Evenett, Jenny - Funzione Pubblica Cgil

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Evenett, Jenny - Funzione Pubblica Cgil
EVENETT E JENNY
Simon J. Evenett e Frédéric Jenny *
SALVATAGGI:
COME SCORAGGIARE
LA GUERRA DEI SUSSIDI
D
urante l’attuale crisi economica globale molti governi dei
paesi industrializzati hanno preso le distanze da misure
apertamente protezionistiche, come il ricorso a dazi
doganali e quote, offrendo invece pacchetti ‘di salvataggio’ che
hanno comportato da parte dello Stato la concessione di somme
considerevoli per finanziamenti e garanzie ai settori bancario,
assicurativo e automobilistico, per citarne alcuni. Ciò riflette in
parte il venir meno del credito che gli intermediari finanziari
internazionali concedevano gli uni agli altri e al resto del settore privato. Tuttavia, con l’aggravarsi della crisi, la logica di queste manovre di salvataggio è passata dalla difesa del sistema dei
pagamenti (che riguardava l’economia nel suo insieme) a iniziative settoriali con l’obiettivo di combattere la perdita di posti di
lavoro e di garantire la solvibilità di alcune imprese. Qui si mette
in dubbio la bontà di tale passaggio, soprattutto perché l’effetto
(se non l’intento) discriminatorio di queste operazioni di salva-
*
© Centre for Economic Policy Research 2009 (e-mail: [email protected];
website: www.cepr.org). Con il titolo Bailouts: how to discourage a Subsidies
War, questo saggio è stato pubblicato alle pp. 81-85 del volume The Collapse of
Global Trade, Murky Protectionism, and the Crisis: Recommendations for the G20,
A VoxEU.org Publication, London 2009.
«Quale Stato» ringrazia l’editore e gli autori per l’autorizzazione a tradurre
e pubblicare. È vietato qualunque uso commerciale della presente traduzione
italiana.
Simon J. Evenett è docente di commercio internazionale e sviluppo economico, nell’Università di San Gallo (Svizzera), e direttore del programma di
scambi internazionali e economia regionale presso il Centro di ricerca di politica economica (CEPR).
Frédéric Jenny è professore di Economia all’ESSEC, Business School (Parigi,
Singapore), presidente del Competition Committee dell’OCSE e giudice della
Corte di Cassazione francese.
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taggio potrebbe scatenare tra i governi una dispendiosa ‘guerra
dei sussidi’.
L’obiettivo sistemico dei salvataggi iniziali
Negli ultimi dodici mesi sono state due le ragioni che hanno
determinato l’implementazione delle operazioni di salvataggio.
La prima. L’entità stessa delle perdite totali legate al possesso di assets basati sui mutui ipotecari (stimate nell’ordine di
5000 miliardi di dollari) e di altri strumenti finanziari, ha suscitato preoccupazioni sui rischi di insolvenza delle controparti e,
quindi, delle banche. Per prevenire un assalto alle banche da
parte dei correntisti – assalto che avrebbe potuto in ultima
istanza compromettere la solvibilità dei sistemi nazionali di
pagamento da cui dipende la sopravvivenza delle economie
monetarie – si è ritenuto indispensabile offrire a queste un
sostegno finanziario.
La seconda. La distruzione di ricchezza nel settore finanziario ha colpito anche l’economia reale. La riduzione dei valori
azionari e il crollo dei prezzi delle case hanno fatto diminuire
la capacità di liquidità degli investitori e dei pensionati che
vivono dei loro portafogli azionari e obbligazionari. Le banche
con i bilanci traballanti e le istituzioni finanziarie hanno meno
capitale d’esercizio da prestare. Questo ha inciso ulteriormente sull’economia reale, facendo diminuire gli acquisti di beni e
servizi da parte dei consumatori e gli investimenti da parte
delle imprese che usano il credito per finanziare la loro crescita. Inoltre, la maggiore incertezza sul futuro (in particolare, la
prospettiva della disoccupazione) ha generato una riduzione
delle spese dei consumatori e degli investitori contrari al
rischio. Messi insieme, questi effetti hanno conseguenze sistemiche. Molte imprese si sono trovate a dover affrontare una
doppia compressione: delle vendite, e delle fonti del capitale
d’esercizio. Di conseguenza si sono intensificate le pressioni per
ridurre il personale e tagliare i livelli di investimento. In queste circostanze non ci si può realisticamente aspettare che i
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governi limitino gli interventi di salvataggio alle banche,
quando altre grandi imprese rischiano la bancarotta e le file dei
disoccupati si allungano.
