La libera circolazione delle persone nell`Unione europea Situazione
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La libera circolazione delle persone nell`Unione europea Situazione
La libera circolazione delle persone nell’Unione europea Situazione, prospettive, ostacoli - Sommario - Introduzione..........................................................................................................................2 La nuova Unione europea a 27 .............................................................................................5 Norme transitorie dovute all’ampliamento...................................................................................... 5 Effetti delle norme transitorie sul mercato del lavoro UE ............................................................ 6 Ulteriori progressi nel processo d'allargamento .............................................................................. 8 Abolizione del permesso di soggiorno ............................................................................... 10 La trasferibilità dei diritti delle pensioni complementari ................................................... 11 La carta europea d’assicurazione malattia ......................................................................... 14 Il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali ................................ 15 Riconoscimento dei titoli di studio ................................................................................................. 16 Riconoscimento delle qualifiche professionali .............................................................................. 17 1 Introduzione Il 2006 è stato l’Anno europeo della mobilità professionale, il primo “Anno europeo” incentrato contemporaneamente su due temi di grande attualità e importanza: la mobilità e il lavoro. Prima dell’Atto Unico Europeo infatti (1987)1, la libera circolazione delle persone era un fatto principalmente economico, nel senso che implicava libertà di mobilità esclusivamente per fini di lavoro subordinato, di lavoro autonomo o in regime di prestazione di servizi transnazionali. L’evoluzione dei Trattati, in particolare l’Atto Unico Europeo (1987) ed il Trattato di Maastricht2 (1993), hanno messo in campo due nuove nozioni: - la libera circolazione delle persone, inclusi quindi gli inattivi, i pensionati e gli studenti - la cittadinanza dell’Unione, che integra e completa la cittadinanza nazionale (anche con il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali nello stato di residenza). Ora, il principio di libera circolazione riconosce ai cittadini il diritto di spostarsi da uno stato membro all’altro e di stabilirsi nello stato ospitante con la propria famiglia. Gli emigrati e i propri familiari hanno diritto allo stesso trattamento dei cittadini per quanto riguarda il diritto all’alloggio, i benefici sociali e le tasse; non è ammessa alcuna discriminazione in base allo stato di provenienza. Quanto al lavoro, esso è al centro della strategia definita nel vertice europeo che si tenne nel capoluogo portoghese a marzo del 2000 (Strategia di Lisbona). In quell’occasione i Capi di stato e di governo dichiararono di voler fare dell’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Per saperne di più: http://europa.eu/scadplus/leg/it/cha/c10241.htm Strategia di Lisbona Ora, secondo la Commissione europea, uno dei principali fattori di debolezza del mercato del lavoro europeo sembra doversi ricercare proprio nella scarsa propensione alla mobilità. In media, infatti, nell’Unione europea i lavoratori cambiano occupazione solamente una volta ogni 10,6 anni (negli Stati Uniti la media è di 6,7 anni), e anche la mobilità geografica per motivi professionali si attesta su valori relativamente bassi rispetto ad altre regioni del mondo. 1 http://europa.eu/scadplus/treaties/singleact_it.htm L’Atto unico europeo (AUE) procede ad una revisione dei trattati di Roma al fine di rilanciare l’integrazione europea e portare a termine la realizzazione del mercato interno. L’Atto modifica le regole di funzionamento delle istituzioni europee ed amplia le competenze comunitarie, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell’ambiente e della politica estera comune. 2 http://europa.eu/scadplus/treaties/maastricht_it.htm Il trattato di Maastricht sull’Unione europea segna una nuova tappa nell’integrazione europea, poiché consente di avviare l’integrazione politica. L’Unione europea da esso creata comporta tre pilastri: le Comunità europee, la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (JAI). Il trattato istituisce una cittadinanza europea, rafforza i poteri del Parlamento europeo e vara l’unione economica e monetaria (UEM). Inoltre, la CEE, Comunità economica europea, diventa semplicemente CE, ossia Comunità europea. 2 I lavoratori dell’UE hanno in generale il diritto di lavorare negli altri stati membri; nonostante ciò, meno del 2% della popolazione in età lavorativa vive in un paese diverso dal proprio. Già nel rapporto finale della “Task force sulle competenze e la mobilità”, del dicembre 2001, era stata evidenziata una mobilità geografica dei cittadini europei decisamente inferiore a quella degli Stati Uniti, con un 1,2% della popolazione per lo Spazio economico europeo e il 5,9% degli Stati Uniti. In particolare, da questo rapporto emerse che soltanto il 38% dei cittadini europei ha cambiato residenza negli ultimi dieci anni; tra questi, il 68% all’interno della stessa località, il 36% verso un’altra località della stessa regione, il 21% verso una regione dello stesso stato e soltanto il 4,4% verso un altro stato membro. È invece in crescita il flusso di pendolari “transfrontalieri”: la migrazione giornaliera è, infatti, la forma più frequente di mobilità geografica. Il problema della mobilità presenta dunque numerose sfaccettature. Tuttavia, dal punto di vista della Commissione europea, l’accento viene posto principalmente sui rapidi mutamenti che stanno interessando il mercato del lavoro globale e sulle nuove tecnologie che stanno trasformando lo stile di vita professionale e familiare dei cittadini. Queste, infatti, creano nuove opportunità, nuove abitudini ed anche nuovi posti di lavoro, ma al contempo ne modificano o addirittura sopprimono altri3. Ciò chiama direttamente in causa un altro