%
9,5
8,3%
54,6%
87,5%
10,5
34,5%
78,2%
100,0%
11,8
46,4%
81,4%
100,0%
Figura 54 - Test di laboratorio: andamento di DNA (resa di strippaggio) in funzione del pH e delle temperature.
Anche in questi casi è visibile l’effetto della variazione del pH e della temperatura del digestato sulla
rimozione di ammonio dal prodotto.
Inoltre, i valori di DNA osservati a pH 10,5 e temperatura di 45°C sono simili con quelli ottenuti nelle stesse condizioni nelle prove base descritte nel precedente paragrafo (78,2% contro 83,6%) considerando confrontabili, entro certi limiti di precisione, i risultati su piccola scala con quelli ricavati su colonna. Alle stesse condizioni di pH e temperature di 80°C i valori di DNA raggiungono praticamente il 100%.
Tuttavia, è interessante osservare come in condizioni di alta temperatura del digestato e senza modificare il
pH, che rimane ad 8,5, si ottengono prestazioni di poco superiori alle medie temperature (45°C) e pH = 10,5.
La Figura 54 esprime in maniera sintetica il confronto tra i valori di DNA nelle diverse condizioni di pH
e temperatura.
La curva dei valori di DNA relativa alla temperatura di 45°C conferma, come evidenziato nelle prove in colonna (prove di base), la maggiore efficacia del pH sul processo di rimozione dell’azoto fino a valori di 10,5 v.
66
7.2.4 Concentrazione per evaporazione
La Tabella 23 e il relativo grafico di Figura 55 riportano i risultati ottenuti nell’ambito dei test di concentrazione del digestato.
Più nel dettaglio, viene mostrato in funzione del valore di pH e del fc l’andamento del DNT a seguito del
riscaldamento dell’evaporato.
I test mettono in risalto l’importanza del pH del digestato sull’efficienza del processo. In particolare, si
osserva che per valori di pH del prodotto inferiore a 6,5 i valori di DNT del prodotto risultano inferiore
al 15%; in altri termini circa l’85% del NT rimane nel prodotto concentrato.
In generale, minore è il valore iniziale di pH del digestato maggiore è la quantità di azoto che rimane nel
concentrato finale. Al di sopra dei valori di pH 7 il processo di concentrazione è accompagnato da un trasferimento di importanti quantità di azoto.
È possibile osservare dalla Figura 60 come già a metà processo (50% massa evaporata - fc = 2) venga
rimosso dal concentrato oltre il 55% di NT presente in fase iniziale.
Conducendo il processo di concentrazione sul prodotto iniziale, senza aggiungere prodotti per modificare l’alcalinità (pH 8,4) si osserva come già in corrispondenza di fc di circa 1,5 (corrispondente al 33%
della massa evaporata) più del 50% del NT passa nell’evaporato.
Tabella 23 - Test di laboratorio: andamento del DNT nel concentrato in funzione del fc
pH
2,5
3,8
6,0
6,5
7,0
8,4
DNA
0,7%
5,7%
11,4%
14,0%
60,0%
63,5%
2,5
0,8%
7,0%
11,5%
14,2%
61,0%
64,0%
3,3
1,0%
8,0%
11,7%
14,3%
61,7%
64,1%
5,0
1,0%
8,7%
11,8%
14,4%
61,8%
64,1%
10,0
Figura 55 - Test di laboratorio: andamento di NT in funzione
della massa evaporata dal concentrato.
Fattore di concentrazione
7.2.5 De-alcalinizzazione con anidride carbonica
Nella Figura 56 vengono riportati i risultati dei test relativi alla modifica del pH del digestato basico. Il
valore iniziale del pH di questo prodotto è di circa 10,5 (ipotizzato in uscita dalla colonna in condizioni
di strippaggio a media temperatura).
Nell’ambito dei due test, condotti con flusso diverso di anidride carbonica, è stato raggiunto il valore di
pH di 8,5, coincidente con il valore di pH iniziale del digestato prima del trattamento di rimozione dell’azoto, in un tempo di 60 e 165 minuti, rispettivamente con portate del gas di 3,8 e 9 Nl/h.
I test sono stati completati in corrispondenza di pH finali del prodotto di 7,6 (in 210 minuti) e di 7,1 (in
130 minuti) rispettivamente con la portata più bassa e più alta di anidride carbonica.
Figura 56 - Test di laboratorio: andamento del pH del
digestato in funzione del flusso di CO2.