Così è accaduto che i governi, attraverso interventi separati
e in pacchetti di stimolo, abbiano offerto sussidi alle banche e
alle imprese commerciali. Questi sussidi hanno assunto molte
forme. Ad esempio, alcuni sono consistiti in pagamenti diretti
alle imprese, senza aggiungere alcuna clausola. Alcune delle
condizioni previste riguardano i livelli di produzione e occupazione, l’operato delle consociate straniere, i compensi destinati
ai dirigenti. Nel settore automobilistico, secondo quanto riferito
recentemente dai media, l’Italia e la Spagna avrebbero intenzione di seguire l’esempio della Francia, subordinando l’aiuto finanziario all’impegno di mantenere i livelli di occupazione nel
paese. L’Italia avrebbe anche chiesto che il suo sostegno finanziario ai produttori automobilistici sia usato per pagare puntualmente i fornitori 1.
Altri sussidi hanno riguardato il finanziamento delle imprese 2, comprese le garanzie sui prestiti, l’accesso a tassi di interesse inferiori al mercato, e politiche miti in caso di default.
Un’altra importante forma di sussidio riguarda i salari e l’occupazione. La Germania, ad esempio, sovvenziona i salari di più
di 250.000 lavoratori cui la crisi impedisce di lavorare a tempo
pieno. Infine, nei pacchetti di stimolo sono state incluse misure di particolare interesse per un dato settore, riguardanti la
tassazione e la spesa.
1
Vedi: EU and France Case Protectionism Row on Summit Eve, Agenzia
«France Press», 28 febbraio 2009.
2
Ad esempio, il governo britannico avrebbe chiesto ai beneficiari del suo
‘Schema di protezione degli asset’ (Asset Protection Scheme) destinato alle banche di ‘impegnarsi’ a concedere più prestiti a coloro che hanno mutui ipotecari nel Regno Unito e alle piccole e medie imprese. Vedi: The Biggest Insurance
Policy in History, in «The Independent», 25 febbraio 2009. Analogamente, il
governo australiano starebbe creando un fondo di 4 miliardi di dollari australiani per assistere gli investitori in imprese commerciali che non possono rifinanziare i debiti esteri quando giungono a scadenza (vedi: Homeward Bound, in
«The Economist», 7 febbraio 2009).
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Il danno arrecato dai sussidi
dentro e fuori i confini nazionali
Ciò che rende i salvataggi un veicolo così funzionale a una
forma opaca di protezionismo è che, in determinate circostanze, certi sussidi possono migliorare la performance dell’economia nazionale e l’allocazione delle risorse. Una condanna dei
sussidi a tutto campo sarebbe dunque inappropriata. Il punto
critico consiste nel modo col quale i funzionari pubblici utilizzano la discrezionalità di cui godono per decidere i salvataggi, e nel rispetto, durante la crisi, dei principi (elaborati
dagli economisti nel corso degli anni) utilizzati per la strutturazione di sussidi efficaci. La combinazione forte di interessi
privati e imperativi politici può fare sì che questi principi vengano ignorati nella strutturazione delle operazioni di salvataggio e che, con una opinione pubblica poco informata, i beneficiari degli aiuti possano comunque sostenere che quei principi sono stati applicati.
I sussidi possono produrre tre tipi di effetti negativi. In
primo luogo, essi possono produrre una distorsione sugli
incentivi dell’impresa che li riceve. Se le imprese si aspettano
di ricevere un sussidio in caso di esito negativo, è meno probabile che esse si facciano carico del costo necessario a impedire una performance inferiore allo standard. Allo stesso modo,
diminuisce per loro l’incentivo a ristrutturare e a diventare
più efficienti. La mera aspettativa di un salvataggio può incidere negativamente sulla competitività dei costi e sulla crescita della produttività.
In secondo luogo, quando alcune imprese percepiscono sussidi – e altre che operano nello stesso mercato non li percepiscono – le imprese che ricevono i sussidi godono di un vantaggio
artificioso. La competizione non è più solamente ‘sui meriti’
(prodotti o servizi di qualità, contenimento dei costi, ecc.), e i
concorrenti più efficienti possono subire una contrazione e, al
limite, abbandonare l’impresa. Le imprese possono anche usare i
sussidi che ricevono per mettere in campo pratiche anticompe-
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titive come il ricorso al ‘prezzo predatorio’ a, o per finanziare
acquisizioni atte a ridurre la competizione.