aspetto fondamentale dell’agenda politica e sociale dell’UE: la questione dell’apprendimento, del riconoscimento delle qualifiche e delle competenze professionali, della formazione lungo tutto l’arco della vita. Trasferirsi in un altro paese comporta spesso, infatti, l’apprendimento di una nuova lingua e l’adattamento a regole, normative e requisiti amministrativi differenti. E il futuro benessere dell’Europa dipende - sempre dal punto di vista della Commissione - da come la forza lavoro sarà in grado di reagire e adattarsi al cambiamento e da quanto i lavoratori saranno in grado di sviluppare nuove capacità e adattarsi alle nuove richieste. Ma sono soprattutto le amministrazioni pubbliche che creano ostacoli alla mobilità e alla libera circolazione, poiché meno capaci delle imprese e degli stessi lavoratori a mettere in pratica la legislazione europea4. Altro appuntamento importante, il 2007 Anno europeo delle pari opportunità per tutti: anno dei diritti e della non discriminazione, della rappresentatività sociale, del riconoscimento delle diversità e del rispetto solidale. Un anno, cioè, dedicato a rendere i cittadini europei maggiormente consapevoli del proprio diritto a non essere discriminati, a promuovere le pari opportunità in campi quali il lavoro e l’assistenza sanitaria, e per dimostrare come la diversità renda l’Europa più forte. L’allargamento dell’Unione europea, la mobilità geografica, i flussi migratori, lo sviluppo degli scambi economici, sono tutti fenomeni che fanno crescere le relazioni tra culture, lingue, tradizioni e religioni differenti. Per queste ragioni, il 2008 sarà l’Anno europeo del dialogo interculturale. L’obiettivo è aiutare i cittadini europei e tutti coloro che vivono nell’Unione ad acquisire quelle conoscenze e capacità necessarie a sviluppare una cultura europea attiva e aperta sul resto del mondo, basata su valori comuni della solidarietà, della giustizia sociale e rispettosa della diversità, soprattutto nei confronti di quelle fasce di popolazione, o gruppi, socialmente e culturalmente sfavoriti o esclusi. Si tratterà quindi anche di sensibilizzare i candidati all’immigrazione in vista di una loro migliore integrazione nelle società d’accoglienza e di rafforzare il ruolo leader dell’Europa nella promozione e nella tutela dei diritti. Per saperne di più: 3 http://ec.europa.eu/employment_social/publications/2005/ke6905464_it.pdf Commissione europea, 2006 Anno europeo della mobilità dei lavoratori, Bruxelles, 2005. 4 http://www.euractiv.com/fr/mobilite/administrations-identifiees-principaux-obstacles-mobilite/article-159961 3 http://ec.europa.eu/employment_social/eyeq/index.cfm?language=IT Anno europeo delle pari opportunità per tutti http://www.interculturaldialogue2008.eu/ Anno europeo del dialogo interculturale Tale situazione si è ulteriormente complicata con il processo di ampliamento dell’Europa, che se da un lato crea un più ampio spazio di libertà, di circolazione e di scambio, dall’altro rende più evidente l’eterogeneità delle legislazioni sociali e dei sistemi nazionali di sicurezza sociale. Con conseguenze talvolta drammatiche, per i milioni di cittadini extracomunitari che migrano nell’Unione europea per ragioni di lavoro o di studio. Se la mobilità è una necessità politica dell’Unione, il peso di questi enormi cambiamenti dovrà gravare per intero sulle spalle dei lavoratori? Di chi è la responsabilità se il nostro mercato del lavoro è ancora insufficientemente mobile e competitivo? La mobilità è un diritto della persona o una necessità economica dettata dalle regole della globalizzazione? E come sono tutelati oggi i diritti di coloro che, per necessità o per scelta, scelgono di spostarsi da un paese all’altro dell’UE? Come fare fronte alle nuove forme di discriminazione e di ineguaglianza dovute agli sviluppi dei movimenti migratori, interni ed esterni all’UE? Un lavoratore che si sposta, come vede riconosciuti i propri diritti sociali e previdenziali? Come riesce a far valere in un altro stato le qualifiche, le competenze e i titoli di studio conseguiti nel proprio paese d’origine? L’Europa è riuscita ad elaborare una propria “cultura della mobilità”? Le istituzioni nazionali e comunitarie riescono a farsi carico del diritto alla mobilità e alla libera circolazione? Ecco allora che promuovere la mobilità significa soprattutto, da questo nostro punto di vista, ripensare il modello sociale europeo e costruire un nuovo sistema globale di tutela ed aiutare i lavoratori a superare i numerosi ostacoli che si frappongono tuttora ad un diritto essenziale : la piena cittadinanza dell’Unione. Per saperne di più: http://ec.europa.eu/employment_social/workersmobility_2006 Sito web dell’Anno europeo della mobilità dei lavoratori http://ec.europa.eu/eures Portale europeo della mobilità professionale 4 La nuova Unione europea a 27 L’Unione europea ha percorso un lungo cammino dal momento in cui i sei stati fondatori (Belgio, Repubblica federale di Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) facendo appello ai popoli d’Europa, si univano tra loro per fondare prima, nel 1951, la “Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio” e poi, nel 1957, la “Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e la “Comunità economica europea” (CEE). Nel 1973, con l’adesione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, gli stati membri sono diventati nove. Nel 1981 entra a far parte delle Comunità la Grecia, seguita dalla Spagna e dal Portogallo nel 1986: è una tappa importante sotto il profilo politico, per il consolidamento della democrazia nella realtà dei vari paesi, per l’aumento d’attenzione dell’Europa verso i problemi dell’area meridionale e per il vasto numero di lavoratori che, grazie a questo processo, hanno potuto cambiare condizioni di vita e di lavoro. Nel 1990, con la riunificazione delle due Germanie, simboleggiata dall’abbattimento del muro di Berlino del 1989, la Comunità europea apre le sue porte anche alla Germania Est. Nel 1995 alla neonata Unione europea aderiscono l’Austria, la Finlandia e la Svezia, con questi stati il numero dei paesi membri passa da 12 a 15. Nel frattempo l’Unione europea, che aveva preso questo nome con il Trattato di Maastricht del 1992, aveva creato sia un sistema monetario unico sia inserito nella propria agenda la