II Counselling Centrato sulla Persona nei servizi di

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II Counselling Centrato sulla Persona nei servizi di
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
II Counselling Centrato sulla
Persona nei servizi di orientamento
al lavoro
Luciana Franchini
Premessa
II concetto di vita lavorativa (career) è utile per definire un arco di tempo,
della durata di circa 50 anni (dai 15 ai 65 anni) nel corso del quale il soggetto
realizza nel lavoro se stesso, le proprie potenzialità, le proprie aspirazioni.
Vi è, quindi, una stretta connessione, nel nostro sistema socioculturale ed
economico, tra gli elementi di qualità della vita lavorativa e la qualità della
vita nel suo complesso.
Ciascuna persona percorre questo arco di tempo misurandosi con un
quadro di crescente e, in taluni contesti territoriali, drammatica incertezza.
Le tendenze in atto nel mercato del lavoro, l'epoca attuale ed il futuro,
appaiono caratterizzati da rapidi ed accelerati mutamenti, instabilità e
complessità: le ricerche sociologiche disegnano un mondo del lavoro e delle
organizzazioni le cui regole ed i cui assunti di base ed i processi
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organizzativi sono continuamente in fieri.
Contemporaneamente restano ancora da comprendere sino in fondo gli
effetti, non soltanto sui livelli occupazionali ma ancora di più
sull'organizzazione del lavoro e della stessa struttura delle professioni, della
innovazione tecnologica ed in particolare del lavoro assistito dal computer
(telelavoro).
Si sono create nuove forme di "ingaggio", sempre più flessibili e sempre
più complesse, lasciandoci intuire una ormai prossima condizione lavorativa
strutturata con regimi assai diversificati e spesso a sfondo cooperativo o di
lavoro indipendente.
Fino a qualche anno fa l'arco di vita poteva essere scandito
sinteticamente in tre grandi momenti: un primo momento dedicato
all'apprendimento, alla formazione professionale in senso lato ed
all'inserimento nel mercato del lavoro; un secondo momento dedicato al
lavoro ed alla carriera; un terzo momento dedicato alla conclusione della vita
lavorativa ed all'uscita dal mercato del lavoro.
Oggi possiamo concludere che queste fasi non esistono più, o meglio, si
alternano più volte nell'arco della vita lavorativa di una persona.
Così il soggetto dovrà porsi più volte in condizioni di apprendimento,
nasce qui il concetto di life long Learning, più volte in condizioni di
inserimento nel mercato del lavoro e di sviluppo della propria carriera
lavorativa, più volte in condizioni di uscita, volontaria o meno, dal lavoro per
ricominciare il processo.
Questa prospettiva (intesa sia in termini di rischio che in termini di
opportunità) riguarda tutti coloro che stanno percorrendo il proprio ciclo di
vita lavorativa.
Se ci soffermiamo meglio su questo "segmento" della nostra vita
lavorativa, possiamo scorgere la presenza di due aspetti molto importanti:
•
•
Le cerniere
Le fasi di transizione
Le cerniere corrispondono a momenti di passaggio da una condizione ad
un'altra: sono cerniere, per esempio, il passaggio da una scuola secondaria
superiore all'Università, il passaggio dalla condizione di disoccupato a quella
di occupato, il passaggio orizzontale o verticale da un'occupazione ad
un'altra nell'ambito della stessa organizzazione, il passaggio da impiegato a
quadro, il passaggio da occupato a lavoratore in CIGS, il passaggio da
un'azienda ad un'altra. In sostanza ciò che caratterizza la "cerniera" è il
passaggio da uno stato, obiettivo e soggettivo, ad un altro.
Le fasi di transizione corrispondono, invece, a processi di cambiamento e
sono più legate al mondo interno della persona: sono fasi di transizione, ad
esempio, la ricerca di un'occupazione, il "guardarsi intorno" in vista di un
miglioramento, il partecipare ad una procedura di outplacement, etc..
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Più in generale la fase di transizione è il momento che precede o segue le
"cerniere": ad esempio, se è una cerniera affrontare una selezione, che separa
la vita pre-organizzativa da quella infra-organizzativa, la fase di transizione
include il momento della ricerca dell'occupazione e giunge sino
all'inserimento effettivo nel mondo del lavoro.
Nello scenario appena descritto si colloca questa tesina, che ha lo scopo
di definire in che modo si possa inserire un intervento di counselling
centrato sulla persona, nell'ambito di interventi di orientamento al lavoro
per disoccupati di lunga durata (ossia, come lo definisce l'Unione Europea,
persone fuori dal mercato del lavoro da più di 6-12 mesi).
Nello specifico si partirà da un'analisi del concetto di servizio dì
orientamento al lavoro che la sottoscritta ha adottato fra i tanti approcci
metodologici esistenti nello svolgimento della propria attività professionale;
in seguito verrà presentato il modello rogersiano di counselling centrato
sulla persona.
Nei paragrafi successivi verrà portato un esempio di intervento di
orientamento al lavoro su donne disoccupate di lunga durata attuato
all'interno di un progetto di sportello di orientamento finanziato dalla
Provincia di Roma.
Nella parte finale dell'elaborato proverò ad ipotizzare un intervento di
counselling nello stesso ambito e per lo stesso target (donne disoccupate di
lunga durata fuori dal mercato del lavoro da più di 12 mesi, o mai entrate
nel mercato del lavoro).
1. L'orientamento nella vita lavorativa
Da quanto descritto nella premessa di scenario, è nato il "nuovo
orientamento", definito con il termine di career guidance. Un concetto di
orientamento al lavoro che si confronta in ogni momento con il concetto di
vita lavorativa e che si pone come obiettivo di supportare il soggetto in
ordine alle decisioni che dovrà assumere nei confronti delle cerniere e delle
transizioni che incontrerà nell'arco della vita lavorativa.
Da ciò ne derivano numerose conseguenze teoriche, tecniche ed
applicative. Ad un primo livello, il concetto di career guidance colloca
l'attività orientativa nell'ambito delle professioni d'aiuto, il che significa la
focalizzazione sulle risorse interne del soggetto per affrontare i suoi bisogni
esterni (career).
L'attività orientativa si distingue così sia dalle professioni
psicoterapeutiche (focalizzate sulle risorse interne per la soluzione di
problemi interni), sia dalle professioni di supporto o solidarietà sociale
(risorse esterne, bisogni esterni).
Viene dunque posta in primo piano la "relazione d'aiuto" come strumento
di intervento, acquista centralità il ruolo dell'operatore e del contesto
operativo (setting).
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Viene richiamata l'esigenza di una interprelazione dei bisogni di
orientamento della singola persona (screening della domanda). In sostanza
occorre ben chiarire la natura del sostegno psicologico come riferimento
fondamentale delle attività orientative per non incorrere in fraintendimenti.
Nello schema seguente viene rappresentato il focus della professione
d'aiuto, in contrapposizione alle professioni cliniche ed alle professioni
sociali.
