È C Le giubbe gialle: «A Natale saremo qui
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È C Le giubbe gialle: «A Natale saremo qui
7 segni di speranza SABATO 24 DICEMBRE 2011 IL SIMBOLO LA NUOVA VITA LA MASCOTTE La statua di Gesù, intatta dopo la furia del fango Mosè, il bimbo salvato dalle acque del Vara Jeck, il cane di tutti che ha ritrovato la sua casa La chiamano “la casa dei morti”. Perché in quella casa, quando il Vara ha travolto Borghetto, sono morte tre persone, della stessa famiglia. L’onda ha sfondato le finestre, il soffitto è crollato, persino gli alberi di fronte all’ingresso si sono spezzati. Ma la statua del Cristo (nella foto) no. Quella è rimasta in piedi. Nemmeno un segno della furia di fango e tronchi e macchine che gli s’è scatenata attorno. La gente di Borghetto lo considera un segno: si deve restare in piedi. Qualche metro più avanti qualcuno ha appeso uno striscione: «Ciò che non ci ha distrutto ci ha reso più forti». Il fiocco azzurro campeggia nella via principale di Borghetto Vara. La strada che era un fiume in piena, quel 25 ottobre, coi camioncini piantati nelle finestre, le macchine accartocciate. «Eccomi qua – si legge sul portone – mi chiamo Mosè». Il bimbo è nato qualche giorno dopo l’alluvione. E i suoi genitori, che l’hanno scampata per miracolo, hanno deciso di chiamarlo così: Mosè, il “salvato dalle acque”. Nella strada principale di Borghetto non c’è più niente: i negozi sono chiusi, il segno del fango è ancora ben visibile sui muri della case. Il fiocco è una sfida e una certezza: la luce torna. È stato la mascotte di un paese intero, "Bello", per un mese e mezzo. I volontari della Protezione civile di Vernazza l’avevano ribattezzato così. Ed era diventato uno di loro: sul fango, negli scantinati, in Comune per le riunioni operative, Bello c’era. Strappava una carezza, un sorriso. Il 13 dicembre sulla piazza di Vernazza s’è scatenata l’euforia: è arrivato un ragazzo da Corniglia, dicendo che Jeck (il vero nome di Bello) è sparito da là, che il padrone lo cerca da settimane. «Jeck torna a casa», ripetono gli abitanti di Vernazza. Presto, forse, ci torneranno anche loro. LA LIGURIA FERITA Vernazza Eraldo, il “medico” che ripara tutte le cose Borghetto Vara Ciro e Betti, i volti che restituiscono futuro DAL NOSTRO INVIATO A VERNAZZA VIVIANA DALOISO DAL NOSTRO INVIATO A BORGHETTO VARA sceso da una sconosciuta frazione sopra Vernazza, Eraldo, la sera del maledetto 25 ottobre. Ha il fisico asciutto, i capelli bianchissimi, la barba incolta. Una vita semplice, da operaio edile, gli ha insegnato a far tutto. E da quella sera, lui, s’è piantato nella piazzetta sommersa del paese, a soccorrere e scavare. Poi, quando le case sono riemerse dal fango e dai detriti, gli hanno dato un salone distrutto del bel ristorante che s’affacciava sul porticciolo. E lui, lì, ci ha messo le sue pinze, le viti e con due assi di legno s’è costruito un bancone. Eccolo, il nuovo centro del paese spazzato via dalla Terra: è l’“officina” di Eraldo. La gente, come in una strana processione, si mette in coda e gli porta tutte le cose. Rotte, frantumate, incrostate. Chiede, quella gente: «Eraldo, vedi se si può fare». Lui guarda, con le mani sfiora i rimasugli. E con quelle mani da “medico” – dopo due ore o due giorni, non importa – restituisce che è nuovo. Piccoli miracoli di Vernazza, che ricomincia dalle cose. Le sue. Quelle fatte di legno, di plastica, di metallo. Quelle regalate, conservate, riposte. E poi le frese, le affettatrici, i trapani. Vernazza rialza la testa così, ricomincia a guardare a avanti. Perché con