politica estera e di sicurezza. L’ultimo allargamento è legato alla disgregazione del blocco sovietico, che predispose le condizioni per una nuova integrazione dell’Europa centrale ed orientale in seno all’Unione europea. Il 16 aprile 2003, ad Atene, i 15 stati membri e i 10 nuovi stati aderenti (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria ) hanno firmato il Trattato d’adesione, che ha reso formale l’integrazione di tali nuovi paesi dal 1 maggio 2004. Quest’ultimo processo d’integrazione si è completato con l’ingresso nell’unione europea di Bulgaria e Romania, reso effettivo il 1 gennaio 2007. Dopo cinque fasi d’ampliamento, l’Unione europea è quindi passata da un’entità economicopolitica (ma soprattutto economica) formata da 6 stati alla più grande unione del mondo, con 27 paesi aderenti e una popolazione totale di oltre 490 milioni di cittadini. Il processo d’ampliamento non è stato ovviamente privo d’ostacoli. L’ingresso del Regno Unito aveva ad esempio riscontrato per due volte il veto della Francia. Altre candidature non hanno invece dato luogo ad una nuova adesione: la candidatura della Norvegia (1962) è stata respinta per via referendaria nel 1972 e poi di nuovo nel 1994, quella del Marocco (1987) è stata respinta dal Consiglio europeo, quella della Svizzera (1992) è stata respinta in seguito alla consultazione referendaria svoltasi nello stesso anno. Norme transitorie dovute all’ampliamento Dopo l'ultimo ampliamento del 1 maggio 2004, i nuovi cittadini dell'UE godono in teoria dei diritti garantiti dalla legislazione comunitaria. Tuttavia, in alcuni settori sono stati introdotti dei “periodi transitori”: ad esempio, proprio i diritti connessi alla libera circolazione dei lavoratori sono stati concessi in maniera progressiva (ad esclusione di Malta e Cipro i cui cittadini non possono essere soggetti a restrizioni). 5 Secondo le disposizioni transitorie sulla libera circolazione dei lavoratori annesse al Trattato di Adesione del 2003, l’introduzione della legislazione comunitaria sulla libera circolazione dei lavoratori può essere differita per un periodo non più lungo di sette anni, suddiviso in tre fasi (2 anni + 3 + 2). La prima fase è iniziata il 1 maggio 2004 e si è conclusa il 30 aprile 2006. In questi primi due anni successivi all’adesione dei nuovi paesi, la mobilità e l’accesso ai mercati del lavoro dei vari stati membri è dipeso dalle leggi e dalle politiche nazionali dei vari stati, oltre che da eventuali accordi bilaterali; alcuni paesi hanno scelto di aprire subito e totalmente i mercati del lavoro ai lavoratori provenienti da tutti i nuovi stati membri (Regno Unito, Svezia, Irlanda), mentre tutti gli altri hanno ritenuto opportuno adottare misure restrittive (permessi di lavoro e, in alcuni casi, quote d'ingresso). Al termine di questi primi due anni successivi all’adesione, la Commissione ha presentato una relazione5, sulla base della quale verificare il funzionamento delle misure transitorie. Ciascuno degli stati membri attuali, inoltre, ha dovuto comunicare formalmente alla Commissione se intende continuare ad applicare le misure legislative nazionali anche nella seconda fase (3 anni), e in tal caso sarà ancora necessario il permesso di lavoro, o se invece intende applicare il regime comunitario della libera circolazione dei lavoratori, che consente ad ogni cittadino dell'Unione di trasferirsi e lavorare liberamente. Effetti delle norme transitorie sul mercato del lavoro UE Per valutare il funzionamento delle disposizioni temporanee, la Commissione europea ha invitato tutti gli stati membri a fornire alcuni dati nazionali sui permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’UE per motivi di riunificazione familiare, lavoro, studio e altro. I dati raccolti non sono completamente armonizzati e confrontabili, poiché la fonte e il livello di dettaglio variano da paese a paese, tuttavia è possibile formulare alcune considerazioni circa il fenomeno della mobilità dei lavoratori all'interno dell’UE allargata. In seguito all’ultimo allargamento, in quasi tutti gli stati membri, vecchi e nuovi, si è registrato un naturale aumento del numero di lavoratori provenienti dai dieci nuovi paesi (UE10). Tuttavia, l’impatto relativo (misurato dal numero di permessi rilasciati per motivi di lavoro rispetto alla forza lavoro del paese ospite) è stato quasi irrilevante dal punto di vista numerico. Nei paesi dove il fenomeno è stato un po’ più consistente (ad esempio Repubblica ceca, Germania, Irlanda, Austria) la percentuale di lavoratori venuti dai nuovi 10 paesi UE rispetto al totale della popolazione attiva oscilla tra 0,7% e 1,9%. Negli 11 paesi dove si sono avuti meno arrivi di nuovi lavoratori dell'UE-10 (tra questi l'Italia) il fenomeno è stato talmente poco rilevante che le percentuali ufficiali registrano un netto 0,0%. E pensare che il numero di permessi di soggiorno e di lavoro sopravaluta il numero effettivo di cittadini dell’UE-10 che si sono stabiliti nel paese di destinazione, dal momento che non tiene conto delle persone che ritornano al paese di origine, vale a dire i flussi in uscita e il periodo di validità dei permessi di lavoro. 5 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2006/com2006_0048it01.pdf Commissione delle Comunità europee, COM(2006) 48 definitivo, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di Adesione del 2003 (periodo dal 1° maggio 2004 al 30 aprile 2006). 