Professioni
cliniche
Problemi interni
Risorse interne
Professioni d'aiuto
Professioni
sociali
Problemi esterni
Risorse interne
Problemi esterni
Risorse esterne
Gli interventi di career guidance si configurano come "servizi alla
persona": orientare non significa "dare un servizio", bensì "porsi al servizio"
della persona, facilitando alla stessa un processo di assunzione personale e
diretta delle responsabilità delle proprie scelte. Questo significa passare da
una concezione etera-orientativa, diagnostica e predittiva, ad una concezione
auto-orientativa, esplorativa e processuale.
Come afferma Maria Luisa Pombeni:
"L'azione orientativa assume sempre più la funzione di supportare lo
sviluppo di specifiche competenze in grado di sostenere la qualità e
l'efficacia del tentativo spontaneo che la persona compie nello sforzo di
governare una serie di eventi significativi che connotano l'evolvere della
propria storia formativa e lavorativa" (1)
Ciò significa che il processo di orientamento chiama in causa competenze
ricorrenti (riferite alla progettazione di sé, alla autodiagnosi delle proprie
risorse, alla attivazione ed al problem solving, alla presa di decisione, al
monitoraggio delle scelte, etc.) ed alle caratteristiche soggettive e situazionali.
Per questo motivo la Pombeni definisce compiti orientativi l'insieme degli
eventi critici o delle situazioni di transizione che caratterizzano il processo di
auto-orientamento che accompagna l'intera esperienza formativa e lavorativa
della persona.
La persona che si orienta mette in atto delle risposte comportamentali che
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sono il frutto di complesse variabili, mette in atto, cioè le proprie competenze
orientative.
Per sapersi orientare, cioè per governare in maniera efficace la propria
esperienza formativa e lavorativa, la persona deve essere in grado di:
• Progettare lo sviluppo della propria esperienza presente, cioè identificare
delle mete, darsi degli obiettivi, avere delle motivazioni, mobilitare delle
energie, etc.
• Diagnosticare la meta identificata, cioè valutare criticamente la fattibilità
del progetto, verificando le informazioni a disposizione ed integrandole
con quelle mancanti, analizzando vincoli e condizioni;
• Analizzare le risorse personali a disposizione per realizzare il proprio
progetto, in specifico: riconoscere e valorizzare i propri punti di forza trasferire
competenze
maturate
in
circostanze
specifiche
e
finalizzarle ad altri ambiti e contesti prendere coscienza di alcuni punti
critici ed elaborare strategie per superare e/o aggirare carenze e limiti
personali che impediscono il raggiungimento degli obiettivi desiderati.
• Attivarsi nella ricerca di informazioni, prendere decisioni, pianificare
strategie per realizzare il proprio progetto di sviluppo;
• Monitorare la realizzazione del progetto identificato, apportando i
necessari aggiustamenti.
In questo processo, come dicevamo in apertura del paragrafo, gestito in
prima persona (autodiretto) dal soggetto, sulla base delle proprie risorse ed
in rapporto alle influenze del contesto in cui è inserito, vanno ad innescarsi
azioni intenzionali gestite da persone competenti (gli orientatori qualificati e
gli operatori dell'orientamento).
Si tratta delle azioni orientative a carattere professionale che sono
finalizzate a garantire o migliorare la qualità e l'efficacia del governo
autonomo del processo orientativo da parte della persona direttamente
coinvolta.
Naturalmente il bisogno del supporto di un'azione professionale rispetto
a diversi momenti critici della propria carriera lavorativa varia in funzione:
•
•
•
Della capacità del singolo di governare da solo ed in maniera efficace il
proprio processo di orientamento, cioè dipende dal livello di competenze
orientative che possiede per affrontare e risolvere positivamente i diversi
momenti di transizione
Dalla complessità del compito orientativo che si trova ad affrontare in un
determinato momento della sua vita;
Dalla numerosità e tipo di vincoli situazionali e strutturali presenti
nell'esperienza soggettiva e nel contesto ambientale.
Queste precisazioni teorico-metodologiche portano con loro una ricaduta
operativa legata al problema strategico della valutazione dei bisogni
individuali. Sul piano operativo la necessità è quella di passare da
un'erogazione di macro-azioni orientative (articolate prevalentemente per
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tipologia d'utenza: ad esempio drop out, lavoratori in mobilità, diversamente
abili, etc.) ad una personalizzazione dei percorsi orientativi costruita
sull'analisi di specifici bisogni e sulla presenza di una maggiore
flessibilizzazione delle risposte disponibili.
Per questo motivo uno dei nodi centrali di tutte le attività di
orientamento è il problema della valutazione delle competenze orientative
possedute dall'utente come strumento di analisi del proprio bisogno e come
criterio di rinvio a differenti azioni/servizi.
Minore è la capacità di autodiagnosticare il proprio bisogno, e maggiore
sarà la necessità di essere aiutato e supportato da specifici servizi di
orientamento.
Le azioni/servizi di orientamento al lavoro
Fra gli interventi di orientamento al lavoro, che scaturiscono dai diversi
bisogni espressi dai soggetti, vi sono principalmente:
•
•
•
•
•
L'informazione orientativa
II Bilancio delle competenze (chiamato anche assessment delle
competenze)
L'assessment psicosociale
II colloquio d'orientamento che fa riferimento ad un approccio di tipo
narrativo
II Counselling.
L'informazione orientativa è un'attività di supporto che attiene alla
conoscenza degli elementi di contesto; il soggetto riceve dall'operatore tutte
le informazioni necessarie ad una più ampia ed approfondita conoscenza del
contesto in cui si trova ad agire e a confrontarsi nell'attuazione del proprio
progetto di inserimento o reinserimento lavorativo.
Le informazioni possono riguardare direttamente il mercato del lavoro
od il settore economico chiamato in causa dal progetto professionale,
oppure l'offerta formativa del territorio al fine di acquisire o rafforzare
competenze di base o tecnico professionali utili all'inserimento lavorativo, o
ancora soggetti e strutture deputate alla promozione del matching tra
domanda e offerta di lavoro (Centri per l'Impiego, Agenzie interinali, etc.),
oppure altre opportunità di formazione on the job (tirocini formativi, borse
lavoro, etc.).
Il Bilancio delle Competenze nasce in Francia come strumento per
incentivare lo sviluppo professionale e la mobilità lavorativa. In Francia esso
è definito da una legge che ne sottolinea il carattere di diritto per tutti i
lavoratori in funzione di azione legata alla formazione continua II Bilancio di
competenze si rivolge essenzialmente a persone che hanno già maturato
delle esperienze professionali, quindi sostanzialmente ad adulti. Secondo la
definizione che ne da la stessa legge, le azioni di Bilancio, hanno l'obiettivo
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di consentire ai lavoratori di analizzare le proprie competenze professionali
e personali, le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di definire un
progetto professionale e se necessario un progetto di formazione. Tali azioni
danno concretezza al principio secondo cui si apprende lungo tutto l'arco
della vita, in diversi contesti e situazioni, e in particolare attraverso
l'esperienza diretta di lavoro. In quest'ottica il bilancio di competenza deve
consentire alla persona di rendere consapevoli ed integrare tutti i tipi di
apprendimento realizzati, sia quelli che sono frutto di una formazione
organizzata, sia quelli derivanti dall'esperienza professionale e personale.
