Amanita muscaria, di Giovanna Nuvoletti
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Amanita muscaria, di Giovanna Nuvoletti
AMANITA MUSCARIA 5 continuazione racconto di Giovanna Nuvoletti - 24 maggio I bimbi, tutti stretti nel retro delle due jeep, parevano mazzi di fiori coloratissimi e traboccanti. No, sua figlia no, lei, sulla camicetta smerlata, portava solo un maglioncino grigio - e jeans blu con bottoni e bretelle. Ma gli altri! Trecce bionde sfoggiavano fiocchi fucsia o turchese, testoline a spazzola issavano cappellini verdi decorati da penne di gallo cedrone. Le piccole romane sfoggiavano dindrl di cotone rosa e celeste come vere ampezzane. Mettersi in mostra così, nella valle! Mentre i maschietti romani, figli di banchieri e costruttori, portavano gilet di lana cotta e knickerbocker di pelle. In maschera anche loro. I milanesini e le milanesine erano eleganti, da veri milanesini in vacanza, senza folklore ma con il loro piccolo aplomb, tradotto in maglioncini di cashmere blu carta da zucchero o rosso scarlatto. Le due contessine veneziane sembravano statuine di biscuit gialline e verdine. Il carico delle jeep si trasformò all'improvviso in nidiate frastornanti. I cinguettii si levarono al cielo azzurro porcellana, decorato di piccoli cirri spettinati e candidi. Vocine eccitate si intrecciavano: si parte, si parte! Andiamo a Dobbiaco a vedere i crucchi. Faremo gli scherzi ai crucchi e alle mucche. Gli autisti in divisa stavano per salire e mettere in moto. Le tate issavano panieri di Gucci carichi di merende. Le altre madri e padri cominciavano a sistemare i loro eleganti vizi e le arroganti virtù sui sedili imbottiti. Ginevra si allacciò il golf sul petto e il fazzolettone di cotone sotto il mento, e salì a bordo, dietro alla sua Edda. La jeep viaggiava tra due ali di montagne incombenti, nella valle stretta e un po' triste, che porta da Cortina a Dobbiaco, cambiando del tutto paesaggio, luce, e regione. Ginevra girava la testa a destra e sinistra, assorta. Oltrepassarono la strada per andare su a Ra Stua, il rifugio gioioso delle passeggiate eroiche, il ruscello, i fiori, le zuppe, la valletta dorata. Passò l'aeroporto abbandonato, dove Mario era caduto col suo Piper, bruciato tra le fiamme. Ricordò l'immensa stretta al cuore, e il corteo del funerale, il paese in lacrime che aveva attraversato e riempito una Cortina assolata e attonita. E lei, giovane, che aveva camminato abbarbicata al braccio degli amici ampezzani. Da quanto tempo non passava da quella strada. Sulla destra doveva esserci il greto del torrente dove bambina era andata con la sua classe. "Mamma, sei triste?" Edda s'era girata verso di lei. "Ma no, stavo pensando, cose... Sai che da piccola, quando frequentavo la IV elementare, sono venuta qui a piantare alberi? Era il rimboschimento". "E com'è stato?" Bello. C'erano bambini in fila, con le pianticelle in mano, il sole, le maestre. L'acqua bassa scorreva incolore sulle pietre bianche. Profumo di abeti. E la sensazione di avere un ruolo di grande importanza nella società, un sentirmi bene, per una volta, una bambina sana e utile. Sorrise alla figlia: "bellissimo, leggero, giorno fortunato. Non sentivo dolore al petto, ero già guarita, credo... ora i nostri pinetti di allora saranno alti alti nel bosco". Edda immaginò sua madre in grembiulino rosa, piccola, seria, che piantava tutta disciplinata il suo alberello. "Un giorno mi ci porti, lì? E magari cerchiamo il tuo..." "Sì, certo, ma ho paura che ormai sarà difficile distinguerlo fra gli altri" La vita è piena di immagini, volanti, terribili e belle. Che restano. Il buio blu delle montagne pomeridiane, il verde ubriaco sui bordi dell'acqua. Cartoline delle speranze e dei dolori che bruciano. E il sentore di umido fresco nelle