Un terzo problema legato ai tanti sussidi consiste nel fatto
che essi incidono solo indirettamente sull’obiettivo finale stabilito dal governo. Se la vera preoccupazione dello Stato è la perdita di posti di lavoro, allora i sussidi ai costi di produzione o un
ridotto costo del credito influenzeranno le decisioni relative
all’occupazione solo attraverso il loro impatto su altri aspetti
della prestazione d’impresa. Il miglior sussidio è quello che agisce direttamente sulla specifica decisione del settore privato in
questione (in questo caso l’occupazione), e non ha effetti a catena su altre decisioni di natura commerciale. Dunque, non si tratta semplicemente di fare ricorso ai sussidi, ma va scelto il tipo
giusto di sussidio.
Peggio: molti salvataggi recenti
discriminano le imprese straniere
Sono sempre più numerose le evidenze che dimostrano che
molti sussidi e salvataggi varati negli ultimi mesi discriminano le
imprese straniere, o comunque le consociate di imprese che
hanno all’estero il loro quartier generale. Questo non significa
che ogni salvataggio mette ‘noi’ contro di ‘loro’; in effetti, alcuni salvataggi hanno discriminato tra imprese dello stesso paese,
nello stesso settore. Tuttavia la discriminazione verso imprese
straniere è particolarmente preoccupante, date le severe norme
internazionali che regolano l’equità di trattamento. Ancor peggio, vi sono anche evidenze che sussidi e salvataggi discriminatori stiano generando ulteriori discriminazioni da parte di altri
governi; ma di questo ci occuperemo più a fondo nel prossimo
paragrafo.
La natura discriminatoria di un sussidio o di un salvataggio
è riconducibile ad almeno due elementi: quali soggetti ricevoa
Prezzo più basso del costo di produzione, per escludere dal mercato i concorrenti, in altre parole, il dumping (NdT).
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no il trattamento favorevole e qual è la natura delle eventuali
clausole allegate. Nei casi in cui solo le imprese nazionali ricevono gli aiuti, e non i fornitori stranieri (siano essi all’estero, o
operino per mezzo di consociate nella giurisdizione che eroga il
sussidio), possiamo dire che si è verificata una discriminazione
in favore delle imprese nazionali e, probabilmente, per i clienti di queste imprese la concorrenza è stata alterata. Le clausole
allegate ai salvataggi possono anche avere altri effetti negativi
sul commercio estero. Le banche britanniche che hanno ricevuto il sostegno dello Stato sono state incoraggiate a indirizzarsi verso il mercato interno nella concessione di prestiti; questo ha destato preoccupazioni e si è parlato di ‘mercantilismo
finanziario’ 3. Un piano per fornire alle banche francesi un
sostegno per 5 miliardi di euro prevede alcune limitazioni relative alla concessione di quei fondi a linee aeree in crisi di liquidità; queste linee potrebbero cancellare i loro ordini al produttore europeo di aeroplani Airbus, o potrebbero pensarci due
volte prima di fare degli ordinativi 4.
I salvataggi vengono notati
e scatenano reazioni imitative all’estero
I decisori politici del G20 non devono illudersi di poter portare a termine i salvataggi o erogare i sussidi in segreto. Il desiderio di ottenere credito politico per aver ‘salvato posti di
lavoro’, ecc. determina una copertura mediatica che viene
notata dagli altri governi. A causa di questa mancanza di segretezza, il ricorso a sussidi discriminatori preoccupa a livello
sistemico per almeno due ragioni.
3
Vedi: Homeward Bound, «The Economist», 7 febbraio 2009. Questa edizione riferisce che nel quarto trimestre del 2008, come rivelato dai dati della
Banca d’Inghilterra, le banche britanniche hanno «bruscamente ridotto i prestiti ai clienti stranieri» (p. 69).
4
Hypocrisy hangs over EU’s growing Clamour about Protectionism, «The
Guardian», 4 febbraio 2009.