Il bilancio non si presenta come azione episodica o sperimentale, ma
intende essere un'opportunità di crescita personale e professionale per
qualunque persona che intenda migliorare l'accesso e l'integrazione nel
mercato del lavoro, migliorare e sostenere la propria occupabilità, e
promuovere la mobilita professionale. Attraverso le azioni di bilancio è
possibile rilevare lo scarto formativo tra le competenze possedute e quelle
richieste dal mercato, ed elaborare delle strategie più idonee a sostenere
efficacemente la propria occupabilità. E' bene sottolineare che in Italia non
esiste ancora un sistema di servizi a sostegno dell'occupabilità, se si
prescinde dalla Formazione professionale e dai servizi di alcune società di
consulenza private. Le finalità che l'azione di Bilancio intende perseguire e
che ne contraddistinguono la funzione specifica rispetto ad altre metodiche
di orientamento si possono così sintetizzare:
•
identificazione di competenze e potenzialità che l'utente può investire
nella elaborazione/ realizzazione di un progetto di inserimento sociale e
professionale;
• l'acquisizione di autonome capacità di autovalutazione, di attivazione e di
scelta
• lo sviluppo rispetto a sé ed al mercato del lavoro di quadri di riferimento
socio culturali e di registri emotivi appropriati per reggere situazioni di
transizione/cambiamento e per investire sulla propria progettualità;
• la costruzione di un progetto di sviluppo professionale.
Sintesi dei contenuti dell'attività di bilancio
Il percorso di bilancio è personalizzato ed adattato alle esigenze del
singolo lavoratore, ha una durata variabile dalle 16 alle 24 ore
(comprendendo in questo monte ore i colloqui individuali ed i laboratori di
gruppo) che si esauriscono nell'arco di tre/quattro mesi. La sua articolazioni
in fasi è già stata definita sia dalla legislazione francese del 1991 sia da
esperienze italiane (in particolare il progetto sperimentale Polaris della
Provincia di Reggio Emilia).
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Le fasi del percorso
FASE PRELIMINARE
Filtro - presentazione/ accoglienza
FASE
INVESTIGATIVA
FASE CONCLUSIVA
Dinamica del bilancio
Restituzione e accompagnamento
L'azione di bilancio viene concepita e progettata come un percorso
strutturato: un focus ed una proposta di attività e strumenti, sulla base degli
obiettivi e dei contenuti propri di ogni fase.
Se la sequenzialità delle fasi è un riferimento essenziale per la
realizzazione di un percorso di bilancio, la sequenza delle attività va invece
pensata come modificabile, nell'ottica di una maggiore individualizzazione in
funzione delle caratteristiche dei destinatari dell'intervento.
Il risultato finale di un percorso di bilancio che tenga fede alla sua natura
di strumento formativo e consulenziale/progettuale è costituito da un
progetto professionale (di sviluppo professionale, progressione di carriera,
cambiamento di ruolo lavorativo) e da un piano d'azione puntuale e
verificabile per raggiungere gli obiettivi definiti dal progetto.
L'assessment psìcosodale è un intervento indirizzato a coloro che
desiderano o hanno la necessità di un approfondimento del proprio mondo
interiore, e può essere condotto solo da professionisti in grado di aiutare il
cliente nell'autoesplorazione e nella comprensione del proprio profilo psicosociale. Il termine "esplorare" fa riferimento al lavoro che l'individuo compie
su sé stesso con l'obiettivo di rilevare gli elementi soggettivi che lo
caratterizzano e lo contraddistinguono. A differenza del bilancio delle
competenze, che induce la persona ad un'autoesplorazione della propria
storia di vita personale e lavorativa, l'assessment psicosociale procede alla
rilevazione e valutazione degli elementi più strettamente soggettivi legati alla
persona.
Dovendo specificare ulteriormente la tipologia di intervento che afferisce
all'assessment psicosociale, potremmo prendere a riferimento il modello
dell'"iceberg": il bilancio delle competenze è un processo che identifica e
definisce la parte "visibile" delle skills e delle conoscenze maturate nel corso
della vita personale e lavorativa dell'individuo.
L'assessment psicosociale è un processo che interviene sulla parte
invisibile e profonda del sé dell'individuo e fa riferimento alla personalità ed
ai tratti psicologici. Tra la parte visibile e la parte invisibile vi è una parte
intermedia dove si collocano i valori, gli atteggiamenti e l'immagine di sé.
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Personalmente non mi riconosco in questo tipo di metodica, in quanto la
percepisco come un terreno molto pericoloso ed in bilico tra un approccio di
tipo sociologico ed un intervento di tipo psicologico, che non rientra, a mio
avviso, nell'ambito dell'orientamento al lavoro così come inteso nel paragrafo
precedente.
Poiché l'assessment psicosociale viene comunque annoverato tra gli
interventi di orientamento al lavoro, per dovere di cronaca è stato citato.
L'orientamento di tipo narrativo
Scriveva Italo Calvino: "Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una
combinatoria d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni?
Ogni vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un inventario d'oggetti, un
campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e
riordinato in tutti i modi possibili" (2)
II colloquio di orientamento di tipo "narrativo" si fonda sul concetto che
la persona, narrando e raccontandosi, prende consapevolezza di sé, della
propria identità, dei propri bisogni e delle proprie risorse, facilitato
dall'aiuto di un operatore che lo affianca nel suo processo narrativo.
La narrazione, secondo questo approccio, agisce almeno su tre livelli:
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•
come costruzione di significati
come strutturante dell'identità
come narrazione di sé.
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Secondo Anna Maria Di Fabio, che si ricollega all'etimologia del
sostantivo, il termine orientamento sta ad indicare ".... Il procedimento che
permette di trovare la posizione del Nord e in conseguenza degli altri punti
cardinali in modo che, grazie alla loro rilevazione, sia possibile stabilire la
corretta direzione verso cui muovere.." (3)
L'ottica proposta dall'orientamento narrativo è che il Nord sia
rappresentato dalla propria identità, o meglio, dal lavoro sulla propria
identità e che la metodologia narrativa rappresenti la bussola, il muschio
sugli alberi, insomma, rappresenti i vari strumenti per reperire la
localizzazione del proprio Nord.
Quello che veramente importa è la conoscenza e la comprensibilità di
una propria identità, pur sapendo che questa è oggetto di continuo divenire.
L'orientamento non si definisce come aiuto ai processi di scelta della
persona, ma è essenzialmente empowerment progettuale.
Compito dell'orientamento narrativo (o autobiografico) è quello di far
emergere nel soggetto, pensatore/narratore, che da e riceve orientamento, la
dimensione trasformativa e formativa del proprio percorso di esistenza, in
un'alternanza di sguardi su di sé, soprattutto laddove si incontrano i
cosiddetti market events, gli eventi apicali, che segnano le storie di vita, i
ruoli e le identità del sé.