67
7.2.6 Analisi chimiche sul digestato
In Tabella 24 sono riportate le analisi di caratterizzazione dei digestati impiegato nell’ambito della sperimentazione. I valori ottenuti dalle analisi non evidenziano particolari aspetti di nota e appaiono in linea
con le caratteristiche medie di questo materiale.
Tabella 24 - Impianto pilota: valori della concentrazione di NT del prodotti prima (pre) e dopo (post) processo di strippaggio
(pH = 10,5 - Qa = 150 m3/h).
Digestato
A
B
C
D
E
Sostanza secca
(%)
2,4
1,8
1,8
0,9
3,3
Ca
(mg/kg)
14110
9520
18470
26420
39580
Mg
(mg/kg)
992
1177
1550
2901
4069
Na
(mg/kg)
71020
102100
24290
58910
10250
P
(mg/kg)
12100
14630
26000
30780
44790
Zn
(mg/kg)
291
196
382
654
690
K
(mg/kg)
69360
74100
49780
213200
138600
7.3 Analisi degli indici di processo
7.3.1 Bilancio di massa
Nel grafico di Figura 57 sono riportati i valori dei consumi e delle produzioni specifiche per unità di volume di digestato trattato con le tre modalità di rimozione dell’azoto. Considerata la variabilità del digestato,
in termini di azoto totale e di sostanza secca, e considerando l’efficienza non ottimizzata dell’impianto
impiegato per ciascuna tecnica vengono si è ritenuto più adatto riportare i valori minimi e massimi dei
parametri considerati.
L’impiego della soda riguarda il solo processo di strippaggio a media temperatura. Dalle analisi è stato possibile valutare un consumo specifico variabile compreso tra 8,8 kg/m3 e 11,4 kg/m3. La variabilità del dato
può essere legata anche al tipo di digestato che viene considerato variando, per la diversa composizione chimica, il comportamento in termini di potere tamponante.
Per ciò che riguarda l’uso di acido solforico, previsto in tutti i processi esaminati, si verifica una variabilità più contenuta. La tecnica di strippaggio a media ed alta temperatura richiede forti dosi di acido solforico (la differenza tra i due sistemi è di appena il 10%). In particolare, i livelli di consumo variano da un minimo di 8,8 kg/m3 di digestato del processo a media temperatura ad un massimo di 10,8 kg/m3 del processo
ad alta temperatura. Nella tecnica di concentrazione del digestato si stima un impiego variabile tra i 3 ed i
3,3 kg/m3.
Per ciò che concerne la produzione di solfato di ammonio, da considerare solo per la tecnica dello strippaggio, le produzioni superano di poco i 15 kg/m3 per la tecnica a media temperatura e raggiungono valori
di circa 18 kg/m3 per il sistema ad alta temperatura.
Figura 57 - Elaborazione dei risultati sperimentali: valori minimi e massimi dei consumi e delle produzioni specifiche per le
diverse tecniche di rimozione dell’azoto
impiegate.
68
Nell’ambito dei bilanci di massa è stato considerato anche il consumo specifico di anidride carbonica
impiegata nella correzione del pH del digestato trattato con processo di strippaggio a media temperatura.
In quest’ultima tecnica di rimozione dell’azoto è stato visto che il pH ottimale di lavoro è di 10,5 (partendo da un pH iniziale di 8,5 a cui riportare il prodotto a valle dello strippaggio). Rifacendosi ai due flussi di
gas impiegati nei test sperimentali, il consumo specifico di CO2 presenta una variazione assoluta tra i due
flussi di oltre 18 m3/m3*h di digestato (Figura 58).
Figura 58 - Elaborazione dei risultati sperimentali: consumi specifici di anidride carbonica in corrispondenza di due flussi del gas.
7.3.2 Bilancio energetico
Il sistema di rimozione dell’azoto basato sulla tecnica della concentrazione, confrontato con le due tecniche di strippaggio, richiede un maggior contributo energetico per unità di prodotto lavorato (Figura 59).
La differenza è più elevata soprattutto quando il confronto è riferito alla tecnica di strippaggio a media temperatura (c’è un rapporto medio di circa 1:10). Più precisamente, i consumi specifici oscillano tra 1100 e
1500 MJ/m3 di prodotto trattato in funzione della tipologia impiantistica di concentrazione considerata
(sistema a due o a tre effetti).
La tecnica dello strippaggio è più onerosa, in termini energetici, nel caso delle condizioni di alte temperature, con consumi che vanno tra i 400 ed i 500 MJ/m3 e che, invece, si riducono a poco più di 120-150 MJ/m3
con le medie temperature.