6 Paese di destinazione Tipo di dati Belgio Permesso di soggiorno Repubblica Ceca Numero effettivo di lavoratori stranieri Danimarca Permesso di soggiorno Germania Permesso di lavoro Estonia Permesso di soggiorno Grecia Permesso di soggiorno Spagna Permesso di soggiorno Francia Permesso di lavoro Irlanda Numero di identificazione sociale dei permessi pubblici Italia Permesso di soggiorno Lettonia Permesso di soggiorno Lituania Permesso di soggiorno Ungheria Permesso di soggiorno Malta Permesso di soggiorno Paesi Bassi Permesso di lavoro Austria Permesso di lavoro Polonia Permesso di soggiorno Portogallo Permesso di soggiorno Slovenia Registrazione dei lavoratori Slovacchia Permesso di soggiorno Finlandia Permesso di soggiorno Svezia Permesso di soggiorno Regno Unito Domanda di registrazione WRS FONTE: Commissione europea, 2006 % Pop. attiva UE10 UE15 0,2 1.0 0,1 0,9 0.0 0.1 0.0 0.0 1.9 0.1 0.0 0.0 0.0 0.1 0.2 1.2 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.1 0.4 2.7 0,1 0.2 1.0 0.1 : 0.1 : : : 0.0 0.0 0.0 0.8 : : 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 : Vediamo in breve per quali misure hanno optato i diversi paesi: - Germania e Austria avevano adottato restrizioni attraverso un sistema di permessi di lavoro e intendono mantenerle per tutta la durata della seconda fase, ossia fino al 30 aprile 2009. - Anche Belgio, Lussemburgo e Francia avevano imposto restrizioni nella prima fase dell'adesione, con un sistema di permessi di lavoro. Nei primi due paesi tali limitazioni saranno mantenute anche nella seconda fase, ma con procedure più flessibili in alcuni settori, mentre in Francia verranno abolite gradualmente. - Spagna, Finlandia, Portogallo e Grecia hanno annunciato l'abolizione delle restrizioni imposte nella prima fase, anche in questo caso sotto forma di un sistema di permessi di lavoro. - L'Olanda aveva imposto barriere attraverso un sistema di permessi di lavoro, con procedure più flessibili per alcuni settori, e manterrà tali restrizioni almeno fino al 1 gennaio 2007. - L’Italia, aveva imposto barriere con un sistema di permessi di lavoro e di quote. In un primo tempo il governo italiano aveva comunicato il mantenimento delle medesime misure restrittive, con un aumento delle quote a 170.000 (pari al tetto stabilito per gli ingressi degli immigrati extracomunitari). Il nuovo governo insediatosi a seguito dell’elezioni tenutesi ad aprile 2006 ha optato invece per l'abolizione di ogni misura restrittiva. - Irlanda e Svezia fin dalla prima fase del processo d'adesione non hanno imposto alcuna restrizione. - Il Regno Unito ha posto fin dall’inizio come sola condizione la registrazione obbligatoria dei lavoratori. 7 Ulteriori progressi nel processo d'allargamento A ottobre del 2006 la Commissione europea ha dato il via libera all’ingresso nell’Unione europea di Romania e Bulgaria. Anche in questo caso sono state introdotte delle misure transitorie di restrizione della libera circolazione dei lavoratori, previste dai Trattati nel caso di adesione di nuovi stati, per scongiurare migrazioni di massa da parte di due paesi tra i più poveri dell’intero continente europeo e tra i più popolosi. Le barriere all’ingresso e alla libera circolazione saranno riesaminate dagli stati a tre anni dall'adesione, e in quell’occasione i governi europei potranno decidere se prolungarle di altri due anni, attenuarle o abrogarle definitivamente. Nei primi due anni successivi all'adesione della Bulgaria e della Romania, l'accesso dei cittadini di questi paesi ai mercati del lavoro degli Stati membri dell'UE-25 dipenderà quindi dalle disposizioni di legge nazionali e dalle politiche dei vari Stati, nonché da eventuali accordi bilaterali stipulati con la Bulgaria e la Romania. Alcuni Stati membri dell'UE-25 hanno dichiarato di essere intenzionati ad aprire completamente i rispettivi mercati del lavoro ai lavoratori provenienti dalla Bulgaria e dalla Romania. Altri intendono adottare misure più restrittive (permesso di lavoro) per il periodo si potranno applicare applicheranno norme transitorie nazionali. Il governo italiano, ad esempio, ha deciso di avvalersi di un regime transitorio per un periodo di un anno prima di liberalizzare completamente l'accesso al lavoro subordinato dei cittadini provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria. Solo il lavoro autonomo è privo di qualsiasi limitazione. Il predetto regime transitorio prevede l'apertura immediata nei seguenti settori: agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico; dirigenziale e altamente qualificato; lavoro stagionale. I datori di lavoro che intendano procedere all'assunzione di lavoratori rumeni e bulgari che rientrano nelle predette tipologie di lavoro dovranno rispettare gli adempimenti previsti dalla normativa vigente in materia di lavoro effettuando le ordinarie comunicazioni ai Centri per l'impiego ed ai competenti Enti previdenziali e assistenziali. I lavoratori neocomunitari dovranno richiedere la carta di soggiorno alla Questura competente, direttamente o tramite gli uffici postali. In Belgio, per fare un altro esempio, i cittadini dei due nuovi Stati membri rimangono soggetti all’obbligo di ottenere il permesso di lavoro fino al 30 aprile 2008 (scadenza prorogabile). I cittadini dei nuovi Stati membri dell’UE, comprese quindi Romania e Bulgaria, beneficiano di una procedura accelerata per il rilascio di un permesso di lavoro allorché il posto di lavoro da assegnare rientra nei settori in cui la manodopera è insufficiente. Nel quadro di tale procedura, il permesso è rilasciato entro 5 giorni dalla presentazione della domanda da parte dell’autorità regionale competente. Per poter lavorare in Belgio, i cittadini di uno dei nuovi Stati membri dell’Unione europea devono essere in possesso di un permesso di lavoro. Per ottenerlo occorre che un datore di lavoro in Belgio presenti una domanda di autorizzazione di assunzione del cittadino interessato presso l’autorità competente. Il rilascio dell’autorizzazione di assunzione al datore di lavoro comporta la concessione del permesso di lavoro al dipendente. L’autorizzazione di assunzione è concessa unicamente se non è possibile trovare sul mercato del lavoro una persona in grado di occupare il posto previsto entro un termine ragionevole, anche dopo una formazione professionale adeguata. Per saperne di più: http://www.europa.eu.int/eures/home.jsp?lang=it EURES – Il portale della mobilità professionale http://ec.europa.eu/employment_social/free_movement/docs/accession_2007_it.pdf Norme di adesione di Romania e Bulgaria 8 Fasi dell’allargamento dell’Unione europea PAESI CANDIDATURA Membri fondatori Belgio Francia Germania Italia Lussemburgo Paesi Bassi ADESIONE 1957 1957 1957 1957 1957 1957 Prima fase Danimarca Irlanda Regno Unito agosto 1961 luglio 1961 agosto1961 gennaio 1973 gennaio 1973 gennaio 1973 Seconda fase Grecia Portogallo Spagna giugno1975 marzo 1977 luglio1977 gennaio 1981 gennaio 1986 gennaio 1986 Terza fase Germania dell’Est Quarta fase Austria Finlandia Svezia (riunificazione) ottobre 1990 luglio 1989 marzo 1992 luglio 1991 gennaio 1995 gennaio 1995 gennaio 1995 Quinta fase Cipro Estonia Lettonia Lituania Malta Polonia Repubblica Ceca Slovacchia Slovenia Ungheria Bulgaria Romania luglio 1990 dicembre 1995 ottobre 1995 dicembre 1995 luglio 1990 aprile 1994 gennaio 1996 giugno 1995 giugno 1996 marzo 1994 dicembre 1995 giugno 1995 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 maggio 2004 gennaio 2007 gennaio 2007 Prossime adesioni Croazia Turchia febbraio 2003 1963 2009 (?) ? 