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In primo luogo, i salvataggi tendono a diffondersi a mano a
mano che i governi cercano di raddrizzare il danno arrecato alle
industrie nazionali dai sussidi discriminatori e dai pacchetti di
salvataggio messi in campo dai partner commerciali. Gli sviluppi nell’industria automobilistica mondiale, dopo l’annuncio da
parte degli Stati Uniti del salvataggio della sua industria automobilistica alla fine del 2008, esemplificano questo punto 5. Nel
gennaio 2009 la Cina ha annunciato vari incentivi fiscali e sussidi per la sua industria automobilistica e siderurgica. La Gran
Bretagna, il Canada, la Francia, la Germania, l’Italia, la Russia,
la Svezia, stanno anch’esse prendendo in considerazione, o stanno varando, interventi di salvataggio dell’industria dell’auto.
«La situazione in Europa è tale – ha osservato recentemente il presidente Sarkozy – che non si può accusare nessun
paese di essere protezionista, quando gli americani hanno
stanziato 30 miliardi di dollari per sostenere la loro industria
automobilistica» 6.
In Europa gli interventi di salvataggio dell’industria automobilistica hanno fatto discutere. Nel febbraio 2009 il presidente
Sarkozy ha dichiarato che riteneva inaccettabile che le case automobilistiche francesi salvate vendessero in Francia automobili fabbricate in altri paesi europei, e che l’accesso agli aiuti sarebbe stato
condizionato all’impegno di non delocalizzare la produzione di
auto al di fuori della Francia. Il piano di salvataggio francese da 7
miliardi di euro è stato accolto con irritazione nella Repubblica
Ceca, in Svezia e dalla Commissione europea, e ha incontrato forti
riserve in Germania. La presidenza ceca dell’UE ha denunciato il
pericolo di una ‘corsa ai sussidi nazionali’. Fortunatamente le clausole dei piani di salvataggio francesi relative all’outsourcing sono
5
Un altro esempio viene dal settore agricolo. Dopo la decisione della
Commissione Europea di reintrodurre sussidi per l’esportazione, un ministro
del governo australiano ha dichiarato che nel pacchetto di stimolo di quel
paese potevano essere inclusi aiuti aggiuntivi per i produttori caseari. Vedi:
Australia Mulls Aid For Dairy Farmers – Minister, «Dow Jones International
Newswire», 5 febbraio 2009.
6
Suspicion and Self-interest behind the Continental Rift, «The Times», 2 marzo
2009.
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state recentemente ritirate, a dimostrazione dei benefici che una
pressione di pari intensità può procurare in questi momenti difficili 7. Le guerre dei sussidi – o gare al ribasso – non solo rappresentano un potenziale peso per le casse nazionali, ma possono tradursi in
gravi errori nella destinazione delle risorse. Le imprese con ‘le
tasche più profonde’ (i sussidi maggiori) potranno resistere alla crisi
economica globale più a lungo; si prospetta così la possibilità che a
decidere quali imprese dovranno abbandonare un settore e quali
potranno rimanere sia l’accesso ai fondi statali, piuttosto che la
solidità commerciale.
In secondo luogo, la concessione di sussidi discriminatori sta
anche sconvolgendo la competizione tra paesi in via di sviluppo e
paesi industrializzati. I paesi in via di sviluppo hanno minori mezzi
finanziari a disposizione, e quindi non possono mettere in campo
salvataggi e sussidi altrettanto generosi. Nei mercati internazionali dove competono imprese di paesi industrializzati e imprese di
paesi in via di sviluppo, il fatto che le prime godano di salvataggi
e sussidi è visto sempre più come ingiusto. Questa asimmetria ha
alimentato un risentimento nei paesi in via di sviluppo che
potrebbe tradursi in misure commerciali di ritorsione e in difficoltà a concludere i negoziati commerciali in sospeso.
Che cosa può fare il G20
per evitare una guerra dei sussidi?
Un purista potrebbe voler impedire tutti i salvataggi di Stato
discriminatori. Tuttavia, dati i fattori politici sopra descritti, le
probabilità che si possa giungere a un accordo su un divieto di
questo tipo sono scarse, e ancora più scarse sarebbero le probabilità che esso venisse poi rispettato 8. Perciò conviene pensare a
Sarkozy hints at Doubts over Renewal of Barroso’s Mandate, «Irish Times»,
3 marzo 2009.
8
Il fatto che la Commissione europea abbia ammorbidito le sue regole
sugli aiuti di Stato per la durata di questa crisi è forse l’indicazione più forte
dei limiti di regole formali e vincolanti nel contenere la diffusione di salvataggi e sussidi quando i leader politici sono sottoposti alle pressioni cui sono
sottoposti oggi.