La riflessione e l'autoriflessione stimolata dall'orientatore, consentirà alla
persona di osservare il proprio comportamento in determinate situazioni e
di valutare le traiettorie ed i percorsi attuati, i ruoli ricoperti, gli errori fatti e
di esplicitare i desiderata futuri.
Il counselling
II counselling professionale nasce agli inizi del 1900 negli Stati Uniti e si
sviluppa in Europa (Gran Bretagna) a partire dagli anni '50. Inizialmente la
pratica del counselling era legata all'educazione superiore e all'orientamento
al lavoro; in seguito, con la fine della seconda guerra mondiale, venne
applicato come cura delle persone (reduci di guerra e loro famiglie). Oggi alla
parola counselling si possono attribuire significati molto diversi fra di loro:
se si mutua, infatti, il concetto anglosassone, il counselling è una
"psicoterapia breve".
In Italia, invece, la Legge 56/89 stabilisce e norma la psicoterapia,
definendo, allo stesso tempo, la differenza tra psicoterapia e counselling.
In questo specifico contesto, verrà preso in considerazione unicamente il
counselling centrato sulla persona, o counselling rogersiano, da colui (Carl
Rogers) che per la prima volta ne ha definito il paradigma agganciandolo ad
una vera e propria epistemologia (ossia la descrizione delle condizioni e
delle metodologie attraverso le quali si ottiene un intervento di counselling
centrato sulla persona).
Nel prossimo paragrafo verrà approfondito il modello rogersiano di
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counselling centrato sulla persona.
2. Il counselling centrato sulla persona
Cari Rogers conia il termine counselling in un primo momento come una
sorta di escamotage per superare lo strapotere della medicina e della
psichiatria, che negava agli psicologi la pratica della psicoterapia.
Modificando la terminologia, era riuscito, così, a consentire agli psicologi
di continuare la pratica della psicoterapia, senza modificare la loro
condizione professionale.
In questo modo ha preso piede negli Stati Uniti, per la prima volta, la
professione d'aiuto, i cui praticanti provenivano da diverse discipline ed in
cui la medicina non la faceva più da padrone.
Con il passare del tempo (quasi un secolo di storia) i seguaci di Rogers, in
linea con l'epistemologia di riferimento dell'approccio centrato sulla persona,
hanno contribuito ad una definizione di counselling inteso come intervento:
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•
•
•
•
di breve durata (con un numero definito di incontri)
avente obiettivi specifici e circoscritti
centrato sull'hic et nunc (qui ed ora)
avente una finalità di comprensione e chiarificazione di un problema
contingente
che promuove l'empowerment della persona.
In quanto relazione d'aiuto, il counselling, si differenzia da altre forme di
intervento quali la psicoterapia, il lavoro sociale e la psicodiagnosi.
Infatti la psicoterapia è un intervento che afferisce l'area del disagio
psichico e/o di patologie che riguardano la sfera mentale della persona. In
questo specifico caso non viene portato dalla persona un problema
circoscritto e contingente bensì un disturbo complesso e strutturato, definito
come psicopatologia. E' chiaro che in quest'ottica l'intervento
psicoterapeutico è sicuramente molto più lungo ed agisce direttamente sulla
personalità dell'individuo oggetto della psicoterapia.
La psicoterapia presuppone la presenza di uno psicoterapeuta
professionista con competenze professionali specifiche e regolarmente
abilitato all'esercizio della professione (psicologo con una specializzazione
almeno quadriennale presso università o istituti legalmente accreditati
presso il MIUR).
Il lavoro sociale agisce ed interviene su conflitti e problematiche "esterne"
alla persona che riguardano più propriamente la sua autonomia di
comportamento ed il suo agire sociale.
Questa tipologia di intervento è finalizzata a promuovere e migliorare le
capacità del singolo individuo per la sua integrazione sociale. Tale
integrazione si realizza attraverso diversi gradi di funzionamento sociale, fra
cui:
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•
•
•
la capacità di gestire i compiti che fanno capo a bisogni primari (di
sopravvivenza e di sicurezza);
la capacità di gestire compiti ed attività che fanno capo a bisogni di
autorealizzazione individuale e sociale;
la capacità di relazionarsi ed interagire con il sistema sociale di
riferimento.
Il lavoro sociale presuppone la presenza di un team di operatori
professionisti che vanno dall'assistente sociale, al sociologo, allo psicologo,
all'orientatore.
La psicodiagnosi, infine, è un intervento finalizzato alla diagnosi di
disturbi o situazioni di disagio psicologico, attraverso colloqui, test
psicologici o altre tecniche di diagnosi per raccogliere dati ed informazioni
utili alla comprensione del problema/disagio della persona.
Anche in questo caso, come nel caso della psicoterapia, l'intervento
presuppone la presenza di un operatore (psicologo o medico) in grado di
utilizzate le tecniche e gli strumenti ed in grado di leggerne i risultati.
Da ciò, ne deriva che l'intervento di counselling non può essere
certamente psicoterapia (anche intesa come psicoterapia breve come per il
modello anglosassone), in quanto agisce su un problema contingente
correlato ad uno specifico bisogno.
Non può essere lavoro sociale in quanto non agisce su un problema
esterno all'individuo direttamente ed unicamente correlato al suo agire
sociale. Ciò che contraddistingue un intervento di counselling centrato sulla
persona è il fatto che esso agisca su tensioni, problemi e conflitti interni alla
persona stessa, in un dato momento della sua esistenza. Una volta definito e
delimitato l'ambito di intervento del counselling ed averlo differenziato da
altre tipologie di intervento, occorre specificare ulteriormente i concetti su
cui si fonda il modello di counselling centrato sulla persona, ossia:
•
•
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•
la tendenza attualizzante (processo di attualizzazione del sé) orientata
all'empowerment. Essa, infatti, è il motore, il propulsore dell'individuo, la
spinta che lo dirige verso la realizzazione di tutte le sue potenzialità
il cambiamento come processo; Rogers ipotizza il cambiamento come un
processo strettamente connesso al clima facilitante promosso dal
counsellor e non da "tecniche" afferenti a specifiche scuole di pensiero
le tre condizioni che, creando un clima facilitante, sono in grado di
promuovere il cambiamento all'interno di un processo ossia:
comprensione empatica, accettazione positiva e incondizionata,
congruenza;
il problema come correlato del bisogno espresso o inespresso dalla
persona;
il contesto ed il processo di contestualizzazione, ossia l'individuazione e
la delimitazione e contestualizzazione dell'area problematica e dei
bisogni che sottendono al problema stesso;
la motivazione ed i vissuti emozionali che stanno dietro al nostro agire
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individuale e sociale. Dietro ad ogni problema portato dal cliente vi sono
emozioni spesso vissute inconsapevolmente o non percepite/negate dal
cliente stesso. Il contatto con sé stesso e con i propri vissuti emozionali è il
motore del processo di cambiamento innescato dall'intervento di
counselling. Assieme ai fatti oggetto della narrazione del cliente (ed oggetto
della ricontestualizzazione del counsellor) è fondamentale, quindi, rilevare i
vissuti emozionali correlati ai fatti stessi.