9 Abolizione del permesso di soggiorno Il 2 maggio 2006 è entrata in vigore la Direttiva n. 38/2004 del 29 aprile 2004 (diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri)6, che sopprime il rilascio obbligatorio della “carta”, o “permesso di soggiorno”, salvo per i familiari che hanno la cittadinanza di stati extracomunitari. Questa direttiva è particolarmente importante, in quanto sancisce il riconoscimento della cittadinanza dell’Unione e sostituisce le precedenti normative comunitarie (nove direttive e un regolamento), trasponendole in un unico testo, in modo da far comprendere meglio i diritti del lavoro, degli spostamenti e del soggiorno degli individui e dei loro familiari tra i diversi stati membri. Per la prima volta, i membri di una famiglia potranno acquisire diritti autonomi di residenza in un paese, che restano validi anche in caso di decesso del familiare migrante o se il nucleo familiare si scioglie. Sarà dunque sufficiente essere titolari di un passaporto o di una carta d’identità dell’UE per decidere dove risiedere. Non occorrerà dimostrare nulla fino a tre mesi di permanenza, mentre per periodi più lunghi occorrerà provare la disponibilità dei mezzi di sussistenza, e trascorsi cinque anni sarà garantito automaticamente il diritto alla “residenza permanente”. Il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi resta però soggetto a determinate condizioni: − Esercitare un’attività come lavoratore subordinato o autonomo o seguire una formazione professionale in qualità di studente, oppure essere familiare di un cittadino dell’Unione che possa essere compreso in una delle categorie sopraindicate; − Disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello stato ospitante; − Il permesso di soggiorno è soppresso, ma lo stato membro ospitante può chiedere al cittadino un’iscrizione presso le autorità competenti entro un periodo che non può essere inferiore a tre mesi dal suo ingresso. L’attestato di iscrizione è rilasciato immediatamente attraverso la presentazione di un passaporto o di una carta d’identità validi; − I familiari di un cittadino dell’Unione che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro devono chiedere una “carta di soggiorno di familiare di cittadino dell’Unione”, valida almeno cinque anni dal rilascio; − Ogni cittadino acquista il diritto di soggiorno permanente nello Stato membro dopo cinque anni di residenza legale, purché non sia stato oggetto di una misura di allontanamento. Per saperne di più: http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/l33152.htm Direttiva n. 38/2004 del 29 aprile 2004 6 http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/l33152.htm GU CE L 229 del 29/04/2004 10 La trasferibilità dei diritti delle pensioni complementari Cosa s’intende, esattamente, per “trasferibilità (o portabilità) delle pensioni complementari”? In breve, questo termine sta ad indicare il diritto che spetta a un lavoratore, in caso di mobilità geografica o professionale, di portare con sé, completamente e senza costi aggiuntivi, i diritti pensionistici complementari maturati durante un precedente periodo lavorativo. La proposta di Direttiva europea del Parlamento e del Consiglio del 20 ottobre 20057 mira a completare il dispositivo fissato dalla precedente direttiva n. 98/49 sulla salvaguardia dei diritti a pensione integrativa dei lavoratori che si spostano all’interno della Comunità, introducendo, in particolare, norme comuni riguardo alla trasferibilità all’interno di uno Stato membro o verso uno Stato membro, di tutti i diritti a pensione acquisiti, nel caso in cui un lavoratore in uscita non sia più soggetto, nella nuova occupazione, allo stesso regime pensionistico complementare. La proposta di direttiva è diretta a ridurre gli ostacoli alla mobilità tra gli Stati membri e al loro interno, che riguardano le condizioni di acquisizione del diritto a pensione complementare, le condizioni di salvaguardia dei diritti in sospeso e la trasferibilità dei diritti acquisiti. Essa mira inoltre a migliorare le informazioni fornite ai lavoratori sulle conseguenze della mobilità sui loro diritti a pensione complementare. In sintesi, essa afferma i seguenti principi generali: - I contributi versati da un lavoratore ancor privo di diritti acquisiti nel regime pensionistico complementare non devono essere persi. Pertanto la totalità dei contributi deve essere rimborsata o trasferita. - Il lavoratore deve cominciare ad acquisire diritti a pensione complementare al più tardi a partire dai 21 anni. - Occorre ridurre il periodo d’attesa durante il quale il lavoratore non può ancora iscriversi al regime. - Occorre limitare la possibilità di stabilire periodi propedeutici, cioè periodi di iscrizione al termine dei quali il lavoratore ottiene diritti acquisiti. Tali periodi non devono superare i due anni. - Un lavoratore che si sposta non deve rischiare una diminuzione consistente dei diritti acquisiti rimasti nel regime pensionistico complementare connesso al suo precedente rapporto di lavoro. - Al fine di evitare costi amministrativi troppo elevati dovuti alla gestione di un numero consistente di diritti in sospeso di modesto valore, la proposta prevede la possibilità di non salvaguardare tali diritti a pensione, ma di procedere al trasferimento o al pagamento di un capitale che rappresenti i diritti acquisiti, qualora non superino un limite stabilito dallo Stato membro interessato. - La proposta di direttiva dispone che il lavoratore in uscita possa scegliere tra il mantenimento dei diritti nel regime complementare connesso al suo precedente rapporto di lavoro e il trasferimento dei diritti acquisiti (a meno che la nuova occupazione sia soggetta allo stesso regime pensionistico complementare, o che il regime proceda al pagamento del capitale a causa del modesto valore dei diritti acquisiti). 