7
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meccanismi che non vietino del tutto i sussidi discriminatori,
ma li rendano tollerabili o meno frequenti. La questione importante che la comunità internazionale deve affrontare è come
ridurre al minimo le distorsioni che interventi di questo tipo
producono sul commercio e sulla competizione nei mercati
internazionali. Evitare una ‘guerra dei sussidi’ è un prerequisito.
Un punto di inizio potrebbe essere un impegno dei governi
del G20 a dichiarare gli obiettivi di ciascun salvataggio, le aspettative della sua durata, le misure individuate (comprese le clausole allegate) e la logica di questa scelta. Attraverso l’adozione
di una apposita convenzione, i sussidi discriminatori dovrebbero
essere permessi solo se assolutamente necessari e tali da produrre una distorsione minima del mercato: l’onere della prova
dovrebbe essere a carico del paese che intende erogare gli aiuti.
Creando un punto fermo e incoraggiando la trasparenza, sarebbe più facile distinguere gli interventi positivi dalle misure
discriminatorie. Con una sorveglianza attiva condotta dalla
stampa, da esperti indipendenti e dagli stessi governi del G20,
sarebbero incoraggiate le pratiche migliori e si ridurrebbe la tentazione di ritorsioni.
Un approccio più ambizioso consisterebbe nel definire i tipi
di sussidio da consentire (tenendo a mente che ci sono diversi
tipi di sussidi e di metodi per destinare i sussidi), le circostanze
in cui essi potrebbero essere concessi e quelle in cui dovrebbero
essere ritirati, compreso, in linea di principio, un limite temporale sul loro utilizzo in ogni singolo caso. Questo richiederebbe
un negoziato, che inevitabilmente avrebbe bisogno di tempo.
Nel frattempo, le deliberazioni ancora in corso su questa
materia, con l’inevitabile fiume di articoli di stampa, riveleranno le proposte di nuovi salvataggi, e potrebbe seguirne una pressione di pari intensità. Nella formulazione delle convenzioni, la
vasta esperienza della UE sugli aiuti di Stato – con il suo dibattersi tra convenienza politica e principio economico – potrebbe
offrire un utile punto di partenza per questa deliberazione. Senza
dubbio l’esperienza di altri paesi nella concessione di sussidi, e
nel loro ritiro, sarebbe interessante, così come sarebbe interessante la traccia del relativo accordo WTO.
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Un’altra opzione sarebbe che i membri del G20 decidessero
tutti insieme di rinunciare a imporre alle imprese beneficiarie
dei salvataggi e degli aiuti di Stato condizioni che non le incoraggino ad operare esclusivamente su base commerciale o le
incoraggino a discriminare i soggetti commerciali stranieri. Ad
esempio, non bisognerebbe chiedere ai destinatari degli aiuti di
riportare in patria i fondi dall’estero, di chiudere fabbriche e
altre strutture collocate all’estero, incidendo così su decisioni
relative all’outsourcing, e di licenziare per primi i lavoratori stranieri. Si noti che questa proposta non vuole impedire l’imposizione di qualunque condizione da parte dello Stato ai destinatari degli aiuti finanziari.
Le strategie d’uscita
Tenendo a mente che i salvataggi e i sussidi sembrano concentrarsi in determinati settori, il G20 potrebbe impegnarsi a creare dei gruppi di revisione per ciascuno dei maggiori settori interessati, con scadenze prestabilite (possibilmente collegate alla
tempistica di una futura ripresa economica globale). Questi
gruppi di revisione avrebbero lo scopo di incoraggiare una nuova
valutazione delle operazioni di salvataggio e della concessione di
sussidi legati alla crisi. Potrebbero poi seguire delle riduzioni
coordinate dei sussidi. Ciò offrirebbe ai paesi del G20, dopo la
crisi, delle strategie d’uscita settoriali.
Grazie a verifiche nazionali semestrali sull’efficacia degli aiuti
concessi, si potrebbero effettuare delle revisioni collettive ‘postcrisi’ per singoli settori. Ciò imporrebbe una valutazione oggettiva degli effetti di ciascun intervento nazionale e potrebbe
anche aiutare a prendere in seria considerazione misure alternative rispetto agli aiuti concessi, eliminando così l’idea che questi interventi debbano durare per sempre.
Traduzione di Marina Impallomeni
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