In un processo di counselling emerge in tutta la sua importanza la
relazione tra problemi e bisogni, secondo una sequenza così delineata:
In che cosa consiste il ruolo del counsellor all'interno di questo
processo?
Egli da qualità di presenza, ascolto profondo, assenza di giudizio e
contemporaneamente rimanda empaticamente ed accuratamente i vissuti del
cliente, usa la sua congruenza nei riguardi del cliente per facilitarlo nel
confrontarsi con le sue contraddizioni, con la sua modalità di viversi le
esperienze.
Il counsellor è attento a rimandare al cliente i costrutti rigidi che lo
ostacolano nella corretta simbolizzazione dei suoi vissuti emozionali. In
particolar modo il counsellor è sensibile ai momenti di passaggio narrativo
in cui il cliente modifica la propria formulazione del problema,
ricontestualizzando ogni volta l'area problematica ed accogliendo la
conferma o disconferma del cliente.
Il counsellor durante la relazione d'aiuto dovrà, però, prestare attenzione
affinché le proprie modalità di coping non siano simili a quelle del cliente; se
ciò accadesse, egli colluderebbe con il cliente, ostacolando la relazione
empatica.
Colludere in una relazione d'aiuto significa aggettivizzare il problema
ossia generalizzarlo come se fosse un dato di realtà.
Occorre, invece, rimandare al cliente il problema come un problema
"soggettivo", ossia rimandare la percezione soggettiva del cliente nei
confronti del suo problema.
All'interno di questo processo di tipo non direttivo (in quanto parte
dall'assunto che ogni persona è "funzionante" e, anche in condizioni di
disagio, sarà in grado di ritornare, se sostenuta e facilitata, alle sue naturali
condizioni di funzionalità senza il bisogno dell'intervento diretto di altre
persone) il counsellor facilita la consapevolizzazione del cliente,
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promovendo nel cliente stesso empowerment e responsabilità diretta
nell'assunzione di scelte e comportamenti finalizzati alla soluzione del
problema.
Pertanto, a fronte di una richiesta di counselling vi è un
vissuto/situazione problematica nei confronti della quale il cliente non
riesce o non sa trovare una soluzione.
Il problema, quindi, altro non è che un bisogno o un insieme di bisogni
nei confronti del quale non si riesce a trovare una soluzione soddisfacente.
Il processo di consulenza nel counselling si focalizza, perciò, su un'area
problematica: il counsellor facilita e promuove nel cliente un percorso di
individuazione ed esplicitazione da parte dello stesso, dei bisogni che
sottendono al problema.
L'individuazione dei propri bisogni permette al cliente di chiarire e di
rendere espliciti anche i desideri e le motivazioni ad essi correlati. In questo
modo il cliente è in grado, in completa autonomia, di prendere e sostenere le
proprie decisioni, poiché sarà in grado di valutarne i prò ed i contro, avendo
ben chiari i propri bisogni ed i propri desiderata.
E' importante sottolineare che l'intervento di counselling se, in prima
battuta, serve per risolvere un problema contingente, in seconda battuta (ma
non in termini di importanza) modifica nel cliente il modo di affrontare
solitamente i problemi e, quindi, modifica i meccanismi di coping da
disfunzionali a funzionali. L'intervento di counselling ha, pertanto, ricadute
anche sui comportamenti futuri del cliente.
Esso, promuovendo l'empowerment, promuove la "funzionalità" della
persona, ossia la sua capacità di percepire i propri bisogni e la fiducia di
poterli soddisfare, nel rispetto degli altri.
Il concetto di empowerment è strettamente connesso alla presa di
coscienza da parte della persona, della propria capacità di sviluppo delle sue
potenzialità.
Come sostiene Abrahm H. Maslow, "...una persona è insieme realtà e
potenzialità", il che richiama immediatamente il concetto di tendenza
attualizzante di Rogers, ossia il processo di crescita mediante il quale
l'individuo tende a realizzare il proprio potenziale in modo autonomo e
libero da qualsivoglia costrizione. Il counselling, quindi, aiuta la persona nel
suo percorso di "attuaiizzazione".
Il clima facilitante promosso dal counsellor promuove il contatto del
cliente con sé stesso, gli permette di viversi l'esperienza ed i vissuti
emozionali legati all'esperienza, senza il timore di essere giudicato, ma con
la certezza di essere accettato nella sua autenticità ed unicità.
L'effetto del clima facilitante rende meno minacciosi i sentimenti
percepiti e negati/distorti dal cliente.
Scrive Rogers:
"...Durante gli ultimi anni sono stato costretto a
riconoscere che per creare questo clima, condizione necessaria era che io fossi
reale. Mi sono reso conto che solo quando sono in grado di essere una persona
14
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
chiaramente reale, e vengo così percepito dal paziente, egli può scoprire quel
che è reale in lui...... la via per agire è essere.... Il modo
di capire è solo dall'interno"(5)
In questo modo riemergono i bisogni e la consapevolezza (insight!) di
possedere al proprio interno le risorse per poterli soddisfare.
Riprendendo ancora quanto affermato da Rogers, il clima facilitante
permette al cliente la totale accettazione di sé "...dei suoi pensieri e
sentimenti, le pulsioni creative all'interno di sé, le tendenze distruttive che
trova in sé, la sfida della crescita, la sfida della mone. Può far fronte, nella sua
coscienza, a cosa significherà per lui essere o non-essere. Diventa un individuo
umano e autonomo, capace di essere quel che è e di scegliere le strade. Questo
è il risultato della terapia secondo questa tendenza".(6)
Le condizioni che per Rogers garantiscono l'efficacia della sua terapia
centrata sul cliente sono le stesse che promuovono l’empowerment nel
processo di counselling centrato sulla persona.
3. Un'esperienza di orientamento al lavoro: lo
sportello POS (Progetto Orientamento Sviluppo)
L'intervento di orientamento che mi ha vista coinvolta nell'ambito di un
progetto finanziato dalla Provincia di Roma attraverso il cofinanziamento del
Fondo Sociale Europeo, si inserisce fra i servizi di orientamento così detti di
secondo livello, ossia interventi che rispondono ad un fabbisogno di
orientamento che non si esaurisce nell'ambito di servizi di prima accoglienza
ed informazione orientativa.