7 http://www.osservatorioinca.org/image/download/Pensioni_complementari_2005.pdf 11 - Il lavoratore in uscita che opta per un trasferimento dei propri diritti non deve essere penalizzato dai calcoli del valore dei diritti trasferiti effettuati dai due regimi coinvolti nel trasferimento, né da oneri amministrativi eccessivi. - Tutti i lavoratori (potenzialmente) in uscita, iscritti o meno, devo essere informati in merito alle conseguenze di una cessazione del rapporto di lavoro sui diritti a pensione complementare. - Tenuto conto della diversità dei regimi pensionistici complementari, gli Stati membri possono avvalersi di un periodo supplementare per recepire alcune disposizioni che a breve termine potrebbero risultare troppo costrittive. - Tenuto conto del profondo coinvolgimento delle parti sociali nell’organizzazione e nella gestione dei regimi aziendali o professionali di pensione complementare, la proposta prevede che gli Stati membri possano affidare loro l’attuazione della direttiva. Una volta entrata in vigore la direttiva, si procederà ad una verifica periodica per determinare come vengono applicate le sue disposizioni. Secondo la CES, Confederazione Europea dei Sindacati, questa direttiva non sarà di particolare e concreta utilità, in quanto non afferma come il lavoratore debba muoversi per salvaguardare il proprio diritto a pensione complementare; si limita ad affermare che non ci deve rimettere economicamente, ma con affermazioni piuttosto generiche. Secondo l’UNICE, Confederazione Europea Industriali, la proposta presentata dalla Commissione è per molti punti non accettabile per via dei costi aggiuntivi che verranno posti sulle imprese. Per una più accurata conoscenza della direttiva articolo per articolo, e per visionare le posizioni della CES e dell’UNICE, si consiglia di visionare l’Allegato I situato alla fine del presente dossier. La proposta di direttiva ad oggi è ancora sotto esame presso la Commissione Affari sociali e occupazione del Parlamento europeo. I 190 emendamenti proposti dai vari gruppi politici verranno discussi in aula nel primo trimestre del 2007. La relatrice stessa, la parlamentare olandese Oomen-Ruijten Ria, del PPE, pur approvando la struttura generale della proposta, ha richiesto la modifica di tre punti sostanziali: − Per quanto riguarda la condizione di acquisizione, conservazione e trasferimento dei diritti pensionistici, si chiede di spostare l’applicabilità della direttiva dai rapporti in corso ai rapporti che saranno messi in essere dopo la sua approvazione, togliendo così di conseguenza la possibilità di esenzione da parte degli stati membri (artt. 2, 6, 9). − Si chiede una migliore definizione del diritto dei lavoratori a non essere svantaggiati nel caso in cui essi mantengano diritti a sospeso. La relatrice propone di escludere ogni forma di indicizzazione paritetica a quella degli iscritti attivi, quindi si dovrebbero paragonare i diritti degli iscritti in sospeso a quelli dei pensionati (art. 5) − Si chiede la modifica delle modalità con cui si trasferiscono i diritti pensionistici. Rispetto alla proposta della Commissione europea, che dava la possibilità e l’obbligo ai lavoratori di presentare una domanda di trasferimento dei loro diritti pensionistici entro 18 mesi dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro, la modifica proposta dà la possibilità di richiedere il trasferimento dei propri diritti pensionistici fino a 6 mesi dall’accettazione di una nuova occupazione. Questa modifica è stata richiesta al fine di poter dare ad alcune categorie di lavoratori la possibilità di non perdere i proprio diritti (art. 6). 12 Diverse sono anche le richieste di modifica avanzate dal Comitato economico e sociale europeo, che pure nella sostanza aveva valutato positivamente gli obiettivi formulati dalla Commissione europea8. Visto l ̦insieme delle critiche sollevate sia dalle parti sociali europee sia dalle stesse istituzioni comunitarie, cui si sono aggiunti anche severi giudizi formulati da alcuni stati membri contrari alla proposta, è probabile che il Consiglio decida di derubricare il tema della trasferibilità delle pensioni complementari, affidandolo ad una raccomandazione piuttosto che a una direttiva. 8 Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare, Bruxelles, 20 aprile 2006. http://eescopinions.eesc.europa.eu/eescopiniondocument.aspx?language=it&docnr=589&year=2006 13 La carta europea d’assicurazione malattia Un altro importante fattore di armonizzazione che dovrebbe facilitare la mobilità delle persone e il mantenimento dei diritti individuali di sicurezza sociale è stata l’introduzione della Carta europea di assicurazione malattia. Dal 1 gennaio 2006, infatti, tutti i cittadini dello Spazio economico europeo (25 stati dell’Unione europea, più Norvegia, Islanda, Liechtenstein) e della Svizzera hanno diritto ad una carta europea per le cure sanitarie all’estero. La carta europea, che ha il formato di una carta di credito e potrà essere munita, a seconda dei paesi, di un “chip” o di una banda magnetica per la registrazione dei dati, sostituisce i seguenti formulari: - E111 e E111B, per i soggiorni turistici e di breve periodo - E128 per il distacco dei dipendenti in un altro paese - E110 per il trasporto stradale internazionale - E119 per i disoccupati alla ricerca di un posto di lavoro in un altro stato membro. Questa carta consente e darà la possibilità ai cittadini europei di usufruire di tutte le cure sanitarie in un altro Stato membro durante un soggiorno temporaneo e di essere rimborsati in tempi brevi dal proprio sistema sanitario delle cure mediche dispensate all’estero. Per saperne di più: http://ec.europa.eu/employment_social/healthcard/index_en.htm 14 Il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali Un altro tema importante legato alla mobilità riguarda il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali. L’Unione europea e il Mercato unico conferiscono ai cittadini e alle imprese un’ampia gamma di diritti e di opportunità: un cittadino può vivere, lavorare, studiare ed acquistare beni e servizi in uno qualsiasi degli Stati membri, le imprese possono produrre, vendere e fornire propri servizi in tutta l’Unione; questi sono alcuni dei diritti istituiti dal Mercato unico. E’ fondamentale sapere se un titolo di studio o una qualifica professionale siano riconosciuti da un paese all’altro e, se si incontrano delle difficoltà nel loro esercizio, dove