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ESCURSUS SU BENE COMUNE NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (Bologna 01/03/2010 – prof. Franco Appi) Introduzione Il termine bene comune è di origine medioevale. L’idea equivalente però si può trovare in qualche modo già presente nella classicità greca, in cui si pensa che la polis si forma in vista di un bene più alto e collettivo. Questi concetti passano alla civiltà romana e a quella cristiana. In S.Tommaso Soprattutto però il concetto è sviluppato da S.Tommaso d’Aquino. Per lui il bene comune è il punto di convergenza e di collegamento dei rapporti che costituiscono la società. C’è nell’uomo, dice Tommaso, un’inclinazione verso il bene che è conforme alla natura della ragione, per esempio a vivere in società.1 L’uomo infatti è di sua natura portato alla società; è di natura razionale e relazionale e tende ad unirsi agli altri, sia per la coscienza della insufficienza individuale a raggiungere il proprio bene, sia per la naturale relazionalità a cooperare per raggiungere il bene insieme alla comunità. Per gli uomini è necessario vivere in società in modo che l’uno sia aiutato dall’altro e ognuno con la sua ragione si occupi di cose diverse… Si forma così una società, tenuta insieme dalla convergenza al bene comune che prevale sui beni particolari, i quali, anzi, sono ordinati al bene comune come a qualcosa di più perfetto. Questo concetto è superiore all’idea di interesse particolare e di interesse generale che viene invece spesso introdotto in politica nella modernità e oggi più che mai dominante in politica. L’interesse tende ad una dimensione egoistica e soggettiva, mentre il bene tende alla realizzazione degli individui in ordine ad un bene oggettivo, ai diritti naturali, alle inclinationes individuate dalla scolastica e in particolare da Tommaso. Nella Summa S. Tommaso stabilisce un rapporto fra diritti naturali o legge naturale, e inclinazioni naturali. Tali inclinazioni non sono da intendere come intrinseche alla dimensione umana. Egli segue pensieri precedenti; viene citato al proposito Guglielmo di Auxerre(2) , il quale suddistingue la legge naturale in tre passaggi, o inclinationi: conservazione dell’essere dell’individuo 1 Cfr I Politica, lect 8 citato in Gianfranco Iorio Introduzione alla filosofia politica e alla filosofia delle leggi in Tommaso d’Aquino, progetto editoriale mariano, Padova 1998 pg 12 s 2 Cfr R.Pizzorni Il contenuto del diritto naturale secondo S.Tommaso D’Aquino in Atti Congresso internazionale VII centenario di Tommaso D’Aquino – Napoli 1978 pg 195 1 propagazione della specie condizione umana della cultura Esaminando la natura dell’uomo possiamo riscontrare tendenze o inclinazioni che corrispondono alla sua forma specifica, cioè alla sua razionalità. Da ciò agire secundum naturam è agire secundum rationem, ed è agire secundum personam. Cioè è compiere quegli atti umani che per la loro intrinseca natura concordano con la ragione e che conducono alla perfezione della persona umana rispettandone e attuandone la dignità e la grandezza. Tommaso, dunque come dicevamo, suddistingue il diritto naturale seguendo le inclinationes in una triplice classificazione e cioè: E’ bene per il singolo ciò che conserva la sua vita fisica individuale. E’ bene per la vita della specie umana ciò che conserva la vita della specie umana. E bene ciò che conserva la sua vita razionale. Dunque è cosa buona ciò che conserva il bene dell’individuo, della specie, della ragione. Come essere individuale tende alla autoconservazione della vita. Come essere animale tende alla autoconservazione della specie, alla trasmissione della vita, alla fecondità. Come essere razionale tende al suo sviluppo spirituale e morale: è la legge della persona umana.(3) Oggi diremmo per quest’ultima inclinazione che comprende la dimensione trascendente. Non c’è solo la ragione come strumento, essa è inscindibile dalla dimensione del pathos, della passione. Ragione e pathos costituiscono la spinta che chiama ad unirsi in società, a partire dalla società familiare, e fino a quella della polis; queste caratterizzano l’uomo. Per bene vivere per Tommaso occorre una dimensione morale della società che comprende la convivenza nella polis e dunque anche nella economia, nella tecnica, nell’organizzazione sociale, nell’esercizio di qualsiasi potere, nella scienza, nell’arte. L’insieme i questi valori, cioè di queste realtà va vissuto in ordine alla realizzazione del bene comune. Esso è un tutto che si attua nell’insieme delle persone e per ciascuna di esse. Così si capisce che ricchezza, salute, cultura sono beni particolari da ordinare al bene della collettività così che lo scambio e la comunicazione dei beni particolari promuova il bene di tutti. Il bene comune, già anche per Tommaso, non è somma di beni particolari, ma armonizzazione e comunicazione di essi finalizzati fin dall’origine alla comunità. 