Nello specifico la mia attività si rivolgeva a donne (senza limite di età)
inoccupate/disoccupate fuori dal mercato del lavoro da molto tempo e con
grosse difficoltà di inserimento/reinserimento lavorativo. Il percorso
denominato di self-empowerment che ho attuato nell'ambito dello sportello
"POS" (assieme al gruppo di colleghe con cui ho condiviso il servizio nell'arco
dei mesi di apertura dello sportello), era finalizzato al raggiungimento di due
obiettivi prioritari:
•
•
Fare una ricognizione/mappatura delle conoscenze e competenze
acquisite dalle utenti nell'arco della loro vita lavorativa ed
extralavorativa al fine di definire con loro un progetto di inserimento
lavorativo o un progetto di inserimento in percorsi formativi, qualora
fossero emersi gap che ostacolassero in modo forte e limitante una
reale possibilità di inserimento nel mercato del lavoro;
Rimotivare le persone, far prendere loro coscienza delle proprie risorse
e delle proprie potenzialità, partendo dal presupposto che ogni
persona è la miglior conoscitrice di sé stessa, dei propri bisogni, delle
proprie capacità e dei propri limiti. Una volta che l'utente acquisisce
questa consapevolezza, l'orientatore assume il ruolo di facilitatore ed
accompagna l'utente nella definizione di un suo personale percorso di
inserimento lavorativo, riconoscendogli sempre la capacità di costruire
15
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
in autonomia il proprio progetto professionale e di porlo in atto nei
modi che riterrà più opportuni.
La metodologia che sottende questo tipo di percorso è una metodologia
non direttiva, che riconosce all'utente il potere su sé stesso (da qui "Selfempowerment") e toglie all'orientatore il potere e la capacità di sapere ciò
che è "giusto" o non "giusto" per la persona.
Questo approccio orientativo è finalizzato ad affrancare l'utente
dall'orientatore, poiché l'obiettivo è quello di fornire all'utente stessa le
competenze auto-orientative che la rendano autonoma nel progettare e
riprogettare i sui spostamenti all'interno del vasto mercato del lavoro con cui
è chiamata continuamente a confrontarsi.
Nell'arco di 12 mesi ho lavorato con 6 gruppi di donne; ogni gruppo era
composto da 10 persone. Il percorso di self-empowerment, era impostato in
parte sul lavoro di gruppo ed in parte sul lavoro individuale, ed era diviso su
6 incontri a cadenza settimanale, con orario 9.00 - 14.00. Il lavoro di ogni
giornata era così organizzato:
•
•
•
•
•
•
Patto formativo ed intervento dell'orientarice sull'approccio per
competenze" per fornire alle utenti strumenti cognitivi e pratici per
lavorare in autonomia sulle schede e le esercitazioni finalizzate alla
mappatura delle loro competenze di base, tecnico-professionali e
trasversali;
Lavoro individuale: compilazione di schede inerenti i singoli percorsi di
ciascuna utente, ossia: percorso formativo, percorso professionale e
percorso extraprofessionale;
Lavoro individuale e discussione in plenaria: compilazione schede PAR
(Problema-Azione-Risultato);
individuazione
delle
competenze
e
conoscenze sottese alla soluzione/successo dell'evento problematico;
descrizione delle competenze e relativa suddivisione in: competenze di
base, tecnico-professionali e trasversali;
Lavoro individuale e discussione in plenaria: redazione del curriculum
vitae formato europeo, predisposizione di una lettera di autocandidatura
e di una lettera di risposta ad un annuncio; compilazione questionario
sul "locus of contrai" e questionario sulle modalità di "fronteggiamento";
Lavoro di gruppo e individuale: analisi dello strumento "Job diary";
definizione di un proprio progetto di inserimento lavorativo; come si
risponde ad un annuncio e come si redige una propria inserzione per la
ricerca del lavoro;
Lavoro di gruppo ed individuale: come si gestisce un colloquio di lavoro
o di selezione; simulazione di un colloquio di lavoro o di selezione.
Il materiale prodotto (schede, esercitazioni, etc.) è rimasto di proprietà
delle utenti (in quanto materiale privato/riservato e come tale soggetto alla
privacy), così come il curriculum vitae ed il job diary in quanto output del
percorso e strumenti utilizzati dalle utenti nella loro attività di ricerca del
lavoro.
Le utenti che hanno fatto parte dei gruppi di lavoro che ho
personalmente seguito avevano caratteristiche molto diverse tra di loro, con
16
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
riferimento a:
•
•
•
•
Età: giovani (dai 18 ai 25 anni), adulte (dai 26 ai 34 anni), adulte (dai 35 ai
39 anni), adulte over 40 anni
Titolo di studio: la maggior parte era in possesso di licenza media,
qualcuna non aveva il titolo di licenza media, alcune possedevano il
diploma professionale o il diploma di SMS, pochissime la Laurea;
Esperienze lavorative: molte fra le adulte "over 40" non avevano avuto
precedenti esperienze professionali poiché casalinghe per molti anni e
con l'esigenza di inserirsi nel mercato del lavoro per diverse vicissitudini
personali e familiari; altre avevano avuto esperienze
professionali non documentabili (lavoro sommerso); le più giovani non
avevano avuto alcuna esperienza professionale.
Fasce deboli: di media il 30% delle utenti di ogni gruppo erano cittadine
extracomunitarie; alcune utenti (un 10% circa) erano portatrici di
handicap iscritte alle liste speciali di collocamento.
Il tipo di approccio utilizzato, la metodologia del lavoro di gruppo ed
individuale, la cadenza settimanale degli incontri, ha sicuramente favorito e
facilitato le persone a lavorare su sé stesse, dando buoni risultati.
La chiarezza con cui veniva presentato ed accolto il patto formativo
all'inizio del percorso ha fatto in modo che non si creassero aspettative
diverse da quanto poi nella realtà veniva trattato ed affrontato all'interno dei
gruppi di lavoro.
Fin dall'inizio della formazione del gruppo di lavoro ho cercato di creare
un clima che potesse facilitare relazioni fra le utenti, agevolando la
comunicazione e lo scambio di esperienze e creando i presupposti per la
crescita del gruppo e la crescita delle singole persone.
Vi sono stati parecchi casi di utenti che hanno trovato lavoro durante il
percorso, o che sono state inserite in tirocini formativi, o che hanno
affrontato colloqui di lavoro o di selezione, e che hanno riportato la loro
personale esperienza all'interno del gruppo quale occasione di discussione e
confronto.
Concludendo, il servizio di "self-empowerment", nell'ambito dei servizi
erogati complessivamente dallo sportello POS, ha raggiunto gli obiettivi che
si era prefissati.
Il grado di soddisfazione e gradimento espresso dalle utenti è stato
accompagnato da risultati oggettivi raggiunti: nuovi inserimenti lavorativi,
inserimenti in percorsi di formazione professionale, attivazione di tirocini
formativi, definizione di progetti di inserimento professionale.
Occorre sottolineare, però, che tali percorsi di orientamento al lavoro,
rispondendo a progetti finanziati pubblicamente (FSE e Provincia di Roma),
hanno un limite rappresentato dalla "rigidità" di impostazione del percorso
stesso. Infatti, non è possibile ri-tarare o ri-progettare il percorso di
orientamento a seconda delle reali esigenze delle utenti intercettate dallo
sportello, ma occorre attenersi rigidamente a ciò che è stato scritto nel
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
progetto ed approvato dall'organismo finanziatore. Tutto ciò in virtù del
fatto che ad ogni attività corrisponde una voce di spesa nel budget che non
può essere assolutamente modificata.