Un’analisi più dettagliata dei consumi energetici (Figura 60), suddivisi nelle due forme (elettrica e termica) mette in luce, come atteso, il forte contributo di energia termica nelle tecniche di rimozione dell’azoto
che lavorano ad alte temperature. In generale, i consumi elettrici dovrebbero mantenersi costanti in tutte le
diverse tecniche di lavoro. Differente è l’uso del calore, almeno tre volte maggiore nel caso della tecnica di
concentrazione rispetto allo strippaggio ad alte temperature e, praticamente trascurabile nel caso di strippaggio a media temperatura.
Figura 59 - Elaborazione dei risultati sperimentali: valori minimi e massimi dei consumi energetici specifici delle tre tecniche
di rimozione dell’azoto.
Figura 60 - Elaborazione dei risultati sperimentali: confronto
tra i consumi energetici specifici suddivisi in termici ed elettrici in funzione delle tre tecniche di rimozione dell’azoto.
7.3.3 Analisi dei costi di processo
I grafici delle Figure 61 e 62 mostrano i valori stimati dei costi specifici calcolati, nel caso dei due scenari A e B ipotizzati, relativamente per le tre tecniche di rimozione dell’azoto dal digestato.
69
Nelle Tabelle 25 e 26 i costi specifici sono suddivisi in funzione dei singoli input di processo. Un primo
aspetto che si evidenzia è relativo alla forte differenza dei costi specifici della tecnica di concentrazione tra
lo scenario A, in cui si caratterizza come la meno economica e oscilla tra i 27 ed i 37 €/m3 di digestato, e
lo scenario B dove i costi crollano tra i 2,6 ed i 3,0 €/m3. La differenza emersa tra i due scenari è principalmente legata alla possibilità di recuperare calore e, quindi attribuirgli un costo zero. Il fattore calore nella
concentrazione, infatti, incide per oltre l’85% dei costi totali.
La riduzione dei costi specifici tra i due scenari è importante anche nel caso della tecnica di strippaggio.
Gli effetti sono più evidenti, per le stesse ragioni della concentrazione, con la variante operativa a più elevata temperatura che passa da un intervallo compreso tra i 15,5 -18,9 €/m3 dello scenario meno favorevole ai 4,2 - 4,7 €/m3 nel caso dello scenario più conveniente.
Il peso economico del calore nel caso di questa tecnica oscilla tra il 45% ed il 60%. Per lo strippaggio con
variante a media temperatura la forbice è più contenuta anche se compresa tra 12,5 - 15,1 €/m3 nel caso
dello scenario A e 7,9 - 9,6 €/m3 nel caso dello scenario B. In questo processo la componente economica
più importante è data dai prodotti chimici che incidono, in funzione delle scenario, in misura compresa tra
il 65% ed il 90% circa dei costi totali.
Figura 62 - Elaborazione dei risultati sperimentali: costi specifici per unità di volume di prodotto trattato – scenario B.
Figura 61 - Elaborazione dei risultati sperimentali: costi specifici per unità di volume di prodotto trattato – scenario A.
Tabella 25 - Elaborazione dei risultati sperimentali: suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario A).
STRIPPAGGIO
Bassa temperatura
Alta temperatura
VOCE DI COSTO
Energia elettrica
Soda
Acido solforico
Energia termica
(€/m )
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
3
Min
4,00
3,94
4,40
0,23
Max
4,80
5,12
4,90
0,30
Min
3,57
0,00
4,90
7,11
Max
4,29
0,00
5,39
9,24
CONCENTRAZIONE
Min
1,94
0,00
1,50
23,68
Max
2,32
0,00
1,65
33,27
Tabella 26 - Elaborazione dei risultati sperimentali: suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario B).
VOCE DI COSTO
Energia elettrica
Soda
Acido solforico
Energia termica
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
(€/m3)
STRIPPAGGIO
Bassa temperatura
Alta temperatura
Min
1,13
3,94
4,40
0,23
Max
1,35
5,12
4,90
0,30
Min
1,00
0,00
4,90
7,11
70
Max
1,21
0,00
5,39
9,24
CONCENTRAZIONE
Min
1,09
0,00
1,50
23,68
Max
1,31
0,00
1,65
33,27
Quaderni della ricerca
8 Considerazioni finali
Gli equilibri che regolano la forma chimica e lo stato di gran parte dell’azoto presente nei reflui zootecnici o del trattamento di questi nella digestione anaerobica (azoto ammoniacale), sono governati dalle condizioni di alcalinità e dal livello della temperatura del mezzo.