le cose si ricostruisce, non importa il dolore, non Eraldo al lavoro nella sua “officina” importa il silenzio. Bisognerebbe vederlo, il sorriso del focacciaro di via Roma: arriva col moNell’officina ricavata tore di un tritamozzarelda un ristorante gli la, l’ha trovato sotto la finestra divelta della botteoggetti degli abitanti ga a un mese dal disastro. riprendono vita: dai Eraldo glielo riconsegna canticchiando, apre una ricordi ai macchinari bottiglia di vino («Questa utili per le attività s’è salvata da sola, io non potevo aggiustarla», dice) e si brinda tutti insieme, quelli che aspettano e quelli di passaggio. Il focacciaro stringe al petto il macchinario: «Guardate come luccica». Poi dice: «Qualcuno dovrà pur pensare a ripagarlo, Eraldo». Anche per quella volta in cui i vigili del fuoco son rimasti in panne con un mezzo pesante: non s’accendeva, non andava né avanti né indietro. E quando Eraldo s’è presentato con le sue pinze, l’hanno guardato come se fosse un po’ matto. Lui si è accovacciato, ha sferragliato per un po’. Quando s’è rialzato il motore ruggiva che era una meraviglia. A sera l’officina cambia volto. Vernazza si spopola: la processione si trasferisce alla stazione, la gente lascia le case e torna dai suoi ospiti, vicini e lontani. Qui non si può vivere ancora, e per chissà quanto. E così chi rimane – forse una cinquantina di persone, con la fortuna di una casa ancora agibile o col coraggio di dormire all’addiaccio – va da Eraldo. Arrivano con le sedie. C’è anche don Giovanni, il parroco. La giornate sono infinite anche per lui, che è sempre in giro a cercare aiuto, oppure a dispensar consolazione, ascolto. Gli piace cantare, mentre Eraldo suona. Pensare che in chiesa, “mani d’oro”, non l’ha mai visto nessuno. Ma basta qualche istante, tra i due, per mettersi d’accordo sulla tonalità e il cuore di Vernazza vibra, ancora, nonostante il fango. È © RIPRODUZIONE RISERVATA i sono anche mani di ferro, nel fango. Sono quelle di Ciro, il bidello della scuola materna di Borghetto Vara: la scuola costruita sul fiume, perché il fiume non aveva mai fatto male a nessuno. Il maledetto 25 ottobre Ciro guardava fuori dalla finestra e l’acqua saliva, saliva. Nelle classi, per il doposcuola, c’erano 30 bambini. Ciro chiama in Comune, è preoccupato. E dal Comune gli dicono che smetterà. Che il Vara si gonfia, s’è sempre gonfiato, «ma poi passa, anche». Ciro mette giù la cornetta e torna alla sua finestra. Sembra che l’acqua cali, per un istante. Poi la “bomba”. È come un’emorragia, una ferita spaventosa: la scuola è circondata, l’argine crollato. E i bambini? Lì, a guardare terrorizzati. «Capisco che devo fare qualcosa, devo muovermi», racconta lui. «Allora li chiamo, li faccio mettere in fila, gli infilo i cappottini. E poi, ecco, li prendo in braccio, me li porto via». Uno a uno, Ciro stringe con le mani i “suoi” piccoli, i figli di Borghetto, il futuro. Li porta giù dalle scale, l’acqua gli arriva già ai polpacci. Con l’aiuto di alcuni genitori si costruisce un improbabile argine con un automobile. Non reggerà molto, ma basta per permettergli di portare i bambini nel palazzo di fronCiro sul balcone della scuola te, che è proprio quello del Comune ed è più alto della scuola. Pensare che il suo, di figlio, Ciro non l’ha troUn bidello che da solo vato fino a sera. Era fra i diha salvato 30 bambini spersi, poi s’è scoperto che aveva trovato rifugio da adella scuola del paese mici. Una donna che tutti Ciro sta seduto al suo bancone nel corridoio della i giorni si occupa piccola scuola. Sopra, tra le di distribuire i viveri circolari