trovare informazioni e assistenza e come effettuare un ricorso. Uno dei principali ostacoli per coloro che desiderano spostarsi da un settore all’altro del mercato del lavoro, lavorare o frequentare scuole in un altro paese dell’Unione europea consiste nella difficoltà di vedere riconosciute e accettate queste proprie qualifiche e competenze9. Un passo importante in tal senso è stato compiuto con la Dichiarazione di Copenaghen del 30 novembre 2002, adottata in occasione di una riunione organizzata dalla Presidenza danese, alla quale hanno assistito le parti sociali europee, confermando il loro impegno e l’importanza del loro ruolo nella promozione della cooperazione in materia di istruzione e formazione professionale. La volontà espressa dalle parti costituisce un’importante sfida ai sistemi europei di istruzione e formazione professionale e a tutti gli attori coinvolti: “promuovere un’Europa fondata sulla conoscenza e provvedere affinché il mercato del lavoro europeo sia accessibile a tutti”10. Gli Stati membri, le parti sociali e la Commissione hanno quindi avviato una cooperazione sui diversi tavoli finalizzata al raggiungimento di alcuni primi risultati concreti: - Un quadro unico per la trasparenza di competenze e qualifiche (che riunisce anche in un unico formato europeo strumenti quali il Curriculum Vitae europeo e i supplementi ai certificati e ai diplomi); - Un sistema di trasferimento dei crediti per l’istruzione e la formazione professionale, vale a dire un sistema incentrato sullo studente e basato sul carico di lavoro richiesto ad ognuno per raggiungere gli obiettivi di un corso di studio, rendendo i programmi facili da leggere e comparare in tutti gli Stati; - Principi comuni in materia di istruzione e formazione professionale per garantire maggiore compatibilità tra i paesi; - Orientamento professionale permanente, per consentire ai cittadini di fruire di un migliore accesso all’apprendimento durante tutto l’arco della vita. 9 http://www.cimea.it/portal/page/categoryItem?contentId=2834 CIMEA, Seminario sul riconoscimento dei titoli, 2-3 ottobre 2003. 10 http://ec.europa.eu/education/copenhagen/index_it.html 15 Per facilitare l’armonizzazione e il reciproco riconoscimento dei titoli e delle qualifiche, è stata creata nel 1984 una rete di Centri nazionali di informazione sul riconoscimento accademico degli Stati membri dell’Unione europea, denominata NARIC. Questi centri forniscono pareri e informazioni in materia di riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio effettuati all’estero. L’unità italiana è il CIMEA, servizio della Fondazione Rui con sede a Roma11. Riconoscimento dei titoli di studio Per quanto riguarda i titoli di studio, i primi concreti passi avanti si sono avuti con l’avvio del cosiddetto processo di Bologna (1999), ossia il percorso che i Ministri dell’istruzione superiore dei paesi europei si sono impegnati a seguire per costruire lo spazio europeo dell’istruzione superiore, integrato a quello della ricerca. Nella realtà, le procedure da seguire per ottenere il riconoscimento di un diploma in un altro paese dell ̦UE sono purtroppo più complicate di quanto non appaia dalla pubblicistica e dalla documentazione ufficiale e, soprattutto, gli esiti sono spesso incerti. Per fare un esempio pratico, poniamo il caso di un laureato italiano residente in Belgio che voglia ottenere il riconoscimento del proprio titolo di studio per esercitare la professione di insegnante in una scuola superiore francofona. Benché all ̦apparenza le informazioni riguardanti la procedura da seguire si presentino sufficientemente chiare, per quanto complesse, il candidato si troverà presto a doversi muovere in un labirinto inestricabile d ̦ostacoli, soprattutto se la sua laurea è vecchia di qualche anno, ad esempio degli anni ottanta, o se comunque è stata conseguita con il vecchio ordinamento. I criteri su cui si basa il Ministère de la Communauté française de Belgique, che è l ̦istituzione competente per l ̦educazione e l ̦insegnamento sono i seguenti: − condizioni di accesso alla formazione universitaria nel paese d ̦origine − durata della formazione universitaria − volume orario della formazione − contenuti della formazione (compresi tirocini, laboratori, tesi finali, ecc.) − risultati ottenuti per ciascuna prova − accreditamento dell ̦istituzione che ha rilasciato il titolo di studio − valore legale del diploma nel paese d ̦origine Tutti queste informazioni devono essere quindi prodotte e presentate dal candidato attraverso una serie di documenti, tra cui: 1. una copia conforme del diploma di laurea 2. una traduzione del diploma stesso, con l ̦indicazione del voto finale, effettuata da un traduttore “giurato“ abilitato in Belgio 3. un’attestazione di tutti gli esami sostenuti, con l ̦indicazione del voto finale 4. una traduzione di tale attestazione, sempre effettuata da un traduttore “giurato“ abilitato in Belgio 5. un programma ufficiale e dettagliato degli studi effettuati, che descriva per ciascun esame: argomenti del corso, durata in ore, voto finale 6. una traduzione giurata del programma di cui sopra 11 http://www.cimea.it 16 7. un certificato dell ̦università che attesti che il titolo di studio di scuola superiore con cui il candidato si era all’epoca iscritto all’università dà effettivamente accesso agli studi di livello universitario… 8. una traduzione giurata anche di quest’ultimo certificato 9. una copia della tesi finale 10. un riassunto di alcune pagine in francese della tesi 11. oppure, a seconda della disciplina, una traduzione “integrale“ della tesi stessa in lingua francese… Intanto, c ̦è da dire che tra tasse, traduzioni giurate e ottenimento dei documenti dall ̦Italia, la procedura può comportare un costo non proprio irrilevante. Se per maggiori ragguagli ci si rivolge al competente ufficio del Consolato italiano, per risparmiare gli verrà probabilmente proposto di provvedere da solo alle traduzioni e di farle poi certificare dal traduttore del Consolato stesso. Ma il Belgio non accetterà la traduzione siffatta poiché non accreditata - come richiesto - da un traduttore giurato in Belgio… Ma la difficoltà maggiore s’incontrerà al momento di richiedere alla propria università i certificati di cui ai punti 5 e 7. Per quanto riguarda il programma dettagliato degli studi, che