Le tecniche esaminate in questo progetto, lo strippaggio e la concentrazione per evaporazione, ricorrono
pertanto all’uso di prodotti chimici per modificare le condizioni di pH della fase liquida contenente l’ammonio e all’uso di calore. Gli equilibri più importanti su cui lavorano le tecniche di rimozione dell’azoto
sono due:
• l’equilibrio in soluzione dello ione ammonio con la molecola di ammoniaca;
• l’equilibrio dell’ammoniaca disciolta in soluzione con quella in forma gassosa.
La tecnica dello strippaggio ricorre maggiormente all’uso di prodotti chimici o di energia termica se opera,
rispettivamente, a temperature medie o a quelle alte. In quest’ultimo caso l’impiego di prodotti chimici è
sostituito dall’uso del calore.
La scelta del sistema di rimozione dell’azoto più adeguato è principalmente legata alla disponibilità ed ai
costi specifici di questi fattori di processo oltre che alle problematiche e difficoltà generate dalla gestione
dei prodotti finali, considerandone gli eventuali costi di impiego.
Analizzando le prestazioni del sistema, in termini di rimozione dell’azoto, si raggiungono elevati livelli solo
se si ricorre all’uso di alte temperature o se si raggiungono pH mediamente alcalini. Con lo strippaggio ad
alta temperatura (80°C) si raggiungono perdite di azoto ammoniacali dell’ordine del 90% corrispondenti in
media a circa il 70-80% di azoto totale contenuto nel prodotto.
Per mantenere prestazioni simili con le temperature più basse (strippaggio a media temperatura) non si
dovrebbe scendere sotto i 45°C ed è richiesto di innalzare il pH del prodotto fino a valori di 10,5.
Lo stesso risultato è ottenuto, con specifiche condizioni, nel processo di concentrazione per evaporazione.
Modificando di poco il pH del digestato (fino a valori di circa 6,5), è possibile concentrare e, quindi, rimuovere fino all’80% di azoto totale. Tuttavia, in termini energetici l’impegno su questo processo è molto
importante, oltre 1100 MJ/m3 di prodotto trattato (contro il massimo di 500 MJ/m3 dello strippaggio), mentre, confermando quanto visto nel caso dello strippaggio, si riduce l’impatto chimico.
Trasferendo i ragionamenti su un piano anche economico l’elemento su cui ruotano le decisioni di scelta è
rappresentato dalla disponibilità e dal costo del calore. Questi fattori, ad esempio, possono presentarsi particolarmente favorevoli nei casi in cui il sistema può recuperare calore dal cogeneratore di un impianto di
biogas (probabilmente presente nel caso di prodotti di digestione anaerobia).
Nelle ipotesi dello scenario B, relativi all’analisi economica, in cui il calore è stato considerato con costo
nullo, la convenienza del sistema di concentrazione è evidente (costo inferiore ai 3 €/m3 di prodotto trattato). Viceversa, tale soluzione si colloca su costi eccessivi e al di fuori di qualsiasi ragionamento di proposta di impiego (oltre i 25 €/m3).
Anche nell’ambito dei sistemi di strippaggio la scelta è condizionata dalla disponibilità e dal costo dell’energia termica. Nelle condizioni favorevoli lo strippaggio ad alta temperatura è più economico rispetto alla
media temperatura, presentando comunque un costo doppio rispetto alla tecnica di concentrazione.
L’uso di prodotti chimici, di fatto, rende poco dipendenti dall’impiego del calore e stabilizza il costo di trattamento tra 8-15 €/m3 di digestato.
All’interno di queste sintetiche valutazioni rimangono aperte una serie di questioni tecniche. Tra queste:
• la problematica del recupero del digestato basico nel trattamento di strippaggio a media temperatura: su
questo aspetto il progetto apre alla possibilità di impiegare CO2 per abbassare il pH del materiale. In linea
teorica, l’anidride carbonica può essere potenzialmente recuperata dallo stesso biogas (se trattasi di
impianto di digestione anaerobica) effettuando al tempo stesso un’azione grezza di pulizia del gas;
• il reimpiego del solfato di ammonio: nel progetto non sono state affrontate le problematiche tecniche del
71
possibile recupero e reimpiego come prodotto da concimazione. Dalle prime esperienze sull’impianto
pilota, emergono dei dubbi relativi al grado di purezza del materiale. Il prodotto che ne deriva in genere
risulta contaminato da sostanze volatili prodotte, soprattutto, nel caso di processi ad alta temperatura. A
questo si aggiunge anche la questione relativa alle modalità di gestione del materiale con tecniche facilmente trasferibili nell’ambito delle aziende agricola;
• le possibilità di compostare il concentrato;
• l’uso di potassa: in sostituzione della soda, diventa una soluzione da considerare per consentire di distribuire in campo il digestato trattato disturbando meno gli aspetti della salinità dei terreni. Si ricorda, tuttavia, che la potassa a differenza della soda presenta costi unitari superiori;
• miglioramento delle efficienze: la riproduzione di processi su impianti pilota e su dispositivi in piccola
scala rende meno accurata la valutazione degli indici relativi ai bilanci di massa ed ai bilanci energetici.