e i pacchi da riordinare (la scuola ha riaperto solo dopo l’Immacolata), spunta una falda di fogli colorati. Sono dei bambini: «Grazie, Ciro», recitano. Il loro “eroe” in maglione blu veglia su di loro, li chiama per nome, tranquillizza le maestre. Ogni giorno. Ci vorrà tempo, per questi piccoli, a Borghetto lo sanno tutti. E ci vorrà tempo anche per i vecchi, per le famiglie che hanno perso tutto, per chi ha avuto morti. Qui sono stati sette, troppi per un paesino che ha solo un paio di bar, una piccola farmacia, un panificio. O meglio, che li aveva: oggi le vetrine sono sventrate, i commercianti in ginocchio e l’unica attività aperta è il centro di smistamento alimentare della Croce Verde chiavarese, che qui opera dal giorno del disastro. È una piccola bottega, ci lavora la Betti. Altre mani, le sue, che contribuiscono alla ricostruzione. Mani buone, perché la Betti e le sue due colleghe stanno qui da mattina a sera, senza cambi di turno, senza stipendio. Non fanno parte della Protezione civile, non sono incaricate dal Comune: si sono semplicemente messe a disposizione. Alla bottega arrivano tutti: c’è chi entra col volto basso, si vergogna. C’è chi chiede tutti i giorni la frutta, e tutti i giorni si sente rispondere che no, la frutta non c’è, che non arriva niente di fresco. Mica come i primi tempi, che qui arrivava tutto. «Cominciano a dimenticarsi», sussurra qualcuno. Allora arriva la Betti, che sorride: «Però abbiamo le barrette di cereali, con la frutta, che sono buonissime e non vanno a male». Natale, nel deserto scavato dal fango, è questo sorriso, queste barrette. Viviana Daloiso C Alluvione, le mani che curano l’anima Viaggio nello Spezzino che vuole rialzarsi Primi aiuti concreti dai fondi dell’8xmille L e parole “ricominciare” o che in queste terre sfregiate hanla. E poi le mani buone della Chie“speranza” nel fango non eno scavato, sudato, ascoltato e sa, coi suoi parroci, alluvionati sistono. Nel fango non ci sopianto. Sono dovuti partire, alla eppure ogni giorno impegnati in no parole: ci sono pale, stivali, tufine dell’emergenza, ma per Naprima linea con le collette, le vibi, fili, mattoni. E mani. Lo Speztale son tornati, spontaneamensite, le messe; col vescovo di La zino e la Lunigiana alluvionate alte, novelli pastori in giubba gialSpezia Francesco Moraglia, che i la vigilia di Natale sono paesi colpiti ha voluto viquesto, soprattutto: sitarli uno a uno, portanmani. Che sistemano, do una parola di consolache puliscono, che prezione. E infine, proprio gano. Che non si fermanei giorni scorsi, con il no. Mani “d’oro”, come “dono” della Cei, che ha quelle di Eraldo: con la fatto consegnare dai sasua pazienza ogni giorcerdoti alle famiglie più no restituisce a Vernazcolpite assegni da 1700 a za un pezzo di cuore. 4mila euro, per un totale Mani di ferro, come di oltre 400mila euro. Soquelle di Ciro, che strinno soldi che arrivano gendo uno a uno i “suoi” dall’8xmille, da Cor U30 bambini ha salvato il num e dalle raccolte dofuturo di Borghetto Vamenicali. Sono segni, sora. Mani coraggiose, coprattutto. La gente li ha me quelle dei volontari accolti in lacrime. Natale Il presepe di Borghetto. Il fango arrivava al campanile della Protezione civile, è arrivato anche qui. Le giubbe gialle: «A Natale saremo qui» DA CHIAVARI on li chiamano “angeli”, perché terremoti e alluvioni le vivono di mestiere. Ma la gente li tratta come se lo fossero davvero. Le giubbe gialle sono la salvezza: per sgomberare la cantina ancora piena di detriti, per spostare i massi accatastati davanti a una porta, per scambiare qualche parola. Hanno storie