3 R.Pizzorni oc pg 211 2 Al bene comune si subordina il bene dell’individuo inteso in senso individualista ed egoista, il quale così inteso non coopera al bene comune. Piuttosto il bene individuale va armonizzato e coordinato al bene comune. L’armonizzazione e la comunicazione delle attività personali sono compito dell’autorità politica la quale interviene con le leggi finalizzate al bene comune e devono ispirarsi alla legge naturale, le inclinationes. Così autorità opera per il bene comune. Rispetto alla dimensione politica si deve affermare che la legge è frutto di un dettame della ragion pratica per regolare la vita di una comunità. La legge naturale ci fornisce solo i principi con cui procedere, insufficienti a guidare tutta la vita umana. Per questo è necessario arrivare a leggi positive. La ragione umana, partendo da alcuni principi, principi primi evidenti e indimostrabili, elabora delle regolamentazioni più dettagliate (q. 94 a. 3). Tali dettami particolari, ottenuti dalla ragione umana prendono il nome di legge umana o positiva. Nella comunità politica il fine è il bene comune, cioè il motivo stesso per cui si sta insieme nella comunità politica; la legge di conseguenza deve essere ordinata al bene comune. Ordinare al bene comune è compito di tutto il popolo, oppure di un singolo in sua vece. Per Tommaso il concetto di bene comune va pensato in una gerarchia di valori al cui sommo c’è il rapporto con Dio, al quale tutto va subordinato. Dio è come il bene comune trascendente, fine ultimo ma anche immediato del Regno ei cieli. A lui va subordinato il bene comune immanente della città terrena. Certamente l’analogia con Dio è affascinante: di lui infatti, bene sommo, possiamo godere di più quanto più siamo uniti in comunione fra noi, essendo questa la sua logica intrinseca, l’amore che costituisce la sua sostanza: Dio è amore. Il magistero dei papi a partire da Leone XIII Questa lunga riflessione su Tommaso era necessaria perché nel magistero si fa riferimento a questo concetto di bene comune fin dalla Rerm Novarum e non si cercherà di darne ulteriori definizioni fino al magistero di Giovanni XXIII. Leone XIII recupera concetti della scolastica che ripropone come base degli studi di teologia; quando scrive la RN quaesta impostazione è presente. Questo papa cerca di superare l’isolamento della Chiesa dopo la perdita del potere temporale. L’enciclica RN è forse il tentativo più riuscito dei suoi documenti in questa direzione. 3 In questa enciclica, la prima della raccolta delle encicliche sociali, ma non il primo documento sociale della Chiesa, ricorda al n. 26: “…tra i molti e gravi doveri dei governanti solleciti del bene pubblico, primeggia quello di provvedere ugualmente ad ogni ordine di cittadini…” Qui si dà per scontato il contenuto concettuale di questo bene e la possibilità della sua conoscenza. Al n. 37 si dice meglio che: “Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione”. La sottolineatura di universale è mia e intende evidenziare la dimensione che sarà sempre più evidente di universalità del bene comune che sarà più esplicita in seguito. Qui il bene comune rimane ancora un compito dei poteri politici, non di tutti i singoli cittadini. Pio XI Pio XI nella Quadragesimo Anno ne parla facendo riferimento al compito dell’autorità politica che è chiamata a entrare nella relazione fra operai e datori di lavoro. (n 49) Così pure ne parla al n 73 come riferimento del giusto salario agli operai: se questo è troppo basso o troppo alto (!?) è a detrimento del b.c. Pio XII Pio XII aggiunge un chiarimento, nel radiomessaggio della Pentecoste del ’41 dice: “Tutelare l’intangibile campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compimento dei suoi doveri vuol esser ufficio essenziale di ogni pubblico potere. Non è forse questo che porta con sé il significato genuino del bene comune, che lo stato è chiamato a promuovere? Da qui nasce cha la cura di un tale bene comune non importa (comporta ndr) un potere tanto esteso sui membri della comunità, che in virtù di esso sia concesso all’autorità pubblica di menomare lo svolgimento dell’azione individuale sopra descritta, decidere sull’inizio o ( escluso il caso di legittima pena) sul termine della vita umana, determinar