E' chiaro, quindi, che di fronte ad esigenze e bisogni contingenti emersi
ed espressi dalle utenti, non si è potuto rispondere sempre in maniera
pronta ed adeguata.
Mi riferisco, nello specifico, alle utenti con vicissitudini familiari ed
esperienze di vita dolorose, che manifestavano apertamente sfiducia in sé
stesse e nel sistema socio-economico in cui avrebbero dovuto cimentarsi ed
agire per trovare una collocazione lavorativa.
Queste utenti spesso erano percepite inizialmente dal gruppo come
elementi di "disturbo", soggetti "negativi"; solo dopo qualche incontro e
dando spazio alla relazione ed alla narrazione delle proprie storie di vita, il
gruppo si ricompattava ed accoglieva i vissuti dei propri membri. A volte
percepivo l'esigenza del gruppo di soffermarsi su argomenti e vissuti portati
al suo interno; ciò, naturalmente, non rientrava fra le attività oggetto
dell'intervento e scandite da una tabella di marcia piuttosto rigida e formale
(schede da compilare, presenze da firmare, etc.), e per quanto mi è stato
possibile ho cercato di accogliere le loro richieste perché mi rendevo conto
dell'importanza che questo aveva per loro e perché era visibile in loro un
inizio di processo di cambiamento negli atteggiamenti e nel modo di
affrontare il problema della mancanza di lavoro.
4. Ipotesi di un intervento
nell'ambito dello sportello POS
di
counselling
Essendo un'orientatrice ed allo stesso tempo una progettista di interventi
di formazione e orientamento, ho contribuito alla definizione e
progettazione dello sportello POS dove, in un secondo momento, ho
ricoperto il ruolo di orientatrice.
Questo duplice ruolo mi permette di esperire sul campo quanto
progettato in un primo momento sulla carta, e di conseguenza mi aiuta a
comprendere eventuali "errori" o sfasature che mi permettono, nei momenti
di progettazione successiva, di ripensare diversamente interventi ed azioni
orientative o di formazione.
E' il caso dell'intervento che avevo progettato per lo sportello POS, e che
alla luce dell'esperienza fatta in 12 mesi di attività, mi ha spinto a ripensare
e rivedere il percorso di orientamento per donne con gravi difficoltà di
inserimento lavorativo.
Ho constatato, infatti, che alla base della difficoltà di inserimento
lavorativo e dietro l'incapacità, espressa dalle utenti, di cercare e trovare un
lavoro, vi fosse innanzitutto una incapacità a contattare sé stesse ed i propri
reali bisogni.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
La disoccupazione era vissuta principalmente come un fallimento dovuto
a fattori interni o attribuibili alla persona stessa (del tipo "non so fare nulla",
"non ho esperienze di lavoro", "sono troppo vecchia", etc.) o unicamente a
fattori esterni che esulavano completamente da responsabilità personali
delle utenti (del tipo "ci vogliono solo raccomandazioni", "preferiscono
assumere gli uomini", "ho famiglia e potrei fare solo un part-time, ma chi me
lo darebbe?", etc.).
Indipendentemente da ciò che determinasse questo senso di fallimento e
di incapacità a trovare lavoro, tutto ciò influiva direttamente
sull'atteggiamento ed il modo di porsi delle utenti nei confronti del
"problema lavoro". Era come partire con un handicap, nell'unica convinzione
che qualsiasi cosa si facesse, ciò non avrebbe portato mai ad un risultato
soddisfacente.
Pertanto il sentimento delle persone che arrivavano allo sportello
rispondeva quasi sempre a frasi del tipo: "...proviamo anche questa... per dire
che le ho provate tutte.... tanto si sa come vanno le cose".
Ed anche ove vi fosse stato un sentimento positivo nei confronti del
servizio di orientamento, la maggior parte delle utenti cercava in me
(nell'orientatrice, quindi) una risposta ai loro problemi. Erano molto
frequenti, infatti, domande del tipo: "Che cosa debbo fare? .... Tu cosa faresti
al mio posto?..... secondo te, qual è la soluzione migliore?.... cosa debbo
rispondere a chi mi dice che......".
E' chiaro che le loro aspettative nei confronti del "problema lavoro"
chiamavano in causa la mia capacità di problem solving e non la loro
capacità di coping nel fronteggiare situazioni problematiche o di stress (il
perdurare dello stato di disoccupazione, infatti, creava in loro ansia e stress
dovuto al senso di incapacità di trovare una soluzione al problema).
Diventa comprensibile, quindi, che le attività previste dal percorso di
orientamento dello sportello POS, non prendevano in considerazione la
necessità da parte delle utenti, di andare a fondo nel comprendere e capire di
che cosa realmente avessero bisogno, di quanto fossero realmente motivate a
cercare un lavoro, di quanto fossero consapevoli delle loro reali possibilità di
trovare un lavoro soddisfacente da tutti i punti di vista (economico, di
realizzazione personale, etc.).
L'esistenza, inoltre, di aree problematiche dovute a particolari situazioni
contingenti o legate a particolari momenti esistenziali, minavano ed
ostacolavano gli esiti personali e sociali delle azioni intraprese dalle utenti,
alimentando così il senso di sfiducia in loro stesse e nella loro capacità di
attingere a risorse per soddisfare al meglio il loro progetto di vita e di
realizzazione professionale.
Un intervento di counselling centrato sulla persona avrebbe potuto
sicuramente aiutare le utenti dello sportello a far luce su loro stesse e a darsi
delle risposte.
L'obiettivo principale di un intervento di counselling centrato sulla
persona è infatti quello di promuovere l'empowerment nella persona stessa,
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
ossia:
•
•
•
Aumentare il proprio livello di consapevolezza (soprattutto in
relazione alle proprie risorse ed alle proprie potenzialità);
Identificare le proprie risorse in relazione a specifici bisogni e desideri;
Tendere al raggiungimento del proprio benessere (bio-psico-sociale).
Nel caso specifico dello sportello POS, la relazione d'aiuto esplicitata nel
processo di counselling non si porrebbe come un tentativo di interpretare il
vissuto del cliente (parlando di counselling centrato sulla persona adottiamo
la terminologia rogersiana che identifica con il termine di "cliente" la persona
che chiede il servizio), indicando soluzioni dettate dalla presunta incapacità
decisionale del cliente stesso, bensì come un percorso di crescita e di
responsabilizzazione del cliente basata sull'efficacia della relazione.
Aiutare il cliente significherebbe, quindi, accompagnarlo nel trovare
dentro di sé le risposte che cerca, partendo sempre dal "qui ed ora" e quindi
dal problema nella sua manifestazione contingente.
Ritornando allo sportello POS, alla luce di quanto affermato sino ad ora,
si potrebbe ipotizzare una riprogettazione dei servizi dello sportello che
prevedano nella fase iniziale di "patto o contratto" la possibilità di accedere
ad un percorso di counselling individuale per coloro che ne ravvisassero
l'esigenza.