incredibili, questi ragazzi, che spesso ragazzi non sono: prendi Rinaldo, che è il coordinatore della sezione chiavarese. Ha moglie e figli, un bel passato lavorativo alle spalle, ma di fermarsi non vuol sentir parlare: e va, con la sua jeep, corre, chiama, saluta. Nei giorni dell’emergenza è stato seduto a una N La Protezione civile all’opera a Monterosso i volontari La Protezione civile ha lasciato le zone colpite finita l’emergenza, ma in quei luoghi torna: «È casa nostra» scrivania. Il lavoro più pesante. Perché i volontari, gli “angeli” che accorrono sul posto e che cercano le pale (anche quando non ci sono) vanno seguiti, gestiti, sistemati. E Rinaldo fa questo: guida le altre mani. Decide dove mandare chi. Si prende la responsabilità di tutti. A Borghetto quando lo vedono spuntare si accalcano tutti: «C’è bisogno», «Manca la carne», «Puoi chiamare tu?». Lui risolve. E se non può risolvere, ci prova. Basta questo, alla gente. Basta un filo di luci e qualche pallina di polistirolo sull’albero di Natale improvvisato nella piazza. La sera che l’hanno montato, Rinaldo ci ha visto una signora sotto. Piangeva, poi gli è andata vicina e ha detto: «Grazie». Per Rinaldo quello è sta- to il momento più duro dell’alluvione. Vedere quella disperazione e sentir le lacrime che salivano. Vedere cosa vuol dire perdere tutto. «Non la distruzione, le lamiere, il caos. Ma quelle lacrime», dice piano. Per asciugarle, l’ultima sfida della Croce verde chiavarese (di cui fa parte la sezione della Protezione civile) è stata quella di organizzare la festa di Natale per i bambini. Sono arrivati tutti, da Borghetto e dalle frazioni vicine. C’era anche il vescovo Moraglia. S’è cantato, s’è cercato di dimenticare. Anche questo, basta, alla speranza. A Vernazza l’omologo di Rinaldo si chiama Roger. Faceva il croupier al casinò di Sanremo: quando è morta sua moglie ha deciso di dedicare la sua vita agli altri. U- na scelta che l’ha portato ad Haiti, all’Aquila e infine qui, nel cuore dello tsunami di fango. Il presidio della Protezione civile ha trovata casa in una botteghina affacciata sulla piazza. Da lì lui e i suoi (Fabrizio, Matteo) hanno gestito l’emergenza. Fino al 15 dicembre, data in cui son scaduti i termini istituzionali per lo stato d’emergenza. Se ne sono andati tra le lacrime, loro e della gente. Perché i “termini istituzionali” non coincidono con quelli reali. E perché a Vernazza tutto resta da fare. Tornerà per Natale. Si risiederà sotto il tendone dove qui si mangia ancora, tutti i giorni, perché in molte case non c’è gas né acqua: «È la nostra casa – dice Roger –, la nostra famiglia». (V. D.) © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ADDIO IERI I FUNERALI DELLE 3 VITTIME TRASCINATE VIA DAL MARE Tutta la popolazione di Vernazza ha partecipato ieri ai funerali di Giuseppina Carro, Sauro Picconcelli e Giuseppe Giannoni, le tre vittime del nubifragio finite in mare, dove hanno dovuto subire pure l’“oltraggio” d’essere trascinate via dalle onde. I loro cadaveri sono riaffiorati al largo di Saint Tropez un mese e mezzo fa. Le salme però, per problemi burocratici e per l’accertamento del Dna, sono arrivate a casa solo giovedì scorso, dopo il nulla osta della Procura di Marsiglia. Monsignor Francesco Moraglia, vescovo di La Spezia, nell’omelia del rito funebre, ha detto che «con il grande dolore per coloro che ci sono stati tolti in modo così violento, avvertiamo anche un senso di riconoscenza e liberazione perché dopo due mesi Pina, Pino e Sauro sono di nuovo fra noi. Saperli qui di nuovo, è qualcosa che ci dà conforto7. (D. Fram.)