a proprio talento la maniera del suo movimento fisico, spirituale, religioso e morale in contrasto con i doveri e diritti dell’uomo, e a tale intento abolire o privare d’efficacia il diritto naturale ai beni materiali. Dedurre tanta estensione di potere dalla cura di bene comune vorrebbe dire travolgere il senso stesso del bene comune e cadere nell’errore di affermare che io, proprio scopo dell’uomo sulla terra è la società, che la società è fine a se stessa, che l’uomo non ha altra vita che l’attende fuori di quella che si termina quaggiù.” Ho trascritto tutto il passo perché qui si vanno a recuperare dei contenuti, non dati più per scontati, considerata l’esperienza che si stava vivendo di fascismo, nazismo e comunismo, tutti e tre presenti mentre Pio XII scrive. I contenuti riguardano i diritti umani naturali che salvaguardano la vita, la libertà, la giustizia e sono i concetti che riprenderà Giovanni XXIII. 4 Egli infatti ne darà una definizione al n. 51 della Mater e Magistra, e cioè il bene comune è: “…l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri mani lo sviluppo integrale della loro persona.” In questa enciclica il bc è indicato come criterio per riformare strutture e mezzi (n.41). Sono da considerare “esigenze del bene comune: dare occupazione…evitare che si costituiscano categorie privilegiate…mantenere un’equa proporzione fra salari e prezzi e rendere accessibili beni e servizi…eliminare o conenere squilibri fra settori…realizzare l’equilibrio fra espansione economica e sviluppo dei servizi pubblici essenziali… adeguare le strutture produttiveai progressi delle scienze e delle tecniche…contemperare i miglioramenti nel tenore di vita della generazione rpesente con l’obiettivo di preperare un futuro migliore alle generazioni future…”(n.66) “…sul piano internazionale evitare ogni forma di sleale concorrenza… favorire la collaborazione fra economie…(n. 67) Bisogna partire dal principio fondamentale da cui ha origine tutta la dottrina sociale della Chiesa che è la “dignità sacra della persona”: “I singoli esseri umani sono e devono essere il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni in cui si esprime la vita sociale (...) Da quel principio fondamentale, che tutela la dignità sacra della persona, il magistero della Chiesa ha enucleato (...) una dottrina sociale”.(M.M. 143-144) Lo stesso Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris al n. 5 dice: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri inalienabili. Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della divina rivelazione, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna”. La dignità dell’uomo noi la possiamo conoscere anche razionalmente, fondandola sulla sua evidente libertà e razionalità. Infatti l’uomo è in grado di scegliersi coscientemente un fine e di porre in atto scelte e mezzi con i quali cercare di raggiungerlo. E’, dunque, libero e razionale e perciò soggetto di diritti e doveri. Oggi si definisce la ‘persona’ umana come ‘essere in relazione’. Egli infatti nasce, cresce e si realizza in quanto uomo in un mondo di relazioni. Nella teologia tradizionale persona (ipostasis) era definita “sostanza individua razionale”. Oggi si mette più in evidenza la relazionalità: ‘persona’ deve indicare sia 5 l’identità dell’ ‘uomo’nella sua individualità e razionalità, sia la sua relazionalità con Dio e con le altre persone umane. Dice ancora la Pacem in Terris al n. 33: “Il bene comune non può essere concepito in termini dottrinali, e meno ancora determinato nei suoi contenuti storici, che avendo riguardo all’uomo, essendo esso un oggetto essenzialmente correlativo alla natura umana”. Nella Pacem in terris c’è un ulteriore passaggio circa il bc perché, pur rimanendo un impegno della autorità politica, si riconosce che tutti i cittadini hanno diritto e dovere di prendere parte attiva alla vita pubblica e portare un contributo personale all’attuazione del bene comune. (n.13) Così tutti, singoli e corpi intermedi, devono portare un contributo al bene comune. Questo poi contiene elementi di culture etniche, di spiritualità, di esigenze fisiobiologiche…(nn.33;34;35) Nella GS 19 la dignità umana è evidenziata nel modo più alto proprio dalla vocazione alla comunione con Dio. Ogni persona è fatta per un fine che la trascende. La Pacem in Terris ci indicava che “Il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo: tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito. Per cui i poteri pubblici si devono adoperare ad attuarlo nei modi e nei gradi che ad essi convengono, in maniera tale però da