narici. Presto, il cartello: "DOBBIACO – TOBLACH" Risate. Ja whol. Strudel. Frei und besetz. Cartoffel... i ragazzini urlavano nel loro minitedesco. L'invasione italica del Sud Tirolo stava per cominciare. "Le mucche!" fu l'urlo. Sì, erano lì, mucche sparse pacifiche per il prato di velluto, alcune bianche e nere, altre bianche e marrone. Si lasciavano avvicinare, accarezzare dai bambini – non sapevano di che sorta di frugoletti si trattasse. Edda e la mamma scesero, tenendosi un po' discoste dal gruppo che correva in qua e in là per poi ritornare con le boccucce aperte, tanto i figli che i genitori – tutti egualmente pronti per i panini al latte ripieni di speck e cetriolini, e le torte di albicocche. "Guarda mamma, ci sono anche i funghi!" Edda indicava col ditino i primi radi abeti e larici, che davano inizio alla foresta che saliva verso il monte. Funghi, dalle grandi cappelle rosse punteggiate di bianco, si raggruppavano ai piedi degli alberi. "Guarda nel tuo libro, Edda. Non sono buoni da mangiare, dovresti saperlo". Si avvicinarono, inginocchiandosi all'ombra. "Amanite muscarie, i funghi dei gnomi e delle fate... dette anche Ovoli malefici. Ma non uccidono, fanno venire il mal di pancia e la diarrea, vero mamma?" "Leggi più avanti, anche allucinazioni e delirii..." Pian piano s'era avvicinato a loro il Duchino, il più grande dei ragazzi, quasi un adulto: "sempre sui libri eh, eddina secchioncina?" Ginevra si voltò a squadrarlo. Edda si avvicinò alla mamma. Ma il Duchino perse interesse per loro: "qui qui, amanite muscarie di ogni misura" urlò, levando le braccia steccute al cielo, sventolando il nasone, oscillando le ginocchia nei bermuda di velluto cachi "veleno, veleno, venite a vedere il veleno". Quasi tutti accorsero eccitati tranne le tre sorellastre. Ginevra, la grande, unica figlia di primo e doloroso letto, strinse la sua Edda con espressione vaga, e si allontanò. Le due piccole, le innocenti sue "sorelline" spiarono imbarazzate lo sguardo entusiasta della loro madre, bionda seconda moglie di Gabriele – il quale, come sempre, si teneva ben lontano, gli occhi azzurri alle montagne, come se null'altro gli interessasse. Le urla si levarono intorno ai funghi. Veleno, veleno. Il Duchino sbottò in una genialata. "Diamoli alle mucche, vediamo se le mangiano..." Mangiarono subito, e non morirono stecchite sul colpo. La banda di eleganti dementi si consolò – faranno un latte velenoso – che ridere – la val Pusteria intera che si tiene la pancia. E come no? Sorrisero Edda e Ginevra, allontanandosi nel bosco ancora un po', sfogliando insieme il loro manuale. Te li vedi i tirolesi che le lasciano pascolare tranquilli in questo prato. Mica sono scemi? "Le mucche saranno immuni dalla famosa e terribile sindome panterinica , che dici, mamma?" Rispose allegra Ginevra, scrutando fra le pagine illustrate: "e tra omaso e abomaso neutralizzeranno acido ibotenico, muscimolo e anche muscazone! Che quindi non passeranno nel latte". Ridacchiarono fra loro, e del gruppo di asini ricchi che stavano aspettando delirio e convulsioni nelle pazienti bovine. Ginevra si sedette, guardò da lontano suo padre che carezzava la nuova moglie giovane polposetta e ricciuta, e le loro due figlie. Edda vide lo sguardo. Dai mamma, pensò, le mie ziette non sono cattive. E anche il nonno Gabriele, in fondo, vuole bene anche a noi. In fondo. E poi noi siamo molto e molto ma molto più belle; qui a Cortina me lo dicono tutti. Lo pensò, ma tacque. "mamma, dammi il libro, che vado più su a studiarmi un po' di micologia" Edda non tornava. Ginevra spinse lo sguardo nel bosco, tra ombre e chiazze di sole. Dietro a un cespuglio di mirtillo intravide spuntare le gambette vestite di blu chiaro, e gli scarponcini camoscio di sua figlia. In quattro sgambate la