Esportando i processi su scala maggiore e dimensionando opportunamente alcuni componenti dell’impianto e fattori operativi si ritiene ci sia un sensibile margine di miglioramento delle efficienze. In particolare, si è del parere che sia possibile ottimizzare con più cura le condizioni di temperatura del materiale da trattare, il pH ed i livelli delle portate dei fluidi di processo.
Nella Tabella 27, infine, vengono riportate alcune considerazioni di sintesi.
Tabella 27 - Considerazioni di sintesi.
Fase del processo
o aspetto caratterizzante
STRIPPAGGIO
Processo a 45° C
Pretrattamento
del digestato
Costo dell’energia termica
Gestione dei prodotti
chimici
Post- trattamento
del digestato
Processo a 80° C
CONCENTRAZIONE
È necessario rimuovere i solidi sospesi
Poco influente
Poco influente
Molto influente
Complessa per
quantità e tipologia
Ridotta
Ridotta
Nessuna in particolare
Necessaria la stabilizzazione
del concentrato
Necessaria la
riduzione del pH
72
Quaderni della ricerca
9 Riferimenti bibliografici
1. S. Piccinini, C. Fabbri, D. Sassi, Centro Ricerche Produzioni Animali, Reggio Emilia. “Azoto nei liquami, i metodi per rimuoverlo”. Supplemento suinicoltura n.11-2007 [24-32]
2. U.S. Army Corps of Engineers, D.C. 20314-1000
3. Ju-Chang Huang and Chii Shang. “Air stripping”. Advanced Physicochemical Treatment Processes,
ISBN 978-1-59745-029-4 Humana press [47-79], 2007
4. G. Moscatelli, C. Fabbri, Centro Ricerche Produzioni Animali, Reggio Emilia. “ Strippaggio, tecnica
efficiente per l’abbattimento dell’azoto”. L’informatore agrario n.18/2008 [45-50]
5. New Mexico Environment Department, “Wastewater Systems Operator Certification Study Manual”
November 2007 [13.1-13.11]
6. F. Malpei, R. Canziani, E. Ficara, DIIAR Sezione ambientale-Politecnico di Milano. “Rimozione dell’azoto dal digestato. Tecnologie convenzionali ed avanzate”. Gennaio 2008.
7. S. Nuvoli, L. Calistri, A. Masoni. ARSIA- Regione Toscana, 2007. “L’applicazione della direttiva nitrati in Toscana”.
8. J. Casear, European Commission DG Environment Unit Agriculture, Forests and Soil “Nitrate directive implementation. Status in Europe” September 2007.
9. J.M. Alvarez, 2007. “Operation and model description of advanced biological nitrogen removal treatments of highly ammonium loaded wastewaters”.
10. G. Provolo, E. Riva, S. Serù. Regione Lombardia, Università degli Studi di Milano - DIA, ERSAF
(Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste). Quaderni della ricerca n. 93 - Gestione e
riduzione dell’azoto di origine zootecnica. Settembre 2008.
11. http://www.crpa.it/media/documents/crpa_www/Progetti/Seq-Cure/Documentazione/Deliverable06.pdf
CRPA, 2006. Consultato il 07/01/09
12. August Bonmatí i Blasi, 2001. “Thermal energy uses for the improvement of pig slurry anaerobic digestion and the recovery of useful products”.
13. Riva, 2008. (appunti sulle tecnologie di evaporazione)
14. Servicios de Gestion Tecnologica, ACE Corporacio. Commisio Medi Ambient. Febbraio 2006.
73
Progetto grafico e stampa:
Tipolitografia Trabella S.r.l.
20068 Peschiera Borromeo (MI)
Via Liberazione, 65/7 - Tel. 02 5470533