Ciò dovrebbe avvenire temporalmente prima dell'ingresso nel servizio di
orientamento di gruppo, che si concentrerebbe, a questo punto, solo sugli
aspetti più "tecnici" della ricerca del lavoro (mappatura delle competenze
possedute, identificazione di eventuali "gap" in termini di conoscenze e/o
competenze necessarie per l'ingresso nel mondo del lavoro, analisi del
mercato del lavoro territoriale, strumenti e tecniche di ricerca attiva del
lavoro, gestione del colloquio si selezione, stesura del CV europeo, stesura di
una lettera di autocandidatura, inserzioni su riviste di settore, etc.), mentre
tutti gli aspetti connessi al lavoro delle clienti su sé stesse per favorire il
contatto con i loro sentimento ed i loro bisogni, verrebbe preso in
considerazione nel percorso di counselling.
Ciò che ho notato, infatti, durante i mesi di lavoro allo sportello POS era
che, nonostante non fosse previsto il counselling così come lo abbiamo
inteso fino ad ora, le donne che partecipavano ai gruppi di lavoro, trovavano
una sorta di "giovamento" dalla partecipazione al gruppo di lavoro e dalle
relazioni sviluppate al suo interno.
Molte di loro palesavano direttamente a me ed alle colleghe quanto
facesse loro bene quel piccolo spazio ritagliato fra i vari impegni familiari e
sociali; lo vivevano come un momento dedicato a loro stesse, uno spazio in
cui poter parlare ed anche sfogarsi, uno spazio in cui si sentivano comprese
ed ascoltate.
La qualità della relazione all'interno del gruppo di lavoro, il senso di
fiducia e di solidarietà che si creava tra le donne, rappresentava per loro una
spinta, una forza per andare avanti, per provare a rimettersi in gioco, per
riacquistare fiducia in loro stesse.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
Il momento di condivisione delle esperienze, anche se spesso era vissuto
in modo diretto ed interpretativo da parte di alcune di loro (con interventi
del tipo ".... Allora tu devi lasciare tuo marito..... se non farai finirà che
prenderai ulteriori bastonate nella vita... etc.) era comunque vissuto in modo
positivo dalle donne, che davano certamente più importanza alla qualità
della relazione (l'"esserci" del gruppo, il sentirsi ascoltate e comprese, etc)
che non ai contenuti.
Se il processo di relazione e di comunicazione che si instaurava
all'interno dei gruppi di lavoro dello sportello POS, pur se non gestito o
facilitato come se fosse un processo di counselling di gruppo o un gruppo di
incontro, era vissuto come un momento importante per la crescita e
l'acquisizione di fiducia in sé stesse delle donne che vi partecipavano, a
maggior ragione ritengo che un intervento mirato di counselling individuale
o di gruppo sarebbe stato più funzionale rispetto alle esigenze ed ai
problemi portati dalle donne all'interno dei gruppi di lavoro.
Così come era stato impostato, invece, il servizio di orientamento dello
sportello POS, poteva sembrare più assimilabile ad un intervento di "lavoro
sociale" che non ad un intervento di orientamento al lavoro vero e proprio.
Non vi erano spazi, infatti, per il counselling né tanto meno vi erano
counsellor professionisti in grado di poterlo gestire.
Sarebbe stato molto più "semplice" per me prendere il posto delle mie
clienti e dare risposte più o meno soddisfacenti e "logiche" alle loro domande
dirette ("cosa faresti al mio posto... come mi dovrei comportare.."), esaltando
la mia presunta "superiorità" di donna colta, esperta e realizzata
professionalmente, che non, invece, accoglierle nelle loro individualità e nel
loro essere persone senza alcuna condizione, ascoltarle con attenzione ed
empatia provando a rimandare loro i sentimenti e le emozioni che si negano
di provare, essere autentica nella relazione, consapevole dei miei pregi ed i
miei difetti, dei miei limiti e delle mie risorse di donna e di orientatrice,
promovendo così in loro un processo di crescita e di cambiamento.
Certamente quest'ultima ipotesi di intervento, che chiaramente non sono
stata in grado di fare per diversi ed ovvi motivi, a valle dell'esperienza
vissuta nell'ambito dello sportello POS, sarebbe stata quella più funzionale e
rispondente alle reali esigenze delle donne. Ciò non toglie che i "palliativi"
messi in atto dal mio gruppo di lavoro, la qualità delle relazioni che si
instauravano all'interno dei gruppi di lavoro stessi, il network attivato sul
territorio (Municipio Roma VII, CPI, Scuole e centri di formazione, COL), la
professionalità delle orientatici, gli strumenti creati ad hoc per il percorso di
orientamento e, non ultime, tutte le donne cha sono passate attraverso i
servizi dello sportello portando con loro una ricchezza di vissuti (anche se a
volte molto dolorosi) incommensurabile, hanno contribuito a raccogliere
successi misurabili quantitativamente in inserimenti lavorativi o in
inserimenti in percorsi di formazione o di tirocini formativi.
Da parte mia, invece, è rimasta la sensazione di non aver potuto e saputo
fare qualcosa di veramente importante per loro. Ho impresse nella mente,
soprattutto, le donne che non hanno trovato alcuna risposta nei servizi dello
sportello: il ricordo più vivo sono quei volti che chiedevano aiuto in silenzio,
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
che tentavano di aggrapparsi per l'ennesima volta ad una speranza di
"svolta" della loro vita.
Ho perfettamente chiaro che non potevo essere io la loro chiave di volta,
che non potevo certo essere io a "camminare" al posto loro, ma avrei potuto
aiutarle ad essere nuovamente libere di scegliere e di agire per loro stesse, di
essere sé stesse senza negare la loro identità a beneficio di altre persone,
siano esse mariti, figli o genitori.
Riappropriarsi della propria libertà di coscienza avrebbe significato, per
loro, riappropriarsi della propria capacità di scelta, di responsabilità e di
futuro.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2006
Indice citazioni
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Scientifica, 1996
(2) I. Calvino Lezioni americane, Mondatori, Milano, 1993
(3) A. Di Fabio Psicologia dell'orientamento, Giunti, Firenze, 1998
(4) Rollo May, (a cura di), Psicologia Esistenziale, Casa Editrice Astrolabio,
Ubaldini Editore, Roma, pag. 48
(5) Rollo May, (a cura di), Psicologia Esistenziale, Casa Editrice Astrolabio,
Ubaldini Editore, Roma, pagg. 74-75
(6) Op. cit. pag. 75
Indice bibliografico
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Italiana di Cristiana Carbone, L'arte del counselling, Casa Editrice Astrolabio,
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1969, Trad. Italiana di J. Sanders e L. Breccia, Psicologia Esistenziale, Casa
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Pombeni M.L., Il colloquio di orientamento, NIS La nuova Italia Scientifica,
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Selvatici A., D'Angelo M.G. (a cura di), Il bilancio delle competenze,Franco
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