promuovere simultaneamente, nel riconoscimento e nel rispetto della gerarchia dei valori, tanto la prosperità materiale che i beni spirituali (...) Ma gli esseri , composti di corpo e anima immortale, non esauriscono la loro esistenza né conseguono la loro perfetta felicità nell’ambito del tempo. Per cui il bene comune va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al raggiungimento del loro fine ultraterreno ed eterno.”4 Persona e comunità La persona umana intrinsecamente aperta al dialogo con le altre persone, non poteva che costituire una comunità. Dice la Gaudium et Spes al n. 12: “Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio ‘uomo e donna li creò’ ( Gn 1,27 ) e la loro unione costituisce la prima forma di unione fra le persone. L’uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti”. In questo senso la realizzazione delle persone non può avvenire che all’interno di una realtà comunitaria. Ne deriva una concezione dell’uomo solidale, dialogale, comunionale. 4 Ibidem n. 35 6 Le relazioni interpersonali non hanno ostacoli, ogni persona le intreccia ed espande, e queste via via, raggiungono direttamente o indirettamente, almeno potenzialmente l’intera umanità. Questa nel disegno divino è voluta come unica comunità, come una unica intera famiglia umana, costituita dall’essere tutti creati a immagine di Dio, fratelli figli dello stesso Padre, tutti investiti della stessa dignità, tutti aperti al dialogo con ogni altro uomo. In tutta la Sacra Scrittura “il genere umano è una unità corporativa, una natura umana, anche se ciò risulta pienamente chiaro soltanto considerando l’unità dell’agire storico salvifico di Dio con l’umanità e soprattutto partendo dal Figlio dell’uomo Cristo. In questa luce è significativo che in Genesi 1,26 ss la creazione di Adamo intenda genericamente l’umanità e non solo degli individui”.5 Qui si capisce la ‘interdipendenza’, che è frutto di una socialità allargata a livello globale. Si prende sempre più coscienza di questo a partire dalla P.T., alla P.P., alla Sollicitudo rei Socialis, e ora alla C.V. come categoria non solamente sociologica, ma teologica. Dice la Gaudium et Spes al n. 24: “Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero fra loro con animo da fratelli. Tutti infatti creati ad immagine di Dio, che da un solo uomo ha prodotto l’intero genere umano affinché popolasse la terra, sono chiamati all’unico e medesimo fine, cioè Dio stesso”. La società è per noi non frutto di contratto, ma frutto della naturale apertura che porta ogni uomo a relazionarsi con gli altri, pena la disumanizzazione. Così la società politica è pensabile come una strutturazione più organica della società, per così dire, spontanea; è un costituirsi più organico in vista di un bene comune: è lo stato, o qualsiasi organizzazione politica. Società organizzata e dimensione globale della famiglia umana implicano visioni in evoluzione rispetto a quelle ora in atto. Il bene comune va pensato in senso universale e gli organismo politici devono poter organizzarsi ed armonizzarsi fino a riformare le istituzioni mondiali, quali l’ONU e le sue derivazioni, per organizzare una governante in vista di un bene comune universale. Il punto cruciale sono i diritti che l’autorità deve tutelare e che tutti devono rispettare. Così il bc universale si fonda in ultima analisi nel rispetto della dignità e dei dritti delle singole persone umane. La Gaudium et Spes La Gaudium et Spes al n. 26 ripropone la definizione di bene comune della Mater et Magistra e della Pacem in Terris. 5 G.Holzen “L’uomo nella comunità” in “Misterium Salutis” (Queriniana) Brescia 1979, pg. 475 7 Il bene comune è “L’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”. Oggi si deve assumere una dimensione universale di bene comune, “investendo diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano”. Al n. 74, sulla natura e il fine della comunità politica si dice: “Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune (156). Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica. La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all’esistenza. Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione (157). Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria un’autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità. È dunque evidente che la comunità politica e l’autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all’ordine fissato da Dio, anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini (158). Ne segue parimenti che l’esercizio dell’autorità politica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte degli organismi che rappresentano lo Stato, deve sempre svolgersi nell’ambito dell’ordine morale, per il conseguimento del bene comune (ma concepito in forma dinamica), secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire (159). Da ciò risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro che governano. Dove i cittadini sono oppressi da un’autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune; sia però lecito difendere i diritti propri e dei concittadini contro gli abusi dell’autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo. Le modalità concrete con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture e l’equilibrio dei pubblici poteri possono variare, secondo l’indole dei diversi popoli e il cammino della storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana.” 8 Riportato per intero fa comprendere ormai lo sviluppo del concetto di bc a partire certamente dai concetti di Tommaso, ma ormai evoluti a confronto con le vicende storiche che hanno richiesto precisazioni e approfondimenti. Il bene comune è una categoria etica necessaria a regolare la vita politica e sociale; è insieme l’obiettivo e il criterio di verifica dei mezzi e dei processi messi in atto per raggiungerlo. La concezione di bene comune sarà diversa a seconda della concezione di uomo che sta alla base. Ci sono state e ci sono diverse concezioni di bene comune nella modernità: spesso è definito come interesse generale definito a volte come somma dei beni, indipendentemente dalla distribuzione di detti beni; oppure come bene di una collettività senza attenzione ai singoli. Nella dottrina sociale della Chiesa il bene comune tiene conto della persona nella sua dignità individuale e nel suo integrarsi con le altre persone nella comunità. La comunità politica è finalizzata al bene della persona, delle persone aperte per sé al dialogo, alla comunità. Per questo il bene comune non può essere ridotto ai soli beni economici, che pure ne costituiscono una parte rilevante. Come pure lo sviluppo umano non può essere ridotto alla sola crescita economica. Esso comprende ogni e tutto l’uomo, come dalla P.P. e ora dalla C.V. Dunque il bene comune comprende beni non materiali come: la giustizia, la concordia, la garanzia di libertà, la vivibilità dell’ambiente, l’armonia delle relazioni . Di qui la complessità delle componenti del bene comune, quanto ai contenuti per così dire ‘tecnici’, che si commisura alla complessità delle persone, della cui dimensione trascendente occorre tenere conto. Considerando allora la dinamicità della storia, all’interno della quale vanno realizzati i contenuti del bene comune, questo potrebbe essere definito come ‘il complesso dinamico e progressivo delle condizioni economiche, giuridiche, morali, spirituali che consentono e favoriscono, nelle persone umane e nei gruppi sociali, il conseguimento della loro perfezione temporale, senza precludere, anzi rendendo più agevole, il raggiungimento dei fini ultraterreni ed eterni’. Paolo VI I documenti di Paolo VI riprendono la concezione del Vat II circa il bene comune. Queso viene indicato come scopo della vita politica e delle attività dei singoli cittadini i quali, proprio perché il bc è primariamente scopo della politica, devono essi 9 stessi dedicarsi a tale attività come espressione di impegno per il prossimo. (cfr. OA 46) Giovanni Paolo II Anche GPII da per scontata l’accezione del Vat II. Tocca un punto di originalità quando immette l’idea di attività politica nell’azione del sindacato e la definisce prudens curatio boni communis ( L.E. n.20). Il bene comune universale è lo sfondo su cui si svolge la SRS, in cui lo sviluppo è indicato come tutela dei diritti umani personali e sociali, economici e politici di tutti i popoli (n. 33); per questo è necessario combattere le strutture di peccato, agire nella dimensione della solidarietà, intesa come responsabilità di ognuno per ogni altro (n.40), seguendo in particolare l’opzione preferenziale per i poveri (n.42). Nella Centsimus annus il discorso si fa più esplicito, proprio a partire dalla centenario della RN. “Se Leone XIII si appella allo Stato per rimediare secondo giustizia alla condizione dei poveri, lo fa anche perché riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta autonomia di ciascuno di essi.” Esprime anche una definizione con qualcosa di nuovo rispetto alla GS, al n. 47, dove riparte dai diritti, e in primis dalla libertà religiosa, non intesa come libertà di culto, ma come libertà della ricerca di Dio, della verità, del mistero, che è la libertà originante di tutte le libertà e di tutti diritti. “Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona. Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell'aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si 10 levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona.” Benedetto XVI Siamo ormai alle ultime considerazioni circa il bene comune. Benedetto XVI ha da poco pubblicato la Caritas in Veritate nella quale inanzitutto evidenzia l’interconnessione fra giustizia, solidarietà, sussidiarietà e bene comune, tutto fondato sulla verità e l’amore. Prima aveva toccato argomenti relativi alla politica nella DCE. Qui il papa afferma che il perseguimento della giustizia è “norma fondamentale dello stato”. Dunque perseguimento della politica è la giustizia che si identifica anche come bene comune, per quanto questo la trascenda contenendo altri riferimenti. In questa ottica la DCE affronta insieme, nello stesso paragrafo, le due esplicitazioni concrete dell’amore al prossimo: la politica e l’organizzazione caritativa..(n. 28) Scopo della politica e dello stato è la giustizia. “Il giusto ordine della società e dello stato è compito centrale della politica. Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri.” dice il papa citando S.Agostino. Ma il cristianesimo ha, fin dall’origine, saputo distinguere fra stato e Chiesa. Così almeno pare a vedere il significato del “date a Cesare …”. Per statuto la Chiesa non può prendere nelle sue mani la battaglia politica, pur avendo in questo ambito un compito preciso, perchè: “In questo punto politica e fede si toccano” perché la fede “è una forza purificatrice per la ragione stessa. (…) La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica (…essa) Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione (…) La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano.” 11 Il cristiano che entra nel dibattito politico, e lo deve fare laicamente con la “ragione”, e si espone al rischio della confutazione delle sue ragioni, perché la Chiesa non ha il monopolio dell’uso della ragione, né pretende di far tacere tutti gli altri. I cristiani, tutti noi, siamo chiamati ad argomentare sul piano della ragione ogni volta che entriamo nell’agone politico, sociale, economico, nell’ambito degli impegni terreni, e ad approfondire i concetti ogni volta che una domanda o obiezione ci mettono in discussione. La fede ci spinge ad assumere le responsabilità e ci illumina. Proprio per questo possiamo e dobbiamo pretendere da tutti coloro che vi entrano di fare altrettanto, abbandonando pregiudizi ed esclusioni in nome di visioni dovute ad appartenenze religiose. Poi aggiunge: “essa(dottrina sociale ndr) vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia”. In questo senso la purificazione della ragione avviene nella concezione e nella analisi più precisa di ciò che è male, egoismo, chiusura su di sé; tutto ciò che indurrebbe, per esempio, a cercare il proprio interesse invece che il bene comune. Infine afferma: “La Chiesa non può e non vuole prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta. Non può e non deve mettersi al posto dello stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia , che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare.” (n. 28) Non c’è, però, solo uno spazio dottrinale; il suo modo di agire non potrà che avvenire attraverso la libera presenza dei laici a loro volta formati all’argomentazione razionale e alla sensibilità ai valori etici attraverso la stessa dottrina sociale. Dunque si aprono spazi primariamente dei laici a cui la Chiesa offre gli strumenti per la formazione della coscienza e per la purificazione della ragione. I cristiani laici devono totalmente assumere come responsabilità la politica. Infatti hanno “il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società (…) Come cittadini dello stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica”. É loro compito “configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità”.(n. 29) 12 Benedetto XVI aveva toccato l’argomento del bene comune anche nel saluto ali componenti della settimana sociale del 2007 a Pisa-Pistoia, cogliendo l’elemento più significativo del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa6: “Il tema scelto - "Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano" -, pur essendo stato già affrontato in alcune precedenti edizioni, mantiene intatta la sua attualità ed anzi è opportuno che sia approfondito e precisato proprio ora, per evitare un uso generico e talvolta improprio del termine bene comune. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, rifacendosi all’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, specifica che "il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro" (Cost. Gaudium et spes, 164). Già il teologo Francisco Suárez individuava un bonum commune omnium nationum, inteso come "bene comune del genere umano". In passato, e ancor più oggi in tempo di globalizzazione, il bene comune va pertanto considerato e promosso anche nel contesto delle relazioni internazionali ed appare chiaro che, proprio per il fondamento sociale dell’esistenza umana, il bene di ciascuna persona risulta naturalmente interconnesso con il bene dell’intera umanità. L’amato Servo di Dio Giovanni Paolo II osservava, in proposito, nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis che "si tratta dell’interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale" (n. 38). Ed aggiungeva: "Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù’, è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (ibid.). Nell’Enciclica Deus caritas est ho voluto ricordare che "la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioè all’ambito della ragione autoresponsabile" (n. 29). Ed ho poi notato che "in questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo" (ibid.). Quale occasione migliore di questa per ribadire che operare per un giusto 6 Nel compendio il tema del bene comune è trattato ai nn. 164-170 13 ordine nella società è immediatamente compito proprio dei fedeli laici? Come cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonoma responsabilità. Nel mio intervento al Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, l’anno scorso, ebbi a ribadire che agire in ambito politico per costruire un ordine giusto nella società italiana non è compito immediato della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici.” La settimana sociale, che aveva per tema il bene comune, si è diffusa poi sui contenuti tecnici e su come l’impegno dei credenti doveva orientarsi per ottenerlo. Nell’ultima enciclica la Caritas in Veritate afferma: “La caritas in veritate è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune. La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius : ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia.” Ciò che è suo va stabilito in base a ciò che a lui occorre per uno sviluppo integrale della sua umanità nelle quattro dimensioni. “ Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « nseparabile dalla carità » [1], intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, « la misura minima » di essa , parte integrante di quell'amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s'adopera per la costruzione della “città dell'uomo” secondo diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. La “città dell'uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.” 14 Ma al n.7, tutto sul bene comune egli dice:” Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale .” Qui ci si riaggancia ad una visione di bene comune che dà forma ai contenuti tecnici ma non si riduce ad essi. “Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni.” Qui emerge l’urgenza dell’impegno politico di ognuno di noi. Già la G.S. 43 diceva : “Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. … A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.” Poi c’è un’affermazione molto impegnativa sempre nella GS: “La dissociazione che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata fra i più gravi errori del nostro tempo”. E viene emesso un giudizio molto forte: “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna”. La CV riprende questi concetti “Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. 15 È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. (Cfr O.A.46) Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. In quanto la motivazione è più significativa… Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni,, così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio.” È impegno preciso per i credenti l’attività politica con un elemento che la trascende, che è l’animazione ad opera della carità. Questa immette un bene superiore allo stesso bene oggettivo che la relazione umana improntata dalla carità trasmette. Ciò già introduce una visione anche di società fraterna, di gratuità, di reciprocità, che più avanti l’enciclica propone come supporto allo stesso funzionamento del mercato. Viene ulteriormente sviluppato insieme al bene comune il concetto di società il quale viene espresso in prima persona: noi tutti. È un concetto molto più caldo e supera quella dimensione di terzietà a cui spesso facciamo, o