descriva anche l’argomento di ogni esame, questo esiste infatti in Italia soltanto per le lauree del nuovo ordinamento che abbiano adottato il “diploma supplement”, introdotto per la prima volta in Italia a seguito del DM 509/99 in materia di autonomia didattica degli atenei. Il certificato dell ̦università italiana che attesti che “il titolo di studio di scuola superiore con cui il candidato si era all’epoca iscritto all’università dà effettivamente accesso agli studi di livello universitario“ provocherà invece l’ilarità della segreteria studenti, poiché sembrerebbe logico che se il candidato ha conseguito una laurea vuol dire che il suo diploma dava accesso a questo tipo di formazione… È curioso però che entrambi i documenti vengono richiesti dall ̦università italiana per il riconoscimento degli studi universitari degli studenti stranieri… Ma per fortuna che c’è il NARIC, ossia la “Rete di Unità designate in ogni paese e coordinate dalla Commissione europea, che dal 1984 hanno il compito di fornire, alle istituzioni e ai cittadini, informazioni sulle qualifiche accademiche, di facilitare il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio all’interno dell’Unione europea e di favorire così la mobilità”. Il NARIC conosce queste difficoltà, e sa anche che il Belgio ne è a conoscenza. Le due istituzioni però non sono autorizzate a mettersi in contatto tra loro su richiesta di un cittadino… Per concludere, se alla fine il nostro laureato riesce ad introdurre la propria domanda in Belgio, deve tenersi pronto a tre possibili esiti: − la domanda viene respinta, e il candidato può presentare ricorso − la domanda viene accettata, e il candidato può esercitare la professione alle medesime condizioni di un cittadino belga − l’accettazione della domanda viene subordinata al superamento di un certo numero d’esami universitari presso un’università belga. Per saperne di più: http://www.centrorisorse.org/prodotti/titoli.pdf I titoli di studio italiani all’estero. Quanto valgono. Come usarli. Come farli riconoscere Riconoscimento delle qualifiche professionali Per quanto riguarda invece la possibilità di svolgere la professione per la quale si è formati in uno Stato membro diverso da quello in cui si è svolta la formazione, la Comunità europea ha adottato nel tempo una serie di direttive relative alle singole professioni. 1. Una prima area è caratterizzata dalle direttive che disciplinano il riconoscimento dei titoli che autorizzano l’esercizio dell’attività di medico, infermiere, odontoiatra, veterinario, 17 ostetrica e farmacista; sul presupposto del rispetto di requisiti formativi minimi comuni, esse prevedono un meccanismo di riconoscimento professionale praticamente automatico12. 2. Un secondo ambito comprende la direttiva n. 85/384/CE per il settore dell’architettura; qui non si applica la procedura di riconoscimento prevista dalla norma comunitaria e il riconoscimento professionale passa attraverso il riconoscimento accademico, oppure è assicurato da un obbligo prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 3. Una terza area è rappresentata dalla direttiva n. 99/42/CE, che ha assorbito 35 direttive transitorie degli anni ‘70 relative alle attività artigianali, commerciali e industriali: il riconoscimento delle qualifiche si basa sull’esperienza professionale maturata nello Stato di appartenenza. 4. Un quarto gruppo comprende le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, definite “sistemi generali”, che basano il riconoscimento professionale sulla “fiducia reciproca”, principio applicato anche alla circolazione delle merci. Tali direttive danno una definizione generale di “attività regolamentata”, vale a dire quelle attività “ per le quali l’accesso o l’esercizio… sono subordinate al possesso di un titolo che sancisce il completamento di un ciclo di studi di almeno tre anni di livello universitario o superiore” (Direttiva 89/48/CEE) o di… “un titolo che sancisce il completamento di un ciclo di studi di almeno tre anni di livello universitario o superiore” (Direttiva 89/48/CEE) o di…”un titolo che sancisce una formazione di livello post-secondaria non universitaria. … o secondaria lunga… o breve” (Direttiva 92/51/CE); il riconoscimento professionale si fonda su una presunzione di corrispondenza dei percorsi formativi e, in caso di differenze sostanziali, può essere subordinato a test o periodi di tirocinio. 5. Un quinto gruppo, infine, è rappresentato dalle direttive 77/249/CEE e 98/5/CE, relative alla libera prestazione di servizi e al diritto di stabilimento degli avvocati, che assicurano all’avvocato di uno Stato membro il diritto ad esercitare la propria attività, anche in modo stabile, in uno Stato membro diverso da quello in cui ha ottenuto la qualifica; questo rappresenta un’evoluzione del principio di mutua fiducia. Nell’ottica di facilitare ulteriormente la mobilità del lavoro, la Commissione europea ha proposto con una raccomandazione l’adozione di un Quadro Comune Europeo delle qualifiche (da ora in poi EQF). Questa raccomandazione si muove nell’ottica del programma Education and Training 2010, parte integrante e fondamentale dell’agenda di Lisbona. La proposta, datata 7 settembre 2006, è disegnata per funzionare come uno strumento di traduzione (translation device) tale da permettere ai vari sistemi di educazione e formazione di relazionarsi fra loro in modo chiaro. Il principale elemento dell’EQF è un set di 8 livelli che descrivono le conoscenze, le capacità e le competenze che si sono acquisite durante la propria formazione scolastica e professionale. L’EQF rappresenta un cambiamento dal tradizionale approccio in cui si enfatizzavano i contenuti dell ̦apprendimento (learning input) ad uno in cui si mettono in rilievo i risultati dell ̦apprendimento (learning outcomes). Per saperne di più: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2006:0479:FIN:IT:PDF Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente 12 Direttive n. 93/16/CEE, n. 77/452/CEE, n. 77/453/CEE, n. 78/686 CEE, n. 78/867 /CE, n. 78/1026/CEE, n. 80/154/CEE, n. 80/155 CEE, n. 85/432/CEE, n. 85/433/CEE. 18 COM(2006) 479 definitivo 2006/0163 (COD) Attuare il programma comunitario di Lisbona Proposta di RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO sulla costituzione del (presentata dalla Commissione) 19