raggiunse e la scoprì inginocchiata accanto a un gruppo di piccoli funghi, il libro aperto al capitolo delle amanite, un dito su una figura. Edda girò la testa. "Mamma, guarda, la morte". E le indicò col dito un fungo verdognolo, snello, con un bel cappellino a ombrello e il gambo bianco. Intorno erano sparsi altri più piccoli, ancora chiusi, graziosi come ovetti di un uccello sconosciuto. "Tignosa verdognola," la indicò Edda. "Ho letto che si chiama anche amanita falloide. Dicono, sicuramente mortale". Madre e figlia si tenevano discoste dai funghi, occhieggiandoli in tralice, e poi confrontandoli con le fotografie del libro. Uno, due, uno due. Sì. Cappello liscio, quasi serico – a guardarlo, ma a toccarlo, chissà, lamelle bianche, alte, gambo con venature. "Anello cadente a fazzoletto sul gambo!" Sì, anche quello. Edda si abbassò come per annusare, la madre la scostò brusca, si chinò pianissimo, prudentissima, e annusò senza sfiorare: "e ha un vago sentore di miele". Si allontanarono, sempre in ginocchio, e continuarono a sbirciare la amanite in silenzio. Ammirazione, paura, grandezza perfino. Aggiunse la madre: "ne basta un frammento, una briciola". Ambedue sospirarono, insieme. E poi, Ginevra, ancora: "mettono soggezione, a pensare quanto sono potenti". Angelo della morte. Che bel nome. Anche ovolo bastardo, perché da piccolo sembra proprio una Amanita Cesarea, l'ovolo buono che si mangia in insalata con sedano e grana. "Mamma, mi sembra di guardare il diavolo. Mi sembra persino che mi guardi con malignità". Ma i funghi non guardano nessuno, nemmeno i più velenosi. Dal basso arrivarono voci, richiami. Sì sentì il rumore del motore delle jeep che si riscaldavano. Una breve corsa, e si ritrovarono nella piccola folla di gitanti che si apprestavano a ripartire. Edda osò: tirò per la manica quello sbrindellone del Duchino e gli sorrise malvagia. "Allora, non ne avete ammazzata neanche una di mucca, vedo!" Ohibò. Dopo una lunga e nasuta riflessione le venne risposto, con sussiego: "beh, sono ancora tutte in piedi... ma questa sera i dobbiachesi, dobbiacensi, dobbiachini, dobbiacosi, come si chiamano, si disferanno dalla caccarella. Urla belluine si leveranno dalle loro malghe". E ghignò, con la bocca enorme, come lo stregatto astratto. Edda e la mamma se la ridevano sotto i baffi. Il ritorno fu silenzioso. La lunga, triste luce blu delle montagne si stava ancora una volta chiudendo, stendendosi sopra la valle stretta, coprendo la corsa delle due jeep. Il cielo in alto era ancora azzurro, con le sue macchiette bianche di cirri. Le cime delle vette erano del loro rosa bruciante, tra oro e fucsia, aguzze e lontane in un inarrivabile tramonto. I bambini erano stanchi e tacevano – nascondendo la poca voglia di tornare nelle loro splendide case. Alcuni adulti si beavano di "name dropping e oral sold spending”, come sussurrò buffonesca nell'orecchio della figlia Edda, Ginevra, la contestatrice. E li ascoltarono compunte. "Ieri ero in Faloria con i Serbelloni e gli Sforza..." "questo cachemirino? Da Bardelli, un duecentomila, neanche tanto" "hai skiato con il maestro Micia? E' sublime!" Che pirli, pensava la piccola Edda, godono come furetti di altrettante scemenze. Noi ci occupiamo di ben altro. Si strinsero le mani, si avvicinarono, Edda poggiò la testa sulla spalla della mamma. Guardavano davanti a loro, sul sedile anteriore, le teste del rispettivo nonno e padre Gabriele, della sua seconda moglie vezzosa, delle piccole sorelle/ziette, che sobbalzavano insieme per l'ingresso delle macchine sulla sassosa sterrata. Noi abbiamo un segreto, pensò Edda. Abbiamo un segreto, pensò Ginevra. Abbiamo guardato la morte da vicino, negli occhi verdastri. Abbiamo visto la sua carne bianca. E nemmeno una briciola ne abbiamo staccato.