facevamo ricorso. Il noi tutti passa da un concetto di società in terza persona singolare ad uno in prima persona plurale. Questo implica un impegno in prima persona dei credenti nella società come luogo del lavorio culturale, progettuale, realizzativo delle relazioni e dei corpi intermedi. La società è il soggetto attivo della ricerca del bene comune e ne è anche il destinatario. Averlo espresso in prima persona plurale indica la assunzione diretta delle responsabilità sociali e politiche di ognuno di noi. Inoltre il bene comune, che veniva indicato come scopo della organizzazione politica, qui assume anche le altre attività sociali e relazionali, e quindi tutte le attività anche dei singoli e dei gruppi, di tutte le soggettività della società. 16 È la dimensione della trascendenza che amplia il concetto di bene comune e di impegno nelle realtà terrene. Questa comprende ragione e passione, logos e pathos, questi hanno una alimentazione reciproca: la ragione viene alimentata dalla passione intesa in senso sia buono che cattivo, si pone alla ricerca e all’approfondimento di ciò che il cuore desidera. Pensiamo alla teologia dei sommi Agostino e Tommaso, razionale, ma spinta dal fascino della ricerca di Dio, del mistero, della sua verità. La passione viene alimentata dalla ragione che aumenta la conoscenza, apre spiragli sulla realtà, sulla verità e aumenta il desiderio stesso di conoscenza tipico dell’amore. Da questo deriva spiritualità, cultura, arte, ma anche progettualità sociale, politica, economica. L’amore come logica della relazionalità intrinseca, dimensione sociale, delle persone umane è pensato come riflesso e immagine della stessa vita trinitaria; è qualcosa che conosciamo perché lo riceviamo innanzitutto come cura genitoriale, e come dono di Dio. Lo conosciamo come legame familiare e come legame sociale. La sua consistenza è insita nella natura umana, nella verità dell’uomo. Il dono dell’amore di Dio che conosciamo nel dono della vita e che riceviamo attraverso il dono dei genitori, diventa vocazione. Nella Deus caritas est l’esperienza dell’amore sta alla base della capacità di amare. Conosciamo l’amore perché siamo stati amati e solo per questo possiamo amare. È questo il modello che sta a base del dono che è insieme vocazione: il dono dell’amore chiama all’amore, il quale per sé è operativo verso le persone amate. Così la scoperta di essere amati da Dio, padre universale, ci rende operosi per tutti i fratelli, attraverso la dimensione sociale e della politica, come già Paolo VI aveva detto nella Octogesima adveniens; ma anche nelle attività quotidiane, culturali, economiche. Questo amore è chiamato a diventare passione sociale, per il bene comune. L’amore infatti esige una prassi e una riflessione razionale per farsi pernsiero e progetto; non può infatti rimanere puro emozionismo. È per la prassi e per la chiarezza degli obiettivi che caritas e logos, amore e ragione, non possono che stare insieme. Conclusione Questo bene comune, così ripetutamente pensato e approfondito ma fedele alle prime ispirazioni, diventa criterio etico per il giudizio e l’incessante revisione 17 dell’ordinamento istituzionale e delle politiche, per un progressivo adeguamento alle dinamiche storiche. Il bene comune non può essere concepito che a dimensione universale, data la concezione universale della umanità e la mondializzazione dei fenomeni; come pure nel concetto ‘universale’ vanno compresi non solo tutti i popoli del mondo ma anche le generazioni successive. Il bene comune va conosciuto per analogia al bene sommo che è Dio. Egli infatti è il fine di ogni cosa e di ogni persona. Ognuno di noi ne può godere senza che questo tolga qualcosa agli altri. Anzi, nella logica della comunione con Dio, più uno ne gode e più desidera che anche altri ne godano. Non c’è concorrenza o competizione sfrenata, c’è piuttosto desiderio di comunione e di espansione del godimento di Dio. Bibliografia essenziale E.Berti – G Campanini ( a cura) Dizionario delle idee politiche AVE Roma 1993 G. Iorio Introduzione alla filosofia politica e alla Filosofia delle leggi di Tommaso d’Aquino Progetto editoriale mariano- Vigodarzere 1998 A. Passerin D’Entreves- R.Spiazzi (a cura) Tommaso d’Aquino. Scritti politici Massimo Milano 1985 M.Simone ( a cura ) Il bene comune oggi – un impegno che viene da lontano. Atti della 45° settimana sociale dei cattolici italiani EDB Bologna 2008 Fonti I testi del magistero I documenti del Vaticano secondo Le encicliche sociali Compendio della dottrina sociale della Chiesa Summa teologica di S.Tommaso d’Aquino 18